Pubblicazione registrata al Tribunale di Milano n.71 del 10 febbraio 2006 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB Milano TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO MEDICO GIUGNO 2013 ANNO 14 HIV E TUBERCOLOSI VIRUS EPATITICI Diagnosi e terapia: verso una svolta? Il ruolo attuale della diagnostica pagina 7 pagina 24 NUOVE TERAPIE PER L’EPATITE CRONICA C Studi di fase 3 con sofosbuvir pagina 37 INTERAZIONI FARMACOLOGICHE tra ARV e antifungini, antibiotici e antiparassitari pagina 39 ONE HUNDRED PER CENT DEDICATED TO HIV MEDICINES AND RESEARCH, FOCUSED ON THE NEEDS OF THOSE AFFECTED BY HIV, AND COMMITTED TO INNOVATION We are committed to delivering innovation for people living with HIV Find out more 100% focused on HIV indice Editoriale 3 pag. 5 Nuove soluzioni per problematiche cliniche ancora attuali Mauro Moroni, Mario Rizzetto Percorsi ragionati HIV pag. 7 Diagnosi e terapia: siamo ad un punto di svolta? Enrico Girardi, Giuseppe Ippolito La tubercolosi prima della storia: le evidenze paleo-patologiche Sergio Sabbatani Epidemiologia e impatto dei flussi migratori in Italia Francesco Castelli, Federico d’Aversa Bernoni, Alberto Matteelli Micobatteriosi atipiche Fabio Franzetti Quando sospettare la tubercolosi Roberto Cauda Diagnostica microbiologica e immunologica Stefania Cerri, Luca Richeldi La coinfezione HIV/TB Andrea Gori Percorsi ragionati Virus Epatitici pag. 24 Diagnostica virologica dell’epatite B Maurizia Rossana Brunetto Diagnostica virologica dell’epatite C Valeria Ghisetti Diagnostica virologica dell’epatite D Grazia Anna Niro, Antonella Olivero L’elastografia epatica Cosimo Colletta La biopsia epatica nelle epatiti virali croniche Maria Guido, Massimo Roncalli I marcatori sierologici di fibrosi epatica Alfredo Alberti, Sara Piovesan Nuove terapie per l’epatite cronica C pag. 37 Gli studi di fase 3 con sofosbuvir Alessia Ciancio, Mario Rizzetto Interazioni farmacologiche pag. 39 Interazioni tra ARV e antifungini, antibiotici e antiparassitari Andrea Calcagno Congress report pag. 44 46th Associazione Italiana per lo Studio del Fegato Mario Rizzetto 11th European Meeting on HIV and Hepatitis Valentina Svicher 48th European Association for the Study of the Liver Highlights [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] pag. 51 4 TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO MEDICO GIUGNO 2013 - ANNO 14 ISBN: 9788887052718 Pubblicazione registrata al Tribunale di Milano n. 71 del 10 febbraio 2006 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano DIRETTORE SCIENTIFICO E COORDINAMENTO SCIENTIFICO HIV: Mauro Moroni, Milano COORDINAMENTO SCIENTIFICO VIRUS EPATITICI: Mario Rizzetto, Torino COMITATO DI REDAZIONE: A. Antinori, Roma; T. Bini, Milano; S. Bonora, Torino; M. Borderi, Bologna; R. Bruno, Pavia; E. Bugianesi, Torino; A. Castagna, Milano; A. Ciancio, Torino; V. Di Marco, Palermo; S. Fagiuoli, Bergamo; M. Fasano, Bari; A. Gori, Monza; P. Lampertico, Milano; S. Lo Caputo, Firenze; F. Maggiolo, Bergamo; A. Mangia, S.G. Rotondo (FG); G.C. Marchetti, Milano; A. Marzano, Torino; L. Meroni, Milano; L. Milazzo, Milano; G. Missale, Parma; G. Morsica, Milano; C. Mussini, Modena; L. Palmisano, Roma; D. Prati, Lecco; C. Puoti, Marino (RM); M. Puoti, Milano; S. Rusconi, Milano; T. Stroffolini, Roma; V. Svicher, Roma; M. Viganò, Milano COMITATO SCIENTIFICO: A. Alberti, Padova; M. Andreoni, Roma; P. Andreone, Bologna; A. Andriulli, S.G. Rotondo (FG); G. Angarano, Bari; M. Angelico, Roma; S. Antinori, Milano; G. Antonelli, Roma; M. Brunetto, Pisa; S. Bruno, Milano; L. Calza, Bologna; G. Carosi, Brescia; R. Cauda, Roma; M. Clementi, Milano; M. Colombo, Milano; A. Craxì, Palermo; A. d’Arminio Monforte, Milano; A. De Luca, Siena; A. De Rossi, Padova; G. Di Perri, Torino; R. Esposito, Modena; G. Filice, Pavia; M. Galli, Milano; G.B. Gaeta, Napoli; C. Giaquinto, Padova; G. Ippolito, Roma; A. Lazzarin, Milano; M. Levrero, Roma; F. Mazzotta, Firenze; L. Minoli, Pavia; C.F. Perno, Roma; G. Raimondo, Messina; M.B. Regazzi, Pavia; G. Rezza, Roma; G. Rizzardini, Milano; T. Santantonio, Foggia; G. Saracco, Orbassano (TO); A. Smedile, Torino; F. Starace, Modena; G. Taliani, Roma; C. Torti, Brescia; S. Vella, Roma; C. Viscoli, Genova; V. Vullo, Roma; M. Zazzi, Siena; A.L. Zignego, Firenze EDITORE Effetti srl - Via Gallarate, 106 - 20151 Milano www.readfiles.it - [email protected] Tel. 02 3343281 - Fax 02 38002105 Direttore Responsabile: Francesca Tacconi Coordinamento Comitato di Redazione: L. Meroni, L. Milazzo, S. Rusconi Coordinamento Redazionale: A. Invernizzi, M. Luciani Direzione grafica: F. Tacconi Impaginazione: M. Compostini Segreteria di Redazione: F. Rebora, E. Valli Stampa: Magicgraph srl, Busto Arsizio (VA) © Effetti srl 2013 - Tutti i diritti di riproduzione, traduzione e adattamento parziale o totale, con qualunque mezzo, sono riservati. editoriale 5 Nuove soluzioni per problematiche cliniche ancora attuali Percorsi ragionati HIV Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Nuove terapie per l’epatite cronica C Interazioni farmacologiche congress report Per un giovane medico, la possibilità di crescita professionale all’ombra di un grande “Maestro” è un’opportunità dal valore inestimabile. Il grande Maestro io l’ho avuto, il professor Carlo Zanussi, che mi ha insegnato e trasmesso molto: prima di tutto, l’umiltà di fronte al quesito diagnostico, la curiosità scientifica, l’amore per lo studio. Di lui ricordo molti insegnamenti, per lo più ancora oggi validi, uno di questi riguarda il tema di questo numero di ReAd Files. Egli spesso ripeteva che due sono le patologie a cui non si pensa o a cui si pensa troppo tardi: il morbo di Crohn e la tubercolosi. Erano gli anni ‘70; la streptomicina, l’isoniazide, il PAS e la rifampicina avevano svuotato i “sanatori” e portato all’abbandono del pneumotorace terapeutico. La tubercolosi veniva gradualmente riposta tra le patologie in estinzione. Si chiudevano gli ospedali dedicati e i Presidi anti-tbc nel territorio e lo specialista “tisiologo” evolveva in “pneumologo”. Oggi sappiamo che la tubercolosi vive la sua ennesima primavera e ci dimostra che le potenzialità di un microorganismo che convive con l’uomo forse da circa 500.000 anni erano state sottovalutate. L’epidemia da HIV, che attualmente si stima colpisca oltre 45 milioni di persone, ha facilitato la ripresa della circolazione dell’infezione, coincidendo con il fenomeno della globalizzazione e dei flussi migratori. Lo sguardo al più lontano passato è fornito in questo numero dal dr. Sabbatani, dotto cultore della storia delle epidemie, mentre al prof. Castelli è stata affidata l’epidemiologia attuale e relativa ai flussi migratori. Questi ultimi conferiscono alla tubercolosi una forte valenza politico-sociale. Il 50% dei casi di TB segnalati nel 2011 in Italia si riferivano infatti a soggetti “non italiani”. E’ lecito ipotizzare che i casi notificati rappresentino una parte del problema e che permanga una quota di casi “sommersi” e ignoti al SSN. La politica sociale nei confronti dei “non italiani” è cruciale nell’agevolare l’accesso alle strutture sanitarie, nell’interesse dell’individuo e della collettività. I sintomi dell’infezione da TB sono a lungo subdoli e aspecifici e ciò condiziona non raramente ritardi di diagnosi. Quando il sospetto è formulato, le possibilità di accertamento sono oggi sensibilmente migliorate, come descritto dai professori Ippolito e Girardi. Varie metodiche di biologia molecolare sono in grado di fornire risposte in tempi brevissimi e di segnalare i ceppi MDR. La multiresistenza di ceppi di Mycobacterium tubercolosis costituisce un ulteriore aspetto dell’infezione tubercolare associata alla sieropositività per HIV oggi particolarmente esteso. Dopo anni di assenza di opzioni terapeutiche alternative, oggi la ricerca mostra un rinnovato interesse e varie molecole sono al centro di studi. Come illustrato dal professor Gori, il trattamento della coinfezione TB/HIV pone problemi del tutto particolari. Sono oggetto di discussione sia l’embricazione dei trattamenti anti TB e anti HIV sia la scelta dei farmaci, al fine di evitare interferenze e sommazione di tossicità. Le micobatteriosi “atipiche” associate ad HIV sono trattate dal professor Franzetti. L’infezione è oggi più rara in virtù dell’efficacia della terapia ARV. Il problema può tuttavia riemergere a causa del costante incremento dei soggetti con HIV cosiddetti “late presenter”. Sono questi i casi di più difficile approccio per la comune esigenza di rapido trattamento di entrambe le infezioni. L’immagine della mummia sottoposta a TAC riportata nel contributo del dr. Sabbatani, può essere considerata un ponte ideale tra passato e presente, evocando molte suggestioni e suggerimenti. Tra questi, suggeriamo un invito alla prudenza nel considerare estinto un problema: in campo infettivologico, la tecnologia in assenza di politiche sociosanitarie non basta. editoriale HIV: la sfida odierna della tubercolosi La diagnosi di epatite cronica virale si basa principalmente sugli esami di laboratorio; di fatto l’epatologia moderna nasce negli anni ‘50 con la scoperta delle transaminasi e l’eziologia virale viene riconosciuta negli anni ‘60 con la scoperta dell’HBsAg. Poco è cambiato nella batteria degli esami di funzionalità epatica usati di routine per l’accertamento di una epatopatia. [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] highlights Virus epatitici: il rinnovato ruolo della diagnostica editoriale La valutazione morfologica con la laparoscopia, regola diagnostica negli anni ‘70 ed ‘80, è invece stata soppiantata dall’introduzione dell’ecografia epatica e l’ultima manualità privilegiata dell’epatologo, la biopsia epatica, è ora ridotta dall’avvento dell’elastografia epatica e da test sierologici non invasivi che individuano la fibrosi del fegato. Parimenti, gli importanti e recenti progressi nella virologia hanno fornito test commerciali capaci di misurare con precisione il livello ematico del virus dell’epatite B, C e D e sono così sensibili da rilevare fino a 10 copie virali per ml di siero. La dipendenza assoluta dall’analisi virologica per la gestione terapeutica e la dipendenza crescente dall’elastografia e dai test sierologici specifici per la diagnosi di fibrosi epatica impongono da un lato che l’epatologo abbia dimestichezza con le metodologie relative e sappia interpretarne il messaggio clinico, dall’altro che egli sappia riconoscere le situazioni in cui è ancora indispensabile una biopsia epatica invasiva. Dell’elastografia epatica, universalmente valutata con il Fibroscan, vanno conosciuti i parametri che convalidano o invalidano l’esame ed i limiti nell’interpretazione del risultato nei differenti contesti eziologici. Dalle analisi virologiche va compreso il significato nella diagnosi e soprattutto nell’iter terapeutico. Ad esempio nella terapia dell’epatite C il successo è diverso se in corso di trattamento la viremia HCV diventa non più quantizzabile, ma ancora determinabile oppure se non è più rilevabile. Nel primo caso vi è rischio di recidiva post terapia mentre nel secondo caso l’infezione è eradicata. Nell’epatite da HDV, invece, il calo della viremia in trattamento con interferone è indice relativo di effetto terapeutico ma non di cura dell’infezione, poiché la negatività per HDV RNA con i test correnti non esclude che il virus sia presente a titoli bassissimi, tuttavia capaci di ricapitolare malattia nel paziente trattato il quale rimane HBsAg-positivo. Nell’infezione da HBV, infine, l’espressione nel siero dell’HBsAg è dissociata da quella dell’HBV DNA e l’HBsAg quantitativo ha assunto significato diagnostico “indipendente” che va conosciuto ed utilizzato nella pratica clinica. In questo numero di ReAd Files, l’uso del Fibroscan e dei test sierologici di fibrosi epatica unitamente all’utilità residua della biopsia epatica e alle analisi virologiche vengono interpretati da esperti nazionali per fornire all’epatologo le conoscenze metodologiche necessarie alla diagnosi e alla gestione contemporanea dell’epatite virale. A cura di Mauro Moroni, Mario Rizzetto highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 6 [Editoriale] Percorsi ragionati HIV 7 Per quanto riguarda la ricerca in campo terapeutico, sicuramente il 2012 è stato un anno di svolta. Tabella 1. Accuratezza diagnostica del saggio Xpert® MTB/RIF per la tubercolosi polmonare e la resistenza alla rifampicina in pazienti adulti: risultati di una revisione sistematica (2) N. studi (n. pazienti) Identificazione M. tuberculosis Identificazione resistenza rifampicina * intervalli di credibilità al 95% [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Tipologia pazienti Sensibilità (IC 95%)* Specificità (IC 95%)* Tutti Esame espettorato diretto (+) colturale (+) Esame espettorato diretto (–) colturale (+) HIV (+) HIV (–) 88% (83% - 92%) 98% (97% - 99%) 98% (97% - 99%) Tutti 94% (87% - 97%) 15 (7517) Percorsi ragionati HIV Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI congress report “Tra le novità diagnostiche, la disponibilità del saggio molecolare Xpert® MTB/RIF, raccomandato dall’OMS nei paesi ad alta endemia” Prospettive terapeutiche Nuove terapie per l’epatite cronica C In campo diagnostico la novità più rilevante è senz’altro rappresenta dall’entrata in commercio del saggio molecolare Xpert® MTB/RIF. Questo saggio consente di identificare il materiale genetico di M. tuberculosis direttamente dall’espettorato e di svelare una resistenza alla rifampicina identificando una mutazione del gene rpo B, presente in oltre il 95% dei ceppi resistenti. La sua principale caratteristica è quella di essere eseguito in modo quasi del tutto automatizzato e di fornire il risultato in circa due ore (2). Una recente revisione (3) degli studi disponibili condotti negli adulti (tabella 1) mostra una elevata accuratezza diagnostica di questo saggio, anche nei pazienti con infezione da HIV, ed in particolare una sensibilità superiore al 60% nei pazienti con esame diretto dell’espettorato negativo. Nei bambini la sensibilità è del 65-75% (2). L’accuratezza dell’identificazione della resistenza alla rifampicina è molto alta, anche se il problema dei falsi positivi può diventare significativo in contesti a bassa prevalenza di multiresistenza. Interazioni farmacologiche Novità diagnostiche L’accuratezza e la semplicità d’uso di Xpert® MTB/RIF ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a raccomandarne l’impiego in paesi ad alta incidenza di tubercolosi. Comunque una serie di problemi tra i quali il suo costo, la necessità di garantire temperature controllate per il suo uso e la conservazione dei reagenti, i problemi legati alla gestione di apparecchiature elettroniche sofisticate, rendono non proponibile il suo impiego al di fuori di laboratori di buon livello. Resta, quindi, ancora aperto il problema di identificare nuovi saggi diagnostici che possano avere un utilizzo diffuso a livello di point-of-care, ma un numero significativo di possibili candidati è già in fase di studio (2). In paesi come l’Italia, va ancora valutato in dettaglio come l’uso di questo e di altri saggi molecolari vada inserito negli algoritmi diagnostici correnti, ma è consigliabile raccomandare il loro impiego quanto meno in casi di forte sospetto clinico in pazienti con esami diretti negativi per M. tuberculosis e quando si sospetta una multiresistenza (MDR), come in pazienti già trattati o provenienti da paesi ad alta prevalenza di tubercolosi MDR. 68% (59% - 75%) 80% (67% - 88%) 89% (81% - 94%) 11 (2340) 98% (97% - 99%) Steingart KR et al. Cochrane Database Syst Rev 2013 highlights Dopo più di un decennio dalla ripresa di un consistente sforzo di ricerca sulla tubercolosi (1), si stanno concretamente aprendo nuove possibilità nella diagnosi e nel trattamento di questa patologia. editoriale Diagnosi e terapia: siamo ad un punto di svolta? highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 8 HIV A giugno 2012 è stata pubblicata una sperimentazione di fase 2 nella quale si è registrato che pazienti con tubercolosi MDR trattati con delamanid, un farmaco che inibisce la sintesi dell’acido micolico, in aggiunta ad un trattamento standard avevano un tasso di negativizzazione colturale dell’espettorato dopo due mesi di terapia del 45,4% contro il 29,6% del gruppo di controllo (4). Un mese dopo è stato pubblicato uno studio nel quale l’associazione di PA-824, un nitroimidazopirano, moxifloxacina e pirazinamide ha dimostrato un’attività battericida in vivo almeno pari a quella del regime standard a quattro farmaci contenenti isoniazide e rifampicina, presentandosi quindi come una potenziale terapia per la forme MDR (5). Infine il 2012 si è chiuso con l’approvazione per uso clinico da parte della Food and Drug Administration (FDA) di bedaquilina, un inibitore della ATP-sintetasi (6). Questa approvazione, a più di quarant’anni da quella di rifampicina, è stata salutata come un evento storico anche se non mancano gli aspetti critici. Il provvedimento è stato infatti adottato dall’ente americano con una procedura d’urgenza e basandosi sui risultati di due trial di fase 2 che mostra- Percorsi ragionati “Il 2012 ha visto la pubblicazione di studi su nuove molecole e l’approvazione di bedaquilina per le forme MDR” vano che l’uso di questo farmaco si associa con una più rapida negativizzazione dell’espettorato in pazienti con tubercolosi MDR, anche se in questi trial si sono registrati 10 decessi tra i 79 pazienti trattati con il nuovo farmaco contro 2 registrati tra gli 81 del gruppo di controllo (7). Il cammino delle sperimentazioni non appare dunque ne’ semplice, ne’ lineare, ma la speranza di avere disponibili in clinica nuovi antitubercolari nel giro dei prossimi anni appare finalmente concreta. Enrico Girardi, Giuseppe Ippolito Dipartimento di Epidemiologia e Direzione Scientifica, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, Roma Riferimenti bibliografici: 1. Keshavjee S, Farmer PE. Tuberculosis, Drug Resistance, and the History of Modern Medicine. N Engl J Med 2012; 367:931936. 2. Lawn SD, Mwaba P, Bates M, et al. Advances in tuberculosis diagnostics: the Xpert MTB/RIF assay and future prospects for a point-of-care test. Lancet Infect Dis 2013; 13:349-61. 3. Steingart KR, Sohn H, Schiller I, et al. Xpert® MTB/RIF assay for pulmonary tuberculosis and rifampicin resistance in adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013, Issue 1. Art. No.: CD009593. DOI:10.1002/14651858.CD009593.pub2. 4. Gler MT, Skripconoka V, Sanchez-Garavito E, et al. Delamanid for multidrug-resistant pulmonary tuberculosis. N Engl J Med 2012; 366:2151-60. 5. Diacon AH, Dawson R, von Groote-Bidlingmaier F, et al. 14-day bactericidal activity of PA-824, bedaquiline, pyrazinamide, and moxifloxacin combinations: a randomised trial. Lancet 2012; 380:986-93. 6. US Food and Drug Administration. Briefing Package: NDA 204-384: Sirturo. http://www.fda.gov/downloads/AdvisoryCommittees/CommitteesMeetingMaterials/Drugs/Anti%20InfectiveDrugsAdvisoryCommittee/UCM329258.pdf. November 28, 2012. 7. Avorn J. Approval of a tuberculosis drug based on a paradoxical surrogate measure. JAMA 2013; 309:1349-50. [Diagnosi e terapia: siamo ad un punto di svolta? E. Girardi, G. Ippolito] Percorsi ragionati HIV 9 [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Percorsi ragionati HIV Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Nuove terapie per l’epatite cronica C Interazioni farmacologiche congress report “Le indagini non invasive condotte sulle mummie hanno stabilito che la tubercolosi era frequente nell’antico Egitto durante il periodo Mesolitico” ancestrale (DNAa) nei resti di un bisonte vissuto circa 17.000 anni fa (3), è pertanto possibile che già uomini dediti alla caccia possano avere avuto un primo contatto con il micobatterio. In questa fase le possibilità di diffusione da uomo a uomo erano limitate, gli aggregati umani rimanevano ridotti e le comunità vivevano isolate. Grazie alle nuove tecnologie (TAC) è oggi possibile eseguire indagini non invasive su mummie avvolte in bendaggi o rinchiuse in sarcofagi (figura 1), ottenendo immagini radiologiche ad altissima definizione. Gli studi sistematici non solo dei resti umani egizi, ove già il quadro macroscopico deponeva per TB ossea con localizzazione vertebrale (figura 2), ma anche indagini eseguite su resti di soggetti ove non erano evidenti tali reperti, mediante puntuali ricerche biomolecolari, hanno consentito di stabilire che la tubercolosi era relativamente diffusa nella valle del Nilo (4, 5). Nel 2001 sono stati resi noti i dati relativi ad uno studio su 37 scheletri provenienti da Tebe Ovest, retro-datati dal 2.150 al 500 a.C., e di 4 soggetti provenienti dal sito di Abidos, vissuti intorno al 3.000 a.C. In 30 dei 41 casi analizzati è stato estratto il DNAa di M. tuberculosis. Non solo è stato dimostrato DNA specifico in soggetti con lesioni ossee, compatibili con TB, ma anche in soggetti con lesioni dubbie e in due senza alterazioni ossee. Sulla scorta di questi dati, è possibile dedurre che la TB fosse frequente nell’antico Egitto (6). Una indagine biomolecolare su materiale ritrovato in un sito archeologico israeliano ha, poi, stabilito che una donna ed un neonato vissuti circa 9.000 anni fa ave- highlights Sir Marc Armand Ruffer nel 1921 descrisse il primo caso di tubercolosi ossea in una mummia vissuta più di 3.000 anni fa (1): si trattava dei resti del sacerdote Nespherhan (XXX Dinastia). Oggi grazie alle nuove tecniche biomolecolari e radiologiche è possibile stimare da quanto tempo l’umanità si deve confrontare con la tubercolosi. Nel periodo Mesolitico, la transizione dalla economia primitiva, caratterizzata da caccia e raccolta, verso un’economia ove la produzione di cibo era ottenuta grazie alla domesticazione di animali e piante, influì sulla qualità della vita dell’uomo e permise un discreto incremento demografico. Con la zootecnia cominciarono a circolare microrganismi ad origine bovina e quelli con il maggiore impatto furono, dalla fine del Mesolitico e poi nel Neolitico, il virus del vaiolo ed i batteri responsabili di brucellosi e TB. Secondo studi di retrodatazione genomica, i ceppi ancestrali da cui si sarebbe originato il M. tuberculosis umano, sarebbero il M. africanus (ancora isolabile in soggetti viventi in Africa) e altre varianti di micobatteri che colpiscono gli animali, come il M. prototuberculosis (2). Questo secondo antenato comune ancestrale si sarebbe originato in Africa circa 40.000 anni fa, quando le popolazioni di Homo sapiens (dedite a caccia e raccolta) iniziarono la loro migrazione verso Asia, Europa, Isole della Sonda, 20.000 anni fa verso l’Australia e 15.000 anni fa verso le Americhe. La prima scoperta di infezione da M. tuberculosis nei mammiferi sarebbe attestata dal riscontro del suo DNA editoriale La tubercolosi prima della storia: le evidenze paleo-patologiche HIV “Un recente ritrovamento indica che la tubercolosi avrebbe colpito gli ominidi già nel Pleistocene medio, prima della comparsa dell’Homo sapiens” vano sofferto di tubercolosi (7). Alla fine del Mesolitico in aree geografiche della Valle del Nilo, in Mesopotamia e nel Vicino Oriente sorsero le prime aggregazioni urbane e si determinarono le condizioni per la diffusione della TB. L’identificazione di DNA specifico di M. tuberculosis in una mummia pre-Colombiana, vissuta circa 1.000 anni fa, ha permesso di chiarire che già prima del viaggio di Percorsi ragionati Cristoforo Colombo, le Americhe erano state “toccate” dalla TB (8). Sembrerebbe, alla luce di questi riscontri, tutto “relativamente” chiaro; alcuni anni fa è stata data però comunicazione del ritrovamento di resti fossili di un ominide (Homo erectus), vissuto in Turchia occidentale circa 500.000 anni fa durante il Pleistocene medio, che presentano, sulla faccia interna di due frammenti dell’osso frontale, un quadro macroscopico compatibile con leptomeningite tubercolare (9). Se tale reperto fosse confermato, ci sarebbe l’evidenza che la TB avrebbe “toccato” gli ominidi ancor prima della comparsa dell’Homo sapiens. Sergio Sabbatani U.O. di Malattie Infettive, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 10 Riferimenti bibliografici: 1. Ruffer MA. Studies in the Paleopathology in Egypt. Ed by R.L. Moodie, Chicago 1921. 