OSSERVARE L`UNIVERSO ALLA RICERCA DELLE ORIGINI DELL

CENTRO STUDI MILITARI AERONAUTICI “GIULIO DOUHET”
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OSSERVARE L’UNIVERSO
ALLA RICERCA DELLE ORIGINI DELL’UNIVERSO
“La fisica. C’è chi pensa che sia una materia un po’ lontana dalla nostra vita di tutti i giorni. Eppure è proprio lo
studio di fisica e astrofisica che ci permette di rispondere a domande che ci poniamo spesso: da dove veniamo,
come è nato l’Universo? Quindi, quale argomento più interessante da trattare di questo?”. È con queste parole che
il Generale Nazzareno Cardinali, direttore del Centro Studi Militari Aeronautici (CESMA), introduce l’iniziativa
“Osservare l’Universo…oltre le stelle, fino al Big Bang”, giovedì 23 aprile presso la Casa dell’Aviatore, animata e
moderata dal Generale Francesco di Bella.
A questo primo esperimento ne sono seguiti altri analoghi, a molti dei quali ha collaborato De Bernardis, come la
missione Planck Surveyor dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), in collaborazione con la NASA, risalente al 2009.
L’ultimo programma a cui il professore sta dando il suo contributo, il lancio del Telescopio Olimpo in sinergia con
l’Agenzia Spaziale Italiana, ha come principal investigator Silvia Masi, ricercatrice del Dipartimento di Fisica
dell’Università di Roma “La Sapienza” e collaboratrice di De Bernardis nei sopracitati esperimenti, anch’essa
presente all’iniziativa del CESMA.
“Quanto è grande l’Universo? C’è stato un inizio e ci sarà una fine? Come si è fatta strada l’ipotesi del Big Bang?
Come si fa a scoprire il passato dell’Universo e prevederne l’evoluzione futura?”. Queste sono le domande
presenti nella descrizione del libro del professore, peraltro finalista della quinta edizione del Premio Galileo per
la divulgazione scientifica. Nel libro, De Bernardis tenta di spiegare l’evoluzione dell’Universo in maniera
puntuale, precisa e competente, ma allo stesso tempo semplice e comprensibile, cercando di stimolare curiosità
ed interesse.
Come spiegato dal Generale Di Bella al termine della sua introduzione, “Abbiamo imparato che esistono buchi
neri, che l’Universo non ha limiti, ma ci rendiamo conto che quello che non capiamo è più di quanto abbiamo
creduto di capire”: ed è proprio per aiutare a trovare una chiave di comprensione di questi misteri che ha preso
la parola Paolo De Bernardis, cercando di impostare la propria relazione nella stessa maniera semplice e
accattivante del suo libro.
“Cosa abbiamo capito dell’Universo?”, chiede De Bernardis, che parte da un’esperienza recente che tutti noi
abbiamo avuto l’occasione di fare : l’osservazione dell’eclissi di Sole dello scorso 20 marzo. “L’eclissi di Sole
avviene quando la Luna viene a trovarsi sulla linea di vista tra l’osservatore sulla Terra, ossia noi, e il Sole.
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Quando tutti e tre sono perfettamente allineati, c’è un’eclissi totale: a Roma l’eclissi è stata parziale perché l’allineamento non era perfetto”, spiega il professore. Nel seguito vedremo che i movimenti dei corpi celesti permettono di stabilire quanta materia ( massa) è presente nell’universo, e che l’interazione di questa materia con la luce, nelle sue diverse forme (o l’assenza di interazione), permette di studiarne la natura. “Un fenomeno del genere ci ricorda che i corpi celesti si muovono: tutto nell’Universo si muove. Ci ricorda che l’astronomia si basa sull’osservazione di luce che viene dall’Universo e che può venire modificata nel suo lungo percorso. In questo caso la modifica è evidente: viene addirittura interrotto il flusso luminoso del sole a causa della Luna che è interposta. Il movimento dei corpi celesti – prosegue l’astrofisico – ci permette di stabilire quanta materia, quanta massa c’è nell’Universo. E l’interazione della luce che proviene dai corpi celesti con la materia interposta ci permette di studiare questa luce in grande dettaglio, e quindi di capire di cosa sono fatti i corpi celesti”. L’astronomia si basa proprio su questo: lo studio della luce provenienti da sorgenti lontane, che a volte nel suo viaggio può essere modificata, o addirittura bloccata, dalla materia interposta.
L’eclissi citata è un fenomeno semplice, ma nell’Universo ne avvengono di tutti i tipi, altre eclissi anche in stelle lontane: fenomeni che possono risultare particolarmente utili per gli astronomi. Ad esempio, questo permette di scoprire che esistono migliaia di pianeti extrasolari, ovvero che orbitano attorno ad
altre stelle diverse dal Sole: ne sono stati scoperti già oltre duemila. “Finalmente, da neanche così tanti anni, abbiamo quindi la conferma che il nostro sistema solare non è speciale: esistono altri soli, con altri pianeti che vi orbitano attorno”, commenta De Bernardis.
Notando e studiando le diminuzioni dell’intensità luminose delle stelle, dovute al fatto che la luce della stella viene intercettata dal pianeta che le orbita attorno, sono stati scoperti numerosi pianeti dalle caratteristiche più disparate: lavici, fusi in superficie per la vicinanza con la stella, oppure che orbitano attorno a due soli.
“In futuro – prosegue il professore – si pensa addirittura di studiare come viene modificata la luce della stella quando passa attraverso l’atmosfera del pianeta, e quindi di capire di cosa è fatta tale atmosfera. Capire, ad esempio, se ci sono gas come biossido di carbonio o metano: sono indicatori di vita. Questo era solo per
dare un esempio di quanto siano importanti questi fenomeni di allineamento per capire di cosa è fatto l’Universo.”. Una stella, spiega, è una sfera di gas incandescente. Alla superficie la temperatura è di qualche migliaio di gradi, al centro decine di milioni di gradi. È talmente calda che possono avvenire reazioni di fusione termonucleare, per cui elementi più leggeri si fondono per generare elementi più pesanti e rilasciare energia. Nel Sole questa energia è circa un miliardo di miliardi di miliardi di watt perché in ogni istante ci sono miliardi di tonnellate di idrogeno che vengono convertite in elio. E il Sole è una stella medio-piccola. Ammassi di stelle formano le galassie, le quali possono a loro volta allinearsi e interporsi tra loro come in un’eclissi. De Bernardis mostra l’esempio dell’allineamento tra la Terra e due galassie, una gialla e una blu più lontana, che genera una stranissima eclissi: la massa della galassia interposta è tale da deformare lo spazio circostante ad essa. La luce deflessa della galassia blu passa quindi intorno alla galassia gialla, formando quello che sembra un anello: a seconda della massa della galassia intermedia in questione, il diametro dell’anello sarà diverso. Normalmente una galassia è fatta da 100 miliardi di stelle, come si può stimare dalla sua emissione complessiva di luce: la sua massa, pertanto, dovrebbe essere all’incirca 100 miliardi di volte la massa della stella. Nel caso specifico esaminato, tuttavia,
il diametro dell’anello è diverso da quello che ci si aspetterebbe: la massa della galassia è molta più del previsto, e questo dimostra la presenza di “qualcos’altro” che ne ha aumentato la massa. Si tratta della cosiddetta materia oscura, una materia che pur avendo massa non interagisce con la luce: non la produce né la assorbe.
