Immobili

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Mensile di aggiornamento e approfondimento
in materia di
immobili, ambiente, edilizia e urbanistica
Numero 19 - marzo 2015
n. 19 – chiuso in redazione il 3 marzo 2015
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
4
RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
18
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
22
APPROFONDIMENTI
Immobili e professione
«TERZIETÀ DELL’AGENTE A RISCHIO»
Gli agenti immobiliari reagiscono contro lo sbarco in forze dei big del credito nel loro
campo di competenza… «Sia chiaro che non è un attacco al mondo delle banche tout
court», premette Paolo Righi, presidente nazionale Fiaip, contattato da Casa24
Plus.
Il Sole 24ORE – Casa24, 26 febbraio 2015
Immobili e agevolazioni
BONUS DEL 50% PER SPESE NOTARILI SU VINCOLI UNILATERALI
Sono detraibili le spese notarili per la costituzione di un vincolo pertinenziale all’unità
immobiliare principale delle parti del sottotetto rese abitabili con un intervento di
ristrutturazione.
Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, Edizione del 28 febbraio
2015, n. 970 pag. 348
Prestazione energetica
RENT TO BUY, APE E IMPIANTI TERMICI
La legge 90 del 3 agosto 2013 ha sancito in modo definitivo l’obbligo, su tutto il
territorio italiano, dell’attestato di prestazione energetica (APE) in occasione di
trasferimento di immobili.
Luca Rollino, Pier Paolo Bosso, Consulente Immobiliare, Edizione del 28 febbraio 2015 Quaderno, n. 1 pag. 26
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L’ESPERTO RISPONDE
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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
Professione
 Immobiliare:
Esposto di Fiaip alla Banca d’Italia - Righi (Fiaip): "L’attivita' di
alcuni istituti di credito è lesiva anche degli interessi dei consumatori"
Gli agenti immobiliari Fiaip reagiscono contro lo sbarco in forze dei big del credito
nell’intermediazione immobiliare. Dopo l’esposto all’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato, arriva quello depositato oggi alla Banca d’Italia in merito all’esercizio da parte di
Unicredit Subito Banca e Intesa San Paolo Casa dell’attività di intermediazione immobiliare.
La Fiaip, Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, nell’esposto presentato dall’Avv.
Antonio Catricalà a Via Nazionale, evidenzia alcune anomalie come la commistione tra l’attività
bancaria e quella dell’intermediazione immobiliare che vede violare da parte di alcuni istituti di
credito regole di trasparenza e correttezza che gli intermediari sono tenuti ad osservare con i
clienti e chiede uno stop allo sbarco dei big di credito nell'intermediazione immobiliare.
“Riteniamo – dichiara il Presidente Fiaip Paolo Righi - che l’attività svolta da parte alcuni
istituti di credito nel mercato dell’intermediazione immobiliare possa risultare lesiva anche
degli interessi dei consumatori e non è in linea con le regole delle trasparenza e correttezza
che le banche e gli intermediari finanziari sono tenuti a osservare nei rapporti con la clientela”.
La richiesta avanzata dalla Fiaip è quella di bloccare l'attività delle due banche nel settore delle
compravendite immobiliari perché “gli istituti di credito – precisa Paolo Righi – dovrebbero
sostenere e favorire la crescita degli operatori presenti sul mercato e non fare direttamente
impresa, generando una situazione di concorrenza sleale. Per questo chiediamo che la loro
attività sul fronte dell'intermediazione immobiliare venga fermata dalle autorità competenti”.
Secondo Fiaip la presenza, all'interno di un medesimo gruppo bancario, di imprese chiamate a
svolgere, seppure mediante una gestione separata, attività bancaria e attività di
intermediazione immobiliare, con conseguente evidente commistione tra tali attività, oltre a
integrare una violazione delle regole di trasparenza e correttezza che gli intermediari sono
tenuti a osservare nei rapporti con i clienti, potrebbe comportare una lesione delle garanzie di
indipendenza e imparzialità nei confronti di consumatori e risparmiatori interessati a
beneficiare delle prestazioni rientranti nell'una o nell'altra attività”.
“E’ evidente – continua Righi - la commistione d’interessi esercitata da alcuni istituti di credito,
e intermediari appartenenti alla medesima compagine societaria. Ciò può dar luogo a casi
d’inosservanza del divieto previsto esplicitamente dalla D.lgs 141/2010 che vieta, anche in via
strumentale, la possibilità di segnalare alla propria clientela mutui bancari a chi svolge l’attività
di intermediazione immobiliare”.
Il rischio dello svolgimento, da parte di soggetti appartenenti allo stesso gruppo bancario, di
attività creditizia e d’intermediazione immobiliare, si legge ancora nel testo depositato dall’
Avv. Catricalà, è quello di uno “scambio incrociato di informazioni e dati riservati relativi alla
posizione finanziaria e alla esposizione debitoria dei consumatori”, i quali “potrebbero essere
indotti a scelte che, lungi dall'essere libere e consapevoli, sarebbero il frutto di un'azione
concordata e condivisa di detti soggetti a proprio esclusivo vantaggio”.
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(Fonte: Ufficio Stampa Roma, 11 marzo 2015)

Credito: Fiaip presenta un esposto all’Antitrust contro l’ingresso di alcuni istituti
di credito nel settore dell’intermediazione immobiliare
La Fiaip, Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, ha depositato presso l’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato un esposto in merito all’ingresso delle banche nel
settore dell’intermediazione immobiliare segnalando i gravi riflessi negativi che si produrranno
sia in termini di violazione della tutela della libera concorrenza, che di tutela del consumatore.
Per la Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, la possibilità, concessa alle
imprese del credito, di detenere partecipazioni in altre imprese non può dispensare da
un'attenta analisi dei profili di anticoncorrenzialità che emergono nel momento in cui una
banca entra in nuovi mercati, come quello dell'intermediazione immobiliare o del commercio al
dettaglio.
Fiaip pone l’accento sull’ eventuale mancata libertà di scelta del consumatore nella ricerca e
nella scelta di un agenzia immobiliare di fiducia poiché il cliente potrebbe subire un indebito
condizionamento nelle proprie decisioni, senza considerare la pressione che la banca potrebbe
esercitare sul proprio correntista, essendo a conoscenza della sua condizione patrimoniale.
“Le banche hanno una precisa funzione sociale, che è quella di tutelare il risparmio dei cittadini
e di impiegarlo al meglio, finanziando imprese e famiglie, il tutto per fare crescere l’economia e
la ricchezza del nostro Paese, dichiara Paolo Righi, Presidente Nazionale Fiaip. Le tre banche
oggetto del nostro esposto molto probabilmente hanno pensato di impiegare i denari raccolti
dai risparmiatori e gli aiuti della Banca Centrale Europea con lo scopo di fare concorrenza
diretta a quelle imprese che invece dovrebbero finanziare.”
In un momento in cui gli operatori del settore immobiliare e del commercio sono alla canna del
gas, con una pressione fiscale ormai insostenibile che sta strangolando le imprese, tutto ci si
poteva aspettare tranne che alcune banche pensassero di cercare di fare concorrenza a quelle
stesse imprese che invece dovrebbero finanziare ed aiutare a crescere”.
“Il sistema bancario del nostro Paese ha svolto e sta svolgendo egregiamente la propria
funzione sociale, nonostante i tempi di crisi e le difficoltà ad operare in questi momenti dichiara Paolo Righi - per fortuna i tanti istituti con cui mi sono rapportato sul tema pensano
ancora che, anziché cercare di fare (forse male) il mestiere degli altri, sia necessario cercare di
fare bene il proprio”
(Fonte: Ufficio Stampa - Roma, 17 febbraio 2015)
 Mercato immobiliare e delle costruzioni
 Immobiliare: investimenti in Italia salgono a EUR 5,3 miliardi in 2014, 80% esteri
Il 2014 si è chiuso in modo positivo per il settore immobiliare italiano con investimenti che
hanno toccato gli € 5,3 miliardi con un progresso del 20% sull’anno precedente.
La stima è di due società internazionali di advisory, CBRE e JLL. I più attivi sono gli operatori
esteri che rappresentano l’80% degli investimenti totali. Per quanto riguarda gli italiani, ormai
sono attivi quasi solo i fondi legati alle casse di previdenza di alcune categorie come
commercialisti, medici e architetti. «L’attendismo degli investitori italiani è forse una delle
cause che ha impedito all’Italia di agganciare l’Europa nella forte crescita degli investimenti –
spiega il Ceo di CBRE Italia, Alessandro Mazzanti – gli investitori internazionali invece hanno
confermato una fiducia elevata, a prescindere dalla debole economia del Paese». Davide
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
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Dalmiglio, Head of Capital Markets di JLL in Italia sottolinea che «i prodotti che hanno trainato i
volumi sono certamente i portafogli, sia a destinazione mista che composti da immobili a uso
ufficio ma anche industriali e logistici, sempre più apprezzati da parte di molti soggetti esteri».
Inoltre «tutti i prodotti retail continuano a segnare un trend positivo grazie all’attività di
parecchi fondi di private equity, investment managers,e anche da parte di investitori
istituzionali (fondi pensioni) e alcuni investitori core tedeschi. Per quanto riguarda il settore
uffici, la nota positiva è che l’interesse si sta spostando anche verso asset localizzati in distretti
consolidati o emergenti ma periferici, purché vi sia un sottostante immobiliare e finanziario
solido». A livello globale, secondo i dati di JLL, gli investimenti hanno raggiunto i 700 miliardi
di dollari con un +18% sul 2013 (+4% a 218 miliardi nel solo quarto trimestre). E anche il
2015 si preannuncia positivo con transazioni comprese fra i 730 e i 750 miliardi di dollari.
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 12 febbraio 2015)

Mercato immobiliare: ripresa nel III trimestre, transazioni +3,7% su anno
Nel III trimestre 2014, il mercato immobiliare riprende a crescere, segnando un +3,7% su
anno dopo la battuta d’arresto del II trimestre. In nove mesi la crescita è dello 0,4%
tendenziale (425.975 le convenzioni rogate). Nel III trimestre, il 93,4% delle convenzioni
(124.510) riguarda immobili a uso abitazione e accessori, il 6% immobili a uso economico
(7.971) e lo 0,6% immobili a uso speciale e multiproprietà (784). Tutte le ripartizioni
geografiche mostrano segnali di recupero nel comparto abitativo, con valori sopra la media
nazionale al Centro (+5,2%), al Nord-Est (+4,5%) e nelle Isole (+3,9%). Gli Archivi notarili
con sede nelle città metropolitane sono i principali beneficiari dei segnali positivi relativi alle
compravendite immobiliari. Lo rileva l’ISTAT. Rispetto al III trimestre 2013, segnali di
miglioramento si registrano sia nel comparto immobiliare a uso abitazione e accessori
(+3,7%), sia nel comparto economico (+4,8%). Le convenzioni notarili per compravendite
immobiliari a uso economico fanno registrare aumenti significativi nelle Isole (+17,7%) e al
Centro (+16,6%), mentre al Nord-Ovest (+1,4%) e al Nord-Est (–3,6%) risultano inferiori alla
media nazionale. Nel III trimestre 2014, gli Archivi notarili registrano aumenti del 4,8% nel
comparto abitativo (+2,8% negli Archivi con sede in altre città) e del 14,7% nel comparto
economico (–0,9% nelle altre città). Nel III trimestre, i mutui, i finanziamenti e le altre
obbligazioni con costituzione di ipoteca (66.350) registrano un forte aumento (+13,9%, per un
totale di 66.350 mutui). In nove mesi, la crescita è pari al 7,8% per un totale di 201.079
convenzioni rogate. Importanti segnali di recupero in tutte le ripartizioni geografiche, in
particolare al Sud (+22,6%) e nelle Isole (+21,8%). La crescita dei mutui e degli altri
finanziamenti con costituzione di ipoteca immobiliare osservata negli Archivi dei grandi centri
(+16,1% su anno) è stata maggiore di quella registrata nei centri più piccoli (+12,4%).
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 17 febbraio 2015)
 Nel III trimestre 2014 più compravendite ma settore debole
Il numero di compravendite immobiliari è cresciuto, ma il settore delle costruzioni resta debole.
Si legge nel Bollettino economico di Bankitalia. In particolare, si sottolinea, nel III trimestre del
2014 il numero di compravendite di abitazioni ha segnato un deciso rialzo, pur collocandosi
ancora poco al di sopra dei livelli minimi toccati nel 2013. Le transazioni sono aumentate in
misura marcata anche nel comparto non residenziale. Nello stesso periodo è proseguita, pur
attenuandosi, la flessione dei prezzi delle case in atto dalla fine del 2011. In ottobre la
produzione nel settore delle costruzioni, valutata nelle medie mobili di tre termini, è aumentata
dello 0,9%. I giudizi sulle prospettive a breve termine delle imprese del comparto restano
improntati al pessimismo.
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 17 febbraio 2015)
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 Costo di costruzione di un fabbricato residenziale: +02% a dicembre
Nel mese di dicembre 2014 l'indice del costo di costruzione di un fabbricato residenziale rimane
invariato rispetto al mese precedente e aumenta dello 0,2% nei confronti di dicembre 2013.
In media annua l'indice per il 2014 diminuisce dello 0,2% rispetto all'anno precedente.
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 24 febbraio 2015)
 Immobili
 Nuovo
libretto per impianti termici. Il termine per l'adempimento slitta al 31
dicembre 2015
Per l'integrazione del libretto impianti, il differimento del termine, si è reso indispensabile a
causa degli adempimenti da presentare.
Il Milleproroghe. Il provvedimento, Legge 27 febbraio 2015, n. 11 (Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti
da disposizioni legislative) è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.49 del
28-2-2015.
Lo slittamento. Durante l’esame parlamentare è stato aggiunto il comma 2-bis che ha
differito al 31 dicembre 2015 il termine, scaduto il 25 dicembre 2014 (come previsto
dall’articolo 11, comma 7 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91), per l’espletamento degli
adempimenti come previsto dall'articolo 284, comma 2, del D.Lgs. 152/2006, (Codice
dell’ambiente) relativi all'integrazione del libretto di centrale degli impianti termici civili.
Il motivo. Il differimento, si legge nel dossier diramato dal Senato, si è reso indispensabile in
quanto tra gli adempimenti da presentare, figura un atto in cui si dichiara che l’impianto è
conforme a determinate caratteristiche tecniche le quali però erano state eliminate in seguito
all’entrata in vigore del comma 52 dell’articolo 34 del decreto-legge 179/2012 e che poi sono
state reintrodotte con il comma 9 dell’articolo 11 del citato D.L. 91/2014.
Gli adempimenti. Sulla base delle indicazioni del succitato art. 284, co. 2, del D.Lgs. 152/06,
il Libretto di Centrale degli impianti termici civili aventi potenza maggiore o uguale a 35 kW,
deve essere integrato, dal responsabile dell'impianto, da una dichiarazione attestante che
l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche di cui all'art. 285 di detto D.Lgs. 152/06 ed è
idoneo a rispettare i valori limite di emissione di cui all'art. 286 del medesimo decreto; inoltre,
va integrato anche con l’elenco delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad
assicurare il rispetto dei valori limite di emissione e la perfetta efficienza dell’impianto.
Con il D.Lgs. 24 giugno 2014, n. 91 (art. 11), gli adempimenti relativi all’integrazione del
Libretto di Centrale per gli impianti termici civili, se non espletati in precedenza, andavano
effettuati entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto stesso (sempre nei 30 gg. successivi,
andava fatta obbligatoriamente trasmissione all’Autorità competente). Ora il termine slitta
ulteriormente al 31 dicembre 2015.
I controlli. Ricordiamo che questi nuovi libretti vanno approntati sia per i tradizionali impianti
termici per il riscaldamento degli ambienti (pompe di calore, impianti solari o di
teleriscaldamento), sia per quelli adibiti alla climatizzazione estiva e gli inquilini o proprietari o
terzi responsabili dell’impianto, dovranno preoccuparsi di registrarvi gli impianti installati nelle
unità immobiliari, nonché i livelli di efficienza e i risultati della diagnosi completa che verifica
anche i livelli di sicurezza, salubrità e igiene. I controlli e gli interventi di manutenzione
dovranno essere obbligatoriamente affidati a personale tecnico qualificato e dotato di adeguati
requisiti professionali e in tal caso il Libretto va aggiornato sistematicamente, riportando ogni
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singolo intervento di controllo o verifica (compresi gli eventuali interventi manutentivi) e poi il
tutto trasmesso al Catasto Regionale Impianti.
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 2 marzo 2015)
 Contratti di rent to buy. Disciplina fiscale
L'Agenzia delle Entrate con circolare 19.2.2015, n. 4 fornisce chiarimenti in merito alle aliquote
e alle modalità di tassazione del nuovo schema contrattuale rent to buy, vale a dire il contratto
di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili (art. 23, D.L. 12.9.2014, n.
133, conv. con modif. dalla L. 11.11.2014, n. 164).
Disciplina fiscale: il trattamento fiscale da applicare al canone corrisposto dal locatario si
diversifica tenendo conto della funzione specifica per la quale le somme sono pagate
dall'affittuario al proprietario: per il godimento dell'immobile o come acconto sul prezzo finale
di trasferimento.
Nel primo caso si applicano le norme previste per i contratti di locazione, sia dal lato delle
imposte dirette che da quello delle imposte indirette; nel secondo caso invece per la quota di
canone versata come anticipazione del corrispettivo pattuito per la vendita si applicano le
norme previste per gli acconti prezzo.
Trattamento Iva: i canoni di locazione versati per il godimento dell'immobile abitativo sono
esenti da Iva, salvo il caso in cui il concedente sia un'impresa di costruzione o di ripristino e
opti per il regime di imponibilità Iva. L'esenzione si applica anche ai canoni di locazione versati
per immobili strumentali, con la possibilità di optare per il regime di imponibilità da parte di
tutti i soggetti passivi (non solo le imprese di costruzione o di ripristino).
Proprietario/concedente non in regime d'impresa: se il venditore è un soggetto Irpef privato,
alla quota di canone per la concessione in godimento si applica la disciplina dei redditi fondiari
e l'imposta di registro è proporzionale (2%), sia per gli immobili abitativi che strumentali.
Resta ferma, se sussistono i presupposti, la possibilità di optare per la cd. cedolare secca.
Il corrispettivo per il trasferimento dell'immobile è tassato come plusvalenza realizzata
mediante cessione a titolo oneroso di immobili, se la stessa avviene entro 5 anni dall'acquisto.
Alle quote di canone incassate come accontoprezzo si applica la disciplina dei redditi diversi ed
esse diventano imponibili al momento della cessione effettiva dell'immobile.
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 25 febbraio 2015)
 Per il creditore niente spese durante il pignoramento
Chi sta pignorando un appartamento in condominio deve pagarne le spese. Questo, almeno,
sembrava l’orientamento unanime della giurisprudenza, almeno sino alla sentenza del 24
ottobre 2014 del Tribunale di Napoli. Ma andiamo in ordine.
Secondo la Cassazione (sentenza 2875/1976) le spese di manutenzione dei beni pignorati
gravano sul creditore procedente e, in caso di inerzia, sul nominato custode. Che dovrà
sostenere personalmente l’esborso richiedendone la restituzione in fase di liquidazione. La
stessa sentenza precisa come sia compito del custode, quando non si possa custodire senza
spese, richiedere al Giudice il provvedimento che obblighi il creditore a depositare le somme.
Ma con ordinanza del 24 ottobre 2014 il Tribunale di Napoli rileva, invece, come «il creditore
ha diritto di espropriare i beni del debitore nello stato in cui si trovano, senza dover sopportare
alcun onere economico per la previa esecuzione di opere volte a salvaguardare l’integrità
dell’immobile o il suo valore di realizzo».
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Il Giudice, nel precisare come, anche in presenza di pignoramento, il diritto di proprietà
rimanga in capo al solo debitore esecutato, rileva che, anche quando il bene pignorato è fonte
di pericolo per l’incolumità pubblica e/o privata, la responsabilità per gli eventuali danni causati
a terzi dalla rovina del bene, sia solo ed esclusivamente del proprietario.
In caso di pericolo per l’incolumità pubblica i lavori di straordinaria manutenzione dovranno
essere eseguiti dal debitore e, se inerte, la competente autorità attiverà la procedura di
esecuzione in danno. Per il Giudice napoletano per la conservazione e manutenzione degli
impianti e delle strutture murarie, anche in presenza del custode giudiziario, unico
responsabile per la messa in sicurezza rimane il solo proprietario.
Il Giudice di Napoli, pertanto, dopo aver rilevato come spetti al custode l’ordinaria
amministrazione del bene e la gestione passiva degli immobili (accantonamento dei frutti
prodotti dal bene), ha disposto che il custode informasse l’esecutato perché effettuasse le
opere di straordinaria manutenzione nonché sollecitasse il creditore ad anticipare
eventualmente le somme. Nulla vieta, infatti, al procedente, a ciò debitamente autorizzato, di
farsi carico delle spese nell’ottica di realizzare dalla vendita un maggior ricavo così come è
possibile, per quanto improbabile, che le spese trovino copertura nei frutti prodotti dal bene.
Un ruolo fondamentale nei procedimenti immobiliari è infatti rivestito dal custode giudiziario.
Non deve solo mantenere e conservare, ma anche salvaguardare il valore del bene, porre in
essere una gestione atta ad incrementare le potenzialità economico-funzionali del compendio
nonchè adottare una liquidazione finalizzata alla miglior collocazione sul mercato.
Ha anche diritto di partecipazione e di voto – e il corrispondente diritto di impugnazione - nelle
assemblee condominiali senza preventiva autorizzazione del giudice dell’esecuzione. Se
oggetto dell’assemblea sono, invece, opere di straordinaria manutenzione, innovazioni,
eccetera, il custode dovrà necessariamente e preventivamente munirsi dell’autorizzazione del
giudice dell’esecuzione per poter presenziare e votare.
(Chiara Magnani, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2015)
 Condominio