2. Wirth T, Hildebrand F, Allix-Béguec C, et al. Origin, spread and demography of the Mycobacterium tuberculosis complex. PLoS Pathog. 2008 Sep 19; 4(9):e1000160. 3. Rothschild BM, Martin LD, Lev G, et al. Mycobacterium tuberculosis DNA from an extinct bison dated 17000 years before the present. Clin Infect Dis 2001; 33(3):305-11. 4. Morse D, Brothwell DR, Ucko PJ. Tubercolosis in ancient Egypt. Am Rev Respir Dis 1964 Oct; 90:524-41. 5. Bloom BR, Murray CI. Tubercolosis: commentary on a reemergent killer. Science 1992; 257 (5073):1055-64. 6. Zink AR, Grabner W, Reischl U, et al. Molecular study on human tuberculosis in three geographically distinct and time delineated population from ancient Egypt. Epidemiol Infect 2003 Apr; 130(2):239-49. 7. Hershkovitz I, Donoghue HD, Minnikin DE, et al. Detenction and molecular characterization of 9000-year-old Mycobacterium tuberculosis from a Neolithic settlement in the Eastern Mediterrean. 8. Solo WL, Aufderheide AC, Buikstra J, et al. Identification of Mycobacterium tuberculosis DNA in a pre-Columbian Peruvian mummy. Proc Natl Acad Sci USA. 1994 Mar 15; 91(6):2091-4. 9. Kappelman J, Alçiçek MC, Kazanci N, et al. First homo erectus from Turkey and implication for migration into temperate Eurasia. Am J Phys Anthropol 2008 Jan; 135(1):110-6. [La tubercolosi prima della storia: le evidenze paleo-patologiche. S. Sabbatani] Percorsi ragionati HIV 11 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 19 55 19 58 19 61 19 64 19 67 19 70 19 73 19 76 19 79 19 82 19 85 19 88 19 91 19 94 19 97 20 00 20 03 20 06 0 Ministero della Salute - Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria - Ufficio V Malattie Infettive e Profilassi Internazionale Decessi per TBC: Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] “In Italia nel 2011 sono stati notificati 3521 nuovi casi, con una incidenza in diminuzione rispetto agli anni precedenti e una mortalità inferiore a 1/100.000” Percorsi ragionati HIV Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Nuove terapie per l’epatite cronica C Interazioni farmacologiche 12.000 congress report Numero casi di tubercolosi e decessi Le stime di incidenza di MDR-TB derivano dai dati delLa tubercolosi mantiene a pieno titolo un ruolo prioritario l’attività di sorveglianza globale iniziata dall’Organiztra le emergenze sanitarie globali, causando 1.4 milioni zazione Mondiale di Sanità nel 1994 (3). di decessi e 8.7 milioni di nuovi casi a livello mondiale A livello globale, nel 2011 erano sostenuti da ceppi nel 2011 (1). La maggior parte dei nuovi casi di tuberMDR il 3.7% dei nuovi casi di TB ed il 20% dei casi precolosi stimati nel 2011 si è verificata in Asia (59%) e cedentemente trattati, ammontando a oltre mezzo miAfrica (26%). lione di casi totali di MDR-TB. La metà di tali casi erano I singoli paesi con la stima più elevata di casi incidenti presenti in tre singoli paesi: Cina, India e Federazione di tubercolosi erano l’India (tra 2 e 2.5 milioni di casi) e Russa. la Cina (tra 0.9 milioni e 1.1 milioni). Le donne assomCirca il 9% dei casi multiresistenti erano classificabili mavano a 2.9 milioni dei casi e circa mezzo milione di come XDR-TB, documentati in almeno 84 paesi. casi erano in età pediatrica. In Italia nel 2011 sono stati notificati 3,521 nuovi casi di Mentre l’incidenza della tubercolosi si riduce ad un tasso TB con una incidenza pari al 5.8/100,000, in riduzione di circa il 2% all’anno, il tasso di prevalenza si è ridotto, rispetto al 7.8/100,000 del 2010 (4). La mortalità è da tra il 1990 ed il 2011, del 36%, come risultato dell’inalcuni anni inferiore a 1/100,000 (figura 1). tensa campagna di promozione e diffusione del trattaLa proporzione di ceppi MDR tra i nuovi casi di TB era mento standardizzato della tubercolosi (2). del 3.3% confermandosi stabile nell’ultimo decennio, La coinfezione TB/HIV e la tubercolosi multiresistente anche se tra i casi MDR, oltre il 10% erano XDR. (MDR-TB) rappresentano due sfide emergenti a livello gloIl sistema di sorveglianza della tubercolosi in Italia prebale. Degli 1.1 milioni di casi di coinfetti per TB/HIV a senta ancora due elementi di debolezza significativa: livello globale, il 79% sono registrati nel continente afrinon sono misurabili i tassi di coinfezione TB/HIV, perché cano, dove in media il 39% dei nuovi casi di TB avvenil sistema di sorveglianza della tubercolosi non contiene, gono in persone sieropositive per HIV. per ragioni di riservatezza, informazione sullo stato di inLa coinfezione TB/HIV è responsabile di circa 430,000 fezione da HIV. Inoltre non sono riportati i dati di “treatcasi su 1.4 milioni di decessi totali attribuiti alla TB. ment outcome”: sebbene a livello nazionale sia stato da alcuni anni varato uno strumento idoneo per la sorveglianza, il Figura 1. Casi totali di tubercolosi e decessi dal 1995 al 2008 dato rimane non disponibile per i ritardi di notifica da parte delle 14.000 Totale casi Decessi singole regioni. highlights La tubercolosi nel mondo ed in Italia editoriale Epidemiologia e impatto dei flussi migratori in Italia HIV 12 highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI TB tra gli immigrati in Italia Figura 2. Tassi grezzi di incidenza TB specifica per paese di nascita Nati in Italia Nati all’estero Nati all’estero + NN 100 Casi di tubercolosi per 100.000 residenti (scala longaritmica) Percorsi ragionati HIV editoriale “La metà dei casi totali in Italia si verifica negli stranieri” Percorsi ragionati In Italia la tubercolosi è oggi legata 10 ad alcuni fattori di rischio specifici, tra i quali è ben documentato il ruolo dei flussi migratori: i cittadini “non italiani” assommavano nel 2011 a circa il 50% dei casi totali 1 di tubercolosi in Italia (4). 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Nel periodo 2003-2008 il valore medio dell’incidenza della TB negli Ministero della Salute - Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria - Ufficio V Malattie Infettive e Profilassi Internazionale stranieri si attesta intorno a 70 nuovi casi per 100,000 personeControllo della tubercolosi in soggetti anno, dato sostanzialmente superiore a quello medio naimmigrati: diagnosi e cura dei casi sintomatici zionale (7.5 casi per 100,000) (figura 2). Le strategie di controllo della tubercolosi in soggetti immigrati Malgrado l’aumento del numero dei casi di TB tra gli imsono state oggetto di un documento di consenso recepito nel migrati (dovuto al parallelo incremento nel numero totale 2010 dal Ministero della Salute (8). Il documento suggerisce degli immigrati in Italia), vi è una sostanziale stabilità delcinque interventi essenziali, elencati in ordine di priorità: l’incidenza in questa popolazione. • migliorare l’accesso ai servizi per le persone immigrate Le basi patogenetiche della tubercolosi nei soggetti immigrati • riorientare i servizi sanitari risiedono nella promozione della progressione da infezione • migliorare l’adesione al trattamento antitubercolare a malattia tubercolare causata dal fenomeno migratorio (ge• promuovere programmi di ricerca attiva dei casi di infeneralmente associato ad un drastico peggioramento delle zione e malattia tubercolare condizioni socio-economiche nel paese di arrivo) in soggetti • offrire la vaccinazione antitubercolare. ad alta prevalenza di infezione tubercolare latente. L’elemento della “permeabilità” dei servizi è determinante In misura probabilmente inferiore, concorre il maggior riper garantire percorsi di tutela sanitaria specifici nell’amschio di nuove infezioni dovuto alla ampia circolazione di bito di una più generale funzione di contrasto alle disemicobatteri nelle comunità chiuse e svantaggiate degli imguaglianze da parte dei Servizi per la Salute Pubblica. migrati recenti. Coerentemente con questo modello patogeGli interventi per ridurre le barriere di accesso e favorire la netico, circa l’80% dei casi di TB in immigrati in Italia si fruibilità dei percorsi assistenziali, di prevenzione e di cura, verificano entro 5 anni dal fenomeno migratorio (5). si articolano attorno a due strategie. Il primo elemento è Caratteristiche cliniche negli immigrati costituito dall’informazione sui diritti (e doveri) e sui perI casi di tubercolosi in cittadini stranieri si concentrano nelle corsi assistenziali per le popolazioni immigrate. classi di età giovane e adulta (fascia di età 25-34 anni) menTale processo prevede il coinvolgimento, la responsabiliztre negli italiani il picco dei casi si ha a 65 anni. A livello clizazione e il protagonismo delle comunità di immigrati (intese come organizzazioni, singoli leader, associazioni nico, non vi è evidenza che le caratteristiche della TB negli specifiche, mediatori organizzati ecc.), fino a che esse immigrati siano differenti da quelle in soggetti autoctoni. stesse non ne diventino i principali promotori e attori. La sola differenza documentata è una maggior prevalenza Le istituzioni, in collaborazione con l’associazionismo e il di resistenze primarie all’isoniazide (6) e di casi MDR. terzo settore, devono favorire e supportare tale processo Non vi è altresì alcuna evidenza di una associazione tra TB fornendo conoscenze, mezzi e strumenti, in una logica di e coinfezione con il virus HIV in soggetti immigrati. In effetti, forte integrazione con le competenze comunitarie e trala probabilità di coinfezione con HIV è quattro volte magdizionali. giore in soggetti italiani con TB rispetto agli stranieri (7). [Epidemiologia e impatto dei flussi migratori in Italia. F. Castelli, F. d’Aversa Bernoni, A. Matteelli] 13 Alberto Matteelli Clinica di Malattie Infettive e Tropicali, Università degli Studi di Brescia, WHO Collaborating Centre for TB/HIV coinfection Riferimenti bibliografici: 1. World Health Organization. Global tuberculosis report 2012. 2. Raviglione MC. The Global Plan to Stop TB, 2006-2015. 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[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Percorsi ragionati HIV Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Nuove terapie per l’epatite cronica C Francesco Castelli, Federico d’Aversa Bernoni, Interazioni farmacologiche specifici programmi per il supporto dell’aderenza al trattamento antitubercolare. Importanti sono anche le attività di ricerca attiva dei casi di tubercolosi tra gli immigrati durante i primi 5 anni dalla immigrazione. Gli strumenti per lo screening della malattia devono essere semplici e adottabili anche nell’ambito della comunità: ad esempio l’utilizzo di questionari per l’identificazione di segni e sintomi di tubercolosi. Le persone con segni e sintomi devono poi essere avviate ad un iter diagnostico di secondo livello, basato su elementi clinici, radiologici e microbiologici. Lo screening ed il trattamento dell’infezione tubercolare latente in soggetti stranieri è raccomandato, ma viene sottolineato che il profilo di costo-efficacia dell’intervento è sfavorevole in molte situazioni, per le difficoltà della diagnosi di infezione tubercolare latente e per la bassa percentuale di completamento dei regimi di terapia preventiva (12-13). editoriale “Un recente documento suggerisce gli interventi per favorire accesso e utilizzo dei percorsi assistenziali agli immigrati con TB” congress report Il secondo elemento è rappresentato dalla sensibilizzazione dell’intero servizio sanitario al problema dell’accesso ai servizi per gli immigrati. Tale processo prevede varie azioni che vanno dalla formazione degli operatori, al lavoro multidisciplinare, al lavoro di rete intra-aziendale, interistituzionale e con l’associazionismo (autoctono e di immigrati), al modellamento dei servizi in chiave transculturale (accesso equo e leggibile per tutti) e interculturale (attenzione specifica per alcuni contesti linguistici e culturali). E’ importante ricordare che in Italia sono disponibili gli strumenti di natura giuridica che rendono possibile in tutti i casi la presa in carico delle persone straniere con sospetto di tubercolosi, riconoscendo che il diritto all’accesso trova giustificazioni tanto nei vantaggi che offre alle strategie di sanità pubblica, quanto negli obblighi deontologici della professione sanitaria (9). Dal punto di vista più squisitamente tecnico, il documento sottolinea la prioritaria importanza di completare il trattamento antitubercolare nelle persone immigrate. Vi sono dati, solo aneddotici per la indisponibilità di un sistema nazionale di monitoraggio, che indicano che i tassi di completamento della terapia antitubercolare sono inferiori negli immigrati rispetto agli italiani. Presso il più grande centro antitubercolare di Milano nel periodo 1999-2003 avevano abbandonato il trattamento antitubercolare il 10% degli italiani, l’8.8% degli stranieri con regolare permesso di soggiorno e il 22.4% degli stranieri irregolari (10). Questi dati suggeriscono che almeno per alcune frange della popolazione immigrata vi sia la necessità di adottare HIV highlights Percorsi ragionati HIV 14 Percorsi ragionati highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Micobatteriosi atipiche Nei pazienti con AIDS nei paesi sviluppati, le infezioni disseminate da micobatteri atipici (in genere da Mycobacterium Avium Complex, MAC) erano l’infezione opportunistica batterica più frequente con prevalenze del 20-40% tra pazienti senza chemioprofilassi specifica (1). Dopo l’introduzione della HAART (2), frequenza e mortalità di tali infezioni si sono ridotte ma esse rappresentano tuttora la prima causa di febbre di origine sconosciuta in pazienti senza HAART e la seconda causa in pazienti in HAART (3). alimentato il fenomeno delle sindromi da immunoricostituzione (IRIS) associate alle infezioni da MAC, al terzo posto tra le infezioni responsabili di IRIS in pazienti con AIDS (7). Le IRIS si manifestano con una sintomatologia indistinguibile da quella dell’infezione attiva, ma senza l’isolamento del microrganismo. La sindrome è descritta sia in pazienti con diagnosi recente di infezione da MAC, sia in pazienti con infezione subclinica, slatentizzata dal ripristino della risposta immune indotta dalla HAART (“unmasking IRIS”). Caratteristiche cliniche Trattamento Le micobatteriosi disseminate sono caratterizzate da un interessamento multiorgano, con sintomatologia sistemica aspecifica, in cui epato-splenomegalia, diarrea, dolori addominali, anemia e incremento della fosfatasi alcalina sierica rappresentano elementi di sospetto diagnostico (2). Queste sono associate anche a molteplici localizzazioni d’organo (linfadeniti, polmoniti, pericarditi, osteomieliti, ecc.), segnalate anche in era post-HAART, spesso identificando una popolazione di pazienti immunological non-responder alla HAART (4, 5). Non mancano, inoltre, le recidive anche con CD4+ > 500 cellule/mmc (6). La diffusione della HAART ha Si basa su una combinazione di 2/3 antibiotici (tabella 1): • 1° farmaco: va scelto tra claritromicina e azitromicina. La prima garantisce una risposta clinica e microbiologica superiore (8), la seconda va preferita nelle donne in gravidanza e in caso di interazioni farmacologiche con gli antiretrovirali. Questi farmaci si possono impiegare anche se l’infezione si sviluppa in corso di profilassi primaria, dato che gli isolati di MAC mantengono spesso la sensibilità ai due farmaci (1). • 2° farmaco: va preferito etambutolo. • 3° farmaco: viene aggiunto nei pazienti più a rischio (CD4+ < 50 cellule/mmc, elevata carica micobatterica nel sangue, assenza di HAART). In questo caso si privilegia rifabutina. Farmaci alternativi sono amikacina e fluorochinoloni (preferibilmente moxifloxacina o levofloxacina); più raramente etionamide e cicloserina (non disponibili in Italia). Nella scelta dei farmaci vanno valutate le interazioni farmacologiche di claritromicina e rifabutina con la HAART (tabella 2) e le potenziali tossicità cumulative, come ad esempio, neurotossicità di etionamide/cicloserina + efavirenz; nefrotossicità di amikacina + tenofovir; effetto aritmogeno di macrolidi/fluorochinoloni + inibitori della proteasi/efavirenz. La terapia va protratta fino a ricostituzione immunologica: il paziente deve aver completato almeno 1 anno di trattamento, essere asintomatico e avere CD4+ stabilmente >100 cellule/mmc (per > 6 mesi) (2). Tabella 1. Posologie degli antibiotici impiegati nella terapia e nella profilassi delle infezioni disseminate da Mycobacterium avium Antibiotico Posologia terapia Posologia chemioprofilassi Azitromicina 500-600 mg x 1 OS 1200 mg 1 volta/settimana OS Claritromicina 500 mg x 2 OS * Rifabutina 300 mg x 1 OS # 15 mg/kg/die OS n.i. Ciprofloxacina Etambutolo 750 mg x 2 OS n.i. Moxifloxacina 400 mg x 1 OS n.i. Levofloxacina 500 mg x 1 OS n.i. Amikacina 15 mg/kg/die EV n.i. Cicloserina 15 mg/kg/die OS n.i. Etionamide 15 mg/kg/die OS n.i. Legenda: n.i. = non indicato * Dosi di claritromicina >1 g/die non vanno impiegate, perché associate ad un aumento del rischio di mortalità. # Dosi di rifabutina > 450 mg/die in combinazione con claritromicina sono associate ad un elevato rischio di uveite. [Micobatteriosi atipiche. F. Franzetti] “Pur ridotte nell’era della HAART, le infezioni da MAC sono spesso responsabili delle sindromi da ricostituzione” Percorsi ragionati HIV 15 PI/r $CLA $CLA #ETV $CLA #RPV #AUC CLA (tranne FPV) #CLA e COBI #MVC Ridurre CLA (250 mg x 2) Se CrCl 5060 ml/min: ridurre CLA (250 mg x 2) e non associare se < 50-60 ml/min Ridurre MVC (150 mg x 2) $EVG $MVC $RBT $RBT e ETV #RBT $NVP $RPV #RBT Aumentare RBT (450-600 mg/die) Solo se NON associati a PI/r n.v.p. NON associare Ridurre RBT (150 mg/die o 300 mg 3 v/ settimana) NON associare Ridurre MVC (150 mg x 2) se usato con inibitori CYP3A COBI = cobicistat; CrCl = clearance della creatinina; EFV = efavirenz; ETV = etravirina; EVG = elvitegravir; MVC = maraviroc; NVP = nevirapina; PI/r= inibitori della proteasi associati a ritonavir; RPV = rilpivirina; n.v.p. = nessuna variazione posologica Profilassi E’ consigliata in pazienti con CD4+ < 50 cellule/mmc dopo avere escluso un’infezione micobatterica in atto. Farmaci di scelta sono sempre claritromicina e azitromicina. In caso di intolleranza, si ricorre all’utilizzo di rifabutina. La profilassi può essere sospesa nei pazienti che hanno ri- “Nella scelta dei farmaci vanno valutate le interazioni farmacologiche con la HAART e le potenziali tossicità cumulative” sposto alla HAART, raggiungendo una conta di CD4+ >100 cellule/mmc per un periodo > 3 mesi (9, 10). Fabio Franzetti Istituto di Malattie Infettive, Università di Milano, A.O. Luigi Sacco, Milano Riferimenti bibliografici: 1. Kaplan JE, Benson C, Holmes KK, et al. Guidelines for Prevention and Treatment of Opportunistic Infections in HIV-Infected Adults and Adolescents. Recommendations from CDC, NIH and the HIV Medicine Association of the IDSA. MMWR 2009/58(RR04);1-198. 2. Karakousis PC, Moore RD, Chaisson RE. Mycobacterium avium complex in patients with HIV infection in the era of highly active antiretroviral therapy. Lancet Infect Dis 2004; 4(9):557-65. 3. 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HIV Outpatient Study (HOPS) Investigators. Immune reconstitution inflammatory syndrome: incidence and implications for mortality. AIDS 2012 27; 26(6):721-30. 8. Ward TT, Rimland D, Kauffman C, et al. Randomized, open-label trial of azithromycin plus ethambutol vs. clarithromycin plus ethambutol as therapy for Mycobacterium avium complex bacteremia in patients with human immunodeficiency virus infection. Clin Infect Dis 1998; 27:1278-85. 