Una galassia è fatta da una struttura di materia normale che emette luce o la assorbe, circondata magari da una nuvola di neutrini, che hanno una massa piccolissima, così piccola che nessuno è ancora riuscito a misurarla. “Esiste però un’altra particella – avverte De Bernardis – simile al neutrino ma più grande,
e da quanto capiamo l’entità di massa nell’Universo in questa forma oscura dovrebbe essere 10 volte più grande di quella in forma luminosa, ossia della materia normale di cui siamo fatti noi e le stelle”. In quanto fisico, De Bernardis spiega che la luce è oscillazione di un campo elettromagnetico, e noi vediamo lunghezze d’onda diverse come colori diversi: se analizziamo la luce con uno spettrometro, ad esempio un prisma, ci accorgiamo che è fatta da lunghezze d’onda di tutti i tipi, alcune delle quali non riusciamo a vedere con i nostri occhi, ossia quelle più brevi del viola e quelle più lunghe del rosso. Ma, spiega l’astrofisico, se uno analizza non grande dettaglio la distribuzione delle lunghezze d’onda delle stelle noterà che non tutti i colori sono presenti: ci sono circa un milione di lunghezze d’onda diverse in cui non arriva luce, mentre in teoria da un oggetto incandescente semplice dovrebbe arrivare da tutte le lunghezze d’onda. Gli atomi di idrogeno, ad esempio, dovrebbero intercettare quelle particolari onde di lunghezza, a meno che non si stiano muovendo.
Ed è proprio tenendo conto di questo che si possono analizzare le stelle e capire se sono fatte di idrogeno, carbonio o ferro, oppure se si stanno muovendo, dato che in quel caso l’effetto Doppler modifica le loro lunghezze d’onda in modo molto caratteristico. L’effetto Doppler viene normalmente spiegato con l’esempio dell’ambulanza: se essa è ferma, sia chi è davanti ad essa sia chi è dietro ad essa sente lo stesso suono, alla stessa frequenza; ma se l’ambulanza si muove, colui da cui l’ambulanza si allontana riceve lunghezze d’onda più lunghe, e quindi un suono più grave, mentre colui verso cui l’ambulanza si avvicina riceve lunghezze d’onda più brevi e quindi un suono più acuto. Se invece l’ambulanza passa davanti all’osservatore, costui sentirà prima il suono acuto e poi quello più grave. Qualsiasi fenomeno ondulatorio, quindi, viene modificato dal movimento della sorgente: anche l’emissione di luce.
Cosa importante in questo caso è il rapporto tra la velocità della sorgente e la velocità dell’onda. Nel caso del suono la velocità è relativamente bassa e quindi ce ne accorgiamo facilmente. Nel caso della luce generalmente no perché la velocità è elevatissima, circa un miliardo di km all’ora: quando una stella si allontana a un millesimo della velocità della luce però il fisico può accorgersene, anche grazie ai propri strumenti che permettono di vedere la variazione della lunghezza d’onda di un millesimo: quindi può misurare la velocità con cui si muovono le stelle semplicemente vedendo quanto si spostano le loro lunghezze d’onda. Questo permette ad esempio di studiare come si muovono e come girano le galassie, e a quale velocità.
“Newton – continua De Bernardis – ci ha spiegato che c’è una relazione tra forza e accelerazione. Tutte le volte che una massa si muove in modo accelerato, quindi non rettilineo e non uniforme, vuol dire che sta agendo una forza. Nel caso di un’orbita circolare, come nel sistema solare, ci dev’essere una forza che attrae la Terra verso il Sole…sennò ce ne andremmo per i fatti nostri! Come in una giostra che gira, c’è un vincolo – in quel caso la catena – che tiene ferme le seggiole per evitare che vengano lanciate via dalla forza centrifuga: noi al posto della catena abbiamo la forza di gravitazione universale, dovuta alla massa del Sole e alla massa della Terra…e si può anche stabilire qual è la massa che ci vuole nel Sole per far ruotare la Terra proprio con quel raggio di curvatura”.
Anche per quanto riguarda le galassie, si può misurarne la massa in base alle orbite generate dalle loro rotazioni e dalla velocità con cui si muovono le loro stelle: ma controllando l’esempio concreto di una lontana galassia a spirale, De Bernardis nota come la massa della galassia non sia sufficiente per permettere quel tipo di orbite e a quella velocità. Ci vorrebbe molta più massa per spiegarle: ed è già il secondo esempio che dimostra l’esistenza della misteriosa materia oscura, nel cui alone pare siano immerse le galassie.
“La materia oscura è presente in grande quantità nell’Universo: non sappiamo cos’è ma se non ci fosse da 5 a 10 volte più massa oscura che massa normale, non spiegheremmo tante cose. Non è mai stata misurata in laboratorio – continua De Bernardis – quindi non siamo soddisfatti. Noi vorremmo anche una misura diretta in laboratorio, non quelle indirette che abbiamo visto finora. È una sfida aperta. Forse ci riuscirà il Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra. L’astrofisica, che è la scienza dell’infinitamente grande, è quindi strettamente collegata alla fisica delle particelle alimentari, la scienza dell’infinitamente piccolo. Eppure – prosegue però – la materia oscura non è la componente più misteriosa dell’Universo. Ce ne è un’altra, più misteriosa, che ha i suoi effetti in cosmologia, la scienza che studia l’insieme dell’Universo e la sua evoluzione”.
E qui il professore rivela la grande e straordinaria possibilità che questi studi permettono: osservare addirittura il passato dell’Universo. Il tutto studiando la luce, che come si diceva viaggia a circa un miliardo di km all’ora. Ma per quanto sia grande la velocità della luce, gli spazi dell’Universo sono così vasti che quando la sorgente di luce è particolarmente lontana, a galassie di distanza, può richiedere molto tempo per arrivare fino a noi. “La luce del sole – spiega De Bernardis – impiega 8 minuti per arrivare da noi, mentre la luce della galassia di Andromeda ci mette 2 milioni di anni: quindi si trova a 2 milioni di anni luce di distanza da noi. Ci sono galassie ancora più lontane, ad esempio circa 10 miliardi di anni luce di distanza da noi: quando le osserviamo stiamo vedendo com’era l’Universo 10 miliardi di anni fa, quando la luce è partita”.
Finora si è riusciti ad osservare galassie fino a 13,7 miliardi di anni luce di distanza: è la visione di come era il cosmo 13,7 miliardi di anni fa, solo 380000 anni dopo il presunto Big Bang. A questo punto il professore si pone una domanda ambiziosa e impegnativa: “Ma se io guardassi ancora più lontano, forse posso vedere ancora prima di allora? Magari posso vedere cosa è successo all’inizio? Possiamo avere l’ambizione di guardare l’origine dell’Universo stesso?”. Per rispondere a questo interessante quesito serviranno strumenti particolari, telescopi ancora più sensibili di quelli al momento a disposizione, ma soprattutto bisogna tenere conto di una cosa particolarmente utile dal punto di vista pratico e che si è scoperta osservando le galassie lontane: il cosiddetto redshift.
