Sentenze rilevanti della Corte costituzionale
Corte Costituzionale Sentenza n. 363/06: Il concorso pubblico – quale meccanismo
imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito –
costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni.
Esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell'azione
amministrativa. Le eccezioni a tale regola consentite dall'art. 97 Cost., purché disposte con
legge, debbono rispondere a «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico»
(sentenza n. 81 del 2006). Altrimenti la deroga si risolverebbe in un privilegio a favore di
categorie più o meno ampie di persone (sentenza n. 205 del 2006). Perché sia assicurata la
generalità della regola del concorso pubblico disposta dall'art. 97 Cost., l'area delle
eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso.
Si tratta di verificare se sussistano le condizioni per riconoscere come legittima la
deroga che la legge della Provincia autonoma di Bolzano introduce al principio del
pubblico concorso.
2.
Corte Costituzionale Sentenza n. 205/06: La Regione sostiene ..che le norme in questione
(NDR riserva di posti in concorso) perseguono l'obiettivo di realizzare un ragionevole
punto
di
equilibrio
tra
il
principio
del
pubblico
concorso
e
l'esigenza
dell'Amministrazione di non disperdere un patrimonio di esperienze già acquisite,
punto di equilibrio che si realizzerebbe nel limitare la riserva dei posti, a favore di coloro
che abbiano già avuto un'esperienza lavorativa presso la Regione, nella misura del
quaranta per cento.
L'aver prestato attività a tempo determinato alle dipendenze dell'amministrazione
regionale non può essere considerato ex se, ed in mancanza di altre particolari e
straordinarie ragioni, un valido presupposto per una riserva di posti.
La normativa impugnata nel riferirsi a tutti coloro che abbiano svolto una qualsiasi
attività a favore della Regione nell'arco di un decennio, non identifica, come richiesto dalla
giurisprudenza di questa Corte, alcuna peculiare situazione giustificatrice della deroga al
principio di cui all'art. 97, terzo comma, della Costituzione e si risolve piuttosto in un
arbitrario privilegio a favore di una generica categoria di persone.
Né il riferimento ad un'attività lavorativa pregressa può dedursi dai titoli di studio
richiesti per l'accesso all'impiego, giacché questi ultimi attengono al lavoro da svolgere e
non sono necessariamente collegati all'attività precedentemente svolta.
3.
Corte Costituzionale Sentenza n. 34/04: L'art. 51 della Costituzione, nel porre il principio
che "tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici … in
condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge", attua il fondamentale
principio dell'art. 3 della Costituzione, ma non detta le regole di accesso al pubblico
impiego, le quali, di contro, si rinvengono nelle disposizioni di cui al terzo comma dell'art.
97 Cost., secondo il quale "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede
mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge". … Questa Corte ha riconosciuto nel
concorso pubblico (art. 97, terzo comma, della Costituzione) la forma generale ed ordinaria
di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di
efficienza dell'amministrazione (sentenze n. 194 del 2002, n. 1 del 1999, n. 333 del 1993, n.
453 del 1990 e n. 81 del 1983), ed ha ritenuto che possa derogarsi a tale regola solo in
presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nell'esercizio di una discrezionalità che
trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione) ed il cui vaglio di
costituzionalità non può che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della
scelta operata dal legislatore.
4.
Corte Costituzionale Ord 517/2002: Considerato …
che la disposizione censurata prevede che le università (e parimenti gli osservatori
astronomici, astrofisici e vesuviano) sono autorizzati - per un limitato periodo di tempo
(cinque esercizi finanziari a decorrere dall'esercizio 1999) - a bandire concorsi per posti di
ricercatore universitario riservati al personale delle stesse università (e degli osservatori)
in servizio alla data di entrata in vigore della disposizione medesima;
che per beneficiare del concorso riservato tale personale deve soddisfare plurimi requisiti,
atteso che deve essere stato assunto in ruolo a seguito di pubblici concorsi che
prevedevano come requisito di accesso il diploma di laurea; deve inoltre aver rivestito una
qualifica di assunzione che comportasse lo svolgimento di funzioni tecniche o socio-
sanitarie; deve altresì aver svolto di fatto alla predetta data almeno tre anni di attività di
ricerca;
che questa Corte (sentenza n.141 del 1999) ha in proposito affermato che può ritenersi
senz'altro conforme all'interesse pubblico il fatto che precedenti esperienze non vadano
perdute e che ancor più recentemente (sentenza n. 373 del 2002) ha precisato che non è da
escludere a priori che l'accesso ad un concorso pubblico possa essere condizionato al
possesso
di
una
precedente
esperienza
nell'ambito
dell'amministrazione
«ove
ragionevolmente configurabile quale requisito professionale», ciò rientrando nella
discrezionalità del legislatore, ma «fino al limite oltre il quale possa dirsi che l'assunzione
nell'amministrazione
pubblica,
attraverso
norme
di
privilegio,
escluda
o
irragionevolmente riduca le possibilità di accesso, per tutti gli altri aspiranti, con
violazione del carattere "pubblico" del concorso» (sentenza n.141 del 1999, citata);
che
le
restrizioni
dei
soggetti
legittimati
a
partecipare
al
concorso
possono
eccezionalmente considerarsi ragionevoli in presenza di «particolari situazioni, che
possano
giustificarle
per
una
migliore
garanzia
del
buon
andamento
dell'amministrazione»(sentenza n. 373 del 2002);
che la ragionevolezza della deroga alla regola del pubblico concorso non può dirsi
radicalmente esclusa dal fatto che si tratti di un concorso riservato interamente al
personale in possesso di una determinata esperienza protratta nel tempo (quale quella,
nella fattispecie, di ricerca), avendo questa Corte ritenuto compatibili con il principio del
pubblico concorso non solo ipotesi di riserve parziali (sentenza n.141 del 1999, citata;
sentenza n.234 del 1994), ma talora, seppur eccezionalmente, anche ipotesi di concorsi
interamente riservati (sentenze n. 228 del 1997 e n. 477 del 1995);
che la disposizione censurata ha connotazioni del tutto peculiari, dovendo considerarsi
che nella fattispecie la pregressa esperienza (ossia l'attività di ricerca protrattasi per
almeno tre anni) è non solo in sé particolarmente qualificata e specifica rispetto alla mera
attività lavorativa espletata in una diversa (e meno elevata) posizione di impiego
nell'amministrazione, ma anche accentuatamente omogenea alla posizione per la quale il
concorso è bandito per essere l'attività di ricerca del tutto tipica del ricercatore
universitario, sicché il concorso riservato si atteggia come teso a favorire la stabilizzazione
del dipendente in quella qualifica la cui tipica attività egli abbia svolto di fatto per un
apprezzabile periodo di tempo;
che questa speciale finalità - non irragionevolmente perseguita dal legislatore - trova anche
riscontro nei presupposti, previsti dalla disposizione censurata, che consentono alle
università (e agli osservatori) di ricorrere al concorso riservato, essendo infatti necessaria,
da una parte, la previa verifica della sussistente esigenza di attività di ricerca (unitamente
a quella didattica) e, d'altra parte, la soppressione di un numero di posti di tecnico
laureato corrispondente a quello dei posti di ricercatore messi a concorso;
che la peculiarità di questo meccanismo rende non irragionevole la riserva totale del
concorso, perché per candidati esterni - per i quali comunque rimane aperta la possibilità
di accedere all'ordinario concorso per ricercatore - non potrebbe certo ricorrere il
presupposto della soppressione di un posto attualmente ricoperto da un tecnico laureato;
che la disposizione censurata, nel far riferimento al personale dell'università, prescrive, in
funzione limitativa, l'ulteriore requisito che il dipendente dell'università sia stato assunto
in ruolo a seguito di un pubblico concorso che prevedeva come requisito di accesso il
diploma di laurea;
che tale requisito - che vale ad individuare un criterio selettivo indiretto per determinare il
personale eccezionalmente beneficiario del concorso riservato - non è in sé irragionevole,
essendo ben più omogenea rispetto a quella del ricercatore la posizione di chi sia entrato
nel ruolo del personale universitario superando un concorso per il quale fosse richiesta la
laurea rispetto a quella di chi sia invece entrato a seguito di un concorso di minor livello;
che non sussiste quindi la violazione del principio di eguaglianza;
che neppure è leso il principio del buon andamento della pubblica amministrazione parimenti evocato dal T.A.R. rimettente - perché la valorizzazione di pregresse esperienze
nell'ambito di quest'ultima non è un valore assoluto, ma giustifica solo circoscritte ed
eccezionali deroghe alla regola del concorso pubblico, atteso anche che, nella fattispecie, il
concorso riservato non costituisce affatto un obbligo per le università e gli osservatori, ma
solo una facoltà;
5.
Corte Costituzionale n. 141/99: Può ritenersi senz'altro conforme all'interesse pubblico che
precedenti esperienze non vadano perdute e anzi che la legge, come assai frequentemente
avviene, preveda per esse una particolare considerazione. Ciò che vale, naturalmente, fino
al limite oltre il quale possa dirsi che l'assunzione nella amministrazione pubblica,
attraverso norme di privilegio, escluda o irragionevolmente riduca le possibilità di
accesso, per tutti gli altri aspiranti, con violazione del carattere "pubblico" del concorso,
secondo quanto prescritto in via normale, a tutela anche dell'interesse pubblico, dall'art.
97, terzo comma, della Costituzione.
6.
Corte Costituzionale n. 1/99: Deroghe alla regola del concorso, da parte del legislatore,
sono ammissibili soltanto nei limiti segnati dall'esigenza di garantire il buon andamento
dell'amministrazione (cfr., per tutte, sentenza n. 477 del 1995) o di attuare altri princìpi di
rilievo costituzionale, che possano assumere importanza per la peculiarità degli uffici di
volta in volta considerati: ad esempio, quando si tratti di uffici destinati in modo diretto
alla collaborazione con gli organi politici o al supporto dei medesimi.
7.
Corte Costituzionale n. 228/97: Il secondo profilo riguarda la posizione soggettiva dei
riservatari dello scrutinio per merito comparativo, cioè i funzionari delle qualifiche ad
esaurimento. Costoro hanno mantenuto una peculiarità e temporaneità di posizioni
giuridiche e di qualifica nonché di trattamento economico, che si ricollegano allo status e
alle qualifiche ad esaurimento rivestite e alle aspettative di carriera maturate nel
precedente ordinamento. I funzionari delle qualifiche ad esaurimento hanno conseguito
un trattamento economico, rapportato in ragione di una percentuale rispetto allo stipendio
delle qualifiche dirigenziali (art. 61 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748) e hanno continuato
ad essere abilitati a reggere uffici di livello dirigenziale (primo dirigente e successive
trasformazioni) con la pienezza di poteri (art. 17, secondo comma, della legge 24 aprile
1980, n. 146; art. 7, ultimo comma, del d.l. 30 settembre 1982, n. 688, convertito, con
modificazioni, in legge 27 novembre 1982, n. 873).
3. - Completamente diversa sia per provenienza, sia per livello economico e per status
giuridico, è la nona qualifica funzionale, che è stata istituita con il d.-l. 28 gennaio 1986, n.
9, convertito in legge 24 marzo 1986, n. 78. I funzionari che vi sono stati inquadrati hanno
avuto riconosciuta l'abilitazione a divenire reggenti di uffici dirigenziali (ancorché senza
distinzioni in relazione alla mutata normativa organizzativa e alla carenza dirigenziale
sopravvenuta) solo con il d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266.
Esiste, pertanto, in relazione alle suddette diversità, il presupposto perché il legislatore
possa compiere - come in effetti ha fatto - la valutazione, non palesemente arbitraria ed
irrazionale, di accordare un particolare trattamento, temporalmente limitato, ai
funzionari con qualifiche ad esaurimento, che avevano, pur con la speciale posizione
derivante dalla peculiare qualifica, svolto funzioni di responsabilità conformemente a
previsioni normative.
Né la scelta del legislatore di accordare, per le ragioni sopra enunciate, un particolare
trattamento temporaneo per l'accesso alla dirigenza dei soggetti in possesso delle
qualifiche ad esaurimento, può comportare una violazione del principio di buon
andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione),
venendosi a riconoscere un profilo attitudinale maggiore derivante dalla esperienza
precedente e dalla qualifica rivestita. Allo stesso modo, non vi può essere violazione degli
artt. 35 e 36 della Costituzione, quando la scelta di determinare i soggetti legittimati a
partecipare a particolari e temporanee procedure selettive per l'accesso a funzioni
superiori tiene conto delle differenze di esperienze professionali e di livelli giuridici e
retributivi (ciò soprattutto nel settore del pubblico impiego), riconducibili a profili
attitudinali in relazione alle esigenze organizzative del datore di lavoro (che, in quanto
pubblica amministrazione, è vincolato da norme).
8.