9. Sadr WM, Burman WJ, Grant LB, et al. Discontinuation of prophylaxis for Mycobacterium avium complex disease in HIV-infected patients who have a response to antiretroviral therapy. N Engl J Med 2000; 342:1085-92. 10. Currier JS, Williams PL, Koletar SL, et al. Discontinuation of Mycobacterium avium complex prophylaxis in patients with antiretroviral therapy induced increases in CD4+ cell count. A randomized, double-blind, placebo-controlled trial. AIDS Clinical Trials Group 362 Study. Ann Intern Med. 2000;133(7):493-503. [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Percorsi ragionati HIV RPV Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI NVP Nuove terapie per l’epatite cronica C ETV Interazioni farmacologiche EFV Preferire AZI Rifabutina (RBT) Inibitori CCR5 MVC congress report Claritromicina (CLA) Inibitori integrasi EVG/COBI highlights NNRTI editoriale Tabella 2. Principali interazioni farmacologiche tra antiretrovirali e antibiotici impiegati nella terapia delle infezioni disseminate da Mycobacterium avium HIV 16 Percorsi ragionati highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Quando sospettare la tubercolosi La diagnosi di tubercolosi non è sempre agevole, ma deve essere perseguita con particolare attenzione poichè causa un incremento della replicazione di HIV, accelera la progressione della malattia e, da ultimo, aumenta la mortalità (1,2). La tubercolosi rappresenta ancora oggi una importante patologia associata all’infezione da HIV, sia come nuova infezione che come riattivazione di una vecchia infezione, a qualunque livello di linfociti CD4+, anche se i livelli più bassi si associano più di frequente a forme extrapolmonari (3). Tra i fattori di rischio da considerare ai fini diagnostici sono la provenienza da aree di endemia per tubercolosi, la tossicodipendenza (4) e la malnutrizione. Forme polmonari ed extrapolmonari In un individuo la cui risposta immunitaria cellulare non è particolarmente compromessa, la tubercolosi si presenta come forma polmonare tipica con addensamenti e cavità ai lobi superiori del polmone e senza una significativa linfadenopatia o versamento pleurico. In questa forma l’espettorato è raramente positivo per una scarsa emissione di micobatteri. Le forme polmonari saranno sospettate in presenza di una sintomatologia respiratoria che non risponde alla terapia antibiotica. Sovente i chinolonici utilizzati in modo empirico in queste situazioni, per un loro effetto anti tubercolare, possono ritardare la diagnosi. Le forme extrapolmonari (5) sono quelle più comuni tra i soggetti con HIV soprattutto tra quelli più immunocompromessi, talora associandosi alla localizzazione polmonare della malattia. Si tratta di forme linfatiche, disseminate, pleuriche, pericardiche o localizzate in altra sede. Le forme disseminate (particolarmente frequenti in epoca pre HAART) prevalgono nelle fasi avanzate di infezione da HIV e presentano una sintomatologia di tipo sistemico caratterizzata da febbre, astenia, perdita di peso, ecc. “Negli HIV+ è importante ottenere una diagnosi rapida per l’impatto negativo della TB sulla progressione ad AIDS e sulla mortalità” [Quando sospettare la tubercolosi. R. Cauda] In questi casi la diagnosi è molto problematica per l’aspecificità della sintomatologia. Più agevole è la diagnosi di linfadenopatia tubercolare che si presenta in forma multifocale, spesso fistolizzata ed associata a febbre, perdita di peso, e talora ad alterazioni a livello polmonare. Nella figura 1 è ben evidente il quadro di una grossolana linfadenopatia confluente a livello del collo bilateralmente con aree necrotiche, colliquate che inglobano e comprimono i vasi. La diagnosi di tubercolosi è stata formulata in questo caso mediante esame microscopico diretto e amplificazione genomica per M. tuberculosis del materiale bioptico prelevato. Anche in epoca HAART è possibile osservare, in soggetti che giungono tardivamente all’osservazione medica, specie se provenienti da aree endemiche per tubercolosi ed HIV, forme disseminate con localizzazioni “inusitate” che possono porre problemi di diagnosi differenziale, come ad esempio quella indicata nella figura 2, dove è evidente una tumefazione dell’ovaio sinistro indissociabile dalle anse intestinali in parte inglobate e noduli peritoneali. In questo caso la diagnosi di tubercolosi è stata formulata sulla base della positività dell’esame colturale della biopsia peritoneale. Figura 1. Grossolane e confluenti linfoadenopatie, con ampie aree necrotico/colliquative, che interessano pressochè tutte le stazioni linfonodali sovra e sottoioidee la ricerca di forme acido-alcool resistenti (che spesso risultano tuttavia negativi). La presenza di linfadenopatia con caratteristiche di multifocalità deve far sempre porre il sospetto di tubercolosi linfoghiandolare. In caso di sospetto di forme disseminate si effettueranno emocolture, mieloculture, e, laddove si ravvisi l’indicazione, biopsie di specifici organi. Di converso, nei casi in cui venga posta diagnosi di tubercolosi in mancanza del dato sulla sieropositività, specie se si tratta di un soggetto tossicodipendente o proveniente da aree di endemia, andrà sempre presa in considerazione la coesistenza dell’infezione da HIV. Roberto Cauda Istituto di Clinica delle Malattie Infettive Università Cattolica S. Cuore, Roma editoriale Percorsi ragionati HIV “Negli HIV+ prevalgono le forme extrapolmonari e sono frequenti le forme disseminate con localizzazioni inusitate e sintomatologia aspecifica” [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] highlights Riferimenti bibliografici: 1. Goletti D, Weissman D, Jackson RW, et al. Effect of Mycobacterium tuberculosis on HIV replication. Role of immune activation. J Immunol 1996; 157(3):1271-8. 2. Cain KP, Vanna JK. 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Nel sospetto di tubercolosi polmonare va prontamente eseguita un’indagine radiologica del torace sia convenzionale che TC e vanno inviati gli esami dell’escreato per 17 Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Figura 2. Tumefazione dell’ovaio di sn, indissociabile dalle anse intestinali fra loro in parte conglobate HIV Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati HIV 18 Percorsi ragionati highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Diagnostica microbiologica e immunologica La diagnosi microbiologica di tubercolosi attiva generalmente è motivata dal sospetto clinico, sulla base di una sintomatologia e/o di alterazioni radiologiche compatibili, e in particolare in quei pazienti che presentino fattori di rischio noti per tubercolosi (ad esempio, storia di esposizione, provenienza da paesi ad elevata prevalenza di infezione tubercolare, condizioni di immunodepressione) (1). Nella maggior parte dei casi la malattia interessa il polmone, ma potrebbe colpire virtualmente qualsiasi organo. Le manifestazioni extra-polmonari di tubercolosi sono spesso difficili da diagnosticare, anche a causa della difficoltà di ottenere campioni validi per analisi microbiologiche quando la malattia colpisce siti scarsamente accessibili (2). Test microbiologici Trattandosi di una malattia infettiva, la diagnosi microbiologica di certezza presupporrebbe l’isolamento colturale di Mycobacterium tuberculosis (MTB) da un campione biologico. Una diagnosi presuntiva di tubercolosi si basa normalmente sul riscontro di bacilli alcol-acido resistenti (BAAR) all’esame microscopico diretto di un campione diagnostico, come ad esempio uno striscio di espettorato o un campione di tessuto (per esempio, una biopsia linfonodale). Sebbene sia poco costosa, la microscopia diretta per la ricerca di BAAR ha una sensibilità relativamente bassa (40-60%) in casi di TB polmonare confermati dall’esame colturale. Per i pazienti con sospetta tubercolosi polmonare, è tuttora raccomandato di inviare due o tre campioni di espettorato, preferibilmente raccolti nelle prime ore del mattino, per la ricerca di BAAR all’esame microscopico diretto e per la coltura per micobatteri. E’ dimostrato come la sensibilità dell’esame microscopico diretto su espettorato possa raggiungere il 70% quando si considerano campioni multipli (3). La diagnosi definitiva dipende dall’isolamento e dall’identificazione di MTB in un campione clinico o l’identificazione “La diagnosi si basa su isolamento e identificazione di MTB in un campione clinico o su identificazione di sequenze specifiche di DNA con amplificazione di acidi nucleici” [Diagnostica microbiologica e immunologica. S. Cerri, L. Richeldi] di sequenze specifiche di DNA in un test di amplificazione di acidi nucleici. Poiché la maggior parte delle specie di micobatteri, tra cui MTB, crescono lentamente in terreno solido, sono necessarie 4-8 settimane prima che si possa rilevarne la crescita. Oggi, nella maggior parte dei laboratori l’uso di terreni liquidi di coltura per l’isolamento dei micobatteri e l’identificazione di specie con metodi molecolari di cromatografia liquida hanno sostituito l’isolamento su terreni solidi e l’identificazione mediante test biochimici. Questi metodi hanno diminuito il tempo necessario per la conferma batteriologica di tubercolosi a 2-3 settimane (4). Dopo l’isolamento colturale, devono essere sempre eseguiti i test di farmacosensibilità per i farmaci antitubercolari di prima linea, generalmente condotti in terreni liquidi di coltura e pertanto in grado di fornire un risultato in 1-2 settimane dopo positività dell’esame colturale. La diagnosi di farmacoresistenza ai farmaci antitubercolari di seconda linea è, invece, riservata ai laboratori di riferimento. I test di amplificazione degli acidi nucleici permettono la diagnosi di tubercolosi in poche ore, con elevata specificità e sensibilità che si approssima a quella della cultura. Questi test sono molto utili per la conferma rapida di tubercolosi in persone con campioni positivi per BAAR, ma hanno anche utilità per la diagnosi di tubercolosi polmonare ed extra-polmonare con esame microscopico diretto negativo (sebbene in questi casi la sensibilità del test possa essere molto variabile) (5). I test di diagnostica molecolare basati sull’amplificazione degli acidi nucleici, inoltre, vengono anche utilizzati per l’identificazione delle specie di micobatteri dopo positività delle colture, nonché per la diagnosi rapida di farmacoresistenza (6). Recentemente è stato sviluppato un nuovo test molecolare ad elevata automatizzazione, Xpert MTB/RIF (Cepheid, Sunnyvale, CA, USA) che si basa sull’amplificazione degli acidi nucleici e che consente non solo di rilevare la presenza di DNA di MTB (e quindi di fornire una diagnosi microbiologica), ma anche di individuare la presenza di resistenza alla rifampicina con elevata sensibilità (7, 8). Questo test è caratterizzato da elevate sensibilità e specificità (tabella 1) anche in campioni di espettorato negativi all’esame microscopico diretto, nonché da un elevato valore predittivo negativo (99.3%). Di fatto, almeno nelle aree a più elevata prevalenza, la presenza di resistenza alla rifampicina è in realtà sinonimo di tubercolosi multi-re- HIV 88-90% 76% 90.4%** 97% 99% per entrambi i metodi 98.4% 1 giorno Fino a 6-8 settimane - in media 10-15 giorni - in media 3-4 settimane 1 giorno 94-98% 98-100% 96-98% 100% 1-2 giorni 1 giorno (dopo positività delle colture) MTB: Mycobacterium tuberculosis. LPAs: Line Probe Assays; *Sensibilità combinata in 3 campioni consecutivi. **Casi con esame microscopico diretto positivo: sensibilità stimata del 98.7%; casi con esame microscopico diretto negativo: sensibilità stimata del 75.0%. ***In campioni positivi all’esame microscopico diretto. sistente, pertanto l’identificazione precoce di resistenza alla rifampicina consente di orientare il clinico nella scelta del regime terapeutico più appropriato. Il test è stato sviluppato per la determinazione rapida di MTB in campioni di espettorato, tuttavia sono allo studio possibili applicazioni in altri campioni biologici. Test immunologici In assenza di una conferma microbiologica, la diagnosi presuntiva di tubercolosi attiva potrebbe anche essere derivata da una clinica compatibile e dalla dimostrazione di una risposta immunitaria cellulo-mediata nei confronti di MTB. Fino a circa dieci anni or sono, l’unico test standardizzato disponibile per identificare questa risposta immunitaria specifica nei confronti di MTB è stato il test cutaneo tubercolinico (TCT). Il test si basa sull’iniezione intradermica di 0,1 ml di una soluzione contenente un pool di antigeni di derivazione micobatterica (derivato proteico purificato o PPD) solitamente a livello della superficie volare dell’avambraccio. Un’iniezione intradermica correttamente eseguita dovrebbe risultare nella formazione di un pomfo di 6-10 mm di diametro. La lettura del test cutaneo tubercolinico (tramite ispezione e palpazione della zona di inoculo della tubercolina) deve essere effettuata entro 48-72 ore dopo l’inoculazione. Il risultato è espresso in termini di mm di diametro dell’infiltrato cutaneo; il diametro dell’area di eritema invece non deve essere preso in considerazione. Le linee guida congiunte [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] “Il nuovo test molecolare Xpert MTB-RIF ottiene una rapida diagnosi e la rilevazione della farmacoresistenza con specificità e sensibilità elevate” dell’American Thoracic Society, dei Centers for Disease Control and dell’Infectious Disease Society of America pubblicate nel 2000 hanno proposto tre livelli di cut-off per definire la positività di un TCT sulla base dei fattori di rischio individuali di infezione e di progressione a malattia attiva (9). L’interpretazione del risultato, infatti, richiede una valutazione clinica che tenga conto dell’effettiva probabilità di infezione e, inoltre, dell’esistenza di eventuali condizioni che possano falsare il risultato, sia in senso positivo che in senso negativo. In pazienti che per provenienza geografica o storia clinica pregressa hanno una certa probabilità di essere stati infettati da micobatteri non tubercolari, o in coloro che hanno ricevuto la vaccinazione con Bacillo di Calmette-Guérin (BCG), una positività del TCT non può essere interpretata come sinonimo di infezione da MTB. Infatti, il preparato antigenico (PPD) utilizzato nel TCT contiene un pool di oltre 200 antigeni, molti dei quali presentano reattività crociata con i micobatteri non tubercolari o con i ceppi di BCG, responsabili di indurre reazioni falsamente positive al test. D’altro canto, ci possono essere diversi motivi per cui la reazione al TCT possa essere interpretata come falsamente negativa a dispetto della presenza di infezione tubercolare. Questi includono errori nella somministrazione dei reagenti e/o nella lettura del risultato, di solito legati all’inesperienza di chi esegue il test. Inoltre condizioni che comportano una diminuita efficienza della risposta immunitaria cellulo-mediata (in particolare Percorsi ragionati HIV 70%* Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Tempo per il risultato Nuove terapie per l’epatite cronica C LPAs (per identificazione molecolare diretta e diagnosi di resistenza a rifampicina ± isoniazide)*** Identificazione molecolare di MTB Specificità Interazioni farmacologiche Esame microscopico diretto Esame colturale - terreno liquido - terreno solido Xpert MTB/RIF Sensibilità congress report Tabella 1. Tubercolosi polmonare: diagnostica microbiologica a confronto editoriale 19 highlights Percorsi ragionati HIV highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 20 Percorsi ragionati Tabella 2. Confronto tra le caratteristiche degli IGRA (T-SPOT.TB e QuantiFERON-TB) e del test cutaneo tubercolinico T-SPOT.TB QuantiFERON-TB ESAT-6 + CFP10 SÌ ESAT-6 + CFP10 (TB7.7) Sì PPD No Sì No No Sì No No No Sì Sì 16-20 ore In vitro 16-24 ore In vitro Obiettiva (strumentale) No Obiettiva (strumentale) No Non ancora definita Non in grado di distinguere Non in grado di distinguere Non ancora definita Non in grado di distinguere Non in grado di distinguere Elevata/molto elevata Scarsa influenza Elevata Poca influenza Certo grado di correlazione soprattutto tra non BCG vaccinati Significativa influenza Età avanzata Sensibilità per ITBL Poca influenza 86-93% Poca influenza 63-82% Significativa influenza 71-82% Specificità per ITBL 86-100% No BCG: 98-100% BCG: 94-98% Dati longitudinali Scarsi Scarsi Antigeni Controllo positivo Uniformità di metodi e di reagenti Possibile effetto boosting in test ripetuti Visita di ritorno Tempo per ottenere il risultato Setting del test Interpretazione del test Interferenza da BCG Conversione (da negativo a positivo) Infezione vs. malattia Infezione recente versus remota Correlazione con l’esposizione Immunodepressione Test cutaneo 48-72 ore In vivo Soggettiva (operatore-dipendente) Sì Criteri stabili per conversione recente Non in grado di distinguere Non in grado di distinguere No BCG: 95-99% BCG: eterogenea Abbondanti Legenda: ESAT-6: early secretory antigenic target-6; CFP10: culture filtrate protein 10; PPD: purified protein derivative (derivato proteico purificato); BCG: bacillo di Calmette-Guérin; ITBL: infezione tubercolare latente. “La positività ai test IGRA, insieme ai dati clinici e radiologici, aiuta il clinico nella diagnosi in assenza di una conferma microbiologica” l’infezione da HIV, ma anche patologie neoplastiche, terapie protratte con corticosteroidi o farmaci immunosoppressori, stati di malnutrizione e l’età avanzata) si associano a una diminuita reattività alla tubercolina, con possibili risposte falsamente negative. I test IGRA Nell’ultimo decennio sono stati commercializzati due test in vitro per la diagnosi di infezione tubercolare, che si basano sulla misurazione del rilascio di interferone gamma (IFN-γ) dopo stimolazione in vitro mediante antigeni specifici di MTB dei linfociti T derivati dal sangue periferico. I due test oggi disponibili in commercio sono il test QuantiFERON-TB In-tube (Cellestis, QIAGEN), che si avvale di [Diagnostica microbiologica e immunologica. S. Cerri, L. Richeldi] una metodica ELISA, e il test T-SPOT.TB (Oxford Immunotec, Abingdon, Regno Unito), che utilizza la metodica di Enzyme-Linked Immunosorbent SPOT (ELISPOT). Questi test vengono citati collettivamente con l’acronimo IGRA (Interferon-Gamma Release Assays) e dal punto di vista tecnico si basano sul principio che l’infezione da MTB dà luogo a una popolazione di linfociti T antigene-specifici con le caratteristiche di cellule effettrici di memoria: pertanto in soggetti infettati tali cellule (presenti in circolazione nel sangue periferico) saranno in grado di produrre IFN-γ in risposta ad una successiva stimolazione con antigeni micobatterici. Quale stimolo antigenico, gli IGRA si avvalgono di prodotti proteici codificati in una porzione del genoma di Riferimenti bibliografici: 1. Zumla A, Ravaglione M, Hafner R, von Reyn CF. Tuberculosis. N Engl J Med, 2013; 368(8):745-55. 2. Solovic I, Jonsson J, Koerzeniewska-Kosela M, et al. Challenges in diagnosing extrapulmonary tuberculosis in the European Union, 2011. Euro Surveill, 2013; 18(12). 3. Mase SR, Ramsay A, Henry M, et al. 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Advances in tuberculosis diagnostics: the Xpert MTB/RIF assay and future prospects for a pointof-care test. Lancet Infect Dis, 2013; 13(4):349-61. 9. No authors listed. Diagnostic Standards and Classification of Tuberculosis in Adults and Children. This official statement of the American Thoracic Society and the Centers for Disease Control and Prevention was adopted by the ATS Board of Directors, July 1999. This statement was endorsed by the Council of the Infectious Disease Society of America, September 1999. Am J Respir Crit Care Med, 2000; 161(4 Pt 1):1376-95. 10. Diel R, Goletti D, Ferrara G, et al. Interferon-gamma release assays for the diagnosis of latent Mycobacterium tuberculosis infection: a systematic review and meta-analysis. Eur Respir J, 2011; 37(1):88-99. 11. Gooding S, Chowdhury O, Hinks T, et al. Impact of a T cell-based blood test for tuberculosis infection on clinical decision-making in routine practice. J Infect, 2007; 54(3):e169-74. 12. 