Quasi 100 anni fa, intorno agli anni ’20, Carl Wirtz ed Edwin Dubble scoprirono questo fenomeno: più una galassia è distante, più la luce che ci arriva da essa è spostata su lunghezze d’onda grandi, e quindi verso il colore rosso. Il redshift è stato osservato per milioni di galassie. “È un fenomeno impossibile da spiegare in un Universo statico”, continua De Bernardis. “L’unica spiegazione è che l’Universo si stia espandendo, trascinando con sé le galassie, che si stanno tutte allontanando le une dalle altre. Come in un panettone che sta lievitando, in cui la pasta si espande e trascina le uvette che si separano tutte le une dalle altre, così le galassie si allontanano. Se una galassia è più distante, la luce ha impiegato molto tempo per arrivare fino a noi. Quindi nel frattempo l’Universo si è espanso molto e quindi anche la lunghezza d’onda di quella luce si è espansa molto. Più è lontana la galassia, più si è allungata la lunghezza d’onda. Può succedere che una luce blu che viaggia verso di noi partendo da una stella blu di una galassia lontana, nel suo movimento diventa prima luce verde allungandosi mentre le nostre due galassie si allontanano, e quando arriva a noi è diventata rossa. Vuol dire che, siccome il rapporto tra le due lunghezze è circa 2, nel frattempo l’Universo si è espanso due volte. Se vogliamo guardare lontanissimo nell’Universo, la luce che viene da là si è espansa tanto. Non due volte in lunghezze d’onda, magari dieci, cento o mille volte, dipende quanto si è espanso. C’è una proporzionalità tra la distanza da noi e il redshift”.
Tuttavia, analizzando le supernovae, ossia le esplosioni delle stelle il cui ciclo vitale è terminato, si è notato che quelle con grande redshift sembrano essere sistematicamente più deboli di quanto ci si aspetterebbe. Ma la supernova con redshift maggiore di tutte, invece, sembra rientrare nella norma. È possibile che questo sia dovuto al fatto che, qualche miliardo di anni fa, l’espansione dell’Universo abbia iniziato ad accelerare. Ma questo non potrebbe accadere se nell’Universo ci fossero soltanto materia e radiazione: anche questo fatto dipende quindi dalla presenza dell’energia oscura, la cui natura fisica è ancor più ignota di quella della materia oscura…
La termodinamica spiega che un mezzo che si espande si raffredda. Quindi se ci troviamo in un Universo in espansione, l’Universo primordiale doveva essere più caldo. E dato che si è espanso doveva essere più denso. “Guardare lontano – rivela il professore – vuol dire guardare indietro nel tempo. La previsione è che se riusciremo a guardare abbastanza lontano vedremo un Universo caldo come la superficie del Sole, qualche migliaio di gradi”. È a queste elevate temperature infatti che avviene un fenomeno importante: gli elettroni si staccano dagli atomi e la luce interagisce con essi, venendo continuamente deviata. “Provate a guardare una lampadina che sta dietro la nebbia: non riuscirete a vedere dove si trova perché – prosegue De Bernardis – la luce proveniente da essa è stata diffusa moltissime volte e continuamente dalle goccioline d’acqua della nebbia, quindi vedremmo solo un alone luminoso sparso: la lampadina non si vede più, ma la luce proviene da molte direzioni diverse, è diffusa. C’è quindi un problema che frena la nostra straordinaria ambizione di guardare l’inizio dell’Universo. Quando si arriva in quella situazione l’Universo non è più trasparente, sarebbe come guardare all’interno del sole: incandescente e opaco, non c’è verso di guardare quel che c’è dentro. Quindi per ora potremo andare indietro nel tempo fino a questo momento, quando l’Universo aveva una temperatura di circa tremila gradi”.
Tramite il già citato esperimento BOOMERanG, De Bernardis e il suo team sono riusciti a realizzare l’immagine della fotosfera primordiale, di circa 13,7 miliardi di anni fa. Non è una simulazione: è proprio l’immagine reale dell’Universo di allora: una massa densa, incandescente e opaca, relativamente omogenea, simile alle foto ravvicinate del nostro Sole. Quella immagine è stata ottenuta studiando le microonde che provenivano dall’Universo primordiale: quella che era all’epoca una luce abbagliante è diventata oramai un flebile fondo di microonde, allungandone le lunghezze d’onda mille volte.
“Se vogliamo fare questa misura dobbiamo dotarci di telescopi per lunghezze d’onda mille volte più lunghe della luce visibile, telescopi per le microonde e rilevatori per microonde”, spiega De Bernardis. Questa misura è stata fatta per la prima volta per caso nel 1965 da Arno Penzias e Robert Wilson, premi Nobel per la fisica, che hanno ideato uno strumento all’epoca nuovo, il telescopio per microonde, uno strumento nuovo, scoprendo così la radiazione cosmica di fondo, ovvero la radiazione elettromagnetica residua proveniente dal Big Bang. “Da allora – prosegue il professore – questa luce dell’Universo primordiale è stata studiata con grande dettaglio ed è stata studiata la sua distribuzione, che è quella di un oggetto caldo raffreddato poi di mille volte, dalle lunghezze d’onda allungate mille volte. Se uno guarda il cielo, da tutte le direzioni che possiamo osservare troviamo sempre la stessa quantità di microonde. Perché siamo immersi nell’Universo e dovunque guardiamo andremo a sbattere su questa sfera di fuoco dell’Universo primordiale”.
Molti anni fa il professore ha cominciato a cercare di fare le misure andando in luoghi molto freddi e molto secchi come ad esempio Terranova Bay in Antartide: questo perché le microonde vengono assorbite dal vapor d’acqua, proprio come nel forno a microonde esse interagiscono con l’acqua e la scaldano. Le microonde che vengono dall’Universo primordiale interagiscono col vapore acqueo atmosferico e si fermano lì, non arrivano a terra. Quindi per evitare che le microonde vengano assorbite bisogna andare in zone molto fredde dove il vapor d’acqua atmosferico è congelato, oppure fuori dall’atmosfera. Ed è per questo che nel 1998 è stato lanciato oltre l’atmosfera terrestre un telescopio per microonde mediante un pallone stratosferico.
Dopo la missione Planck e i successivi esperimenti, De Bernardis sostiene che ormai sia possibile anche “pesare” l’Universo. E i risultati dimostrano che la densità totale massa-energia dell’Universo è molta di più di quella della materia normale…ma anche molta di più della materia oscura. “C’è dell’altro – conclude De Bernardis – ed è qualcosa che non sappiamo ancora cos’è. Finora abbiamo capito molte cose, cose abbastanza interessanti e a volte sconvolgenti…ma c’è ancora moltissimo da capire”.
Il futuro è aperto, quindi, e le sfide sono ancora molte: chissà se presto si riusciranno a studiare i primi attimi di vita del nostro Universo, e chissà se si riuscirà a scoprire qual è la natura della materia oscura, ma anche di quel qualcosa di ancor più misterioso di essa, tanto sconosciuto da non avere ancora nemmeno un nome, aldilà di quello che gli hanno dato provvisoriamente i cosmologi: l’energia oscura…
Massimo Sestili
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Quando tutti e tre sono perfettamente allineati, c’è un’eclissi totale: a Roma l’eclissi è stata parziale perché
l’allineamento non era perfetto”, spiega il professore. Nel seguito vedremo che i movimenti dei corpi celesti
permettono di stabilire quanta materia ( massa) è presente nell’universo, e che l’interazione di questa materia con
la luce, nelle sue diverse forme (o l’assenza di interazione), permette di studiarne la natura. “Un fenomeno del
genere ci ricorda che i corpi celesti si muovono: tutto nell’Universo si muove. Ci ricorda che l’astronomia si basa
sull’osservazione di luce che viene dall’Universo e che può venire modificata nel suo lungo percorso. In questo
caso la modifica è evidente: viene addirittura interrotto il flusso luminoso del sole a causa della Luna che è
interposta. Il movimento dei corpi celesti – prosegue l’astrofisico – ci permette di stabilire quanta materia, quanta
massa c’è nell’Universo. E l’interazione della luce che proviene dai corpi celesti con la materia interposta ci
permette di studiare questa luce in grande dettaglio, e quindi di capire di cosa sono fatti i corpi celesti”.
L’astronomia si basa proprio su questo: lo studio della luce provenienti da sorgenti lontane, che a volte nel suo
viaggio può essere modificata, o addirittura bloccata, dalla materia interposta.
L’eclissi citata è un fenomeno semplice, ma nell’Universo ne avvengono di tutti i tipi, altre eclissi anche in stelle
lontane: fenomeni che possono risultare particolarmente utili per gli astronomi. Ad esempio, questo permette di
scoprire che esistono migliaia di pianeti extrasolari, ovvero che orbitano attorno ad altre stelle diverse dal Sole : ne
sono stati scoperti già oltre duemila. “Finalmente, da neanche così tanti anni, abbiamo quindi la conferma che il
nostro sistema solare non è speciale: esistono altri soli, con altri pianeti che vi orbitano attorno”, commenta De
Bernardis.
Notando e studiando le diminuzioni dell’intensità luminose delle stelle, dovute al fatto che la luce della stella viene
intercettata dal pianeta che le orbita attorno, sono stati scoperti numerosi pianeti dalle caratteristiche più
disparate : lavici, fusi in superficie per la vicinanza con la stella, oppure che orbitano attorno a due soli.
“In futuro – prosegue il professore – si pensa addirittura di studiare come viene modificata la luce della stella
quando passa attraverso l’atmosfera del pianeta, e quindi di capire di cosa è fatta tale atmosfera. Capire, ad
esempio, se ci sono gas come biossido di carbonio o metano: sono indicatori di vita. Questo era solo per dare un
esempio di quanto siano importanti questi fenomeni di allineamento per capire di cosa è fatto l’Universo.”. Una
stella, spiega, è una sfera di gas incandescente. Alla superficie la temperatura è di qualche migliaio di gradi, al
centro decine di milioni di gradi. È talmente calda che possono avvenire reazioni di fusione termonucleare, per
cui elementi più leggeri si fondono per generare elementi più pesanti e rilasciare energia.
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Nel Sole questa energia è circa un miliardo di miliardi di miliardi di watt perché in ogni istante ci sono miliardi di tonnellate di idrogeno che vengono convertite in elio. E il Sole è una stella medio-piccola. Ammassi di stelle formano le galassie, le quali possono a loro volta allinearsi e interporsi tra loro come in un’eclissi. De Bernardis mostra l’esempio dell’allineamento tra la Terra e due galassie, una gialla e una blu più lontana, che genera una stranissima eclissi: la massa della galassia interposta è tale da deformare lo spazio circostante ad essa. La luce deflessa della galassia blu passa quindi intorno alla galassia gialla, formando quello che sembra un anello: a seconda della massa della galassia intermedia in questione, il diametro dell’anello sarà diverso. Normalmente una galassia è fatta da 100 miliardi di stelle, come si può stimare dalla sua emissione complessiva di luce: la sua massa, pertanto, dovrebbe essere all’incirca 100 miliardi di volte la massa della stella. Nel caso specifico esaminato, tuttavia,
il diametro dell’anello è diverso da quello che ci si aspetterebbe: la massa della galassia è molta più del previsto, e questo dimostra la presenza di “qualcos’altro” che ne ha aumentato la massa. Si tratta della cosiddetta materia oscura, una materia che pur avendo massa non interagisce con la luce: non la produce né la assorbe.
Una galassia è fatta da una struttura di materia normale che emette luce o la assorbe, circondata magari da una nuvola di neutrini, che hanno una massa piccolissima, così piccola che nessuno è ancora riuscito a misurarla. “Esiste però un’altra particella – avverte De Bernardis – simile al neutrino ma più grande,
e da quanto capiamo l’entità di massa nell’Universo in questa forma oscura dovrebbe essere 10 volte più grande di quella in forma luminosa, ossia della materia normale di cui siamo fatti noi e le stelle”. In quanto fisico, De Bernardis spiega che la luce è oscillazione di un campo elettromagnetico, e noi vediamo lunghezze d’onda diverse come colori diversi: se analizziamo la luce con uno spettrometro, ad esempio un prisma, ci accorgiamo che è fatta da lunghezze d’onda di tutti i tipi, alcune delle quali non riusciamo a vedere con i nostri occhi, ossia quelle più brevi del viola e quelle più lunghe del rosso. Ma, spiega l’astrofisico, se uno analizza non grande dettaglio la distribuzione delle lunghezze d’onda delle stelle noterà che non tutti i colori sono presenti: ci sono circa un milione di lunghezze d’onda diverse in cui non arriva luce, mentre in teoria da un oggetto incandescente semplice dovrebbe arrivare da tutte le lunghezze d’onda. Gli atomi di idrogeno, ad esempio, dovrebbero intercettare quelle particolari onde di lunghezza, a meno che non si stiano muovendo.
Ed è proprio tenendo conto di questo che si possono analizzare le stelle e capire se sono fatte di idrogeno, carbonio o ferro, oppure se si stanno muovendo, dato che in quel caso l’effetto Doppler modifica le loro lunghezze d’onda in modo molto caratteristico. L’effetto Doppler viene normalmente spiegato con l’esempio dell’ambulanza: se essa è ferma, sia chi è davanti ad essa sia chi è dietro ad essa sente lo stesso suono, alla stessa frequenza; ma se l’ambulanza si muove, colui da cui l’ambulanza si allontana riceve lunghezze d’onda più lunghe, e quindi un suono più grave, mentre colui verso cui l’ambulanza si avvicina riceve lunghezze d’onda più brevi e quindi un suono più acuto. Se invece l’ambulanza passa davanti all’osservatore, costui sentirà prima il suono acuto e poi quello più grave. Qualsiasi fenomeno ondulatorio, quindi, viene modificato dal movimento della sorgente: anche l’emissione di luce.
Cosa importante in questo caso è il rapporto tra la velocità della sorgente e la velocità dell’onda. Nel caso del suono la velocità è relativamente bassa e quindi ce ne accorgiamo facilmente. Nel caso della luce generalmente no perché la velocità è elevatissima, circa un miliardo di km all’ora: quando una stella si allontana a un millesimo della velocità della luce però il fisico può accorgersene, anche grazie ai propri strumenti che permettono di vedere la variazione della lunghezza d’onda di un millesimo: quindi può misurare la velocità con cui si muovono le stelle semplicemente vedendo quanto si spostano le loro lunghezze d’onda. Questo permette ad esempio di studiare come si muovono e come girano le galassie, e a quale velocità.
“Newton – continua De Bernardis – ci ha spiegato che c’è una relazione tra forza e accelerazione. Tutte le volte che una massa si muove in modo accelerato, quindi non rettilineo e non uniforme, vuol dire che sta agendo una forza. Nel caso di un’orbita circolare, come nel sistema solare, ci dev’essere una forza che attrae la Terra verso il Sole…sennò ce ne andremmo per i fatti nostri! Come in una giostra che gira, c’è un vincolo – in quel caso la catena – che tiene ferme le seggiole per evitare che vengano lanciate via dalla forza centrifuga: noi al posto della catena abbiamo la forza di gravitazione universale, dovuta alla massa del Sole e alla massa della Terra…e si può anche stabilire qual è la massa che ci vuole nel Sole per far ruotare la Terra proprio con quel raggio di curvatura”.
Anche per quanto riguarda le galassie, si può misurarne la massa in base alle orbite generate dalle loro rotazioni e dalla velocità con cui si muovono le loro stelle: ma controllando l’esempio concreto di una lontana galassia a spirale, De Bernardis nota come la massa della galassia non sia sufficiente per permettere quel tipo di orbite e a quella velocità. Ci vorrebbe molta più massa per spiegarle: ed è già il secondo esempio che dimostra l’esistenza della misteriosa materia oscura, nel cui alone pare siano immerse le galassie.
“La materia oscura è presente in grande quantità nell’Universo: non sappiamo cos’è ma se non ci fosse da 5 a 10 volte più massa oscura che massa normale, non spiegheremmo tante cose. Non è mai stata misurata in laboratorio – continua De Bernardis – quindi non siamo soddisfatti. Noi vorremmo anche una misura diretta in laboratorio, non quelle indirette che abbiamo visto finora. È una sfida aperta. Forse ci riuscirà il Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra. L’astrofisica, che è la scienza dell’infinitamente grande, è quindi strettamente collegata alla fisica delle particelle alimentari, la scienza dell’infinitamente piccolo. Eppure – prosegue però – la materia oscura non è la componente più misteriosa dell’Universo. Ce ne è un’altra, più misteriosa, che ha i suoi effetti in cosmologia, la scienza che studia l’insieme dell’Universo e la sua evoluzione”.
E qui il professore rivela la grande e straordinaria possibilità che questi studi permettono: osservare addirittura il passato dell’Universo. Il tutto studiando la luce, che come si diceva viaggia a circa un miliardo di km all’ora. Ma per quanto sia grande la velocità della luce, gli spazi dell’Universo sono così vasti che quando la sorgente di luce è particolarmente lontana, a galassie di distanza, può richiedere molto tempo per arrivare fino a noi. “La luce del sole – spiega De Bernardis – impiega 8 minuti per arrivare da noi, mentre la luce della galassia di Andromeda ci mette 2 milioni di anni: quindi si trova a 2 milioni di anni luce di distanza da noi. Ci sono galassie ancora più lontane, ad esempio circa 10 miliardi di anni luce di distanza da noi: quando le osserviamo stiamo vedendo com’era l’Universo 10 miliardi di anni fa, quando la luce è partita”.
Finora si è riusciti ad osservare galassie fino a 13,7 miliardi di anni luce di distanza: è la visione di come era il cosmo 13,7 miliardi di anni fa, solo 380000 anni dopo il presunto Big Bang. A questo punto il professore si pone una domanda ambiziosa e impegnativa: “Ma se io guardassi ancora più lontano, forse posso vedere ancora prima di allora? Magari posso vedere cosa è successo all’inizio? Possiamo avere l’ambizione di guardare l’origine dell’Universo stesso?”. Per rispondere a questo interessante quesito serviranno strumenti particolari, telescopi ancora più sensibili di quelli al momento a disposizione, ma soprattutto bisogna tenere conto di una cosa particolarmente utile dal punto di vista pratico e che si è scoperta osservando le galassie lontane: il cosiddetto redshift.
Quasi 100 anni fa, intorno agli anni ’20, Carl Wirtz ed Edwin Dubble scoprirono questo fenomeno: più una galassia è distante, più la luce che ci arriva da essa è spostata su lunghezze d’onda grandi, e quindi verso il colore rosso. Il redshift è stato osservato per milioni di galassie. “È un fenomeno impossibile da spiegare in un Universo statico”, continua De Bernardis. “L’unica spiegazione è che l’Universo si stia espandendo, trascinando con sé le galassie, che si stanno tutte allontanando le une dalle altre. Come in un panettone che sta lievitando, in cui la pasta si espande e trascina le uvette che si separano tutte le une dalle altre, così le galassie si allontanano. Se una galassia è più distante, la luce ha impiegato molto tempo per arrivare fino a noi. Quindi nel frattempo l’Universo si è espanso molto e quindi anche la lunghezza d’onda di quella luce si è espansa molto. Più è lontana la galassia, più si è allungata la lunghezza d’onda. Può succedere che una luce blu che viaggia verso di noi partendo da una stella blu di una galassia lontana, nel suo movimento diventa prima luce verde allungandosi mentre le nostre due galassie si allontanano, e quando arriva a noi è diventata rossa. Vuol dire che, siccome il rapporto tra le due lunghezze è circa 2, nel frattempo l’Universo si è espanso due volte. Se vogliamo guardare lontanissimo nell’Universo, la luce che viene da là si è espansa tanto. Non due volte in lunghezze d’onda, magari dieci, cento o mille volte, dipende quanto si è espanso. C’è una proporzionalità tra la distanza da noi e il redshift”.
