lezione del 14 dicembre 2009 Università di Ferrara

Il Mondo arabo-islamico
Lezione del 14 dicembre 2009
Il progetto politico attribuito a Muhammad, l’espansione del mondo islamico e le ragioni
dell’arretratezza dei paesi islamici rispetto all’Occidente sono i punti su cui porre l’attenzione
per capire la situazione dei paesi arabi-islamici attuali. Muhammad vissuto dal 570 al 632 si
inserisce nel tempo in cui l’Arabia conosce un nuovo assetto economico e sociale. Nel pensiero
del profeta confluiscono tradizioni cultuali diverse: quella cristiana, quella giudaica e quella
persiana. Egli le raccoglie ed elabora una nuova dottrina che si diffonde grazie alle conquiste
dei suoi immediati successori e i turchi. La facilità delle conquiste e la sottomissione delle
popolazioni ai nuovi padroni non possono essere attribuite ad una semplice questione di
fanatismo religioso. La solidità della conquista non fu mai messa in discussione anche se ci
furono reazioni violente e delle regioni come per esempio l’Anatolia, resistettero per secoli..
La rapidità delle conquiste fu dovuta alla necessità di nuovi territori da parte delle
popolazioni beduine ed al fatto che i conquistatori offrivano ai vinti la possibilità di entrare a
far parte di una comunità più vasta, che non era automaticamente destinata a schiacciarli, o a
eliminare una loro funzione presente o futura. E questo sin dall’inizio con il Profeta, con gli
Ommayyadi (661-750) gli Abbasidi 750-1258), i Selgiuchidi (1038-1194), i Mongoli (12061332) ed in fine gli Ottomani (1324-1924) e i Moghul (1526-1858). Ognuno di questi imperi
racchiudeva al suo interno realtà diverse, popoli e costumi diversi, lingue ed anche religioni
diverse, ciascuna con la sua precisa identità. Quando il mondo islamico entrava in crisi e
cominciava a sfaldarsi sotto al spinta di forze autonomistiche, intervenivano i nuovi
conquistatori, che si preoccupavano di ricostruire, sulla base dell’ideale Stato islamico, una
situazione che ricalcava in tutto quella precedente. Il prezzo che i conquistatori dovevano
pagare era assimilarsi all’Islàm, con la conseguente perdita della specificità dei tratti originari
della loro tradizione in nome della nuova concezione della politica e dello Stato. Ciò rimane
vero anche quando, con la dinastia Ottomana, viene nuovamente formata la grande unità del
bacino del Mediterraneo orientale. La società viene strutturata secondo una gerarchia più
rigida rispetto alle epoche precedenti, l’esercito assume una funzione più importante, la
centralità dello Stato permane, i beduini restano la forza d’urto nei periodi di crisi, le classi
dirigenti rimangono culturalmente omogenee, questi gli elementi che caratterizzano la storia
del mondo islamico fino all’avvento del colonialismo. La scoperta dell’America (1492), delle
vie atlantiche e la perdita di importanza del Mediterraneo non bastano a spiegare il fenomeno
del “ritardo” dei paesi arabo-musulmani nel grado di sviluppo tecnologico e la mancanza della
formazione di una civiltà industriale e capitalistica. Una parte di responsabilità è europea.
Dopo aver usato la scienza e le conoscenze musulmane, l’Occidente non ha poi creato le basi di
una collaborazione tra pari. Al contrario, ha posto le premesse per una colonizzazione che è
stata realizzata nel XIX e nel XX secolo. E’ mancata un’adeguata circolazione delle idee,
l’oriente islamico non ha beneficiato di quanto gli europei hanno costruito su un bagaglio
culturale di cui erano in larga misura debitori proprio all’Islàm ed ha continuato a considerare
il ruolo dello Stato centrale impedendo forse la dialettica tra le varie componenti sociali che
avrebbe potuto portare ad una competitività che è caratteristica di una economia moderna.