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Tuttavia, unitamente a dati clinici e radiologici, la positività di questi test in pazienti in cui non sia ancora disponibile una conferma microbiologica colturale può essere di ausilio nella diagnosi di malattia tubercolare (11, 12). Infine occorre ricordare che gli IGRA, sebbene siano stati sviluppati per la diagnosi di infezione tubercolare in campioni di sangue venoso periferico, possono tuttavia essere utilizzati anche in campioni biologici diversi dal sangue, quali liquido pleurico, liquido di lavaggio broncoalveolare o liquor, rivelandosi quindi utili strumenti per la diagnosi di tubercolosi attiva in casi di difficile accertamento microbiologico (13, 14). editoriale 21 congress report MTB (chiamata RD1), che è assente nella maggior parte dei micobatteri non tubercolari e ha subito una delezione nei passaggi in coltura che hanno dato origine a tutti i ceppi di BCG. Pertanto rispetto al TCT, gli IGRA hanno il vantaggio di utilizzare antigeni specifici di MTB e, quindi, di non essere influenzati da una pregressa vaccinazione con BCG o dall’esposizione a micobatteri non tubercolari. Inoltre essendo test strumentali in vitro, non sono gravati dai problemi di variabilità tecnica operatore-dipendente, di cui invece risente il TCT sia nella fase di somministrazione del reagente sia nella lettura del risultato (10). La tabella 2 riassume le principali caratteristiche dei test immunologici per la diagnosi di infezione tubercolare. E’ bene ricordare che tutti i test immunologici oggi disponibili (TCT, QuantiFERON-TB In Tube e T-SPOT.TB) di fatto documentano uno stato di infezione tubercolare, senza es- HIV highlights Percorsi ragionati HIV 22 Percorsi ragionati highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale La coinfezione HIV/TB Nel 2011 ci sono stati nel mondo 8.7 milioni di nuovi casi di malattia tubercolare (13% dei casi in pazienti con coinfezione da HIV) e 1.4 milioni di decessi, di cui 430.000 in pazienti HIV+. Nonostante, quindi, lo scenario della patologia da HIV sia radicalmente cambiato in relazione al vasto impiego della terapia antiretrovirale di combinazione, la tubercolosi rappresenta ancora oggi una delle maggiori problematiche associate ad HIV e impone importanti scelte nella gestione clinica dei pazienti coinfetti HIV/TB. Da una parte emerge l’esigenza di dover trattare il singolo paziente nel modo più efficace controllando e gestendo in maniera ottimale la tossicità farmacologica e il rischio di sviluppo della sindrome da immunoricostituzione sistemica (IRIS), dall’altra la necessità di dovere monitorare attentamente l’aderenza e le interazioni farmacologiche al fine di prevenire un fallimento terapeutico e l’eventuale emergenza di ceppi di M. tuberculosis farmaco-resistenti. Quando iniziare la terapia In questo contesto, il timing ottimale dell’inizio della cART rispetto alla terapia antitubercolare è il primo punto-chiave che deve essere clinicamente affrontato. L’inizio precoce della cART contemporaneamente alla terapia anti-TB è ormai dimostrato essere significativamente in grado di ridurre la mortalità nei pazienti coinfetti. Per questo, le attuali Linee Guida suggeriscono di iniziare la cART durante la terapia anti-TB a prescindere dalla conta delle cellule CD4+ e dei valori di viremia per HIV. Tuttavia per l’elevato rischio di sviluppo di IRIS, per la difficoltà nel dovere gestire entrambe le terapie e per un dimostrato beneficio per l’inizio precoce esclusivamente nei soggetti con CD4+ < 50 cellule/mmc, le raccomandazioni suggeriscono l’inizio della cART a due settimane dall’inizio della terapia anti-TB, solo nei pazienti gravemente immunodepressi, con CD4+ < 50 cellule/mmc. Mentre per i pazienti con CD4+ compresi tra 50 e 500 cellule/mmc, l’inizio della cART viene raccomandato in un periodo compreso tra 2 settimane e due mesi dall’inizio della terapia anti-TB, nei pazienti con CD4+ > 500 cellule/mmc devono inoltre essere prese in considerazione valutazioni di costo-beneficio in relazione ai singoli casi, anche se il trattamento di associazione tra cART e terapia anti-TB viene comunque consigliato sulla base dell’aumentato rischio di progressione della patologia da HIV durante lo sviluppo di infezione tubercolare attiva. [La coinfezione HIV/TB. A. Gori] La scelta dei regimi terapeutici Il secondo punto-chiave riguarda la scelta dei diversi regimi terapeutici. La TB dovrebbe essere trattata secondo un regime antitubercolare standard: facendo, quindi, seguire alla fase di induzione di 2 mesi con 4 farmaci (rifampicina, isoniazide, pirazinamide ed etambutolo), una fase di mantenimento a 2 farmaci (rifampicina e isoniazide) per ulteriori 4 mesi. Per quanto, invece, riguarda la scelta del regime cART da associare alla terapia anti-TB, devono essere tenute in considerazione diverse problematiche, dalle interazioni farmacologiche alla tossicità, analizzando ovviamente anche gli aspetti legati alle diverse sensibilità di HIV. Tra i regimi a disposizione, EFV + TDF/FTC ha il vantaggio di poter utilizzare senza particolari problemi di farmacocinetica una terapia anti-TB contenente rifampicina e allo stesso tempo di offrire un’alternativa terapeutica a basso “pill burden”, grazie all’utilizzo di farmaci in coformulazione sia per HIV che per TB. In alternativa, in pazienti con resistenza o intolleranza agli NNRTI, posso essere utilizzati regimi basati sull’impiego di PI/r: in questo caso per le interazioni farmacocinetiche non sarà possibile utilizzare rifampicina, ma dovrà essere utilizzata in sostituzione rifabutina, al dosaggio ridotto di 150 mg a giorni alterni, mantenendo invariato il dosaggio dei PI. Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo delle nuove classi di antiretrovirali in associazione alla terapia anti-TB, non vi sono ancora chiari dati a riguardo. In particolare per quanto concerne l’inibitore dell’integrasi si è visto come rifampicina sia in grado di diminuire di circa il 40-60% le concentrazioni plasmatiche di raltegravir, mentre invece non sembrano esserci sostanziali controindicazioni all’utilizzo di raltegravir in associazione a rifabutina. Riguardo agli inibitori del CCR5, rifampicina è in grado diminuire di circa l’80% i livelli plasmatici di maraviroc, mentre sembrerebbero non esserci particolari interazioni nell’utilizzo combinato con rifabutina. E’ necessario comunque tenere presente che, nel caso in cui, per motivi di farmacoresistenza rispetto ad HIV, debbano essere utilizzare regimi cART più complessi, è sempre consigliabile l’utilizzo del TDM al fine di monitorare correttamente i profili farmacocinerici dei diversi farmaci utilizzati. Andrea Gori UO Malattie Infettive, AO San Gerardo, Monza HIV Commenti Quando iniziare E’ fortemente raccomandato un inizio del trattamento antiretrovirale durante la terapia antitubercolare a prescindere dal valore dei CD4+ e della viremia [AI]. - In pazienti con CD4 < 50 cellule/mmc è fortemente raccomandabile l’inizio della cART a due settimane dall’inizio della TAT (attesa consigliata per una valutazione precoce di segni e sintomi legati a possibili reazioni avverse ai farmaci antitubercolari) [AI]; - In pazienti con linfociti CD4+ compresi tra 50 e 500 cellule/mmc è fortemente raccomandabile l’inizio della terapia antiretrovirale tra 2 settimane e due mesi dall’inizio della TAT [AI); - In pazienti con linfociti CD4+ > 500 cellule/mmc, dato l’aumentato rischio di progressione dell’infezione da HIV in presenza di una tubercolosi attiva anche ad elevati livelli di linfociti CD4+, il timing della cART andrà stabilito nei singoli casi sulla base di valutazioni costo-beneficio [BII]. Come iniziare Un regime cART di scelta da associare ad una terapia antitubercolare che includa rifampicina è rappresentato da un backbone nucleosidico più efavirenz (EFV) [BI]. L’utilizzo di IP, potenziati con ritonavir, è possibile se associato a rifabutina [BI]. Queste combinazioni trovano indicazione elettiva in pazienti con resistenza o intolleranza agli NNRTI. L‘impiego di IP potenziati con ritonavir in associazione a rifampicina, è generalmente controindicato. Sindrome da immunoricostituzione (IRIS) dopo inizio di HAART Ritardare l’inizio della cART dopo il primo mese dall’inizio della TAT può ridurre l’incidenza e la severità di IRIS, anche se non è raccomandabile in pazienti con linfociti CD4+ < 350 cellule/mmc [AI]. In corso di IRIS non è raccomandata l’interruzione di cART [AIII]. Riferimenti bibliografici: 1. Zumla A, Raviglione M, Hafner R, et al. Tuberculosis MDR-TB and XDR-TB: 2011 progress report. Geneva: World Health Organization, 2011. 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[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Interazioni farmacologiche “Nei pazienti coinfetti in trattamento, vanno gestite le tossicità farmacologiche e il rischio di sviluppo di sindrome da immunoricostituzione (IRIS)” congress report Linee Guida Italiane HIV/AIDS 2012 Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Raccomandazioni Percorsi ragionati HIV Tabella 1. Principi di utilizzo della terapia antiretrovirale in soggetti con tubercolosi editoriale 23 highlights Percorsi ragionati 24 VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Diagnostica virologica dell’epatite B L’infezione da virus dell’epatite B (HBV) è caratterizzata dalla produzione e dismissione in circolo di elevate quantità di antigeni virali sia come costituenti del virione e particelle sub-virali difettive (antigene di superficie, HBsAg) che come proteine secrete in forma non particolata, HBeAg. Inoltre, non appena il virus viene riconosciuto dal sistema immune dell’ospite, si attiva una vivace risposta anticorpale: ciò ha permesso, ancor prima che fosse possibile dosare l’acido nucleico virale (HBV DNA), di sviluppare algoritmi diagnostici in grado di identificare le principali fasi dell’infezione. L’introduzione delle tecniche di biologia molecolare ha reso possibile l’analisi della replicazione ed eterogeneità virale, permettendo un’ulteriore e più accurata definizione dell’infezione e malattia da HBV (tabella 1). Misura quantitativa di HBV DNA e HBsAg Negli ultimi anni la gestione del portatore cronico da HBV, oltre alla definizione dello stato HBeAg/anti-HBe, si è concentrata sempre di più sullo studio diretto del virus attraverso la misura quantitativa dell’HBV DNA e dell’HBsAg, che permettono di giungere alla precisa caratterizzazione della fase dell'infezione (1). Per utilizzare correttamente nella pratica clinica la viremia, occorre ricordare che l’HBV DNA è un indice diretto di infezione e replicazione virale, ma non di malattia HBV indotta: l’HBV, infatti, non è un virus citopatico ed elevati livelli viremici possono essere presenti in assenza di epatite (soggetti HBeAg positivi, immunotolleranti) (1). Al contrario, in un portatore anti-HBe positivo, che ha sviluppato una specifica risposta immune antivirale, livelli viremici superiori a 2.000-20.000 UI/ml identificano un’infezione “attiva” che in genere si associa ad epatite (1). Quest’ultima è, invece, assente nel portatore anti-HBe positivo con viremia persistentemente < 2.000 UI/ml (infezione inattiva). Nel portatore anti-HBe positivo la definizione del profilo viremico è fondamentale in quanto i livelli viremici possono fluttuare ampiamente con temporanee cadute anche al disotto della soglia di 2.000 UI/ml e portare all’erronea diagnosi di “L’uso combinato della misura quantitativa di HBV DNA e HBsAg garantisce una più appropriata gestione del portatore di infezione da HBV” [Diagnostica virologica dell’epatite B. M.R. Brunetto] infezione inattiva (2). Il profilo viremico permette, inoltre, di meglio definire il rischio evolutivo nel singolo paziente, in quanto nel paziente con immunoattivazione esiste una diretta correlazione fra livelli viremici e progressione dell’epatopatia (1). Di recente, alla misura della viremia si è aggiunta la possibilità di quantizzare i livelli di HBsAg circolanti come nuovo strumento diagnostico per la definizione dello “stato dell’infezione” (3-4). Infatti i livelli circolanti di HBsAg variano significativamente nelle diverse fasi dell’infezione, riducendosi progressivamente dalla fase di immunotolleranza (4.5-4.96 log10 UI/ml) alla fase di immunocontrollo/bassa replicazione virale (2.86-3.09 log10 UI/ml) (5-6): quanto più bassi sono i livelli di HBsAg, maggiore è il controllo immune dell’infezione (3-4). In particolare, uno studio condotto su oltre 200 portatori anti-HBe positivi (genotipo D) ha dimostrato come bassi livelli di HBsAg (<1.000 UI/ml) correlino con lo stato di infezione inattiva e che la misura combinata, in singolo punto, di HBV DNA e HBsAg, utilizzando un cut-off di 2.000 UI/ml per l’HBV DNA e 1.000 UI/ml per l’HBsAg, identifichi il portatore inattivo con un’accuratezza diagnostica del 94.3% (sens. 91.1%, spec. 95.4%, PPV 87.9%, PPN 96.7%) (7). Tali dati sono stati recentemente confermati in casistiche orientali di portatori infettati da genotipo B e C (8). HBsAg come predittore di risposta alla terapia Nel caso del trattamento antivirale, la principale criticità del monitoraggio è la mancanza di un marcatore che indichi l’avvenuto raggiungimento del controllo immune dell’infezione: infatti, l’assenza di viremia dosabile al termine di un trattamento con interferone o la persistenza di viremia non dosabile dopo anni di continua ed efficace soppressione antivirale non garantisce la persistenza di risposta Tabella 1. Correlazione tra marcatori e stato dell’infezione Marcatori virali Categorie diagnostiche Anti-HBs Anti-HBc HBsAg HBV DNA, HBeAg IgM anti-HBc Immunità Esposizione Infezione Replicazione Malattia Riferimenti bibliografici: 1. European Association for the Sudy of the Liver. EASL Clinical Practice Guidelines: management of chronic hepatitis B. J Hepatol 2012; 57:167-185. 2. Brunetto MR, Oliveri F, Coco B, et al. 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HBsAg e HBV DNA: marcatori chiave per la diagnosi dopo la sospensione del trattamento, come die il monitoraggio dell’infezione cronica da HBV mostrato dall’alta percentuale di recidive (1). Quindi, se l’HBV DNA è un marcatore indiHBV HBsAg La presenza di HBsAg nel siero da più di 6 mesi spensabile per dimostrare l’efficacia antivirale definisce l’infezione della terapia, purtroppo poco ci dice sul ragcronica da HBV giungimento di quel controllo immune che gaHBsAg = marcatore di HBV DNA = marcatore di rantisce dalla ripresa di florida replicazione risposta immunologica replicazione virale virale e danno epatico. cccDNA Replicazione virale L’unico evento consistentemente associato al trascrizionalmente attivo a livello delle controllo dell’infezione è la perdita dell’HBcellule infette sAg, ma tale evento è usualmente tardivo e avBrunetto MR, J Hepatol 2010 viene solo in una parte dei soggetti con risposta sostenuta (1). La possibilità di quananche per identificare i responder al trattamento (10). tizzare l’HBsAg ha portato a valutarne l’utilizzo come preIn conclusione, l’uso combinato della misura quantitativa dittore di risposta alla terapia: il monitoraggio della cinetica della viremia e di HBsAg permette di ottenere informazioni di viremia e HBsAg permette di identificare precocemente i complementari sullo stato dell’infezione, garantendo una pazienti con epatite cronica HBeAg negativa non responpiù appropriata gestione del portatore di infezione da HBV sivi a Peg-interferone (stabilità dei livelli di HBsAg e man(figura 1). cata caduta di 2 log della viremia a 12 settimane) (9). Inoltre, la riduzione dei livelli di HBsAg di almeno 2 log o Maurizia Rossana Brunetto al di sotto di 10 UI/ml al termine di 48 settimane di terapia UO Epatologia, Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi e sono risultati l’unico marcatore virale indipendentemente il trattamento delle epatopatie croniche e del tumore di fegato, correlato con la perdita dell’HBsAg nei 3 anni successivi al Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa termine del trattamento, suggerendo il possibile utilizzo 25 congress report VIRUS EPATITICI highlights Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI 26 Percorsi ragionati Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Diagnostica virologica dell’epatite C La recente approvazione di farmaci antivirali diretti (DAA) contro il virus dell’epatite C (HCV) ha segnato l’ingresso in una nuova era per la terapia dell’epatite cronica da HCV e l’integrazione della diagnostica virologica con la clinica diventa fondamentale per garantire il monitoraggio dell’efficacia dei nuovi farmaci e della farmacoresistenza. Test molecolari in real-time PCR per HCV RNA Sensibilità, riproducibilità e range dinamico dei test per HCV RNA sono determinanti per predire le probabilità del paziente di risposta sostenuta (SVR) agli end point intermedi a 4 settimane (risposta rapida, RVR) e a 12 (risposta precoce, EVR) e operare strategie terapeutiche appropriate (1, 2). La misura dell’HCV RNA nel siero è standardizzata in Unità Internazionali (UI) per ml, che superano la precedente misurazione in copie/ml. Vale il fattore di conversione: 1 UI/ml = 2,4 copie/ml. I test quantitativi per HCV RNA sono basati sulla reazione di real-time PCR con ampio range dinamico, da 10 UI/ml fino a 108 UI/ml e sono costituiti da piattaforme strumentali, in cui tutte le fasi del processo sono automatizzate, dall’estrazione dell’RNA al risultato fi- Figura 1. Real-time PCR disponibili in commercio per HCV RNA Abbott Artus HCV Versant Roche Real-time HCV QiAsymphony HCV RNA CAP/CTM 2.0 m2000SP/RT Rotor-Gene Q 1.0 kPCR EVR 8 highlights 6 Real-time PCR Log UI/ml congress report 7 5 4 3 LLOQ UI/ml 2 LOD UI/ml 1 0 Target non rilevato LOD: Limite di rilevabilità LLOQ: Limite inferiore di quantizzazione [Diagnostica virologica dell’epatite C. V. Ghisetti] RVR e SVR nale. La regione amplificata è la 5’NC e il disegno dei primer garantisce la massima inclusività dei genotipi virali, con superamento, nell’ultima generazione di test, di criticità registrate in precedenza (3). Le Linee Guida indicano che per il monitoraggio di HCV RNA devono essere utilizzati metodi con limite di rilevabilità di 10-15 UI/ml e limite inferiore di quantizzazione (LLOQ) di 25 UI/ml, che esprime il limite inferiore di linearità del range dinamico (figura 1 e tabella 1) (4, 5, 6). La sensibilità analitica dei test contemporanei è molto spinta e raggiunge poche unità internazionali per millilitro (tabella 1). Nell’interpretazione dei risultati è importante distinguere tra veri negativi (sul referto “undetectable” o “negativo”) e risultati espressi come ”inferiore a …UI/ml”; in questi ultimi campioni si rileva un segnale specifico (detectable) ma non quantificabile perché la concentrazione risulta essere al di sotto del limite inferiore di quantizzazione (LLOQ, lower limit of quantification), il cui valore cambia in base al produttore del test. Come si può osservare nella figura 2, un campione che risulta “<15 UI/ml” non è un campione negativo, soltanto non può essere quantificato in modo accurato (non compreso nell’intervallo di linearità di misurazione del test) o il suo segnale non supera il valore soglia di riferimento (threshold), riflettendo la presenza di tracce di virus in circolo. Nei trial di fase 3 per gli antivirali ad azione diretta, i pazienti che agli end point intermedi avevano valori di HCV RNA inferiori al LLOQ, quindi non negativi, presentavano un tasso di SVR significativamente più basso rispetto ai pazienti il cui risultato di HCV RNA era non rilevabile (7). “L’integrazione della diagnostica virologica con la clinica diventa fondamentale per garantire il monitoraggio dell’efficacia dei nuovi farmaci” VIRUS EPATITICI VERSANT HCV RNA 1.0 (kPCR) Volume di plasma richiesto Range dinamico (UI/ml) Roche Molecular System Cobas Ampliprep Cobas Taqman 48/96 650 ul 15 – 1x108 11 Abbott Molecular m2000SP m200 0RT 200 ul 500 ul 30 – 1x108 12 – 1x108 23,8 10,5 Qiagen QIAsymphony Rotor-Gene Q 500 ul 25 – 1,7x107 21 Siemens Healthcare Diagnostics VERSANT kPCR Molecular System SP Module VERSANT kPCR Molecular System AD Module Sensibilità LOD (UI/ml)* plasma 8 500 ul 15 – 1x10 7,5 *Lower limit of detection come da analisi probit, limiti di confidenza al 95% “Nell’interpretazione dei risultati è importante distinguere tra veri negativi e risultati espressi come rilevabili e non quantificabili” Test molecolari per il genotipo di HCV Test immunometrici per l’antigene del core L’antigene di HCV (proteina del core) compare nel siero precocemente durante la sieroconversione, quindi la sua ricerca può aumentare la sensibilità dei test anticorpali riducendo il periodo finestra. Tuttavia, il confronto con HCV RNA dimostra un evidente limite [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Norm. Fluoro. di sensibilità nel suddetto periodo, che corrisponde alla Il metodo di riferimento è il sequenziamento diretto di represenza di circa 500-3000 UI/ml di HCV RNA e varia gioni variabili (NS5B o E1). in rapporto al genotipo di HCV. Esistono sistemi commerciali che sequenziano la regione La ricerca di HCV RNA rimane oggi il test più sensibile altamente conservata 5’NC (Trugene® 5’NC HCV Genoe l’unico test su cui modulare la scelta di terapie con typing Kit, Bayer) e altri che non usano il sequenzial’obiettivo di ottenere eradicazione dell’infezione, come mento, ma sono basati sull’amplificazione associata di ribadito recentemente (8). 5’NC e Core per migliorare la discriminazione tra sottotipo 1a e Figura 2. Real-time PCR. Profilo di amplificazione per HCV RNA 1b, con rivelazione mediante di campioni a diversa viremia sonde genotipo e sottotipo-specifiche (INNO-LiPA HCV II, Innogenetics), e altri metodi di real-time PCR 10-0.5 multiplexing (Real-time HCV Ge1.322 UI/ml notype II, Abbott Molecular). -1 10 Threshold < 15 UI/ml 10-1,5 Percorsi ragionati HIV Artus HCV QS-RGQ Sistema di amplificazione Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Real Time HCV Sistema automatico di estrazione acidi nucleici < 15 UI/ml 10-2 negativo 10-2,5 5 10 15 20 25 30 35 40 congress report CAP/CTM HCV 2.0 Ditta di produzione 45 Ciclo I risultati <15 UI/ml, cioè sotto la soglia di quantificazione (threshold), vengono riportati come rilevabili ma sotto il limite di quantificazione: lower limit of quantification, (LLQR); negativo = non rilevabile highlights Piattaforma strumentale Nuove terapie per l’epatite cronica C Tabella 1. Caratteristiche dei sistemi commerciali per la quantizzazione di HCV RNA mediante real-time PCR editoriale 27 Interazioni farmacologiche Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Test molecolari per la farmacoresistenza La farmacoresistenza di HCV rappresenta un importante fattore limitante l’efficacia dei nuovi antivirali ad azione diretta (9, 10). Esiste un diverso pattern mutazionale per i sottotipi 1a e 1b, dovuto ad una barriera genetica meno robusta nell’1a. Nei pazienti naive l’influenza di mutazioni farmacoresistenti sulla SVR (3-7% dei pazienti) è controversa (9). Non sono disponibili test commerciali e lo studio della farmacoresistenza di HCV viene eseguito in laboratori specialistici che si avvalgono, sul modello di HIV, di test genotipici basati sul sequenziamento diretto di regioni target degli antivirali ad azione diretta, a partire dal plasma dei pazienti. Il sequenziamento diretto o “population-based” identifica la sequenza virale maggioritaria nell’ambito della quasispecies, non riuscendo a discriminare varianti se inferiori al 10 -15% o nel caso di viremie < 1000 UI/ml. Le mutazioni di NS3 più frequentemente associate a re- Percorsi ragionati “La farmacoresistenza di HCV rappresenta un importante fattore limitante l’efficacia dei nuovi antivirali ad azione diretta” sistenza sono R155K, A156S/T/V, V36M e T54A/S. Le varianti resistenti si distinguono in quelle per cui l’aumento della concentrazione di farmaco per essere efficace è di 5-20 volte rispetto al wild type (resistenza bassa/moderata: V36M, T54A/S, V55A, R155K, A156S e V170A) e altre per cui l’aumento richiesto è elevato (> 50 volte: A156T/V e R155K + V36M) (10, 11). Valeria Ghisetti Laboratorio di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Malattie Infettive, Ospedale Amedeo di Savoia, Torino highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 28 Riferimenti bibliografici: 1. EASL Clinical Practice Guidelines: Management of hepatitis C virus infection. J Hepatol 2011; 55.245-264. 