La multa «vecchia» va cambiata
Dopo un lungo oblìo la riforma del condominio (legge 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013)
ha risuscitato la multa per le violazioni al regolamento condominiale che il Codice civile aveva
previsto originariamente ma che poi, nel concreto, aveva perso ogni possibilità di effettiva
applicazione. Ora invece ci sono sanzioni sino a 200 euro ma, in concreto, come
funzioneranno? E come si possono applicare quando este già un vecchio regolamento che
prevede una sanzione?
La norma interessata è l’articolo 70 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile. Nel Codice
del 1942 veniva stabilito che per le infrazioni al regolamento di condominio poteva essere
stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento. Questo importo,
non venendo mai aggiornato, di fatto, al momento della riforma, corrispondeva a 5 centesimi
di euro e quindi era irrilevante. E le sentenze avevano chiarito che nemmeno all’unanimità
(cioè, “contrattualmente”), i condòmini potevano aggiornare l’importo di lire 100 trattandosi di
“nullità” per contrarietà a legge.
Così con la riforma si è posto rimedio a tale situazione, modificando l’articolo 70 delle
Disposizioni che, nel nuovo testo, dispone che «per le infrazioni al regolamento di condominio
può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in
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caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l’amministratore
dispone per le spese ordinarie. L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le
maggioranze di cui al secondo comma dell’articolo 1136 del codice».
L’amministratore
A questo punto va osservato che viene eliminata la legittimazione dell’amministratore di
condominio rispetto all’irrogazione della “multa”. Con l’intervento della nuova norma, tale
soggetto ne risulta del tutto esautorato, essendo solo l’assemblea, con delibera a maggioranza
qualificata (la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno 500 millesimi), l’organo
competente ad assumere la relativa decisione. Detta modifica rende più complicata
l’irrogazione (anche se, in effetti, consente una scelta più meditata), permanendo comunque la
necessità che la previsione di una sanzione sia contenuta nel regolamento di condominio
(infatti è scritto nella norma che «può essere stabilito»).
Gli importi
La norma nulla dice sulla possibilità, o meno, di “personalizzare” gli importi della sanzione (se,
per esempio, è possibile stabilire una multa oltre l’importo di euro 200,00); questione che, in
applicazione dei princìpi ante riforma, dovrebbe essere risolto nel senso dell’impossibilità di
stabilire (neppure contrattualmente) un aumento della sanzione.
Del resto il legislatore si è dimenticato anche di stabilire la conservazione (o meno)
dell’efficacia dei “vecchi” regolamenti di condominio, già vigenti al 18 giugno 2013 (entrata in
vigore della riforma del condominio), contenenti una clausola di semplice richiamo all’articolo
70 delle Disposizioni (cioè priva dell’indicazione al precedente importo di lire 100).
In questo caso le differenze tra le due versioni dell’articolo 70 (prima e dopo la riforma)
consigliano, anche solo per mera cautela, di ritenere automaticamente inefficace la vecchia
clausola, considerando anche che l’articolo 155 delle Disposizioni già prevedeva tale
automatismo.
E quindi occorre stabilire una nuova clausola, con la maggioranza degli intervenuti che
rappresenti almeno 500 millesimi.
Discorso analogo quando invece il regolamento prevede espressamente un importo sino a 100
lire, che va comunque cambiato, sempre con la stessa maggioranza.
IN SINTESI
01 COME FUNZIONA
La “nuova” multa dell’articolo 70 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile deve essere
contemplata in un’apposita clausola del regolamento di condominio; è prevista per le infrazioni
dei doveri e degli obblighi contenuti nel regolamento
02 IRROGAZIONE
L’amministratore non ha competenza diretta alla relativa irrogazione, quindi, solo l’assemblea
può comminarla
03 LA MAGGIORANZA
La decisione assembleare deve essere assunta con una maggioranza “qualificata”: la
maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno 500 millesimi
04 L’IMPUGNAZIONE
Il singolo condomino che contesta l’irrogazione a suo carico della sanzione deve
necessariamente proporre impugnazione della relativa deliberazione assembleare davanti
all’Autorità giudiziaria (ai sensi dell’articolo 1137 del Codice civile)
05 VECCHI REGOLAMENTI
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Sui regolamenti già esistenti, invece, la soluzione sembra quella di una nuova delibera
dell’assemblea (approvata con la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno 500
millesimi), con la quale si decida di adottare un nuovo importo per la sanzione
(Luigi Salciarini, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2015)

Sì ai passi carrai blocca-estranei
Con sentenza 3509, depositata ieri, la Cassazione interviene nel regolare una questione sorta
all’interno di un Supercondominio, che aveva con delibera assembleare deliberato la chiusura
(anche diurna) agli estranei dei cancelli carrai di accesso alle aree comuni dei condomìni
facenti parti del complesso immobiliare.
Il ricorrente lamentava il grave danno causato da tale delibera alla propria attività commerciale
di autofficina.
Il Tribunale di Milano decideva a sfavore del ricorrente ma la Corte d’appello constatava come
la delibera incriminata era da considerare illecita in quanto emessa in violazione del dettato
dell’articolo 1120 del Codice civile, secondo comma, che vieta le innovazioni che (come nel
caso esaminato) «rendono talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un
solo condomino».
Ma la Cassazione ha dato ragione al supercondominio, in quanto l’apposizione di due cancelli
per il transito pedonale e per il passaggio veicolare «non comportando alcun mutamento di
destinazione delle zone condominiali ed essendo anzi dirette a disciplinare in senso migliorativo
l’uso della cosa comune», non rientrerebbero nelle innovazioni .
Occorre rilevare come la Corte Suprema abbia di fatto giudicato un caso che vedeva due
interessi chiaramente contrapposti: quello del supercondomino a disciplinare meglio gli ingressi
nell’area comune, e quello del gestore l’attività commerciale, a non vedere diminuire la propria
clientela a causa delle accresciute difficoltà di accesso ai locali. Resta tuttavia difficile sostenere
che la delibera non sia fortemente peggiorativa rispetto all’uso della cosa comune che sino ad
allora esercitava il condominio ricorrente.
(Enrico Morello, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2015)

Non ci si può nascondere dietro a una siepe. Inutile invocare la tutela della
privacy per non rimuovere la siepe a ridosso del confine
Alberi di alto fusto e siepi piantate ad una distanza inferiore da quella prescritte dal codice
civile devono essere rimossi o comunque mantenuti ad un’altezza tale da non recar disagio al
fondo confinante.
Il caso. L'amministratore di un condominio, faceva causa ai suoi vicini per ottenere la
rimozione o l’arretramento di alcuni alberi e siepi piantate a ridosso del confine. I proprietari
delle piante chiarivano di avere ottenuto per usucapione il diritto di tenerle ad una distanza
inferiore a quella legale. Dopo che il giudizio di appello condannava i proprietari degli alberi e
delle siepi a una complessa opera di arretramento e potatura, quelli ricorrevano in Cassazione.
Qual è la giusta distanza che deve intercorrere tra alberi e confine? Per rispondere a tale
domanda bisogna rifarsi all’art. 892 c.c., che rimanda ai regolamenti e, in loro mancanza, agli
usi locali, dando dunque la precedenza alla normativa di rango regolamentare. Operando una
distinzione tra alberi di alto fusto, alberi che tali non sono e siepi, la norma specifica anche le
modalità di calcolo delle distanze. Tuttavia, l'art. 892 c.c., mentre spiega che cosa debba
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
11
intendersi per albero di alto fusto e per albero che non è di alto fusto, tace rispetto a quello
che debba intendersi per siepi vive, rimandando al significato comune del termine.
Una questione di altezza. La Corte di Cassazione, ritenendo i motivi di ricorso inammissibili,
in quanto troppo generici, ha richiamato la sentenza n. 2865/2003 la quale specifica, che gli
alberi di alto fusto, secondo la botanica, sono quelli il cui tronco sia più alto di tre metri, e per
tali motivi devono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, rispetto a quanto
stabilito dall'art. 892, n 1, c.c.
La morfologia del terreno. Un'altra lamentela del ricorrente riguardava il fatto che l'ordine di
tagliare le siepi non tenesse affatto in considerazione che l'andamento del terreno non era
lineare e pertanto la siepe non si sarebbe mai potuta effettivamente uniformare. Ma, ancora
una volta, la Cassazione non ha condiviso le argomentazioni del ricorrente, dato che la
normativa civilistica si riferisce all'altezza di ciascuna pianta, prescindendo dalla morfologia dei
terreni sui confini.
Funzione delle siepi. Infine, la sentenza specifica che le siepi, pur avendo varie funzioni, non
hanno come funzione principale quella della tutela della riservatezza. Si tratta di strutture
vegetali che servono a difendere l’habitat, a riparare dal vento, a proteggere i terreni
dall’erosione e a consolidare il fondo con le loro radici. E non si deve dimenticare il contributo
che offrono nel trattenere le polveri, le sostanze inquinanti e le immissioni. Spesso, poi,
costituiscono anche recinzione fisica. Insomma, non hanno una correlazione necessaria con la
riservatezza. E la normativa sulle distanze minime dal confine punta a evitare l’intrusione nella
proprietà altrui di rami e radici, proprio come risulta avvenuto nel caso di specie.
Conclusioni. Alla luce delle precedenti considerazioni la Corte di Cassazione, con la sentenza
n. 3232 del 18 febbraio 2015, ha stabilito che sia gli alberi ad alto fusto sia le siepi, piantate ad
una distanza dal confine inferiore a quella prescritta dall’art. 892 c.c., devono essere rimossi o
almeno avere un’altezza che non provochi disagio al fondo confinante.
Merito della sentenza è quella di aver fornito delle specifiche rispetto alla nozione di albero di
alto fusto, e sulla funzione delle siepi.
(Ivan Meo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 23 febbraio 2015)
 È lecita una sbarra sulla servitù di passaggio
«L'apposizione di un cancello di agevole apertura, non configura spoglio o molestia ma
costituisce un atto lecito rientrante nelle facoltà dei compossessori dovendo al riguardo
ritenersi del tutto irrilevanti le ragioni soggettive che abbiano spinto i resistenti alla
collocazione del cancello».
Nella fattispecie sottoposta di recente all'attenzione della Corte di Cassazione (sentenza
1584/2015) si trattava di un sbarra collocata su un'area condominiale (sulla quale insisteva
una servitù di passaggio) la cui apposizione veniva contestata da un negoziante perché, a suo
dire, la stessa impediva o rendeva più difficoltoso l'acceso ai clienti.
Riteneva pertanto leso il suo diritto di servitù di passaggio e ne richiedeva la tutela possessoria
in quanto ciò costituiva spoglio o turbativa.
Sosteneva, inoltre, che la facoltà di chiudere il fondo fosse riconosciuta solo al proprietario del
fondo servente e non anche al titolare di un diritto reale minore (diritto di servitù di passaggio
di cui era titolare anche il condominio che aveva deliberato di apporre la sbarra) con la
conseguenza che doveva ritenersi vietato, al titolare ovvero al possessore di una servitù, di
apportare qualsiasi innovazione rispetto all'estensione ed alle modalità di esercizio della stessa.
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La Corte nel ribadire quanto già espresso in altre simili fattispecie, ha precisato che non ogni
modifica apportata da un terzo alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso
costituisce spoglio o turbativa, "essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in
modo giuridicamente apprezzabile l'esercizio del possesso (Cass. n. 11036 del 2003; Cass. n.
1743 del 2005), circostanza che non aveva riscontrato nella fattispecie.
I giudici di legittimità, tenuto conto che dall'accertamento effettuato dal giudice di merito "la
barra automatizzata in questione, munita di un citofono senza fili avente centralina con
pulsante di chiamata accessibile anche a soggetti a bordo di sedia a rotelle e cordless di
risposta, poteva essere aperta con telecomando", respingevano la domanda di rimozione
formulata dall'attore in quanto" la sbarra non apportava apprezzabile menomazione del
passaggio esercitato dai potenziali clienti della ricorrente" e quindi non sussisteva alcuna
turbativa nell'esercizio del diritto di servitù.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 19 febbraio 2015)

Condominio parziale: configurabile anche nel caso di corridoio posto al servizio
soltanto di alcuni appartamenti
In tema di condominio negli edifici, l’art. 1117 cod. civ. contiene un’elencazione non tassativa
ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo,
anche quelle aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio comune di tutte o di una
parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale. Nel quale ultimo caso,
inverandosi l’esistenza di un c.d. “condominio parziale”, deve ritenersi nulla, per violazione
della norma imperativa di cui all’art. 1118, 2° comma, cod. civ., la clausola del contratto di
vendita di una singola unità immobiliare che escluda la coeva cessione della comproprietà su
una o più cose comuni.
Il principio di diritto è stato espressamente enunciato dalla Suprema Corte in una recente
sentenza con la quale è stata cassata con rinvio la pronuncia impugnata (cfr., Cass. civ. Sez.
II, Sent. 29 gennaio 2015, n. 1680, Pres. Piccialli, Rel. Manna, P.M. Russo). Il giudice di
legittimità, precisa la sentenza, è interpellato su due questioni sequenziali: la prima, se e a
quali condizioni il corridoio di accesso ad alcune unità immobiliari di un fabbricato condominiale
possa considerarsi parte comune ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., (nel testo anteriore alle
modifiche di cui alla legge n. 220/2012); in caso affermativo, se si possa escludere il
trasferimento della comproprietà pro quota in occasione della vendita di unità immobiliari al cui
servizio esso sia destinato.
Sulla prima questione va premesso, specifica la Cassazione, che l’art. 1117 cod. civ. contiene
un’elencazione non tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo
risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un’oggettiva e concreta destinazione al
servizio comune (cfr., Cass. civ. n. 6175/2009). Tanto premesso, si ribadisce che l’art. 1117
cod. civ. non stabilisce una presunzione legale di comunione per le cose in esso indicate nei
nn. 1, 2 e 3, ma dispone che detti beni sono comuni a meno che non risultino di proprietà
esclusiva in base ad un titolo; e che il criterio d’individuazione delle cose comuni dettato da
tale norma non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino
destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr., Cass. civ.
S.U. n. 7449/1993). Servizio esclusivo che, ove riferito non ad una sola, ma a più unità
immobiliari, dà luogo al c.d. “condominio parziale”, a sua volta configurato nella giurisprudenza
anche con riferimento al caso di corridoi posti al servizio soltanto di talune delle unità
immobiliari condominiali. Non senza puntualizzare, specifica la S.C., che il c.d. condominio
parziale non possiede una autonomia perfetta, distinta e separata da quella relativa al
condominio avente ad oggetto l’intero fabbricato, ma costituisce null’altro che una situazione
configurabile per la semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività condominiale, in
ordine a determinati beni o servizi appartenenti soltanto ad alcuni condomini (cfr., Cass. civ. n.
2363/2912, che difatti ne ha escluso l’autonoma legittimazione in giudizio).
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Quanto al secondo interrogativo, la Corte regolatrice osserva che la clausola, contenuta nel
contratto di vendita di un appartamento sito in un edificio in condominio, con la quale sia
esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comuni dell’edificio stesso, deve ritenersi
nulla, poiché con essa si intende attuare la rinuncia di un condomino alle dette parti comuni,
vietata dal capoverso dell’art. 1118 cod. civ. Infatti, se si considerasse valida la vendita che
escluda un diritto condominiale, si inciderebbe sulle quote millesimali, in violazione del comma
1° dell’art. 1118 cod. civ. E’ pacifico in dottrina ed affermato anche in giurisprudenza (cfr.,
Cass. civ. n. 561/1970) che in materia di determinazione del valore dei piani o delle porzioni di
piano rispetto a quello dell’edificio, da cui dipende la proporzione nei diritti e negli obblighi dei
condomini, l’assemblea dei condomini non dispone di alcun potere, non essendo materia di
deliberazione l’accertamento di uno stato di fatto. Ed è chiaro, conclude la decisione in esame,
che ciò che non può disporre l’assemblea condominiale non può nemmeno essere realizzato da
un singolo condomino, il quale, pertanto, non può alienare la propria unità immobiliare
separatamente dai diritti sulle cose comuni.
Corte di cassazione, Sezione II, Sentenza del 29/01/2015 n. 1680
Riferimenti normativi:
Cod. Civ. art. 1117
Cod. Civ. art. 1118
Cod. Civ. art. 1123
Cod. Civ. art. 1362
Cod. Civ. art. 1470
Riferimenti giurisprudenziali:
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 17 febbraio 2012, n. 2363
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 24 novembre 2010, n. 23851
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 10 luglio 2007, n. 21246
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 28 aprile 2004, n. 8136
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 29 maggio 1995, n. 6036
Cassazione civile, Sez. Un, sentenza 7 luglio 1993, n. 7449
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 25 luglio 1977, n. 3309
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 6 marzo 1970, n. 561
(Federico Ciaccafava, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 10 febbraio 2015)

L'omessa manutenzione non legittima il condomino ad eseguire a sue spese
lavori sulle parti comuni
Il singolo condomino non può provvedere autonomamente, senza autorizzazione, a realizzare
interventi innovativi sulle parti comuni per superare gli inconvenienti che penalizzano la sua
proprietà esclusiva. E ciò anche in presenza di una palese inerzia o trascuratezza nella cura e
manutenzione degli impianti comuni da parte dell’amministratore o dell’assemblea.
È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1898/2015, pubblicata il 3
febbraio scorso, con la quale è stata conferma la condanna alla rimessione in pristino delle
opere realizzate dal condomino su alcune parti comuni inerenti il riscaldamento centralizzato,
trattandosi di innovazioni che richiedevano la preventiva autorizzazione dell’assemblea.
Non risulta provata l’avvenuta segnalazione all’assemblea o all’amministratore degli
inconvenienti che si sarebbero manifestati a causa del cattivo funzionamento dell’impianto. In
ogni caso, osserva la Corte, l’eventuale trascuratezza nella manutenzione dell’impianto non
giustifica il condomino a “farsi giustizia da sé”. Anche perché il condomino, se avesse davvero
subito gli inconvenienti lamentati, avrebbe potuto comunque rivolgersi ai vigili del fuoco per far
sospendere il funzionamento dell’impianto di riscaldamento.
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Il condomino in questione non era comproprietario dell’impianto centralizzato di riscaldamento,
essendo dotato di riscaldamento autonomo. Anche per questo, forse, decideva di far chiudere,
a sue spese, un’intercapedine della canna fumaria che, a suo dire, causava danni al suo
appartamento. A seguito dei lavori, però, la centrale termica risultava messa in comunicazione
diretta con la sala contatori elettrici, costringendo il condominio a sospendere il servizio
dell’impianto termico per assenza delle condizioni di sicurezza richieste dalla legge.
Nel giudizio di merito, avviato su iniziativa del Condominio, il proprietario veniva condannato
alla rimessione in pristino dei luoghi. Veniva infatti accertato che le modifiche all’impianto
termico non solo erano state eseguite senza autorizzazione o delega dell’assemblea, ma anche
senza il preventivo intervento delle autorità competenti e, soprattutto, non consentivano più
l’uso dell’impianto secondo le norme vigenti per la prevenzione incendi.
Contro la sentenze di condanna il condomino ha proposto ricorso in cassazione, sostenendo
che i lavori in questione, eseguiti a sue spese e senza chiedere alcun rimborso, rientrerebbero
nell’uso consentito delle parti comuni ex art. 1102 c.c. Si tratterebbe di interventi per
migliorare il godimento dell’impianto in considerazione del suo cattivo funzionamento,
realizzabili quindi anche senza autorizzazione. Tali interventi, infatti, non avrebbero mutato la
destinazione della cosa comune e nemmeno sarebbero stati in alcun modo la causa del non
uso dell’impianto di riscaldamento da parte degli altri condomini.
Ma per la Corte di Cassazione le cose non stanno così. In realtà, i lavori eseguiti configurano
delle innovazioni ex art. 1120 c.c., realizzate illegittimamente senza delega condominiale su
beni che in larga parte sono di proprietà comune.
Gli ermellini osservano che la disciplina dell’art. 1102 c.c. trova applicazione nelle sole ipotesi
di comproprietà del bene comune. In particolare, affinché possa operare il c.d. diritto
condominiale, è necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i
servizi comuni e l’edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra i primi e le
unità immobiliari di proprietà esclusiva. Nella specie, risulta invece che il ricorrente non fosse
comproprietario dell’impianto centralizzato di riscaldamento su cui è illegittimamente
intervenuto.
Manca inoltre la prova che l’interessato abbia segnalato subito gli inconvenienti lamentati
all’assemblea o, anche soltanto informalmente, all’amministratore. L’inerzia dell’una e dell’altro
per quanto attiene alla manutenzione dell’impianto non risulta dunque dimostrata. Né risultano
segnalazioni o richieste d’intervento rivolte al competente comando dei vigili del fuoco. In ogni
caso, l’iniziativa del singolo condomino si risolve in un’alterazione della destinazione dell’area,
tant’è che l’impianto di riscaldamento era stato successivamente bloccato dai vigili del fuoco
proprio perché l’abbattimento dell’intercapedine esponeva i locali al rischio di incendio.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 10 febbraio 2015)
 Edilizia e Urbanistica
 Niente veranda sul piano attico del condominio se lede il decoro architettonico
Proprietaria condannata alla rimozione del manufatto per violazione del regolamento
condominiale e del decoro dell’edificio.
In tema di condominio negli edifici, l’art. 1122 c.c., vietando a ciascun condomino, nel piano o
porzione di piano di sua proprietà, di eseguire opere che rechino danno alle parti comuni
dell'edificio, pone il limite agli interventi che il singolo condomino può effettuare sulle cose di
proprietà esclusiva.
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
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Per comprendere in cosa consiste il danno (ex art. 1122 cit.) che preclude la possibilità di
eseguire l'opera sulla porzione esclusiva è doveroso far ricorso all'art. 1120, comma 4, c.c.,
norma che ha individuato gli interessi condominiali che non possono essere lesi neppure con le
innovazioni deliberate a maggioranza dall'assemblea condominiale. Questo, infatti, è il
percorso logico che giustifica l'applicabilità dell'art. 1120 c.c. alle attività del singolo su cosa
propria, comunque finalizzate all'uso più intenso della cosa comune.
Di ciò si è reso consapevole anche il legislatore della riforma (legge 11 dicembre 2012 n. 220),
che ha completato l'art. 1122 c.c., recependo nel testo novellato l'insegnamento
giurisprudenziale che aveva già interpretato la norma nel senso esposto.
È questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 2109
del 5 febbraio 2015, ha confermato la condanna della condomina alla rimozione della veranda
coperta realizzata sul terrazzo di sua proprietà per violazione del decorso architettonico
dell’edificio.
Il fatto. Il condominio agiva in giudizio per la rimozione della veranda di circa 16 mq adibita a
camera da letto, costruita dalla proprietaria del terrazzo sul piano attico dell’edificio. La
condomina si era opposta alla domanda, negando l’efficacia contrattuale del regolamento e
ritenendo l’opera assolutamente non lesiva del decoro architettonico. Inoltre, mancava la
prova di un effettivo danno al decoro del fabbricato. Condannata sia in primo che in secondo
grado, la condomina ha riproposto le medesime eccezioni anche dinanzi alla Corte di
Cassazione, sottolineando altresì come il giudice non avesse ricercato soluzione alternative
all’ordine di demolizione della veranda.
La suprema Corte, tuttavia, ha confermato la sentenza di merito.
Quanto all’effettiva lesione del decoro architettonico, per gli Ermellini essa emerge chiaramente
dalla descrizione del fabbricato contenuta nella CTU espletata durante il giudizio di primo
grado. Le caratteristiche della veranda, infatti, erano tali da compromettere le linee
architettoniche e l’aspetto armonico del fabbricato, giacché il manufatto nulla aveva a che fare
con il progetto originario dell’edificio, era stato realizzato in maniera del tutto occasionale ed
era ben visibile sulla facciata principale.
Il giudice non è tenuto a ricercare soluzioni alternative alla rimozione. Secondo la
lesione di gravità così evidente esimeva del tutto dalla ricerca di eventuali misure
alla demolizione, non essendovi peraltro alcuna norma di legge che vincoli il giudice
di esse prima di ordinare la rimozione delle opere lesive del decoro architettonico. E
parti, osserva ancora la Corte, hanno indicato o proposto soluzioni alternative.
Corte, una
alternative
alla ricerca
neanche le
Il nuovo articolo 1122 c.c. La veranda oggetto di giudizio rientra tra gli interventi sulla
porzione di piano di proprietà comune, disciplinate dall’art. 1122 c.c. come novellato dalla
legge di riforma del condominio. Tali opere, così come quelle realizzate sulle parti normalmente
destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso
individuale, devono essere realizzate in modo da non arrecare danno alle parti comuni ovvero
determinare pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.
Il concetto di danno ex art. 1122 c.c., come si diceva in apertura, si ricava dall’art. 1120 c.c. in
tema di innovazioni, con riferimento a quelli interessi - quali appunto il decoro architettonico che non possono essere lesi neppure con le innovazioni deliberate a maggioranza
dall’assemblea dei condomini (Cass. civ. 18350/2013).
(Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 12 febbraio 2015)
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
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 Da demolire la camera da letto in terrazza
La veranda in alluminio e lamiera adibita a camera da letto ed edificata abusivamente sulla
terrazza di un palazzo a due passi da San Pietro reca un’offesa al decoro che può essere
sanata solo dalla demolizione.
La Cassazione, con la sentenza 2109, conferma l’ordine di demolizione di una veranda che la
proprietaria era decisa a mantenere, negando la disarmonia con l’edificio e giocandosi anche la
carta della prescrizione: la stanza era stata costruita, nell’86 da un precedente proprietario.
Per i giudici però l’unica soluzione è il “piccone”. Una scelta quasi “dettata” dalla perizia.
Secondo il consulente il corpo di fabbrica nulla aveva a che fare con la composizione prevista
dal progettista, era posto in maniera occasionale e incombeva sulla facciata principale. La
grave lesione, desumibile già dalla tecnica di costruzione, risparmiava al giudice l’obbligo di
trovare un accomodamento meno radicale della demolizione, come chiesto dalla proprietaria
della camera “con vista”. L’opera, spiegano i giudici, rientra nella nozione di intervento sulla
porzione di piano di proprietà personale, perché riguarda un bene esclusivo, come quelli
menzionati nell’articolo 1122 del Codice civile, che non può essere modificato in danno della
cosa comune. E il danno va individuato in base all’articolo 1120 che indica gli interessi dei
condomini che non possono essere lesi neppure con le innovazioni votate dalla maggioranza
dell’assemblea: tra queste ci sono quelle che pregiudicano stabilità e decoro architettonico
dell’edificio.
Un’indicazione recepita anche dal legislatore che, con la riforma del condominio, ha completato
l’articolo 1122 recependo l’insegnamento espresso anche in questa occasione dalla
giurisprudenza.
(Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 6 febbraio 2015)
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
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Legge e prassi