Fondamentale è la comprensione delle teorie del potere nel contesto islamico. Dall’ideale
religioso islamico all’organizzazione dello Stato, basato su fondamenti religiosi ma pronto a
modellare l’Islàm, al bisogno, a seconda delle esigenze politiche e sociali. Né il Corano né il
Profeta danno indicazioni sulla gestione del potere. Il profeta muore senza lasciare
disposizioni sulla gestione della umma (comunità dei credenti). La contesa tra i Compagni più
prossimi del Profeta per stabilire chi dovesse guidare la comunità musulmana al fine di
preservare l’Islàm ed applicare la shari a (la legge religiosa) si risolse con l’elezione del
suocero di Muhammad, Abu Bakr che diede avvio alla sequenza dei califfi “bendiretti” (632661) che avevano condiviso l’esperienza del Profeta. A quest’epoca risalgono le prime
fondamentali scissioni dell’Islàm ( sciismo e kharigismo) fondate su dissensi di natura politica
riguardanti la successione e la natura del potere sul titolo da dare al capo della comunità
(califfo, imam, emiro, comandante dei credenti ), sulla sua origine ( un discendente della
famiglia del profeta secondo gli sciiti, un membro della tribù per i sunniti oppure qualunque
musulmano anche di origine schiava per i kharigiti), sulle modalità di selezione dello stesso
(per discendenza secondo gli sciiti, per nomina da parte di ulema e notabili in seguito a
consultazione – shura –secondo i sunniti, per elezione da parte dell’intera comunità
musulmana secondo i kharigiti). La disputa si risolse sul piano politico e l’affermazione della
dinastia Omayyade consacrò la linea sunnita. Il capo della comunità si chiamò
califfo(successore del Profeta) che era anche grande imam( guida della comunità islamica),
doveva appartenere alla tribù di Muhammad e doveva essere nominato tramite consultazione
da una cerchia ristretta di elettori. L’adesione dei califfi ai principi espressi dai dotti religiosi
divenne soltanto un atto formale. I successori del Profeta si preoccuparono più degli affari
terreni che di quelli religiosi. La consultazione fu ridotta alla sola volontà testamentaria dei
califfi i quali spesso favorirono la discendenza di padre in figlio. Il califfato autentico si
concluse quindi con i quattro califfi bendiretti per poi divenire una carica simbolica utile a
legittimare un potere sovrano. In epoca Omayyade ed Abbaside gli ulema non consideravano
necessaria una teoria del potere che non rientrava nel quadro giuridico islamico,l’autorità
califfale sentita come sacra si auto legittimava. E’ con il teologo al-Ghazzali che si definisce la
dottrina sunnita classica del potere califfale. Il califfato era imposto dalla Rivelazione (ma il
Corano non ne parla) che spiegava la legge religiosa. L’imam non era assolutamente
espressione di Dio sulla terra ma soltanto vicario di Muhammad quale custode della shari a . Il
califfo non aveva nessun potere legislativo ( sciaraitico) conferito invece agli ulema ma
unicamente esecutivo. Al califfo l’obbedienza da parte dei sudditi anche se questi fosse stato
empio a patto che consentisse l’applicazione della shari a. Dopo i califfi bendiretti il califfato
cessò di esistere, il regime divenne un’autocrazia, il potere divenne assoluto. Nel XIX secolo gli
ulema del Cairo pur riconoscendo la necessità di un califfo quale autorità islamica universale,
accettarono di fatto la pluralità dei monarchi preoccupandosi che il governante, qualunque
fosse il suo titoli proteggesse l’Islàm e garantisse l’applicazione della shari a anche in modo
approssimativo. La consapevolezza della distanza tra ideale e realtà non compromise mai né il
valore della dottrina né il rispetto per il potere califfale. “E’ biasimevole tutto ciò che è dettato
esclusivamente da considerazioni politiche, senza intervento superiore di una legge religiosa,
perché è una semplice visione delle cose senza la luce di Dio” ( Ibn Khaldun storico arabo morto nel
1406). E’ quindi l’Islàm che garantisce nel tempo e negli avvenimenti storici la coesione delle
popolazioni arabe-islamiche, è solo la religione di Muhammad nei suoi principi fondanti che
resiste oltre le eresie e contro gli avvenimenti che caratterizzeranno il percorso degli Stati
arabi moderni. Abbiamo visto che nella realtà storica l’Islàm non era né immobile né chiuso
ad innovazioni visto che molto spesso veniva modellato da teorie anche estreme. Nella lotta
contro le potenze coloniali europee, che occuperanno i paesi arabi-musulmani dal 1830 al
1962, però, l’Islàm abbandona le sue forme di sperimentazione giuridica e politica per
mostrarsi come blocco compatto di religione, politica, ideologia, morale, visione del mondo e
