1 APPROCCIO DEI MEDICI DI FAMIGLIA ALL`EPATITE C: UNO

APPROCCIO DEI MEDICI DI FAMIGLIA ALL’EPATITE C:
UNO STUDIO IN PUGLIA
Onofrio G. Manghisi
Struttura Complessa di Gastroenterologia Medica
Ospedale “S. de Bellis” IRCCS – Castellana Grotte (BA)
Nel corso dell’anno 2000 abbiamo proposto al Ministero della Salute un programma di
ricerca dal titolo “Le epatiti virali croniche: problemi di prevenzione e terapia in Puglia nella
nuova realtà delle immigrazioni di massa”.
Abbiamo articolato lo studio in tre sottoprogetti:
1) - Prevalenza dei virus epatitici fra gli immigrati;
2) - Approccio dei medici di famiglia all’epatite C;
3) - Terapia dell’epatite cronica C con i nuovi interferoni peghilati.
Il progetto di studio ”Approccio dei medici di famiglia all’epatite C” è stato da noi
impostato con l’intento di sensibilizzare i medici di medicina generale al “problema epatite C”, in
considerazione del loro ruolo nella gestione del soggetto con infezione da HCV. Abitualmente
infatti è al medico di famiglia che si rivolge il soggetto con infezione da HCV per avere indicazioni
e informazioni circa la sua eventuale malattia. Tale infezione d’altronde decorre abitualmente in
modo subdolo, senza particolati disturbi soggettivi e può manifestarsi clinicamente anche dopo
alcuni decenni dall’avvenuto contagio. E’ molto importante quindi riconoscere per tempo la
malattia per impedirne l’evoluzione verso la cirrosi e le sue complicanze.
Un efficace programma di prevenzione della cirrosi da HCV pertanto vede il medico di
medicina generale in un ruolo fondamentale per la collaborazione con lo specialista e per la corretta
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gestione del soggetto con infezione da HCV. Migliorare lo stile di vita, abolire eventuali altri fattori
di rischio di epatopatia quali alcol, farmaci epatotossici, tossici ambientali e professionali, eccessi
alimentari, oltre alle eventuali terapie antivirali, sono strumenti nelle mani del medico che possono
migliorare sensibilmente l’evoluzione della malattia, come abbondantemente documentato dalla
letteratura.
Siamo grati al Ministero della Salute per aver sostenuto la nostra richiesta di verificare sul
campo un programma di sensibilizzazione incontrando un campione di medici di medicina generale
per conoscere i loro bisogni culturali in questo ambito, aggiornarli sullo stato dell’arte, e scambiare
esperienze riguardanti essenzialmente il rapporto con un soggetto che, spesso in pieno benessere,
viene a conoscenza di un problema di salute che sconvolge la sua vita.
Abbiamo impostato lo studio su incontri di piccoli gruppi composti da 20–40 medici per
volta. In fig. 1 sono evidenziati i paesi coinvolti nello studio.
Fig.1 Le tappe dello studio
1. O stun i
2. T ricase
3. F ran cavilla F .
4. M aglie
5. M esagn e
6. B rin disi
7. M an duria
8. O ria
9. C astellana G.
10. M artina F .
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Nel primo incontro, dopo breve illustrazione delle finalità e dei metodi, abbiamo invitato i
colleghi a compilare un questionario anonimo già utilizzato da SHEHAB e coll. (Hepatology
1999;30:794-800) che ce lo hanno gentilmente offerto. Questo studio è stato eseguito nel Michigan
nell’aprile 1997 fra i medici di medicina generale utilizzando il mezzo postale.
Il questionario si compone di tre parti: la prima riguarda le conoscenze circa i vari fattori di
rischio di trasmissione del virus C; la seconda concerne l’uso dei test diagnostici; la terza parte
focalizza le possibilità terapeutiche.
Dopo la compilazione del questionario abbiamo esposto lo stato delle attuali conoscenze
rifacendoci alla consensus conference dell’EASL di Parigi del febbraio 1999. Spunti per chiarimenti
e discussione hanno completato l’incontro che si è chiuso con la consegna ad ogni partecipante di
una brochure contenente le linee guida della stessa consensus conference dell’EASL già citata.
A distanza di qualche settimana abbiamo tenuto un secondo incontro con gli stessi colleghi
che hanno compilato nuovamente lo stesso questionario e quindi siamo passati alla presentazione
delle risposte da loro espresse nel primo questionario. E’ stato possibile in questo modo evidenziare
le loro conoscenze, chiarire i dubbi, stigmatizzare alcuni concetti più rilevanti, fare emergere anche
problemi di tipo ambientale e organizzativo.
Come già detto nella presentazione, questo convegno rappresenta una continuazione e una
sintesi dei tanti incontri effettuati in questi mesi, e vuole offrire un’occasione di dialogo fra gli
specialisti e i medici di medicina generale non solo per permettere un aggiornamento sullo stato
dell’arte ma anche per chiarire e possibilmente definire insieme alcuni aspetti della gestione pratica
del singolo paziente.
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Al di là degli aspetti culturali, che saranno esposti di seguito, è emerso un forte bisogno di
aderenza alle linee guida che ispirano le decisioni mediche. Un invito quindi agli specialisti a
maggiore chiarezza e uniformità nella gestione dei pazienti
Per quanto riguarda i risultati dello studio, i dati riguardanti le conoscenze dei medici di
famiglia circa i fattori di rischio per l’infezione da HCV sono riportati nella fig. 2.
Fig. 2 Percentuale dei medici identificanti le varie fonti di contagio come fattori di
rischio significativi per l’infezione da HCV
Dati ns. studio
4
100
97
91
90
81
80
% di rispondenti
70
66
60
50
45
40
30
20
17
10
Monogamia
contatto fam.
trasf. dopo
1994
nato da madre
infetta
partner sex
trasf. 1982
droga
4
0
Si evidenzia che, in linea di massima, c’è un buon accordo sul riconoscimento di alcuni
fattori quali l’uso di droghe per via venosa, le emotrasfusioni in tempi antecedenti lo screening dei
donatori per l’HCV, i rapporti sessuali con patner multipli. Altri fattori invece sono sovrastimati.
Più della metà dei medici infatti ritiene significativo il rischio che un neonato da madre HCV
positiva si possa infettare. Elevato è anche il numero dei colleghi che ritiene importante fattore di
rischio la convivenza in ambito familiare con un soggetto HCV positivo. Sorprendentemente
elevata (17%) è la percentuale di rispondenti che identifica ancora la trasfusione di sangue, nel
1994, come fattore di rischio significativo per la trasmissione dell’HCV.
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C’è invece sostanziale accordo nel considerare la relazione monogama difficilmente
associabile alla trasmissione del virus.
Rispetto allo studio effettuato in America, notiamo notevole concordanza di valutazioni ad
eccezione del rischio della convivenza con il soggetto infetto, sovrastimato di molto nella nostra
realtà (fig. 3).
Fig. 3 Percentuale dei medici identificanti le varie fonti di contagio come fattori di rischio
significativi per l’infezione da HCV.
100
97 98
91
90
87
80
70
80
66
60
50
45
40
Ns studio
30
USA
20
17
20
10
contatto fam.
trasf. dopo
1994
nato da madre
infetta
partner sex
trasf. 1982
droga
0
8
4
7
Monogamia
% di rispondenti
87
81
Il secondo survey evidenzia un sensibile ridimensionamento delle valutazioni da parte dei
nostri colleghi circa il rischio di contagio attribuibile alla nascita da madre infetta, alle
emotrasfusioni in tempi attuali, e alla convivenza con un soggetto infetto (fig. 4).
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Fig. 4 Percentuale dei medici identificanti le varie fonti di contagio come fattori di rischio
significativi per l’infezione da HCV.
Confronto tra I e II survey
100
97 99
91 92
90
81 83
80
66
60
50
45
40
38
I Survey
30
20
17
9
10
7
Monogamia
contatto fam.
trasf. dopo
1994
nato da madre
infetta
partner sex
4
trasf. 1982
0
II Survey
25
droga
% di rispondenti
70
1