Introduzione - Giappichelli

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Introduzione
La félicité des peuples dépend principalement
d’une bonne administration des finances.
Luigi XVI
Douglass C. North, premio Nobel per l’economia nel 1995, apre la
prefazione della sua celebre monografia Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia con una affermazione perentoria: “la
storia conta” 1. Le istituzioni rispondono alle leggi dell’economia ma lo
fanno a partire da strutture sociali, politiche e culturali che condizionano
in modo profondo i risultati. Anche il concetto di path dependence, sviluppato da Paul David insiste sulla cruciale e condizionante importanza
dei percorsi storici. In particolare North ha insistito sul ruolo fondamentale dei contesti istituzionali: tracciando l’evoluzione delle istituzioni
giuridiche ed economiche che sono risultate essenziali per lo sviluppo
del capitalismo contemporaneo, l’economista americano ha messo in luce il ruolo propulsivo svolto dal potere pubblico. D’altro canto i compiti
attribuiti all’operatore pubblico sono il frutto della cultura e della storia.
In maniera del tutto speculare uno dei più influenti storici americani
contemporanei, Immanuel Wallerstein, ha scritto che «lo sviluppo di Stati forti nelle aree centrali del mondo europeo fu una componente essenziale nello sviluppo del capitalismo moderno» 2.
1
D.C. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Il
Mulino, Bologna, 1994, p. 17.
2
I. Wallerstein, Il sistema mondiale dell’economia moderna. L’agricoltura capitalistica e le origini dell’economia-mondo europea nel XVI secolo, Il Mulino, Bologna, 1978, p. 190.
2
Stato e finanza pubblica in Europa dal Medioevo ad oggi
Alla luce della storia d’Europa appare macroscopica l’importanza di
uno Stato attivo in campo economico, sicché la contrapposizione fra
Stato e mercato, negli ultimi anni assai di moda, ha scarso fondamento e
appare fuorviante. Per funzionare il mercato ha bisogno di forti vincoli
di natura istituzionale. L’affermarsi degli Stati nazionali in Europa è risultato non solo di vitale importanza nel creare condizioni favorevoli allo sviluppo economico, ma ha potentemente contribuito alla formazione
di quella che Wallerstein ha definito «economia mondiale dell’Europa» 3. In Europa Stato e mercato hanno conosciuto sviluppo o eclissi paralleli anziché contrapposti. La formazione degli Stati nazionali e il sistema degli Stati in competizione fra loro sono da considerare infatti elementi fondamentali della distinzione e del dinamismo europei.
L’assenza di un centro di gravità politico costituisce uno dei tratti
distintivi dell’Europa medievale. Rispetto ai più vasti e organizzati sistemi imperiali sorti in Asia e nel Vicino Oriente questa mancanza rappresentò inizialmente un limite e una debolezza, ma finì per tramutarsi
in un formidabile fattore di dinamismo e in un punto di forza. All’assenza di un centro ordinatore l’Europa supplì moltiplicando i centri in
concorrenza fra loro. Dai secoli centrali del Medioevo il sistema degli
Stati europei presenta infatti due caratteri originali di grande importanza: la costante presenza di una molteplicità di centri di potere in incessante competizione fra loro e il dispiegarsi di un lento ma irreversibile
processo di concentrazione dell’autorità di governo. Lo spirito di competizione e la varietà “genetica” 4 degli Stati europei ha prodotto da un
lato un equilibrio di potere fra Stati o gruppi di Stati, dall’altro ha operato come un antidoto contro il pericolo dell’immobilismo e della stagnazione, favorendo un continuo ricambio di leadership e alimentando a
getto continuo dinamici processi di imitazione e innovazione economica e istituzionale.
In questa sede si propone una ricostruzione della formazione e della
evoluzione degli Stati europei a partire dall’analisi di quello che può essere considerato il minimo comune denominatore di ogni organizzazione statale: le finanze. Lo sviluppo dei moderni Stati europei si è mosso
in sintonia con la progressiva acquisizione di competenze finanziarie,
3
4
Ibidem, p. 31.
La definizione è di Eric Jones. Cfr. E. Jones, Il miracolo europeo. Ambiente, economia e geopolitica nella storia europea e asiatica, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 174.
Introduzione
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ossia l’appropriazione di quote di ricchezza privata da parte dei consorzi
politici. In Economia e società Max Weber sottolineava che il finanziamento dello Stato costituiva il fulcro della potestà pubblica, il mezzo di
potenza decisivo 5. Negli Stati contemporanei la finanza pubblica è venuta assumendo una importanza ancora maggiore per via della estensione della sfera statale e della quota di risorse da essa mobilitate. Con grande lucidità William Gladstone, primo ministro dell’età vittoriana, scrisse
che «i bilanci generali non sono solo materia di calcoli aritmetici, ma in
mille modi vanno alla radice della prosperità delle persone, ai rapporti
fra le classi sociali, e alla potenza dei regni» 6.
Nel suo magistrale trattato di finanza pubblica Celestino Arena definì l’attività finanziaria come «un grandioso processo di trasformazione di beni in servizi pubblici» 7. Nell’appropriazione di quote di ricchezza i governi godono di una posizione di relativo vantaggio determinata dalla possibilità di ricorrere a provvedimenti coattivi, tuttavia
caratteri e dimensioni di questo processo non sono aprioristicamente
dati ma fortemente condizionati da fattori economici, sociali e culturali.
Il prelievo fiscale deve essere tollerabile dal punto di vista economico,
deve essere percepito come legittimo dai contribuenti e deve proporsi
finalità accettabili ai contribuenti stessi: sviluppo economico, cultura e
politica interagiscono.
I problemi relativi alle finalità proprie dell’intervento pubblico e ai
criteri da adottare nel decidere quali attività debbano essere affidate
alla mano pubblica hanno impegnato ab origine gli economisti. In ogni
società vi sono beni e servizi che sono di fondamentale interesse collettivo e che è impossibile ottenere ricorrendo al mercato, ma in concreto tipologia, qualità e quantità di tali servizi sono soggette ad innumerevoli condizionamenti economici, sociali e culturali. Nella società
europea contemporanea il benessere individuale dipende in larga misura dall’accesso ad una vasta messe di beni e servizi pubblici sottratti
al mercato, ma è bene tenere presente che si tratta di un fenomeno nuovo e potenzialmente effimero. L’espansione delle politiche sociali dello
5
M. Weber, Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano, vol. IV, 1995, p. 468.
6
La citazione è tratta da A. Molho, Tre città-stato e i loro debiti pubblici. Quesiti
e ipotesi sulla storia di Firenze, Genova e Venezia, in Italia 1350-1450: tra crisi, trasformazione e sviluppo, Editografica, Pistoia, 1993, p. 187.
7
C. Arena, Finanza pubblica, Utet, Torino, t. 1, 1963, p. 7.
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Stato e finanza pubblica in Europa dal Medioevo ad oggi
Stato rappresenta infatti una novità recente. Basta pensare che nel 1776
Adam Smith, il fondatore dell’economia classica, affidava allo Stato,
in un “sistema di libertà naturale”, soltanto tre compiti: «il compito di
proteggere la società dalla violenza e dall’invasione», il compito di proteggere «ogni membro della società dall’ingiustizia o oppressione», e infine il compito «creare e mantenere certe opere pubbliche e certe istituzioni pubbliche, che non potranno mai essere create e mantenute dall’interesse di un individuo».
Lo sviluppo degli Stati europei appare caratterizzato da una declinazione progressivamente più ampia del concetto di protezione, che nell’età contemporanea si è dilatato a comprendere ambiti che hanno oltrepassato di molto i tradizionali confini della incolumità della persona
e della tutela dei beni. Questo processo ha avuto una lunga gestazione
che rimonta al Medioevo, quando l’autorità pubblica si identificava quasi esclusivamente con la giurisdizione militare, ossia il diritto/dovere
di chiamare i sudditi alla difesa del territorio. Alla sfera militare si è
presto associata una sfera civile, ma per secoli questo ambito è stato
essenzialmente limitato a forme elementari di protezione, esercitate attraverso il mantenimento dell’ordine pubblico e l’amministrazione della
giustizia. È stato soltanto a partire dal ’700, per impulso del pensiero
illuminista, che si è fatta strada l’idea che lo Stato dovesse garantire il
benessere dei cittadini. In realtà a questi postulati teorici fu dato seguito pratico con molta gradualità: gli interventi finanziari e normativi volti a valorizzare la formazione e a sostenere la prosperità economica si
diffusero nel corso dell’800, ma gli interventi pubblici finalizzati a garantire livelli anche minimi di tutela e protezione sociale mossero i
primi timidi passi soltanto nell’ultimo quarto dell’800, inizialmente attraverso vincoli e norme imposti alle parti sociali. Solo nella seconda
metà del ’900 la sfera sociale è diventata l’ambito di intervento privilegiato e il settore più dinamico di spesa.
Nel corso del ’900 il ruolo dello Stato si è radicalmente trasformato
e il settore pubblico ha conosciuto una crescita formidabile e pressoché
senza soluzione di continuità. Alla espansione dei compiti affidati alla
mano pubblica si sono accompagnati una forte dilatazione della spesa
complessiva e un rilevante mutamento delle principali voci di spesa.
La spesa per garantire i “diritti sociali” ha rappresentato la più importante novità ed è divenuta in un arco di tempo straordinariamente breve la voce più consistente. Di contro compiti di protezione tradizionali
Introduzione
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come la difesa e l’ordine pubblico rappresentano ormai quote stabili e
relativamente contenute del bilancio statale. In quasi tutti i Paesi avanzati la mano pubblica ha assunto il completo controllo della fornitura
di quasi tutti i servizi di carattere sociale, previdenziale e assistenziale
che hanno acquisito un carattere universale. Del resto lo sviluppo del
Welfare State nella seconda metà del ’900 è avvenuto attraverso la costituzione di un sistema di diritti sociali destinati ad accompagnare il cittadino “dalla culla alla tomba”. Ma anche la fornitura di molti servizi di
massa è, o è stata a lungo, appannaggio dello Stato: dai trasporti pubblici ai servizi postali, dalla fornitura di energia alla raccolta dei rifiuti.
Inoltre pressoché ovunque il settore pubblico ha assunto un ruolo economicamente propulsivo attraverso il sostegno diretto alla ricerca e alla
innovazione, attraverso il sostegno ai consumi privati; e socialmente perequativo attraverso interventi volti a redistribuire il reddito tra i diversi
gruppi sociali. All’estremità dello spettro si è collocata la risposta dei
Paesi socialisti, dove in ogni settore economico all’attività privata è stata preferita quella pubblica, con risultati però che nel lungo periodo si
sono rivelati complessivamente insoddisfacenti.
L’espansione dei compiti di protezione attribuiti alla mano pubblica ha avuto quale conseguenza speculare la formidabile dilatazione del
prelievo fiscale dal settore privato per sostenere il forte aumento di
spesa del settore pubblico. Per secoli la percentuale di reddito prelevata dal fisco ha di rado e per brevi periodi superato il 5%. Circa un secolo fa, alla vigilia della prima guerra mondiale, la pressione tributaria
dei principali Paesi europei si collocava in prevalenza fra il 10% e il
15% del Pil, una percentuale non lontana dai massimi livelli di prelievo toccati in età preindustriale. Nel corso del ’900 la pressione fiscale
è progressivamente aumentata: la lievitazione del prelievo è stata resa
tollerabile oltre che dai benefici attesi anche dal contemporaneo aumento del ricchezza disponibile. Anche la composizione della tassazione si
è modificata. La novità più significativa è stata rappresentata dall’affermarsi della tassazione progressiva sul reddito con finalità di redistribuzione sociale attraverso trasferimenti e servizi. All’aprirsi del XXI
secolo il prelievo fiscale nei principali Paesi europei risulta attestato
attorno al 40% del Pil, un livello senza precedenti e che molti economisti non esitano a ritenere eccessivo (Tabella 1). Il revisionismo che
ha colpito il Welfare dopo il 1980 ha portato con sé anche una serrata
critica della tassazione progressiva.
6
Stato e finanza pubblica in Europa dal Medioevo ad oggi
Tabella 1. – Prelievo fiscale in rapporto al PIL (1550-2000)
1550
Repubblica
di Venezia
Italia
Spagna
Francia
Olanda
Germania
Inghilterra
Stati Uniti
1650
1700
6,8%
1788
1880
1937
2000
11,2%
19,3%
13,8%
19,8%
31,1%
42,3%
34,2%
44,4%
39,5%
16,3%
(1770)
11,1%
16,8%
28%
(1688)
10%
12,4%
12,0%
(1792)
10,2%
18,7%
17,4%
20,5%
22,6%
19,7%
37,2%
37,2%
29,9%
Fonti: D. Weir, Tontines, Public Finance and Revolution in France and England, 1688-1789,
in Journal of Economic History, 49, 1989, pp. 98-99; V. Tanzi-L. Schuknecht (2000),
pp. 52-53; L. Pezzolo (2006), p. 63; OECD (2006); http://eh.net/databases/finance/.
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