modo di vita;un maggior rigore necessario a contrastare le ingerenze esterne da un lato e una
scarsa aderenza alle trasformazioni e alle nuove esigenze degli stessi paesi islamici sono i
tratti che caratterizzano un processo che iniziato nei primi decenni del Ottocento si conclude
oggi, con i suoi aspetti positivi, primo fra tutti la presa di coscienza nazionale e negativi come
la nascita di gruppi fondamentalisti islamici estremi.. L’Islàm diventa il simbolo dell’identità
che il popolo arabo-musulmano rivendica per sé e che difende contro l’occupazione straniera,
riunisce in sé l’aspirazione all’indipendenza e la ricerca delle origini e della specificità
culturale, è l’unico elemento autentico nonostante i tentativi di colonizzazione anche culturale
e l’imposizione di modelli e comportamenti non solo morali ma sociali e politici. Nella lotta
anticoloniale essere musulmani significa riconoscersi diversi dagli europei e riconoscersi
diversi è il primo passo per poter rifiutare costumi e concezioni occidentali. Più si è
musulmani quindi, più si è nazionalisti. Venir meno a certe regole di condotta musulmane
significa condiscendenza eccessiva verso lo straniero colonizzatore. E’ l’Islàm che risveglia i
popoli musulmani e l’elemento che unifica i popoli colonizzati in un'unica volontà di
opposizione. Personaggi come il riformatore al-Afghani (1839-1897) e il suo discepolo
Muhammad Abdu (1849-1905) furono sostenitori del panislamismo che contrapponeva il
popolo musulmano nella sua vastità e diversità ai dominatori inglesi. Se l’Islàm accomuna i
credenti musulmani di ogni regione geografica nella causa del nazionalismo il rapporto fra
quest’ultimo e il credo religioso islamico in alcune zone è stato più complesso che in altre. La
diversità tra caso e caso dipende da molti fattori primo fra tutti il tipo di autonomia avuta
sotto l’impero Ottomano. Il secondo aspetto è il contributo all’elaborazione dei concetti di
patria e nazione venuto dalle minoranze cristiane, in alcuni paesi come l’Egitto, la Siria e il
Marocco più importanti che altrove. Ultimo aspetto, la reazione culturale prima che politica
degli intellettuali arabi, alla civiltà europea. In Egitto il passaggio da una coscienza
panislamica, dell’unità di tutti i musulmani ad una visione araba della lotta politica avviene
parallelamente alla ripresa culturale islamica. L’Egitto aveva da sempre goduto di una certa
autonomia nei confronti dell’amministrazione Ottomana, inoltre una forte presenza cristiana (
i copti) obbligava i politici obbligava a tradurre in termini laici esigenze che altrove si
espressero con un linguaggio religioso. In Siria dove più intensamente gli intellettuali si
posero il problema dell’arabismo, l’Islàm è stato sentito e usato dagli stessi cristiani siriani
come strumento per rafforzare la coscienza araba. L’arabo, lingua dell’Islàm, diventa la lingua
per eccellenza dei nazionalisti occupando un posto di preminenza. L’Algeria ebbe un percorso
doloroso ma interessante. Quando la Francia occupa il territorio algerino questo non ha una
fisionomia distinta e non era distinto neppure il legame con Costantinopoli, sede del potere
ottomano. Rispetto ai paesi limitrofi, Tunisia e Marocco e gli altri paesi arabi, era difficile
individuare una nazione algerina e quindi prospettare uno Stato autonomo e indipendente.
Per gli intellettuali locali non era del tutto scontato il rifiuto di identificarsi con la forza
coloniale mentre era vitale l’ottenimento di condizioni di parità effettiva con i coloni francesi.
La lotta algerina dura per tutto l’Ottocento e continua il suo bagno di sangue nella guerra di
liberazione nazionale vera e propria iniziata nel 1954 e terminata nel 1962. Anche in Algeria è
nel nome dell’Islàm che si costruisce un’identità nazionale che non verrà messa in discussione
neanche ad indipendenza ottenuta. Ciò può spiegare un certo rigore islamico che caratterizza
l’Algeria odierna.
Ma quando si arriva a formulare concretamente un progetto politico o economico emergono le
contraddizioni. Nel passato il mondo islamico ha sempre teso all’unità e ha sempre negato che
esistessero diversità tali da non poter essere assorbite, tollerate, o ricomposte nello Stato
islamico, in pratica ha sempre negato il nazionalismo. Le specificità culturali, etniche o
linguistiche non importavano, il fatto di essere musulmani bastava a rendere tutti sudditi
dello Stato ma ciò non significava che nei diversi popoli dell’Islàm si radicasse una coscienza
nazionale
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Gian Antonio Stella, Carmine Pascià ( che nacque buttero e morì beduino), Rizzoli 2008
Film
Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri, 1966