2. Adda N, Bartels DJ, Gritz L, et al. Futility rules for telaprevir combination treatment for patients with hepatitis C virus infection. Clin Gastroenterol Hepatol 2012; 11:193-563-5. 3. Vermehren J, Colucci G, Gohl P, et al. Development of a second version of the Cobas AmpliPrep/Cobas TaqMan hepatitis C virus quantitative test with improved genotype inclusivity. J Clin Microbiol 2011; 49:3309-15. 4. Naggie S. Management of hepatitis C virus infection: the basics. Topics in Antiviral Medicine 2012; 20:154-61. 5. Mangia A, Antonucci F, Brunetto M, et al. 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La determinazione quantitativa e seriale dell’HDV RNA è riconosciuta utile per monitorare la risposta al trattamento antivirale ed adeguare la durata della terapia (7). Sono noti 8 genotipi dell’HDV, con divergenza della sequenza genica fino al 40%. Il genotipo 1, prevalente, si associa a malattia evolutiva ed a minore risposta al trattamento con interferone (8). La caratterizzazione genotipica è eseguita con metodica RFLP (restriction fragment lenght polymorphism) o sequenza diretta. Interazioni farmacologiche La determinazione dell’HDV RNA congress report Figura 1. Virus dell’epatite Delta Alti valori di transaminasi, invece, seguono il picco viremico e si associano alla comparsa di anticorpi anti HDAg di classe IgM ed IgG. In oltre il 90% dei casi la superinfezione da HDV evolve in malattia epatica cronica (3). Lo sviluppo di anticorpi anti-HDV è universale e l’indicazione a ricercarli esiste in tutti gli individui HBsAg positivi (4); gli anti-HD di classe IgG persistono a lungo termine, anche dopo la clearance dell’infezione da HDV. Gli anticorpi di classe IgM caratterizzano la fase acuta dell’infezione, sono negativi nella forma pregressa e persistono in pazienti con epatite cronica; sono spesso usati come marker surrogati di replica virale ma non sono sensibili e specifici al 100%. Il loro significato può essere rilevante nella malattia delta con viremia negativa, nell’ipotesi che l’HDV RNA risulti falsamente negativo, per la variabilità genomica (5). Recenti controlli dimostrano l’affidabilità dei metodi di determinazione anticorpale. highlights Il virus dell’epatite Delta (HDV) è un virus difettivo costituito da un genoma circolare ad RNA e dall’antigene delta, singola proteina strutturale presente in due isoforme (figura 1). Il nucleocapside è rivestito dall’antigene di superficie (HBsAg) fornito dall’HBV, essenziale alla trasmissione dell’infezione delta (1). La diagnostica, che è basata sulla ricerca degli anticorpi diretti contro l’antigene delta (anti-HD) e dell’HDV RNA nel siero, coinvolge necessariamente l’infezione da HBV. Nella forma simultanea o coinfezione (tabella 1), l’epatite acuta è indotta da entrambi i virus (2), ed è mono o bifasica. La viremia HDV segue la comparsa dell’HBsAg e dell’HDAg nel siero, mentre si verifica il picco delle transaminasi. Successivamente si osserva l’incremento degli anticorpi anti-HD di classe IgM, la cui progressiva scomparsa concomita con lo sviluppo di anti-HD IgG. L’infezione acuta da HBV è dimostrata dalle IgM anti-HBc positive e dall’HBV DNA nel siero. La coinfezione di solito è autolimitante ed esita nella clearance di entrambi i virus. Nella sovrainfezione (tabella 1), il virus difettivo infetta un portatore cronico di HBsAg, e trova quindi il background per una rapida espressione. Lo stato di portatore di HBsAg agisce come un magnete che cattura ed attiva quantità infinitesimali del virus. Nel modello animale l’infezione è stata trasmessa a scimpanzé HBsAg-positivi con siero diluito 10-11 (3). La diagnosi è suggerita da un titolo basso o negativo di IgM anti-HBc e da un HBV DNA negativo; elevati livelli di viremia HDV ed HDAg sono presenti nel siero e nel fegato. editoriale Diagnostica virologica dell’epatite D highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 30 VIRUS EPATITICI “Il dosaggio ematico dell’HDV RNA è in gran parte basato su tecniche di amplificazione di acidi nucleici non standardizzate e pertanto non confrontabili” Percorsi ragionati Tabella 1. Marcatori sierologici nella diagnosi di epatite Delta Coinfezione Anti-HDV IgM + + Anti-HDV IgG + + HDVAg + + HDV RNA + + HBsAg + Problemi aperti Il dosaggio ematico dell’HDV RNA è in gran parte basato su tecniche di amplificazione di acidi nucleici (NAT assays). Tali test sono spesso home-made, non standardizzati e pertanto non confrontabili. Sono in atto progetti cooperativi internazionali per definire uno standard internazionale di misurazione. Il significato dell’HBsAg quantitativo in corso di infezione delta rimane controverso. Studi cross-sectional segnalano la correlazione tra livelli di HBsAg e replica virale (6) mentre studi longitudinali dimostrano la fluttuazione, non sempre parallela, dell’HBsAg e dell’HDV RNA (9). Il decremento sierico di HBsAg può avere significato prognostico positivo fino a definire la clearance dell’HDV (10). Sovrainfezione HDV marker HBV marker Anti-HBc IgM + + ± /– + (> 20.000 UI/ml) ± (< 2.000 UI/ml) /– HBeAg + – anti-HBe – + HBV DNA Grazia Anna Niro1, Antonella Olivero2, 3 IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, Divisione di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, San Giovanni Rotondo1, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino2 e SCDU Gastroepatologia, AO Città della Salute e della Scienza di Torino3 Riferimenti bibliografici: 1. Rizzetto M. Hepatitis D: thirty years after. J Hepatol 2009; 50(5):1043-1050. 2. Farci P. Delta hepatitis: an update. J Hepatol 2003; 39(suppl 1):S212-S219. 3. Rizzetto M, Smedile A. Hepatitis D. In: Schiff ER, Sorrell M, Maddrey W, eds. Diseases of the Liver. Philadelphia, PA: Lippincott, Williams and Wilkins; 2002: 863-875. 4. Olivero A, Smedile A. Hepatitis Delta Virus Diagnosis. Semin Liv Dis 2012; 32:220-227. 5. Hughes SA, Wedemeyer H, Harrison PM. Hepatitis Delta Virus. Lancet 2011; 378:73-85. 6. Zachou K, Yurdaydin C, Drebber U, et al. 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J Viral Hepatitis 2009; 16:36-44 Interazioni farmacologiche Le recenti metaanalisi sulla performance dell’elastografia hanno evidenziato quale cutoff ottimale per la diagnosi di fibrosi significativa quello di 7.6 kPa, mentre per la diagnosi di cirrosi il cut-off suggerito è di 13 kPa. Tuttavia bisogna sottolineare che la metodica è più adatta per escludere la diagnosi di cirrosi piuttosto che per predirla (2). In ogni caso, una volta posta la diagnosi di cirrosi, la liver stiffness (LSM) aumenta con il peggiorare della malattia (3-4). Infatti cut-off di 27 e 37.5 kPa rispettivamente hanno un valore predittivo negativo del 90% per la presenza di varici esofagee a rischio di sanguinamento e di cirrosi avanzata (Child B/C). Inoltre esiste una buona correlazione fra i valori di liver stiffness e quelli di HVPG (5). Tuttavia la LSM non può predire in modo confidente la presenza di varici esofagee nella pratica clinica e, quindi, non può permetterci di ridurre il numero di esami endoscopici necessari per lo screening del paziente cirrotico. Il FibroScan appare senza dubbio utile per testare la severità della recidiva epatitica dopo trapianto. Infine l’elastografia può rivelarsi utile per valutare la regressione della fibrosi nel paziente che ha ottenuto la risposta sostenuta e per monitorare la progressione del danno nel paziente non trattato (6-7). NALT FibroScan e HBV Nell’epatite da HBV la performance dell’elastometria è maggiormente inficiata dalla flogosi e per questo diventa importante tener conto del valore delle transaminasi per capire in quale stadio di fibrosi collocare il nostro paziente (8-9). L’unica eccezione a questa regola è il paziente che abbia una liver stiffness < 5 KPa in cui siamo certi di non avere fibrosi, qualunque sia il valore delle ALT. Pertanto per chi intenda utilizzare l’elastometria per l’iniziale determinazione della fibrosi si può proporre un algoritmo (8) che prediliga la sensibilità congress report FibroScan e HCV Figura 1. Approccio clinico alla liver stiffness nel paziente con epatite B e transaminasi normali highlights La fibrosi epatica è l’indice più attendibile di progressione del danno epatico. L’elastografia misura la rigidità del fegato su un volume più ampio di un campione bioptico standard e pertanto la sua valutazione risulta la più rappresentativa dell’intera massa epatica (1). Il FibroScan, inoltre, offre la possibilità di un monitoraggio longitudinale della malattia epatica. La quantificazione della fibrosi rappresenta un punto-chiave per stabilire la prognosi del paziente e per indicare la necessità della terapia. Due sono gli end-point clinicamente rilevanti: la fibrosi significativa e il riscontro di cirrosi che, se presente, deve indurre allo screening per varici esofagee e per epatocarcinoma. Numerose pubblicazioni hanno confermato l’interesse verso i test non invasivi e per questo si avverte la necessità di linee guida per la corretta interpretazione dei dati che l’elastografia fornisce nei vari ambiti dell’epatologia (2). editoriale L’elastografia epatica highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 32 VIRUS EPATITICI per escludere la fibrosi a ponte (BF, bridging fibrosis), e la specificità per porre la diagnosi di bridging fibrosis e di cirrosi. Esiste tuttavia una zona grigia in cui è davvero necessaria la biopsia epatica. Tale zona grigia nei NALT (figura 1) si pone tra 6-9 KPa, mentre si colloca tra 7.5-12 KPa in presenza di ALT al di sopra della norma (figura 2). FibroScan nelle altre epatopatie Nella malattia alcol-correlata, la steatoepatite coesistente incrementa marcatamente la LSM indipendentemente dallo stadio di fibrosi, per questo è necessario posporre la diagnosi di cirrosi solo dopo astinenza da alcol con conseguente riduzione degli indici di citolisi. Nella steatoepatite non alcolica, l’elastografia può divenire un test di screening per escludere la fibrosi avanzata. Difatti cutoff di 8.7 e 10.3 KPa permettono di escludere rispettivamente la fibrosi severa e la cirrosi in più del 90% dei casi. Appare allora ragionevole considerare la biopsia epatica solo nella zona grigia individuata da valori di liver stiffness compresi fra 8 e 10 kPa. Peraltro in questo contesto, la lieve necroinfiammazione non ha un forte impatto sulla stiffness. Nelle malattie colestatiche croniche come la colangite sclerosante e la cirrosi biliare primitiva l’eterogeneità della popolazione studiata condiziona la scelta di cut-off ottimali che in ogni caso appaiono più elevati almeno nella definizione della fibrosi severa (10). Percorsi ragionati Conclusioni L’elastometria è davvero utile nell’ambito di un sistema diagnostico integrato che non escluda la biopsia epatica. Soprattutto nei pazienti con elevato BMI e nei soggetti con fibrosi severa può sussistere una discordanza significativa fra operatori diversi (11). Inoltre l’infiammazione epatica, quando è acuta e severa, può indurre a sovrastimare lo stadio di fibrosi così come accade in corso di “flare” epatitico da HBV o quando si ha la recidiva epatitica da HCV dopo trapianto. Quando, invece, la flogosi è di lieve entità, come accade nell’epatite cronica da HCV o nella steatoepatite, l’impatto dell’infiammazione sul valore predittivo dell’elastometria è meno rilevante. Queste evidenze sottolineano come in alcuni casi sia più ragionevole integrare i mezzi a nostra disposizione piuttosto che affidarsi ad una singola metodica. Il dato elastografico necessita di essere interpretato nel contesto del singolo paziente valutando eventuali fattori interferenti, perché non sempre la stiffness corrisponde solo alla fibrosi che vogliamo definire. Cosimo Colletta COQ, Divisione di Medicina Interna, Ospedale “Madonna del Popolo”, Omegna Riferimenti bibliografici: 1. Trifan A, Stanciu A. Checkmate to liver biopsy in chronic hepatitis C? World J Gastroenterol 2012; 18:5514-5520. 2. Castera L. Non-invasive assessment of liver fibrosis in chronic hepatitis C. Hepatol Int 2011; 5:625-634. 3. Colletta C, Smirne C, Marini C, et al. Liver biopsy and noninvasive alternatives in relationship to the duration of antiviral treatment for hepatitis C. J Clin Gastroenterol 2008; 42:219-20. 4. Colletta C, Smirne C, Fabris C, et al. 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La diagnosi di epatite cronica B è dovuta alla persistenza dell’HBsAg nel siero per più di 6 mesi. Grazie ai test sierologici e molecolari, la biopsia epatica non è più necessaria per distinguere tra portatore inattivo e attivo e tra epatite acuta e cronica. Tuttavia, nelle Linee Guida Internazionali, è spesso raccomandata per stabilire il grado di necro-infiammazione e lo stadio della fibrosi per le implicazioni prognostiche per decidere l’inizio del trattamento. L’istologia è particolarmente utile per valutare il danno epatico microscopico nell’individuo con valori di ALT persistentemente normali o pressoché normali, motivando la necessità di un trattamento più precoce. La biopsia si rende necessaria per discriminare i motivi del danno epatico, se si sospettano cause diverse dalla principale dovuta al virus, come nella steatosi. Nonostante l’infezione da HBV sembri associata a una bassa prevalenza di steatosi, ipertrigliceridemia e sindrome metabolica, uno studio cross-sectional su larga scala ha chiaramente dimostrato che la sindrome metabolica è indipendentemente associata alla cirrosi nell’epatite cronica B. I marker non invasivi si sono dimostrati strumenti accurati per confermare o escludere la cirrosi. Non sono però in grado di discriminare gli stadi più lievi e intermedi della fibrosi e non hanno avuto quindi validazione definitiva nell’epatite cronica B. L’elastografia è la procedura non invasiva più utilizzata, ma il cut-off ottimale di stiffness epatica varia tra gli studi e, nel singolo paziente, può fornire risultati confondenti in presenza di infiammazione severa e livelli elevati di transaminasi. La cirrosi è un noto fattore di rischio per epatocarcinoma (HCC), anche se nei pazienti con epatite cronica B può svilupparsi in assenza di fibrosi avanzata. Lo screening clinico per l’HCC utilizza tecniche di imaging non invasive; il ruolo della biopsia consiste nell’identificare i pazienti a rischio, come quelli con displasia epatica, e nel distinguere i noduli displastici dall’HCC ben differenziato, quando fallisce la radiologia. L’evoluzione del trattamento dell’epatite cronica B è notevole. Nonostante le difficoltà di eradicare il virus per la persistenza di cccDNA e di HBV DNA integrati nel genoma dell’ospite, la soppressione della replicazione virale, raggiunta con il trattamento antivirale, ha dimostrato di ridurre il rischio di progressione dell’epatopatia anche allo stadio di fibrosi avanzata/cirrosi. Più di recente, il trattamento a lungo termine con analoghi nucleos(t)idici ha evidenziato che la persistente soppressione della replicazione virale non solo rallenta la progressione, ma induce la regressione della fibrosi negli stadi avanzati di malattia. La valutazione della regressione della fibrosi è probabilmente destinata a diventare un requisito clinico nel prossimo futuro. Un problema specifico che sta emergendo riguarda il sistema di punteggio in uso che, proposto e validato quando l’irreversibilità della fibrosi/cirrosi era ancora dogma, non include parametri correlati alla regressione della fibrosi. Wanless e coll. hanno descritto le modificazioni istologiche “qualitative” correlate alla regressione e al remodelling della fibrosi, definendole come “complesso di rigenerazione epatica”. L’integrazione di aspetti qualitativi nei tradizionali si- congress report Epatite cronica B “Nell’epatite cronica B, la biopsia resta il riferimento per valutare attività e fibrosi, definire le cause del danno epatico e i segni precursori di HCC” highlights I maggiori progressi raggiunti nella comprensione dell’anatomia, patofisiologia e patologia epatica sono essenzialmente dovuti all’uso allargato della biopsia. Malgrado l’invasività, il rischio di gravi complicanze è basso (1/4000-10.000) e dipende dalle condizioni del paziente, dalla tecnica, dal tipo di ago utilizzato e dal numero di passaggi; è richiesta una formazione specifica per assicurare il campionamento di frustoli di dimensione adeguata e minimi tassi di complicanze. Le indicazioni alla biopsia epatica sono cambiate in seguito ai progressi delle tecniche di imaging e di laboratorio. Rispetto alle epatiti virali, per il patologo si è trattato essenzialmente di modificare prospettiva, passando dalla diagnosi della malattia alla prognosi del paziente. Negli ultimi 20 anni, la biopsia epatica è stata eseguita per ricavare informazioni prognostiche valide ai fini delle implicazioni terapeutiche sul danno epatico. Ad esempio, l’introduzione e l’impiego diffuso dei sistemi per la valutazione del grado di attività della malattia e di stadiazione della fibrosi hanno rappresentato una rivoluzione perché hanno consentito una maggiore obiettività di interpretazione e confronto tra campioni. La necessità di rivalutare il suo ruolo è giustificata dai progressi terapeutici e dallo sviluppo di test non invasivi per la stadiazione della fibrosi. editoriale La biopsia epatica nelle epatiti virali croniche highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 34 VIRUS EPATITICI stemi di stadiazione epatica potrà aumentare la capacità di individuare e valutare correttamente la regressione della deposizione di tessuto connettivo, nuova sfida per il patologo. Epatite cronica C Come qualsiasi altra malattia epatica, la fibrosi e la cirrosi sono le principali cause di morbilità e mortalità nei pazienti con epatite cronica C. La diagnosi di infezione cronica da HCV si fonda sulla presenza degli anticorpi anti-HCV, rilevati dai test immunoenzimatici, e dell’HCV RNA, rilevato dai test molecolari. La biopsia non riveste ruolo diagnostico nell’epatite cronica C. Indipendentemente dall’andamento delle ALT, lo stadio di fibrosi epatica (staging) è invece un importante indicatore prognostico così come la gravità dell’epatopatia (grading); la valutazione di entrambi è raccomandata prima della terapia. L’identificazione dei pazienti con cirrosi è fondamentale, poiché l’approccio terapeutico e la prognosi post-trattamento sono diversi da quelli dei soggetti non cirrotici, così come la sorveglianza per l’individuazione precoce dell’HCC. Secondo le attuali Linee Guida, la biopsia epatica è ancora il metodo di riferimento, ma sono utilizzati anche i metodi non invasivi, ampiamente valutati nelle coorti di pazienti con epatite cronica C. Al momento nessun test o metodo è in grado di fornire le stesse informazioni della biopsia epatica, anche se la combinazione di due o più metodi non invasivi può essere sufficiente per differenziare la fibrosi minima e avanzata (le due estremità dello spettro della fibrosi) nella maggior parte dei casi. A livello mondiale, il numero di biopsie è significativa- Percorsi ragionati “Nella maggior parte dei casi di epatite cronica C, la biopsia è destinata a essere sostituita dai metodi non invasivi per la stadiazione della fibrosi” mente diminuito poiché l’uso dell’elastografia per stadiare la fibrosi nell’epatite cronica C si è rapidamente diffuso in molti paesi e per l’elevato tasso di risposta virologica sostenuta raggiunto con la terapia con Peg-IFN e RBV soprattutto nei genotipi 2 e 3. In questo ambito, la necessità di un’accurata stadiazione della fibrosi prima della terapia è probabilmente destinata a subire un’ulteriore riduzione, data la recente disponibilità della triplice terapia con gli inibitori della proteasi di HCV e dei nuovi farmaci ad azione diretta all’orizzonte, che promettono tassi di eradicazione che si avvicinano al 75% e al 100% rispettivamente. Tuttavia, la valutazione delle comorbidità, in particolare della malattia epatica metabolica con steatosi o steatoepatite, resta una forte indicazione all’uso della biopsia nell’epatite cronica C. Maria Guido Unità di Anatomia Patologica, Dipartimento di Medicina - DIME, Università di Padova Massimo Roncalli Unità di Patologia, Istituto Clinico Humanitas, Rozzano, Università di Milano Riferimenti bibliografici: 1. Lawitz E, Mangia A, Wyles D, et al. Sofosbuvir for previously untreated chronic hepatitis C infection. N Engl J Med 2013; 16; 368(20):1878-8. 2. European Association for the Study of the Liver. EASL Clinical Practice Guidelines: Management of chronic hepatitis B virus infection. J Hepatol 2012; 57:167-185. 3. 2011 European Association of the Study of the Liver. Hepatitis C virus clinical practice guidelines. Liver Int 2012; 32 Suppl 1:2-8. 4. Ellis EL, Mann DA. Clinical evidence for the regression of liver fibrosis. J Hepatol 2012; 56:1171-1180. 5. 