(G.U. 2 marzo 2015, n. 50)
 Economia, Fisco
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 29 dicembre 2014
Adeguamento dei canoni di abbonamento alle radiodiffusioni, per l'anno 2015.
(G.U. 06 febbraio 2015, n. 30)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 28 gennaio 2015
Azioni di supporto specialistico finalizzato all'efficiente funzionamento dei sistemi di gestione e
controllo degli interventi cofinanziati nel periodo di programmazione 2014/2020. (Decreto n.
1/2015).
(G.U. 09 febbraio 2015, n. 32)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 23 dicembre 2014
Autorizzazione alla Cassa depositi e prestiti S.p.a. a fornire, a condizioni di mercato, la
provvista necessaria per effettuare operazioni di finanziamento destinate al sostegno
dell'internazionalizzazione delle imprese e delle esportazioni.
(G.U. 12 febbraio 2015, n. 35)
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
DECRETO 11 dicembre 2014
Criteri e modalità applicative per la prestazione di garanzie.
(G.U. 12 febbraio 2015, n. 35)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
COMUNICATO
Conto riassuntivo del Tesoro al 30 novembre 2014. Situazione del bilancio dello Stato.
(G.U. 13 febbraio 2015, n. 36)
ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI
PROVVEDIMENTO 27 gennaio 2015
Modifiche ed integrazioni al regolamento n. 7 del 13 luglio 2007, concernente gli schemi per il
bilancio delle imprese di assicurazione e di riassicurazione che sono tenute all'adozione dei
principi contabili internazionali di cui al titolo VIII (bilancio e scritture contabili), capo I
(disposizioni generali sul bilancio), capo II (bilancio di esercizio), capo III (bilancio consolidato)
e capo V (revisione contabile) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - codice delle
assicurazioni private. (Provvedimento n. 29).
(G.U. 14 febbraio 2015, n. 37)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
COMUNICATO
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
18
Avviso di sospensione dello sportello per il Bando per la concessione di agevolazioni alle
imprese per favorire la registrazione di marchi comunitari e internazionali. (15A01207)
(G.U. 20 febbraio 2015, n. 42)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 19 dicembre 2014
Indennizzo alle imprese per i danni subiti in conseguenza di delitti non colposi commessi per
ostacolare l'attività dei cantieri.
(G.U. 23 febbraio 2015, n. 44)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 8 gennaio 2015
Determinazione delle misure del diritto annuale dovuto per l'anno 2015 alle camere di
commercio.
(G.U. 23 febbraio 2015, n. 44)
MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA
DECRETO 18 giugno 2013
Ammissione alle agevolazioni FAR per il progetto di ricerca e formazione DM62538, presentato
ai sensi dell'articolo 13 del decreto 593/2000, a fronte dell'APQ Regione Liguria. (Decreto n.
1151).
(G.U. 26 febbraio 2015, n. 47)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 24 dicembre 2014
Adeguamento delle disposizioni contenute nel decreto 13 febbraio 2014 concernente
programmi di investimento finalizzato al rilancio industriale delle aree di crisi della Campania,
alle nuove norme in materia di aiuti di Stato previste dal regolamento (EU) n. 651 del 17
giugno 2014.
(G.U. 26 febbraio 2015, n. 47)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 20 febbraio 2015
Modifiche al decreto 23 gennaio 2015 relativo alle modalità e termini per il versamento
dell'imposta sul valore aggiunto da parte delle pubbliche amministrazioni.
(G.U. 27 febbraio 2015, n. 48)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO,
DECRETO 24 febbraio 2015
Modificazioni al decreto 26 gennaio 2015 inerente criteri e modalità per il deposito telematico
dei titoli della proprietà industriale.
(G.U. 27 febbraio 2015, n. 48)
LEGGE 27 febbraio 2015, n. 11
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante
proroga di termini previsti da disposizioni legislative.
(G.U. 28 febbraio 2015, n. 49)
 Energia
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 19 gennaio 2015
Modalità di versamento dell'accisa sull'energia elettrica fornita o consumata nella regione
Siciliana tramite modello F24, sezione «accise».
(G.U. 06 febbraio 2015, n. 30)
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
19
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
COMUNICATO
Approvazione del Piano operativo annuale 2014 della ricerca di sistema elettrico nazionale.
(G.U. 06 febbraio 2015, n. 30)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 26 gennaio 2015
Approvazione dei programmi di manutenzione annuali predisposti dai gestori di reti di trasporto
di gas naturale, per l'anno termico 2014-2015.
(G.U. 12 febbraio 2015, n. 35)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 6 febbraio 2015
Determinazione e modalità di allocazione della capacità di stoccaggio di modulazione per il
periodo contrattuale 2015-2016.
(G.U. 23 febbraio 2015, n. 44)
 Immobili
DECRETO 4 febbraio 2015
Individuazione di beni immobili di proprieta' dell'INPS.
(G.U. 11 febbraio 2015, n. 34)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile in Latina.
(G.U. 11 febbraio 2015, n. 34)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile in Tarvisio.
(G.U. 11 febbraio 2015, n. 34)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un sito in Rovigo.
(G.U. 11 febbraio 2015, n. 34)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile in La Spezia.
(G.U. 11 febbraio 2015, n. 34)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un'aliquota demaniale in Comeglians.
(G.U. 11 febbraio 2015, n. 34)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un sito in Campolongo Tapogliano.
(G.U. 11 febbraio 2015, n. 34)
AGENZIA DEL DEMANIO,
DECRETO 9 febbraio 2015
Individuazione di beni immobili di proprietà dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro.
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
20
(G.U. 17 febbraio 2015, n. 39)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ACCORDO 18 dicembre 2014
Accordo tra il Governo, le regioni e gli enti locali, concernente l'adozione di moduli unificati e
standardizzati per la presentazione della comunicazione di inizio lavori (CIL) e della
comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) per gli interventi di edilizia libera. (Rep. Atti n.
157/CU).
(G.U. 19 febbraio 2015, n. 41)
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
21
Giurisprudenza
 Condominio
 Corte di cassazione - Sezione V penale – Sentenza n. 5633, 5 febbraio 2014
Si può dare
condominio
dell'"incompetente"
all'amministratore
durante
l'assemblea
di
Definire “incompetente” l’amministratore di condominio in assemblea non configura il reato di
ingiuria ex art. 594 c.p. Tale termine, infatti, utilizzato all’interno dello specifico contesto
condominiale, è da valutarsi come una legittima critica verso l’operato dell’amministratore.
È quanto deciso dalla quinta sezione penale della Corte di cassazione che, con la sentenza n.
5633 del 5 febbraio 2015, ha assolto una condomina nonostante l’inequivoco significato della
definizione utilizzata contro l’amministratore.
La vicenda si colloca nel classico contesto dell’assemblea di condominio. Nevi tesi e discussione
non proprio tranquilla, volano parole grosse ed una condomina particolarmente agitata rivolge
all’amministratore il poco elegante epiteto di “incompetente”.
La cosa non passa inosservata e l’amministratore denuncia la condomina. Per il Giudice di Pace
è evidente la lesione provocata al decoro, personale oltre che professionale,
dell’amministratore, anche perché il “complimento” veniva riferito in presenza di tutti i
partecipanti all’assemblea. La donna veniva dunque ritenuta colpevole del reato di ingiuria e
condannata al pagamento di euro 800 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore
dell’amministratore. La condanna veniva poi confermata anche dal Tribunale in secondo grado.
Di segno opposto, invece, il parere dei giudici di legittimità, che hanno accolto le difese della
condomina ritenendo non configurabile il reato contestato. Risulta decisivo, per la suprema
Corte, il contesto in cui si sono svolti i fatti, ossia durante lo svolgimento dell’assemblea di
condominio.
Si legge nella sentenza che, avuto riguardo al contesto della discussione condominiale durante
la quale è stato utilizzato il termine “incompetente”, lo stesso risulta senz’altro esercizio di un
legittimo diritto di critica nei confronti dell'amministratore, con riguardo alle modalità di
gestione del condominio.
Il termine utilizzato non trascende di per sé i limiti di tale esercizio, non investendo la persona
dell’amministratore in quanto tale, ma limitando la critica agli atti dalla stessa compiuti nel
compimento del proprio incarico. Né il superamento dei limiti di cui sopra può essere desunto
da altri comportamenti segnalati nella sentenza impugnata, quale in particolare l'affissione
nella bacheca condominiale, nei giorni successivi, di un biglietto nel quale l’amministratore
veniva definita come una «mentecatta», trattandosi di fatti estranei a quello oggetto
d'imputazione, che si è esaurito nell'ambito della discussione nell'assemblea del condominio.
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
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La decisione della Cassazione non rappresenta certo una novità nel panorama giurisprudenziale
in materia. Molto spesso i giudici sono chiamati a decidere sulla rilevanza penale o meno di
comportamenti, gesti o espressioni posti in essere durante le assemblee di condominio. Ad
esempio, è dello scorso 11 novembre 2014 la sentenza n. 46498 con la quale la stessa
Cassazione avevano confermato la condanna per diffamazione ex art. 595 c.p. nei confronti del
condomino che, durante l’assemblea, aveva accusato l’altro condomino di essere moroso ed
abituato a non pagare le spese condominiali.
In quella circostanza, la Corte si era soffermata sui limiti del diritto di critica, affermando tra
l’altro, che “la critica nei confronti di un condominio può legittimamente estrinsecarsi all’interno
di un’assemblea condominiale o nei rapporti con l’amministratore, ma di certo non può
legittimare affermazioni offensive rivolte nei confronti di terzi”, tanto più sé, come nel caso di
specie, ignari ospiti della persona offesa
(Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole24 ORE – Tecnici24, 11 febbraio 2015)
 Immobili

Corte di Cassazione - Sentenza n. 3028, 16 febbraio 2015
Preliminare di compravendita immobiliare. La consegna anticipata non fa decorrere i
termini per eccepire i vizi
In caso di preliminare di vendita immobiliare, la consegna dell’immobile effettuata prima della
stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi
noti, né comunque quello di prescrizione, perché l’onere della tempestiva denuncia presuppone
che sia avvenuto il trasferimento del diritto di proprietà. Questo il principio di diritto affermato
dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3028 del 16 febbraio 2015.
Secondo i supremi Giudici, prima della stipula dell’atto definitivo, la presenza di vizi nella cosa
consegnata abilita il promissario acquirente – senza che sia necessario il rispetto del termine di
decadenza di cui all’art. 1495 c.c. per la denuncia dei vizi della cosa venduta – ad opporre la
eccezione di inadempimento al promittente venditore che gli chieda di stipulare il contratto
definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo. Lo stesso promissario acquirente
potrà chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del
promittente venditore, ovvero la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi
della cosa.
Il caso – Una società edile stipulava tre preliminari di compravendita aventi ad oggetto
altrettanti appartamenti in corso di costruzione. Al momento della stipula della vendita
definitiva, il società chiedeva che ai promissari acquirenti di versare un prezzo maggiore di
quello originariamente pattuito in ragione della maggiori spese derivanti dalla lievitazione del
costo del muto per l’acquisto dell’area da edificare e del costo dei materiali. I promissari
acquirenti si rifiutavano di sottoscrivere il contratto e citava in giudizio, tra gli altri, la società
edile perché fosse condannata ex art. 2932 c.c. a trasferire coattivamente l’immobile e
risarcire i danni, contestando peraltro anche la presenza di vizi costruttivi degli immobili. La
società si opponeva e chiedeva in via riconvenzionale il pagamento delle somme richieste.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la domanda attrice rilevando, in estrema
sintesi, da un lato, che il promissario acquirente era ben a conoscenza delle maggiori spese
che avrebbe dovuto sostenere al momento della stipula del definitivo, dall’altro, che i termini
per la denuncia dei vizi erano ampiamente decorsi. Veniva invece accolta la domanda della
promittente venditrice, poiché si accertava che erano i promissari acquirenti ad essere
inadempienti, non avendo versato le somme pattuite.
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
23
La sentenza veniva dunque impugnata innanzi alla Corte di Cassazione, che ha accolto i motivi
di ricorso ritenendo la decisione dei giudici d’appello errata in almeno tre punti, di seguito
sintetizzati.
Convenzione di acquisto del suolo e contratto preliminare. Per gli Ermellini appare illogico porre
a carico dei promissari acquirenti l’obbligo di pagamento del conguaglio del prezzo sul
presupposto che questi fossero pienamente informati delle due convenzioni, successive ai
preliminari, stipulate dalla società edile con il Comune per l’acquisto dell’area da edificare,
considerato che i promissari acquirenti erano rimasti estranei (e dunque terzi) rispetto alle
convenzioni medesime.
Valutazione comparativa dell’inadempimento. L’unico inadempimento effettivamente
imputabile ai promissari acquirenti è quello relativo al pagamento degli interessi di
preammortamento del mutuo fondiario aperto per l’acquisto dell’area. Tuttavia, osserva la
Corte, in questi casi è necessario svolgere una valutazione comparativa degli opposti
inadempimenti, avuto riguardo anche alla proporzionalità degli stessi rispetto alla funzione
economico sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico,
sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, al fine di valutare la gravità o meno
dell’inadempimento a norma degli art. 1455 e se il rifiuto ad adempiere non sia in buona fede e
quindi giustificabile ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c. Tale valutazione comparativa appare
assolutamente carente nella sentenza di merito impugnata.
Preliminare di vendita con consegna anticipata e garanzia della cosa venduta. Si
tratta dei principi di diritto già riferiti in apertura. Nei contratti preliminari di compravendita
immobiliare non trovano applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, atteso che il
preliminare non è idoneo a provocare il trasferimento della proprietà. In tali casi, dunque, il
termine di otto giorni, utile ad eccepire i vizi della cosa venduta, decorre dal momento in cui è
stato trasferito il diritto di proprietà - cioè dalla stipula del definitivo - atteso che l’art. 1495 cc.
individua quale presupposto dell’eccezione il trasferimento del diritto di proprietà della cosa.
Nel caso di specie, dunque, il giudice territoriale ha errato nel dichiarare prescritto il diritto dei
promissari acquirenti di eccepire i vizi costruttivi degli appartamenti e, di conseguenza, non ha
verificato l’effettiva esistenza o meno degli stessi.
Per tali motivi, la Cassazione ha rinviato la decisione alla Corte d’appello competente, che
dovrà rivalutare l’intera vicenda applicando i principi summenzionati.
(Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 23 febbraio 2015)

Corte di Cassazione - Sezione III – Sentenza n. 2865, 13 febbraio 2015
Locazione: in caso di risoluzione anticipata, risarcibile al locatore anche il mancato
guadagno
Il locatore che abbia chiesto ed ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per
inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per la anticipata
cessazione del rapporto. L’ammontare del danno risarcibile costituisce valutazione del giudice
di merito che terrà conto di tutte le circostanze del caso concreto.
Tale il principio di diritto espressamente enunciato dal giudice di legittimità in una recente
decisione. Nel caso in esame, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso del locatore, ha cassato
con rinvio la pronuncia impugnata con la quale la corte di merito aveva rigettato la domanda
volta al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto di locazione,
escludendo che i danni lamentati dal ricorrente – indicati nella mancata corresponsione dei
canoni di locazione dal rilascio dell’appartamento alla nuova locazione, e nella differenza tra il
canone originario ed il minor canone concordato con i nuovi conduttori dalla conclusione del
nuovo contratto di locazione fino alla naturale scadenza di quello intestato all’attuale parte
controricorrente – fossero conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del locatario.
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
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Secondo la Cassazione, l’art. 1453 cod. civ., facendo salvo, in ogni caso, il diritto della parte
adempiente, la quale chieda la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte,
al risarcimento dei danni, ricomprende, tra i danni risarcibili, anche il mancato guadagno, se ed
in quanto esso costituisca conseguenza immediata e diretta, ex art. 1223 cod. civ., dell’evento
risolutivo. Trattasi, specifica la S.C., di un danno potenziale e futuro, la cui concreta risarcibilità
postula l’effettività della lesione dell’interesse del creditore all’esecuzione del contratto; il che
comporta con specifico riferimento alla fattispecie della risoluzione della locazione per
inadempimento dell’obbligazione di pagamento dei canoni da parte del conduttore – che la
mancata percezione di un canone mensile, nel periodo successivo al rilascio per effetto della
pronuncia risolutiva – sia dipesa da causa diversa dalla volontà del locatore di non locare
nuovamente l’immobile riservandosene la disponibilità materiale. Va, quindi, ribadito, conclude
il giudice di legittimità, che, in caso di inadempimento contrattuale, il rimedio del risarcimento
del danno per equivalente è in ogni caso utilizzabile, sia che il contraente non inadempiente
chieda la condanna all’adempimento della controparte, sia che chieda la risoluzione del
rapporto contrattuale per inadempimento della controparte.
Riferimenti normativi:
Cod. Civ. art. 1223
Cod. Civ. art. 1453
Cod. Civ. art. 1571
Riferimenti giurisprudenziali:
Cassazione civile, Sez. III, sentenza 14 gennaio 2014, n. 530
Cassazione civile, Sez. VI, sentenza 10 dicembre 2013, n. 27614
(Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 17 febbraio 2015)
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Immobili e
professione


«Terzietà dell’agente a rischio»
Il Sole 24ORE – Casa24, 26 febbraio 2015
Gli agenti immobiliari reagiscono contro lo sbarco in forze dei big del credito nel loro campo di
competenza. Dopo l’esposto di Fiaip all’Antitrust che ha segnalato l’ipotesi di violazione della
concorrenza, Fimaa ieri in un comunicato ha denunciato: «Con l’intermediazione delle banche il
cliente-consumatore intenzionato all’acquisto di un immobile non ha alcuna garanzia di terzietà
tra chi vende e chi compra, tutela che solo gli agenti immobiliari indipendenti possono
garantire. Gli istituti di credito, infatti, intendono impadronirsi del mercato mettendo al servizio
delle loro società di intermediazione immobiliare soci nominalmente professionisti, ma di fatto
dipendenti in tutto e per tutto dagli istituti di credito, per stipulare tutti i contratti immobiliari.
Con nessun beneficio per il cittadino».
«Sia chiaro che non è un attacco al mondo delle banche tout court», premette Paolo Righi,
presidente nazionale Fiaip, contattato da Casa24 Plus. «Ma tutto ci si poteva aspettare, in
un momento di crisi che non accenna a finire, tranne che iniziative come queste».
Che cosa non va?
Il problema principale è che si tratterà di una concorrenza impari. Le banche hanno
praticamente aiuti illimitati. Ricevono denaro a bassissimo costo dalla Bce e di fatto
non possono fallire, come una qualunque altra impresa. La loro funzione sociale
dovrebbe essere quella di sostenere le attività economiche, agenzie immobiliari
comprese, non di fare loro concorrenza entrando in terreni che non sono di loro
competenza.
Teme uno sbarco in massa delle banche e la chiusura di tante piccole agenzie?
Al momento no, ci vuole più tempo per valutare gli effetti occupazionali sui nostri
associati. Inoltre, so per certo che diversi istituti di credito rilevanti si guardano bene
dal seguire questo esempio e preferiscono continuare a fare il proprio mestiere. È
che ci sono in ballo alcuni punti sostanziali, riguardanti la nostra attività, che in
questo modo entrano in palese contrasto con la legislazione.
Quali?
In primo luogo, la cosiddetta terzietà dell’agente. Il Codice civile impone che questa
figura metta in contatto due parti tra loro, senza però avere alcun legame con esse,
né di collaborazione né di dipendenza. Difficile sostenere che un agente sia terzo,
all’interno di una filiale, quando l’immobile oggetto della trattativa appartiene alla
banca o a un suo cliente. Il secondo problema riguarda i mutui. Dal 2010, con il Dlgs
141/2010, per gli agenti è vietato segnalare all’acquirente eventuali mutui da
sottoscrivere per finanziare l’operazione. Come si fa a credere che un agente
operante all’interno di una banca si astenga dal suggerire al compratore i prodotti
dell’istituto?
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
26
Ma per i consumatori non è un vantaggio che si apra un nuovo canale di compravendita?
Secondo me no. Per quanto riguarda la questione di mutui, saranno meno propensi a
confrontare più preventivi e scegliere il più conveniente. E poi potrebbe aprirsi la
strada a pratiche poco amichevoli. Se un cliente ha un debito verso la banca e chiede
di ristrutturarlo o rifinanziarlo, in cambio potrebbe essere invitato, non dico
obbligato, a iniziare a considerare un mandato di vendita del proprio immobile.
Avete in mente altre azioni oltre all’esposto all’Antitrust?
Certo. Speriamo che il garante capisca l’urgenza del tema e risponda nel giro di 7-8
mesi. E comunque, a giorni, presenteremo una richiesta indirizzata questa volta alla
Banca d’Italia, perché vogliamo che anche via Nazionale si esprima su questo tema.
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
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Immobili e
agevolazioni


Bonus del 50% per spese notarili su vincoli unilaterali
Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, Edizione del 28 febbraio 2015,
n. 970 pag. 348
Sono detraibili le spese notarili per la costituzione di un vincolo pertinenziale all’unità
immobiliare principale delle parti del sottotetto rese abitabili con un intervento di
ristrutturazione. È quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate, con la ris. n. 118/E del 30
dicembre 2014.
L’Amministrazione finanziaria torna a occuparsi, con l’interessante ris. n. 118/E della fine
dell’anno scorso, della detrazione per le spese di recupero del patrimonio edilizio, tra cui
ovviamente rientrano quelle per le ristrutturazioni.
L’occasione per intervenire sul tema è stata fornita da un’istanza di interpello presentata da un
contribuente, con la quale sono stati richiesti chiarimenti in merito alla possibilità di detrarre,
nell’ambito delle spese agevolabili per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, anche
quelle per la redazione di un atto notarile di costituzione di un vincolo unilaterale.
La risposta positiva fornita dal Fisco è interessante perché contribuisce a meglio delineare
l’ambito operativo della fattispecie agevolativa, includendo al suo interno anche le spese che,
seppur non strettamente indispensabili per la realizzazione dell’intervento, si pongono
comunque in stretta relazione con lo stesso, come si vedrà a breve.
Bonus del 50% per tutto il 2015
Il decreto “salva Italia” (D.L. 201/2011) ha reso strutturale, a decorrere dal 1° gennaio 2012,
la detrazione delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, inserendola nel
corpus normativo del TUIR. Il nuovo art. 16- bis reca, in sé, tutta la disciplina del beneficio
fiscale de quo , originariamente introdotto dall’art. 1 della legge 449 del 27 dicembre 1997, e
poi modificato e prorogato con le successive leggi. Tuttavia, per quanto concerne le
disposizioni attuative, ai sensi del comma 9 del nuovo art. 16- bis , rimane ancora applicabile,
in quanto compatibile, il regolamento di cui al D.M. 41 del 18 febbraio 1998.
Il comma 1 del predetto art. 16- bis dispone che dall’IRPEF lorda si detrae un importo pari al
36% delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a
€ 48.000 per unità immobiliare, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti
che possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono effettuati
gli interventi sostanzialmente già previsti dalla precedente normativa. Il comma elenca
dettagliatamente tutti gli interventi agevolabili, ma, per quel che qui rileva, è sufficiente
ricordare i seguenti previsti dalla lett. a ):
- «interventi di restauro e di risanamento conservativo», ovvero interventi edilizi rivolti a
conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme
sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell
’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi
comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio,
l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso,
l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio;
FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015
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- «interventi di ristrutturazione edilizia», ovvero interventi rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento
di nuovi elementi e impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono
ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla
normativa antisismica.
Il D.L. 83/2012 aveva previsto, al comma 1 dell’art. 11, l’innalzamento dal 36% al 50% della
detrazione delle spese per tutti gli interventi elencati nel predetto art. 16- bis , ancorché
limitatamente alle spese sostenute dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del decreto)
sino al 30 giugno 2013. Inoltre, lo stesso comma aveva altresì stabilito che nello stesso
periodo, ovvero dal 26 giugno 2012 al 30 giugno 2013, era aumentato il limite di spesa su cui
calcolare la nuova detrazione del 50%, che passava dai precedenti € 48.000 ai nuovi €
96.000, ovvero il doppio di quello di prima.
L’art. 16 del D.L. 63/2013, al comma 1, si era limitato a sostituire le parole «30 giugno 2013»
dell’art. 11, comma 1, del D.L. 83/2012 con «31 dicembre 2013». In tal modo, la detrazione
«potenziata» al 50% e con limite di spesa aumentato a € 96.000 era stata prorogata sino alla
fine del 2013.
La legge di Stabilità 2014 ha disposto, poi, una nuova proroga della detrazione, su una spesa
massima di € 96.000 per unità immobiliare, nella misura del:
- 50% delle spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2014;
- 40% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015.
La legge di Stabilità 2015 ha previsto, quindi, mediante integrazione dei commi 1 e 1- bis
dell’art. 16 del D.L. 63/2013, che gli interventi di cui all’art. 16- bis del TUIR sono ancora
agevolabili fino al 31 dicembre 2015 nella misura del 50% delle spese sostenute, con un limite
di € 96.000 per unità immobiliare, mentre i predetti interventi antisismici godono fino alla fine
dell’anno del trattamento di favore con aliquota al 65%, entro il medesimo limite di spesa
(tabella 1).
Tabella 1
Interventi di cui all’art. 16- bis del
TUIR
Fino al
25.6.2012
Dal 26.6.2012 Dall’1.1.2016
al 31.12.2015
Detrazione IRPEF
36%
50%
36%
Limite di spesa per unità immobiliare
€ 48.000
€ 96.000
€ 48.000
Detrazione massima
€ 17.280
€ 48.280
€ 17.280
Da ultimo, si ricorda che per la fruizione della detrazione in oggetto sono previsti specifici
adempimenti, quali, per esempio, il pagamento delle fatture mediante bonifico speciale,
nonché l’indicazione in dichiarazione di determinate informazioni, come più dettagliatamente
rappresentato nel riquadro 1 .
RIQUADRO 1 Adempimenti per fruire della detrazione di cui all’art. 16- bis del TUIR.
1. Prima dell’inizio dei lavori deve essere inviata all’ASL competente per territorio, mediante
raccomanda A/R, la comunicazione di inizio lavori, salvo i casi in cui ciò non sia previsto
dall’art. 99, comma 1, del D.Lgs. 81/2008.
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2. Il pagamento delle fatture relative ai lavori deve essere effettuato tramite bonifico bancario
o postale da cui risulti la causale del versamento con l’indicazione della norma agevolativa, il
codice fiscale del soggetto che effettua il pagamento, nonché il numero di partita IVA o il
codice fiscale del soggetto a favore del quale è effettuato il bonifico (quando vi sono più
soggetti che sostengono la spesa, e tutti intendono fruire della detrazione, il bonifico deve
riportare il numero di codice fiscale delle persone interessate al beneficio fiscale; se il bonifico
contiene l’indicazione del codice fiscale del solo soggetto che fino al 13.5.2011 era obbligato a
presentare il modulo di comunicazione al Centro operativo di Pescara, gli altri aventi diritto,
per ottenere la detrazione, devono riportare in un apposito spazio della dichiarazione dei
redditi il codice fiscale indicato sul bonifico).
3. Fino al 13.5.2011, occorreva inviare, con raccomandata, al Centro operativo di Pescara
dell’Agenzia delle entrate, l’apposita comunicazione preventiva di inizio dei lavori, contenente,
tra l’altro, l’indicazione dei dati catastali identificativi dell’immobile oggetto di intervento. Dal
14.5.2011, invece, in forza dell’art. 7, comma 2, lett. q ), del D.L. 70/2011, tale adempimento
è stato soppresso e in sua sostituzione è stato previsto che il contribuente:
- indichi nella dichiarazione dei redditi:
- i dati catastali identificativi dell’immobile oggetto di interventi agevolati;
- gli estremi di registrazione dell’atto che ne costituisce titolo, come, per esempio, il contratto
d’affitto, se i lavori sono effettuati dal detentore (per esempio, il conduttore);
- gli altri dati richiesti ai fini del controllo da detrazione;
- conservi ed esibisca, a richiesta dell’Agenzia delle entrate, i documenti previsti dal provv.
Agenzia delle entrate del 2.11.2011, n. 149646, ovvero:
- abilitazioni amministrative in relazione alla tipologia di lavori da realizzare (concessione,
autorizzazione o comunicazione di inizio lavori). Se queste abilitazioni non sono previste è
sufficiente una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui deve essere indicata la data
di inizio dei lavori e attestare che gli interventi di ristrutturazione edilizia posti in essere
rientrano tra quelli agevolabili (cfr. ris. n. 325/E/2007);
- domanda di accatastamento per gli immobili non ancora censiti;
- ricevute di pagamento dell’ICI/IMU/TASI, se dovuta;
- delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori e tabella millesimale di
ripartizione delle spese per gli interventi riguardanti parti comuni di edifici residenziali;
- in caso di lavori effettuati dal detentore dell’immobile, se diverso dai familiari conviventi,
dichiarazione di consenso del possessore all’esecuzione dei lavori;
- comunicazione preventiva contenente la data di inizio dei lavori da inviare all’Azienda
sanitaria locale, se obbligatoria secondo le disposizioni in materia di sicurezza dei cantieri;
- fatture e ricevute fiscali relative alle spese effettivamente sostenute;
- ricevute dei bonifici di pagamento.
4. Fino al 13.5.2011, le fatture relative agli interventi agevolati dovevano recare, a pena di
decadenza, la separata indicazione del costo della manodopera. Dal 14.5.2011, l’art. 7, comma
2, lett. r ), del D.L. 70/2011 ha abolito tale obbligo di indicazione in fattura e non ha
introdotto, in sua sostituzione, alcun nuovo adempimento.
Ambito operativo
La detrazione in oggetto spetta ai contribuenti che possiedano o detengano, sulla base di un
idoneo titolo (proprietà, locazione, comodato ecc.), l’immobile oggetto di intervento di
recupero. L’agevolazione compete anche agli imprenditori individuali e ai soci di società
semplici o di persone, purché si tratti di immobili non strumentali e che non costituiscano “beni
merce”. Ha diritto alla detrazione, inoltre, anche il familiare convivente del possessore o
detentore dell’immobile, purché ne abbia sostenuto le relative spese e siano a lui intestate le
fatture e i bonifici. Può usufruire dell’agevolazione anche chi effettua in proprio i lavori
ammessi al beneficio, ma limitatamente alle spese sostenute per l’acquisto dei materiali
utilizzati.
In caso di decesso del soggetto destinatario dell’agevolazione, le quote residue della detrazione
spettano agli eredi, purché detengano, da subito, direttamente e materialmente l’immobile,
senza tuttavia la necessità di adibirlo a propria abitazione principale.
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Nell’ipotesi di vendita dell’unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi, la
detrazione non utilizzata in tutto o in parte è trasferita per i rimanenti periodi di imposta, salvo
diverso accordo delle parti, all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare.
Il limite di spesa, attualmente previsto nella misura di € 96.000, deve essere considerato in
relazione a ogni persona fisica beneficiaria e a ogni singola unità immobiliare: pertanto, in caso
di presenza di più soggetti destinatari dell’agevolazione, occorre ripartire l’importo di € 96.000
per ogni avente diritto. Inoltre, occorre tenere conto delle spese sostenute negli anni pregressi
per lo stesso intervento che prosegua in anni successivi, in modo tale che tale limite venga
considerato sulla pluralità degli anni in cui è durato lo stesso intervento.
La detrazione deve essere ripartita in 10 rate annuali di pari importo.
Tra le spese che possono essere considerate per il calcolo della detrazione rientrano, oltre a
quelle relative agli specifici interventi, anche quelle a esse strettamente connesse o comunque
necessarie, come quelle di progettazione, perizia, imposte e tasse varie (riquadro 2 ).
L’Agenzia delle entrate, al riguardo, aveva fornito importanti chiarimenti, seppur in relazione
all’art. 1 della legge 449/1997, che recava la disciplina dell’agevolazione in oggetto prima della
sua stabilizzazione mediante inserimento nel TUIR. La relazione illustrativa al D.L. 201/2011,
che ha appunto introdotto l’art. 16- bis del TUIR, ha fatto salvo il consolidato orientamento di
prassi formatosi in materia e, pertanto, i chiarimenti pregressi del Fisco sono applicabili anche
alle nuove disposizioni del TUIR, che peraltro ricalcano quelle del vecchio art. 1 della legge
449/1997.
RIQUADRO 2 Spese detraibili.
- Progettazione dei lavori;
- acquisto dei materiali;
- esecuzione dei lavori;
- altre prestazioni professionali richieste dal tipo d’intervento;
- relazione di conformità degli stessi alle leggi vigenti;
- perizie e sopralluoghi;
- imposta sul valore aggiunto, imposta di bollo e diritti pagati per le concessioni, le
autorizzazioni, le denunce di inizio lavori;
- oneri di urbanizzazione;
- la redazione della documentazione obbligatoria atta a comprovare la sicurezza statica del
patrimonio edilizio;
- altri eventuali costi strettamente inerenti la realizzazione degli interventi e gli adempimenti
posti dal reg. n. 41 del 18.2.1998.
Per quel che qui rileva, con la circ. n. 57/E del 24 febbraio 1998 (par. 4) e poi con la circ. n.
121/E dell’11 maggio 1998 (par. 5), l’Agenzia delle entrate ha precisato che, tra le altre,
rientrano nelle spese ammissibili all’agevolazione l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta di
bollo e i diritti pagati per le concessioni, le autorizzazioni e le denunzie di inizio lavori.
Spese notarili agevolabili
Un contribuente, mediante istanza di interpello formulata all’Agenzia delle entrate, ha chiesto
se tra le spese che possono concorrere alla detrazione vi siano anche quelle notarili per la
redazione di un atto di vincolo unilaterale, con il quale venga costituito pertinenza
dell’abitazione principale un sottotetto recuperato ai fini abitativi mediante ristrutturazione.
Per inquadrare l’intervento in oggetto, occorre evidenziare che lo stesso è stato posto in essere
nell’ambito di quelli previsti dalla L.R. 21 del 6 agosto 1998, che promuove il recupero ai fini
abitativi dei sottotetti. È la stessa legge, peraltro, a stabilire che gli interventi in oggetto sono
classificati tra quelli di restauro e risanamento conservativo e/o di ristrutturazione.
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Inoltre, la predetta legge regionale, all’art. 3, prevede che il rilascio della concessione edilizia
per il recupero del sottotetto ai fini abitativi comporta la corresponsione del contributo
commisurato agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione. Tuttavia, tale contributo è
ridotto nella misura del 50% qualora il richiedente la concessione provveda, contestualmente
al rilascio della concessione stessa, a registrare e a trascrivere, presso la competente
conservatoria dei registri immobiliari, dichiarazione notarile con la quale le parti rese abitabili
costituiscano pertinenza dell’unità immobiliare principale.
Il contribuente che ha promosso l’istanza di interpello all’Agenzia delle entrate aveva operato
proprio in tal senso, sottoscrivendo tale atto notarile di costituzione di vincolo unilaterale di
pertinenza, al fine di ottenere la riduzione del contributo.
L’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il costo sostenuto per la redazione di tale atto
notarile, in quanto rilevante per la determinazione dell’importo del contributo commisurato agli
oneri di urbanizzazione che è detraibile secondo quanto già in precedenza illustrato, debba
seguirne il medesimo regime fiscale ed essere ammesso anch’esso in detrazione.
Si ricorda, infine, per quanto concerne la fattispecie in oggetto, che già in passato l’Agenzia
delle entrate aveva stabilito che è agevolabile l’intervento per rendere abitabile un sottotetto
esistente, a condizione che ciò avvenga senza aumento della volumetria originaria (cfr. circ. n.
57/E/1998). Se, invece, la ristrutturazione avviene senza demolizione dell’edificio esistente,
ma con ampliamento dello stesso, allora la detrazione compete solo per le spese riferibili alla
parte esistente giacché l’ampliamento configura comunque una nuova costruzione (cfr. ris. n.
4/E/2011; circ. n. 39/E/2010 e circ. n. 36/E/2007).
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Prestazione
energetica


Rent to Buy, APE e impianti termici
Luca Rollino, Pier Paolo Bosso, Consulente Immobiliare, Edizione del 28 febbraio 2015 Quaderno, n. 1 pag. 26
Rent to Buy e APE
La legge 90 del 3 agosto 2013 (in G.U. 181 del 3 agosto 2013) ha sancito in modo definitivo
l’obbligo, su tutto il territorio italiano, dell’attestato di prestazione energetica (APE) in
occasione di trasferimento di immobili. Detto attestato è chiamato, infatti, a svolgere il ruolo di
strumento di “informazione” del proprietario, dell’acquirente e/o del locatario (art. 6, commi 1,
2, 3 e 8, D.Lgs. 192 del 19 agosto 2005) circa la prestazione energetica e il grado di efficienza
energetica degli edifici. Oltre a fornire all’utente raccomandazioni per il miglioramento
dell’efficienza energetica, con le proposte degli interventi più significativi ed economicamente
più convenienti, l’attestato di prestazione energetica deve, inoltre, contenere tutti i dati che
consentano “ai cittadini di valutare e confrontare edifici diversi” e quindi di poter scegliere
l’edificio da acquistare o da locare in base alla prestazione energetica.
La legge 90/2013, andando a modificare il D.Lgs. 192/2005, ha introdotto differenti obblighi,
che devono essere sempre considerati quando ci si appresta ad affittare e/o vendere un
immobile: l’obbligo di dotazione, l’obbligo di allegazione, l’obbligo di informativa e l’obbligo di
consegna.
Peraltro, le richieste sancite dal D.Lgs. 192/2005, così come modificato dalla legge 90/2013,
sono cogenti e necessarie su tutto il territorio italiano, e devono poi essere accompagnate dalle
prescrizioni conseguenti all’applicazione delle normative regionali in materia di attestato di
prestazione energetica, emanate da quelle regioni che abbiano recepito la dir. n. 2010/31/UE
(art. 17, D.Lgs. 192/2005). Anche qualora le regioni avessero recepito tale direttiva, gli
obblighi introdotti dalla legge 90/2013 restano comunque vincolanti, in quanto equiparabili a
principi fondamentali e inerenti un campo (quello delle compravendite immobiliari) per il quale
le regioni non hanno facoltà legislativa (art. 117, Cost., Titolo V).
Primo aspetto saliente è l’obbligo di mettere a disposizione l’APE sin dai primi momenti della
trattativa immobiliare. Qualora l’immobile non sia ancora costruito e/o ultimato, il venditore
e/o il locatario fornisce evidenza della futura prestazione energetica dell’edificio (avvalendosi
dei dati contenuti nella relazione ex art. 28 della legge 10/1991, obbligatoria per legge) e
produce l’APE entro 15 giorni dalla richiesta del rilascio del certificato di agibilità (comma 1,
art. 6, D.Lgs. 192/2005).
In conseguenza di quanto sopra, chi volesse avviare un’operazione di Rent to Buy corretta
dovrà disporre dei dati energetici dell’edificio già quando inizierà le trattative. Si ricorda,
peraltro, che gli annunci immobiliari devono contenere le indicazioni in merito alle prestazioni
energetiche degli edifici (comma 2 - quater, art. 13, D.Lgs. 28 del 3 marzo 2011). Quindi, a
maggior ragione, un’operazione di Rent to Buy “pubblicizzata” richiede tassativamente il
possesso delle informazioni inerenti classe e prestazione energetica degli edifici.
La legge 90/2013 introduce poi l’obbligo di allegazione nel caso di vendita dell’edificio, ma non
nel caso di locazione di singole unità immobiliari. In occasione di un’operazione di Rent to Buy,
quindi, l’APE non dovrà essere allegato al contratto iniziale, ma dovrà essere allegato all’atto
finale di chiusura, con il definitivo passaggio di proprietà dell’immobile. Tuttavia, come
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vedremo nel prosieguo della trattazione, le parti in causa devono essere informate da subito in
merito alle caratteristiche energetiche dell’immobile, e tale conoscenza deve essere
testimoniata nella documentazione contrattuale.
Questo fa nascere due problemi: la validità dell’APE “iniziale” allorquando vi sarà l’atto finale di
compravendita e la correttezza delle informazioni in esso contenute.
Ai sensi del D.Lgs. 192/2005, l’attestato di prestazione energetica è valido 10 anni dal suo
rilascio ed è aggiornato a ogni intervento che modifichi la classe energetica dell’immobile.
Inoltre, affinché l’APE resti valido, devono essere effettuate le operazioni di controllo di
efficienza energetica dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici,
comprese le eventuali necessità di adeguamento previste dal D.P.R. 74 del 6 aprile 2013,
comprese le eventuali necessità di adeguamento. Qualora tali disposizioni non siano rispettate,
l’attestato decade il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è prevista la prima
scadenza non rispettata per le operazioni di controllo dell’efficienza energetica.
Il rispetto delle scadenze si può riscontrare sul libretto di impianto e climatizzazione relativo
all’impianto termico installato all’interno dell’immobile, nel nuovo formato previsto da D.M. 10
febbraio 2014, diventato cogente su tutto il territorio nazionale dal 15 ottobre 2014 e adottato
con integrazioni già da diverse regioni (Lombardia, Veneto e Piemonte su tutte). Un’operazione
di Rent to Buy potrebbe partire con un APE valido, per poi richiedere la produzione di un nuovo
APE prima dell’atto conclusivo, in quanto sono passati più di 10 anni (decadenza temporale) o
in quanto sono stati fatti interventi che hanno modificato la classe energetica (decadenza per
aggiornamento), o perché non sono stati fatti i necessari interventi inerenti il controllo
dell’efficienza energetica (decadenza per negligenza). Vi è poi il caso, non remoto in realtà, per
il quale l’APE resta valido (dato che non si verifica nessuna delle cause di decadenza sopra
elencate), ma i contenuti in esso riportati, in primis l’indicazione della prestazione energetica,
cambiano in seguito a interventi che non modificano la classe.
L’APE, infatti, riporta non solo un indice di prestazione energetica e una classe, determinata
sulla base di quanto previsto dalle vigenti normative nazionali, ma documenta tutta una serie
di informazioni energetiche e impiantistiche. I dati riportati possono cambiare nelle varie
regioni che si siano dotate di un proprio format di attestato (si vedano per esempio Lombardia,
Piemonte e Valle d’Aosta). Tali dati non necessariamente incidono direttamente e
significativamente su classe energetica e indice di prestazione globale (i soli parametri che, per
legge, se variati, causano la decadenza dell’APE). Per esempio, nel caso di interventi di
riqualificazione energetica che il cedente nel Rent to Buy potrebbe intraprendere (come quelli
per usufruire delle detrazioni del 65% dall’IRPEF), vi potrebbero essere dei cambiamenti dei
dati parziali, ma nessun cambiamento di classe e indice globale di prestazione energetica. Tali
interventi migliorano quindi la prestazione energetica (si pensi, per esempio, alla sostituzione
degli infissi o del generatore di calore) o, più semplicemente, cambiano alcune caratteristiche
del sistema edificio-impianto dell’immobile senza richiedere necessariamente la produzione di
un nuovo attestato. In tal caso, seppur non esplicitamente richiesto dalla legge, è necessario
produrre un APE aggiornato in sostituzione di quello primigenio, in quanto, in occasione
dell’atto di compravendita finale, si dovrà allegare l’APE (in rispetto dell’obbligo di allegazione)
e riportare apposita clausola con cui le parti dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la
documentazione in ordine all’attestazione della prestazione energetica degli edifici (art. 6,
comma 3, D.Lgs. 192/2005). Si procede pertanto in ottemperanza del cosiddetto obbligo di
informativa, con il quale vengono riportate all’interno dei documenti contrattuali informazioni
specifiche sulla prestazione energetica. Queste sono desumibili dall’APE solo se questo è
aggiornato a valle dei vari interventi, anche se non è cambiata la classe energetica e se
l’attestato non è decaduto.
La necessità di dichiarare la ricezione della documentazione, comprensiva dell’APE, sancisce
anche l’obbligo di consegna da parte del venditore o del proprietario all’acquirente o al
conduttore.
Si sottolinea come il non rispetto dell’obbligo di informativa, dell’obbligo di consegna o
dell’obbligo di allegazione comporta il pagamento in solido e in parti uguali della sanzione
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amministrativa pecuniaria da € 1.000 a € 4.000 (violazione in occasione del contratto di
locazione iniziale) o da € 3.000 a € 18.000 (violazione in occasione dell’atto di compravendita
finale).
Comunque, anche in caso di pagamento della sanzione, l’APE deve essere prodotto entro 45
giorni, a cura del proprietario dell’immobile nel caso di costruzioni esistenti o del costruttore
nel caso di nuove realizzazioni. Oltre alle sanzioni nazionali esistono anche sanzioni regionali
che vanno a punire tramite una multa le violazioni della normativa locale. Tali sanzioni possono
sommarsi a quelle nazionali, qualora la motivazione sia da ricondursi a specifiche prescrizioni
previste solo a livello regionale. Per tale motivo, l’attenzione deve essere massima, per non
incorrere in una sommatoria di multe distinte, anche molto onerose.
Si noti che il D.L. 145 del 23 dicembre 2013 ha eliminato la nullità automatica degli atti di
compravendita privi di APE, introducendo la suddetta sanzione pecuniaria. Tuttavia, l’efficacia e
la non contestabilità di un’operazione comunque complessa quale il Rent to Buy, deve essere
curata necessariamente anche dal punto di vista “energetico”. Una carenza o una non
conformità dei documenti previsti dalla legislazione vigente può essere una debolezza
invalidante o, peggio ancora, una motivazione che una delle due parti potrebbe addurre per
invalidare e/o interrompere l’operazione a proprio vantaggio.
Rent to Buy e impianti termici
L’efficacia e la non contestabilità dell’operazione di Rent to Buy viene garantita anche dal
rispetto delle prescrizioni del D.P.R. 74 del 16 aprile 2013, in materia di documentazione
inerente gli impianti asserviti agli edifici. Si è già detto come il libretto di impianto e di
climatizzazione, sul quale sono riportati i controlli di efficienza energetica, sia essenziale per
testimoniare la validità dell’APE.
Prima di iniziare l’analisi, è necessario definire bene quali sono le figure che hanno un ruolo
quando si parla di impianti tecnici negli edifici. Tali figure sono sancite dal D.Lgs. 192/2005
s.m.i., dal D.P.R. 74/2013 e, prima, dal D.P.R. 412/1993 e s.m.i.
Si tratta di distinguere innanzitutto tra proprietario dell’impianto, responsabile dell’impianto e
terzo responsabile.
Il proprietario dell’impianto termico è il soggetto che, in tutto o in parte, è proprietario
dell’impianto termico. Nel caso di edifici dotati di impianti termici centralizzati amministrati in
condominio e nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, gli obblighi e le responsabilità
posti a carico del proprietario sono da intendersi riferiti agli amministratori (Allegato A, D.Lgs.
192/2005). Il responsabile dell’impianto termico è: l’occupante, a qualsiasi titolo, in caso di
singole unità immobiliari residenziali; il proprietario, in caso di singole unità immobiliari
residenziali non locate; l’amministratore, in caso di edifici dotati di impianti termici centralizzati
amministrati in condominio. In caso di edifici di proprietà di soggetti diversi dalle persone
fisiche è invece il proprietario o l’amministratore delegato.
L’esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione dell’impianto termico e il rispetto delle
disposizioni di legge in materia di efficienza energetica sono affidati al responsabile
dell’impianto, che può delegarle a un terzo. La delega al terzo responsabile non è consentita
nel caso di singole unità immobiliari residenziali in cui il generatore o i generatori non siano
installati in locale tecnico esclusivamente dedicato. In tutti i casi in cui nello stesso locale
tecnico siano presenti generatori di calore oppure macchine frigorifere al servizio di più
impianti termici, può essere delegato un unico terzo responsabile che risponde delle predette
attività degli impianti (art. 6, comma 1, D.P.R. 74/2013).
Le casistiche che possono essere rilevate in occasione di un’operazione di Rent to Buy, sono
semplicemente e banalmente due: impianto autonomo o impianto centralizzato.
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Nel primo caso, sino al momento del passaggio di proprietà definitivo, il cedente resta il
proprietario dell’impianto, mentre l’inquilino ne sarà il responsabile. Quando vi sarà il
passaggio di proprietà dell’immobile, l’inquilino diverrà anche proprietario dell’impianto. A
questa fattispecie, devono essere ricondotti eventuali impianti aggiuntivi di riscaldamento e
impianti autonomi di climatizzazione estiva. Per questi, infatti, ai sensi della nuova e vigente
legislazione, valgono gli stessi principi e, salvo diverse indicazioni fornite a livello regionale
(vedasi la legislazione lombarda in materia), devono essere dotati di libretto di impianto.
Nel caso di impianto centralizzato, invece, l’inquilino non assume un ruolo responsabilizzato,
ma è il semplice fruitore dell’impianto. Il responsabile sarà l’amministratore o, nel caso, un
terzo responsabile regolarmente delegato. Il regime di condominio regolamenterà poi la
proprietà dell’impianto centralizzato, che si configura come un bene comune. Questo aspetto
può creare non poche problematiche qualora l’operazione di Rent to Buy sia condotta per
un’unità immobiliare collocata in un immobile per il quale sia attivo un contratto di servizio
energia. Si tratta di un caso particolare, che sarà sviscerato più avanti nella trattazione.
Il D.P.R. 74/2013 sancisce che i libretti di climatizzazione, di cui gli impianti devono essere
dotati, in occasione di trasferimento a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’unità immobiliare,
devono essere consegnati al futuro inquilino, debitamente aggiornati, con gli eventuali allegati
(art. 7, comma 5, D.P.R. 74/2013). Con tale passaggio, l’inquilino, nel caso di impianto
autonomo, diventa il responsabile dell’impianto termico ed è chiamato a garantire l’esercizio, la
conduzione, il controllo, la manutenzione, nonché il rispetto delle disposizioni in materia di
efficienza energetica (art. 6, comma 1), di tutela dell’ambiente e di sicurezza (art. 6, comma
3). Ne discende che per iniziare correttamente un’operazione di Rent to Buy , in un’unità
dotata di uno o più impianti autonomi di climatizzazione estiva e/o invernale, il futuro
acquirente, per ciascuno degli impianti autonomi di climatizzazione, dovrà ricevere da subito il
libretto di impianto e di climatizzazione aggiornato (o, per quelle regioni dove è già partita la
dematerializzazione del documento, i riferimenti per l’accesso a tali documenti sul portale
regionale); diverrà così immediatamente il responsabile dell’impianto, con tutti gli oneri
conseguenti. Sarà, quindi, il responsabile del rispetto delle scadenze inerenti i controlli di
efficienza energetica dell’immobile (che, se non rispettate, possono invalidare l’APE, come visto
sopra) e delle prescrizioni ambientali in materia di emissioni in atmosfera. Tuttavia, sino
all’atto di compravendita finale, non sarà il proprietario dell’impianto (che è invece il
proprietario dell’immobile) e non sarà tenuto a produrre l’APE aggiornato, obbligo in carico
invece al dante causa.
Nel caso di impianto centralizzato, invece, l’impianto sarà proprietà comune, mentre il libretto
di impianto sarà conservato dal responsabile d’impianto o dal terzo responsabile.
Le problematiche impiantistiche si intersecano, quindi, con quelle energetiche e inerenti l’APE,
e rischiano di pregiudicare la validità dell’operazione di Rent to Buy.
Nel caso di impianto autonomo è possibile un corto circuito, tale per cui il conduttore,
responsabile dell’impianto, mette in atto operazioni volte a garantire il rispetto delle
prescrizioni in materia di risparmio energetico o di tutela dell’ambiente (ad esempio cambio
caldaia), tali da comportare una decadenza della validità o dell’attualità dell’APE corrente,
senza darne comunicazione al proprietario dell’immobile (e dell’impianto). In questo modo, si
compromette la correttezza dell’atto di compravendita finale. A tali situazioni si può porre
rimedio attraverso un costante flusso di informazioni tra avente causa e dante causa (con tutte
le criticità del caso, qualora il dante causa avesse molte operazioni di questo genere attive);
oppure, molto più semplicemente, si può prevedere, prima dell’atto di compravendita
definitivo, la produzione di un nuovo e aggiornato APE, sostitutivo di quello in essere.
Considerando il costo degli attestati sul mercato, parrebbe quest’ultima la soluzione più logica
ed economicamente più conveniente.
Nel caso di impianto centralizzato, analogamente, un cambiamento o una minima variazione
del sistema centralizzato può rendere non aggiornati gli APE esistenti riferiti alle unità
immobiliari del condominio, senza peraltro implicarne la decadenza. Anche in tal caso, molto
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semplicemente, si può ovviare procedendo, prima dell’atto di compravendita definitivo, alla
produzione di un nuovo e aggiornato APE, sostitutivo di quello in essere.
Nell’impianto centralizzato, inoltre, ai sensi del D.P.R. 74/2013, bisogna sempre verificare che
il terzo responsabile sia validamente delegato, per evitare l’insorgere di spiacevoli sorprese
all’atto del passaggio definitivo di proprietà.
Il primo aspetto da verificare è che la delega sia stata data legittimamente. La delega non può
essere data se l’impianto non è conforme alle disposizioni di legge, salvo che nell’atto di delega
sia espressamente conferito l’incarico di procedere alla loro messa a norma (art. 6, comma 2).
La difformità è sia tecnologica sia documentale e può essere relativa alle disposizioni in campo
ambientale, alle disposizioni in materia energetica e impiantistica e alle prescrizioni normative
in materia di termoregolazione e contabilizzazione dei consumi di riscaldamento. Si tenga
presente che il delegante deve porre in essere ogni atto, fatto o comportamento necessario
affinché il terzo responsabile possa adempiere agli obblighi previsti dalla normativa vigente, e
garantire la copertura finanziaria per l’esecuzione dei necessari interventi nei tempi concordati.
Negli edifici in cui sia instaurato un regime di condominio, la predetta garanzia è fornita
attraverso apposita delibera dell’assemblea dei condomini. In tale ipotesi, la responsabilità
degli impianti resta in carico al delegante fino alla comunicazione dell’avvenuto completamento
degli interventi necessari, da inviarsi per iscritto da parte del delegato al delegante, entro e
non oltre 5 giorni lavorativi dal termine dei lavori.
Nel Rent to Buy, verificare la legittimità della delega al terzo responsabile significa evitare di
scoprire un aggravio di spese per risolvere le criticità connesse a una non conformità legislativa
dell’impianto. Tali spese, che a seconda del momento in cui sono richieste possono essere a
carico del cedente o dell’acquirente, possono essere anche molto onerose e rischiano di falsare
la convenienza economica dell’operazione. Ma non è tutto.
L’art. 6, comma 4, prevede che il terzo responsabile comunichi tempestivamente, in forma
scritta, al delegante l’esigenza di effettuare gli interventi, non previsti al momento dell’atto di
delega o richiesti dalle evoluzioni della normativa, indispensabili al corretto funzionamento
dell’impianto termico e alla sua rispondenza alle vigenti prescrizioni normative.
Negli edifici in cui vige un regime di condominio, il delegante deve espressamente autorizzare,
con apposita delibera condominiale, il terzo responsabile a effettuare i predetti interventi entro
10 giorni dalla comunicazione di cui sopra, facendosi carico dei relativi costi. In assenza della
delibera condominiale nei detti termini, la delega del terzo responsabile decade
automaticamente. In questa ipotesi, se la difformità legislativa insorge nell’esercizio delle
funzioni del terzo responsabile, oltre alle spese necessarie al ripristino si devono considerare i
rischi civili e penali in cui si può incorrere. Infatti, qualora non si proceda a incaricare il terzo
responsabile di effettuare le operazioni di eliminazione della difformità, la responsabilità
dell’impianto torna al delegante, ovvero l’assemblea condominiale (l’unico soggetto che si
possa fare carico dei relativi costi), che ne risponde in toto.
Nuovamente, è necessario che nel Rent to Buy l’impianto sia strettamente considerato, per
evitare di dover incorrere in sanzioni pecuniarie che possano variare l’attesa redditività
dell’operazione o, peggio ancora, essere causa di una risoluzione anticipata del contratto.
In estrema sintesi, si può dire che un’operazione di Rent to Buy non può prescindere dalla
completa conoscenza e dalla gestione di tutti gli aspetti inerenti la prestazione energetica e gli
impianti asserviti. Questo deve essere fatto dall’inizio ed è nell’interesse di entrambe le parti,
al fine di evitare contestazioni, impugnazioni o altre criticità che possano interrompere
un’operazione complessa e prolungata nel tempo quale si profila il Rent to Buy.
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Casi pratici
 Immobili
 LA PRESENTAZIONE DELLA CIL PER I LAVORI «STRAORDINARI»
D. Vorrei sapere se la domanda inoltrata dal mio tecnico al Comune e cioè la comunicazione
preventiva per interventi di edilizia libera (articolo 6, comma 2, del Dpr 380 del 2001, lettera b
e seguenti) indicando nel campo di descrizione la «manutenzione interna del fabbricato
esistente con sostituzione di infissi e pavimenti» è corretto ai fini di ottenere le detrazioni
fiscali del 50 per cento. Preciso che il cambio di pavimentazione è legato alla demolizione di
pareti.
----R. La Cil (Comunicazione di inizio lavori) deve essere inoltrata per la realizzazione degli
interventi di edilizia libera, disciplinati dall’articolo 6, comma 2, lettere a) – b) – c) - d) – e) del
Dpr 380/2001. Si tratta, tra l’altro, degli interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa
l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le
parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non
implichino incremento dei parametri urbanistici. Alla comunicazione, devono essere allegate le
autorizzazioni eventualmente obbligatorie previste dalle normative di settore, unitamente alla
copia dell'atto di proprietà o di altro documento che dimostri la legittimazione a comunicare
l'esecuzione delle opere, o autocertificazione resa nelle forme di legge. Nella comunicazione
deve essere indicato il nominativo dell’impresa esecutrice delle opere e vi deve essere allegata
una relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali,
a firma di un tecnico abilitato, il quale dichiari preliminarmente di non avere rapporti di
dipendenza con l’impresa né con il committente e asseveri, sotto la propria responsabilità, che
i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che
per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo. La
presentazione della Cil dà titolo per il contestuale inizio dei lavori. Sia la sostituzione degli
infissi che quella della pavimentazione (conseguente alla demolizione di pareti quindi
manutenzione straordinaria) dà diritto all’applicazione della detrazione del 50% sempre se i
pagamenti della fatture siano eseguiti con bonifico bancario o postale. Per la sola sostituzione
degli infissi, se al termine dei lavori si conseguono i prescritti requisiti di trasmittanza termica
previsti nel Dm 11 marzo 2008, si rende applicabile, in alternativa al 50%, anche la detrazione
del 65% (articolo 16bis del Tuir 917/1986 e articolo e 1, comma 47 legge 190/2014, guida al
50% e al 65% su www.agenziaentrate.it).
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).
 SPETTA L'AGEVOLAZIONE PER IL TERMOCONVETTORE
D. Devo eseguire degli interventi sul riscaldamento di una seconda casa (attualmente l'unica
fonte di riscaldamento è un condizionatore). In particolare, procederò all'installazione di un
termoconvettore a gas (Gpl) con combustione forzata e camera stagna. Posso fruire delle
detrazioni del 50% previste per le ristrutturazione edilizie sull'acquisto del termoconvettore e
sui lavori necessari per l'installazione?
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----R. La detrazione del 50% per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2015, nei limiti di
96.000 euro (articolo 16 bis del Tuir 917/86, articolo 1, comma 47, legge 190/2014), si rende
applicabile anche per tutti gli interventi idonei a conseguire risparmio energetico a prescindere
dalla presenza nell’immobile di un impianto di riscaldamento preesistente o di un semplice
condizionatore. Pertanto, anche le spese per l’installazione di un nuovo termoconvettore a gas
e per l’esecuzione dei relativi lavori accessori fruiscono della detrazione del 50% tenuto conto
della maggiore efficienza energetica ottenuta con il nuovo impianto. In sostanza, mentre la
detrazione del 65% sugli interventi di risparmio energetico non può trovare applicazione nel
caso di specie, in quanto l'edificio non è fornito originariamente di un preesistente impianto di
riscaldamento, la detrazione del 50% si applica in ogni caso, in quanto il requisito della
preesistenza di un impianto di riscaldamento non è richiesto per fruire dei benefici fiscali.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).

APE: COSTO PER IL RILASCIO DETRAIBILE SE INERENTE
D. Dovendo predisporre l'attestato prestazione energetica (Ape) della mia abitazione
unifamiliare, costruita nel 1992, chiedo se il relativo costo rientra tra gli oneri detraibili e qual è
il professionista autorizzato alla sua redazione.
----R. L'attestato di certificazione/prestazione energetica è un documento realizzato da un
professionista specializzato, il "certificatore energetico", o da un organismo preposto a questo
scopo, sulla base di criteri generali e di apposite metodologie di calcolo. Pertanto, occorre
rivolgersi solo a questi professionisti abilitati. La certificazione energetica ha la funzione di
attestare le prestazioni e le caratteristiche energetiche di un edificio o immobile, al fine di
consentire al cittadino una valutazione di confronto di tali caratteristiche rispetto ai valori di
riferimento previsti dalla legge, congiuntamente ad eventuali suggerimenti per il miglioramento
della resa energetica dell'edificio. Le spese per il rilascio della certificazione sono detraibili solo
se la certificazione è inerente a lavori che fruiscono della detrazione del 50% o 65% per
interventi di risparmio energetico (articolo 16 bis Tuir 917/1986 e articolo 1, comma 139,
legge 147/2013; articolo 1, comma 47, legge 190/2014-legge di Stabilità 2015).
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).
 I LAVORI «RILEVANTI» NEL CAMBIO VASCA-DOCCIA
D. Vorrei sostituire la vasca esistente con un piatto doccia, un box doccia e una colonnina
nuova. Si andrebbe a modificare un tratto dell'impianto idraulico per eliminare la rubinetteria
della vasca e per installare la nuova colonna doccia. Vi chiedo se il lavoro rientra tra le opere di
manutenzione agevolabili, considerato che per i regolamenti comunali trattasi di opere di
edilizia libera (ordinaria) per cui non necessita né il titolo abilitativo né alcuna comunicazione.
Dovrei altresì sostituire una finestra di vecchio allumino con una in Pvc, di colore diverso dal
preesistente. Si tratta di manutenzione straordinaria (50%) e quindi ho diritto all'agevolazione
fiscale sebbene il regolamento comunale ricomprenda l'intervento tra le manutenzioni
ordinarie?
----R. La detrazione si applica solo se avviene anche la sostituzione delle tubazioni e quindi
parzialmente si interviene sull’impianto sino al massetto. Il rifacimento del bagno (comprese le
tubature e il massetto) è definibile come intervento di manutenzione straordinaria (articolo 3,
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comma 1, lettera b, Dpr 380/2001) e come tale fruisce della detrazione del 50% (articolo 16
bis del Tuir 917/1986 e articolo 1, comma 139, legge 147/2013, articolo 1, comma 47, legge
190/2014, guida al 36%-50% su www.agenziaentrate.it). La semplice sostituzione dei sanitari
(come la vasca con la doccia) e delle piastrelle, invece, è intervento di manutenzione ordinaria
non agevolato ai fini della medesima detrazione (la manutenzione ordinaria è agevolata solo se
effettuata sulle parti comuni). Nel caso di specie, la sostituzione della vasca con la doccia
sembra comportare non il rifacimento parziale dell’impianto idraulico, ma la semplice
sostituzione di un tratto dell’impianto idraulico per sostituire il rubinetto con la colonna doccia.
Come tale l’intervento non è agevolato ai fini della detrazione del 50%. In caso di dubbio, la
qualifica urbanistica dell’intervento è dato dal regolamento edilizio comunale che se lo
definisce, come nel caso di specie, come di manutenzione ordinaria, non è agevolato. Quanto
alla sostituzione dell’infisso, in genere questa è intervento di manutenzione straordinaria,
specie se si cambia il materiale. Ma anche qui prevale la definizione del regolamento edilizio
che, nel caso di specie, come manutenzione ordinaria impedisce l’applicazione dei benefici.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).
 L'ACCORPAMENTO CONSENTE DI ESTENDERE I BENEFICI
D. Alcuni anni or sono ho acquistato con mia moglie, in regime di comunione dei beni,
un'abitazione posta al terzo piano di un edificio. Ora che abbiamo quattro figli, l'appartamento
è oggettivamente stretto per le esigenze familiari. Ultimamente si è presentata la possibilità di
acquistare un piccolo appartamento nello stesso edificio, ma posto al primo piano, che
rappresenterebbe una soluzione ottima alla nostra esigenza di avere maggiore spazio. Si tenga
conto che non esistono altre proprietà all'in fuori di un'altra abitazione dove abita mia madre al
secondo piano. È possibile, in questa circostanza, beneficiare delle agevolazioni fiscali per la
cosiddetta "prima casa" ferme restando tutte le altre condizioni previste dalla circolare
dell'agenzia delle Entrate?
----R. Non trattandosi di acquisto di abitazione limitrofa o per successivo accorpamento (la casa
da acquistare è al primo piano, mentre quella posseduta è al terzo e al secondo c’è un’altra
abitazione abitata dalla madre), le agevolazioni per l’acquisto della prima casa non si rendono
applicabili. L'agevolazione "prima casa" (n.21, Tabella A, parte II, Dpr 633/72, o articolo 1
Tariffa, Dpr 131/1986, cioè Iva al 4% e registro, ipotecarie e catastali in misura fissa pari a
200 euro cadauna, ovvero, se acquisto non da impresa, imposta di registro al 2% e ipotecarie
e catastali in misura fissa pari a 50 euro cadauna), spetta anche per l'acquisto di un ulteriore
appartamento contiguo, destinato a costituire un'unica unità abitativa con quello già
posseduto, purché l'abitazione conservi, anche dopo la riunione degli immobili, le
caratteristiche non di lusso (categorie da A/2-A/7 o di cui al Dm 2 agosto 1969, circolare 138/E
del 2005). In tal senso, si è pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza 22 gennaio 1998, n.
563) che, con riferimento all'applicazione dell'agevolazione "prima casa" prevista dalla legge
22 aprile 1982, n. 168, ha ritenuto applicabile il regime di favore anche all'acquisto di alloggi
«... risultanti dalla riunione di più unità immobiliari che siano destinati dagli acquirenti, nel loro
insieme, a costituire un'unica unità abitativa; sicché il contemporaneo o anche successivo
acquisto di due appartamenti non è di per sé ostativo alla fruizione di tali benefici, purché
l'alloggio così complessivamente realizzato rientri, per la superficie, per il numero dei vani e
per le altre caratteristiche (...) nella tipologia degli alloggi "non di lusso". Per gli stessi motivi e
alle stesse condizioni, il regime di favore si estende all'acquisto di un immobile contiguo ad
altra casa di abitazione già posseduta, acquistata dallo stesso soggetto fruendo dei benefici
"prima casa" e destinata ad essere accorpata». Resta fermo che, in entrambe le suddette
ipotesi, l'agevolazione in esame spetta se ricorrono tutte le altre condizioni previste dalla
norma agevolativa, ossia l'ubicazione dell'immobile, l'assenza di altri diritti reali vantati su
immobili ubicati nello stesso Comune. I benefici fiscali si applicano infatti a condizione che
nell'atto di compravendita l'acquirente dichiari: di non essere titolare, esclusivo o in comunione
con il coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel
territorio del Comune dove si trova l'immobile oggetto dell'acquisto agevolato; di non essere
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titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti di
proprietà, uso usufrutto abitazione o nuda proprietà, su altra casa di abitazione, acquistata,
anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l'acquisto della prima casa. In particolare,
l'immobile deve essere ubicato: nel Comune di residenza dell'acquirente, ovvero nel Comune in
cui, entro 18 mesi, l'acquirente stabilirà la propria residenza. Nel caso di specie, non essendo
nemmeno le abitazioni contigue, le agevolazioni prima casa non si applicano proprio perché si
possiede altra abitazione nello stesso Comune.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).
 PER CASA E BOX LIMITE UNICO AL 50% DI 96MILA EURO
D. Sono in procinto di acquistare un'abitazione oggetto di ristrutturazione/risanamento, con
detrazione di spesa ex comma 3 dell'articolo 16-bis del Tuir, da assumere in misura pari al
25% del prezzo di acquisto (nel mio caso, il 25% di 358.000 euro, pari a 89.500 euro). Inoltre,
acquisterò un box pertinenziale, con costo di costruzione pari a 44.000 euro. Desidero sapere
se l'intervento è cumulabile, ovvero se potrò detrarre la metà di 89.500 euro e l'intero importo
di 44.000 euro.
----R. La risposta è negativa. Nell’ipotesi di contestuale acquisto di abitazione ristrutturata e box
pertinenziale di nuova costruzione, in virtù del medesimo provvedimento urbanistico, il limite
di 96.000 euro va riferito unitariamente alle due unità immobiliari. Infatti, con la risoluzione
181/E del 29 aprile 2008, l’agenzia delle Entrate ha precisato le modalità di calcolo delle spese
sostenute ai fini del 36-50 per cento, in caso di interventi di recupero riguardanti sia
l’abitazione sia le pertinenze, compresa la nuova realizzazione del box, come nel caso di
specie. In particolare, confermando quanto già espresso con le risoluzioni 124/E e 167/E del
2007, l’amministrazione finanziaria ha affermato che, per gli interventi di recupero eseguiti
contemporaneamente sull’abitazione e sulle pertinenze, anche se accatastate separatamente,
si applica il limite unitario di 48.000/96.000 euro, senza poter computare un autonomo limite
per gli interventi relativi alle pertinenze. In particolare, con la citata risoluzione 124/E/2007,
l'Agenzia ha chiarito che, in virtù di quanto stabilito dall’articolo 35, comma 35-quater, della
legge 248/2006, a partire dal 1° ottobre 2006 il limite di spesa per interventi effettuati
contestualmente su abitazioni e pertinenze opera per «unità abitativa e sue pertinenze
unitariamente considerate». In sostanza, il limite massimo cui commisurare la detrazione è
pari al 50% di un importo massimo di 96.000 euro. Il riparto tra abitazione e box potrà poi
essere indifferentemente "spalmato" dall’acquirente, fermo restando che l’importo complessivo
detraibile è pari a 48.000 euro (50% di 96.000).
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).
 Condominio
 RISCALDAMENTO, IL RIPARTO NEI LAVORI DI MANUTENZIONE
D. Nei condomini con riscaldamento centralizzato, in cui il sistema di distribuzione ai radiatori
degli appartamenti avviene tramite colonne montanti, dove termina la competenza
condominiale rispetto a quella del condomino nel caso di interventi manutentivi? La tubazione
che parte dalla colonna montante e alimenta il radiatore è del condominio fino alla valvola di
intercetto esclusa, oppure il confine risiede a monte.
----
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R. A integrazione di quanto già precedentemente esposto, la competenza condominiale rispetto
a quella del condomino, nel caso di interventi manutentivi, termina nel punto in cui inizia la
diramazione che porta il servizio di riscaldamento all’interno dell’unità abitativa. Sicché, le
tubazioni che precedono il «punto di diramazione ai locali di proprietà individuale» sono da
considerarsi comuni. Da ciò consegue che l’intervento manutentivo sulla valvola di intercetto
dovrà essere eseguito a spese del relativo condomino. Il novellato articolo 1117 del Codice
civile, al n. 3 fa riferimento a «le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere
destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i
sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il
riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a
qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi
collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini,
ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle
normative di settore in materia di reti pubbliche». Al riguardo, la regola generale ormai
pacificamente applicata prevede che siano da considerare condominiali le tubazioni
dell'impianto principale, mentre siano da ritenere di proprietà esclusiva le diramazioni che
portano il servizio all'interno delle singole unità abitative. In sostanza, il condomino deve
essere considerato proprietario e responsabile del tratto dell’impianto che serve da
collegamento con quello di proprietà comune (quindi, nel caso prospettato, nel punto in cui
inizia il collegamento delle diramazioni che portano il servizio di riscaldamento all’interno
dell’unità abitativa).
(Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 2 marzo 2015)

LA DELIBERA ANNULLABILE SI IMPUGNA IN 30 GIORNI
D. Abito in un condominio di quattro piani. A dicembre si è tenuta l'assemblea in cui sono stati
approvati il bilancio consuntivo e preventivo. Sono trascorsi i termini di impugnabilità e mi
sono accorta che la spesa relativa alla pulizia delle scale è stata ripartita in base alla tabella
millesimale generale, senza tener conto del piano dei vari appartamenti. Essendo i bilanci
approvati, non è più possibile ricalcolare le spese in base ai giusti criteri? Credo inoltre che
questo succeda da anni. Cosa è possibile fare?
---R. La legge n. 220/12, di riforma del condominio, ha novellato anche l’articolo 1124 del Codice
civile, rubricato, «manutenzione e sostituzione delle scale e degli ascensori», equiparando così
gli ascensori alle scale medesime e ribadendo, altresì, il concetto secondo cui entrambi i beni
«sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono». Le spese
relative per le scale e gli elementi ad esse connessi (scalini, pianerottoli, corrimani) vanno
ripartite, secondo i criteri dettati dall'articolo 1124, ossia per metà in ragione del valore
millesimale delle singole unità immobiliari cui la struttura serve, e per l'altra metà
«esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo». I criteri stabiliti
dall’articolo 1124 ineriscono a tutte le spese relative alla conservazione della cosa comune, per
mantenere l'uso e il godimento a vantaggio dei condomini facendo fronte alla naturale
deteriorabilità delle strutture. Tuttavia, in materia di ripartizione delle spese per la pulizia delle
scale, in deroga al principio posto dall'articolo 1123, 2° comma, deve farsi riferimento in via
analogica alla regola posta dall'articolo 1124, 1° comma, esclusivamente nella sua seconda
parte, che prevede un criterio di ripartizione in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano
dal suolo, la cui ratio va individuata nel fatto che «a parità di uso, i proprietari dei piani alti
logorano di più le scale rispetto ai proprietari dei piani più bassi, per cui contribuiscono in
misura maggiore alla spese di ricostruzione e manutenzione. Ugualmente, a parità di uso, i
proprietari di piani più alti sporcano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani
più bassi, per cui devono contribuire in misura maggiore alle spese di pulizia» (Cassazione n.
432/2007). Va quindi ricordata la fondamentale differenza tra delibere nulle e annullabili. Le
prime sono prive degli elementi essenziali (per esempio: manca l’indicazione dei nominativi dei
presenti in assemblea e dei rispettivi millesimi o dei votanti); hanno oggetto impossibile o
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illecito cioè contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume (per esempio:
dispongono opere di abuso edilizio o vietano l’acquisto di appartamenti a determinati soggetti
per ragioni di discriminazione razziale); hanno oggetto che non rientra nella competenza
dell’assemblea; incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà
esclusiva di ognuno dei condomini (per esempio: disciplinano l’utilizzo di un bene che in realtà
è di proprietà esclusiva di un solo condomino). Le seconde sono tali quando: la costituzione
dell’assemblea è irregolare (per esempio: non si raggiunge il numero minimo di partecipanti);
sono prese con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento
condominiale; sono affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali,
regolamentari, attinenti anche al procedimento di convocazione o di informazione
dell’assemblea; sono affette da vizi di irregolarità nel procedimento di convocazione dei
condomini; violano norme richiedenti maggioranze qualificate in relazione all’oggetto. Ora, in
considerazione del fatto che la delibera citata sulla ripartizione delle “spese relative alla pulizia
delle scale” non è lesiva dei diritti e degli obblighi spettanti a ciascun condominio, ma è
soltanto viziata per una falsa causa, si può pacificamente affermare che la stessa è affetta da
annullabilità e quindi, ai sensi dell’articolo 1137 del Codice civile «ogni condomino assente,
dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine
perentorio di 30 giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e
dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti». Pertanto, qualora per gli
assenti non sia stato ancora comunicato/inviato il verbale di assemblea, è possibile impugnare
la relativa delibera nel predetto termine di 30 giorni. In caso contrario, occorre aspettare la
prossima assemblea ordinaria per l’approvazione o meno del riparto consuntivo/preventivo,
per poi sollevare la problematica in sede di discussione per l’approvazione del bilancio
consuntivo e/o preventivo e, se del caso, impugnare la relativa delibera.
(Paola Pontanari, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015)

IL PROPRIETARIO CONTESTA I VIZI DELL'APPARTAMENTO
D. In un condominio, i proprietari suppongono che la società costruttrice non abbia eseguito i
lavori secondo norma: infatti, alcuni appartamenti hanno problemi di umidità in casa e, inoltre,
alcune tubazioni idriche comuni hanno provocato degli allagamenti in altri appartamenti. Per
quanto riguarda le tubazioni comuni, se ne deve occupare l'amministratore in quanto parte
comune condominiale, ma per quanto riguarda gli appartamenti, chi se ne deve occupare? Se
ne occupasse l'amministratore insieme al problema delle tubazioni, sarebbe legittimato ad
agire in giudizio per conto del condominio?
---R. I vizi e difetti riguardanti le proprietà esclusive devono essere fatti valere dai singoli
proprietari e non dall’amministratore del condominio, che è invece tenuto ad agire per
rimediare agli allagamenti ricollegabili ai vizi delle tubazioni idriche comuni. Se gli allagamenti
sono imputabili a vizi gravi delle tubazioni idriche comuni, l’amministratore può agire in
giudizio per conto del condominio, anche senza delega dei condomini. In questo senso, si veda
Cassazione 30 gennaio 1995, n. 1081, per la quale «all’azione di responsabilità per gravi difetti
della costruzione, di cui all’articolo 1669 del Codice civile, relativa a parti comuni di un edificio
condominiale (nella specie, impianto di riscaldamento) è abilitato, oltre ai condomini,
l’amministratore del condominio, a norma degli articoli 1140, n. 4 e 1131, comma 1, del
Codice civile, non essendo, pertanto, necessaria una delibera dell’assemblea dei condomini,
mentre soggetto passivo della responsabilità prevista dalle norme innanzi citate può essere
non soltanto chi abbia eseguito la costruzione in dipendenza di un contratto d’appalto, bensì
qualunque costruttore che abbia realizzato l’immobile con gestione diretta».
(Silvio Rezzonico, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015)

CERTIFICAZIONE FISCALE SOLO PER CHI HA VERSATO
D. Nel nostro condominio, nel quale mia moglie, casalinga e a mio carico, ha un appartamento,
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abbiamo effettuato dei lavori straordinari al terrazzo. A lavori ultimati, purtroppo, abbiamo
constatato che non tutti i proprietari hanno versato la propria quota per il pagamento dei
lavori. L'amministratore ha dei dubbi circa la certificazione da rilasciare la detrazione fiscale a
causa di morosità parziali e totali. Può l'amministratore omettere il rilascio di questa
certificazione?
---R. In caso di lavori di ristrutturazione effettuati sulle parti comuni degli edifici condominiali, i
condomini possono fruire di una detrazione fiscale dall’Irpef sulle spese sostenute.
L’agevolazione fiscale spetta al singolo condomino nel limite della quota a lui imputata da parte
dell’amministratore in base alla tabella millesimale. È necessario, però, che detta quota sia
stata realmente versata al condominio entro il termine di presentazione della dichiarazione dei
redditi nella quale si richiede la detrazione. Sicché, da quanto appena esposto emerge che
l’amministratore sarà tenuto a rilasciare, in favore dei condomini che hanno eseguito i
pagamenti «dei lavori straordinari al terrazzo», la relativa certificazione, consentendo loro di
fruire delle agevolazioni fiscali così come previsto dalla legge.
(Paola Pontanari, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015)
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