Tuttavia, analizzando le supernovae, ossia le esplosioni delle stelle il cui ciclo vitale è terminato, si è notato che quelle con grande redshift sembrano essere sistematicamente più deboli di quanto ci si aspetterebbe. Ma la supernova con redshift maggiore di tutte, invece, sembra rientrare nella norma. È possibile che questo sia dovuto al fatto che, qualche miliardo di anni fa, l’espansione dell’Universo abbia iniziato ad accelerare. Ma questo non potrebbe accadere se nell’Universo ci fossero soltanto materia e radiazione: anche questo fatto dipende quindi dalla presenza dell’energia oscura, la cui natura fisica è ancor più ignota di quella della materia oscura…
La termodinamica spiega che un mezzo che si espande si raffredda. Quindi se ci troviamo in un Universo in espansione, l’Universo primordiale doveva essere più caldo. E dato che si è espanso doveva essere più denso. “Guardare lontano – rivela il professore – vuol dire guardare indietro nel tempo. La previsione è che se riusciremo a guardare abbastanza lontano vedremo un Universo caldo come la superficie del Sole, qualche migliaio di gradi”. È a queste elevate temperature infatti che avviene un fenomeno importante: gli elettroni si staccano dagli atomi e la luce interagisce con essi, venendo continuamente deviata. “Provate a guardare una lampadina che sta dietro la nebbia: non riuscirete a vedere dove si trova perché – prosegue De Bernardis – la luce proveniente da essa è stata diffusa moltissime volte e continuamente dalle goccioline d’acqua della nebbia, quindi vedremmo solo un alone luminoso sparso: la lampadina non si vede più, ma la luce proviene da molte direzioni diverse, è diffusa. C’è quindi un problema che frena la nostra straordinaria ambizione di guardare l’inizio dell’Universo. Quando si arriva in quella situazione l’Universo non è più trasparente, sarebbe come guardare all’interno del sole: incandescente e opaco, non c’è verso di guardare quel che c’è dentro. Quindi per ora potremo andare indietro nel tempo fino a questo momento, quando l’Universo aveva una temperatura di circa tremila gradi”.
Tramite il già citato esperimento BOOMERanG, De Bernardis e il suo team sono riusciti a realizzare l’immagine della fotosfera primordiale, di circa 13,7 miliardi di anni fa. Non è una simulazione: è proprio l’immagine reale dell’Universo di allora: una massa densa, incandescente e opaca, relativamente omogenea, simile alle foto ravvicinate del nostro Sole. Quella immagine è stata ottenuta studiando le microonde che provenivano dall’Universo primordiale: quella che era all’epoca una luce abbagliante è diventata oramai un flebile fondo di microonde, allungandone le lunghezze d’onda mille volte.
“Se vogliamo fare questa misura dobbiamo dotarci di telescopi per lunghezze d’onda mille volte più lunghe della luce visibile, telescopi per le microonde e rilevatori per microonde”, spiega De Bernardis. Questa misura è stata fatta per la prima volta per caso nel 1965 da Arno Penzias e Robert Wilson, premi Nobel per la fisica, che hanno ideato uno strumento all’epoca nuovo, il telescopio per microonde, uno strumento nuovo, scoprendo così la radiazione cosmica di fondo, ovvero la radiazione elettromagnetica residua proveniente dal Big Bang. “Da allora – prosegue il professore – questa luce dell’Universo primordiale è stata studiata con grande dettaglio ed è stata studiata la sua distribuzione, che è quella di un oggetto caldo raffreddato poi di mille volte, dalle lunghezze d’onda allungate mille volte. Se uno guarda il cielo, da tutte le direzioni che possiamo osservare troviamo sempre la stessa quantità di microonde. Perché siamo immersi nell’Universo e dovunque guardiamo andremo a sbattere su questa sfera di fuoco dell’Universo primordiale”.
Molti anni fa il professore ha cominciato a cercare di fare le misure andando in luoghi molto freddi e molto secchi come ad esempio Terranova Bay in Antartide: questo perché le microonde vengono assorbite dal vapor d’acqua, proprio come nel forno a microonde esse interagiscono con l’acqua e la scaldano. Le microonde che vengono dall’Universo primordiale interagiscono col vapore acqueo atmosferico e si fermano lì, non arrivano a terra. Quindi per evitare che le microonde vengano assorbite bisogna andare in zone molto fredde dove il vapor d’acqua atmosferico è congelato, oppure fuori dall’atmosfera. Ed è per questo che nel 1998 è stato lanciato oltre l’atmosfera terrestre un telescopio per microonde mediante un pallone stratosferico.
Dopo la missione Planck e i successivi esperimenti, De Bernardis sostiene che ormai sia possibile anche “pesare” l’Universo. E i risultati dimostrano che la densità totale massa-energia dell’Universo è molta di più di quella della materia normale…ma anche molta di più della materia oscura. “C’è dell’altro – conclude De Bernardis – ed è qualcosa che non sappiamo ancora cos’è. Finora abbiamo capito molte cose, cose abbastanza interessanti e a volte sconvolgenti…ma c’è ancora moltissimo da capire”.
Il futuro è aperto, quindi, e le sfide sono ancora molte: chissà se presto si riusciranno a studiare i primi attimi di vita del nostro Universo, e chissà se si riuscirà a scoprire qual è la natura della materia oscura, ma anche di quel qualcosa di ancor più misterioso di essa, tanto sconosciuto da non avere ancora nemmeno un nome, aldilà di quello che gli hanno dato provvisoriamente i cosmologi: l’energia oscura…
Massimo Sestili
CENTRO STUDI MILITARI AERONAUTICI “GIULIO DOUHET”
HTTP : // www.cesmamil.org
MAIL [email protected]
TEL. +39 06 3214879 / 3215145
FAX. +39 06 3214879
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OSSERVARE L’UNIVERSO
ALLA RICERCA DELLE ORIGINI DELL’UNIVERSO
Nel Sole questa energia è circa un miliardo di miliardi di miliardi di watt perché in ogni istante ci sono miliardi di
tonnellate di idrogeno che vengono convertite in elio. E il Sole è una stella medio-piccola. Ammassi di stelle
formano le galassie, le quali possono a loro volta allinearsi e interporsi tra loro come in un’eclissi. De Bernardis
mostra l’esempio dell’allineamento tra la Terra e due galassie, una gialla e una blu più lontana, che genera una
stranissima eclissi: la massa della galassia interposta è tale da deformare lo spazio circostante ad essa. La luce
deflessa della galassia blu passa quindi intorno alla galassia gialla, formando quello che sembra un anello : a
seconda della massa della galassia intermedia in questione, il diametro dell’anello sarà diverso. Normalmente
una galassia è fatta da 100 miliardi di stelle, come si può stimare dalla sua emissione complessiva di luce: la sua
massa, pertanto, dovrebbe essere all’incirca 100 miliardi di volte la massa della stella. Nel caso specifico
esaminato, tuttavia, il diametro dell’anello è diverso da quello che ci si aspetterebbe: la massa della galassia è
molta più del previsto, e questo dimostra la presenza di “qualcos’altro” che ne ha aumentato la massa. Si tratta
della cosiddetta materia oscura, una materia che pur avendo massa non interagisce con la luce: non la produce
né la assorbe.
Una galassia è fatta da una struttura di materia normale che emette luce o la assorbe, circondata magari da una
nuvola di neutrini, che hanno una massa piccolissima, così piccola che nessuno è ancora riuscito a misurarla.
“Esiste però un’altra particella – avverte De Bernardis – simile al neutrino ma più grande, e da quanto capiamo
l’entità di massa nell’Universo in questa forma oscura dovrebbe essere 10 volte più grande di quella in forma
luminosa, ossia della materia normale di cui siamo fatti noi e le stelle”. In quanto fisico, De Bernardis spiega che
la luce è oscillazione di un campo elettromagnetico, e noi vediamo lunghezze d’onda diverse come colori diversi :
se analizziamo la luce con uno spettrometro, ad esempio un prisma, ci accorgiamo che è fatta da lunghezze
d’onda di tutti i tipi, alcune delle quali non riusciamo a vedere con i nostri occhi, ossia quelle più brevi del viola e
quelle più lunghe del rosso. Ma, spiega l’astrofisico, se uno analizza non grande dettaglio la distribuzione delle
lunghezze d’onda delle stelle noterà che non tutti i colori sono presenti: ci sono circa un milione di lunghezze
d’onda diverse in cui non arriva luce, mentre in teoria da un oggetto incandescente semplice dovrebbe arrivare
da tutte le lunghezze d’onda. Gli atomi di idrogeno, ad esempio, dovrebbero intercettare quelle particolari onde
di lunghezza, a meno che non si stiano muovendo. Ed è proprio tenendo conto di questo che si possono
analizzare le stelle e capire se sono fatte di idrogeno, carbonio o ferro, oppure se si stanno muovendo, dato che in
quel caso l’effetto Doppler modifica le loro lunghezze d’onda in modo molto caratteristico.
3/7
TEL +39 06 3214879 / 3215145
Direttore
Vice direttore
Gruppo di Comunicazione
MOB +39 334 9162105
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Gen Isp (r) Nazzareno Cardinali
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Gen. B.A. (r) Gaetano Battaglia
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Dr. Gustavo Scotti di Uccio
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L’effetto Doppler viene normalmente spiegato con l’esempio dell’ambulanza: se essa è ferma, sia chi è davanti ad
essa sia chi è dietro ad essa sente lo stesso suono, alla stessa frequenza; ma se l’ambulanza si muove, colui da cui
l’ambulanza si allontana riceve lunghezze d’onda più lunghe, e quindi un suono più grave, mentre colui verso cui
l’ambulanza si avvicina riceve lunghezze d’onda più brevi e quindi un suono più acuto. Se invece l’ambulanza
passa davanti all’osservatore, costui sentirà prima il suono acuto e poi quello più grave. Qualsiasi fenomeno
ondulatorio, quindi, viene modificato dal movimento della sorgente: anche l’emissione di luce.
Cosa importante in questo caso è il rapporto tra la velocità della sorgente e la velocità dell’onda. Nel caso del suono
la velocità è relativamente bassa e quindi ce ne accorgiamo facilmente. Nel caso della luce generalmente no perché
la velocità è elevatissima, circa un miliardo di km all’ora: quando una stella si allontana a un millesimo della
velocità della luce però il fisico può accorgersene, anche grazie ai propri strumenti che permettono di vedere la
variazione della lunghezza d’onda di un millesimo: quindi può misurare la velocità con cui si muovono le stelle
semplicemente vedendo quanto si spostano le loro lunghezze d’onda. Questo permette ad esempio di studiare
come si muovono e come girano le galassie, e a quale velocità.
“Newton – continua De Bernardis – ci ha spiegato che c’è una relazione tra forza e accelerazione. Tutte le volte che
una massa si muove in modo accelerato, quindi non rettilineo e non uniforme, vuol dire che sta agendo una forza.
Nel caso di un’orbita circolare, come nel sistema solare, ci dev’essere una forza che attrae la Terra verso il Sole…
sennò ce ne andremmo per i fatti nostri! Come in una giostra che gira, c’è un vincolo – in quel caso la catena – che
tiene ferme le seggiole per evitare che vengano lanciate via dalla forza centrifuga: noi al posto della catena
abbiamo la forza di gravitazione universale, dovuta alla massa del Sole e alla massa della Terra…e si può anche
stabilire qual è la massa che ci vuole nel Sole per far ruotare la Terra proprio con quel raggio di curvatura”.
Anche per quanto riguarda le galassie, si può misurarne la massa in base alle orbite generate dalle loro rotazioni e
dalla velocità con cui si muovono le loro stelle: ma controllando l’esempio concreto di una lontana galassia a
spirale, De Bernardis nota come la massa della galassia non sia sufficiente per permettere quel tipo di orbite e a
quella velocità. Ci vorrebbe molta più massa per spiegarle: ed è già il secondo esempio che dimostra l’esistenza
della misteriosa materia oscura, nel cui alone pare siano immerse le galassie.
“La materia oscura è presente in grande quantità nell’Universo: non sappiamo cos’è ma se non ci fosse da 5 a 10
volte più massa oscura che massa normale, non spiegheremmo tante cose. Non è mai stata misurata in
laboratorio – continua De Bernardis – quindi non siamo soddisfatti. Noi vorremmo anche una misura diretta in
laboratorio, non quelle indirette che abbiamo visto finora.
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È una sfida aperta. Forse ci riuscirà il Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra.
L’astrofisica, che è la scienza dell’infinitamente grande, è quindi strettamente collegata alla fisica delle particelle
alimentari, la scienza dell’infinitamente piccolo. Eppure – prosegue però – la materia oscura non è la componente
più misteriosa dell’Universo. Ce ne è un’altra, più misteriosa, che ha i suoi effetti in cosmologia, la scienza che
studia l’insieme dell’Universo e la sua evoluzione”.
E qui il professore rivela la grande e straordinaria possibilità che questi studi permettono: osservare addirittura il
passato dell’Universo. Il tutto studiando la luce, che come si diceva viaggia a circa un miliardo di km all’ora. Ma
per quanto sia grande la velocità della luce, gli spazi dell’Universo sono così vasti che quando la sorgente di luce è
particolarmente lontana, a galassie di distanza, può richiedere molto tempo per arrivare fino a noi. “La luce del
sole – spiega De Bernardis – impiega 8 minuti per arrivare da noi, mentre la luce della galassia di Andromeda ci
mette 2 milioni di anni: quindi si trova a 2 milioni di anni luce di distanza da noi. Ci sono galassie ancora più
lontane, ad esempio circa 10 miliardi di anni luce di distanza da noi: quando le osserviamo stiamo vedendo
com’era l’Universo 10 miliardi di anni fa, quando la luce è partita”.
Finora si è riusciti ad osservare galassie fino a 13,7 miliardi di anni luce di distanza: è la visione di come era il
cosmo 13,7 miliardi di anni fa, solo 380000 anni dopo il presunto Big Bang. A questo punto il professore si pone
una domanda ambiziosa e impegnativa: “Ma se io guardassi ancora più lontano, forse posso vedere ancora prima
di allora? Magari posso vedere cosa è successo all’inizio? Possiamo avere l’ambizione di guardare l’origine
dell’Universo stesso?”. Per rispondere a questo interessante quesito serviranno strumenti particolari, telescopi
ancora più sensibili di quelli al momento a disposizione, ma soprattutto bisogna tenere conto di una cosa
particolarmente utile dal punto di vista pratico e che si è scoperta osservando le galassie lontane: il cosiddetto
redshift.
Quasi 100 anni fa, intorno agli anni ’20, Carl Wirtz ed Edwin Dubble scoprirono questo fenomeno: più una
galassia è distante, più la luce che ci arriva da essa è spostata su lunghezze d’onda grandi, e quindi verso il colore
rosso. Il redshift è stato osservato per milioni di galassie. “È un fenomeno impossibile da spiegare in un Universo
statico”, continua De Bernardis. “L’unica spiegazione è che l’Universo si stia espandendo, trascinando con sé le
galassie, che si stanno tutte allontanando le une dalle altre. Come in un panettone che sta lievitando, in cui la
pasta si espande e trascina le uvette che si separano tutte le une dalle altre, così le galassie si allontanano. Se una
galassia è più distante, la luce ha impiegato molto tempo per arrivare fino a noi. Quindi nel frattempo l’Universo
si è espanso molto e quindi anche la lunghezza d’onda di quella luce si è espansa molto. Più è lontana la galassia,
più si è allungata la lunghezza d’onda.
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Può succedere che una luce blu che viaggia verso di noi partendo da una stella blu di una galassia lontana, nel suo
movimento diventa prima luce verde allungandosi mentre le nostre due galassie si allontanano, e quando arriva a
noi è diventata rossa. Vuol dire che, siccome il rapporto tra le due lunghezze è circa 2, nel frattempo l’Universo si
è espanso due volte. Se vogliamo guardare lontanissimo nell’Universo, la luce che viene da là si è espansa tanto.
Non due volte in lunghezze d’onda, magari dieci, cento o mille volte, dipende quanto si è espanso. C’è una
proporzionalità tra la distanza da noi e il redshift”. Tuttavia, analizzando le supernovae, ossia le esplosioni delle
stelle il cui ciclo vitale è terminato, si è notato che quelle con grande redshift sembrano essere sistematicamente
più deboli di quanto ci si aspetterebbe. Ma la supernova con redshift maggiore di tutte, invece, sembra rientrare
nella norma. È possibile che questo sia dovuto al fatto che, qualche miliardo di anni fa, l’espansione dell’Universo
abbia iniziato ad accelerare. Ma questo non potrebbe accadere se nell’Universo ci fossero soltanto materia e
radiazione: anche questo fatto dipende quindi dalla presenza dell’energia oscura, la cui natura fisica è ancor più
ignota di quella della materia oscura… La termodinamica spiega che un mezzo che si espande si raffredda. Quindi
se ci troviamo in un Universo in espansione, l’Universo primordiale doveva essere più caldo. E dato che si è
espanso doveva essere più denso. “Guardare lontano – rivela il professore – vuol dire guardare indietro nel tempo.
La previsione è che se riusciremo a guardare abbastanza lontano vedremo un Universo caldo come la superficie del
Sole, qualche migliaio di gradi”. È a queste elevate temperature infatti che avviene un fenomeno importante : gli
elettroni si staccano dagli atomi e la luce interagisce con essi, venendo continuamente deviata. “Provate a guardare
una lampadina che sta dietro la nebbia: non riuscirete a vedere dove si trova perché – prosegue De Bernardis – la
luce proveniente da essa è stata diffusa moltissime volte e continuamente dalle goccioline d’acqua della nebbia,
quindi vedremmo solo un alone luminoso sparso: la lampadina non si vede più, ma la luce proviene da molte
direzioni diverse, è diffusa. C’è quindi un problema che frena la nostra straordinaria ambizione di guardare l’inizio
dell’Universo. Quando si arriva in quella situazione l’Universo non è più trasparente, sarebbe come guardare
all’interno del sole: incandescente e opaco, non c’è verso di guardare quel che c’è dentro. Quindi per ora potremo
andare indietro nel tempo fino a questo momento, quando l’Universo aveva una temperatura di circa tremila
gradi”. Tramite il già citato esperimento BOOMERanG, De Bernardis e il suo team sono riusciti a realizzare
l’immagine della fotosfera primordiale, di circa 13,7 miliardi di anni fa. Non è una simulazione : è proprio
l’immagine reale dell’Universo di allora: una massa densa, incandescente e opaca, relativamente omogenea, simile
alle foto ravvicinate del nostro Sole. Quella immagine è stata ottenuta studiando le microonde che provenivano
dall’Universo primordiale: quella che era all’epoca una luce abbagliante è diventata oramai un flebile fondo di
microonde, allungandone le lunghezze d’onda mille volte.
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“Se vogliamo fare questa misura dobbiamo dotarci di telescopi per lunghezze d’onda mille volte più lunghe della
luce visibile, telescopi per le microonde e rilevatori per microonde”, spiega De Bernardis. Questa misura è stata
fatta per la prima volta per caso nel 1965 da Arno Penzias e Robert Wilson, premi Nobel per la fisica, che hanno
ideato uno strumento all’epoca nuovo, il telescopio per microonde, uno strumento nuovo, scoprendo così la
radiazione cosmica di fondo, ovvero la radiazione elettromagnetica residua proveniente dal Big Bang. “Da allora
prosegue il professore – questa luce dell’Universo primordiale è stata studiata con grande dettaglio ed è stata
studiata la sua distribuzione, che è quella di un oggetto caldo raffreddato poi di mille volte, dalle lunghezze d’onda
allungate mille volte. Se uno guarda il cielo, da tutte le direzioni che possiamo osservare troviamo sempre la stessa
quantità di microonde. Perché siamo immersi nell’Universo e dovunque guardiamo andremo a sbattere su questa
sfera di fuoco dell’Universo primordiale”.
Molti anni fa il professore ha cominciato a cercare di fare le misure andando in luoghi molto freddi e molto secchi
come ad esempio Terranova Bay in Antartide: questo perché le microonde vengono assorbite dal vapor d’acqua,
proprio come nel forno a microonde esse interagiscono con l’acqua e la scaldano. Le microonde che vengono
dall’Universo primordiale interagiscono col vapore acqueo atmosferico e si fermano lì, non arrivano a terra.
Quindi per evitare che le microonde vengano assorbite bisogna andare in zone molto fredde dove il vapor d’acqua
atmosferico è congelato, oppure fuori dall’atmosfera. Ed è per questo che nel 1998 è stato lanciato oltre l’atmosfera
terrestre un telescopio per microonde mediante un pallone stratosferico.
Dopo la missione Planck e i successivi esperimenti, De Bernardis sostiene che ormai sia possibile anche “pesare”
l’Universo. E i risultati dimostrano che la densità totale massa-energia dell’Universo è molta di più di quella della
materia normale…ma anche molta di più della materia oscura. “C’è dell’altro – conclude De Bernardis – ed è
qualcosa che non sappiamo ancora cos’è. Finora abbiamo capito molte cose, cose abbastanza interessanti e a volte
sconvolgenti…ma c’è ancora moltissimo da capire”.
Il futuro è aperto, quindi, e le sfide sono ancora molte: chissà se presto si riusciranno a studiare i primi attimi di
vita del nostro Universo, e chissà se si riuscirà a scoprire qual è la natura della materia oscura, ma anche di quel
qualcosa di ancor più misterioso di essa, tanto sconosciuto da non avere ancora nemmeno un nome, aldilà di
quello che gli hanno dato provvisoriamente i cosmologi : l’energia oscura…
Massimo Sestili
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