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Hepatology 2009; 49(6):1821-7. [La biopsia epatica nelle epatiti virali croniche. M. Guido, M. Roncalli] Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI 35 La tabella 1 elenca sinteticamente i principali marcatori sierologici di fibrosi epatica descritti negli ultimi 10 anni in letteratura. Si tratta di marcatori diretti o indiretti che sono stati descritti, e in parte validati, per le diverse forme eziologiche di epatopatia cronica: molti per l’epatite cronica da virus C, alcuni anche per le epatiti croniche da HBV ed altri anche per le [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Componenti FIBROTEST alfa2macroglobulina, gammaGT, bilirubina, apolipoproteina A1, aptoglobina, età, sesso Piastrine, gammaGT, colesterolo, età HCV, HBV HCV HCV, HBV NAFLD/NASH HCV HCV Indice LOK FIBROINDEX FIB-4 SCORE HUI AST/piastrine Ialuronato, MMP-3 TIMP-1, età AST, HOMA, colesterolo, età, alcol Bilirubina, gammaGT, alfa2macroglobulina, ialuronato, età, sesso Piastrine, PT, AST, urea, ialuronato, alfa2macroglobulina, età Piastrine, AST/ALT, INR Piastrine/AST/gammaglobuline AST, ALT, piastrine, età BMI, bilirubina, albumina piastrine SCORE ZENG Ialuronato, gammaGT, alfa2macroglobulina, età HCV HCV HCV HCV HBV HBV “Il Fibrotest è il metodo più affidabile per la stadiazione non invasiva di fibrosi e può essere utile in ambito prognostico e di valutazione e monitoraggio della risposta terapeutica” epatopatie croniche metaboliche (steatosi e steatoepatite) (1-3). I marcatori diretti misurano il turnover della matrice extracellulare, mentre i marcatori indiretti, molto più utilizzati nella pratica clinica, sono in realtà indici di funzione epatica o parametri che correlano con lo stadio della malattia. Alcuni sono estremamente semplici e tradizionalmente noti al clinico come significativi di progressione, esempio su tutti è l’indice APRI, che si basa su AST e piastrine. Altri sono più sofisticati e complessi ed includono parametri meno utilizzati nella pratica clinica. Tra questi ultimi, il più validato ed utilizzato è il Fibrotest, che ha il vantaggio di essere ben standardizzabile con elevata riproducibilità, e di essere stato validato anche per un monitoraggio nel tempo dell’evoluzione della malattia cronica di fegato, su end-point clinici, sia in pazienti non trattati, che in corso di te- Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI FIBROMETER Nuove terapie per l’epatite cronica C APRI ELF FPI HEPASCORE Interazioni farmacologiche Indice di Forns Eziologia di riferimento Percorsi ragionati HIV Test congress report Marcatori sierologici di fibrosi epatica Tabella 1. Test sierologici disponibili per la valutazione della fibrosi epatica highlights La prognosi e gestione clinica dei pazienti con epatopatia cronica compensata dipendono in larga parte dal grado e dalla velocità di progressione della fibrosi epatica, è ciò è ben documentato nei pazienti con epatite cronica da HBV e da HCV, in cui la stadiazione della fibrosi epatica è elemento centrale nella decisione sull’inizio della terapia antivirale. Inoltre, una volta iniziata la terapia, a fianco dei parametri che ne definiscono l’efficacia antivirale è indispensabile valutare la risposta in termini di malattia epatica, ed anche in questo caso il comportamento della fibrosi epatica, se in ulteriore progressione, o stabilizzazione, regressione, descrive nel modo clinicamente più efficace il risultato ottenuto con la terapia. Tradizionalmente queste valutazioni sull’andamento della malattia epatica si sono basate sulla biopsia epatica, ottenendo informazioni molto utili per definire attività e stadio della malattia. Tuttavia, in considerazione dell’invasività del metodo, di alcuni limiti di interpretazione, come la poca praticabilità di protocolli che prevedano ripetute biopsie nel tempo, soprattutto nei pazienti con buona risposta virologica, molti studi sono stati rivolti negli ultimi 10 anni al tentativo di sviluppare e validare metodi alternativi, non invasivi, che permettano di ottenere una valutazione accurata della fibrosi epatica evitando la necessità di ricorrere sistematicamente alla biopsia. In quest’ambito sono state sviluppate due strategie: una basata su di un approccio “biochimico”, che ricorre alla quantificazione di biomarcatori sierici di fibrosi epatica, ed una seconda “fisico-strumentale” che sfrutta metodologie come la elastometria transiente, l’ecografia e la risonanza magnetica nucleare. Entrambi questi approcci sono stati validati nelle forme eziologiche più frequenti di epatopatia cronica ed alcuni sono risultati molto attendibili e certamente utilizzabili in sostituzione della biopsia, con anche la possibilità di combinarli per migliorarne ulteriormente l’accuratezza diagnostica. In questo articolo vengono descritti i marcatori sierologici più validati ed utilizzati nella pratica clinica per la stadiazione ed il monitoraggio della fibrosi epatica. editoriale I marcatori sierologici di fibrosi epatica highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 36 VIRUS EPATITICI rapia antivirale, soprattutto nell’infezione da HCV (4). Va peraltro ricordato che questi marcatori non sono strettamente fegato-specifici ed esistono situazioni che possono produrre falsi-positivi, ad esempio in presenza di emolisi, o di sindrome di Gilbert’s o di aumenti aspecifici di GGT per quanto riguarda il Fibrotest, o in presenza di riacutizzazione da malattia per APRI. Per ovviare a questi limiti, sono state sviluppate alcune strategie d’uso nella pratica clinica. La strategia più razionale, e condivisa dagli esperti e dalle raccomandazioni e Linee Guida (5-6) prevede di combinare due metodi non invasivi non correlati tra loro, accettando quindi il risultato, se coerente, e ricorrendo invece alla biopsia epatica in caso di evidente discrepanza. Classico esempio di questo approccio è la cosidetta SAFE biopsy, da noi proposta anni fa, (7) che si basa sulla combinazione di APRI e Fibrotest. Successivamente sono state proposte e validate altre combinazioni di marcatori non invasivi (tabella 2) che permettono di ridurre in modo significativo, seppur variabile, la necessità di ricorrere ad una biopsia epatica (8). Uso nella pratica clinica In Italia, l’uso dei marcatori sierici di fibrosi epatica non ha ancora preso piede nella pratica clinica come in altri Paesi, come ad esempio per il Fibrotest, riconosciuto parametro di riferimento dalle Autorità Sanitarie e rimborsato dal servizio sanitario nazionale in Francia, e registrato (come Fibrosure) negli Stati Uniti e accettato da FDA come “surrogato” della biopsia epatica nelle sperimentazioni cliniche su nuove terapie per HCV. La situazione Italiana riflette in parte la non rimborsabilità di Fibrotest, in parte la forte affezione di molti clinici per la Percorsi ragionati Tabella 2. Combinazioni di metodi non invasivi per la stadiazione della fibrosi epatica Algoritmo Test utilizzati Biopsie risparmiate (%) SAFE biopsy APRI + FIBROTEST 47 - 82% FIBROPACA FIBROTEST + APRI-FORNS 52 - 76% Algoritmo Leroy Algoritmo Bordeaux FIBROTEST + APRI 29% FIBROSCAN + FIBROTEST 72 - 79% biopsia epatica e soprattutto il fatto che nel nostro paese è stato adottato con maggior entusiasmo l’approccio con Fibroscan. Va sottolineato a tal proposito come anche i maggiori propugnatori dell’uso del Fibroscan, e le più autorevoli Linee Guida, concordino sul fatto che in molti casi nei quali l’accuratezza diagnostica della sola elastometria non può essere considerata ottimale, l’affiancamento di un test sierico è di grande utilità e dovrebbe essere sempre considerato (9). Il Fibrotest in particolare, indipendentemente dal fatto di essere stato proposto e validato da un ricercatore che oggi ne detiene le Royalties con evidenti conflitti di interesse, rappresenta il metodo più affidabile per una stadiazione non invasiva della fibrosi epatica, con interessanti applicazioni cliniche anche in ambito prognostico e di valutazione e monitoraggio della risposta alle terapie antivirali. Alfredo Alberti, Sara Piovesan Dipartimento di Medicina Molecolare e UOC di Medicina Generale, Azienda Ospedaliera-Università di Padova Riferimenti bibliografici: 1. Pinzani M, Vizzutti F, Arena U, et al. Technology insight: non invasive assessment of liver fibrosis by biochemical scores and elastography. Nat Clin Pract Gastroenterol Hepatol 2008; 5:95-106. 2. Manning DS, Afdhal NH. Diagnosis and quantitation of fibrosis. Gastroenterology 2008; 134:1670-1681. 3. Castera L. 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Non invasive methods to assess liver disease in patients with hepatitis B or C. Gastroenterology 2012; 142:1293-1302. [I marcatori sierologici di fibrosi epatica. A. Alberti, S. Piovesan] 37 Nuove terapie Il farmaco più promettente è sofosbuvir (GS-7977), analogo Nello studio FISSION, sono stati reclutati 499 pazienti nucleotidico inibitore della polimerasi NS5B del virus C, atnaive con genotipo 2 o 3 randomizzati a ricevere per 12 tivo contro diversi genotipi di HCV. Con una prassi finora insettimane 400 mg/die di sofosbuvir con ribavirina, senza solita, i risultati di sofosbuvir sono stati preannunciati nel interferone, oppure terapia di controllo con Peg-IFN e ri2013 in almeno tre lavori pubblicati in importanti riviste inbavirina per 24 settimane. Considerati i dati cumulativi ternazionali (1-3), che riportavano dati preliminari di fase 2. dei due genotipi in confronto al controllo, il trattamento I dati ora estesi e completati negli studi di fase 3 NEUTRINO con sofosbuvir non è stato di efficacia inferiore, pur ese FISSION, di recente pubblicazione, vengono qui analizsendo di minor durata e senza interferone (67% vs 67%). zati a compendio anche delle precedenti pubblicazioni (4). Tuttavia, una volta distinti i pazienti con genotipo 2 da Nello studio NEUTRINO sono stati arruolati 327 pazienti quelli con genotipo 3, l’SVR nei primi è stata del 97% e naive in gran parte con HCV genotipo 1 e 4 (98%), in midel 56% nei secondi (contro una risposta del 63% nei panima parte con genotipo 5 e 6. Sofosbuvir è stato somminizienti con genotipo 3 trattati con Peg-IFN e ribavirina). strato per 12 settimane, alla dose di 400 mg per os una volta La problematica del genotipo 3 è riemersa negli studi POal giorno insieme a Peg-IFN alfa2a e ribavirina in dose stanSITRON e FUSION (5). dard, rispetto al controllo storico calcolato sulla base dei tassi di SVR ottenuti con telaprevir e boceprevir (SVR 60%). Figura 1. Studio NEUTRINO: SVR12 con sofosbuvir + P/R secondo genotipo e livello di fibrosi I risultati sono eccellenti. Dopo 12 settimane dalla fine della terapia, la risposta 100 100 100 96 92 virale sostenuta (SVR 12) è stata del 89 90% e dell’80% nei cirrotici (figura 1). 80 [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] 60 40 20 60 40 GT1 27/28 GT4 7/7 GT5,6 n/N= 252/273 0 No cirrosi 43/54 Cirrosi Lawitz E, et al. EASL 2013. Abstract 1411 highlights 20 n/N= 261/292 0 congress report 80 SVR12 (%) “Uno dei farmaci più promettenti è sofosbuvir, analogo nucleotidico della NS5B di HCV, attivo contro genotipi virali diversi” SVR12 (%) 80 Percorsi ragionati HIV L’avvento degli antivirali ad azione diretta contro l’HCV (Direct Activity Antivirals - DAA) ha aperto una nuova era nella terapia dell'epatite cronica C e va suscitando gran fermento per l'esuberante sviluppo di molti nuovi farmaci. Sono in fase di avanzata valutazione clinica diverse strategie terapeutiche con DAA, che aumentano l’efficacia terapeutica e riducono sensibilmente gli effetti collaterali non solo nei confronti della terapia storica con Peg-IFN e ribavirina ma anche nei confronti dei primi due DAA licenziati per l'uso generale, telaprevir e boceprevir; la letteratura del 2013 già abbonda di abstract, press release e studi di fase 2 che riportano lo stato di avanzamento della ricerca per molti DAA. Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI A cura di Alessia Ciancio, Mario Rizzetto SCDU Gastroenterologia, AO Città della Salute e della Scienza di Torino Nuove terapie per l’epatite cronica C Gli studi di fase 3 con sofosbuvir editoriale per l’EPATITE CRONICA C Interazioni farmacologiche La nuova rubrica si propone di puntualizzare periodicamente il progresso nella terapia dell’epatite cronica C, limitando l’attenzione alle pubblicazioni nelle più importanti riviste internazionali, che riportano studi conclusivi di fase 3. Nuove terapie per l’epatite cronica C highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 38 “Sofosbuvir presenta molte caratteristiche per divenire farmaco di prima scelta nei naive con epatite cronica da HCV 1, 2 e 4” Tabella 1. Riassunto dei risultati degli studi con sofosbuvir Studio Popolazione n Regime Durata, sett. SVR12, % NEUTRINO(1) naive HCV1 naive HCV4 naive HCV5/6 292 28 7 SOF + P/R SOF + P/R SOF + P/R 12 12 12 89 96 100 naive HCV2 naive HCV3 experienced HCV2 experienced HCV3 experienced HCV2 experienced HCV3 IFN-UII HCV2 IFN-UII HCV3 70 183 36 64 32 63 109 98 SOF + RBV SOF + RBV SOF + RBV SOF + RBV SOF + RBV SOF + RBV SOF + RBV SOF + RBV 12 12 12 12 16 16 12 12 97 56 86 30 94 62 93 61 FISSION(2) FUSION(3) In POSITRON, 207 pazienti con genotipo 2 e 3 intolleranti all’interferone, POSITRON(4) sono stati trattati con sofosbuvir 400 mg al giorno e ribavirina per 12 settiIFN-UII= non eleggibili/intolleranti o non disposti ad assumere IFN mane; nello studio FUSION, 103 pa1. Lawitz E, et al. EASL 2013. Abstract 1411. 2. Gane E, et al. EASL 2013. Abstract 5. zienti con genotipo 2 e 3, che non 3. Nelson D, et al. EASL 2013. Abstract 6. 4. Jacobson IM, et al. EASL 2013. Abstract 61. avevano risposto a Peg-IFN e ribavirina, sono stati trattati con sofosbuvir 400 mg insieme a ribavirina per 12 o 16 settimane, che RNA è recidivato (dopo iniziale abbattimento totale con la teè stato valutato rispetto al tasso di SVR storico del 25%. rapia); in particolare, non è stata documentata la mutazione Sia in POSITRON che in FUSION la risposta del genotipo 2 S282T, l’unica capace di indurre resistenza a sofosbuvir; è stata eccellente (93%; 86% a 12 settimane - 94% a 16 set• la terapia richiede solo 12 settimane sia per i pazienti con timane) ma è stata decisamente inferiore nel genotipo 3: genotipo 1 e 4 che per quelli con HCV 2; in questi pazienti, 61% in POSITRON, 30% in FUSION dopo 12 settimane di è completamente orale, non richiedendo più dell’aggiunta di terapia e 62% dopo 16 settimane di terapia); nei cirrotici Peg-IFN. con genotipo 3 solo del 19% (tabella 1). Sofosbuvir è meno valido nell'epatite da genotipo 3. La sua Sofosbuvir presenta, dunque, molte caratteristiche per diefficacia a 12 settimane di terapia non è superiore rispetto venire il farmaco di prima scelta nei pazienti naive con alla cura standard con Peg-IFN + RBV data per 24 settiepatite cronica da HCV 1, HCV 2 e HCV 4: mane ed è limitata nei cirrotici HCV3, in cui si osserva un • il farmaco è molto efficace anche nei pazienti cirrotici, elevato tasso di relapser, quasi il 30%. Dunque sofosbuvir perlomeno in quelli con cirrosi ben compensata; è ben tolva riconsiderato nella terapia di questi pazienti, nei quali va lerato, i tassi di sospensione prematura sono stati del 2% verosimilmente somministrato per periodi più lunghi di 16 nei soggetti in triplice con Peg-IFN e ribavirina, e dell’1% settimane per migliorare la risposta. Rimane non risolto il in duplice terapia con la sola ribavirina; problema più importante per l’epatologo e il paziente, di • sofosbuvir non ha suscitato resistenza importante nei 102 recome curare l’epatite C nei soggetti con cirrosi avanzata e lapser cumulati dagli studi NEUTRINO e FISSION, in cui l’HCV in quelli che non hanno risposto a precedenti terapie. Riferimenti bibliografici: 1. Gane EJ, Stedman A, Hyland RH, et al. Nucleotide polymerase inhibitor sofosbuvir plus ribavirin for hepatitis C. N Engl J Med 2013; 368:34-44. 2. Kowdley KV, Lawitz E, Crespo I, et al. Sofosbuvir with pegylated interferon alfa-2a and ribavirin for treatment-naive patients with hepatitis C genotype-1 infection (ATOMIC): an open-label, randomised, multicentre phase 2 trial. Lancet 2013 March 14 (Epub ahead of print). 3. Lawitz E, Lalezari JP, Hassanein T, et al. Sofosbuvir in combination with peginterferon alfa-2a and ribavirin for non-cirrhotic, treatmentnaive patients with genotypes 1, 2, and 3 hepatitis C infection: a randomised, double-blind, phase 2 trial. Lancet Infect Dis. 2013 May; 13(5):401-8. Epub 2013 Mar 15. 4. Lawitz E, Mangia A, Wyles D, et al. Sofosbuvir for Previously Untreated Chronic Hepatitis C Infection. N Engl J. Med, April 23 2013 DOI:10.1056/NEJ Moa 1214853. 5. Jacobson IM, Gordon SC, Kowdley KV, et al. Sofosbuvir for Hepatitis C Genotype 2 or 3 in Patients without Treatment Options. N Engl J Med April 23 2013. DOI: 10.1056/NEJMoa1214854. [Gli studi di fase 3 con sofosbuvir. A cura di Alessia Ciancio, Mario Rizzetto] 39 Interazioni In questa nuova rubrica, che si svilupperà su più numeri della rivista, vi presentiamo la raccolta delle interazioni principali tra antiretrovirali e farmaci di impiego comune nella pratica clinica per il trattamento delle comorbidità infettive e non infettive, oggi sempre più frequenti nei pazienti con HIV. FARMACOLOGICHE Tabella 1. Overview delle interazioni tra ARV e antifungini FLUCONAZOLO ITRACONAZOLO VORICONAZOLO POSACONAZOLO AMFOTERCINA B LIP CASPOFUNGINA ANIDULAFUNGINA NRTI NRTI Si? Si? Si? Si Si? Si? Si? NNRTI EFV NVP ETV RPV fAPV LPV ATV DRV RAL bEVG Si Si?3 Si-TDM Si? Si? Si Si Si? Si? Si?4 No? No Si? Si? Si?4 Si?4 Si?4 Si?4 Si? Si? DOSE1 No? Si-TDM Si? No-TDM No-TDM TDM5 No-TDM Si? Si-TDM No? Si-TDM Si? Si? No? Si? DOSE6 Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? DOSE2 DOSE2 Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? MVC Si Si7 Si7 Si? Si? Si? Si? PI/r INI CCR5I I numeri in apice si riferiscono ad altrettante interazioni, i cui effetti farmacocinetici, meccanismi e indicazioni di gestione clinica sono inseriti in tabella 2. [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Nuove terapie per l’epatite cronica C “La contemporanea assunzione di alcuni farmaci antiretrovirali con alcuni farmaci antifungini, antibiotici o antiparassitari può dar luogo a interazioni rilevanti per la comune via metabolica utilizzata” Interazioni farmacologiche distanza tra le concentrazioni inefficaci e quelle tossiche. Nel valutare questi fenomeni vanno, perciò, tenuti presenti la durata della somministrazione di un farmaco (singola dose/alcuni giorni/terapia cronica), la gravità della condizione clinica, lo status immuno-virologico del paziente e la barriera genetica dei farmaci utilizzati. Per molte interazioni non abbiamo spesso dati di farmacocinetica (PK) oppure abbiamo dati in piccoli gruppi di volontari sani; nelle Tabelle, laddove viene indicata la compatibilità di due farmaci (Si) seguita da un punto interrogativo, si intende che tale raccomandazione deriva dalle caratteristiche delle molecole e non da formali studi di interazione. Per “Dose” si intende che è consigliata una modifica del dosaggio o della posologia, mentre per TDM (a seguire comunque un giudizio di compatibilità) si intende il consiglio di effettuare il monitoraggio plasmatico dei farmaci cosomministrati. congress report Le interazioni tra farmaci costituiscono una delle evenienze più frequenti nel trattamento di pazienti complessi e che devono assumere una terapia cronica come quella antiretrovirale. Alcuni farmaci hanno un profilo di induzione o inibizione noto ma l’entità di un’interazione può essere imprevedibile nel singolo caso osservato. A ciò va aggiunto che, qualora vi fossero più di due farmaci implicati, è molto difficile prevedere l’effetto finale e si consiglia dunque di misurare le concentrazioni plasmatiche utilizzando il Therapeutic Drug Monitoring (TDM) come strumento per la gestione clinica del paziente. Va, inoltre, ricordata la differenza tra l’entità di un’interazione (ovvero di quanto le concentrazioni vengono aumentate o diminuite) e la sua significatività (ovvero l’effetto clinico che essa determina); in particolare la significatività dipende dall’indice terapeutico di una molecola, ovvero dalla highlights A cura di Andrea Calcagno Clinica Universitaria Malattie Infettive, Ospedale Amedeo di Savoia, Torino Percorsi ragionati HIV editoriale Interazioni tra ARV e antifungini, antibiotici e antiparassitari Interazioni farmacologiche 40 Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Tabella 2. Dettaglio delle interazioni tra ARV e antifungini; effetti su profilo farmacocinetico, meccanismo e gestione clinica dell’interazione Interazioni farmacologiche congress report Meccanismo VOR$ e EFV# CYP3A4 Gestione clinica 1 Voriconazolo/EFV 2 Caspofungina/EFV o NVP CASPO$ OATP1B1? 3 Fluconazolo/NVP NVP# CYP2B6 Possibili eventi indesiderati; aumento AUC NVP 33-100% 4 Itraconazolo/boosted ARV ITRA# PI#? EVG#? CYP3A4 Sconsigliati dosaggi di itraconazolo superiori a 200 mg/die VOR$ ATV$ VOR# CYP2C19 CYP3A4 Sconsigliato, possibile utilizzo di voriconazolo con TDM, riportati casi clinici di successo terapeutico 5 Voriconazolo/ATV Aumentare voriconazolo a 400 mg bid Diminuire EFV a 300 mg qd Aumentare caspofungina a 70 mg qd 6 Posaconazolo/ATV ATV# UGT1A4 Possibili eventi indesiderati; aumento AUC ATV 250-370% 7 Itraconazolo-voriconazolo/MVC MVC#? CYP3A4 Ridurre MVC a 150 mg bid Tabella 3. Overview delle interazioni tra ARV e antibiotici NRTI NNRTI PI/r INI highlights Effetti PK CCR5I (per il dettaglio delle interazioni, vedi Tabella 4) FLUOROCHINOLONI MACROLIDI PENICILLINE/ CEFALOSPORINE/ CARBAPENEMI METRONIDAZOLO AMINOGLICOSIDI RIFAMPICINA RIFABUTINA Si? Si Si? Si? Si?9 Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si8 Si8 Si8 Si? Si/DOSE10 Si/DOSE10 Si/DOSE10 Si/DOSE10 Si? Si? DOSE Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si11 Si11 Si11 Si11 Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si Si-TDM No-TDM No No No DOSE No No DOSE No DOSE Si? DOSE DOSE Si-TDM No DOSE DOSE DOSE DOSE Si No Si? NRTI EFV NVP ETV RPV fAPV LPV ATV DRV RAL bEVG MVC Tabella 4. Dettaglio delle interazioni tra ARV e antibiotici Effetti PK Meccanismo 8 Claritromicina/EFV o NVP o ETV CLA$; 140HCLA#; ETV e NPV# CYP3A4 9 Farmaci noti per allungare il QT (fluorochinoloni, macrolidi)/RPV n.a. ? 