Corte Costituzionale n. 477/95: Ad avviso del ricorrente, il testo impugnato risulterebbe
lesivo degli artt. 97 e 117 della Costituzione per il fatto di disporre, in contrasto con il
dettato costituzionale e con i principi fondamentali posti dalla legislazione statale in
materia di accesso agli impieghi presso le pubbliche amministrazioni, l'inquadramento
ope legis nel ruolo organico regionale delle due unità di personale già dipendente del
Consorzio Lucano Universitario - disciolto per effetto della medesima legge - in servizio
alla data del 1 gennaio 1994. In particolare, sarebbero violati i principi fissati dall'art. 36 del
d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, in base al quale l'assunzione presso le pubbliche
amministrazioni avviene per concorso pubblico, o mediante avviamento degli iscritti nelle
liste di collocamento, ovvero per chiamata numerica degli iscritti nelle apposite liste di
collocamento formate dagli appartenenti alle categorie protette; principi ribaditi dall'art. 3,
comma 20, della legge 24 dicembre 1993, n. 537. …
Dal contesto di tali disposizioni emergerebbe, ad avviso del ricorrente, una serie di
principi che la legge impugnata non avrebbe rispettato, riservando a personale, avente
rapporto di lavoro privatistico, accesso riservato e privilegiato, e non aperto a tutti, con
procedure semplificate di accesso nei ruoli regionali, senza la previa definizione delle
oggettive e reali esigenze di risorse umane e senza dar corso alle procedure di mobilità.
….deve escludersi che il testo impugnato violi alcun principio fondamentale della
legislazione statale in materia di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni.
Ed infatti, quanto alla regola del pubblico concorso quale forma generale di reclutamento
nel pubblico impiego, la giurisprudenza costituzionale ha già chiarito che a quest'ultima il
legislatore può derogare in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, adottando criteri
diversi, con una discrezionalità che trova pur tuttavia il suo limite nella necessità di
garantire il buon andamento della pubblica amministrazione (v., tra le più recenti, le
sentenze n. 314 e n. 313 del 1994).
In tale prospettiva, lo scrutinio di congruità e ragionevolezza della procedura cui ha fatto
ricorso il legislatore regionale per l'inquadramento nei ruoli organici della Regione
Basilicata delle due unità di personale in questione, non può che avere esito positivo,
avuto riguardo alla circostanza che si tratta non di un inquadramento ope legis ("due unità
... assorbite dalla Regione ed inquadrate come nel testo originario), ma di una previsione
di procedura concorsuale (anche se riservata alle sole due persone dipendenti dell'Ente
disciolto), che prevede, come forma di selezione e verifica dei requisiti attitudinali, oltre
alla valutazione dei titoli, l'espletamento di prove d'esame volte all'accertamento della
idoneità dei candidati ai posti da ricoprire, per i quali rimane ferma l'esigenza del titolo di
studio corrispondente al livello funzionale.
Del pari da escludere è il contrasto della normativa censurata con i principi della
legislazione statale che prevedono procedure di mobilità e subordinano le assunzioni di
personale di ruolo nelle pubbliche amministrazioni alla definizione delle dotazioni
organiche previa verifica dei carichi di lavoro.
Al riguardo, deve essere sottolineato che l'art. 2 prevede non un aumento in assoluto del
personale del settore pubblico allargato o uno sfondamento delle dotazioni organiche, ma
che l'inquadramento avvenga sulla base di concorsi per un numero di posti prefigurati
(due) nei limiti dei posti vacanti nella pianta organica dell'Ente (regione). Ciò posto, è
sufficiente rilevare che la disposizione in questione, tenuto conto di quanto innanzi
osservato circa la provenienza delle due unità che si trasferiscono nei ruoli di altro ente,
attua una forma di mobilità del personale, proprio in conformità a quei principi che il
ricorrente ritiene violati, nel quadro della razionalizzazione e riorganizzazione dei
pubblici apparati.
Infine, la procedura selettiva-concorsuale prevista necessita di un atto di apertura del
procedimento, cioè il bando di concorso, che potrà essere adottato solo dopo la verifica dei
posti vacanti sulla base delle dotazioni organiche definite.
La regola del pubblico concorso può dunque essere derogata per esigenze eccezionali
come salvaguardare il bagaglio di esperienze ed i lavoratori di cui all’art 5, comma 4-bis,
del d.lgs. 368/01 hanno 36 mesi di esperienza. Potrebbe essere ragione anche l’obbligo di
prevedere una misura effettivamente ostativa? La Corte costituzionale non ha mai
analizzato il rapporto tra 97 e 117 della Costituzione, anzi ne ha rifiutato l’analisi in tutte le
sentenze sulle stabilizzazioni regionali.
Corte costituzionale con ordinanza n. 207 del 3-18 luglio 2013, causa C-418/13,
Napolitano. Questi i quesiti posti: 1) se la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro CES, UNICE
e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n.
1999/70/CE 1 , debba essere interpretata nel senso che osti all’applicazione dell'art. 4, commi 1,
ultima proposizione, e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di
personale scolastico) – i quali, dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti
«che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre», dispongono che si
provveda mediante il conferimento di supplenze annuali, «in attesa dell'espletamento delle
procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo» – disposizione la quale
consente che si faccia ricorso a contratti a tempo determinato senza indicare tempi certi per
l'espletamento dei concorsi e in una condizione che non prevede il diritto al risarcimento del danno;
2) se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno
1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del sistema scolastico italiano come sopra
delineato, tali da rendere compatibile con il diritto dell'Unione europea una normativa come quella
italiana che per l'assunzione del personale scolastico a tempo determinato non prevede il diritto al
risarcimento del danno.
La Corte costituzionale ha sollevato, probabilmente spinta dalla presenza delle altre
questioni pregiudiziali (da segnalarsi che le osservazioni della Commissione europea nella
causa C-22/13, che evidenziano forti perplessità nei confronti del sistema interno, sono
state depositate il 22/05/2013 ed iscritte nell’apposito registro il 27/05/2013), questione
interpretativa pregiudiziale alla C.g.u.e.. Dal ragionamento della Corte costituzionale si
evince che la stessa, all’esito del pronunciamento della C.g.u.e. dovrebbe risolversi a
dichiarare la illegittimità costituzionale delle disposizioni ostative al risarcimento del
danno (dalla ordinanza sembrerebbe evincersi un orientamento della Consulta in tal
senso).
Corte costituzionale sentenza n. 277 del 18.11.13 depositata il 22.11.13, successiva alla
pregiudiziale “europea” (in materia di stabilizzazioni). La CGUE aveva già considerato
comunitaria la materia delle stabilizzazioni con l’Ordinanza Vassilakis del 10.6.08, causa
C-364/07 (stabilizzazione in Grecia) ed ancor prima con la Sentenza Adeneler, Sentenza
della Corte, Grande Sezione, 4 luglio 2006, Causa C-212/04. La Corte costituzionale non
esamina ancora una volta in alcun modo il diritto U.E., pur essendo la direttiva
1999/70/Ce puntualmente indicata dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Sentenze rilevati della Corte di giustizia
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sentenza 9 settembre 2003, procedimento C285/01, Isabel Burbaud c/ Ministère de l'Emploi et de la Solidarité.
Il caso: Isabel Burbaud, cittadina portoghese, consegue il diploma post universitario di
amministratore ospedaliero, in Portogallo, ed ivi ha esercitato per oltre 6 anni le mansioni
di amministratore ospedaliero. Ha poi acquisito la cittadinanza francese ed ha chiesto
l'inserimento nel ruolo dei dirigenti pubblici ospedalieri francesi sulla base delle qualifiche
da essa ottenute in Portogallo. Le è stato opposto rifiuto perché l'inserimento in tale ruolo
presupponeva il previo superamento di un concorso di ammissione all'École nationale
de la santé publique (in prosieguo: l'«ENSP»).
Le questioni sottoposte alla attenzione della Corte riguardavano il riconoscimento dei
diplomi ed il concorso pubblico per l’accesso alla Ecole1. Le difese francesi: Tale diploma
non sancirebbe una formazione accademica in quanto gli allievi tirocinanti sono già stati
assunti nel pubblico impiego. … l'ENSP non rilascia alcun «diploma» nel senso di documento
ufficiale. Ciò si verificherebbe solo per un tipo di impiego pubblico ospedaliero, diverso da quello
oggetto della causa principale, e sarebbe giustificato dalla finalità della formazione presso l'ENSP,
ossia la nomina in ruolo dell'agente tirocinante…. lo status di pubblico dipendente, di cui gode
chiunque abbia avuto accesso ad un impiego pubblico, e, in particolare, il preminente interesse del
servizio pubblico… hanno avuto accesso mediante concorso.
L’intervento dell’Italia: ..il sistema… di reclutamento del personale direttivo per il pubblico
impiego ospedaliero…. sembra destinato ad assolvere una duplice funzione. La prima concernerebbe
la formazione degli aspiranti al posto di dirigente ospedaliero, la seconda sarebbe volta a consentire
una selezione di questi ultimi, al fine di inserire nel ruolo un numero limitato di aspiranti. (NDR:
leggi concorso art 97 Cost)….. queste due funzioni sono nettamente separate nel sistema francese
e, mentre la prima appare riconducibile all'ambito di applicazione della direttiva, la seconda esula
del tutto da tale ambito.
La risposta della Corte di Giustizia: (punti 39 e 40)… gli impieghi nella pubblica
amministrazione rientrano in linea di principio nel suo ambito di applicazione, a meno che
non siano sussumibili nell'art. 48, n. 4, del Trattato o siano contemplati da una direttiva specifica
che istituisca fra gli Stati membri il reciproco riconoscimento dei diplomi..… Come riconosciuto dal
1
Specificamente: se l'autorità competente possa subordinare a talune condizioni l'assunzione nel pubblico impiego di dipendenti pubblici
provenienti da un altro Stato membro e possa, in particolare, richiedere il superamento del concorso per l'ammissione alla scuola anche
nell'ipotesi in cui i predetti dipendenti abbiano già superato, nel proprio paese d'origine, un analogo concorso e possano vantare il possesso di un
diploma equivalente».
governo francese (NDR e per l’Italia- causa Affatatao- le conclusioni del Governo italiano
che valore hanno?), l'impiego di dirigente pubblico ospedaliero non rientra nella deroga prevista
all'art. 48, n. 4, del Trattato. Infatti, tale impiego non presuppone una partecipazione diretta
o indiretta all'esercizio dei pubblici poteri né alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela
degli interessi generali dello Stato o degli enti pubblici (v., in particolare, sentenza 2 luglio
1996, causa C-290/94, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-3285, punto 34).
le nozioni giuridiche nazionali di operaio, impiegato privato o dipendente pubblico, o
ancora di rapporto di lavoro di diritto pubblico oppure di diritto privato, variano a
seconda delle normative nazionali e non possono perciò fornire alcun criterio
d'interpretazione valido (punto 43)
Sulla scorta dei punti 44/58 la C.G.U.E. ritiene che, per la formazione, i due diplomi siano
equiparabili e debbano essere parificati, ma residua il problema del pubblico concorso,
ovvero della selezione per l’accesso e, sul punto, le posizioni sono le seguenti (punti
60/84).
Il governo francese afferma che il concorso di ammissione all'ENSP è una forma di assunzione
e che il superamento di tale concorso non attesta assolutamente che l'interessato abbia seguito con
successo un ciclo di studi secondario. Inoltre, il concorso sarebbe concepito per rispettare il principio
di uguaglianza nella selezione dei candidati al medesimo posto. Esso sarebbe considerato il modo
più imparziale e più oggettivo per attuare il principio di uguaglianza nell'accesso al
pubblico impiegol'imposizione di uno stesso concorso a tutti i candidati - a prescindere dalla
loro cittadinanza - i quali aspirano ad un posto nel pubblico impiego di uno Stato membro è
rigorosamente conforme al principio di parità di trattamento….
In risposta ad un quesito
posto dalla Corte, il governo francese ha precisato alle udienze che il concorso di ammissione
all'ENSP costituisce una modalità di assunzione nel pubblico impiego…. detto concorso
costituisce un ostacolo del genere, quest'ultimo sarebbe in ogni caso giustificato da
un'esigenza imperativa d'interesse generale.
Il governo italiano ritiene che questa materia….rientra nella competenza e nell'ambito
discrezionale del singolo Stato membro, il quale deve essere libero di individuare la
procedura più adeguata al proprio sistema e alle proprie esigenze.
Il governo svedese sostiene che non è conforme….
Il governo svedese rileva che, poiché tale
concorso d'ammissione non prende in considerazione l'esperienza professionale, esso sfavorisce i
lavoratori più qualificati in quanto essi non possono ottenere il riconoscimento di tale esperienza….
Il fatto che competenze valutabili oggettivamente e palesemente pertinenti all'impiego in
esame non siano prese in considerazione al momento della selezione dovrebbe in via di
principio essere considerato un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori.
Secondo la Commissione, che l'ostacolo costituito dall'obbligo di superare il concorso di ammissione
possa essere giustificato da un'esigenza imperativa d'interesse generale invocata dal governo
francese, ossia la selezione dei migliori candidati a condizioni il più possibile oggettive, il requisito
di proporzionalità ai sensi della giurisprudenza della Corte non sarebbe rispettato nella
fattispecie. Infatti, l'obbligo….di partecipare ad un concorso che abbia per scopo la disciplina
dell'accesso ad una formazione dalla quale dovrebbe essere del tutto esonerata e che non permetta di
tener conto delle sue qualifiche non sarebbe proporzionato rispetto allo scopo perseguito.
La risposta della Corte (punti 85 e seguenti):
Si tratta dunque parimenti di un modo di selezione e di assunzione…Il concorso di
ammissione all'ENSP riveste così un ruolo essenziale nella procedura di selezione e di
assunzione nel pubblico impiego ospedaliero francese. Tale aspetto, relativo all'assunzione e
alla selezione, del concorso non è secondario rispetto a quello relativo all'accesso alla
formazione…. Orbene, la direttiva non verte sulla scelta delle procedure di selezione e di
assunzione previste per assegnare un posto di lavoro e non può essere invocata per
vantare un diritto di essere effettivamente assunti (NDR diversamente dalla direttiva
1999/70/CE che prevede espressamente la sanzione, pur non indispensabile, della
conversione).
Il riconoscimento dell'equivalenza del diploma della sig.ra Burbaud comporterebbe, come si evince
dalla soluzione data alla prima questione, che essa debba essere esonerata dalla formazione
presso l'ENSP e dall'esame conclusivo di quest'ultima, ma esso non può di per sé
giustificare l'esonero dal superamento del concorso di ammissione all'ENSP, in quanto,
come emerge dai punti 87-89 della presente sentenza, tale esame riveste un ruolo
essenziale nella procedura di selezione e di assunzione nel pubblico impiego ospedaliero.
Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori
qualsiasi provvedimento nazionale, che, anche se applicabile senza discriminazioni in base alla
cittadinanza, può ostacolare o scoraggiare l'esercizio, da parte di un cittadino di uno Stato membro,
di tale libertà fondamentale garantita dal Trattato (v., in tal senso, in particolare, sentenza 31
marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32).
L'obbligo di superare un concorso per accedere ad un posto nel pubblico impiego non può di per sé
costituire un ostacolo ai sensi di tale giurisprudenza.
Tuttavia, le modalità del concorso di ammissione all'ENSP non consentono di tener conto
delle qualifiche specifiche in materia di gestione ospedaliera in quanto, nella logica del
sistema di assunzione francese di cui trattasi nella causa principale, si presuppone
proprio che il candidato non le possegga ancora. Tale concorso è volto infatti a selezionare
candidati che, per definizione, non sono ancora formati per tale gestione.
Orbene, l'imposizione di un concorso del genere a cittadini di Stati membri che siano già qualificati
nel settore della gestione ospedaliera in un altro Stato membro li priva della possibilità di far
valere le loro qualifiche specifiche in tale ambito e costituisce quindi per loro uno
svantaggio tale da dissuaderli ad esercitare il loro diritto alla libera circolazione in
quanto lavoratori e a candidarsi ad un posto in tale settore in Francia.
A tale proposito, in merito alla questione se esista un'esigenza imperativa d'interesse generale atta a
giustificare detto ostacolo, il governo francese ha sostenuto che lo scopo del concorso di ammissione
all'ENSP è di selezionare i migliori candidati a condizioni il più possibile oggettive.
104.
Anche se tale scopo costituisce, di fatto, un'esigenza imperativa d'interesse generale atta a
giustificare l'ostacolo di cui trattasi, è ancora necessario, secondo la giurisprudenza della Corte, in
particolare, che la limitazione della libera circolazione dei lavoratori causata da tale ostacolo non
vada oltre quanto necessario per il raggiungimento dello scopo perseguito (v., in
particolare, sentenza 11 luglio 2002, causa C-294/00, Gräbner, Racc. pag. I-6515, punto 39 e
giurisprudenza ivi citata). (NDR PROPORZIONALITÀ)
105.
Orbene, l'imposizione del superamento del concorso di ammissione all'ENSP, volto a
selezionare candidati non ancora qualificati, a cittadini di Stati membri già qualificati non è un
provvedimento necessario al raggiungimento dello scopo di selezionare i migliori candidati a
condizioni il più possibile oggettive.
106.
Infatti, questi cittadini si dovrebbero in tal modo sottoporre ad un concorso che persegue, in
particolare, lo scopo di dare accesso ad una formazione dalla quale essi dovrebbero invece essere
esonerati sulla base delle qualifiche ottenute in un altro Stato membro. Ne consegue che, alla luce di
quanto sopra, l'obbligo di superare il detto concorso comporta per tali cittadini una
retrocessione che non è necessaria per il raggiungimento dello scopo perseguito.
107.
Peraltro, la normativa francese prevede, entro determinate percentuali massime
degli organici, un regime definito «di accesso esterno», che consente a taluni dipendenti di
essere esonerati dal concorso di ammissione all'ENSP sulla base, in particolare, della loro
esperienza nel pubblico impiego. Tali dipendenti devono svolgere un tirocinio di un anno,
durante il quale sono tenuti a seguire determinati lavori presso l'ENSP. Al termine del tirocinio, se
ritenuti idonei, conseguono la nomina in ruolo. (CFR per l’Italia Medici a Convezione che
passano alle dipendenze).
108.
Certamente tale regime non potrebbe essere applicato senza adattamenti, in particolare per
quanto riguarda l'oggetto del tirocinio, a cittadini comunitari quali la sig.ra Burbaud, in quanto
essi dispongono di qualifiche specifiche in materia di gestione ospedaliera. Tale regime presuppone,
inoltre, che il candidato abbia già superato precedentemente un concorso per accedere al pubblico
impiego francese, il che non si verifica in una situazione come quella oggetto della causa principale.
109.
L'esistenza di un tale regime mostra tuttavia che possono essere previsti metodi di
assunzione, sotto forma di concorsi o sotto altra forma, meno restrittivi del concorso di
ammissione all'ENSP, al fine di consentire segnatamente ai cittadini degli Stati membri, come la
sig.ra Burbaud, di fare valere le proprie qualifiche specifiche.
110.
Si deve, di conseguenza, considerare che l'imposizione del superamento del concorso di
ammissione all'ENSP in una fattispecie come quella di cui trattasi nella causa principale va oltre
quanto necessario al raggiungimento dello scopo di selezionare i migliori candidati a
condizioni il più possibile oggettive e non può quindi essere giustificata alla luce delle
disposizioni del Trattato.
111.
Certamente non spetta alla Corte esprimersi sulle modalità di una procedura
alternativa di assunzione che, in fattispecie come quella della causa principale, siano
proporzionate rispetto allo scopo invocato. Esse dovrebbero tuttavia assicurare in particolare che, a
seguito dell'assunzione, i cittadini di Stati membri qualificati in altri Stati membri siano
correttamente inseriti nell'elenco che determina l'ordine in cui gli interessati possono scegliere il
loro luogo di destinazione e che viene compilato, per gli allievi formati all'ENSP, in funzione dei
loro risultati all'esame conclusivo della formazione.
112.
Alla luce dell'insieme delle considerazioni che precedono si deve risolvere la seconda
questione dichiarando che, qualora un cittadino di uno Stato membro sia in possesso di un diploma,
conseguito in uno Stato membro, equivalente a quello richiesto in un altro Stato membro per
accedere ad un posto nel pubblico impiego ospedaliero, il diritto comunitario osta a che le autorità
dell'ultimo Stato membro subordinino l'assegnazione di tale cittadino al detto posto al superamento
di un concorso come quello di ammissione all'ENSP.
Dunque è opponibile il concorso pubblico, ex art 97, comma 3, della Costituzione, quando
è prevista modalità di accesso non concorsuale?
CGUE Ordinanza del Presidente della Corte del 16 marzo 2010 causa C-3/10, Affatato.
4
Nella decisione di rinvio, il Tribunale di Rossano spiega che, a differenza del decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE
relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE,
dal CEEP e dal CES (GURI n. 235 del 9 ottobre 2001, pag. 4; in prosieguo: il «d.lgs.
n. 368/2001»), il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche
(Supplemento ordinario alla GURI n. 106 del 6 maggio 2001; in prosieguo: il «d.lgs.
n. 165/2001»), e successive modifiche, nel suo art. 36, comma 5, per l’ipotesi di
ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato consecutivi nel settore
pubblico esclude la trasformazione di siffatti contratti in contratti a tempo
indeterminato, e prevede unicamente un diritto al risarcimento del danno sofferto,
sotto forma di versamento di un indennizzo. Inoltre, questo regime non si
applicherebbe né ai «lavoratori socialmente utili», né ai «lavoratori di pubblica
utilità», per i quali il diritto nazionale escluderebbe persino l’esistenza di un rapporto
di lavoro, né ai dipendenti della pubblica istruzione.
5
Questo giudice sottolinea peraltro che l’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368/2001,
che riguarderebbe, in realtà, unicamente la società Poste Italiane SpA, prevede che le
imprese concessionarie di servizi postali possono concludere contratti di lavoro a
tempo determinato per un periodo massimo di sei mesi, tra il mese d’aprile e quello
d’ottobre, o per un periodo di quattro mesi in altri momenti dell’anno, purché non si
superi il 15% dei dipendenti presenti nell’organico dell’impresa al 1° gennaio
dell’anno interessato, senza doverne indicare la causa.
6
Detto giudice rileva parimenti che le procedure di «stabilizzazione» istituite con le
leggi finanziarie 2007 e 2008, ai sensi delle quali alcuni contratti di lavoro a tempo
determinato possono essere trasformati in contratti di lavoro a tempo indeterminato,
non si applicano a determinate categorie di lavoratori.
7
Alla luce di ciò, il giudice del rinvio chiede se le disposizioni dell’ordinamento
nazionale destinate a recepire la direttiva 1999/70 nonché l’accordo quadro e, in
particolare, quelle di cui all’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, e successive
modifiche, possano essere considerate misure generali che garantiscono in modo
efficace la prevenzione e la sanzione nei confronti dell’uso abusivo di contratti di
lavoro a tempo determinato, dal momento che, in particolare, dette disposizioni
introducono disparità di trattamento in base alle categorie di lavoratori interessate.
8
Nutrendo dubbi sulla compatibilità di queste disposizioni dell’ordinamento
nazionale con le clausole 2-5 dell’accordo quadro, nonché con il principio di diritto
dell’Unione della parità di trattamento, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere
il procedimento e di adire la Corte in via pregiudiziale.
5.
C.G.U.E. Ordinanza della Corte (Sesta Sezione), 1° ottobre 2010, causa C-3/10, Affatato.
41
Pertanto la clausola 5 dell’accordo quadro, in quanto tale, non è in alcun modo
atta a pregiudicare le strutture fondamentali, politiche e costituzionali, né le
funzioni essenziali dello Stato membro di cui è causa, ai sensi dell’art. 4, n. 2, TUE.
42
Ciò posto, affinché una normativa nazionale che vieta in via assoluta2, nel settore
pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una
successione di contratti a tempo determinato possa essere considerata conforme
2
Ma abbiamo visto che per la Cassazione (Sent. 22 aprile 2010, n. 9555) tale sanzione non è vietata in maniera assoluta nel settore pubblico. all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato
deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed
eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato
stipulati in successione (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 105; Marrosu e
Sardino, punto 49; Vassallo, punto 34, e Angelidaki e a., punti 161 e 184, nonché
citate ordinanze Vassilakis e a., punto 123; Koukou, punti 67 e 86, e Lagoudakis e a.,
punto 11).
43
Occorre ricordare in proposito che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro
impone agli Stati membri, onde prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante
di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione, qualora il diritto
nazionale non preveda già misure equivalenti (v. sentenze Adeneler e a., cit.,
punti 65, 80, 92 e 101; Marrosu e Sardino, cit., punto 50; Vassallo, cit., punto 35; 15
aprile 2008, causa C-268/06, Impact, Racc. pag. I-2483, punti 69 e 70, e Angelidaki
e a., cit., punti 74 e 151, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punti 80, 103 e 124, e
Koukou, punto 53).
45
Del resto, quando, come nel caso di specie, il diritto dell’Unione non prevede
sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi, spetta alle
autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non soltanto
proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la
piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (citate
sentenze Adeneler e a., punto 94; Marrosu e Sardino, punto 51; Vassallo, punto 36, e
Angelidaki e a., punto 158, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 125, e
Koukou, punto 64).
46
…..le modalità di attuazione ….non devono essere tuttavia meno favorevoli di
quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di
equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile
l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di
effettività) (v., in particolare, citate sentenze Adeneler e a., punto 95; Marrosu e
Sardino, punto 52; Vassallo, punto 37, e Angelidaki e a., punto 159, nonché citate
ordinanze Vassilakis e a., punto 126, e Koukou, punto 65).
47
Ne consegue che, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di
contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che
presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di
sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del
diritto dell’Unione. Infatti, secondo i termini stessi dell’art. 2, primo comma, della
direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni
necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [detta]
direttiva» (citate sentenze Adeneler e a., punto 102; Marrosu e Sardino, punto 53;
Vassallo, punto 38, e Angelidaki e a., punto 160, nonché citate ordinanze Vassilakis
e a., punto 127, e Koukou, punto 66).
48
A tale proposito, nelle sue osservazioni scritte il governo italiano ha sottolineato, in
particolare, che l’art. 5 del d. lgs. n. 368/2001, quale modificato nel 2007, al fine di
evitare il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore
pubblico, ha aggiunto una durata massima oltre la quale il contratto di lavoro è
ritenuto concluso a tempo indeterminato e ha introdotto, a favore del lavoratore che
ha prestato lavoro per un periodo superiore a sei mesi, un diritto di priorità nelle
assunzioni a tempo indeterminato. Inoltre, l’art. 36, quinto comma, del d. lgs.
n. 165/2001, come modificato nel 2008, prevedrebbe, oltre al diritto del lavoratore
interessato al risarcimento del danno subìto a causa della violazione di norme
imperative
e
all’obbligo
del
datore
di
lavoro
responsabile
di
restituire
all’amministrazione le somme versate a tale titolo quando la violazione sia dolosa o
derivi da colpa grave, l’impossibilità del rinnovo dell’incarico dirigenziale del
responsabile, nonché la presa in considerazione di detta violazione in sede di
valutazione del suo operato.
49
Analogamente a quanto già dichiarato dalla Corte nelle citate sentenze Marrosu e
Sardino (punti 55 e 56), nonché Vassallo (punti 40 e 41), nei confronti dei
provvedimenti previsti dal decreto n. 368/2001 nella sua versione originaria (v.,
altresì, ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 128), così come in quelle riguardanti altre
disposizioni nazionali paragonabili (v. sentenza Angelidaki e a., cit., punto 188,
nonché ordinanza Koukou, cit., punto 90), una disciplina nazionale siffatta
potrebbe soddisfare i requisiti ricordati nei punti 45-47 della presente ordinanza.
50
Spetta tuttavia al giudice del rinvio, l’unico competente a pronunciarsi
sull’interpretazione del diritto interno, accertare se le condizioni di applicazione
nonché l’attuazione effettiva delle pertinenti disposizioni di diritto interno
configurino uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo
abusivo da parte della pubblica amministrazione di una successione di contratti o di
rapporti di lavoro a tempo determinato (v. citate sentenze Marrosu e Sardino,
punto 56; Vassallo, punto 41, e Angelidaki e a., punti 164 e 188, nonché citate
ordinanze Vassilakis e a., punto 135; Koukou, punti 69, 77 e 90, e Lagoudakis e a.,
punto 11).
6.
Avvocatura Generale dello Stato3, osservazioni presentate dall’avvocato generale dello
Stato (avv. Stato W. Ferrante - AL 14451/10 – Compatibilità della normativa italiana sui
contratti a tempo determinato nel settore del pubblico impiego) per la Repubblica italiana nella
Causa C-3/10 nella domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di
Rossano (Italia) il 5 gennaio 2010 - Franco Affatato/Azienda Sanitaria Provinciale di
Cosenza, Azienda Sanitaria n. 3 di Rossano
59. D’altro canto, l’evoluzione della normativa non può che rafforzare la bontà delle
conclusioni già raggiunte dalla Corte di giustizia nelle richiamate sentenze Sardino e
Vassallo.
60. Infatti, da un lato, i commi 4-bis, 4-quater 4-quinquies e 4-sexies aggiunti all’art. 5 del
decreto legislativo n. 368 del 2001 dalla legge n. 247 del 2007 hanno fissato ulteriori
paletti per evitare la reiterazione di contratti a termine, stabilendo una durata massima al
di là della quale il contratto si considera a tempo indeterminato e introducendo un
diritto di precedenza di chi abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a
sei mesi nelle assunzioni a tempo indeterminato, dall’altro, l’art. 36, comma 5 del decreto
legislativo n. 165 del 2001, come modificato dal decreto-legge n. 112 del 2008 convertito
dalla legge n. 133 del 2008 ha previsto, oltre al risarcimento del danno derivante dalla
prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative e alla responsabilità per
dolo e colpa grave dei dirigenti nei confronti dei quali l’amministrazione deve recuperare
3
Rassegna Avvocatura dello Stato - n. 2/2010 www.avvocaturastato.it/files/file/Rassegna/2010/rassegna_avvocatura_2010_aprile_giugno.pdf le somme erogate a tale titolo, anche due ulteriori conseguenze a carico dei predetti
dirigenti, consistenti nell’impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale e nella
considerazione della predetta violazione nell’ambito della valutazione dell’operato del
dirigente medesimo. Inoltre, il comma 3 del predetto art. 36 come modificato dall’art. 17,
comma 26 del decreto-legge n. 78 del 2009 convertito dalla legge n. 102 del 2009 prevede
che “al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può
essere erogata la retribuzione di risultato”.
61. Sono stati quindi previsti ulteriori elementi dissuasivi, conformemente a quanto
disposto dalla clausola 5 dell’accordo quadro, che non prevede affatto come obbligatoria
la sanzione della conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato, come
riconosciuto anche dal giudice del rinvio a p. 19 dell’ordinanza, ma solo una preferenza di
tale misura, che ben può quindi essere esclusa per una determinata categoria di lavoratori,
come quelli alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, per i quali vige il principio
del concorso pubblico ai sensi dell’art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
62. La clausola 5 dell’accordo quadro rimette infatti agli Stati, previa consultazione con le
parti sociali, di stabilire a quali condizioni i contratti di lavoro a tempo determinato
devono essere ritenuti contratti a tempo indeterminato, lasciando quindi ai Stati
medesimi la possibilità di prevedere misure alternative alla predetta conversione del
rapporto…..
64. Ne consegue che la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno
Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di
lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati
conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro
rientrante nel settore pubblico (sentenza Sardino, punti 47 e 48).
65. Tuttavia, la Corte di giustizia ha osservato che, affinché una normativa nazionale, come
quella controversa nella causa principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la
trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di
contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro,
l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale
settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo
abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione (sentenza Vassallo, punto
34)
66. A tal riguardo una normativa nazionale quale quella controversa nella causa
principale, che prevede norme imperative relative alla durata e al rinnovo dei contratti a
tempo determinato, nonché il diritto al risarcimento del danno subito dal lavoratore a
causa del ricorso abusivo da parte della pubblica amministrazione a una successione di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, è stata ritenuta dalla Corte di giustizia
prima facie soddisfare detti requisiti (sentenza Vassallo, punto 40).
67. Quanto al quesito n. 15, si ricorda che la Corte di giustizia ha già affermato che spetta
al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché
l’attuazione effettiva dell’art. 36, secondo comma, prima frase, del d. lgs. n. 165/2001 ne
fanno uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo
da parte della pubblica amministrazione di una successione di contratti o di rapporti di
lavoro a tempo determinato (sentenza Sardino, punto 56).
SENTENZA DELLA CORTE, 12 dicembre 2013, C‑361/12, Carratù
29
Occorre inoltre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, nel novero
degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonee a produrre direttamente
compare l’ente il quale, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con atto
della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio di interesse
pubblico e che disponga a questo scopo di poteri più ampi di quelli risultanti dalle norme che si
applicano nei rapporti tra privati (v. sentenza del 12 settembre 2013, Kuso, C‑614/11, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
30
Nella fattispecie in esame, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e dalle osservazioni
presentate alla Corte risulta che, come rilevato dall’avvocato generale nei paragrafi 106 e seguenti
delle sue conclusioni, Poste Italiane è interamente posseduta dallo Stato italiano mediante il suo
azionista unico, il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Inoltre, essa è posta sotto il controllo
dello Stato e della Corte dei Conti, un membro della quale siede nel consiglio di amministrazione.
31
Di conseguenza, si deve rispondere alla settima questione dichiarando che la clausola 4, punto
1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che può essere fatta valere direttamente nei
confronti di un ente pubblico, quale Poste Italiane.
…..
40
In via preliminare, è d’uopo ricordare che, ai sensi della clausola 1, lettera a), dell’accordo
quadro, uno degli obiettivi di quest’ultimo è di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato,
garantendo il rispetto del principio di non discriminazione. Del pari, il preambolo di detto accordo
quadro precisa, al suo terzo comma, che esso «indica la volontà delle parti sociali di stabilire un
quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato,
proteggendoli dalle discriminazioni». Il considerando 14 della direttiva 1999/70 indica a tal fine che
l’obiettivo dell’accordo quadro consiste, in particolare, nel miglioramento della qualità del lavoro a
tempo determinato, fissando requisiti minimi atti a garantire l’applicazione del principio di non
discriminazione (sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, cit., punto 47).
41
L’accordo quadro, segnatamente la sua clausola 4, mira a dare applicazione a tale principio
nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di
tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti
riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso,
C‑307/05, Racc. pag. I‑7109, punto 37).
42
Tuttavia, come risulta dalla formulazione letterale stessa della clausola 4, punto 1,
dell’accordo quadro, la parità di trattamento non si applica fra lavoratori a tempo determinato e
lavoratori a tempo indeterminato non comparabili.
43
Di conseguenza, per valutare se l’indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un
termine ad un contratto di lavoro a tempo determinato e quella versata in caso di illecita
interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato debba essere determinata in modo
identico, occorre innanzitutto verificare se sia possibile ritenere che gli interessati si trovino in
situazioni comparabili (v., per analogia, sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C‑302/11 a
C‑305/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42 nonché giurisprudenza ivi citata).
44
Orbene, si deve constatare che una di queste indennità è corrisposta in una situazione che è
considerevolmente diversa da quella che dà luogo al versamento dell’altra indennità. La prima
indennità, infatti, riguarda lavoratori il cui contratto è stato stipulato in modo irregolare, mentre la
seconda riguarda lavoratori licenziati.
45
Ne consegue che la parità di trattamento fra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a
tempo indeterminato comparabili, quale imposta dalla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, non
trova applicazione in una controversia come quella oggetto del procedimento principale.
46
Ciò nondimeno va precisato che la clausola 8, punto 1, dell’accordo quadro dispone che «[g]li
Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i
lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo».
47
Più specificamente, se la formulazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro
non consente di ritenere che l’indennità che sanziona l’illecita apposizione di un termine
ad un contratto di lavoro e quella corrispondente all’interruzione di un contratto di
lavoro a tempo indeterminato si riferiscano a lavoratori che si trovano in situazioni
comparabili, dal combinato disposto delle summenzionate clausole 4, punto 1, e 8, punto
1, risulta che queste legittimano gli Stati membri che lo desiderino a introdurre
disposizioni più favorevoli ai lavoratori a tempo determinato e, pertanto, ad assimilare,
in un’ipotesi come quella in discussione nel procedimento principale, le conseguenze
economiche della illecita conclusione di un contratto di lavoro a tempo determinato a
quelle che possono derivare dalla illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo
indeterminato.
ORDINANZA DELLA CORTE (Ottava Sezione), del 12 dicembre 2013, C-22/13, Papalia
23
A questo proposito, il sig. Papalia sostiene che l’unica forma di tutela esistente per i lavoratori
del settore pubblico assunti con contratto a durata determinata in Italia sarebbe il risarcimento del
danno sofferto, dato che l’articolo 35, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001 prevederebbe un diritto
alla riqualificazione di un contratto a durata determinata in un contratto a durata indeterminata
solo a beneficio dei lavoratori del settore privato. Ebbene, secondo l’interpretazione elaborata dalla
Corte suprema di cassazione, per un lavoratore del settore pubblico sarebbe impossibile fornire le
prove richieste dal diritto nazionale al fine di ottenere un siffatto risarcimento del danno, poiché gli
si imporrebbe di fornire, segnatamente, la prova della perdita di opportunità di lavoro e quella del
conseguente lucro cessante. Una prova siffatta non sarebbe imposta dalla giurisprudenza della
Corte, la quale preciserebbe soltanto che il danno risarcibile a causa della violazione di una norma
contenuta nella direttiva 1999/70 deve derivare immediatamente e direttamente dalla violazione
delle norme finalizzate alla tutela dei lavoratori precari.
24
Per parte sua, il governo italiano sottolinea, segnatamente, che le misure che il diritto
nazionale deve prevedere per prevenire e punire gli abusi ai sensi della clausola 5 dell’accordo
quadro non dovrebbero presentare difficoltà eccessive di attuazione, ma dovrebbero risarcire
adeguatamente il danno sofferto e avere un effetto dissuasivo, in modo da non essere meno
favorevoli delle sanzioni applicabili a situazioni analoghe di natura interna. Al momento, il giudice
nazionale non avrebbe effettuato nessuna di queste verifiche.
25
Come già sottolineato nel punto 21 della presente ordinanza, l’accordo quadro dev’essere
interpretato nel senso che le misure previste da una normativa nazionale, quale quella in questione
nel procedimento principale, destinata a punire l’uso abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a
tempo determinato, non devono essere meno favorevoli di quelle disciplinanti situazioni analoghe di
natura interna né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti
conferiti dall’ordinamento dell’Unione (v., in tal senso, ordinanza Affatato, cit., punto 63).
26
A questo proposito, dalla decisione di rinvio si evince che la normativa interna in questione
nel procedimento principale, nell’interpretazione datane dalla Corte suprema di cassazione, pare che
imponga che un lavoratore del settore pubblico, quale il sig. Papalia, il quale desideri ottenere il
risarcimento del danno sofferto, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro
pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non goda di nessuna
presunzione d’esistenza di un danno e, di conseguenza, debba dimostrare concretamente il
medesimo. Secondo il giudice del rinvio, una prova siffatta, quanto all’interpretazione seguita
nell’ordinamento nazionale, richiederebbe che il ricorrente sia in condizioni di provare che il
proseguimento del rapporto di lavoro, in base a una successione di contratti a tempo determinato,
l’abbia indotto a dover rinunciare a migliori opportunità di impiego.
27
Il governo italiano, nelle osservazioni scritte da esso presentate alla Corte, nega la
rilevanza di un’interpretazione siffatta. Esso sostiene che nell’ordinamento nazionale il
lavoratore del settore pubblico può provare con presunzioni l’esistenza del danno che egli ritenga di
aver sofferto a causa dell’utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una
successione di contratti di lavoro a tempo determinato e può invocare, in tale cornice, elementi
gravi, precisi e concordanti i quali, benché non possano essere qualificati come prova compiuta,
potrebbero tuttavia fondare il convincimento del giudice riguardo all’esistenza di un danno siffatto.
Il governo italiano sottolinea anche la circostanza che la prova in tal modo richiesta non sarebbe tale
da privare detto lavoratore della possibilità di ottenere il risarcimento del suo danno.
28
Occorre ricordare che la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione
delle competenze tra i giudici comunitari e i giudici nazionali, il contesto in fatto e in diritto nel
quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal giudice del rinvio (v.,
segnatamente, sentenza del 4 dicembre 2008, Jobra, C‑330/07, Racc. pag. I‑9099, punto 17 e
giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, l’esame della presente questione pregiudiziale dev’essere
effettuato alla luce dell’interpretazione del diritto nazionale fornita dal giudice del rinvio (v., per
analogia, sentenze del 9 novembre 2006, Chateignier, C‑346/05, Racc. pag. I‑10951, punto 22;
Angelidaki e a., cit., punto 51, nonché del 29 ottobre 2009, Pontin, C‑63/08, Racc. pag. I‑10467,
punto 38).
29
Per quanto concerne il rispetto del principio di effettività, che è particolarmente evidenziato
dalla questione proposta dal giudice del rinvio, dalla giurisprudenza della Corte si evince che
accertare se una norma nazionale di procedura renda praticamente impossibile o eccessivamente
difficile l’esercizio dei diritti attribuiti ai cittadini dal diritto dell’Unione implica un’analisi, che
tenga conto della collocazione della norma in questione nel complesso della procedura nonché dello
svolgimento e delle particolarità che presenta quest’ultima nei diversi gradi di giudizio nazionali.
Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema
giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto
e il regolare svolgimento del procedimento (v. sentenze del 21 febbraio 2008, Tele2
Telecommunication, C‑426/05, Racc. pag. I‑685, punto 55 e giurisprudenza ivi citata, nonché
Pontin, cit., punto 47).
30
Peraltro, spetta al giudice del rinvio, l’unico competente a pronunciarsi sull’interpretazione
del diritto interno, valutare in che misura le disposizioni di tale diritto miranti a punire il ricorso
abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro
a tempo determinato rispettino i principi di effettività ed equivalenza (v., in tal senso, citata
ordinanza Affatato, punto 60).
31
Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, se necessario, fornire
precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua decisione (v. sentenze Marrosu e
Sardino, cit., punto 54; Vassallo, cit., punto 39, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 143).
32
Nel caso di specie, secondo la decisione di rinvio, la prova richiesta in diritto nazionale
può rivelarsi difficilissima, se non quasi impossibile da produrre da parte di un lavoratore
quale il sig. Papalia. Pertanto, non si può escludere che questa prescrizione sia tale da rendere
praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte di questo lavoratore, dei
diritti attribuitigli dall’ordinamento dell’Unione e, segnatamente, del suo diritto al risarcimento del
danno sofferto, a causa dell’utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una
successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
33
Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche del caso. In tale cornice, è suo compito
anche esaminare in che misura, ammesso che risultino provate, le affermazioni del governo
italiano, richiamate nel punto 27 della presente ordinanza, possano agevolare quest’onere della
prova e, di conseguenza, incidere sull’analisi concernente il rispetto del principio di effettività in
una controversia quale quella di cui al procedimento principale.
34
In considerazione di quanto sin qui esposto, occorre risolvere la questione proposta
dichiarando che l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che esso osta ai
provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del
procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di
lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda
soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che
egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto
lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di
impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente
difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.
35
Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a
sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.
Sentenze rilevati della Corte di cassazione
1.
CASSAZIONE CIVILE, sez. lav., sent. 22 aprile 2010, n. 9555 – Pres. Vidiri – Est. Stile (CFR
contra Sez. L, Sentenza n. 10605 del 03/06/2004)
Lavoro nelle pubbliche amministrazioni – Assunzioni dei portieri dell’Inail – Natura privatistica
con sottrazione alla disciplina generale – Sussistenza – Violazione dell’art. 97 Cost. – Insussistenza
Il rapporto fra l'Inail ed i portieri addetti alla vigilanza e custodia di edifici di proprietà
dell'istituto, pur essendo di pubblico impiego, è disciplinato, nel suo contenuto, da un
contratto collettivo dì natura privatistica che lo sottrae all'operatività della disciplina
pubblicistica, di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 22,
comma 8, del d.lgs. n. 80 del 1998, che esclude, in caso di violazione di disposizioni
imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche
amministrazioni, la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le
medesime, in quanto la natura dell'ente datore di lavoro non può ritenersi circostanza
autonomamente sufficiente per escludere la conversione di contratti a tempo
determinato, con termini nulli, in contratto a tempo indeterminato.
Secondo il convincimento espresso dal Giudice a quo, dalla natura pubblicistica del
rapporto di lavoro discenderebbe sic et simpliciter l'applicazione della disciplina stabilita
dal Testo unico sul pubblico impiego….Le censure sono fondate…. questa Corte si è
trovata in più occasioni ad affrontare la questione concernente la natura - se pubblica o
privata - dei rapporti di lavoro del personale addetto alla vigilanza e custodia degli
stabili di proprietà dell'INAIL, oltre che per questioni attinenti alla giurisdizione (ex
plurimis, Cass. S.U. 28 novembre 1990 n. 114594), anche al fine di accertare il carattere di
stabilità o meno di detti rapporti, e, quindi, del decorso o meno, in costanza dei medesimi,
del termine di prescrizione dei diritti dei lavoratori (ex plurimis, Cass. 3 agosto 1990 n.
77745)….. il rapporto…è disciplinato… è disciplinato, nel suo contenuto, da un contratto
collettivo di natura privatistica che lo sottrae all'operatività della legge sul parastato (n.
70 del 1975)…. Pertanto la natura dell'ente datore di lavoro non può ritenersi circostanza
autonomamente sufficiente per conferire carattere di stabilità al rapporto suddetto e,
conseguentemente, consentire il decorso, in costanza del medesimo, del termine di
prescrizione dei diritti del lavoratore…….. Alla luce di siffatto orientamento, pienamente
condivisibile, il convincimento espresso nella sentenza impugnata risulta erroneo,
4
Sez. U, Sentenza n. 11459 del 28/11/1990: Il rapporto di lavoro degli addetti ai servizi di portineria degli stabili dell'Inail ha natura pubblicistica, e
come tale è devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tenendo conto che la gestione degli immobili è effettuata dall'istituto,
ente pubblico non economico, direttamente con la propria organizzazione, non con autonome strutture di tipo imprenditoriale, sicché detti dipendenti
risultano inseriti nell'organizzazione medesima, e che, inoltre, non può rilevare, per negare l'indicata natura pubblicistica, l'assoggettamento del
rapporto stesso alla disciplina privatistica dei contratti collettivi e la sua esclusione dall'ambito di applicazione della normativa di cui al d.P.R. 26
maggio 1976 n. 411. 5
Sez. L, Sentenza n. 7774 del 03/08/1990: Il rapporto fra l'i.N.A.I.L. ed i portieri addetti alla vigilanza e custodia di edifici di proprietà del primo,
pur essendo di pubblico impiego, è disciplinato, nel suo contenuto, da un contratto collettivo di natura privatistica che lo sottrae all'operatività della
legge sul parastato (n. 70 del 1975), per effetto del successivo d.P.R. n. 411 del 1976, che disciplina il rapporto di lavoro del personale degli enti
pubblici. Pertanto la natura dell'ente datore di lavoro non può ritenersi circostanza autonomamente sufficiente per conferire carattere di stabilità al
rapporto suddetto e, conseguentemente, consentire il decorso, in costanza del medesimo, del termine di prescrizione dei diritti del lavoratore,
rimanendo, invece, come in ogni altro caso, necessario accertare, a tal fine, se, ai sensi della disciplina in concreto applicabile, l'eventuale
licenziamento sia subordinato alla presenza di circostanze obiettive e predeterminate, sindacabili dal giudice, con possibilità, per quest'ultimo, ove
riconosca la illegittimità del recesso, di rimuoverne compiutamente gli effetti. dovendo, al contrario ritenersi che la deroga alla sanzione della conversione del contratto
a termine in rapporto a tempo indeterminato, prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001 citato,
trova applicazione per i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni diversi da
quelli di vigilanza e custodia. Detti rapporti, invero, seppur rientrano nella generale
nozione di pubblico impiego, non possono essere ricondotti agli specifici rapporti di
impiego pubblico di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70 e successive modifiche (cfr. Cass., sez.
un., 23 giugno 1989, n. 3000). La loro instaurazione, peraltro, non avviene mediante
pubblico concorso e neppure tramite particolari procedure selettive, essendo richiesto il
solo requisito della scuola dell'obbligo, (D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, comma 1, lett. b)
come modificato dal D.Lgs n. 80 del 1998, art. 22), oltre, beninteso, gli "eventuali ulteriori
requisiti per specifiche professionalità"; ciò che vale di per sè ad escluderne
l'assoggettamento alla disciplina pubblicistica invocata dal resistente Istituto. Tale
conclusione è del tutto in linea con la sentenza n. 89 del 2003, con la quale si ribadisce che
la Corte Costituzionale ha sottolineato la ratio della inoperatività della conversione in
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, costituita esclusivamente dalla salvaguardia
del principio del concorso nell'accesso al pubblico impiego6
2.
Sez. L, Sentenza n. 11132 del 07/05/2010
In tema di reclutamento del personale docente della scuola materna, elementare e
secondaria, l'art. 399 del d.lgs. n. 297 del 1994, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 124
del 1999, nel prevedere che l'accesso dei docenti nei ruoli della scuola avviene attribuendo
6
Contra Cass. Civ. Sez. L, Sentenza n. 5517 del 18/03/2004, ma si tratta di fattispecie inerente gli anni 1990/91: in materia di imprese esercitate da
enti pubblici (ai sensi dell'art. 2093 c.c.) - le disposizioni comuni in tema di lavoro a termine (art. 2097 c.c. e legge 18 aprile 1962, n. 230, che lo ha
sostituito fino all'abrogazione operata dall'art. 11 d. lgs. 6 settembre 2001, n. 368). La disposizione citata (art. 2093 c.c., appunto), infatti, dichiara
applicabile l'intero libro dello stesso codice civile agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali (primo comma) - che corrispondono,
nell'ordinamento vigente, agli enti pubblici imprenditori, che svolgono, cioè, esclusivamente o prevalentemente attività economica (art. 409, n. 4.
c.p.c.) - nonché agli altri enti pubblici "limitatamente alle imprese da esse esercitate" (secondo comma). Le organizzazioni imprenditoriali, infatti,
esulano dall'ambito delle pubbliche amministrazioni - ancorché titolare dell'organizzazione sia un ente pubblico non S economico - con la
conseguente inapplicabilità della regola del concorso posta e dall'art. 97 Cost. (cfr. Cass. 5210/1998).In particolare, il fenomeno prefigurato (dal
secondo comma dell'art. 2093) è quello che il diritto positivo designa con il termine "azienda autonoma…. Il criterio utilizzato dalla giurisprudenza
consiste nel distinguere l'attività imprenditoriale svolta "in economia"…. dall'attività che sia svolta, invece, mediante un'organizzazione - separata da
quella pubblicistica dell'ente, dotata di autonomia gestionale, finanziaria, contabile e patrimoniale - essendo il fenomeno giuridico assimilabile….a
quello dell'azienda autonoma… Si deve, quindi, passare a verificare se - anche per i rapporti di lavoro di natura privata alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche, con inserimento nell'organizzazione pubblicistica - trovi applicazione il precetto costituzionale (art. 97 Cost., comma
terzo, cost.) - che prescrive l'accesso agli impieghi mediante pubblico concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge - precetto non compatibile, in linea di
massima, con la sanzione della conversione automatica del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (nelle ipotesi
previste dalla l. 18 aprile 1962, n. 230, astrattamente applicabile - ratione temporis - alla dedotta fattispecie). La risposta di segno positivo discende
dalla forza della considerazione.…che l'art. 97 Cost. non impone che il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni sia prestato in regime
di diritto pubblico …non può ammettersi che sia posto fuori gioco dalla soggezione a disciplina di diritto privato (cfr. Cass., sez. un., 11626/2002;
186/2001)… giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 59 del 1997)….. "nessun rilievo può assumere ne' la natura (di diritto pubblico o privato:
distinzione, del resto, oggi recessiva di fronte alla disciplina in parte assimilatrice, contenuta nella legislazione più recente) ne' stabilità di tale
rapporto d'impiego (a tempo determinato, indeterminato o di ruolo) tra l'amministrazione e suoi dipendenti. L'applicabilità di tali principi - pena
l'elusione della norma della Costituzione - dipende infatti dalla natura pubblica del soggetto cui il rapporto di impiego fa capo e non dalle
caratteristiche dello strumento giuridico utilizzato per allacciarlo".
metà dei posti disponibili ai vincitori di appositi concorsi per titoli ed esami, mentre la
restante metà viene coperta attingendo alle graduatorie permanenti, formate con
l'inserimento dei docenti che abbiano superato un precedente concorso per titoli ed esami,
conseguendo l'abilitazione all'insegnamento, ma non siano risultati vincitori del posto, si
riferisce esclusivamente ai "posti annualmente assegnabili" e non alla totalità dei posti
vacanti, dovendosi ritenere che detta interpretazione sia l'unica compatibile con il
principio costituzionale del buon andamento dell'Amministrazione di cui all'art. 97 Cost.,
attesa la necessità per l'amministrazione competente di effettuare una scelta discrezionale
in ordine ai posti da coprire in relazione alla concreta situazione esistente al momento
dell'immissione in ruolo. Ne consegue che, ai fini dell'assegnazione del posto in base alla
graduatoria vigente, non è sufficiente che lo stesso sia vacante, ma è altresì necessaria
l'emanazione, da parte dell'Amministrazione scolastica, di un provvedimento che ne
decida la copertura.
3.
Sez. L, Sentenza n. 14350 del 15/06/2010: In materia di pubblico impiego, un rapporto di
lavoro a tempo determinato non è suscettibile di conversione in uno a tempo
indeterminato, stante il divieto posto dall'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, il cui disposto è
stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale (Sent. n. 98 del 2003) e non è stato
modificato dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, contenente la regolamentazione dell'intera
disciplina del lavoro a tempo determinato. Ne consegue che, in caso di violazione di
norme poste a tutela del diritti del lavoratore, in capo a quest'ultimo, essendogli precluso
il diritto alla trasformazione del rapporto, residua soltanto la possibilità di ottenere il
risarcimento dei danni subiti7.
4.
Sez. L, Sentenza n. 11161 del 07/05/2008: L'art. 36, comma 8, del d.lgs. n. 29 del 1993 (ora
trasfuso nell'art. 36, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001), secondo il quale la violazione di
disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle
7
Si trattava di un caso di un lavoratore assunto tramite 2 pubblici concorsi e che aveva stipulato, in forza di quelli, due contratti a tempo determinato,
il secondo nel corso della esecuzione del primo (quasi due anni complessivi). Il richiamo alla giurisprudenza della Corta Costituzionale sul pubblico
concorso pare in conferente, visto che l’istante era stato assunto tramite pubblico concorso. Unica norma realmente ostativa pare, a chi scrive, l’art 36
del DLgs 368/01, in uno con gli artt. 3 e 51 della Costituzione, mentre invocabile a favore appaiono gli artt. 97 e 117 della Costituzione. pubbliche amministrazioni (nella specie, una azienda AUSL) non può comportare la
costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si riferisce a tutte le assunzioni
avvenute al di fuori di una procedura concorsuale, operando anche nei confronti dei
soggetti che siano risultati solamente idonei in una procedura selettiva ed abbiano,
successivamente, stipulato con la P.A. un contratto di lavoro a tempo determinato fuori
dei casi consentiti dalla contrattazione collettiva, dovendosi ritenere che l'osservanza del
principio sancito dall'art. 97 Cost. sia garantito solo dalla circostanza che l'aspirante abbia
vinto il concorso. Né tale disciplina viola - come affermato dalla sentenza n. 89 del 2003
della Corte costituzionale - alcun precetto costituzionale in quanto il principio dell'accesso
mediante concorso rende palese la non omogeneità del rapporto di impiego alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto di lavoro alle dipendenze
di datori privati e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare, alla violazione delle
norma imperative, conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali (in luogo della conversione
del rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati); né contrasta, infine,
con il canone di ragionevolezza, avendo la stessa norma costituzionale individuato nel
concorso, quale strumento di selezione del personale, lo strumento più idoneo a garantire,
in linea di principio, l'imparzialità e l'efficienza della pubblica amministrazione.
5.
Sez. L, Sentenza n. 18276 del 22/08/2006: In tema di assunzioni temporanee alle
dipendenze
di
pubbliche
amministrazioni
con
inserimento
nell'organizzazione
pubblicistica, anche per i rapporti di lavoro di diritto privato da esse instaurati trovano
applicazione le discipline specifiche che escludono la costituzione di rapporti di lavoro a
tempo indeterminato, (come è stato di recente ribadito in sede di disciplina generale
dall'art. 36 del d.lgs n. 165 del 2001), senza che trovi applicazione la legge n. 230 del 1962,
atteso che l'art. 97 della Costituzione, che pone la regola dell'accesso al lavoro nelle
pubbliche amministrazioni mediante concorso, ha riguardo non già alla natura giuridica
del rapporto ma a quella dei soggetti, salvo che una fonte normativa non disponga
diversamente in casi eccezionali, con il limite della non manifesta irragionevolezza della
discrezionalità del legislatore. (Nella specie la S.C. ha affermato che alla regola generale,
così individuata, non derogano le previsioni dell'art. 5 della legge reg. della Puglia n. 15
del 1994, non applicabili a fattispecie - quale quella dedotta in giudizio, relativa a rapporti
a termine del 1990-1991 - esauritesi prima dell'entrata in vigore della legge, a prescindere
dalla questione se disciplinino, (comunque non retroattivamente), rapporti a termine
stipulati con la Regione).
6.
Sez. L, Sentenza n. 10605 del 03/06/2004: In relazione alle assunzioni di personale a tempo
determinato
da
parte
delle
Istituzioni
di
pubblica
assistenza
e
beneficenza
(IPAB)ricomprese nella regione Trentino Alto Adige, il richiamo alle leggi sul rapporto di
lavoro subordinato nell'impresa contenuto nell'art. 18, comma sesto, della legge regionale
23 ottobre 1998 n. 10 (disposizione applicabile anche nei confronti delle predette IPAB, in
base a quanto disposto dal successivo art. 19 della stessa legge), pur ricomprendendo
anche la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato contenuta nella legge n.
230 del 1962, non rende di per sè applicabili le disposizioni di tale legge che consentono la
costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato quale sanzione dei rapporti a
termine irregolari, atteso che la richiamata norma regionale - pur non riproducendo
espressamente la disposizione limitativa contenuta nell'art. 36, comma settimo, del decreto
legislativo n. 29 del 1993 (applicabile alle regioni a statuto ordinario) - fa tuttavia
riferimento agli "interessi generali cui l'organizzazione e l'azione amministrativa sono
indirizzate" e consente, perciò, di individuare nelle norme statuali in materia di accesso al
lavoro, considerate quale parte di un sistema normativo cui appartengono anche quelle
relative alla definizione dei ruoli e delle dotazioni organiche (art. 2 legge n. 421 del 1992,
art. 11 legge n. 59 del 1997), la fonte di un limite alla operatività integrale alla disciplina
del contratto a termine, in coerenza con il principio costituzionale - al quale la competenza
legislativa esclusiva della regione Trentino Alto Adige deve armonizzarsi ex art. 4 dello
Statuto - secondo cui l'accesso al pubblico impiego deve avvenire di regola mediante
pubblico concorso.
Sez. U, Ordinanza n. 3032 del 08/02/2011
In materia di graduatorie ad esaurimento del personale docente della scuola di cui all'art.
1, comma 605, lett. c), della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), le controversie
promosse per l'accertamento del diritto dei docenti - che, già iscritti in determinate
graduatorie ad esaurimento, si siano avvalsi della facoltà di essere inseriti in altre
analoghe graduatorie provinciali - a non essere collocati in coda rispetto ai docenti già
inclusi in queste ultime graduatorie (diritto nella specie negato dall'amministrazione in
applicazione del divieto previsto dal d.m. 8 aprile 2009, n. 42), appartengono alla
giurisdizione ordinaria, venendo in questione atti che rientrano tra le determinazioni
assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (art. 5, comma secondo, del
d.lgs. n. 165 del 2001), a fronte dei quali sono configurabili solo diritti soggettivi, ed
avendo la pretesa ad oggetto la conformità a legge degli atti di gestione della graduatoria
utile per l'eventuale assunzione.
Sez. U, Ordinanza n. 22805 del 10/11/2010 (Rv. 614947)
In tema di pubblico impiego contrattualizzato, la controversia promossa per
l'accertamento del diritto di modificare le graduatorie ad esaurimento del personale
docente della scuola di cui all'art. 1, comma 605, lett. e), della legge 27 dicembre 2006, n.
296 (legge finanziaria 2007) mediante l'attribuzione dei punteggi aggiuntivi maturati e già
riconosciuti
in
altre
analoghe
graduatorie
-
diritto
nella
specie
negato
dall'amministrazione, in applicazione del divieto previsto dal d.m. 8 aprile 2009, n. 42 appartengono alla giurisdizione ordinaria, venendo in questione atti che rientrano tra le
determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (art. 5,
comma secondo, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), a fronte dei quali sono configurabili solo
diritti soggettivi, avendo la pretesa ad oggetto la conformità a legge degli atti di gestione
della graduatoria utile per l'eventuale assunzione.
Sez. U, Sentenza n. 6177 del 07/03/2008 (Rv. 602297)
Con riferimento alla legislazione anteriore alla cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego,la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si estende anche alle controversie aventi
contenuto meramente patrimoniale ogni qual volta la pretesa dedotta in giudizio trovi titolo
immediato e diretto nel rapporto di lavoro, nel senso che questo, considerato nella sua costituzione,
nel suo svolgimento o nella sua estinzione, funzioni da momento genetico dei diritti azionati in
giudizio. Ne consegue che spetta al giudice amministrativo conoscere la controversia promossa da
taluni docenti non di ruolo per ottenere la condanna del Ministero dell'istruzione, dell'università e
della ricerca al risarcimento del danno per la mancata indizione dei corsi di abilitazione
all'insegnamento nella scuola materna e nella scuola secondaria di primo e di secondo grado
(previsti dall'art. 1, comma 27, della legge n. 549 del 1995), giacché il pregiudizio derivante dalla
mancata indizione di tali corsi si connette indefettibilmente alla esistenza dell'anzidetto rapporto di
impiego non di ruolo nel periodo precedente al 30 giugno 1998.
Ciò fa la Corte unicamente in ragione del discrimen temporale.
Da tutte le sentenze delle SSUU richiamate emerge che non si può richiamare il pubblico
concorso tutte le volte che la procedura selettiva è non concorsuale. In caso contrario la
giurisdizione sarebbe, in ragioen del riparto sostanziale di giurisdizione, solo confermato
dal riparto di cui al DLgs 165/01, del GA: se essa è del GO non vi è evidentemente
comparazione e non si può richiamare l’art 97, comma 3, della Costituzione
Cassazione, orientamenti più recenti ed ondivaghi
Sez. L, Sentenza n. 392 del 13/01/2012 (Rv. 620269)
Presidente: Vidiri G. Estensore: Vidiri G. Relatore: Melidaò
In tema di contratto a tempo determinato nel pubblico impiego privatizzato, la disciplina
di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, pur escludendo, in caso di violazione di norme
imperative in materia, la convenzione in contratto a tempo indeterminato, introduce un
proprio e specifico regime sanzionatorio con una accentuata responsabilizzazione del
dirigente pubblico e il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni subiti dal
lavoratore e, pertanto è speciale ed alternativa rispetto alla disciplina di cui all'art. 5 del
d.lgs. n. 368 del 2001, ma pur sempre adeguata alla direttiva 1999/70/CE, in quanto
idonea a prevenire e sanzionare l'utilizzo abusivo dei contratti a termine da parte della
pubblica amministrazione.
Peccato la fattispecie concreta riguardasse altro (unico contratto di 3 mesi, prorogato di 3,
del 2004, centralinista). Stranamente la massima ufficiale del CED riporta quale relatore
l’estensore, mentre l’estensore è diverso.
Sez. L, Sentenza n. 10127 del 20/06/2012 (Rv. 622748)
La disciplina del reclutamento del personale a termine del settore scolastico, contenuta nel
d.lgs. n. 297 del 1994, non è stata abrogata dal d.lgs. n. 368 del 2001, essendone disposta la
salvezza dall'art. 70, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, che le attribuisce un connotato di
specialità, ribadito dall'art. 9, comma 18, del d.l. n. 70 del 2011, conv. in legge n. 106 del
2011, tramite la conferma dell'esclusione della conversione in contratto a tempo
indeterminato dei contratti a termine stipulati per il conferimento delle supplenze. Lo
speciale "corpus" normativo delle supplenze, integrato nel sistema di accesso ai ruoli ex
art. 399 del d.lgs. n. 297 del 1994, modificato dall'art. 1 della legge n. 124 del 1999,
consentendo la stipula dei contratti a termine solo per esigenze oggettive dell'attività
scolastica, cui non fa riscontro alcun potere discrezionale dell'amministrazione, costituisce
"norma equivalente" alle misure di cui alla direttiva 1999/70/CE e, quindi, non si pone in
contrasto con la direttiva stessa, come interpretata dalla giurisprudenza comunitaria. Ne
consegue che la reiterazione dei contratti a termine non conferisce al docente il diritto alla
conversione in contratto a tempo indeterminato, né il diritto al risarcimento del danno, ove
non risulti perpetrato, ai suoi danni, uno specifico abuso del diritto nell'assegnazione degli
incarichi di supplenza.
Contra le SSUU citate e la semplice lettura del testo dell’art 70
Sez. L, Sentenza n. 18618 del 05/08/2013 (Rv. 628379)
Nell'ipotesi in cui un Comune indica una prova pubblica selettiva per l'assunzione
straordinaria a tempo determinato per due mesi di un numero limitato di dipendenti, alla
scadenza del termine fissato ai contratti di lavoro stipulati con i primi della graduatoria,
questi ultimi non hanno diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro, pur nella
permanenza della situazione che aveva reso necessarie le originarie assunzioni, ben
potendo l'ente procedere alla stipula di nuovi contratti a tempo determinato, per i
medesimi posti, ma con coloro che seguono in graduatoria i primi assunti, anche allo
scopo di evitare l'esposizione alle sanzioni previste dall'art. 36 del d. lgs. 30 marzo 2001, n.
165.
Peculiare dunque il ragionamento (al Comune non era consentito stipulare più contratti a
termine in sequenza con il medesimo lavoratore, pena l'esposizione alle sanzioni previste
dall'art. 36 del decreto legislativo 165 del 2001) che finisce con il legittimare una prassi che
raggira gli obblighi di cui alla direttiva 1999/70/Ce e contraria ai principi espressi da
ultimo dalla Corte di giustizia nella sentenza 26 gennaio 2012, C-586/10, Bianca Kücük
contro Land Nordrhein-Westfalen, punto 40 e già prima nella sentenza Angelidaki. Oggi
in ogni caso tale scelta non è più possibile, sulla scorta del testo dell’art 36, comma 2, del
d.lgs. 165/01 nel testo conseguente alle modifiche di cui al DL 101/13, come convertito con
L. 125/13.
Favorevoli al risarcimento
Cass. Sez. L, Sentenza n. 4417del 2012, non massimata.
La fattispecie: i lavoratori erano stati assunti, quali assistenti bagnini, da un Comune con
contratto a tempo determinato per il periodo dal 4 luglio 2005 al 19 agosto 2005 ed, alla
scadenza, riassunti, sempre con contratto a tempo determinato della durata di 16 giorni e
per l'espletamento delle stesse mansioni. La Corte invoca il principio del pubblico
concorso (per il bagnino). La condanna era nella misura di tredici mensilità della
retribuzione netta e la Corte di cassazione rigettava il ricorso.
Sez. L, Sentenza n. 19371 del 21/08/2013 (Rv. 628401)
In materia di pubblico impiego, un rapporto di lavoro a tempo determinato non è
suscettibile di conversione in uno a tempo indeterminato, stante il divieto posto dall'art. 36
del d.lgs. n. 165 del 2001, il cui disposto è stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale
(sent. n. 98 del 2003) e non è stato modificato dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, contenente
la regolamentazione dell'intera disciplina del lavoro a tempo determinato. Ne consegue
che, in caso di violazione di norme poste a tutela del diritti del lavoratore, precluso il
diritto alla trasformazione del rapporto, residua a favore del lavoratore soltanto la
possibilità di ottenere il risarcimento dei danni subiti, per la cui determinazione trova
applicazione, d'ufficio ed anche nel giudizio di legittimità, l'art. 32, commi 5 e 7 della legge
4 ottobre 2010, n. 183, a prescindere dall'intervenuta costituzione in mora del datore di
lavoro e dalla prova concreta di un danno, trattandosi di indennità forfetizzata e
onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine.
La fattispecie riguardava plurimi contratti a termine stipulati fra le parti tra il 1997 e il
2002, prima dunque della entrata in vigore dell’art 5, comma 4-bis, del d.lgs. 368/01.
Sez. L. 26951/13 del 2.12.13 non massimata.
La Corte d'Appello di Perugia, con sentenza del 14 gennaio – 26 febbraio 2009, in riforma
della pronuncia di rigetto di primo grado, ha dichiarato l'illegittimità dei contratti a tempo
determinato stipulati da Petrini Morena con l'Azienda Sanitaria Regione Umbria USL n. 4,
condannando quest'ultima, a titolo risarcitorio, al pagamento a favore della predetta
dipendente di dieci mensilità di retribuzione, con gli accessori di legge. La successione
quattro contratti a termine, a decorrere dal 1° settembre 1999 e sino al 3 novembre 2000,
aveva violato la legge 230/62, art. 2, comma 2, applicabile ratione temporis. La fattispecie
quindi si colloca ante scadenza dei termini di attuazione della direttiva 1999/70/Ce. Per la
Corte di Appello la dipendente aveva viceversa diritto al risarcimento del danno, che poteva
ragionevolmente identificarsi nel tempo verosimilmente necessario per trovare un nuovo lavoro,
pari a dieci mensilità (orientamento condiviso ratione temporis da chi scrive; Tribunale di
Rossano, Sciarrotta Elisa+altri c. ASL n. 3).
La Corte prosegue: Premesso che la censura non investe la quantificazione dei danni operata dalla
sentenza impugnata ma contesta unicamente la sussistenza del diritto al risarcimento del danno,
deve osservarsi che l'art. 2126 cod. civ. ha la funzione di assicurare la retribuzione al lavoratore
anche in caso di conclusione di un contratto invalido. Gli effetti peraltro, sono limitati alla
prestazione già eseguita e non anche al periodo successivo alla dichiarazione di nullità o alla
pronuncia di annullamento.
La affermazione aiuta a comprendere la fallacia delle sentenze di merito che risarciscono il
danno eguagliando le retribuzioni tra personale di ruolo e non di ruolo: si tratta di aspetti
radicalmente diversi, l’uno involgendo la Clausola 4 della direttiva 70 (che non
presuppone peraltro contratti illegittimi), l’altro la clausola 5. L’orientamento è dunque
erroneo anche sulla scorta del diritto interno, ove si segua l’impostazione di questa
pronuncia.
La Cassazione conclude: In sostanza la Corte di merito ha correttamente applicato il principio
secondo cui il lavoratore che sia stato assunto illegittimamente, ha diritto ad essere risarcito per
effetto della violazione delle norme imperative in materia.
Invero l’orientamento merita di essere condiviso, ad avviso di chi scrive, sulla scorta di
diversa
argomentazione.
<<La
C.g.u.e.
ha
ampliato
l’ambito
di
applicazione
dell’Ordinamento U.E., estendendolo a tutte le disposizioni interne che, pur non
coinvolgenti nello specifico caso situazioni da esso disciplinate, comportino in altri casi
effetti nell’ambito di applicazione dell’Ordinamento europeo. Con la sentenza 7 novembre
2013 (C-522/12, Tevfik Isbir,punti 25, 28 e 29) la Corte ha statuito che, ove una
controversia ricada in una situazione puramente interna, in ogni caso, se hanno effetto sul
diritto dell’Unione, per evitare future divergenze d’interpretazione, esse devono ricevere
un’interpretazione uniforme e conforme alle disposizioni dell’Ordinamento U.e. rese
applicabili per scelta meramente di diritto interno (v., in tal senso, sentenza del 17 luglio
1997, Leur-Bloem, C‑28/95, punti 26 e 27). Dunque, quando una normativa nazionale si
conforma, per la disciplina di situazioni puramente interne, a quelle adottate nel diritto
dell’Unione, esiste un interesse certo dell’Unione europea a che, per evitare future
divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto dell’Unione
ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno
applicate (v., in tal senso, sentenza 20 maggio 2010, Modehuis A. Zwijnenburg, C‑352/08,
punto 33).
Ancor più chiaramente si è espressa la C.g.u.e. con la sentenza 7 novembre 2013, C-313/12,
Romeo [Secondo una giurisprudenza costante, la Corte è competente a statuire sulle domande di
pronuncia pregiudiziale vertenti su disposizioni di diritto dell’Unione in situazioni in cui i fatti del
procedimento principale si collochino sì al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto
dell’Unione, ma in cui il diritto nazionale rinvii al contenuto di tali disposizioni del diritto
dell’Unione per determinare le norme da applicare ad una situazione puramente interna allo Stato
membro interessato (v., in particolare, sentenze del 16 marzo 2006, Poseidon Chartering, C‑3/04,
Racc. pag. I‑2505, punto 15; dell’11 dicembre 2007, ETI e a., C‑280/06, Racc. pag. I‑10893, punti
22 e 26; del 2 marzo 2010, Salahadin Abdulla e a., C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08, Racc.
pag. I‑1493, punto 48; Cicala, cit., punto 17, nonché del 18 ottobre 2012, Nolan, C‑583/10, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 45). Infatti, sussiste un sicuro interesse dell’Unione a che,
per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto
dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme quando una normativa nazionale si conforma,
per le soluzioni che apporta a situazioni estranee all’ambito di applicazione dell’atto dell’Unione
considerato, a quelle adottate da quest’ultimo atto, al fine di assicurare un trattamento identico alle
situazioni interne e alle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, a prescindere dalle condizioni
in presenza delle quali si chiede l’applicazione delle disposizioni o delle nozioni riprese dal diritto
dell’Unione (v., in tal senso, sentenze Salahadin Abdulla e a., cit., punto 48; del 12 luglio 2012, SC
Volksbank România, C‑602/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 87 e 88; Nolan, cit.,
punto 46 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a.,
C‑32/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 20 e 21). Ciò si verifica quando le disposizioni
del diritto dell’Unione in questione sono state rese applicabili dal diritto nazionale a siffatte
situazioni in modo diretto e incondizionato (v., in tal senso, citate sentenze Cicala, punto 19, e
Nolan, punto 47)].
Per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal
diritto dell’Unione devono ricevere un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle
condizioni in cui verranno applicate.>> Posto che la situazione era, ratione temporis,
totalmente interna, la interpretazione dell’art 36, comma 5, coinvolge situazioni allora
interne che hanno effetto diretto su situazioni di diritto eurounitario.
Sulla disomogeneità dei regimi pubblico con contratto pubblico e pubblico con
contratto privato
Sez. L, Sentenza n. 23702 del 18/10/2013 (Rv. 628519)
In tema di contratto a tempo determinato, la disciplina di cui all'art. 5, quindicesimo e
diciasettesimo comma, del d.l. 10 novembre 1978, n. 702, convertito, con modificazioni,
nella legge 8 gennaio 1979, n. 3 - che esclude che le assunzioni temporanee effettuate dagli
enti pubblici locali, e, fra essi, le aziende, siano soggette alle disciplina di cui alla legge 18
aprile 1962, n. 230 - non si applica ove l'organizzazione del servizio pubblico sia avvenuta
nelle forme privatistiche (nella specie, l'azienda farmaceutica comunale aveva assunto la
forma della società per azioni), dovendosi ritenere che l'impegno di capitale pubblico
sottometta le assunzioni ai principi di imparzialità e di economicità di cui agli artt. 3 e 97
Cost. ma non comporti la necessaria esenzione dalle garanzie legislative poste a presidio
dei lavoratori da situazioni precarie, che si pongono in contrasto con la tutela della libertà
e dignità di cui all'art. 36, primo comma, Cost. e sono contrastate dalla normativa e dai
principi dell'ordinamento dell'Unione europea (direttiva 1999/70/CE).
SUGLI SCATTI
Sez. L, Sentenza n. 8060 del 08/04/2011 (Rv. 616751)
In tema di reclutamento del personale docente della scuola materna, elementare e
secondaria, l'art. 53 della legge n. 312 del 1980, nel riconoscere ai docenti non di ruolo
l'aumento periodico biennale della retribuzione, ha espressamente escluso dai benefici la
categoria del personale supplente, il cui rapporto di servizio trova fondamento in incarichi
attribuiti di volta in volta e si interrompe nell'intervallo tra un incarico e l'altro. Ai docenti
di educazione musicale non di ruolo con incarico annuale per l'anno scolastico 1980/1981
spettano invece i suddetti aumenti biennali atteso che l'art. 44 della legge n. 270 del 1982,
nel prevedere l'ammissione degli stessi ad una sessione riservata di esami di abilitazione
con mantenimento in servizio fino alla successiva definitiva immissione in ruolo, ha
determinato una novazione del rapporto di lavoro in rapporto non di ruolo a tempo
indeterminato.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sent. 13.9.07, causa C- 307/05, Del Cerro Alonso
punto 48: la nozione di «condizioni di impiego» di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro
dev’essere interpretata nel senso che essa può servire da fondamento ad una pretesa come quella in
esame nella causa principale, che mira ad attribuire ad un lavoratore a tempo determinato scatti di
anzianità che l’ordinamento interno riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato.
La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa osta
all’introduzione di una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a
tempo indeterminato, giustificata dalla mera circostanza che essa sia prevista da una disposizione
legislativa o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i
rappresentanti sindacali del personale e il datore di lavoro interessato (punto 59).
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sent. 13.9.07, causa C- 307/05, Impact punti da 60
a 68: Tale disposizione esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di
trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato per
quanto riguarda le condizioni di impiego. Come ha sostenuto l’Impact, il suo contenuto appare
quindi sufficientemente preciso affinché possa essere invocato da un singolo ed applicato dal giudice
(v., per analogia, citata sentenza Marshall, punto 52).…il divieto preciso stabilito dalla clausola 4,
punto 1….. implica, rispetto al principio di non discriminazione da essa enunciato, una riserva
relativa alle giustificazioni fondate su ragioni oggettive. Tuttavia, come sottolineato dallo stesso
giudice nazionale, l’applicazione di tale riserva può essere soggetta ad un sindacato giurisdizionale
(v., per un esempio di un sindacato siffatto relativo alla nozione di ragioni oggettive nel contesto
della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, sentenza 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler
e a., Racc. pag. I-6057, punti 58-75), talché la possibilità di avvalersene non impedisce di
considerare che la disposizione esaminata attribuisce ai singoli diritti che possono far valere in
giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare (v., per analogia, sentenze van Duyn, cit.,
punto 7; 10 novembre 1992, causa C-156/91, Hansa Fleisch Ernst Mundt, Racc. pag. I-5567,
punto 15; 9 settembre 1999, causa C-374/97, Feyrer, Racc. pag. I-5153, punto 24, nonché 17
settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast e R, Racc. pag. I-7091, punti 85 e 86) (… la
clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro appare, sotto il profilo del suo contenuto,
incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi
ad un giudice nazionale.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sent. 22 dicembre 2010, procedimenti riuniti
C-444/09 e C-456/09, Gavieiro Gavieiro punti da 54 a 68: In merito alla questione se
il carattere temporaneo del servizio prestato da taluni dipendenti pubblici possa
costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi della clausola 4 dell’accordo
quadro, si deve rammentare che la Corte ha già dichiarato che la nozione di «ragione
oggettiva» di cui al punto 1 di tale clausola dev’essere intesa nel senso che essa non
autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo
determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia
prevista da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto
collettivo (sentenza Del Cerro Alonso, cit., punto 57).
55
Tale nozione richiede che la disparità di trattamento in causa sia giustificata dalla
sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di
impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri
oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale
necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria
(v. sentenza Del Cerro Alonso, cit., punto 58). Detti elementi possono risultare
segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali
sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a
queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di
politica sociale di uno Stato membro (v., per quanto riguarda la clausola 4, punto 1,
dell’accordo quadro, sentenza Del Cerro Alonso, cit., punti 53 e 58; per quanto
riguarda la nozione di «ragioni oggettive» di cui alla clausola 5, punto 1, lett. a), del
medesimo accordo quadro, sentenza Adeneler e a., cit., punti 69 e 70, nonché
ordinanza 24 aprile 2009, causa C-519/08, Koukou, punto 45).
56
Per contro, il riferimento alla mera natura temporanea del lavoro del personale della
pubblica amministrazione non è conforme a tali requisiti e non può dunque costituire
una ragione oggettiva ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro.
57
Infatti, una disparità di trattamento che riguardi le condizioni di impiego tra
lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato non può essere
giustificata mediante un criterio che, in modo generale ed astratto, si riferisce alla
durata stessa dell’impiego. Ammettere che la mera natura temporanea di un
rapporto di lavoro basti a giustificare una siffatta disparità priverebbe del loro
contenuto gli scopi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro, rammentati nei
punti 47 e 48 della presente sentenza. Invece di migliorare la qualità del lavoro a
tempo determinato e di promuovere la parità di trattamento cui mirano sia la
direttiva 1999/70 sia l’accordo quadro, il ricorso ad un siffatto criterio renderebbe
permanente il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo
determinato.
58
Si deve pertanto risolvere l’unica questione sottoposta nella causa C-444/09
dichiarando che un’indennità per anzianità di servizio come quella oggetto della
causa principale rientra nell’ambito di applicazione della clausola 4, punto 1,
dell’accordo quadro, in quanto costituisce una condizione d’impiego, per cui i
lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che,
relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione
obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato
che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di
lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione
oggettiva ai sensi di tale clausola dell’accordo quadro.
Così conclude: Un’indennità per anzianità di servizio come quella oggetto della causa
principale rientra nell’ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, in
quanto costituisce una condizione d’impiego, per cui i lavoratori a tempo determinato
possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al
di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai
lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere
temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per
sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell’accordo quadro.
La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura
nell’allegato della direttiva 1999/70, è incondizionata e sufficientemente precisa da poter
essere invocata nei confronti dello Stato da dipendenti pubblici temporanei dinanzi ad un
giudice nazionale perché sia loro riconosciuto il beneficio delle indennità per anzianità di
servizio, come quelle triennali oggetto della causa principale, per il periodo compreso tra
la scadenza del termine impartito agli Stati membri per la trasposizione della direttiva
1999/70 e la data dell’entrata in vigore della legge nazionale che recepisce tale direttiva nel
diritto interno dello Stato membro interessato, fatto salvo il rispetto delle disposizioni
pertinenti di diritto nazionale relative alla prescrizione.
Nonostante l’esistenza, nella normativa nazionale di trasposizione della direttiva 1999/70,
di una disposizione che, pur riconoscendo il diritto dei dipendenti pubblici temporanei al
versamento delle indennità per trienni di anzianità, esclude tuttavia l’applicazione
retroattiva di tale diritto, le autorità competenti dello Stato membro interessato hanno
l’obbligo, in forza del diritto dell’Unione, e nel caso di una disposizione dell’accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70,
avente effetto diretto, di attribuire al citato diritto al versamento delle indennità un effetto
retroattivo a decorrere dalla data di scadenza del termine impartito agli Stati membri per
la trasposizione di tale direttiva.
C.g.u.e. Ordinanza della Corte del 18 marzo 2011, C-273/10, Montoya.
La clausola 4, comma 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato termine, ha
concluso 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, relativa
all'accordo -CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato termine, deve essere
interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che riservi, senza alcuna
giustificazione oggettiva, il diritto di applicare un premio di anzianità Docenti solo
permanente, escluse le docenti a tempo determinato, quando, per quanto riguarda la
raccolta del premio, queste due categorie di lavoratori si trovano in situazioni simili.
C.g.u.e. C-302/11 - Valenza e a, Sentenza 18 ottobre 2012 da leggere per le parti interessate
La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo
1999 e figurante quale allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno
1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato,
deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, quale quella
controversa nei procedimenti principali, la quale escluda totalmente che i periodi di
servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità
pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al
momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima
autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di
stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata
da «ragioni oggettive» ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice
fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio
sulla base di un contratto o di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura
una ragione oggettiva di tal genere.
Costi del risarcimento
Il superamento dei 36 mesi, ove si ritenga il contratto che supera detto limite
illegittimo, rende possibile ipotizzare il risarcimento del danno per ogn’uno di essi. Infatti
il risarcimento del danno non elide i periodi pregressi, conseguendo, in tale ottica, il
danno ad ogni contratto successivo.
Posti i 250.000 lavoratori a termine extrascolastici con oltre 36 mesi, anche
applicando la sola indennità risarcitoria del Collegato lavoro per ogni contratto
successivo, si ha un danno pari a (ipotizzando solo la misura minima di 2,5 mensilità di
retribuzione8, una retribuzione lorda di soli € 1.600,00 mensili ed un minimo di spese
legali, ovvero € 5.000,00 a precario) la non sostenibile somma di € 1.250.000.000,00 per
anno (calcolata su 15 mensilità si hanno € 6.000.000.000,00).
Secondo le diverse stime della Ragioneria Generale dello Stato9 i precari sarebbero
260.000, considerate tutte le forme di flessibilità, di cui 130.000 i precari nella scuola,
115.000 nella sanità e negli enti locali e 15.000 nelle amministrazioni centrali. A
considerare i soli 130.000 (rectius sarebbero 150.000 dovendosi considerare gli esclusi
Professori universitari a contratto per 60 ore annue e i ricercatori assegnisti pari a circa
20.000 unità) così stimati si arriva sempre ad una spesa di € 650.000.000,00 annui (€
3.120.000.000,00 se calcolate 15 mensilità).
Le stabilizzazioni, nel solo triennio 2008/2010, ammontano, senza contare il
personale scolastico immesso in ruolo, a 49.999 unità10, con possibile risarcimento del
danno per € 249.995.000,00 (sempre stimato nella misura più bassa possibile; €
1.199.976.000,00 se calcolate 15 mensilità.
Non appare quindi casuale una possibile scelta del legislatore nel senso della
costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato per persone che hanno lavorato,
lavorano e, presumibilmente, lavoreranno comunque.
Dunque la valutazione della sanzione (costituzione per superamento dei 36 mesi o
risarcimento del danno) ed in specie la sua conformità al precetto di cui all’art 97, comma
1, della Costituzione, stando così le cose sembra debba essere propria della Corte
Attualmente la maggior parte della giurisprudenza di merito lo calcola tra le 15 e le 20 mensilità di retribuzione. http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/RGS-comuni/Note-per-l/2013/2013_conto_annuale/
Peraltro, ad una lettura della “Sintesi dei dati del periodo 2007-2012”, alla nota 2, si legge: il personale a tempo
determinato non comprende i “supplenti brevi” della scuola dei quali si rileva solo la spesa, mentre il per il personale a
tempo determinato annuale e fino al termine delle attività didattiche è stato considerato nel totale degli occupati a
tempo indeterminato in quanto è assunto a copertura di posti di organico vacanti. Sono esclusi dal calcolo i Professori
universitari a contratto (per 60 ore annue) e i ricercatori assegnisti pari a circa 20.000 unità.
La Ragioneria Generale dello Stato evidenzia che i precari scolastici con contratto annuale coprono posti in organico
vacanti. 10
Corte dei Conti, sezioni riunite in sede di controllo: Relazione 2012 sul costo del lavoro pubblico. Cfr. pag. 147,
Stabilizzazioni nel pubblico impiego per comparto e per categorie di personale, tabella 1. 8
9
costituzionale, non emergendo in fatto evidenti elementi evidenti per affermare che l’una
o l’altra tesi sia maggiormente aderente alla predetta disposizione. Dunque la scelta
sembra doversi fare sullo stretto dettato normativo, senza che si possano trarre dall’art
97, comma 1, della Costituzione evidenti indici interpretativi.