10 Claritromicina/PI CLA# CYP3A4 11 Metronidazolo/PI/r non noti alcol in capsule/ soluzioni orali [Interazioni farmacologiche. A cura di Andrea Calcagno] Gestione clinica Utilizzare azitromicina quando possibile Utilizzare con cautela giacchè in volontari sani dosi maggiori di RPV (75 e 300 mg/die) sono state associate ad allungamento del QT Ridurre claritromicina (50-75%) in pazienti con insufficienza renale; non necessario per azitromicina Evitare le formulazioni contenenti alcol (effetto disulfiram-like) Interazioni farmacologiche 41 Tabella 5. Farmaci antiretrovirali in associazione a rifampicina PRO CONTRO Non interazioni; poche compresse Scarsa efficacia antivirale 2 NRTI + NVP Poche compresse Fallimenti clinici più frequenti rispetto a 2 NRTI + EFV 2 NRTI + LPV/r (800/200 bid) Alta barriera genetica Elevato numero di compresse del dosaggio 800/200 bid, dati su PK e tollerabilità in pochi pazienti 2 NRTI + MVC 600 mg bid Potenziale buona tollerabilità Dati di PK con dosaggio di MVC inferiore (100 mg bid); non dati su tollerabilità ed efficacia “Il regime cART di scelta da associare ad una terapia antitubercolare che includa rifampicina si basa sul backbone nucleosidico + EFV, mentre in associazione a rifabutina, induttore meno potente di CYP3A4, è possibile l’uso dei PI/r” Tabella 6. Dose di rifabutina (RBT) in associazione a diversi antiretrovirali NNRTI PI/r INI CCR5I EFV EFV=$ RBT$ 450 mg/die e poi 600 mg 2/sett NVP NVP= RBT#, 25OHRBT# 300 mg/die Grande variabilità nella PK di rifabutina: cautela! ETV ETV$ RBT$, 25OHRBT$ 300 mg/die Dati PK sulla vecchia formulazione di ETV: TDM e cautela RPV RPV$ RBT= 25OHRBT= No ATV ATV= RBT#, 25OHRBT# 150 mg 3/sett fAPV APV= RBT= 25OHRBT# 150 mg a dì alterni LPV LPV# RBT#, 25OHRBT# 150 mg a dì alterni DRV DRV# RBT$, 25OHRBT# 150 mg a dì alterni RAL RAL AUC= #Cmin RBT$? 300 mg/die Dati PK su volontari sani: TDM rifabutina bEVG EVG$ RBT= 25OHRBT# 300 mg/die EVG AUC e Cmin ridotte del 21% e 67% MVC ? 300 mg/die Interazione non studiata, non attese interazioni [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] TDM e cautela RPV AUC (150 mg qd) ridotta del 46% Alcuni dati suggeriscono che con i PI/r e rifabutina data a 150 mg a giorni alterni si ottengono concentrazioni subottimali di rifabutina. Alcuni esperti suggeriscono di iniziare con 150 mg qd monitorando gli effetti collaterali da rifabutina Percorsi ragionati HIV 3 NRTI Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Alternativi Nuove terapie per l’epatite cronica C Numero medio di compresse, studi clinici in corso per valutare l’efficacia clinica di questo dosaggio Interazioni farmacologiche RAL 800 mg bid 2 NRTI + RAL congress report Ove non possibile per: resistenze o intolleranza/tossicità o gravidanza editoriale Monitoraggio concentrazioni plasmatiche di EFV highlights EFV 600 mg se peso < 60 Kg EFV 800 mg se peso > 60 Kg 2 NRTI + EFV Interazioni farmacologiche 42 Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Tabella 7. Overview delle interazioni tra ARV e antiparassitari/antielmintici ALBENDAZOLO/ MEBENDAZOLO IVERMECTINA AMODIACHINA ALOFANTRINA/ LUMEFANTRINA (per il dettaglio delle interazioni, vedi Tabella 8) DERIVATI ARTEMISINA MEFLOCHINA CHININO PRIMACHINA ATOVAQUONE NRTI NRTI Si? Si? Si? Si Si? Si? Si? Si? NNRTI EFV NVP ETV RPV fAPV LPV ATV DRV RAL bEVG MVC Si? Si? Si? Si? Si12 Si12 Si12 Si12 Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? No13 Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? No14 No15 Si? Si? No? No?16 No? No? Si? No? Si? No14 No15 Si? Si? Si? Si?16 Si? Si? Si? Si? Si? Si?17 Si?17 Si?17 Si?17 Si?17 Si?17 Si?17 Si?17 Si? Si?17 Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si? Si?18 Si? Si? Si? Si? Si?19 Si?19 Si? Si? Si? Si? PI/r INI CCR5I “Tra i farmaci antimalarici, particolare attenzione va riservata alle interazioni tra NNRTIs o PI/r con lumefantrina/arthemether mentre è sconsigliato l'utiizzo contemporaneo di efavirenz con amodiachina” highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Tabella 8. Dettaglio delle interazioni tra ARV e antiparassitari/antielmintici Effetti PK Meccanismo Gestione clinica 12 Albendazolo/RTV Mebendazolo/RTV ALB/MEB$ ALB SULF$ CYP2C9? CYP1A2? Interazione tra RTV 200 mg bid e albendazolo/mebendazolo: non nota l’entità con PI/r. Cautela 13 Amodiachina/EFV AMOD# CYP2C8 Studio di interazione interrotto per aumento delle transaminasi in due soggetti (AUC aumentate di 114% e 302%). Evitare la cosomministrazione 14 Arthemeter/lumefantrina/ EFV LUM$ ART$ DIIDROART$ EFV = CYP3A4 Concentrazioni di tutti gli antimalarici ridotte (50-75%): cautela! 15 Arthemeter/lumefantrina/ NVP LUM$ o# ART$ DIIDROART$ NVP$ CYP3A4 Concentrazioni di tutti gli antimalarici ridotte (50-75%) ma in uno studio lumefantrina#: cautela! 16 Arthemeter/lumefantrina/ LPV/r LUM# ART$ DIIDROART$ LPV = CYP3A4 Ridotte AUC e DH arthemeter (39% e 45%), aumentata AUC lumefantrina (2.3 volte): cautela! 17 Chinino e meflochina con induttori (NNRTI) o inibitori (PI/r, bEVG) del CYP3A4 CHININO#? MEFLO#? CYP3A4 Non dati PK (tranne nella cosomministrazione con RTV riduzione AUC RTV del 31% e meflochina non alterata). Cautela, monitoraggio QT 18 Atovaquone/EFV ATOV$ EFV = UGT? AUC atovaquone ridotta del 69% (singola dose): valutare incremento di dosaggio di atovaquone 19 Atovaquone/ATV/r Atovaquone/LPV/r ATOV$ ATV/r e LPV/r = UGT? AUC atovaquone ridotta del 33% e 66% (singola dose): valutare incremento di dosaggio di atovaquone Riferimenti bibliografici: Le fonti principali utilizzate sono il sito internet dell’Università di Liverpool (www.hiv-druginteractions.org) e dell’Università di San Francisco (http://hivinsite.ucsf.edu/InSite.jsp?page=ar-00-02) a cui si rimanda per la bibliografia. [Interazioni farmacologiche. A cura di Andrea Calcagno] congress report 44 46th Associazione Italiana per lo Studio del Fegato highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Roma, 21-22 febbraio 2013 N ell’ambito dell’epatite B, uno studio condotto in tutti i centri trapianti nazionali in 2260 pazienti fra il 1983 ed il 2011 conferma l’ottimo risultato della profilassi anti-HBV nel trapianto epatico (abs OC-20); il tasso di ricorrenza di HBV nel trapiantato è stato del 4% e quello di epatite B de novo del 6%. • Eccellenti i risultati ottenuti con entecavir in 5 anni di follow up in 418 pazienti con epatite cronica B italiani. Il tasso di risposta (HBV DNA negativo) ha raggiunto il 100% sia nei pazienti HBeAg+ che in quelli HBeAg-; non è stato riportato alcun effetto collaterale significativo (abs T-11, T-14, T-15). • Similmente appare molto efficace la terapia con tenofovir. La risposta è aumentata al 95% dopo 3 anni; la terapia (media 33 mesi) si è rivelata sicura anche sul versante renale, ritenuto il punto debole di tenofovir per il rischio di nefropatia tubulare (abs T-12). • La persistente risposta terapeutica agli antivirali migliora nei cirrotici il gradiente pressorio porto-sistemico (HVPG) nel 71% dei casi, riportandolo nel 57% dei casi alla normalità (HVPG < 5) (abs F-15). • L’HBsAg non diminuisce o diminuisce molto lentamente nei pazienti con epatite cronica B trattati con antivirali. Tuttavia quando il livello è di circa 100 UI/ml la caduta dell'antigene è più rapida di quanto previsto (abs F-17); l’aggiunta di Peg-IFN (abs T-17) ha portato ad una riduzione dell’HBsAg in 5 di 11 pazienti HBeAg- che, in risposta con gli antivirali, mantenevano un titolo stabile di HBsAg plasmatico. “Una selezione delle comunicazioni orali e poster in tema di epatite cronica B e C” • Nell’ambito dell’epatite C, nell’Early Access Italiano alla terapia con telaprevir (TVR) in 128 pazienti con fibrosi severa o cirrosi compensata, alla 12 settimana il 73% dei pazienti aveva una viremia HCV non determinabile (abs OC-26). La RVR alla 4a settimana era del 77% nei “naive”, del 64% nei relapser alla terapia con Peg-IFN + RBV, 58% nei non-responder alla duplice. Il tasso di sospensione della terapia è stato del 21%; anemia importante si è sviluppata nel 43% dei pazienti, rash cutaneo nel 31%. L’analisi, pur limitata alle prime 16 settimane, ribadisce la necessità di una scelta attenta del paziente da trattare (piastrine > 90.000 mmc); rispetto all’Early Access Program francese (CUPIC) gli eventi negativi sono stati inferiori e meglio controllati. • In vitro, in cellule Hep G2 transfettate con HBV wild-type flavocoxid (che contiene flavonoidi, baicalina e catechina) dopo 5 giorni ha ridotto di oltre l’80% la sintesi di intermedi replicativi dell’HBV ed ha indotto una riduzione del 30% del ccc DNA (abs OC-29). L’associazione di flavocoxid con ETV ha ulteriormente ridotto l’espressione di tutti i parametri replicativi dell’HBV. • In 21 pazienti HCV (abs F-01) trattati in triplice con TVR o BOC sono state determinate la presenza e l’emergenza di resistenze ai due antivirali, prima della terapia e ogni 4 settimane durante la terapia. In due pazienti cirrotici che hanno sviluppato resistenza, sono state identificate le mutazioni re- sistenti V36M + R 155 K all’8a settimana di terapia. In altri due pazienti sono state identificate le mutazioni resistenti V 36 M e T 54 A già alla 48a ora di terapia con TVR; uno dei due, ha esibito breakthrough virale alla 24 settimana ma l’altro ha raggiunto RVR. Un paziente trattato con BOC esibiva la resistenza Q80S pre-terapia ma ha raggiunto l’RVR. Questi dati, pur preliminari, suggeriscono che il precoce riconoscimento di mutazioni dell’HCV in terapia possa servire a sospendere o variare il trattamento antivirale. • Lo studio Optimize (abs T-01) dimostra che TVR BID (1125 mg per dose) ottiene un’efficacia terapeutica simile alla somministrazione standard TID (750 mg per dose). La semplificazione terapeutica favorisce l’aderenza del paziente. • IL28CC è stata correlata con un declino rapido della viremia HCV nella fase iniziale della terapia con PegIFN e RBV (abs T-04) ed è stata rilevata l’associazione tra genotipo IL28CC sia con l’assenza di steatosi che con più severa infiammazione portale nei pazienti con HCV1; l’associazione è stata confermata con infiammazione lobulare severa nei pazienti con HCV2 e con fibrosi avanzata nei pazienti con HCV3 (abs OC-21). [46th Associazione Italiana per lo Studio del Fegato. Roma, 21-22 febbraio 2013. M. Rizzetto] Mario Rizzetto SCDU Gastroenterologia, AO Città della Salute e della Scienza di Torino congress report 46 11th European Meeting on HIV and Hepatitis highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Roma, 20-22 marzo 2013 S ul versante HIV, è emerso l’impatto dei livelli di viremia al baseline e della risposta virologica alla terapia: Armenia et al hanno mostrato come valori di viremia > 500.000 copie/ml correlino con un ritardo nel raggiungimento del successo virologico e con un aumentato rischio di rebound virologico. Ciò evidenzia la necessità di un monitoraggio adeguato per quei pazienti che albergano un virus con elevato potenziale replicativo (abs #1). • E’ stato discusso anche il significato clinico dei fallimenti terapeutici con bassi livelli di viremia che si accompagnano ad un aumentato rischio di sviluppare ceppi farmacoresistenti (Colafigli E. abs #3). • Discussa anche la resistenza ai farmaci di ultima generazione: uno studio condotto su oltre 7.000 sequenze della RT di HIV ha mostrato come circa la metà dei pazienti che hanno ricevuto nel corso della loro storia terapeutica un trattamento con NNRTI (in particolar modo etravirina e nevirapina) albergano ceppi in grado di compromettere la risposta virologica a rilpivirina, evidenziando l’importanza del test genotipico come strumento irrinunciabile per attuare un corretto sequencing degli NNRTI (Santoro MM. abs #17). • Sono state descritte le barriere che ad oggi rendono arduo il percorso verso la cura funzionale o biologica del virus: Martinez Picado J. ha evidenziato come la cura dell’infezione da HIV non possa prescindere dalla definizione di marcatori diagnostici Figura 1. Principali barriere all’eradicazione di HIV Panteleo G, Roma 2013 “Dal workshop emergono gli update in ambito virologico sulla gestione del paziente con HIV e HCV” accurati per misurare e monitorare il pool di reservoir cellulari di HIV e i livelli di replicazione virale residua in tutti i reservoir. • Pantaleo G. ha, invece, sottolineato la necessità di un approccio integrato basato sul sinergismo tra strategie virologiche e immunologiche come unica arma per scalfire il pool di reservoir cellulari di HIV (figura 1). • Sul versante HCV, dalle numerose presentazioni è emersa la straordinaria variabilità genetica di questo virus in grado di modulare il suo potenziale patogeno e la risposta al trattamento. E’ nota l’esistenza di diversi genotipi di HCV che possono rispondere ai farmaci in modo differente. Zazzi M. ha mostrato come il genotipo 1a è a sua volta distinto in 2 sot- [11th European Meeting in HIV and Hepatitis. Roma, 20-22 marzo 2013. V. Svicher] togenotipi che albergano già in modo costitutivo distinti profili di resistenza agli inibitori della proteasi (abs #12). • Questa elevata diversificazione genetica rende ragione della rapida comparsa di ceppi farmacoresistenti soprattutto nel contesto di pazienti null/partial responder ad un trattamento precedente con IFN e RBV e, quindi, in quei pazienti in cui l’inibitore della proteasi agisce come una monoterapia funzionale (Di Maio VC. abs #10). Ciò evidenzia la necessità di costruire per i pazienti HCV un regime terapeutico contenente più farmaci attivi e l’importanza del test genotipico per il corretto management del paziente con HCV. Valentina Svicher Università degli Studi “Tor Vergata”, Roma congress report 47 48th European Association for the Study of the Liver “Lo studio CUPIC e altri studi sul campo ribadiscono la necessità di un’accurata scelta dei pazienti da trattare con TVR e BOC” [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Percorsi ragionati HIV Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Nuove terapie per l’epatite cronica C • Gli studi tedeschi sul campo (abs: 793, 805, 871, 875) sia con TVR che con BOC indicano, invece, risposte iniziali (RVR) consistenti ed effetti collaterali simili agli studi registrativi (anemia < 8.5 g/dl nel 28,9%). Da rilevare, tuttavia, che la percentuale di cirrotici arruolati negli studi tedeschi è solo del 1021%. Analizzati alla luce della percentuale di pazienti cirrotici, i vari studi sul campo non sono dunque contraddittori per quanto riguarda la sicurezza ed il rischio di BOC e TVR, in quanto gli effetti avversi sono proporzionali al numero di cirrotici, ma ribadiscono la necessità di un’accurata scelta dei pazienti da trattare. • Lo stato di avanzamento dei trial terapeutici è stato oggetto di diverse presentazioni. I dati più significativi e completi riguardano sofosbuvir (SOF). Gli studi NEUTRINO, POSITRON, FUSION e FISSION sono stati nel frattempo pubblicati per extenso e vengono commentati in un altro articolo in questo numero di ReAd Files (vedi pag. 37). Essi propongono: – terapia con SOF e P + R per 12 settimane per i pazienti con genotipi 1, 4, 5, 6 naive non cirrotici o con cirrosi compensata (NEUTRINO); – terapia con SOF + R per 12 settimane per i pazienti con genotipi 2 e 3 naive, non cirrotici o con cirrosi compensata (FISSION). – terapia con SOF + R per 12-16 settimane per i pazienti con genotipi 2 e 3 non cirrotici o con cirrosi compensata, non elegibili o non responder alla duplice terapia P + R (POSITRON, FUSION). Considerata l’efficacia della terapia in diversi genotipi, la breve durata del trattamento (12-16 settimane), Interazioni farmacologiche • Più studi affrontano lo scenario della triplice terapia con boceprevir (BOC) e telaprevir (TVR) nella pratica clinica. Nello studio CUPIC francese sono stati arruolati 674 pazienti HCV1 con cirrosi o fibrosi F3 compensata (Child A). I dati confermano l’efficacia dei farmaci, con SVR12 del 41% per BOC e del 40% per TVR, ma anche la minore sicurezza, rispetto agli studi registrativi, già emersa nei report preliminari del CUPIC. Eventi avversi seri si sono avuti nel 45% dei pazienti in TVR e nel 32,2% nei pazienti in BOC. Il 22% e il 26,3% hanno smesso prematuramente TVR o BOC, il 14% e l’11% per effetti collaterali gravi (abs 60). • L’uso della triplice terapia con TVR o BOC è stato valutato nella ricorrenza dell’epatite HCV1 post-trapianto in una coorte americana (abs 23) ed in una coorte francese (abs 1422). Nella coorte americana trattata con TVR, gli effetti collaterali importanti sono stati evidenziati nel 41,2% dei pazienti ed il 2% sono deceduti; nella coorte francese la risposta virale alla fine della terapia è stata dell’82% con BOC e del 38% con TVR, il 44% dei pazienti ha sospeso la terapia per non-risposta o effetti collaterali vari. congress report • In uno studio sul campo in Austria (abs 65), sono stati arruolati 110 pazienti HCV1 con fibrosi epatica avanzata/cirrosi, trattati con BOC e TVR. Solo 24 pazienti hanno raggiunto una risposta virale alla fine della terapia. Effetti avversi gravi si sono verificati nel 20%, il 46,8% ha sospeso la terapia, 3 pazienti sono morti per sepsi. L’analisi ha confermato il rischio di effetti collaterali maggiori nei pazienti con basse piastrine (<100.000/mmc), bassa albuminemia (< 3,5 g/dl) e in presenza di un gradiente pressorio porto-sistemico (HVPG) ≥ 10 mm Hg. highlights C ome prevedibile, le novità in tema di trattamento dell’epatite cronica C sono state al centro del programma scientifico del recente congresso dell’EASL, presentando un quadro avvincente del presente, del prossimo futuro e, in prospettiva, di possibilità di interventi terapeutici inimmaginabili fino a non molto tempo fa. Tuttavia, l’elevato numero di molecole e combinazioni impedisce di seguire tutti gli studi. Riportiamo, quindi, la selezione degli abstract più importanti, riportandone il numero consecutivo, così come pubblicato su Journal of Hepatology 2013 Vol 58, supp 1. editoriale Amsterdam, 24-28 aprile 2013 congress report highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale 48 un regime terapeutico privo di IFN nel paziente di genotipo 2 e 3, l’assenza di resistenze, e una buona tollerabilità priva di effetti collaterali aggiuntivi a P/R, questi studi pongono un nuovo paradigma con cui confrontare gli altri trial clinici. • Nell’ottica di una terapia senza IFN, nell’HCV1 sono interessanti lo studio ELECTRON, AVIATOR e gli studi con daclatasvir. Nello studio ELECTRON, SOF è stato somministrato per 12 settimane in regime IFN-free a pazienti HCV1 naive e null-responder a P + R in combinazione con GS-5885 (ledipasvir, inibitore dell’NS 5A) + RBV, oppure in combinazione con GS9669 (inibitore non-nucleosidico di NS5B) e RBV. La risposta SVR12 è stata del 100% nel regime SOF + LDV + RBV (25/25 pazienti naive e 25/25 pazienti null-responder) e del 92% nei pazienti naive (23/25) nel regime SOF + GS-9669 + RBV. Questi dati preliminari indicano che l’aggiunta di un secondo DAA migliora la risposta al regime SOF + RBV sia nei pazienti HCV1 naive che nei pazienti null-responder a P/R (abs 14, www.natap.org). Simili risultati sono stati ottenuti nello studio AVIATOR, che ha utilizzato combinazioni senza IFN di ABT-450 dato con ritonavir, insieme a ABT-267 e ABT-333 ed R, che hanno indotto una SVR12 in oltre il 90% di 247 pazienti HCV1; la risposta è stata ottima anche nei nullresponder a P + R ed indipendente dal sottotipo HCV (1a o 1b), dal ge- “Si evidenzia quindi un’area di bisogno che potrà essere colmata dalla prossima disponibilità dei DAA di seconda generazione” notipo IL28B, dalla fibrosi e dal livello basale di HCV RNA (abs 3). • In uno studio di fase 2 sono stati valutati daclatasvir (inibitore della NS5A), asunaprevir (inibitore della NS3 proteasi) e BMS-791325 in due dosi (75 e 150 mg due volte al dì) senza P + R per una durata di 12 o 24 settimane in 66 pazienti HCV1 non cirrotici (74% HCV1a). L’SVR12 in 16 pazienti è stata del 94% senza differenza fra la durata di 12 o 24 settimane di terapia; nessuno ha sospeso la terapia (abs 1423). Lo studio offre una buona prospettiva nei pazienti con HCV1a meno sensibili alla terapia con altri antivirali rispetto ai pazienti HCV1b. dell’NS5A e di GS-9451, un inibitore dell’NS3, insieme a P + R ha indotto SVR4 del 74% in pazienti HCV1 breakthrough e null-responder a P + R. La risposta è stata superiore nel genotipo 1b e nei pazienti IL28B CC (abs 13). • Alisporivir in dosaggio da 400 a 800 mg/die insieme a P + R dato per 48 settimane a 347 pazienti inclusi 25% cirrotici, 34% null-responder a P + R, 79% IL28B CT o TT, ha indotto SVR12 nel 44% nei cirrotici e nel 65% nei null-responder (abs 1421). • Ancor più interessante il primo studio di ritrattamento della non-risposta alla triplice con TVR e BOC. La combinazione solo orale di daclatasvir (60 mg) con SOF (400 mg) con o senza R, senza IFN, data a 41 pazienti non cirrotici non responder a triplice con TVR o BOC ha indotto risposta sostenuta nel 100% dei pazienti trattati, indicando la disponibilità di un valido trattamento per chi ha fallito la terapia con gli inibitori della proteasi di prima generazione (abs 1417, www.natap.org). • In uno studio di fase 2, asunaprevir (inibitore della NS3 proteasi) è stato dato in triplice insieme a P + R a pazienti naive, non cirrotici, 253 di loro con HCV1, 18 con HCV4; la terapia è stata data per 12 settimane, dopo le quali i pazienti che avevano raggiunto l’RVR prefissata alla 10a settimana sono stati randomizzati a mantenere la triplice o passare a P + R, mentre quelli che non avevano raggiunto RVR sono stati trattati in triplice per 24 settimane e con P + R per altre 24 settimane. Nei pazienti HCV1, la SVR24 è stata del 64%, in quelli con genotipo 4 dell’89%. Questo studio indica una particolare attività di asunaprevir nell’epatite C da HCV4 (abs 1420). • Nell’ottica di una terapia più efficace nei pazienti difficili, la combinazione di GS-5885, un inibitore • GS 5885 + GS 9451 insieme a P + R, dati per 6 o 12 settimane a pazienti HCV1 naive, con IL28B CC favore- [48th European Association for the Study of the Liver. Amsterdam, 24-28 aprile 2013] congress report editoriale Percorsi ragionati HIV 3; la percentuale di soggetti cirrotici era del 22,5% nell’HCV3, solo dell’1,4% nel genotipo 2. L’SVR24 è stata dell’83% sia a 12 che a 16 settimane nel genotipo 2 e del 69% e 67% a 12 e 16 settimane nel genotipo 3; 3 su 7 (43%) pazienti cirrotici con genotipo 3 sono andati incontro a relapse (abs 1418). La combinazione di MK-5172, un inibitore della proteasi NS3/4A, con P + R è stata data in dosi di 100200-400 o 800 mg per 12 settimane, seguita da 12 settimane di P + R (in chi non acquisiva RVR). Si è ottenuta SVR12 o SVR24 nell’80-91% dei pazienti trattati. I risultati indicano la potenzialità terapeutica di MK-5172 alla dose di 100 mg (abs 66). Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI per 24 settimane (abs 1413). Lo studio STARTVerso1 ha valutato l’uso di faldaprevir in combinazione con P + R in 652 pazienti europei e giapponesi HCV1 naive; la terapia con faldaprevir è stata data per 12 o 24 settimane con dosi di faldaprevir di 120 o 240 mg una volta al giorno, su un backbone di P + R di 24 settimane. La SVR12 è stata del 79% e dell’80% nei due gruppi trattati con dosi diverse di faldaprevir, meno del 5% dei pazienti hanno sospeso la terapia per effetti collaterali (abs 1416). Lo studio COMMAND GT 2/3 ha valutato l’uso di daclatasvir (un inibitore complesso dell’NS5A) in combinazione con P + R dati per 12 o 16 settimane a pazienti con HCV2 o highlights congress report Interazioni farmacologiche • Interessanti, anche se nella loro attuale formulazione i risultati appaiono meno competitivi (soprattutto per il mantenimento di Peg-IFN e la durata della terapia non inferiore alle 24 settimane), lo studio QUEST 2, lo studio STARTVerso1, lo studio COMMAND e altri studi di fase 2. Lo studio QUEST 2 ha arruolato 391 pazienti naive HCV1, randomizzati al trattamento con simeprevir (inibitore della proteasi NS3/4A) insieme a P e R per 12 settimane, seguite da altre 12 o 24 settimane di P + R sulla base della risposta virale sostenuta. L’SVR12 è stata dell’81% nei pazienti trattati con simeprevir e i due tipi di Peg-IFN. La maggioranza dei pazienti (91%) è stato trattato solo “L’associazione di DAA senza interferone consentirà un trattamento curativo anche nei pazienti difficili da trattare con schemi abbreviati e semplificati” Nuove terapie per l’epatite cronica C vole, hanno indotto elevate percentuali di SVR12 (82%) simili a quelle indotte dalla duplice terapia, suggerendo che nei pazienti HCV1 facili la terapia con antivirali possa essere ridotta a 6 settimane (abs 64). 49 [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] highlights 51 [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Il gruppo WFPA in Italia In Italia si è costituita una sezione nazionale, composta da 22 infettivologhe, e da una rappresentante di una associazione di pazienti donne impegnate in diverse attività per le donne con infezione da HIV, come quelle educazionali. Lo studio DiDi Per descrivere il vissuto della donna con HIV e identificarne i bisogni sanitari, il gruppo WFPA Italia ha condotto un’importante indagine conoscitiva, lo studio DiDi (Donne con Infezione Da HIV). Lo studio si è basato su un questionario anonimo, proposto a tutte le donne con HIV afferenti ai Centri Clinici di Malattie Infettive per la cura di HIV tra il settembre 2010 ed il gennaio 2011. Circa 580 donne, di cui il 18% immigrate, hanno compilato il questionario dopo avere firmato il Consenso Informato. L’analisi mostra come solo infrequentemente la donna con HIV ha acquisito l’infezione mediante i “classici” comportamenti a rischio, quali la tossicodipendenza, ma nella grande maggioranza dei casi (80%) la modalità di infezione è quella riferibile ai rapporti sessuali. Da rimarcare che ben nel 12% la diagnosi di infezione da HIV è 2001-2005 Dopo 2005 Ammassari A, et al. HIV Med 2013 stata posta nel corso di una gravidanza; questa gravissima coincidenza di eventi sottolinea l’assoluta necessità di rendere il test per l’HIV obbligatorio nelle fasi precoci di ogni gravidanza e di incentivare lo screening attivo nelle giovani donne in procinto di una maternità. Diversi risultati dello studio DiDi sono stati presentati a congressi oppure pubblicati su riviste di settore (2-9). Una prima analisi ha focalizzato l’attenzione sull’elevata percentuale (44%) di donne intervistate che riportavano almeno una interruzione volontaria di gravidanza. Fortunatamente, analizzando il tasso di interruzioni di gravidanza successiva alla diagnosi di infezione da HIV nel corso degli anni si riscontra una significativa e progressiva riduzione dei questo evento negli anni di calendario più recenti (figura 1). Verosimilmente alla base di questa positiva evoluzione ci sono lo switch epidemiologico dalla popolazione che ha acquisito l’infezione con la tossicodipendenza a quella con contagio sessuale, insieme alla disponibilità di efficaci strategie per la prevenzione della trasmissione materno-fetale. Va comunque sottolineato l’aspetto traumatico di tale esperienza nel vissuto Percorsi ragionati HIV 1996-2000 Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Prima 1996 Nuove terapie per l’epatite cronica C 5 4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0 Interazioni farmacologiche Figura 1. Incidenza per 100 persone-anno di interruzioni di gravidanza dopo la diagnosi di infezione da HIV congress report “Obiettivo: ridurre fragilità clinica, isolamento psicologico e vulnerabilità sociale” highlights WFPA, Women for Positive Action, è un gruppo di donne medico, psicologhe, rappresentanti di associazioni di pazienti, costituitosi in Europa, Canada e America Latina nel 2008 per promuovere iniziative a supporto di chi è maggiormente colpito dal virus. WFPA ha come mission: • dar voce, educare e supportare le donne con HIV, i professionisti del settore salute e i rappresentanti delle associazioni coinvolti nel loro trattamento • esplorare le problematiche e offrire supporto educativo • fornire un contributo importante per il miglioramento della loro qualità di vita. Le iniziative promosse in questi anni, di tipo essenzialmente educazionale, hanno visto la messa a punto di materiali informativi (set di diapositive) e di approfondimento a scopo educativo su diverse tematiche (concepimento, gravidanza e contraccezione, benessere emotivo, studi clinici, test per HIV, rapporto medico-paziente, credenze e spiritualità, HIV e invecchiamento, stigmatizzazione). Questi ed altri materiali sono disponibili sul sito www.womenforpositiveaction.org. Su AIDS (1), sono state evidenziate le gravi carenze di accesso delle donne alle sperimentazioni cliniche controllate, in parte dovute alla giusta preoccupazione per il possibile effetto teratogeno, ma correlate ad una conseguente mancanza di informazioni sulle possibili diversità di metabolismo, su tossicità ed efficacia degli ARV. Sono in programma altri articoli sulle carenze nella gestione delle donne con HIV. WFPA è un programma educazionale sostenuto da AbbVie. editoriale Agire in positivo a supporto delle donne con HIV highlights 52 highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale “Lo studio DiDi valuta la salute emozionale, sessuale e riproduttiva della donna HIV+” della donna, spesso non sufficientemente indagato e poco supportato nel contesto clinico (2). Contraddittorio sembra essere anche il vissuto in merito al desiderio di maternità e l’adozione di un efficace metodo contraccettivo. Più della metà delle donne riporta un calo del desiderio di maternità dopo aver conosciuto il proprio stato sierologico oppure dopo avere iniziato la terapia antiretrovirale (figura 2). Inoltre, il 61% delle donne riporta di non desiderare un figlio al momento, principalmente per paura di trasmettere l’infezione al neonato, di possibili malformazioni fetali o perché il proprio stato di salute è ritenuto insufficiente. Dall’indagine emerge, quindi, che la donna con HIV è ancora oggi molto bisognosa di informazioni circa la possibilità di una gravidanza sicura nel contesto dell’infezione (3). Per indagare il regolare uso del preservativo sono state analizzate 343 donne che si sono dichiarate sessualmente attive nell’ultimo anno: emerge un uso incostante del preservativo in Figura 2. Desiderio di maternità nelle donne a conoscenza del proprio stato sierologico o in ART 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% n= 178 donne 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% n= 157 donne in ART ben 44.3% delle donne, pur riferendo il 64% delle donne con partner discordante la paura di 21.6% poter eventualmente Quanto HIV impatta Come la ART ha modificato sul desiderio di maternità? il desiderio di maternità? trasmettere l’infemoltissimo lo ha aumentato molto zione al partner. Tra moderatamente poco lo ha diminuito i fattori predittivi delin nessun modo nessuna variazione l’uso incostante del Ammassari A, HIV11 Glasgow 2012, P197 preservativo, il rapporto con un partner Tra questi è da citare, nell’ambito della occasionale e la difficoltà di dichiarare dimensione del benessere emozionale il proprio stato di sieropositività. La e psicologico, una prevalenza rilevante mancata correlazione tra uso incostante di sintomatologia depressiva (33%) del preservativo e una terapia antirecon un forte isolamento psicologico. trovirale virologicamente efficace o Infatti, il 41% le donne intervistate rifecomportamenti di elevata aderenza risce che nessuno è a conoscenza della agli ARV sottolinea il fatto che la natura loro condizione di sieropositività e il protettiva della carica virale soppressa 65% dichiara la necessità di nasconsulla contagiosità del soggetto a tutdere efficacemente questo segreto. t’oggi non appare sufficientemente diffusa nella donna con HIV (4). Adriana Ammassari1, Oltre a queste prime analisi, lo studio Antonella d’Arminio Monforte2 DiDi ha permesso l’approfondimento 1 INMI L. Spallanzani, Roma di altri argomenti rilevanti per la salute 2 AO San Paolo, Milano della donna sieropositiva. Riferimenti bibliografici: 1. d’Arminio Monforte A, González L, Haberl A, et al. on behalf of Women for Positive Action. Better mind the gap: addressing the shortage of HIV-positive women in clinical trials. AIDS. 2010; 24(8):1091-1094. 2. Ammassari A, Cicconi P, Ladisa N, et al. Induced first abortion rates before and after HIV diagnosis: results of an Italian self-administered questionnaire survey carried out in 585 women living with HIV. HIV Med. 2013 Jan; 14(1):31-9. 3. Ammassari A, Cicconi P, Ladisa N, et al. Reasons why HIV-positive women do not want to have a child: the questionnaire-based DIDI study. J Int AIDS Soc 2012; 15 (Suppl 4): P197. 4. Cicconi P, d’Arminio Monforte A, Castagna A, et al. Inconsistent Condom Use Among HIV-Positive Women in the “Treatment as Prevention Era”: Data From The Italian DIDI Study. AIDS Behav submitted. 5. Cicconi P, Ammassari A, Ladisa N, et al. Prevalence of prolonged amenorrhea in HIV-infected women: results from the Italian DIDI study. J Acquir Immune Defic Syndr. 2012 Oct 1; 61(2):e19-21. 6. Ammassari A, Trotta MP, Bini T, et al. Self-reported sexual health in HIV-infected women: correlates of dissatisfaction (DIDI study). IAS, Roma 2011. TUPE149. 7. d’Arminio Monforte A, Cicconi P, Trotta MP, et al. Previous abortion is self-reported by a high proportion of women living with HIV: picture from a questionnaire survey in Italy (DIDI Study). IAS, Roma 2011. TUPE331. 8. Ammassari A, Trotta MP, Bini T, et al. Ageing women with HIV: global health status, sexual and gynecological health, psychological factors, beliefs about medication, and cART adherence. EACS, Belgrade 2011. 9. Ammassari A, d’Arminio A, Anzalone E, et al. Motherhood desire and variables associated with decision-making in HIV-positive women. ICAR, Napoli 2012. [Agire in positivo a supporto delle donne con HIV. A. Ammassari, A. D’Arminio Monforte] highlights 53 [ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013] Il commento Come interpretare questi risultati? Gli autori hanno puntato il dito su un meccanismo di tossicità diretta del farmaco (precipitazioni dei cristalli in urine sovrasature). Tale spiegazione, allorchè plausibile, non tiene conto della mancanza di aumento di incidenza della patologia nei pazienti iperbilirubinemici in cui si presume una concentrazione plasmatica del farmaco più elevata. Desideriamo tuttavia rilevare un aspetto che i vari commentatori dell’articolo non hanno mai presentato. Percorsi ragionati HIV Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Nuove terapie per l’epatite cronica C Interazioni farmacologiche stati arruolati 1240 pazienti, 465 (37.5%) che avevano iniziato un trattamento con ATV/r e 775 (62.5%) controlli. La maggior parte era di sesso maschile, giovane, di etnia asiatica. I pazienti che hanno iniziato terapia con ATV/r avevano un valore di BMI più elevato (22.7 ± 3.14), più alti CD4 (303.9 ± 184.7 cellule/mmc) e valori basali più elevati di acido urico (5.90 ± 1.31 mg/dl) e più basso eGFR (117.4 ± 25.8 mil/min). Nel follow up sono stati identificati 35 casi di urolitiasi. I calcoli renali sono stati identificati in 31 pazienti (6.7%) del gruppo ATV/r e 4 casi (0.52%) nei controlli. Nel gruppo ATV/r il criterio diagnostico era così distribuito: 4 casi di nuova insorgenza di ematuria, 14 casi di passaggio di calcoli e 17 casi di diagnosi radiologica. Complessivamente l’incidenza di urolitiasi era di 23.7 casi per 1.000 anni/persona di follow up nel gruppo ATV/r e di 2.20 casi per 1.000 anni/persona nei controlli. Il tempo medio intercorso tra l’inizio della ARV e la diagnosi di calcolosi renale era di 24.5 mesi nel gruppo ATV/r rispetto a 21.9 mesi nei controlli. La durata del periodo di osservazione complessivo era di 1.310 anni/persona di follow up (31 mesi ATV/r e 23 mesi controlli). La tabella 1 mostra l’analisi multivariata della stima del rischio di calcolosi renale indotta da ATV/r rispetto ai regimi con altri PI. ATV/r risultava indipendentemente associato alla calcolosi renale. Il valore medio della bilirubina non è significativamente differente nei pazienti trattati con ATV/r che sviluppavano urolitiasi rispetto a quelli che non sviluppavano urolitiasi (2.4 mg/dl vs 2.3 mg/dl, p= 0.376). Dei 31 pazienti in ATV/r che hanno sviluppato urolitiasi, 13 hanno interrotto il trattamento, mentre dei 18 che avevano proseguito, 6 (33.3%) hanno manifestato recidiva di urolitiasi in un periodo medio di 4.9 mesi. I pazienti che avevano presentato urolitiasi hanno un più rapido declino del valore di eGFR (30.7 ml/min) rispetto a chi non aveva presentato urolitiasi (8.1 ml/min), tuttavia l’interruzione di ATV/r porta a un recupero del valore di eGFR con un incremento di 20.1 ml/min in 6 mesi. L’incidenza di urolitiasi appariva, quindi, 10 volte maggiore nei pazienti trattati con ATV/r rispetto ai regimi con PI/r alternativi. Il proseguimento del trattamento con ATV/r appariva gravato da un elevato rischio di recidiva di malattia. congress report “L’eccesso di pazienti in condizioni dismetaboliche trattati con ATV/r può rappresentare un channelling bias che comporta un maggior rischio di urolitiasi” highlights Tra le comorbosità HIV-associate, l’insufficienza renale (CKD) è una sfida importante nella gestione long term del paziente: recentemente, la coorte Eurosida ha mostrato un’incidenza di CKD dell’1.05% per 100 anni/persona di follow up, segnalando un rischio incrementale, associato al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione ma anche alla tossicità a lungo termine dei farmaci ARV, soprattutto TDF, quando utilizzato da solo o in associazione ad ATV/r (1). Inoltre, sono aumentate le segnalazioni di tossicità diretta renale che potrebbero favorire la formazione di calcoli renali (2-3), non solo nei pazienti in terapia con IDV ma anche nei pazienti trattati con ATV e DRV. Le Linee Guida nazionali (4) ed internazionali raccomandano prima di iniziare la cART e durante il monitoraggio viro-immunologico, di studiare la funzione glomerulare, con gli algoritmi di stima del filtrato partendo dalla creatinina sierica (Cockroft-Gault, MDRD, CKD-EPI), e la funzione tubulare, mediante lo studio della proteinuria, in particolare il rapporto proteine/creatinina urinarie. Non viene però specificato come comportarsi in casi sospetti o confermati di urolitiasi. Alcune segnalazioni recenti (5-6), tra cui un articolo di Hamada et al (7), hanno destato l’attenzione sull’urolitiasi associata all’esposizione di ATV/r: questo PI viene escreto (7%) in forma non metabolizzata nelle urine e può quindi precipitare, analogamente ad IDV, sotto forma di cristalli a livello tubulare. Hamada et al ha valutato l’incidenza di urolitiasi nei pazienti che iniziavano una ARV con ATV/r, rispetto a regimi contenenti altri PI, quali fosAPV (con o senza ritonavir), LPV/r o DRV/r. Sono editoriale Urolitiasi in corso di infezione da HIV: revisione della letteratura highlights 54 Tabella 1. Analisi univariata senza e con progressivi aggiustamenti per fattori associati all’outcome di interesse highlights congress report Interazioni farmacologiche Nuove terapie per l’epatite cronica C Percorsi ragionati VIRUS EPATITICI Percorsi ragionati HIV editoriale Uso di ATV/r Età, per 1 anno di incremento Modello 1 Crudo (n= 1.240) HR IC 95% 10.44 3.68-29.59 - Modello 2 Aggiustato (n= 1.115) HR IC 95% 9.33 3.25-26.80 1.01 0.98-1.04 Modello 3 Aggiustato (n= 1.115) HR IC 95% 10.08 3.47-29.12 1.00 0.96-1.04 Sesso maschile - - 1.73 0.37-7.93 1.22 0.25-5.79 Peso corporeo, per 1 Kg di incremento - - 0.96 0.94-1.01 0.96 0.92-1.00 eGFR basale, per 1 ml/ min/1.73 m2 di incremento Acido urico basale per 1 mg/ml di incremento - - - - 1.15 0.96-1.38 - - - - 1.42 1.09-1.85 Storia di urolitiasi - - - - 1.18 0.31-4.50 Pregressa esposizione a indinavir - - - - 1.26 0.41-3.85 L’interpretazione nefrologica corrente dell’urolitiasi inquadra tale patologia nel contesto di un fenomeno dismetabolico complesso, che riconosce nell’insulinoresistenza l’elemento patogenetico di base e nella sindrome metabolica il quadro clinico di contesto. L’associazione tra uso di ATV/r e rischio di calcolosi renale potrebbe essere condizionata dalla preferenza per questo farmaco nei pazienti dislipidemici poiché considerato a minor impatto sul metabolismo lipidico (8-9). In quest’ottica lo studio può risentire di un “channelling bias” cioè di una non omogenea distribuzione della popolazione nei due gruppi di osservazione. La non omogenea distribuzione dei pazienti con iperuricemia al baseline, infatti, può essere interpretata come un eccesso di pazienti affetti da condizioni dismetaboliche nel braccio con ATV/r e, in quanto tali, gravati da maggior rischio di urolitiasi. Un ragionamento analogo a quanto discusso negli ultimi anni per spiegare una possibile associazione spuria tra abacavir e malattie cardiovascolari. In questo contesto, malgrado da diverse esperienze sia emerso che la precipitazione di cristalli a livello dei tubuli renali predisponga all’insorgenza e alla progressione dell’insufficienza renale, questo rischio potrebbe essere mediato da un profilo di rischio cardiovascolare peggiore. I soggetti a più alto rischio cardiovascolare sarebbero più a rischio di sviluppare contemporaneamente insufficienza renale cronica e nefrolitiasi. “Nei soggetti HIV+ trattati la patologia litiasica renale è da approfondire, identificando e correggendone le cause” La patologia litiasica renale nei soggetti con HIV e in ARV è da studiare: questa segnalazione dovrebbe stimolare a verificare l’incidenza di nefrolitiasi in questi pazienti, a identificare le potenziali cause e/o a mettere a punto studi clinici di intervento con potere statistico e durata del follow up adeguati per l’inquadramento clinico-terapeutico di questa problematica. Può essere utile inviare a screening metabolico tutti i pazienti HIV+ con recidive di coliche renali, evidenza di calcoli renali multipli o nei due reni, anomalie urinarie persistenti (cristalluria) ed anamnesi familiare positiva per coliche renali per individuare le anomalie urinarie correggibili responsabili della formazione di calcoli renali e dell’insorgenza e progressione dell’insufficienza renale cronica (10). Giovanni Guaraldi, Giovanni Dolci Clinica Malattie Infettive, Clinica Metabolica, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Antonio Bellasi UOC Nefrologia e Dialisi, Azienda Ospedaliera Sant’Anna, Como Riferimenti bibliografici: 1. Mocroft A, Kirk O, Reiss P, EuroSIDA Study Group. Estimated glomerular filtration rate, chronic kidney disease and antiretroviral drug use in HIV-positive patients. AIDS. 2010 Jul 17; 24(11):1667-78. 2. Del Palacio M, Romero S, Casado JL. Proximal tubular renal dysfunction or damage in HIV-infected patients. AIDS Rev 2012; 14:179-187. 3. 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Novel insights into the pathogenesis of uric acid nephrolithiasis. Current opinion in nephrology and hypertension 2004; 13:181-189. 10. Alexander RT, Hemmelgarn BR, Wiebe N, et al. Kidney stones and kidney function loss: a cohort study. BMJ 2012; 345:e5287. [Urolitiasi in corso di infezione da HIV: revisione della letteratura. G. Guaraldi, G. Dolci, A. Bellasi] Questo numero di ReAd files è stato realizzato con il contributo incondizionato di: