Pubblicazione registrata al Tribunale di Milano n.71 del 10 febbraio 2006 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in
Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB Milano
TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO MEDICO
GIUGNO 2013
ANNO 14
HIV E
TUBERCOLOSI
VIRUS
EPATITICI
Diagnosi e terapia:
verso una svolta?
Il ruolo attuale
della diagnostica
pagina 7
pagina 24
NUOVE TERAPIE
PER L’EPATITE
CRONICA C
Studi di fase 3
con sofosbuvir
pagina 37
INTERAZIONI
FARMACOLOGICHE
tra ARV e antifungini,
antibiotici
e antiparassitari
pagina 39
ONE HUNDRED PER CENT DEDICATED TO
HIV MEDICINES AND RESEARCH, FOCUSED
ON THE NEEDS OF THOSE AFFECTED BY
HIV, AND COMMITTED TO INNOVATION
We are committed to delivering innovation for people
living with HIV
Find out more
100% focused on HIV
indice
Editoriale
3
pag. 5
Nuove soluzioni per problematiche cliniche ancora attuali
Mauro Moroni, Mario Rizzetto
Percorsi ragionati HIV
pag. 7
Diagnosi e terapia: siamo ad un punto di svolta?
Enrico Girardi, Giuseppe Ippolito
La tubercolosi prima della storia: le evidenze paleo-patologiche
Sergio Sabbatani
Epidemiologia e impatto dei flussi migratori in Italia
Francesco Castelli, Federico d’Aversa Bernoni, Alberto Matteelli
Micobatteriosi atipiche
Fabio Franzetti
Quando sospettare la tubercolosi
Roberto Cauda
Diagnostica microbiologica e immunologica
Stefania Cerri, Luca Richeldi
La coinfezione HIV/TB
Andrea Gori
Percorsi ragionati Virus Epatitici
pag. 24
Diagnostica virologica dell’epatite B
Maurizia Rossana Brunetto
Diagnostica virologica dell’epatite C
Valeria Ghisetti
Diagnostica virologica dell’epatite D
Grazia Anna Niro, Antonella Olivero
L’elastografia epatica
Cosimo Colletta
La biopsia epatica nelle epatiti virali croniche
Maria Guido, Massimo Roncalli
I marcatori sierologici di fibrosi epatica
Alfredo Alberti, Sara Piovesan
Nuove terapie per l’epatite cronica C
pag. 37
Gli studi di fase 3 con sofosbuvir
Alessia Ciancio, Mario Rizzetto
Interazioni farmacologiche
pag. 39
Interazioni tra ARV e antifungini, antibiotici e antiparassitari
Andrea Calcagno
Congress report
pag. 44
46th Associazione Italiana per lo Studio del Fegato
Mario Rizzetto
11th European Meeting on HIV and Hepatitis
Valentina Svicher
48th European Association for the Study of the Liver
Highlights
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
pag. 51
4
TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO MEDICO
GIUGNO 2013 - ANNO 14
ISBN: 9788887052718
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editoriale
5
Nuove soluzioni
per problematiche cliniche
ancora attuali
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Interazioni
farmacologiche
congress
report
Per un giovane medico, la possibilità di crescita professionale all’ombra di un grande “Maestro” è un’opportunità
dal valore inestimabile. Il grande Maestro io l’ho avuto, il professor Carlo Zanussi, che mi ha insegnato e trasmesso
molto: prima di tutto, l’umiltà di fronte al quesito diagnostico, la curiosità scientifica, l’amore per lo studio.
Di lui ricordo molti insegnamenti, per lo più ancora oggi validi, uno di questi riguarda il tema di questo numero di
ReAd Files. Egli spesso ripeteva che due sono le patologie a cui non si pensa o a cui si pensa troppo tardi: il morbo
di Crohn e la tubercolosi.
Erano gli anni ‘70; la streptomicina, l’isoniazide, il PAS e la rifampicina avevano svuotato i “sanatori” e portato all’abbandono del pneumotorace terapeutico.
La tubercolosi veniva gradualmente riposta tra le patologie in estinzione. Si chiudevano gli ospedali dedicati e i Presidi anti-tbc nel territorio e lo specialista “tisiologo” evolveva in “pneumologo”.
Oggi sappiamo che la tubercolosi vive la sua ennesima primavera e ci dimostra che le potenzialità di un microorganismo che convive con l’uomo forse da circa 500.000 anni erano state sottovalutate.
L’epidemia da HIV, che attualmente si stima colpisca oltre 45 milioni di persone, ha facilitato la ripresa della circolazione dell’infezione, coincidendo con il fenomeno della globalizzazione e dei flussi migratori.
Lo sguardo al più lontano passato è fornito in questo numero dal dr. Sabbatani, dotto cultore della storia delle epidemie, mentre al prof. Castelli è stata affidata l’epidemiologia attuale e relativa ai flussi migratori. Questi ultimi conferiscono alla tubercolosi una forte valenza politico-sociale. Il 50% dei casi di TB segnalati nel 2011 in Italia si
riferivano infatti a soggetti “non italiani”.
E’ lecito ipotizzare che i casi notificati rappresentino una parte del problema e che permanga una quota di casi “sommersi” e ignoti al SSN. La politica sociale nei confronti dei “non italiani” è cruciale nell’agevolare l’accesso alle strutture sanitarie, nell’interesse dell’individuo e della collettività.
I sintomi dell’infezione da TB sono a lungo subdoli e aspecifici e ciò condiziona non raramente ritardi di diagnosi.
Quando il sospetto è formulato, le possibilità di accertamento sono oggi sensibilmente migliorate, come descritto dai
professori Ippolito e Girardi. Varie metodiche di biologia molecolare sono in grado di fornire risposte in tempi brevissimi e di segnalare i ceppi MDR.
La multiresistenza di ceppi di Mycobacterium tubercolosis costituisce un ulteriore aspetto dell’infezione tubercolare
associata alla sieropositività per HIV oggi particolarmente esteso. Dopo anni di assenza di opzioni terapeutiche alternative, oggi la ricerca mostra un rinnovato interesse e varie molecole sono al centro di studi.
Come illustrato dal professor Gori, il trattamento della coinfezione TB/HIV pone problemi del tutto particolari. Sono
oggetto di discussione sia l’embricazione dei trattamenti anti TB e anti HIV sia la scelta dei farmaci, al fine di evitare interferenze e sommazione di tossicità.
Le micobatteriosi “atipiche” associate ad HIV sono trattate dal professor Franzetti. L’infezione è oggi più rara in virtù
dell’efficacia della terapia ARV. Il problema può tuttavia riemergere a causa del costante incremento dei soggetti con
HIV cosiddetti “late presenter”. Sono questi i casi di più difficile approccio per la comune esigenza di rapido trattamento di entrambe le infezioni.
L’immagine della mummia sottoposta a TAC riportata nel contributo del dr. Sabbatani, può essere considerata un
ponte ideale tra passato e presente, evocando molte suggestioni e suggerimenti. Tra questi, suggeriamo un invito alla
prudenza nel considerare estinto un problema: in campo infettivologico, la tecnologia in assenza di politiche sociosanitarie non basta.
editoriale
HIV: la sfida odierna della tubercolosi
La diagnosi di epatite cronica virale si basa principalmente sugli esami di laboratorio; di fatto l’epatologia
moderna nasce negli anni ‘50 con la scoperta delle transaminasi e l’eziologia virale viene riconosciuta negli anni
‘60 con la scoperta dell’HBsAg.
Poco è cambiato nella batteria degli esami di funzionalità epatica usati di routine per l’accertamento di una epatopatia.
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
highlights
Virus epatitici: il rinnovato ruolo della diagnostica
editoriale
La valutazione morfologica con la laparoscopia, regola diagnostica negli anni ‘70 ed ‘80, è invece stata soppiantata dall’introduzione dell’ecografia epatica e l’ultima manualità privilegiata dell’epatologo, la biopsia epatica, è
ora ridotta dall’avvento dell’elastografia epatica e da test sierologici non invasivi che individuano la fibrosi del fegato. Parimenti, gli importanti e recenti progressi nella virologia hanno fornito test commerciali capaci di misurare
con precisione il livello ematico del virus dell’epatite B, C e D e sono così sensibili da rilevare fino a 10 copie virali
per ml di siero.
La dipendenza assoluta dall’analisi virologica per la gestione terapeutica e la dipendenza crescente dall’elastografia e dai test sierologici specifici per la diagnosi di fibrosi epatica impongono da un lato che l’epatologo abbia
dimestichezza con le metodologie relative e sappia interpretarne il messaggio clinico, dall’altro che egli sappia riconoscere le situazioni in cui è ancora indispensabile una biopsia epatica invasiva.
Dell’elastografia epatica, universalmente valutata con il Fibroscan, vanno conosciuti i parametri che convalidano o
invalidano l’esame ed i limiti nell’interpretazione del risultato nei differenti contesti eziologici.
Dalle analisi virologiche va compreso il significato nella diagnosi e soprattutto nell’iter terapeutico. Ad esempio nella
terapia dell’epatite C il successo è diverso se in corso di trattamento la viremia HCV diventa non più quantizzabile,
ma ancora determinabile oppure se non è più rilevabile. Nel primo caso vi è rischio di recidiva post terapia mentre
nel secondo caso l’infezione è eradicata.
Nell’epatite da HDV, invece, il calo della viremia in trattamento con interferone è indice relativo di effetto terapeutico ma non di cura dell’infezione, poiché la negatività per HDV RNA con i test correnti non esclude che il virus sia
presente a titoli bassissimi, tuttavia capaci di ricapitolare malattia nel paziente trattato il quale rimane HBsAg-positivo. Nell’infezione da HBV, infine, l’espressione nel siero dell’HBsAg è dissociata da quella dell’HBV DNA e l’HBsAg quantitativo ha assunto significato diagnostico “indipendente” che va conosciuto ed utilizzato nella pratica
clinica.
In questo numero di ReAd Files, l’uso del Fibroscan e dei test sierologici di fibrosi epatica unitamente all’utilità residua della biopsia epatica e alle analisi virologiche vengono interpretati da esperti nazionali per fornire all’epatologo le conoscenze metodologiche necessarie alla diagnosi e alla gestione contemporanea dell’epatite virale.
A cura di Mauro Moroni, Mario Rizzetto
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
6
[Editoriale]
Percorsi ragionati
HIV
7
Per quanto riguarda la ricerca in campo terapeutico, sicuramente il 2012 è stato un anno di svolta.
Tabella 1. Accuratezza diagnostica del saggio Xpert® MTB/RIF per la tubercolosi
polmonare e la resistenza alla rifampicina in pazienti adulti: risultati di una revisione
sistematica (2)
N. studi
(n. pazienti)
Identificazione M. tuberculosis
Identificazione resistenza rifampicina
* intervalli di credibilità al 95%
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Tipologia
pazienti
Sensibilità
(IC 95%)*
Specificità
(IC 95%)*
Tutti
Esame espettorato
diretto (+) colturale (+)
Esame espettorato
diretto (–) colturale (+)
HIV (+)
HIV (–)
88% (83% - 92%)
98% (97% - 99%)
98% (97% - 99%)
Tutti
94% (87% - 97%)
15 (7517)
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
congress
report
“Tra le novità
diagnostiche,
la disponibilità
del saggio
molecolare Xpert®
MTB/RIF,
raccomandato
dall’OMS
nei paesi ad
alta endemia”
Prospettive terapeutiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
In campo diagnostico la novità più rilevante è senz’altro
rappresenta dall’entrata in commercio del saggio molecolare Xpert® MTB/RIF. Questo saggio consente di identificare il materiale genetico di M. tuberculosis direttamente
dall’espettorato e di svelare una resistenza alla rifampicina identificando una mutazione del gene rpo B, presente
in oltre il 95% dei ceppi resistenti.
La sua principale caratteristica è quella di essere eseguito
in modo quasi del tutto automatizzato e di fornire il risultato in circa due ore (2).
Una recente revisione (3) degli studi disponibili condotti
negli adulti (tabella 1) mostra una elevata accuratezza diagnostica di questo saggio, anche nei pazienti con infezione
da HIV, ed in particolare una sensibilità superiore al 60%
nei pazienti con esame diretto dell’espettorato negativo.
Nei bambini la sensibilità è del 65-75% (2). L’accuratezza dell’identificazione della resistenza alla rifampicina è molto alta, anche se il problema dei falsi positivi
può diventare significativo in contesti a bassa prevalenza di multiresistenza.
Interazioni
farmacologiche
Novità diagnostiche
L’accuratezza e la semplicità d’uso di Xpert® MTB/RIF ha
portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a raccomandarne l’impiego in paesi ad alta incidenza di tubercolosi.
Comunque una serie di problemi tra i quali il suo costo,
la necessità di garantire temperature controllate per il suo
uso e la conservazione dei reagenti, i problemi legati
alla gestione di apparecchiature elettroniche sofisticate,
rendono non proponibile il suo impiego al di fuori di laboratori di buon livello.
Resta, quindi, ancora aperto il problema di identificare
nuovi saggi diagnostici che possano avere un utilizzo diffuso a livello di point-of-care, ma un numero significativo
di possibili candidati è già in fase di studio (2).
In paesi come l’Italia, va ancora valutato in dettaglio
come l’uso di questo e di altri saggi molecolari vada inserito negli algoritmi diagnostici correnti, ma è consigliabile raccomandare il loro impiego quanto meno in
casi di forte sospetto clinico in pazienti con esami diretti
negativi per M. tuberculosis e quando si sospetta una
multiresistenza (MDR), come in pazienti già trattati o provenienti da paesi ad alta prevalenza di tubercolosi MDR.
68% (59% - 75%)
80% (67% - 88%)
89% (81% - 94%)
11 (2340)
98% (97% - 99%)
Steingart KR et al. Cochrane Database Syst Rev 2013
highlights
Dopo più di un decennio dalla ripresa di un consistente
sforzo di ricerca sulla tubercolosi (1), si stanno concretamente aprendo nuove possibilità nella diagnosi e nel
trattamento di questa patologia.
editoriale
Diagnosi e terapia:
siamo ad un punto di svolta?
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
8
HIV
A giugno 2012 è stata pubblicata una sperimentazione
di fase 2 nella quale si è registrato che pazienti con tubercolosi MDR trattati con delamanid, un farmaco che
inibisce la sintesi dell’acido micolico, in aggiunta ad un
trattamento standard avevano un tasso di negativizzazione colturale dell’espettorato dopo due mesi di terapia
del 45,4% contro il 29,6% del gruppo di controllo (4).
Un mese dopo è stato pubblicato uno studio nel quale
l’associazione di PA-824, un nitroimidazopirano, moxifloxacina e pirazinamide ha dimostrato un’attività battericida in vivo almeno pari a quella del regime standard
a quattro farmaci contenenti isoniazide e rifampicina,
presentandosi quindi come una potenziale terapia per la
forme MDR (5).
Infine il 2012 si è chiuso con l’approvazione per uso clinico da parte della Food and Drug Administration (FDA)
di bedaquilina, un inibitore della ATP-sintetasi (6). Questa
approvazione, a più di quarant’anni da quella di rifampicina, è stata salutata come un evento storico anche se non
mancano gli aspetti critici. Il provvedimento è stato infatti
adottato dall’ente americano con una procedura d’urgenza
e basandosi sui risultati di due trial di fase 2 che mostra-
Percorsi ragionati
“Il 2012 ha visto la pubblicazione
di studi su nuove molecole e
l’approvazione di bedaquilina
per le forme MDR”
vano che l’uso di questo farmaco si associa con una più rapida negativizzazione dell’espettorato in pazienti con tubercolosi MDR, anche se in questi trial si sono registrati 10
decessi tra i 79 pazienti trattati con il nuovo farmaco contro 2 registrati tra gli 81 del gruppo di controllo (7).
Il cammino delle sperimentazioni non appare dunque ne’
semplice, ne’ lineare, ma la speranza di avere disponibili
in clinica nuovi antitubercolari nel giro dei prossimi anni
appare finalmente concreta.
Enrico Girardi,
Giuseppe Ippolito
Dipartimento di Epidemiologia e Direzione Scientifica,
Istituto Nazionale per le Malattie Infettive
Lazzaro Spallanzani, Roma
Riferimenti bibliografici:
1. Keshavjee S, Farmer PE. Tuberculosis, Drug Resistance, and the History of Modern Medicine. N Engl J Med 2012; 367:931936.
2. Lawn SD, Mwaba P, Bates M, et al. Advances in tuberculosis diagnostics: the Xpert MTB/RIF assay and future prospects for a
point-of-care test. Lancet Infect Dis 2013; 13:349-61.
3. Steingart KR, Sohn H, Schiller I, et al. Xpert® MTB/RIF assay for pulmonary tuberculosis and rifampicin resistance in adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013, Issue 1. Art. No.: CD009593. DOI:10.1002/14651858.CD009593.pub2.
4. Gler MT, Skripconoka V, Sanchez-Garavito E, et al. Delamanid for multidrug-resistant pulmonary tuberculosis. N Engl J Med
2012; 366:2151-60.
5. Diacon AH, Dawson R, von Groote-Bidlingmaier F, et al. 14-day bactericidal activity of PA-824, bedaquiline, pyrazinamide,
and moxifloxacin combinations: a randomised trial. Lancet 2012; 380:986-93.
6. US Food and Drug Administration. Briefing Package: NDA 204-384: Sirturo. http://www.fda.gov/downloads/AdvisoryCommittees/CommitteesMeetingMaterials/Drugs/Anti%20InfectiveDrugsAdvisoryCommittee/UCM329258.pdf. November
28, 2012.
7. Avorn J. Approval of a tuberculosis drug based on a paradoxical surrogate measure. JAMA 2013; 309:1349-50.
[Diagnosi e terapia: siamo ad un punto di svolta? E. Girardi, G. Ippolito]
Percorsi ragionati
HIV
9
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Interazioni
farmacologiche
congress
report
“Le indagini non
invasive condotte
sulle mummie
hanno stabilito
che la tubercolosi
era frequente
nell’antico Egitto
durante il periodo
Mesolitico”
ancestrale (DNAa) nei resti di un bisonte vissuto circa
17.000 anni fa (3), è pertanto possibile che già uomini
dediti alla caccia possano avere avuto un primo contatto
con il micobatterio. In questa fase le possibilità di diffusione da uomo a uomo erano limitate, gli aggregati
umani rimanevano ridotti e le comunità vivevano isolate.
Grazie alle nuove tecnologie (TAC) è oggi possibile eseguire indagini non invasive su mummie avvolte in bendaggi o rinchiuse in sarcofagi (figura 1), ottenendo
immagini radiologiche ad altissima definizione.
Gli studi sistematici non solo dei resti umani egizi, ove
già il quadro macroscopico deponeva per TB ossea con
localizzazione vertebrale (figura 2), ma anche indagini
eseguite su resti di soggetti ove non erano evidenti tali reperti, mediante puntuali ricerche biomolecolari, hanno
consentito di stabilire che la tubercolosi era relativamente diffusa nella valle del Nilo (4, 5).
Nel 2001 sono stati resi noti i dati relativi ad uno studio
su 37 scheletri provenienti da Tebe Ovest, retro-datati dal
2.150 al 500 a.C., e di 4 soggetti provenienti dal sito
di Abidos, vissuti intorno al 3.000 a.C. In 30 dei 41 casi
analizzati è stato estratto il DNAa di M. tuberculosis.
Non solo è stato dimostrato DNA specifico in soggetti
con lesioni ossee, compatibili con TB, ma anche in soggetti con lesioni dubbie e in due senza alterazioni ossee.
Sulla scorta di questi dati, è possibile dedurre che la TB
fosse frequente nell’antico Egitto (6).
Una indagine biomolecolare su materiale ritrovato in un
sito archeologico israeliano ha, poi, stabilito che una
donna ed un neonato vissuti circa 9.000 anni fa ave-
highlights
Sir Marc Armand Ruffer nel 1921 descrisse il primo caso
di tubercolosi ossea in una mummia vissuta più di 3.000
anni fa (1): si trattava dei resti del sacerdote Nespherhan
(XXX Dinastia).
Oggi grazie alle nuove tecniche biomolecolari e radiologiche è possibile stimare da quanto tempo l’umanità si
deve confrontare con la tubercolosi.
Nel periodo Mesolitico, la transizione dalla economia
primitiva, caratterizzata da caccia e raccolta, verso
un’economia ove la produzione di cibo era ottenuta grazie alla domesticazione di animali e piante, influì sulla
qualità della vita dell’uomo e permise un discreto incremento demografico.
Con la zootecnia cominciarono a circolare microrganismi ad origine bovina e quelli con il maggiore impatto furono, dalla fine del Mesolitico e poi nel Neolitico, il virus
del vaiolo ed i batteri responsabili di brucellosi e TB.
Secondo studi di retrodatazione genomica, i ceppi ancestrali da cui si sarebbe originato il M. tuberculosis
umano, sarebbero il M. africanus (ancora isolabile in
soggetti viventi in Africa) e altre varianti di micobatteri
che colpiscono gli animali, come il M. prototuberculosis
(2). Questo secondo antenato comune ancestrale si sarebbe originato in Africa circa 40.000 anni fa, quando
le popolazioni di Homo sapiens (dedite a caccia e raccolta) iniziarono la loro migrazione verso Asia, Europa,
Isole della Sonda, 20.000 anni fa verso l’Australia e
15.000 anni fa verso le Americhe.
La prima scoperta di infezione da M. tuberculosis nei
mammiferi sarebbe attestata dal riscontro del suo DNA
editoriale
La tubercolosi prima della storia:
le evidenze paleo-patologiche
HIV
“Un recente ritrovamento
indica che la tubercolosi
avrebbe colpito gli ominidi
già nel Pleistocene medio,
prima della comparsa
dell’Homo sapiens”
vano sofferto di tubercolosi (7).
Alla fine del Mesolitico in aree geografiche della Valle del Nilo, in Mesopotamia
e nel Vicino Oriente sorsero le prime aggregazioni urbane e si determinarono le condizioni per
la diffusione della TB.
L’identificazione di DNA specifico di M. tuberculosis in
una mummia pre-Colombiana, vissuta circa 1.000 anni
fa, ha permesso di chiarire che già prima del viaggio di
Percorsi ragionati
Cristoforo Colombo, le Americhe erano
state “toccate” dalla TB (8).
Sembrerebbe, alla luce di questi riscontri,
tutto “relativamente” chiaro; alcuni anni fa
è stata data però comunicazione del ritrovamento di resti fossili di un ominide
(Homo erectus), vissuto in Turchia occidentale circa 500.000 anni fa durante il
Pleistocene medio, che presentano, sulla
faccia interna di due frammenti dell’osso
frontale, un quadro macroscopico compatibile con leptomeningite tubercolare (9).
Se tale reperto fosse confermato, ci sarebbe
l’evidenza che la TB avrebbe “toccato” gli
ominidi ancor prima della comparsa dell’Homo sapiens.
Sergio Sabbatani
U.O. di Malattie Infettive,
Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
10
Riferimenti bibliografici:
1. Ruffer MA. Studies in the Paleopathology in Egypt. Ed by R.L. Moodie, Chicago 1921.
2. Wirth T, Hildebrand F, Allix-Béguec C, et al. Origin, spread and demography of the Mycobacterium tuberculosis complex.
PLoS Pathog. 2008 Sep 19; 4(9):e1000160.
3. Rothschild BM, Martin LD, Lev G, et al. Mycobacterium tuberculosis DNA from an extinct bison dated 17000 years before the
present. Clin Infect Dis 2001; 33(3):305-11.
4. Morse D, Brothwell DR, Ucko PJ. Tubercolosis in ancient Egypt. Am Rev Respir Dis 1964 Oct; 90:524-41.
5. Bloom BR, Murray CI. Tubercolosis: commentary on a reemergent killer. Science 1992; 257 (5073):1055-64.
6. Zink AR, Grabner W, Reischl U, et al. Molecular study on human tuberculosis in three geographically distinct and time delineated population from ancient Egypt. Epidemiol Infect 2003 Apr; 130(2):239-49.
7. Hershkovitz I, Donoghue HD, Minnikin DE, et al. Detenction and molecular characterization of 9000-year-old Mycobacterium
tuberculosis from a Neolithic settlement in the Eastern Mediterrean.
8. Solo WL, Aufderheide AC, Buikstra J, et al. Identification of Mycobacterium tuberculosis DNA in a pre-Columbian Peruvian
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9. Kappelman J, Alçiçek MC, Kazanci N, et al. First homo erectus from Turkey and implication for migration into temperate Eurasia. Am J Phys Anthropol 2008 Jan; 135(1):110-6.
[La tubercolosi prima della storia: le evidenze paleo-patologiche. S. Sabbatani]
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Ministero della Salute - Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria - Ufficio V Malattie Infettive e Profilassi Internazionale
Decessi per TBC: Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT)
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
“In Italia nel 2011
sono stati notificati
3521 nuovi casi,
con una incidenza
in diminuzione
rispetto agli anni
precedenti e una
mortalità inferiore
a 1/100.000”
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Interazioni
farmacologiche
12.000
congress
report
Numero casi di tubercolosi e decessi
Le stime di incidenza di MDR-TB derivano dai dati delLa tubercolosi mantiene a pieno titolo un ruolo prioritario
l’attività di sorveglianza globale iniziata dall’Organiztra le emergenze sanitarie globali, causando 1.4 milioni
zazione Mondiale di Sanità nel 1994 (3).
di decessi e 8.7 milioni di nuovi casi a livello mondiale
A livello globale, nel 2011 erano sostenuti da ceppi
nel 2011 (1). La maggior parte dei nuovi casi di tuberMDR il 3.7% dei nuovi casi di TB ed il 20% dei casi precolosi stimati nel 2011 si è verificata in Asia (59%) e
cedentemente trattati, ammontando a oltre mezzo miAfrica (26%).
lione di casi totali di MDR-TB. La metà di tali casi erano
I singoli paesi con la stima più elevata di casi incidenti
presenti in tre singoli paesi: Cina, India e Federazione
di tubercolosi erano l’India (tra 2 e 2.5 milioni di casi) e
Russa.
la Cina (tra 0.9 milioni e 1.1 milioni). Le donne assomCirca il 9% dei casi multiresistenti erano classificabili
mavano a 2.9 milioni dei casi e circa mezzo milione di
come XDR-TB, documentati in almeno 84 paesi.
casi erano in età pediatrica.
In Italia nel 2011 sono stati notificati 3,521 nuovi casi di
Mentre l’incidenza della tubercolosi si riduce ad un tasso
TB con una incidenza pari al 5.8/100,000, in riduzione
di circa il 2% all’anno, il tasso di prevalenza si è ridotto,
rispetto al 7.8/100,000 del 2010 (4). La mortalità è da
tra il 1990 ed il 2011, del 36%, come risultato dell’inalcuni anni inferiore a 1/100,000 (figura 1).
tensa campagna di promozione e diffusione del trattaLa proporzione di ceppi MDR tra i nuovi casi di TB era
mento standardizzato della tubercolosi (2).
del 3.3% confermandosi stabile nell’ultimo decennio,
La coinfezione TB/HIV e la tubercolosi multiresistente
anche se tra i casi MDR, oltre il 10% erano XDR.
(MDR-TB) rappresentano due sfide emergenti a livello gloIl sistema di sorveglianza della tubercolosi in Italia prebale. Degli 1.1 milioni di casi di coinfetti per TB/HIV a
senta ancora due elementi di debolezza significativa:
livello globale, il 79% sono registrati nel continente afrinon sono misurabili i tassi di coinfezione TB/HIV, perché
cano, dove in media il 39% dei nuovi casi di TB avvenil sistema di sorveglianza della tubercolosi non contiene,
gono in persone sieropositive per HIV.
per ragioni di riservatezza, informazione sullo stato di inLa coinfezione TB/HIV è responsabile di circa 430,000
fezione da HIV. Inoltre non sono riportati i dati di “treatcasi su 1.4 milioni di decessi totali attribuiti alla TB.
ment outcome”: sebbene a livello nazionale sia stato da
alcuni anni varato uno strumento
idoneo per la sorveglianza, il
Figura 1. Casi totali di tubercolosi e decessi dal 1995 al 2008
dato rimane non disponibile per
i ritardi di notifica da parte delle
14.000
Totale casi
Decessi
singole regioni.
highlights
La tubercolosi nel mondo ed in Italia
editoriale
Epidemiologia e impatto dei flussi
migratori in Italia
HIV
12
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
TB tra gli immigrati in Italia
Figura 2. Tassi grezzi di incidenza TB specifica per paese di nascita
Nati in Italia
Nati all’estero
Nati all’estero + NN
100
Casi di tubercolosi per 100.000 residenti
(scala longaritmica)
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
“La metà dei casi totali
in Italia si verifica
negli stranieri”
Percorsi ragionati
In Italia la tubercolosi è oggi legata
10
ad alcuni fattori di rischio specifici,
tra i quali è ben documentato il
ruolo dei flussi migratori: i cittadini
“non italiani” assommavano nel
2011 a circa il 50% dei casi totali
1
di tubercolosi in Italia (4).
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Nel periodo 2003-2008 il valore
medio dell’incidenza della TB negli
Ministero della Salute - Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria - Ufficio V Malattie Infettive e Profilassi Internazionale
stranieri si attesta intorno a 70
nuovi casi per 100,000 personeControllo della tubercolosi in soggetti
anno, dato sostanzialmente superiore a quello medio naimmigrati: diagnosi e cura dei casi sintomatici
zionale (7.5 casi per 100,000) (figura 2).
Le strategie di controllo della tubercolosi in soggetti immigrati
Malgrado l’aumento del numero dei casi di TB tra gli imsono state oggetto di un documento di consenso recepito nel
migrati (dovuto al parallelo incremento nel numero totale
2010 dal Ministero della Salute (8). Il documento suggerisce
degli immigrati in Italia), vi è una sostanziale stabilità delcinque interventi essenziali, elencati in ordine di priorità:
l’incidenza in questa popolazione.
• migliorare l’accesso ai servizi per le persone immigrate
Le basi patogenetiche della tubercolosi nei soggetti immigrati
• riorientare i servizi sanitari
risiedono nella promozione della progressione da infezione
• migliorare l’adesione al trattamento antitubercolare
a malattia tubercolare causata dal fenomeno migratorio (ge• promuovere programmi di ricerca attiva dei casi di infeneralmente associato ad un drastico peggioramento delle
zione e malattia tubercolare
condizioni socio-economiche nel paese di arrivo) in soggetti
• offrire la vaccinazione antitubercolare.
ad alta prevalenza di infezione tubercolare latente.
L’elemento della “permeabilità” dei servizi è determinante
In misura probabilmente inferiore, concorre il maggior riper garantire percorsi di tutela sanitaria specifici nell’amschio di nuove infezioni dovuto alla ampia circolazione di
bito di una più generale funzione di contrasto alle disemicobatteri nelle comunità chiuse e svantaggiate degli imguaglianze da parte dei Servizi per la Salute Pubblica.
migrati recenti. Coerentemente con questo modello patogeGli interventi per ridurre le barriere di accesso e favorire la
netico, circa l’80% dei casi di TB in immigrati in Italia si
fruibilità dei percorsi assistenziali, di prevenzione e di cura,
verificano entro 5 anni dal fenomeno migratorio (5).
si articolano attorno a due strategie. Il primo elemento è
Caratteristiche cliniche negli immigrati
costituito dall’informazione sui diritti (e doveri) e sui perI casi di tubercolosi in cittadini stranieri si concentrano nelle
corsi assistenziali per le popolazioni immigrate.
classi di età giovane e adulta (fascia di età 25-34 anni) menTale processo prevede il coinvolgimento, la responsabiliztre negli italiani il picco dei casi si ha a 65 anni. A livello clizazione e il protagonismo delle comunità di immigrati (intese come organizzazioni, singoli leader, associazioni
nico, non vi è evidenza che le caratteristiche della TB negli
specifiche, mediatori organizzati ecc.), fino a che esse
immigrati siano differenti da quelle in soggetti autoctoni.
stesse non ne diventino i principali promotori e attori.
La sola differenza documentata è una maggior prevalenza
Le istituzioni, in collaborazione con l’associazionismo e il
di resistenze primarie all’isoniazide (6) e di casi MDR.
terzo settore, devono favorire e supportare tale processo
Non vi è altresì alcuna evidenza di una associazione tra TB
fornendo conoscenze, mezzi e strumenti, in una logica di
e coinfezione con il virus HIV in soggetti immigrati. In effetti,
forte integrazione con le competenze comunitarie e trala probabilità di coinfezione con HIV è quattro volte magdizionali.
giore in soggetti italiani con TB rispetto agli stranieri (7).
[Epidemiologia e impatto dei flussi migratori in Italia. F. Castelli, F. d’Aversa Bernoni, A. Matteelli]
13
Alberto Matteelli
Clinica di Malattie Infettive e Tropicali, Università degli Studi
di Brescia, WHO Collaborating Centre for TB/HIV coinfection
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11. Carvalho AC, Saleri N, El Hamad I, et al. Completion of screening for latent tuberculosis infection among immigrants. Epidemiol Infect 2005; 133:179-185.
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[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Percorsi ragionati
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Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Francesco Castelli,
Federico d’Aversa Bernoni,
Interazioni
farmacologiche
specifici programmi per il supporto dell’aderenza al trattamento antitubercolare. Importanti sono anche le attività di
ricerca attiva dei casi di tubercolosi tra gli immigrati durante i primi 5 anni dalla immigrazione. Gli strumenti per
lo screening della malattia devono essere semplici e adottabili anche nell’ambito della comunità: ad esempio l’utilizzo di questionari per l’identificazione di segni e sintomi
di tubercolosi.
Le persone con segni e sintomi devono poi essere avviate
ad un iter diagnostico di secondo livello, basato su elementi
clinici, radiologici e microbiologici.
Lo screening ed il trattamento dell’infezione tubercolare latente in soggetti stranieri è raccomandato, ma viene sottolineato che il profilo di costo-efficacia dell’intervento è
sfavorevole in molte situazioni, per le difficoltà della diagnosi
di infezione tubercolare latente e per la bassa percentuale di
completamento dei regimi di terapia preventiva (12-13).
editoriale
“Un recente documento suggerisce gli interventi per favorire accesso e utilizzo dei percorsi assistenziali agli immigrati con TB”
congress
report
Il secondo elemento è rappresentato dalla sensibilizzazione dell’intero servizio sanitario al problema dell’accesso ai servizi per gli immigrati.
Tale processo prevede varie azioni che vanno dalla formazione degli operatori, al lavoro multidisciplinare, al lavoro
di rete intra-aziendale, interistituzionale e con l’associazionismo (autoctono e di immigrati), al modellamento dei servizi in chiave transculturale (accesso equo e leggibile per
tutti) e interculturale (attenzione specifica per alcuni contesti linguistici e culturali). E’ importante ricordare che in Italia sono disponibili gli strumenti di natura giuridica che
rendono possibile in tutti i casi la presa in carico delle persone straniere con sospetto di tubercolosi, riconoscendo che
il diritto all’accesso trova giustificazioni tanto nei vantaggi
che offre alle strategie di sanità pubblica, quanto negli obblighi deontologici della professione sanitaria (9).
Dal punto di vista più squisitamente tecnico, il documento
sottolinea la prioritaria importanza di completare il trattamento antitubercolare nelle persone immigrate. Vi sono
dati, solo aneddotici per la indisponibilità di un sistema nazionale di monitoraggio, che indicano che i tassi di completamento della terapia antitubercolare sono inferiori negli
immigrati rispetto agli italiani. Presso il più grande centro
antitubercolare di Milano nel periodo 1999-2003 avevano
abbandonato il trattamento antitubercolare il 10% degli italiani, l’8.8% degli stranieri con regolare permesso di soggiorno e il 22.4% degli stranieri irregolari (10).
Questi dati suggeriscono che almeno per alcune frange
della popolazione immigrata vi sia la necessità di adottare
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highlights
Percorsi ragionati
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14
Percorsi ragionati
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
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Micobatteriosi atipiche
Nei pazienti con AIDS nei paesi sviluppati, le infezioni disseminate da micobatteri atipici (in genere da Mycobacterium Avium Complex, MAC) erano l’infezione opportunistica
batterica più frequente con prevalenze del 20-40% tra pazienti senza chemioprofilassi specifica (1). Dopo l’introduzione della HAART (2), frequenza e mortalità di tali infezioni
si sono ridotte ma esse rappresentano tuttora la prima causa
di febbre di origine sconosciuta in pazienti senza HAART e
la seconda causa in pazienti in HAART (3).
alimentato il fenomeno delle sindromi da immunoricostituzione (IRIS) associate alle infezioni da MAC, al terzo posto
tra le infezioni responsabili di IRIS in pazienti con AIDS (7).
Le IRIS si manifestano con una sintomatologia indistinguibile
da quella dell’infezione attiva, ma senza l’isolamento del microrganismo. La sindrome è descritta sia in pazienti con diagnosi recente di infezione da MAC, sia in pazienti con
infezione subclinica, slatentizzata dal ripristino della risposta
immune indotta dalla HAART (“unmasking IRIS”).
Caratteristiche cliniche
Trattamento
Le micobatteriosi disseminate sono caratterizzate da un interessamento multiorgano, con sintomatologia sistemica
aspecifica, in cui epato-splenomegalia, diarrea, dolori addominali, anemia e incremento della fosfatasi alcalina sierica rappresentano elementi di sospetto diagnostico (2).
Queste sono associate anche a molteplici localizzazioni d’organo (linfadeniti, polmoniti, pericarditi, osteomieliti, ecc.), segnalate anche in era post-HAART, spesso identificando una
popolazione di pazienti immunological non-responder alla
HAART (4, 5). Non mancano, inoltre, le recidive anche con
CD4+ > 500 cellule/mmc (6). La diffusione della HAART ha
Si basa su una combinazione di 2/3 antibiotici (tabella 1):
• 1° farmaco: va scelto tra claritromicina e azitromicina.
La prima garantisce una risposta clinica e microbiologica
superiore (8), la seconda va preferita nelle donne in gravidanza e in caso di interazioni farmacologiche con gli
antiretrovirali. Questi farmaci si possono impiegare
anche se l’infezione si sviluppa in corso di profilassi primaria, dato che gli isolati di MAC mantengono spesso la
sensibilità ai due farmaci (1).
• 2° farmaco: va preferito etambutolo.
• 3° farmaco: viene aggiunto nei pazienti più a rischio
(CD4+ < 50 cellule/mmc, elevata carica micobatterica
nel sangue, assenza di HAART). In questo caso si privilegia rifabutina. Farmaci alternativi sono amikacina e
fluorochinoloni (preferibilmente moxifloxacina o levofloxacina); più raramente etionamide e cicloserina (non
disponibili in Italia).
Nella scelta dei farmaci vanno valutate le interazioni farmacologiche di claritromicina e rifabutina con la HAART (tabella 2) e le potenziali tossicità cumulative, come ad esempio,
neurotossicità di etionamide/cicloserina + efavirenz; nefrotossicità di amikacina + tenofovir; effetto aritmogeno di macrolidi/fluorochinoloni + inibitori della proteasi/efavirenz.
La terapia va protratta fino a ricostituzione immunologica:
il paziente deve aver completato almeno 1 anno di trattamento, essere asintomatico e avere CD4+ stabilmente >100
cellule/mmc (per > 6 mesi) (2).
Tabella 1. Posologie degli antibiotici impiegati nella
terapia e nella profilassi delle infezioni disseminate
da Mycobacterium avium
Antibiotico
Posologia
terapia
Posologia
chemioprofilassi
Azitromicina
500-600 mg x 1 OS
1200 mg 1 volta/settimana OS
Claritromicina
500 mg x 2 OS *
Rifabutina
300 mg x 1 OS #
15 mg/kg/die OS
n.i.
Ciprofloxacina
Etambutolo
750 mg x 2 OS
n.i.
Moxifloxacina
400 mg x 1 OS
n.i.
Levofloxacina
500 mg x 1 OS
n.i.
Amikacina
15 mg/kg/die EV
n.i.
Cicloserina
15 mg/kg/die OS
n.i.
Etionamide
15 mg/kg/die OS
n.i.
Legenda: n.i. = non indicato
* Dosi di claritromicina >1 g/die non vanno impiegate, perché associate
ad un aumento del rischio di mortalità.
# Dosi di rifabutina > 450 mg/die in combinazione con claritromicina
sono associate ad un elevato rischio di uveite.
[Micobatteriosi atipiche. F. Franzetti]
“Pur ridotte nell’era della HAART, le
infezioni da MAC sono spesso responsabili delle sindromi da ricostituzione”
Percorsi ragionati
HIV
15
PI/r
$CLA
$CLA
#ETV
$CLA
#RPV
#AUC CLA
(tranne FPV)
#CLA e COBI
#MVC
Ridurre CLA
(250 mg x 2)
Se CrCl 5060 ml/min:
ridurre CLA
(250 mg x 2) e
non associare se
< 50-60 ml/min
Ridurre MVC
(150 mg x 2)
$EVG
$MVC
$RBT
$RBT
e ETV
#RBT
$NVP
$RPV
#RBT
Aumentare
RBT
(450-600
mg/die)
Solo se
NON
associati
a PI/r
n.v.p.
NON
associare
Ridurre RBT
(150 mg/die
o 300 mg 3 v/
settimana)
NON
associare
Ridurre MVC
(150 mg x 2)
se usato con
inibitori CYP3A
COBI = cobicistat; CrCl = clearance della creatinina; EFV = efavirenz; ETV = etravirina; EVG = elvitegravir;
MVC = maraviroc; NVP = nevirapina; PI/r= inibitori della proteasi associati a ritonavir; RPV = rilpivirina;
n.v.p. = nessuna variazione posologica
Profilassi
E’ consigliata in pazienti con CD4+ < 50 cellule/mmc
dopo avere escluso un’infezione micobatterica in atto. Farmaci di scelta sono sempre claritromicina e azitromicina. In
caso di intolleranza, si ricorre all’utilizzo di rifabutina.
La profilassi può essere sospesa nei pazienti che hanno ri-
“Nella scelta
dei farmaci
vanno valutate
le interazioni
farmacologiche
con la HAART
e le potenziali
tossicità
cumulative”
sposto alla HAART, raggiungendo una conta di CD4+
>100 cellule/mmc per un periodo > 3 mesi (9, 10).
Fabio Franzetti
Istituto di Malattie Infettive, Università
di Milano, A.O. Luigi Sacco, Milano
Riferimenti bibliografici:
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[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
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Preferire AZI
Rifabutina
(RBT)
Inibitori
CCR5
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Claritromicina
(CLA)
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Tabella 2. Principali interazioni farmacologiche tra antiretrovirali e antibiotici
impiegati nella terapia delle infezioni disseminate da Mycobacterium avium
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Quando sospettare la tubercolosi
La diagnosi di tubercolosi non è sempre agevole, ma
deve essere perseguita con particolare attenzione poichè
causa un incremento della replicazione di HIV, accelera
la progressione della malattia e, da ultimo, aumenta la
mortalità (1,2).
La tubercolosi rappresenta ancora oggi una importante
patologia associata all’infezione da HIV, sia come nuova
infezione che come riattivazione di una vecchia infezione, a qualunque livello di linfociti CD4+, anche se i livelli più bassi si associano più di frequente a forme
extrapolmonari (3).
Tra i fattori di rischio da considerare ai fini diagnostici
sono la provenienza da aree di endemia per tubercolosi,
la tossicodipendenza (4) e la malnutrizione.
Forme polmonari ed extrapolmonari
In un individuo la cui risposta immunitaria cellulare non è
particolarmente compromessa, la tubercolosi si presenta
come forma polmonare tipica con addensamenti e cavità
ai lobi superiori del polmone e senza una significativa
linfadenopatia o versamento pleurico. In questa forma
l’espettorato è raramente positivo per una scarsa emissione di micobatteri.
Le forme polmonari saranno sospettate in presenza di una
sintomatologia respiratoria che non risponde alla terapia
antibiotica. Sovente i chinolonici utilizzati in modo empirico in queste situazioni, per un loro effetto anti tubercolare, possono ritardare la diagnosi.
Le forme extrapolmonari (5) sono quelle più comuni tra i
soggetti con HIV soprattutto tra quelli più immunocompromessi, talora associandosi alla localizzazione polmonare
della malattia. Si tratta di forme linfatiche, disseminate,
pleuriche, pericardiche o localizzate in altra sede.
Le forme disseminate (particolarmente frequenti in epoca
pre HAART) prevalgono nelle fasi avanzate di infezione
da HIV e presentano una sintomatologia di tipo sistemico
caratterizzata da febbre, astenia, perdita di peso, ecc.
“Negli HIV+ è importante ottenere
una diagnosi rapida per l’impatto
negativo della TB sulla progressione
ad AIDS e sulla mortalità”
[Quando sospettare la tubercolosi. R. Cauda]
In questi casi la diagnosi è molto problematica per l’aspecificità della sintomatologia.
Più agevole è la diagnosi di linfadenopatia tubercolare
che si presenta in forma multifocale, spesso fistolizzata
ed associata a febbre, perdita di peso, e talora ad alterazioni a livello polmonare.
Nella figura 1 è ben evidente il quadro di una grossolana linfadenopatia confluente a livello del collo bilateralmente con aree necrotiche, colliquate che inglobano e
comprimono i vasi.
La diagnosi di tubercolosi è stata formulata in questo caso
mediante esame microscopico diretto e amplificazione
genomica per M. tuberculosis del materiale bioptico prelevato.
Anche in epoca HAART è possibile osservare, in soggetti
che giungono tardivamente all’osservazione medica, specie se provenienti da aree endemiche per tubercolosi ed
HIV, forme disseminate con localizzazioni “inusitate” che
possono porre problemi di diagnosi differenziale, come
ad esempio quella indicata nella figura 2, dove è evidente una tumefazione dell’ovaio sinistro indissociabile
dalle anse intestinali in parte inglobate e noduli peritoneali. In questo caso la diagnosi di tubercolosi è stata formulata sulla base della positività dell’esame colturale
della biopsia peritoneale.
Figura 1. Grossolane e confluenti linfoadenopatie,
con ampie aree necrotico/colliquative, che
interessano pressochè tutte le stazioni linfonodali
sovra e sottoioidee
la ricerca di forme acido-alcool resistenti (che spesso risultano tuttavia negativi).
La presenza di linfadenopatia con caratteristiche di multifocalità deve far sempre porre il sospetto di tubercolosi
linfoghiandolare. In caso di sospetto di forme disseminate
si effettueranno emocolture, mieloculture, e, laddove si
ravvisi l’indicazione, biopsie di specifici organi.
Di converso, nei casi in cui venga posta diagnosi di tubercolosi in mancanza del dato sulla sieropositività, specie se si tratta di un soggetto tossicodipendente o
proveniente da aree di endemia, andrà sempre presa in
considerazione la coesistenza dell’infezione da HIV.
Roberto Cauda
Istituto di Clinica delle Malattie Infettive
Università Cattolica S. Cuore, Roma
editoriale
Percorsi ragionati
HIV
“Negli HIV+ prevalgono le forme extrapolmonari e sono frequenti le forme
disseminate con localizzazioni inusitate
e sintomatologia aspecifica”
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
highlights
Riferimenti bibliografici:
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congress
report
Interazioni
farmacologiche
In conclusione, la diagnosi di tubercolosi non è facile: il
sospetto può nascere in un soggetto di cui sia nota la sieropositività per HIV, sulla base di sintomi respiratori
anche se l’assenza di questi non ne esclude la presenza.
Nel sospetto di tubercolosi polmonare va prontamente
eseguita un’indagine radiologica del torace sia convenzionale che TC e vanno inviati gli esami dell’escreato per
17
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Figura 2. Tumefazione dell’ovaio di sn, indissociabile
dalle anse intestinali fra loro in parte conglobate
HIV
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
HIV
18
Percorsi ragionati
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Diagnostica microbiologica
e immunologica
La diagnosi microbiologica di tubercolosi attiva generalmente è motivata dal sospetto clinico, sulla base di una sintomatologia e/o di alterazioni radiologiche compatibili, e in
particolare in quei pazienti che presentino fattori di rischio
noti per tubercolosi (ad esempio, storia di esposizione, provenienza da paesi ad elevata prevalenza di infezione tubercolare, condizioni di immunodepressione) (1).
Nella maggior parte dei casi la malattia interessa il polmone, ma potrebbe colpire virtualmente qualsiasi organo.
Le manifestazioni extra-polmonari di tubercolosi sono spesso
difficili da diagnosticare, anche a causa della difficoltà di ottenere campioni validi per analisi microbiologiche quando
la malattia colpisce siti scarsamente accessibili (2).
Test microbiologici
Trattandosi di una malattia infettiva, la diagnosi microbiologica di certezza presupporrebbe l’isolamento colturale di Mycobacterium tuberculosis (MTB) da un campione biologico.
Una diagnosi presuntiva di tubercolosi si basa normalmente
sul riscontro di bacilli alcol-acido resistenti (BAAR) all’esame
microscopico diretto di un campione diagnostico, come ad
esempio uno striscio di espettorato o un campione di tessuto
(per esempio, una biopsia linfonodale). Sebbene sia poco
costosa, la microscopia diretta per la ricerca di BAAR ha una
sensibilità relativamente bassa (40-60%) in casi di TB polmonare confermati dall’esame colturale. Per i pazienti con
sospetta tubercolosi polmonare, è tuttora raccomandato di
inviare due o tre campioni di espettorato, preferibilmente raccolti nelle prime ore del mattino, per la ricerca di BAAR all’esame microscopico diretto e per la coltura per micobatteri.
E’ dimostrato come la sensibilità dell’esame microscopico
diretto su espettorato possa raggiungere il 70% quando si
considerano campioni multipli (3).
La diagnosi definitiva dipende dall’isolamento e dall’identificazione di MTB in un campione clinico o l’identificazione
“La diagnosi si basa su isolamento e
identificazione di MTB in un campione
clinico o su identificazione
di sequenze specifiche di DNA con
amplificazione di acidi nucleici”
[Diagnostica microbiologica e immunologica. S. Cerri, L. Richeldi]
di sequenze specifiche di DNA in un test di amplificazione
di acidi nucleici. Poiché la maggior parte delle specie di micobatteri, tra cui MTB, crescono lentamente in terreno solido, sono necessarie 4-8 settimane prima che si possa
rilevarne la crescita. Oggi, nella maggior parte dei laboratori l’uso di terreni liquidi di coltura per l’isolamento dei micobatteri e l’identificazione di specie con metodi molecolari
di cromatografia liquida hanno sostituito l’isolamento su terreni solidi e l’identificazione mediante test biochimici. Questi metodi hanno diminuito il tempo necessario per la
conferma batteriologica di tubercolosi a 2-3 settimane (4).
Dopo l’isolamento colturale, devono essere sempre eseguiti
i test di farmacosensibilità per i farmaci antitubercolari di
prima linea, generalmente condotti in terreni liquidi di coltura e pertanto in grado di fornire un risultato in 1-2 settimane dopo positività dell’esame colturale. La diagnosi di
farmacoresistenza ai farmaci antitubercolari di seconda
linea è, invece, riservata ai laboratori di riferimento.
I test di amplificazione degli acidi nucleici permettono la
diagnosi di tubercolosi in poche ore, con elevata specificità e sensibilità che si approssima a quella della cultura.
Questi test sono molto utili per la conferma rapida di tubercolosi in persone con campioni positivi per BAAR, ma
hanno anche utilità per la diagnosi di tubercolosi polmonare ed extra-polmonare con esame microscopico diretto
negativo (sebbene in questi casi la sensibilità del test possa
essere molto variabile) (5).
I test di diagnostica molecolare basati sull’amplificazione
degli acidi nucleici, inoltre, vengono anche utilizzati per
l’identificazione delle specie di micobatteri dopo positività
delle colture, nonché per la diagnosi rapida di farmacoresistenza (6). Recentemente è stato sviluppato un nuovo test
molecolare ad elevata automatizzazione, Xpert MTB/RIF
(Cepheid, Sunnyvale, CA, USA) che si basa sull’amplificazione degli acidi nucleici e che consente non solo di rilevare la presenza di DNA di MTB (e quindi di fornire una
diagnosi microbiologica), ma anche di individuare la presenza di resistenza alla rifampicina con elevata sensibilità
(7, 8). Questo test è caratterizzato da elevate sensibilità e
specificità (tabella 1) anche in campioni di espettorato negativi all’esame microscopico diretto, nonché da un elevato
valore predittivo negativo (99.3%). Di fatto, almeno nelle
aree a più elevata prevalenza, la presenza di resistenza
alla rifampicina è in realtà sinonimo di tubercolosi multi-re-
HIV
88-90%
76%
90.4%**
97%
99%
per entrambi
i metodi
98.4%
1 giorno
Fino a 6-8 settimane
- in media 10-15 giorni
- in media 3-4 settimane
1 giorno
94-98%
98-100%
96-98%
100%
1-2 giorni
1 giorno (dopo positività delle colture)
MTB: Mycobacterium tuberculosis. LPAs: Line Probe Assays;
*Sensibilità combinata in 3 campioni consecutivi. **Casi con esame microscopico diretto positivo:
sensibilità stimata del 98.7%; casi con esame microscopico diretto negativo: sensibilità stimata
del 75.0%. ***In campioni positivi all’esame microscopico diretto.
sistente, pertanto l’identificazione precoce di resistenza alla
rifampicina consente di orientare il clinico nella scelta del
regime terapeutico più appropriato.
Il test è stato sviluppato per la determinazione rapida di
MTB in campioni di espettorato, tuttavia sono allo studio
possibili applicazioni in altri campioni biologici.
Test immunologici
In assenza di una conferma microbiologica, la diagnosi
presuntiva di tubercolosi attiva potrebbe anche essere derivata da una clinica compatibile e dalla dimostrazione di
una risposta immunitaria cellulo-mediata nei confronti di
MTB. Fino a circa dieci anni or sono, l’unico test standardizzato disponibile per identificare questa risposta immunitaria specifica nei confronti di MTB è stato il test cutaneo
tubercolinico (TCT). Il test si basa sull’iniezione intradermica
di 0,1 ml di una soluzione contenente un pool di antigeni
di derivazione micobatterica (derivato proteico purificato
o PPD) solitamente a livello della superficie volare dell’avambraccio. Un’iniezione intradermica correttamente
eseguita dovrebbe risultare nella formazione di un pomfo di
6-10 mm di diametro.
La lettura del test cutaneo tubercolinico (tramite ispezione e
palpazione della zona di inoculo della tubercolina) deve essere effettuata entro 48-72 ore dopo l’inoculazione. Il risultato è espresso in termini di mm di diametro dell’infiltrato
cutaneo; il diametro dell’area di eritema invece non deve
essere preso in considerazione. Le linee guida congiunte
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
“Il nuovo
test molecolare
Xpert MTB-RIF
ottiene una rapida
diagnosi e la
rilevazione della
farmacoresistenza
con specificità
e sensibilità elevate”
dell’American Thoracic Society, dei Centers for Disease Control and dell’Infectious Disease Society of America pubblicate nel 2000 hanno proposto tre livelli di cut-off per definire
la positività di un TCT sulla base dei fattori di rischio individuali di infezione e di progressione a malattia attiva (9).
L’interpretazione del risultato, infatti, richiede una valutazione clinica che tenga conto dell’effettiva probabilità di infezione e, inoltre, dell’esistenza di eventuali condizioni che
possano falsare il risultato, sia in senso positivo che in senso
negativo. In pazienti che per provenienza geografica o storia clinica pregressa hanno una certa probabilità di essere
stati infettati da micobatteri non tubercolari, o in coloro che
hanno ricevuto la vaccinazione con Bacillo di Calmette-Guérin (BCG), una positività del TCT non può essere interpretata come sinonimo di infezione da MTB.
Infatti, il preparato antigenico (PPD) utilizzato nel TCT contiene un pool di oltre 200 antigeni, molti dei quali presentano reattività crociata con i micobatteri non tubercolari o
con i ceppi di BCG, responsabili di indurre reazioni falsamente positive al test.
D’altro canto, ci possono essere diversi motivi per cui la
reazione al TCT possa essere interpretata come falsamente
negativa a dispetto della presenza di infezione tubercolare. Questi includono errori nella somministrazione dei
reagenti e/o nella lettura del risultato, di solito legati all’inesperienza di chi esegue il test.
Inoltre condizioni che comportano una diminuita efficienza
della risposta immunitaria cellulo-mediata (in particolare
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HIV
70%*
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VIRUS EPATITICI
Tempo per il risultato
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
LPAs (per identificazione molecolare
diretta e diagnosi di resistenza
a rifampicina ± isoniazide)***
Identificazione molecolare di MTB
Specificità
Interazioni
farmacologiche
Esame microscopico diretto
Esame colturale
- terreno liquido
- terreno solido
Xpert MTB/RIF
Sensibilità
congress
report
Tabella 1. Tubercolosi polmonare: diagnostica microbiologica a confronto
editoriale
19
highlights
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highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
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VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
20
Percorsi ragionati
Tabella 2. Confronto tra le caratteristiche degli IGRA (T-SPOT.TB e QuantiFERON-TB)
e del test cutaneo tubercolinico
T-SPOT.TB
QuantiFERON-TB
ESAT-6 + CFP10
SÌ
ESAT-6 + CFP10 (TB7.7)
Sì
PPD
No
Sì
No
No
Sì
No
No
No
Sì
Sì
16-20 ore
In vitro
16-24 ore
In vitro
Obiettiva (strumentale)
No
Obiettiva (strumentale)
No
Non ancora definita
Non in grado di distinguere
Non in grado di distinguere
Non ancora definita
Non in grado di distinguere
Non in grado di distinguere
Elevata/molto elevata
Scarsa influenza
Elevata
Poca influenza
Certo grado di correlazione soprattutto tra non BCG vaccinati
Significativa influenza
Età avanzata
Sensibilità per ITBL
Poca influenza
86-93%
Poca influenza
63-82%
Significativa influenza
71-82%
Specificità per ITBL
86-100%
No BCG: 98-100%
BCG: 94-98%
Dati longitudinali
Scarsi
Scarsi
Antigeni
Controllo positivo
Uniformità di metodi e di reagenti
Possibile effetto boosting in test ripetuti
Visita di ritorno
Tempo per ottenere il risultato
Setting del test
Interpretazione del test
Interferenza da BCG
Conversione (da negativo a positivo)
Infezione vs. malattia
Infezione recente versus remota
Correlazione con l’esposizione
Immunodepressione
Test cutaneo
48-72 ore
In vivo
Soggettiva (operatore-dipendente)
Sì
Criteri stabili per conversione recente
Non in grado di distinguere
Non in grado di distinguere
No BCG: 95-99%
BCG: eterogenea
Abbondanti
Legenda: ESAT-6: early secretory antigenic target-6; CFP10: culture filtrate protein 10; PPD: purified protein derivative (derivato proteico purificato);
BCG: bacillo di Calmette-Guérin; ITBL: infezione tubercolare latente.
“La positività ai test IGRA, insieme ai dati clinici e radiologici, aiuta il clinico
nella diagnosi in assenza di una conferma microbiologica”
l’infezione da HIV, ma anche patologie neoplastiche, terapie protratte con corticosteroidi o farmaci immunosoppressori, stati di malnutrizione e l’età avanzata) si associano a
una diminuita reattività alla tubercolina, con possibili risposte falsamente negative.
I test IGRA
Nell’ultimo decennio sono stati commercializzati due test in
vitro per la diagnosi di infezione tubercolare, che si basano sulla misurazione del rilascio di interferone gamma
(IFN-γ) dopo stimolazione in vitro mediante antigeni specifici di MTB dei linfociti T derivati dal sangue periferico.
I due test oggi disponibili in commercio sono il test QuantiFERON-TB In-tube (Cellestis, QIAGEN), che si avvale di
[Diagnostica microbiologica e immunologica. S. Cerri, L. Richeldi]
una metodica ELISA, e il test T-SPOT.TB (Oxford Immunotec,
Abingdon, Regno Unito), che utilizza la metodica di Enzyme-Linked Immunosorbent SPOT (ELISPOT).
Questi test vengono citati collettivamente con l’acronimo
IGRA (Interferon-Gamma Release Assays) e dal punto di
vista tecnico si basano sul principio che l’infezione da MTB
dà luogo a una popolazione di linfociti T antigene-specifici
con le caratteristiche di cellule effettrici di memoria: pertanto in soggetti infettati tali cellule (presenti in circolazione
nel sangue periferico) saranno in grado di produrre IFN-γ
in risposta ad una successiva stimolazione con antigeni micobatterici.
Quale stimolo antigenico, gli IGRA si avvalgono di prodotti proteici codificati in una porzione del genoma di
Riferimenti bibliografici:
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[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
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Luca Richeldi
Università di Modena e Reggio Emilia
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Stefania Cerri,
Interazioni
farmacologiche
sere in grado di discriminare tra infezione latente e malattia attiva. Tuttavia, unitamente a dati clinici e radiologici, la
positività di questi test in pazienti in cui non sia ancora disponibile una conferma microbiologica colturale può essere
di ausilio nella diagnosi di malattia tubercolare (11, 12).
Infine occorre ricordare che gli IGRA, sebbene siano stati
sviluppati per la diagnosi di infezione tubercolare in campioni di sangue venoso periferico, possono tuttavia essere
utilizzati anche in campioni biologici diversi dal sangue,
quali liquido pleurico, liquido di lavaggio broncoalveolare o liquor, rivelandosi quindi utili strumenti per la diagnosi di tubercolosi attiva in casi di difficile accertamento
microbiologico (13, 14).
editoriale
21
congress
report
MTB (chiamata RD1), che è assente nella maggior parte
dei micobatteri non tubercolari e ha subito una delezione
nei passaggi in coltura che hanno dato origine a tutti i
ceppi di BCG.
Pertanto rispetto al TCT, gli IGRA hanno il vantaggio di
utilizzare antigeni specifici di MTB e, quindi, di non essere influenzati da una pregressa vaccinazione con BCG
o dall’esposizione a micobatteri non tubercolari. Inoltre
essendo test strumentali in vitro, non sono gravati dai problemi di variabilità tecnica operatore-dipendente, di cui
invece risente il TCT sia nella fase di somministrazione del
reagente sia nella lettura del risultato (10).
La tabella 2 riassume le principali caratteristiche dei test
immunologici per la diagnosi di infezione tubercolare.
E’ bene ricordare che tutti i test immunologici oggi disponibili (TCT, QuantiFERON-TB In Tube e T-SPOT.TB) di fatto
documentano uno stato di infezione tubercolare, senza es-
HIV
highlights
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farmacologiche
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La coinfezione HIV/TB
Nel 2011 ci sono stati nel mondo 8.7 milioni di nuovi casi
di malattia tubercolare (13% dei casi in pazienti con coinfezione da HIV) e 1.4 milioni di decessi, di cui 430.000 in
pazienti HIV+. Nonostante, quindi, lo scenario della patologia da HIV sia radicalmente cambiato in relazione al
vasto impiego della terapia antiretrovirale di combinazione, la tubercolosi rappresenta ancora oggi una delle
maggiori problematiche associate ad HIV e impone importanti scelte nella gestione clinica dei pazienti coinfetti
HIV/TB. Da una parte emerge l’esigenza di dover trattare
il singolo paziente nel modo più efficace controllando e gestendo in maniera ottimale la tossicità farmacologica e il rischio di sviluppo della sindrome da immunoricostituzione
sistemica (IRIS), dall’altra la necessità di dovere monitorare
attentamente l’aderenza e le interazioni farmacologiche al
fine di prevenire un fallimento terapeutico e l’eventuale
emergenza di ceppi di M. tuberculosis farmaco-resistenti.
Quando iniziare la terapia
In questo contesto, il timing ottimale dell’inizio della cART
rispetto alla terapia antitubercolare è il primo punto-chiave
che deve essere clinicamente affrontato. L’inizio precoce
della cART contemporaneamente alla terapia anti-TB è
ormai dimostrato essere significativamente in grado di ridurre la mortalità nei pazienti coinfetti. Per questo, le attuali Linee Guida suggeriscono di iniziare la cART durante
la terapia anti-TB a prescindere dalla conta delle cellule
CD4+ e dei valori di viremia per HIV. Tuttavia per l’elevato
rischio di sviluppo di IRIS, per la difficoltà nel dovere gestire
entrambe le terapie e per un dimostrato beneficio per l’inizio precoce esclusivamente nei soggetti con CD4+ < 50
cellule/mmc, le raccomandazioni suggeriscono l’inizio
della cART a due settimane dall’inizio della terapia anti-TB,
solo nei pazienti gravemente immunodepressi, con CD4+ <
50 cellule/mmc. Mentre per i pazienti con CD4+ compresi
tra 50 e 500 cellule/mmc, l’inizio della cART viene raccomandato in un periodo compreso tra 2 settimane e due
mesi dall’inizio della terapia anti-TB, nei pazienti con CD4+
> 500 cellule/mmc devono inoltre essere prese in considerazione valutazioni di costo-beneficio in relazione ai singoli casi, anche se il trattamento di associazione tra cART
e terapia anti-TB viene comunque consigliato sulla base dell’aumentato rischio di progressione della patologia da HIV
durante lo sviluppo di infezione tubercolare attiva.
[La coinfezione HIV/TB. A. Gori]
La scelta dei regimi terapeutici
Il secondo punto-chiave riguarda la scelta dei diversi regimi
terapeutici. La TB dovrebbe essere trattata secondo un regime antitubercolare standard: facendo, quindi, seguire
alla fase di induzione di 2 mesi con 4 farmaci (rifampicina,
isoniazide, pirazinamide ed etambutolo), una fase di mantenimento a 2 farmaci (rifampicina e isoniazide) per ulteriori 4 mesi. Per quanto, invece, riguarda la scelta del
regime cART da associare alla terapia anti-TB, devono essere tenute in considerazione diverse problematiche, dalle
interazioni farmacologiche alla tossicità, analizzando ovviamente anche gli aspetti legati alle diverse sensibilità di
HIV. Tra i regimi a disposizione, EFV + TDF/FTC ha il vantaggio di poter utilizzare senza particolari problemi di farmacocinetica una terapia anti-TB contenente rifampicina e
allo stesso tempo di offrire un’alternativa terapeutica a
basso “pill burden”, grazie all’utilizzo di farmaci in coformulazione sia per HIV che per TB.
In alternativa, in pazienti con resistenza o intolleranza agli
NNRTI, posso essere utilizzati regimi basati sull’impiego di
PI/r: in questo caso per le interazioni farmacocinetiche non
sarà possibile utilizzare rifampicina, ma dovrà essere utilizzata in sostituzione rifabutina, al dosaggio ridotto di 150
mg a giorni alterni, mantenendo invariato il dosaggio dei
PI. Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo delle nuove classi
di antiretrovirali in associazione alla terapia anti-TB, non vi
sono ancora chiari dati a riguardo. In particolare per
quanto concerne l’inibitore dell’integrasi si è visto come rifampicina sia in grado di diminuire di circa il 40-60% le
concentrazioni plasmatiche di raltegravir, mentre invece
non sembrano esserci sostanziali controindicazioni all’utilizzo di raltegravir in associazione a rifabutina.
Riguardo agli inibitori del CCR5, rifampicina è in grado diminuire di circa l’80% i livelli plasmatici di maraviroc, mentre sembrerebbero non esserci particolari interazioni
nell’utilizzo combinato con rifabutina. E’ necessario comunque tenere presente che, nel caso in cui, per motivi di
farmacoresistenza rispetto ad HIV, debbano essere utilizzare regimi cART più complessi, è sempre consigliabile l’utilizzo del TDM al fine di monitorare correttamente i profili
farmacocinerici dei diversi farmaci utilizzati.
Andrea Gori
UO Malattie Infettive, AO San Gerardo, Monza
HIV
Commenti
Quando iniziare
E’ fortemente raccomandato un inizio
del trattamento antiretrovirale durante
la terapia antitubercolare a prescindere
dal valore dei CD4+ e della viremia [AI].
- In pazienti con CD4 < 50 cellule/mmc è fortemente raccomandabile l’inizio della cART a due
settimane dall’inizio della TAT (attesa consigliata per una valutazione precoce di segni e sintomi
legati a possibili reazioni avverse ai farmaci antitubercolari) [AI];
- In pazienti con linfociti CD4+ compresi tra 50 e 500 cellule/mmc è fortemente raccomandabile
l’inizio della terapia antiretrovirale tra 2 settimane e due mesi dall’inizio della TAT [AI);
- In pazienti con linfociti CD4+ > 500 cellule/mmc, dato l’aumentato rischio di progressione
dell’infezione da HIV in presenza di una tubercolosi attiva anche ad elevati livelli di linfociti CD4+,
il timing della cART andrà stabilito nei singoli casi sulla base di valutazioni costo-beneficio [BII].
Come iniziare
Un regime cART di scelta da associare ad una
terapia antitubercolare che includa rifampicina
è rappresentato da un backbone nucleosidico
più efavirenz (EFV) [BI]. L’utilizzo di IP,
potenziati con ritonavir, è possibile se associato
a rifabutina [BI]. Queste combinazioni trovano
indicazione elettiva in pazienti con resistenza o
intolleranza agli NNRTI.
L‘impiego di IP potenziati con ritonavir in associazione a rifampicina, è generalmente
controindicato.
Sindrome da
immunoricostituzione
(IRIS) dopo inizio
di HAART
Ritardare l’inizio della cART dopo il primo mese
dall’inizio della TAT può ridurre l’incidenza e la
severità di IRIS, anche se non è raccomandabile in
pazienti con linfociti CD4+ < 350 cellule/mmc [AI].
In corso di IRIS non è raccomandata l’interruzione
di cART [AIII].
Riferimenti bibliografici:
1. Zumla A, Raviglione M, Hafner R, et al. Tuberculosis MDR-TB and XDR-TB: 2011 progress report. Geneva: World Health Organization, 2011. N Engl J Med 2013; 368:745-55.
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5. Blanc FX, Sok T, Laureillard D, Borand L, et al for the CAMELIA (ANRS 1295-CIPRA KH001) Study Team. Earlier versus Later Start
of Antiretroviral Therapy in HIV-Infected Adults with Tuberculosis. N Engl J Med 2011; 365:1471-1481.
6. Havlir DV, Kendall MA, Ive P, et al. Timing of Antiretroviral Therapy for HIV-1 Infection and Tuberculosis for the AIDS Clinical Trials
Group Study A5221. N Engl J Med 2011; 365:1482-1491.
7. Abdool Karim SS, Naidoo K, Grobler A, et al. Integration of Antiretroviral Therapy with Tuberculosis Treatment. N Engl J Med 2011;
365:1492-1501.
8. Hung CC, Chen MY, Hsiao CF, et al. Improved outcomes of HIV-1-infected adults with tuberculosis in the era of highly active antiretroviral therapy. AIDS 2003; 5;17(18):2615-18.
9. Boulanger C, Hollender E, Farrell K, et al. Pharmacokinetic evaluation of rifabutin in combination with lopinavir-ritonavir in patients
with HIV infection and active tuberculosis. Clin Infect Dis 2009; 49:1305-1311.
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Interazioni
farmacologiche
“Nei pazienti coinfetti in trattamento, vanno gestite le tossicità farmacologiche
e il rischio di sviluppo di sindrome da immunoricostituzione (IRIS)”
congress
report
Linee Guida Italiane HIV/AIDS 2012
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Raccomandazioni
Percorsi ragionati
HIV
Tabella 1. Principi di utilizzo della terapia antiretrovirale in soggetti con tubercolosi
editoriale
23
highlights
Percorsi ragionati
24
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Diagnostica virologica dell’epatite B
L’infezione da virus dell’epatite B (HBV) è caratterizzata dalla
produzione e dismissione in circolo di elevate quantità di antigeni virali sia come costituenti del virione e particelle sub-virali difettive (antigene di superficie, HBsAg) che come
proteine secrete in forma non particolata, HBeAg.
Inoltre, non appena il virus viene riconosciuto dal sistema immune dell’ospite, si attiva una vivace risposta anticorpale: ciò
ha permesso, ancor prima che fosse possibile dosare l’acido
nucleico virale (HBV DNA), di sviluppare algoritmi diagnostici in grado di identificare le principali fasi dell’infezione.
L’introduzione delle tecniche di biologia molecolare ha reso
possibile l’analisi della replicazione ed eterogeneità virale,
permettendo un’ulteriore e più accurata definizione dell’infezione e malattia da HBV (tabella 1).
Misura quantitativa di HBV DNA e HBsAg
Negli ultimi anni la gestione del portatore cronico da HBV,
oltre alla definizione dello stato HBeAg/anti-HBe, si è concentrata sempre di più sullo studio diretto del virus attraverso
la misura quantitativa dell’HBV DNA e dell’HBsAg, che permettono di giungere alla precisa caratterizzazione della fase
dell'infezione (1). Per utilizzare correttamente nella pratica
clinica la viremia, occorre ricordare che l’HBV DNA è un indice diretto di infezione e replicazione virale, ma non di malattia HBV indotta: l’HBV, infatti, non è un virus citopatico ed
elevati livelli viremici possono essere presenti in assenza di
epatite (soggetti HBeAg positivi, immunotolleranti) (1).
Al contrario, in un portatore anti-HBe positivo, che ha sviluppato una specifica risposta immune antivirale, livelli viremici
superiori a 2.000-20.000 UI/ml identificano un’infezione “attiva” che in genere si associa ad epatite (1). Quest’ultima è,
invece, assente nel portatore anti-HBe positivo con viremia
persistentemente < 2.000 UI/ml (infezione inattiva).
Nel portatore anti-HBe positivo la definizione del profilo viremico è fondamentale in quanto i livelli viremici possono fluttuare ampiamente con temporanee cadute anche al disotto
della soglia di 2.000 UI/ml e portare all’erronea diagnosi di
“L’uso combinato della misura
quantitativa di HBV DNA e HBsAg
garantisce una più appropriata gestione
del portatore di infezione da HBV”
[Diagnostica virologica dell’epatite B. M.R. Brunetto]
infezione inattiva (2). Il profilo viremico permette, inoltre, di meglio definire il rischio evolutivo nel singolo paziente, in quanto
nel paziente con immunoattivazione esiste una diretta correlazione fra livelli viremici e progressione dell’epatopatia (1).
Di recente, alla misura della viremia si è aggiunta la possibilità di quantizzare i livelli di HBsAg circolanti come nuovo
strumento diagnostico per la definizione dello “stato dell’infezione” (3-4). Infatti i livelli circolanti di HBsAg variano significativamente nelle diverse fasi dell’infezione, riducendosi
progressivamente dalla fase di immunotolleranza (4.5-4.96
log10 UI/ml) alla fase di immunocontrollo/bassa replicazione
virale (2.86-3.09 log10 UI/ml) (5-6): quanto più bassi sono i
livelli di HBsAg, maggiore è il controllo immune dell’infezione
(3-4). In particolare, uno studio condotto su oltre 200 portatori anti-HBe positivi (genotipo D) ha dimostrato come bassi livelli di HBsAg (<1.000 UI/ml) correlino con lo stato di
infezione inattiva e che la misura combinata, in singolo punto,
di HBV DNA e HBsAg, utilizzando un cut-off di 2.000 UI/ml
per l’HBV DNA e 1.000 UI/ml per l’HBsAg, identifichi il portatore inattivo con un’accuratezza diagnostica del 94.3%
(sens. 91.1%, spec. 95.4%, PPV 87.9%, PPN 96.7%) (7).
Tali dati sono stati recentemente confermati in casistiche
orientali di portatori infettati da genotipo B e C (8).
HBsAg come predittore di risposta alla terapia
Nel caso del trattamento antivirale, la principale criticità
del monitoraggio è la mancanza di un marcatore che indichi l’avvenuto raggiungimento del controllo immune dell’infezione: infatti, l’assenza di viremia dosabile al termine
di un trattamento con interferone o la persistenza di viremia
non dosabile dopo anni di continua ed efficace soppressione antivirale non garantisce la persistenza di risposta
Tabella 1. Correlazione tra marcatori e stato
dell’infezione
Marcatori
virali
Categorie
diagnostiche
Anti-HBs
Anti-HBc
HBsAg
HBV DNA, HBeAg
IgM anti-HBc
Immunità
Esposizione
Infezione
Replicazione
Malattia
Riferimenti bibliografici:
1. European Association for the Sudy of the Liver. EASL Clinical Practice Guidelines: management of chronic hepatitis B. J Hepatol
2012; 57:167-185.
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chronic hepatitis B? Gut 2012; 61 (5); pp. 641-645.
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6. Jaroszewicz J, Serrano BC, Wursthorn K, Deterding K, Schlue J, Raupach R, et al. Hepatitis B surfae antigen (HBsAg) levels in the
natural hisory of hepatitis B virus (HBV)-infection: a European perspective. J Hepatol 2010; 52:514-522.
7. Brunetto MR, Oliveri F, Colombatto P, et al. Hepatitis B surface antigen serum levels help to distinguish active from inactive hepatitis B virus genotype D carriers. Gastroenterology 2010; 139:483-490.
8. Tseng TC, Liu CJ, Yang HC, et al. Serum hepatitis B surface antigen levels help predict disease progression in patients with low hepatitis B virus loads. Hepatology 2013; 57(2):441-50.
9. Rijckborst V, Hansen BE, Ferenci P, Brunetto MR, et al. Validation of a stopping rule at week 12 using HBsAg and HBV DNA for
HBeAg-negative patients treated with peginterferon alfa-2a. J Hepatol 2012; 56(5):1006-11.
10. Brunetto MR, Moriconi F, Bonino F, Lau GK, Farci P, Yurdayin C, et al. Hepatitis B Virus Surface Antigen levels: a guide to sustained response to peginterferon alfa-2a in HBeAg-negative Chronic Hepatitis B. Hepatology 2009; 49(4):1141-1150.
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
editoriale
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Interazioni
farmacologiche
Figura 1. HBsAg e HBV DNA: marcatori chiave per la diagnosi
dopo la sospensione del trattamento, come die
il monitoraggio dell’infezione cronica da HBV
mostrato dall’alta percentuale di recidive (1).
Quindi, se l’HBV DNA è un marcatore indiHBV
HBsAg
La presenza di HBsAg
nel siero da più di 6 mesi
spensabile per dimostrare l’efficacia antivirale
definisce l’infezione
della terapia, purtroppo poco ci dice sul ragcronica da HBV
giungimento di quel controllo immune che gaHBsAg = marcatore di
HBV DNA = marcatore di
rantisce dalla ripresa di florida replicazione
risposta immunologica
replicazione virale
virale e danno epatico.
cccDNA
Replicazione virale
L’unico evento consistentemente associato al
trascrizionalmente
attivo a livello delle
controllo dell’infezione è la perdita dell’HBcellule infette
sAg, ma tale evento è usualmente tardivo e avBrunetto MR, J Hepatol 2010
viene solo in una parte dei soggetti con
risposta sostenuta (1). La possibilità di quananche per identificare i responder al trattamento (10).
tizzare l’HBsAg ha portato a valutarne l’utilizzo come preIn conclusione, l’uso combinato della misura quantitativa
dittore di risposta alla terapia: il monitoraggio della cinetica
della viremia e di HBsAg permette di ottenere informazioni
di viremia e HBsAg permette di identificare precocemente i
complementari sullo stato dell’infezione, garantendo una
pazienti con epatite cronica HBeAg negativa non responpiù appropriata gestione del portatore di infezione da HBV
sivi a Peg-interferone (stabilità dei livelli di HBsAg e man(figura 1).
cata caduta di 2 log della viremia a 12 settimane) (9).
Inoltre, la riduzione dei livelli di HBsAg di almeno 2 log o
Maurizia Rossana Brunetto
al di sotto di 10 UI/ml al termine di 48 settimane di terapia
UO Epatologia, Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi e
sono risultati l’unico marcatore virale indipendentemente
il trattamento delle epatopatie croniche e del tumore di fegato,
correlato con la perdita dell’HBsAg nei 3 anni successivi al
Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa
termine del trattamento, suggerendo il possibile utilizzo
25
congress
report
VIRUS EPATITICI
highlights
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
26
Percorsi ragionati
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Diagnostica virologica dell’epatite C
La recente approvazione di farmaci antivirali diretti
(DAA) contro il virus dell’epatite C (HCV) ha segnato l’ingresso in una nuova era per la terapia dell’epatite cronica da HCV e l’integrazione della diagnostica
virologica con la clinica diventa fondamentale per garantire il monitoraggio dell’efficacia dei nuovi farmaci e
della farmacoresistenza.
Test molecolari in real-time PCR
per HCV RNA
Sensibilità, riproducibilità e range dinamico dei test per
HCV RNA sono determinanti per predire le probabilità
del paziente di risposta sostenuta (SVR) agli end point
intermedi a 4 settimane (risposta rapida, RVR) e a 12
(risposta precoce, EVR) e operare strategie terapeutiche
appropriate (1, 2).
La misura dell’HCV RNA nel siero è standardizzata in
Unità Internazionali (UI) per ml, che superano la precedente misurazione in copie/ml. Vale il fattore di conversione: 1 UI/ml = 2,4 copie/ml.
I test quantitativi per HCV RNA sono basati sulla reazione di real-time PCR con ampio range dinamico, da
10 UI/ml fino a 108 UI/ml e sono costituiti da piattaforme strumentali, in cui tutte le fasi del processo sono
automatizzate, dall’estrazione dell’RNA al risultato fi-
Figura 1. Real-time PCR disponibili in commercio
per HCV RNA
Abbott
Artus HCV Versant
Roche Real-time HCV QiAsymphony HCV RNA
CAP/CTM 2.0 m2000SP/RT Rotor-Gene Q 1.0 kPCR
EVR
8
highlights
6
Real-time PCR
Log UI/ml
congress
report
7
5
4
3
LLOQ UI/ml 2
LOD UI/ml 1
0
Target non rilevato
LOD: Limite di rilevabilità
LLOQ: Limite inferiore di quantizzazione
[Diagnostica virologica dell’epatite C. V. Ghisetti]
RVR e SVR
nale. La regione amplificata è la 5’NC e il disegno dei
primer garantisce la massima inclusività dei genotipi virali, con superamento, nell’ultima generazione di test,
di criticità registrate in precedenza (3).
Le Linee Guida indicano che per il monitoraggio di HCV
RNA devono essere utilizzati metodi con limite di rilevabilità di 10-15 UI/ml e limite inferiore di quantizzazione (LLOQ) di 25 UI/ml, che esprime il limite inferiore
di linearità del range dinamico (figura 1 e tabella 1) (4,
5, 6).
La sensibilità analitica dei test contemporanei è molto
spinta e raggiunge poche unità internazionali per millilitro (tabella 1).
Nell’interpretazione dei risultati è importante distinguere
tra veri negativi (sul referto “undetectable” o “negativo”)
e risultati espressi come ”inferiore a …UI/ml”; in questi ultimi campioni si rileva un segnale specifico (detectable)
ma non quantificabile perché la concentrazione risulta essere al di sotto del limite inferiore di quantizzazione
(LLOQ, lower limit of quantification), il cui valore cambia
in base al produttore del test.
Come si può osservare nella figura 2, un campione che
risulta “<15 UI/ml” non è un campione negativo, soltanto non può essere quantificato in modo accurato (non
compreso nell’intervallo di linearità di misurazione del
test) o il suo segnale non supera il valore soglia di riferimento (threshold), riflettendo la presenza di tracce di
virus in circolo.
Nei trial di fase 3 per gli antivirali ad azione diretta, i
pazienti che agli end point intermedi avevano valori di
HCV RNA inferiori al LLOQ, quindi non negativi, presentavano un tasso di SVR significativamente più basso
rispetto ai pazienti il cui risultato di HCV RNA era non
rilevabile (7).
“L’integrazione della diagnostica
virologica con la clinica
diventa fondamentale
per garantire il monitoraggio
dell’efficacia
dei nuovi farmaci”
VIRUS EPATITICI
VERSANT HCV RNA 1.0
(kPCR)
Volume di plasma
richiesto
Range dinamico
(UI/ml)
Roche Molecular System
Cobas Ampliprep
Cobas Taqman 48/96
650 ul
15 – 1x108
11
Abbott Molecular
m2000SP
m200 0RT
200 ul
500 ul
30 – 1x108
12 – 1x108
23,8
10,5
Qiagen
QIAsymphony
Rotor-Gene Q
500 ul
25 – 1,7x107
21
Siemens Healthcare
Diagnostics
VERSANT kPCR
Molecular System
SP Module
VERSANT kPCR
Molecular System
AD Module
Sensibilità LOD
(UI/ml)* plasma
8
500 ul
15 – 1x10
7,5
*Lower limit of detection come da analisi probit, limiti di confidenza al 95%
“Nell’interpretazione dei risultati è importante distinguere tra veri negativi
e risultati espressi come rilevabili e non quantificabili”
Test molecolari per il genotipo di HCV
Test immunometrici
per l’antigene del core
L’antigene di HCV (proteina del
core) compare nel siero precocemente durante la sieroconversione, quindi la sua ricerca può
aumentare la sensibilità dei test
anticorpali riducendo il periodo finestra.
Tuttavia, il confronto con HCV
RNA dimostra un evidente limite
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Norm. Fluoro.
di sensibilità nel suddetto periodo, che corrisponde alla
Il metodo di riferimento è il sequenziamento diretto di represenza di circa 500-3000 UI/ml di HCV RNA e varia
gioni variabili (NS5B o E1).
in rapporto al genotipo di HCV.
Esistono sistemi commerciali che sequenziano la regione
La ricerca di HCV RNA rimane oggi il test più sensibile
altamente conservata 5’NC (Trugene® 5’NC HCV Genoe l’unico test su cui modulare la scelta di terapie con
typing Kit, Bayer) e altri che non usano il sequenzial’obiettivo di ottenere eradicazione dell’infezione, come
mento, ma sono basati sull’amplificazione associata di
ribadito recentemente (8).
5’NC e Core per migliorare la discriminazione tra sottotipo 1a e
Figura 2. Real-time PCR. Profilo di amplificazione per HCV RNA
1b, con rivelazione mediante
di campioni a diversa viremia
sonde genotipo e sottotipo-specifiche (INNO-LiPA HCV II, Innogenetics), e altri metodi di real-time PCR
10-0.5
multiplexing (Real-time HCV Ge1.322 UI/ml
notype II, Abbott Molecular).
-1
10
Threshold
< 15 UI/ml
10-1,5
Percorsi ragionati
HIV
Artus HCV QS-RGQ
Sistema di
amplificazione
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Real Time HCV
Sistema automatico di
estrazione acidi nucleici
< 15 UI/ml
10-2
negativo
10-2,5
5
10
15
20
25
30
35
40
congress
report
CAP/CTM HCV 2.0
Ditta di
produzione
45
Ciclo
I risultati <15 UI/ml, cioè sotto la soglia di quantificazione (threshold), vengono riportati
come rilevabili ma sotto il limite di quantificazione: lower limit of quantification, (LLQR);
negativo = non rilevabile
highlights
Piattaforma
strumentale
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Tabella 1. Caratteristiche dei sistemi commerciali per la quantizzazione di HCV RNA mediante real-time PCR
editoriale
27
Interazioni
farmacologiche
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Test molecolari per la farmacoresistenza
La farmacoresistenza di HCV rappresenta un importante
fattore limitante l’efficacia dei nuovi antivirali ad azione
diretta (9, 10).
Esiste un diverso pattern mutazionale per i sottotipi 1a e
1b, dovuto ad una barriera genetica meno robusta nell’1a.
Nei pazienti naive l’influenza di mutazioni farmacoresistenti sulla SVR (3-7% dei pazienti) è controversa (9). Non
sono disponibili test commerciali e lo studio della farmacoresistenza di HCV viene eseguito in laboratori specialistici
che si avvalgono, sul modello di HIV, di test genotipici basati sul sequenziamento diretto di regioni target degli antivirali ad azione diretta, a partire dal plasma dei pazienti.
Il sequenziamento diretto o “population-based” identifica
la sequenza virale maggioritaria nell’ambito della quasispecies, non riuscendo a discriminare varianti se inferiori al 10 -15% o nel caso di viremie < 1000 UI/ml.
Le mutazioni di NS3 più frequentemente associate a re-
Percorsi ragionati
“La farmacoresistenza di HCV
rappresenta un importante fattore
limitante l’efficacia dei nuovi
antivirali ad azione diretta”
sistenza sono R155K, A156S/T/V, V36M e T54A/S.
Le varianti resistenti si distinguono in quelle per cui l’aumento della concentrazione di farmaco per essere efficace è di 5-20 volte rispetto al wild type (resistenza
bassa/moderata: V36M, T54A/S, V55A, R155K,
A156S e V170A) e altre per cui l’aumento richiesto è elevato (> 50 volte: A156T/V e R155K + V36M) (10, 11).
Valeria Ghisetti
Laboratorio di Microbiologia e Virologia, Dipartimento
di Malattie Infettive, Ospedale Amedeo di Savoia, Torino
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
28
Riferimenti bibliografici:
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2. Adda N, Bartels DJ, Gritz L, et al. Futility rules for telaprevir combination treatment for patients with hepatitis C virus infection. Clin Gastroenterol Hepatol 2012; 11:193-563-5.
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11. Wyles DL. Antiviral resistance and the future landscape of hepatitis C virus infection therapy. J Inf Dis 2013; 207 (Suppl
1):S33-9.
[Diagnostica virologica dell’epatite C. V. Ghisetti]
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
29
“La diagnostica, basata sulla ricerca di
anticorpi anti-HD e di HDV RNA, coinvolge necessariamente l’infezione da HBV”
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
La determinazione qualitativa dell’HDV RNA nel siero di
soggetti anti-HD positivi rappresenta il più efficace indicatore di infezione in atto. Il test è disponibile in laboratori specializzati.
Alti livelli viremici non sempre correlano con l’attività o
lo stadio di malattia (6), che devono essere definiti attraverso i parametri di funzione epatica, l’esame istologico e le indagini strumentali.
La determinazione quantitativa e seriale dell’HDV RNA
è riconosciuta utile per monitorare la risposta al trattamento antivirale ed adeguare la durata della terapia (7).
Sono noti 8 genotipi dell’HDV, con divergenza della sequenza genica fino al 40%. Il genotipo 1, prevalente, si
associa a malattia evolutiva ed a minore risposta al trattamento con interferone (8).
La caratterizzazione genotipica è eseguita con metodica
RFLP (restriction fragment lenght polymorphism) o sequenza diretta.
Interazioni
farmacologiche
La determinazione dell’HDV RNA
congress
report
Figura 1. Virus dell’epatite Delta
Alti valori di transaminasi, invece, seguono il picco viremico e si associano alla comparsa di anticorpi anti HDAg
di classe IgM ed IgG. In oltre il 90% dei casi la superinfezione da HDV evolve in malattia epatica cronica (3).
Lo sviluppo di anticorpi anti-HDV è universale e l’indicazione a ricercarli esiste in tutti gli individui HBsAg positivi (4); gli anti-HD di classe IgG persistono a lungo
termine, anche dopo la clearance dell’infezione da HDV.
Gli anticorpi di classe IgM caratterizzano la fase acuta
dell’infezione, sono negativi nella forma pregressa e persistono in pazienti con epatite cronica; sono spesso usati
come marker surrogati di replica virale ma non sono sensibili e specifici al 100%.
Il loro significato può essere rilevante nella malattia delta
con viremia negativa, nell’ipotesi che l’HDV RNA risulti
falsamente negativo, per la variabilità genomica (5). Recenti controlli dimostrano l’affidabilità dei metodi di determinazione anticorpale.
highlights
Il virus dell’epatite Delta (HDV) è un virus difettivo costituito da un genoma circolare ad RNA e dall’antigene
delta, singola proteina strutturale presente in due isoforme (figura 1).
Il nucleocapside è rivestito dall’antigene di superficie
(HBsAg) fornito dall’HBV, essenziale alla trasmissione
dell’infezione delta (1).
La diagnostica, che è basata sulla ricerca degli anticorpi diretti contro l’antigene delta (anti-HD) e dell’HDV RNA nel
siero, coinvolge necessariamente l’infezione da HBV. Nella
forma simultanea o coinfezione (tabella 1), l’epatite acuta
è indotta da entrambi i virus (2), ed è mono o bifasica.
La viremia HDV segue la comparsa dell’HBsAg e dell’HDAg nel siero, mentre si verifica il picco delle transaminasi. Successivamente si osserva l’incremento degli
anticorpi anti-HD di classe IgM, la cui progressiva scomparsa concomita con lo sviluppo di anti-HD IgG.
L’infezione acuta da HBV è dimostrata dalle IgM anti-HBc
positive e dall’HBV DNA nel siero. La coinfezione di solito
è autolimitante ed esita nella clearance di entrambi i virus.
Nella sovrainfezione (tabella 1), il virus difettivo infetta
un portatore cronico di HBsAg, e trova quindi il background per una rapida espressione. Lo stato di portatore
di HBsAg agisce come un magnete che cattura ed attiva
quantità infinitesimali del virus. Nel modello animale l’infezione è stata trasmessa a scimpanzé HBsAg-positivi con
siero diluito 10-11 (3).
La diagnosi è suggerita da un titolo basso o negativo di
IgM anti-HBc e da un HBV DNA negativo; elevati livelli di
viremia HDV ed HDAg sono presenti nel siero e nel fegato.
editoriale
Diagnostica virologica dell’epatite D
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
30
VIRUS EPATITICI
“Il dosaggio ematico dell’HDV RNA
è in gran parte basato su tecniche
di amplificazione di acidi nucleici
non standardizzate e pertanto
non confrontabili”
Percorsi ragionati
Tabella 1. Marcatori sierologici nella diagnosi
di epatite Delta
Coinfezione
Anti-HDV IgM
+
+
Anti-HDV IgG
+
+
HDVAg
+
+
HDV RNA
+
+
HBsAg
+
Problemi aperti
Il dosaggio ematico dell’HDV RNA è in gran parte basato su tecniche di amplificazione di acidi nucleici (NAT
assays).
Tali test sono spesso home-made, non standardizzati e
pertanto non confrontabili. Sono in atto progetti cooperativi internazionali per definire uno standard internazionale di misurazione.
Il significato dell’HBsAg quantitativo in corso di infezione
delta rimane controverso.
Studi cross-sectional segnalano la correlazione tra livelli
di HBsAg e replica virale (6) mentre studi longitudinali dimostrano la fluttuazione, non sempre parallela, dell’HBsAg
e dell’HDV RNA (9).
Il decremento sierico di HBsAg può avere significato prognostico positivo fino a definire la clearance dell’HDV (10).
Sovrainfezione
HDV marker
HBV marker
Anti-HBc IgM
+
+
± /–
+ (> 20.000 UI/ml)
± (< 2.000 UI/ml) /–
HBeAg
+
–
anti-HBe
–
+
HBV DNA
Grazia Anna Niro1,
Antonella Olivero2, 3
IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, Divisione di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, San Giovanni Rotondo1,
Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino2
e SCDU Gastroepatologia,
AO Città della Salute e della Scienza di Torino3
Riferimenti bibliografici:
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10. Olivero A, Fontana R, Niro GA, et al. Kinetics of HDV-RNA and hepatitis B surface antigen in chronic delta hepatitis under pegylated interferon and/or nucleoside analogstherapy. Hepatology 2011; 54(suppl4) Abstract 1508:1077A.
[Diagnostica virologica dell’epatite D. G.A. Niro, A. Olivero]
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
31
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
5-6
93% Sn
Esclude
BF
6-9
Zona
grigia
9-12
100% Sp
Diagnosi
BF
> 12 KPa
95% Sn
Diagnosi
cirrosi
Rassicurare
Osservare
Biopsiare
Trattare
Trattare
Sn= sensibilità; Sp= specificità
Percorsi ragionati
HIV
≤ 5 KPa
91% Sn
Esclude
fibrosi
Figura 2. Approccio clinico alla liver stiffness
nel paziente con epatite B e transaminasi elevate
ALT
1-5 N
≤ 5 KPa
92% Sn
Esclude
fibrosi
5-7.5
96% Sn
Esclude
BF
7.5-12
Zona
grigia
12-13.4
98% Sp
Diagnosi
BF
> 13.4 KPa
93% Sn
Diagnosi
cirrosi
Rassicurare
Osservare
Biopsiare
Trattare
Trattare
Chan HL-Y, et al. J Viral Hepatitis 2009; 16:36-44
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
“L’elastografia va interpretata nel singolo paziente, valutando eventuali fattori
interferenti nei vari ambiti dell’epatologia”
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Chan HL-Y, et al. J Viral Hepatitis 2009; 16:36-44
Interazioni
farmacologiche
Le recenti metaanalisi sulla performance dell’elastografia
hanno evidenziato quale cutoff ottimale per la diagnosi di
fibrosi significativa quello di 7.6 kPa, mentre per la diagnosi di cirrosi il cut-off suggerito è di 13 kPa. Tuttavia bisogna sottolineare che la metodica è più adatta per
escludere la diagnosi di cirrosi piuttosto che per predirla
(2). In ogni caso, una volta posta la diagnosi di cirrosi,
la liver stiffness (LSM) aumenta con il peggiorare della
malattia (3-4).
Infatti cut-off di 27 e 37.5 kPa rispettivamente hanno un
valore predittivo negativo del 90% per la presenza di varici esofagee a rischio di sanguinamento e di cirrosi avanzata (Child B/C). Inoltre esiste una buona correlazione
fra i valori di liver stiffness e quelli di HVPG (5). Tuttavia
la LSM non può predire in modo confidente la presenza
di varici esofagee nella pratica clinica e, quindi, non può
permetterci di ridurre il numero di esami endoscopici necessari per lo screening del paziente cirrotico. Il FibroScan appare senza dubbio utile per testare la severità
della recidiva epatitica dopo trapianto.
Infine l’elastografia può rivelarsi utile per valutare la regressione della fibrosi nel paziente che ha ottenuto la risposta sostenuta e per monitorare la progressione del
danno nel paziente non trattato (6-7).
NALT
FibroScan e HBV
Nell’epatite da HBV la performance dell’elastometria è maggiormente inficiata dalla flogosi e per questo diventa importante tener conto del valore delle transaminasi per capire in
quale stadio di fibrosi collocare il nostro paziente (8-9). L’unica
eccezione a questa regola è il paziente che abbia una liver
stiffness < 5 KPa in cui siamo certi di non avere fibrosi, qualunque sia il valore delle ALT. Pertanto per chi intenda utilizzare l’elastometria per l’iniziale determinazione della fibrosi
si può proporre un algoritmo (8) che prediliga la sensibilità
congress
report
FibroScan e HCV
Figura 1. Approccio clinico alla liver stiffness
nel paziente con epatite B e transaminasi normali
highlights
La fibrosi epatica è l’indice più attendibile di progressione del danno epatico. L’elastografia misura la rigidità
del fegato su un volume più ampio di un campione bioptico standard e pertanto la sua valutazione risulta la più
rappresentativa dell’intera massa epatica (1).
Il FibroScan, inoltre, offre la possibilità di un monitoraggio longitudinale della malattia epatica. La quantificazione della fibrosi rappresenta un punto-chiave per
stabilire la prognosi del paziente e per indicare la necessità della terapia.
Due sono gli end-point clinicamente rilevanti: la fibrosi
significativa e il riscontro di cirrosi che, se presente, deve
indurre allo screening per varici esofagee e per epatocarcinoma.
Numerose pubblicazioni hanno confermato l’interesse
verso i test non invasivi e per questo si avverte la necessità
di linee guida per la corretta interpretazione dei dati che
l’elastografia fornisce nei vari ambiti dell’epatologia (2).
editoriale
L’elastografia epatica
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
32
VIRUS EPATITICI
per escludere la fibrosi a ponte (BF, bridging fibrosis), e la specificità per porre la diagnosi di bridging fibrosis e di cirrosi.
Esiste tuttavia una zona grigia in cui è davvero necessaria
la biopsia epatica. Tale zona grigia nei NALT (figura 1) si
pone tra 6-9 KPa, mentre si colloca tra 7.5-12 KPa in presenza di ALT al di sopra della norma (figura 2).
FibroScan nelle altre epatopatie
Nella malattia alcol-correlata, la steatoepatite coesistente incrementa marcatamente la LSM indipendentemente dallo stadio di fibrosi, per questo è necessario posporre la diagnosi
di cirrosi solo dopo astinenza da alcol con conseguente riduzione degli indici di citolisi. Nella steatoepatite non alcolica, l’elastografia può divenire un test di screening per
escludere la fibrosi avanzata. Difatti cutoff di 8.7 e 10.3 KPa
permettono di escludere rispettivamente la fibrosi severa e la
cirrosi in più del 90% dei casi. Appare allora ragionevole
considerare la biopsia epatica solo nella zona grigia individuata da valori di liver stiffness compresi fra 8 e 10 kPa.
Peraltro in questo contesto, la lieve necroinfiammazione non
ha un forte impatto sulla stiffness. Nelle malattie colestatiche
croniche come la colangite sclerosante e la cirrosi biliare primitiva l’eterogeneità della popolazione studiata condiziona
la scelta di cut-off ottimali che in ogni caso appaiono più elevati almeno nella definizione della fibrosi severa (10).
Percorsi ragionati
Conclusioni
L’elastometria è davvero utile nell’ambito di un sistema
diagnostico integrato che non escluda la biopsia epatica.
Soprattutto nei pazienti con elevato BMI e nei soggetti
con fibrosi severa può sussistere una discordanza significativa fra operatori diversi (11).
Inoltre l’infiammazione epatica, quando è acuta e severa,
può indurre a sovrastimare lo stadio di fibrosi così come
accade in corso di “flare” epatitico da HBV o quando si
ha la recidiva epatitica da HCV dopo trapianto. Quando,
invece, la flogosi è di lieve entità, come accade nell’epatite cronica da HCV o nella steatoepatite, l’impatto
dell’infiammazione sul valore predittivo dell’elastometria
è meno rilevante.
Queste evidenze sottolineano come in alcuni casi sia più
ragionevole integrare i mezzi a nostra disposizione piuttosto che affidarsi ad una singola metodica. Il dato elastografico necessita di essere interpretato nel contesto del
singolo paziente valutando eventuali fattori interferenti,
perché non sempre la stiffness corrisponde solo alla fibrosi che vogliamo definire.
Cosimo Colletta
COQ, Divisione di Medicina Interna,
Ospedale “Madonna del Popolo”, Omegna
Riferimenti bibliografici:
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[L’elastografia epatica. C. Colletta ]
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
33
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Interazioni
farmacologiche
L’infezione cronica sostenuta dal virus B è caratterizzata da diverse fasi che riflettono l’interazione dinamica ospite-virus. La
diagnosi di epatite cronica B è dovuta alla persistenza dell’HBsAg nel siero per più di 6 mesi. Grazie ai test sierologici
e molecolari, la biopsia epatica non è più necessaria per distinguere tra portatore inattivo e attivo e tra epatite acuta e cronica. Tuttavia, nelle Linee Guida Internazionali, è spesso
raccomandata per stabilire il grado di necro-infiammazione e
lo stadio della fibrosi per le implicazioni prognostiche per decidere l’inizio del trattamento.
L’istologia è particolarmente utile per valutare il danno epatico
microscopico nell’individuo con valori di ALT persistentemente
normali o pressoché normali, motivando la necessità di un trattamento più precoce. La biopsia si rende necessaria per discriminare i motivi del danno epatico, se si sospettano cause
diverse dalla principale dovuta al virus, come nella steatosi.
Nonostante l’infezione da HBV sembri associata a una bassa
prevalenza di steatosi, ipertrigliceridemia e sindrome metabolica, uno studio cross-sectional su larga scala ha chiaramente
dimostrato che la sindrome metabolica è indipendentemente
associata alla cirrosi nell’epatite cronica B.
I marker non invasivi si sono dimostrati strumenti accurati per
confermare o escludere la cirrosi. Non sono però in grado di
discriminare gli stadi più lievi e intermedi della fibrosi e non
hanno avuto quindi validazione definitiva nell’epatite cronica
B. L’elastografia è la procedura non invasiva più utilizzata,
ma il cut-off ottimale di stiffness epatica varia tra gli studi e, nel
singolo paziente, può fornire risultati confondenti in presenza
di infiammazione severa e livelli elevati di transaminasi.
La cirrosi è un noto fattore di rischio per epatocarcinoma
(HCC), anche se nei pazienti con epatite cronica B può svilupparsi in assenza di fibrosi avanzata. Lo screening clinico
per l’HCC utilizza tecniche di imaging non invasive; il ruolo
della biopsia consiste nell’identificare i pazienti a rischio,
come quelli con displasia epatica, e nel distinguere i noduli
displastici dall’HCC ben differenziato, quando fallisce la radiologia.
L’evoluzione del trattamento dell’epatite cronica B è notevole.
Nonostante le difficoltà di eradicare il virus per la persistenza
di cccDNA e di HBV DNA integrati nel genoma dell’ospite, la
soppressione della replicazione virale, raggiunta con il trattamento antivirale, ha dimostrato di ridurre il rischio di progressione dell’epatopatia anche allo stadio di fibrosi
avanzata/cirrosi. Più di recente, il trattamento a lungo termine con analoghi nucleos(t)idici ha evidenziato che la persistente soppressione della replicazione virale non solo rallenta
la progressione, ma induce la regressione della fibrosi negli
stadi avanzati di malattia. La valutazione della regressione
della fibrosi è probabilmente destinata a diventare un requisito
clinico nel prossimo futuro. Un problema specifico che sta emergendo riguarda il sistema di punteggio in uso che, proposto e
validato quando l’irreversibilità della fibrosi/cirrosi era ancora
dogma, non include parametri correlati alla regressione della
fibrosi. Wanless e coll. hanno descritto le modificazioni istologiche “qualitative” correlate alla regressione e al remodelling
della fibrosi, definendole come “complesso di rigenerazione
epatica”. L’integrazione di aspetti qualitativi nei tradizionali si-
congress
report
Epatite cronica B
“Nell’epatite cronica B, la biopsia resta il
riferimento per valutare attività e fibrosi,
definire le cause del danno epatico
e i segni precursori di HCC”
highlights
I maggiori progressi raggiunti nella comprensione dell’anatomia, patofisiologia e patologia epatica sono essenzialmente
dovuti all’uso allargato della biopsia. Malgrado l’invasività, il
rischio di gravi complicanze è basso (1/4000-10.000) e dipende dalle condizioni del paziente, dalla tecnica, dal tipo di
ago utilizzato e dal numero di passaggi; è richiesta una formazione specifica per assicurare il campionamento di frustoli
di dimensione adeguata e minimi tassi di complicanze.
Le indicazioni alla biopsia epatica sono cambiate in seguito ai
progressi delle tecniche di imaging e di laboratorio. Rispetto
alle epatiti virali, per il patologo si è trattato essenzialmente di
modificare prospettiva, passando dalla diagnosi della malattia
alla prognosi del paziente. Negli ultimi 20 anni, la biopsia
epatica è stata eseguita per ricavare informazioni prognostiche
valide ai fini delle implicazioni terapeutiche sul danno epatico.
Ad esempio, l’introduzione e l’impiego diffuso dei sistemi per
la valutazione del grado di attività della malattia e di stadiazione della fibrosi hanno rappresentato una rivoluzione perché hanno consentito una maggiore obiettività di
interpretazione e confronto tra campioni. La necessità di rivalutare il suo ruolo è giustificata dai progressi terapeutici e dallo
sviluppo di test non invasivi per la stadiazione della fibrosi.
editoriale
La biopsia epatica
nelle epatiti virali croniche
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
34
VIRUS EPATITICI
stemi di stadiazione epatica potrà aumentare la capacità di
individuare e valutare correttamente la regressione della deposizione di tessuto connettivo, nuova sfida per il patologo.
Epatite cronica C
Come qualsiasi altra malattia epatica, la fibrosi e la cirrosi sono
le principali cause di morbilità e mortalità nei pazienti con epatite cronica C. La diagnosi di infezione cronica da HCV si fonda
sulla presenza degli anticorpi anti-HCV, rilevati dai test immunoenzimatici, e dell’HCV RNA, rilevato dai test molecolari.
La biopsia non riveste ruolo diagnostico nell’epatite cronica C.
Indipendentemente dall’andamento delle ALT, lo stadio di fibrosi epatica (staging) è invece un importante indicatore prognostico così come la gravità dell’epatopatia (grading); la
valutazione di entrambi è raccomandata prima della terapia.
L’identificazione dei pazienti con cirrosi è fondamentale, poiché l’approccio terapeutico e la prognosi post-trattamento sono
diversi da quelli dei soggetti non cirrotici, così come la sorveglianza per l’individuazione precoce dell’HCC.
Secondo le attuali Linee Guida, la biopsia epatica è ancora il
metodo di riferimento, ma sono utilizzati anche i metodi non invasivi, ampiamente valutati nelle coorti di pazienti con epatite
cronica C. Al momento nessun test o metodo è in grado di fornire le stesse informazioni della biopsia epatica, anche se la
combinazione di due o più metodi non invasivi può essere sufficiente per differenziare la fibrosi minima e avanzata (le due
estremità dello spettro della fibrosi) nella maggior parte dei
casi. A livello mondiale, il numero di biopsie è significativa-
Percorsi ragionati
“Nella maggior parte dei casi di epatite
cronica C, la biopsia è destinata a
essere sostituita dai metodi non invasivi
per la stadiazione della fibrosi”
mente diminuito poiché l’uso dell’elastografia per stadiare la fibrosi nell’epatite cronica C si è rapidamente diffuso in molti
paesi e per l’elevato tasso di risposta virologica sostenuta raggiunto con la terapia con Peg-IFN e RBV soprattutto nei genotipi 2 e 3. In questo ambito, la necessità di un’accurata
stadiazione della fibrosi prima della terapia è probabilmente
destinata a subire un’ulteriore riduzione, data la recente disponibilità della triplice terapia con gli inibitori della proteasi
di HCV e dei nuovi farmaci ad azione diretta all’orizzonte, che
promettono tassi di eradicazione che si avvicinano al 75% e
al 100% rispettivamente. Tuttavia, la valutazione delle comorbidità, in particolare della malattia epatica metabolica con
steatosi o steatoepatite, resta una forte indicazione all’uso della
biopsia nell’epatite cronica C.
Maria Guido
Unità di Anatomia Patologica,
Dipartimento di Medicina - DIME, Università di Padova
Massimo Roncalli
Unità di Patologia, Istituto Clinico Humanitas,
Rozzano, Università di Milano
Riferimenti bibliografici:
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[La biopsia epatica nelle epatiti virali croniche. M. Guido, M. Roncalli]
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
35
La tabella 1 elenca sinteticamente i principali marcatori sierologici di fibrosi epatica descritti negli ultimi 10 anni in letteratura. Si tratta di marcatori diretti o indiretti che sono stati
descritti, e in parte validati, per le diverse forme eziologiche di
epatopatia cronica: molti per l’epatite cronica da virus C, alcuni anche per le epatiti croniche da HBV ed altri anche per le
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Componenti
FIBROTEST
alfa2macroglobulina, gammaGT, bilirubina,
apolipoproteina A1, aptoglobina, età, sesso
Piastrine, gammaGT, colesterolo, età
HCV,
HBV
HCV
HCV, HBV
NAFLD/NASH
HCV
HCV
Indice LOK
FIBROINDEX
FIB-4
SCORE HUI
AST/piastrine
Ialuronato, MMP-3 TIMP-1, età
AST, HOMA, colesterolo, età, alcol
Bilirubina, gammaGT, alfa2macroglobulina,
ialuronato, età, sesso
Piastrine, PT, AST, urea, ialuronato,
alfa2macroglobulina, età
Piastrine, AST/ALT, INR
Piastrine/AST/gammaglobuline
AST, ALT, piastrine, età
BMI, bilirubina, albumina piastrine
SCORE ZENG
Ialuronato, gammaGT, alfa2macroglobulina, età
HCV
HCV
HCV
HCV
HBV
HBV
“Il Fibrotest è il metodo più affidabile
per la stadiazione non invasiva di fibrosi
e può essere utile in ambito prognostico
e di valutazione e monitoraggio
della risposta terapeutica”
epatopatie croniche metaboliche (steatosi e steatoepatite) (1-3).
I marcatori diretti misurano il turnover della matrice extracellulare, mentre i marcatori indiretti, molto più utilizzati nella pratica clinica, sono in realtà indici di funzione epatica o
parametri che correlano con lo stadio della malattia.
Alcuni sono estremamente semplici e tradizionalmente noti al
clinico come significativi di progressione, esempio su tutti è
l’indice APRI, che si basa su AST e piastrine. Altri sono più sofisticati e complessi ed includono parametri meno utilizzati
nella pratica clinica.
Tra questi ultimi, il più validato ed utilizzato è il Fibrotest, che ha
il vantaggio di essere ben standardizzabile con elevata riproducibilità, e di essere stato validato anche per un monitoraggio
nel tempo dell’evoluzione della malattia cronica di fegato, su
end-point clinici, sia in pazienti non trattati, che in corso di te-
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
FIBROMETER
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
APRI
ELF
FPI
HEPASCORE
Interazioni
farmacologiche
Indice di Forns
Eziologia di
riferimento
Percorsi ragionati
HIV
Test
congress
report
Marcatori sierologici di fibrosi epatica
Tabella 1. Test sierologici disponibili per la
valutazione della fibrosi epatica
highlights
La prognosi e gestione clinica dei pazienti con epatopatia cronica compensata dipendono in larga parte dal grado e dalla
velocità di progressione della fibrosi epatica, è ciò è ben documentato nei pazienti con epatite cronica da HBV e da HCV,
in cui la stadiazione della fibrosi epatica è elemento centrale
nella decisione sull’inizio della terapia antivirale.
Inoltre, una volta iniziata la terapia, a fianco dei parametri che
ne definiscono l’efficacia antivirale è indispensabile valutare
la risposta in termini di malattia epatica, ed anche in questo
caso il comportamento della fibrosi epatica, se in ulteriore progressione, o stabilizzazione, regressione, descrive nel modo
clinicamente più efficace il risultato ottenuto con la terapia.
Tradizionalmente queste valutazioni sull’andamento della malattia epatica si sono basate sulla biopsia epatica, ottenendo informazioni molto utili per definire attività e stadio della malattia.
Tuttavia, in considerazione dell’invasività del metodo, di alcuni limiti di interpretazione, come la poca praticabilità di protocolli che prevedano ripetute biopsie nel tempo, soprattutto
nei pazienti con buona risposta virologica, molti studi sono
stati rivolti negli ultimi 10 anni al tentativo di sviluppare e validare metodi alternativi, non invasivi, che permettano di ottenere una valutazione accurata della fibrosi epatica evitando
la necessità di ricorrere sistematicamente alla biopsia.
In quest’ambito sono state sviluppate due strategie: una basata su di un approccio “biochimico”, che ricorre alla quantificazione di biomarcatori sierici di fibrosi epatica, ed una
seconda “fisico-strumentale” che sfrutta metodologie come la
elastometria transiente, l’ecografia e la risonanza magnetica
nucleare. Entrambi questi approcci sono stati validati nelle
forme eziologiche più frequenti di epatopatia cronica ed alcuni sono risultati molto attendibili e certamente utilizzabili in
sostituzione della biopsia, con anche la possibilità di combinarli per migliorarne ulteriormente l’accuratezza diagnostica.
In questo articolo vengono descritti i marcatori sierologici più
validati ed utilizzati nella pratica clinica per la stadiazione ed
il monitoraggio della fibrosi epatica.
editoriale
I marcatori sierologici
di fibrosi epatica
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
36
VIRUS EPATITICI
rapia antivirale, soprattutto nell’infezione da HCV (4).
Va peraltro ricordato che questi marcatori non sono strettamente fegato-specifici ed esistono situazioni che possono produrre falsi-positivi, ad esempio in presenza di emolisi, o di
sindrome di Gilbert’s o di aumenti aspecifici di GGT per
quanto riguarda il Fibrotest, o in presenza di riacutizzazione
da malattia per APRI. Per ovviare a questi limiti, sono state sviluppate alcune strategie d’uso nella pratica clinica.
La strategia più razionale, e condivisa dagli esperti e dalle raccomandazioni e Linee Guida (5-6) prevede di combinare due
metodi non invasivi non correlati tra loro, accettando quindi il
risultato, se coerente, e ricorrendo invece alla biopsia epatica
in caso di evidente discrepanza. Classico esempio di questo
approccio è la cosidetta SAFE biopsy, da noi proposta anni fa,
(7) che si basa sulla combinazione di APRI e Fibrotest.
Successivamente sono state proposte e validate altre combinazioni di marcatori non invasivi (tabella 2) che permettono di
ridurre in modo significativo, seppur variabile, la necessità di
ricorrere ad una biopsia epatica (8).
Uso nella pratica clinica
In Italia, l’uso dei marcatori sierici di fibrosi epatica non ha ancora preso piede nella pratica clinica come in altri Paesi, come
ad esempio per il Fibrotest, riconosciuto parametro di riferimento dalle Autorità Sanitarie e rimborsato dal servizio sanitario nazionale in Francia, e registrato (come Fibrosure) negli
Stati Uniti e accettato da FDA come “surrogato” della biopsia
epatica nelle sperimentazioni cliniche su nuove terapie per
HCV. La situazione Italiana riflette in parte la non rimborsabilità di Fibrotest, in parte la forte affezione di molti clinici per la
Percorsi ragionati
Tabella 2. Combinazioni di metodi non invasivi
per la stadiazione della fibrosi epatica
Algoritmo
Test
utilizzati
Biopsie
risparmiate (%)
SAFE biopsy
APRI + FIBROTEST
47 - 82%
FIBROPACA
FIBROTEST + APRI-FORNS
52 - 76%
Algoritmo Leroy
Algoritmo Bordeaux
FIBROTEST + APRI
29%
FIBROSCAN + FIBROTEST
72 - 79%
biopsia epatica e soprattutto il fatto che nel nostro paese è
stato adottato con maggior entusiasmo l’approccio con Fibroscan. Va sottolineato a tal proposito come anche i maggiori
propugnatori dell’uso del Fibroscan, e le più autorevoli Linee
Guida, concordino sul fatto che in molti casi nei quali l’accuratezza diagnostica della sola elastometria non può essere
considerata ottimale, l’affiancamento di un test sierico è di
grande utilità e dovrebbe essere sempre considerato (9).
Il Fibrotest in particolare, indipendentemente dal fatto di essere stato proposto e validato da un ricercatore che oggi ne
detiene le Royalties con evidenti conflitti di interesse, rappresenta il metodo più affidabile per una stadiazione non invasiva della fibrosi epatica, con interessanti applicazioni cliniche
anche in ambito prognostico e di valutazione e monitoraggio
della risposta alle terapie antivirali.
Alfredo Alberti,
Sara Piovesan
Dipartimento di Medicina Molecolare e UOC di Medicina
Generale, Azienda Ospedaliera-Università di Padova
Riferimenti bibliografici:
1. Pinzani M, Vizzutti F, Arena U, et al. Technology insight: non invasive assessment of liver fibrosis by biochemical scores and elastography. Nat Clin Pract Gastroenterol Hepatol 2008; 5:95-106.
2. Manning DS, Afdhal NH. Diagnosis and quantitation of fibrosis. Gastroenterology 2008; 134:1670-1681.
3. Castera L. Transient elastography and other noninvasive etsts to assess hepatic fibrosis in patients with viral hepatitis. J Viral
Hepat 2009; 16:300-314.
4. Poynard T, Munteanu M, Imbert-Bismut F, et al. Prospective analysis of discordant results between biochemical markers and
biopsy in patients with chronic hepatitis. Clin Chem 2004; 10:10-22.
5. EASL clinical practice guidelines: management of hepatitis C virus infection. J Hepatol 2011; 54:1433-44.
6. Castera L, Pinzani M. Non invasive assessment of liver fibrosis: are we ready? Lancet 2010; 375:1419-1420.
7. Sebastiani G, Halfon P, Castera L. SAFE biopsy: a validated method for large-scale staging of liver fibrosis in chronic hepatitis C.
Hepatology 2009: 49:1821-27.
8. Sebastiani G, Castera L, Halfon P, et al. The impact of liver disease aetiology and the stages of hepatic fibrosis on the performance of non invasive fibrosis markers: an international study of 2411 cases. Aliment Pharmacol Ther 2011; 34:1202-1216.
9. Castera L. Non invasive methods to assess liver disease in patients with hepatitis B or C. Gastroenterology 2012; 142:1293-1302.
[I marcatori sierologici di fibrosi epatica. A. Alberti, S. Piovesan]
37
Nuove terapie
Il farmaco più promettente è sofosbuvir (GS-7977), analogo
Nello studio FISSION, sono stati reclutati 499 pazienti
nucleotidico inibitore della polimerasi NS5B del virus C, atnaive con genotipo 2 o 3 randomizzati a ricevere per 12
tivo contro diversi genotipi di HCV. Con una prassi finora insettimane 400 mg/die di sofosbuvir con ribavirina, senza
solita, i risultati di sofosbuvir sono stati preannunciati nel
interferone, oppure terapia di controllo con Peg-IFN e ri2013 in almeno tre lavori pubblicati in importanti riviste inbavirina per 24 settimane. Considerati i dati cumulativi
ternazionali (1-3), che riportavano dati preliminari di fase 2.
dei due genotipi in confronto al controllo, il trattamento
I dati ora estesi e completati negli studi di fase 3 NEUTRINO
con sofosbuvir non è stato di efficacia inferiore, pur ese FISSION, di recente pubblicazione, vengono qui analizsendo di minor durata e senza interferone (67% vs 67%).
zati a compendio anche delle precedenti pubblicazioni (4).
Tuttavia, una volta distinti i pazienti con genotipo 2 da
Nello studio NEUTRINO sono stati arruolati 327 pazienti
quelli con genotipo 3, l’SVR nei primi è stata del 97% e
naive in gran parte con HCV genotipo 1 e 4 (98%), in midel 56% nei secondi (contro una risposta del 63% nei panima parte con genotipo 5 e 6. Sofosbuvir è stato somminizienti con genotipo 3 trattati con Peg-IFN e ribavirina).
strato per 12 settimane, alla dose di 400 mg per os una volta
La problematica del genotipo 3 è riemersa negli studi POal giorno insieme a Peg-IFN alfa2a e ribavirina in dose stanSITRON e FUSION (5).
dard, rispetto al controllo storico calcolato sulla base dei tassi di SVR ottenuti
con telaprevir e boceprevir (SVR 60%).
Figura 1. Studio NEUTRINO: SVR12 con sofosbuvir + P/R secondo
genotipo e livello di fibrosi
I risultati sono eccellenti. Dopo 12 settimane dalla fine della terapia, la risposta
100
100
100
96
92
virale sostenuta (SVR 12) è stata del
89
90% e dell’80% nei cirrotici (figura 1).
80
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
60
40
20
60
40
GT1
27/28
GT4
7/7
GT5,6
n/N= 252/273
0
No cirrosi
43/54
Cirrosi
Lawitz E, et al. EASL 2013. Abstract 1411
highlights
20
n/N= 261/292
0
congress
report
80
SVR12 (%)
“Uno dei farmaci più
promettenti è sofosbuvir,
analogo nucleotidico
della NS5B di HCV,
attivo contro genotipi
virali diversi”
SVR12 (%)
80
Percorsi ragionati
HIV
L’avvento degli antivirali ad azione diretta contro l’HCV (Direct Activity Antivirals - DAA) ha aperto una
nuova era nella terapia dell'epatite cronica C e va suscitando gran fermento per l'esuberante sviluppo di
molti nuovi farmaci. Sono in fase di avanzata valutazione clinica diverse strategie terapeutiche con DAA,
che aumentano l’efficacia terapeutica e riducono sensibilmente gli effetti collaterali non solo nei confronti
della terapia storica con Peg-IFN e ribavirina ma anche nei confronti dei primi due DAA licenziati per l'uso
generale, telaprevir e boceprevir; la letteratura del 2013 già abbonda di abstract, press release e studi
di fase 2 che riportano lo stato di avanzamento della ricerca per molti DAA.
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
A cura di Alessia Ciancio, Mario Rizzetto SCDU Gastroenterologia, AO Città della Salute e della Scienza di Torino
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Gli studi di fase 3 con sofosbuvir
editoriale
per l’EPATITE CRONICA C
Interazioni
farmacologiche
La nuova rubrica si propone di puntualizzare
periodicamente il progresso nella terapia
dell’epatite cronica C, limitando l’attenzione
alle pubblicazioni nelle più importanti riviste
internazionali, che riportano studi conclusivi
di fase 3.
Nuove terapie per l’epatite cronica C
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
38
“Sofosbuvir presenta molte
caratteristiche per divenire
farmaco di prima scelta
nei naive con epatite
cronica da HCV 1, 2 e 4”
Tabella 1. Riassunto dei risultati degli studi con sofosbuvir
Studio
Popolazione
n
Regime
Durata, sett.
SVR12, %
NEUTRINO(1)
naive HCV1
naive HCV4
naive HCV5/6
292
28
7
SOF + P/R
SOF + P/R
SOF + P/R
12
12
12
89
96
100
naive HCV2
naive HCV3
experienced HCV2
experienced HCV3
experienced HCV2
experienced HCV3
IFN-UII HCV2
IFN-UII HCV3
70
183
36
64
32
63
109
98
SOF + RBV
SOF + RBV
SOF + RBV
SOF + RBV
SOF + RBV
SOF + RBV
SOF + RBV
SOF + RBV
12
12
12
12
16
16
12
12
97
56
86
30
94
62
93
61
FISSION(2)
FUSION(3)
In POSITRON, 207 pazienti con genotipo 2 e 3 intolleranti all’interferone,
POSITRON(4)
sono stati trattati con sofosbuvir 400
mg al giorno e ribavirina per 12 settiIFN-UII= non eleggibili/intolleranti o non disposti ad assumere IFN
mane; nello studio FUSION, 103 pa1. Lawitz E, et al. EASL 2013. Abstract 1411. 2. Gane E, et al. EASL 2013. Abstract 5.
zienti con genotipo 2 e 3, che non
3. Nelson D, et al. EASL 2013. Abstract 6. 4. Jacobson IM, et al. EASL 2013. Abstract 61.
avevano risposto a Peg-IFN e ribavirina, sono stati trattati con sofosbuvir
400 mg insieme a ribavirina per 12 o 16 settimane, che
RNA è recidivato (dopo iniziale abbattimento totale con la teè stato valutato rispetto al tasso di SVR storico del 25%.
rapia); in particolare, non è stata documentata la mutazione
Sia in POSITRON che in FUSION la risposta del genotipo 2
S282T, l’unica capace di indurre resistenza a sofosbuvir;
è stata eccellente (93%; 86% a 12 settimane - 94% a 16 set• la terapia richiede solo 12 settimane sia per i pazienti con
timane) ma è stata decisamente inferiore nel genotipo 3:
genotipo 1 e 4 che per quelli con HCV 2; in questi pazienti,
61% in POSITRON, 30% in FUSION dopo 12 settimane di
è completamente orale, non richiedendo più dell’aggiunta di
terapia e 62% dopo 16 settimane di terapia); nei cirrotici
Peg-IFN.
con genotipo 3 solo del 19% (tabella 1).
Sofosbuvir è meno valido nell'epatite da genotipo 3. La sua
Sofosbuvir presenta, dunque, molte caratteristiche per diefficacia a 12 settimane di terapia non è superiore rispetto
venire il farmaco di prima scelta nei pazienti naive con
alla cura standard con Peg-IFN + RBV data per 24 settiepatite cronica da HCV 1, HCV 2 e HCV 4:
mane ed è limitata nei cirrotici HCV3, in cui si osserva un
• il farmaco è molto efficace anche nei pazienti cirrotici,
elevato tasso di relapser, quasi il 30%. Dunque sofosbuvir
perlomeno in quelli con cirrosi ben compensata; è ben tolva riconsiderato nella terapia di questi pazienti, nei quali va
lerato, i tassi di sospensione prematura sono stati del 2%
verosimilmente somministrato per periodi più lunghi di 16
nei soggetti in triplice con Peg-IFN e ribavirina, e dell’1%
settimane per migliorare la risposta. Rimane non risolto il
in duplice terapia con la sola ribavirina;
problema più importante per l’epatologo e il paziente, di
• sofosbuvir non ha suscitato resistenza importante nei 102 recome curare l’epatite C nei soggetti con cirrosi avanzata e
lapser cumulati dagli studi NEUTRINO e FISSION, in cui l’HCV
in quelli che non hanno risposto a precedenti terapie.
Riferimenti bibliografici:
1. Gane EJ, Stedman A, Hyland RH, et al. Nucleotide polymerase inhibitor sofosbuvir plus ribavirin for hepatitis C. N Engl J Med 2013; 368:34-44.
2. Kowdley KV, Lawitz E, Crespo I, et al. Sofosbuvir with pegylated interferon alfa-2a and ribavirin for treatment-naive patients with
hepatitis C genotype-1 infection (ATOMIC): an open-label, randomised, multicentre phase 2 trial. Lancet 2013 March 14 (Epub ahead of print).
3. Lawitz E, Lalezari JP, Hassanein T, et al. Sofosbuvir in combination with peginterferon alfa-2a and ribavirin for non-cirrhotic, treatmentnaive patients with genotypes 1, 2, and 3 hepatitis C infection: a randomised, double-blind, phase 2 trial. Lancet Infect Dis. 2013 May;
13(5):401-8. Epub 2013 Mar 15.
4. Lawitz E, Mangia A, Wyles D, et al. Sofosbuvir for Previously Untreated Chronic Hepatitis C Infection. N Engl J. Med, April 23 2013
DOI:10.1056/NEJ Moa 1214853.
5. Jacobson IM, Gordon SC, Kowdley KV, et al. Sofosbuvir for Hepatitis C Genotype 2 or 3 in Patients without Treatment Options. N Engl
J Med April 23 2013. DOI: 10.1056/NEJMoa1214854.
[Gli studi di fase 3 con sofosbuvir. A cura di Alessia Ciancio, Mario Rizzetto]
39
Interazioni
In questa nuova rubrica, che si svilupperà
su più numeri della rivista, vi presentiamo
la raccolta delle interazioni principali tra
antiretrovirali e farmaci di impiego comune
nella pratica clinica per il trattamento delle
comorbidità infettive e non infettive, oggi
sempre più frequenti nei pazienti con HIV.
FARMACOLOGICHE
Tabella 1. Overview delle interazioni tra ARV e antifungini
FLUCONAZOLO
ITRACONAZOLO
VORICONAZOLO
POSACONAZOLO
AMFOTERCINA
B LIP
CASPOFUNGINA
ANIDULAFUNGINA
NRTI
NRTI
Si?
Si?
Si?
Si
Si?
Si?
Si?
NNRTI
EFV
NVP
ETV
RPV
fAPV
LPV
ATV
DRV
RAL
bEVG
Si
Si?3
Si-TDM
Si?
Si?
Si
Si
Si?
Si?
Si?4
No?
No
Si?
Si?
Si?4
Si?4
Si?4
Si?4
Si?
Si?
DOSE1
No?
Si-TDM
Si?
No-TDM
No-TDM
TDM5
No-TDM
Si?
Si-TDM
No?
Si-TDM
Si?
Si?
No?
Si?
DOSE6
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
DOSE2
DOSE2
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
MVC
Si
Si7
Si7
Si?
Si?
Si?
Si?
PI/r
INI
CCR5I
I numeri in apice si riferiscono ad altrettante interazioni, i cui effetti farmacocinetici, meccanismi e indicazioni di gestione clinica sono inseriti in tabella 2.
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
“La contemporanea assunzione di alcuni farmaci antiretrovirali
con alcuni farmaci antifungini, antibiotici o antiparassitari può dar luogo
a interazioni rilevanti per la comune via metabolica utilizzata”
Interazioni
farmacologiche
distanza tra le concentrazioni inefficaci e quelle tossiche.
Nel valutare questi fenomeni vanno, perciò, tenuti presenti
la durata della somministrazione di un farmaco (singola
dose/alcuni giorni/terapia cronica), la gravità della condizione clinica, lo status immuno-virologico del paziente e la
barriera genetica dei farmaci utilizzati.
Per molte interazioni non abbiamo spesso dati di farmacocinetica (PK) oppure abbiamo dati in piccoli gruppi di volontari
sani; nelle Tabelle, laddove viene indicata la compatibilità di
due farmaci (Si) seguita da un punto interrogativo, si intende
che tale raccomandazione deriva dalle caratteristiche delle
molecole e non da formali studi di interazione. Per “Dose” si
intende che è consigliata una modifica del dosaggio o della
posologia, mentre per TDM (a seguire comunque un giudizio
di compatibilità) si intende il consiglio di effettuare il monitoraggio plasmatico dei farmaci cosomministrati.
congress
report
Le interazioni tra farmaci costituiscono una delle evenienze
più frequenti nel trattamento di pazienti complessi e che devono assumere una terapia cronica come quella antiretrovirale. Alcuni farmaci hanno un profilo di induzione o
inibizione noto ma l’entità di un’interazione può essere imprevedibile nel singolo caso osservato.
A ciò va aggiunto che, qualora vi fossero più di due farmaci
implicati, è molto difficile prevedere l’effetto finale e si consiglia dunque di misurare le concentrazioni plasmatiche utilizzando il Therapeutic Drug Monitoring (TDM) come
strumento per la gestione clinica del paziente.
Va, inoltre, ricordata la differenza tra l’entità di un’interazione (ovvero di quanto le concentrazioni vengono aumentate o diminuite) e la sua significatività (ovvero l’effetto
clinico che essa determina); in particolare la significatività dipende dall’indice terapeutico di una molecola, ovvero dalla
highlights
A cura di Andrea Calcagno Clinica Universitaria Malattie Infettive, Ospedale Amedeo di Savoia, Torino
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Interazioni tra ARV e antifungini,
antibiotici e antiparassitari
Interazioni farmacologiche
40
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Tabella 2. Dettaglio delle interazioni tra ARV e antifungini; effetti su profilo farmacocinetico, meccanismo
e gestione clinica dell’interazione
Interazioni
farmacologiche
congress
report
Meccanismo
VOR$ e EFV#
CYP3A4
Gestione clinica
1
Voriconazolo/EFV
2
Caspofungina/EFV o NVP
CASPO$
OATP1B1?
3
Fluconazolo/NVP
NVP#
CYP2B6
Possibili eventi indesiderati; aumento AUC NVP 33-100%
4
Itraconazolo/boosted ARV
ITRA#
PI#? EVG#?
CYP3A4
Sconsigliati dosaggi di itraconazolo
superiori a 200 mg/die
VOR$ ATV$
VOR#
CYP2C19
CYP3A4
Sconsigliato, possibile utilizzo di voriconazolo con TDM,
riportati casi clinici di successo terapeutico
5
Voriconazolo/ATV
Aumentare voriconazolo a 400 mg bid
Diminuire EFV a 300 mg qd
Aumentare caspofungina a 70 mg qd
6
Posaconazolo/ATV
ATV#
UGT1A4
Possibili eventi indesiderati; aumento AUC ATV 250-370%
7
Itraconazolo-voriconazolo/MVC
MVC#?
CYP3A4
Ridurre MVC a 150 mg bid
Tabella 3. Overview delle interazioni tra ARV e antibiotici
NRTI
NNRTI
PI/r
INI
highlights
Effetti PK
CCR5I
(per il dettaglio delle interazioni, vedi Tabella 4)
FLUOROCHINOLONI
MACROLIDI
PENICILLINE/
CEFALOSPORINE/
CARBAPENEMI
METRONIDAZOLO
AMINOGLICOSIDI
RIFAMPICINA
RIFABUTINA
Si?
Si
Si?
Si?
Si?9
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si8
Si8
Si8
Si?
Si/DOSE10
Si/DOSE10
Si/DOSE10
Si/DOSE10
Si?
Si?
DOSE
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si11
Si11
Si11
Si11
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si?
Si
Si-TDM
No-TDM
No
No
No
DOSE
No
No
DOSE
No
DOSE
Si?
DOSE
DOSE
Si-TDM
No
DOSE
DOSE
DOSE
DOSE
Si
No
Si?
NRTI
EFV
NVP
ETV
RPV
fAPV
LPV
ATV
DRV
RAL
bEVG
MVC
Tabella 4. Dettaglio delle interazioni tra ARV e antibiotici
Effetti PK
Meccanismo
8
Claritromicina/EFV o NVP o ETV
CLA$; 140HCLA#;
ETV e NPV#
CYP3A4
9
Farmaci noti per allungare il QT
(fluorochinoloni, macrolidi)/RPV
n.a.
?
10
Claritromicina/PI
CLA#
CYP3A4
11
Metronidazolo/PI/r
non noti
alcol in capsule/
soluzioni orali
[Interazioni farmacologiche. A cura di Andrea Calcagno]
Gestione clinica
Utilizzare azitromicina
quando possibile
Utilizzare con cautela giacchè in
volontari sani dosi maggiori di RPV (75 e 300 mg/die)
sono state associate ad allungamento del QT
Ridurre claritromicina (50-75%) in pazienti con
insufficienza renale; non necessario per azitromicina
Evitare le formulazioni contenenti
alcol (effetto disulfiram-like)
Interazioni farmacologiche
41
Tabella 5. Farmaci antiretrovirali in associazione a rifampicina
PRO
CONTRO
Non interazioni; poche compresse
Scarsa efficacia antivirale
2 NRTI + NVP
Poche compresse
Fallimenti clinici più frequenti rispetto a 2 NRTI + EFV
2 NRTI + LPV/r (800/200 bid)
Alta barriera genetica
Elevato numero di compresse del dosaggio 800/200 bid, dati su PK e tollerabilità in pochi pazienti
2 NRTI + MVC 600 mg bid
Potenziale buona tollerabilità
Dati di PK con dosaggio di MVC inferiore (100 mg bid); non dati su tollerabilità ed efficacia
“Il regime cART di scelta da associare ad una terapia antitubercolare che includa
rifampicina si basa sul backbone nucleosidico + EFV, mentre in associazione a
rifabutina, induttore meno potente di CYP3A4, è possibile l’uso dei PI/r”
Tabella 6. Dose di rifabutina (RBT) in associazione a diversi antiretrovirali
NNRTI
PI/r
INI
CCR5I
EFV
EFV=$
RBT$
450 mg/die e poi 600 mg 2/sett
NVP
NVP=
RBT#, 25OHRBT#
300 mg/die
Grande variabilità nella PK di rifabutina:
cautela!
ETV
ETV$
RBT$, 25OHRBT$
300 mg/die
Dati PK sulla vecchia formulazione di ETV:
TDM e cautela
RPV
RPV$
RBT= 25OHRBT=
No
ATV
ATV=
RBT#, 25OHRBT#
150 mg 3/sett
fAPV
APV=
RBT= 25OHRBT#
150 mg a dì alterni
LPV
LPV#
RBT#, 25OHRBT#
150 mg a dì alterni
DRV
DRV#
RBT$, 25OHRBT#
150 mg a dì alterni
RAL
RAL AUC= #Cmin
RBT$?
300 mg/die
Dati PK su volontari sani:
TDM rifabutina
bEVG
EVG$
RBT= 25OHRBT#
300 mg/die
EVG AUC e Cmin ridotte
del 21% e 67%
MVC
?
300 mg/die
Interazione non studiata,
non attese interazioni
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
TDM e cautela
RPV AUC (150 mg qd)
ridotta del 46%
Alcuni dati suggeriscono
che con i PI/r e rifabutina data a
150 mg a giorni alterni si ottengono
concentrazioni subottimali di rifabutina.
Alcuni esperti suggeriscono di iniziare
con 150 mg qd monitorando
gli effetti collaterali da rifabutina
Percorsi ragionati
HIV
3 NRTI
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Alternativi
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Numero medio di compresse, studi clinici in corso per valutare l’efficacia clinica di questo dosaggio
Interazioni
farmacologiche
RAL 800 mg bid
2 NRTI + RAL
congress
report
Ove non possibile per: resistenze o intolleranza/tossicità o gravidanza
editoriale
Monitoraggio concentrazioni plasmatiche di EFV
highlights
EFV 600 mg se peso < 60 Kg
EFV 800 mg se peso > 60 Kg
2 NRTI + EFV
Interazioni farmacologiche
42
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Tabella 7. Overview delle interazioni tra ARV e antiparassitari/antielmintici
ALBENDAZOLO/
MEBENDAZOLO
IVERMECTINA
AMODIACHINA
ALOFANTRINA/
LUMEFANTRINA
(per il dettaglio delle interazioni, vedi Tabella 8)
DERIVATI
ARTEMISINA
MEFLOCHINA
CHININO
PRIMACHINA
ATOVAQUONE
NRTI
NRTI
Si?
Si?
Si?
Si
Si?
Si?
Si?
Si?
NNRTI
EFV
NVP
ETV
RPV
fAPV
LPV
ATV
DRV
RAL
bEVG
MVC
Si?
Si?
Si?
Si?
Si12
Si12
Si12
Si12
Si?
Si?
Si?
Si?
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Si?
Si?
Si?
Si?
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Si?
Si?
Si?
Si?
No13
Si?
Si?
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No14
No15
Si?
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No?
No?16
No?
No?
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No?
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No14
No15
Si?
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Si?17
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Si?
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Si?
Si?
Si?
Si?
Si?19
Si?19
Si?
Si?
Si?
Si?
PI/r
INI
CCR5I
“Tra i farmaci antimalarici, particolare attenzione va riservata alle interazioni
tra NNRTIs o PI/r con lumefantrina/arthemether mentre è sconsigliato
l'utiizzo contemporaneo di efavirenz con amodiachina”
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Tabella 8. Dettaglio delle interazioni tra ARV e antiparassitari/antielmintici
Effetti PK
Meccanismo
Gestione clinica
12
Albendazolo/RTV
Mebendazolo/RTV
ALB/MEB$
ALB SULF$
CYP2C9?
CYP1A2?
Interazione tra RTV 200 mg bid e albendazolo/mebendazolo:
non nota l’entità con PI/r. Cautela
13
Amodiachina/EFV
AMOD#
CYP2C8
Studio di interazione interrotto per aumento delle transaminasi
in due soggetti (AUC aumentate di 114% e 302%).
Evitare la cosomministrazione
14
Arthemeter/lumefantrina/
EFV
LUM$ ART$
DIIDROART$
EFV =
CYP3A4
Concentrazioni di tutti gli
antimalarici ridotte (50-75%):
cautela!
15
Arthemeter/lumefantrina/
NVP
LUM$ o#
ART$ DIIDROART$
NVP$
CYP3A4
Concentrazioni di tutti gli
antimalarici ridotte (50-75%)
ma in uno studio lumefantrina#: cautela!
16
Arthemeter/lumefantrina/
LPV/r
LUM# ART$
DIIDROART$
LPV =
CYP3A4
Ridotte AUC e DH arthemeter (39% e 45%),
aumentata AUC lumefantrina (2.3 volte):
cautela!
17
Chinino e meflochina con
induttori (NNRTI) o inibitori
(PI/r, bEVG) del CYP3A4
CHININO#?
MEFLO#?
CYP3A4
Non dati PK (tranne nella cosomministrazione con RTV
riduzione AUC RTV del 31% e meflochina non alterata).
Cautela, monitoraggio QT
18
Atovaquone/EFV
ATOV$
EFV =
UGT?
AUC atovaquone ridotta del 69% (singola dose):
valutare incremento di dosaggio di atovaquone
19
Atovaquone/ATV/r
Atovaquone/LPV/r
ATOV$
ATV/r e LPV/r =
UGT?
AUC atovaquone ridotta del 33% e 66% (singola dose):
valutare incremento di dosaggio di atovaquone
Riferimenti bibliografici:
Le fonti principali utilizzate sono il sito internet dell’Università di Liverpool (www.hiv-druginteractions.org) e dell’Università di San Francisco
(http://hivinsite.ucsf.edu/InSite.jsp?page=ar-00-02) a cui si rimanda per la bibliografia.
[Interazioni farmacologiche. A cura di Andrea Calcagno]
congress report
44
46th Associazione Italiana
per lo Studio del Fegato
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Roma, 21-22 febbraio 2013
N
ell’ambito dell’epatite B, uno studio
condotto in tutti i centri trapianti nazionali in 2260 pazienti fra il 1983 ed
il 2011 conferma l’ottimo risultato della
profilassi anti-HBV nel trapianto epatico
(abs OC-20); il tasso di ricorrenza di
HBV nel trapiantato è stato del 4% e
quello di epatite B de novo del 6%.
• Eccellenti i risultati ottenuti con entecavir in 5 anni di follow up in 418 pazienti con epatite cronica B italiani. Il
tasso di risposta (HBV DNA negativo)
ha raggiunto il 100% sia nei pazienti
HBeAg+ che in quelli HBeAg-; non è
stato riportato alcun effetto collaterale
significativo (abs T-11, T-14, T-15).
• Similmente appare molto efficace la
terapia con tenofovir. La risposta è aumentata al 95% dopo 3 anni; la terapia (media 33 mesi) si è rivelata sicura
anche sul versante renale, ritenuto il
punto debole di tenofovir per il rischio
di nefropatia tubulare (abs T-12).
• La persistente risposta terapeutica
agli antivirali migliora nei cirrotici il
gradiente pressorio porto-sistemico
(HVPG) nel 71% dei casi, riportandolo
nel 57% dei casi alla normalità (HVPG
< 5) (abs F-15).
• L’HBsAg non diminuisce o diminuisce molto lentamente nei pazienti con
epatite cronica B trattati con antivirali.
Tuttavia quando il livello è di circa 100
UI/ml la caduta dell'antigene è più rapida di quanto previsto (abs F-17);
l’aggiunta di Peg-IFN (abs T-17) ha
portato ad una riduzione dell’HBsAg
in 5 di 11 pazienti HBeAg- che, in risposta con gli antivirali, mantenevano
un titolo stabile di HBsAg plasmatico.
“Una selezione delle comunicazioni orali e poster
in tema di epatite cronica B e C”
• Nell’ambito dell’epatite C, nell’Early
Access Italiano alla terapia con telaprevir (TVR) in 128 pazienti con fibrosi severa o cirrosi compensata, alla 12
settimana il 73% dei pazienti aveva una
viremia HCV non determinabile (abs
OC-26). La RVR alla 4a settimana era
del 77% nei “naive”, del 64% nei relapser alla terapia con Peg-IFN + RBV,
58% nei non-responder alla duplice.
Il tasso di sospensione della terapia è
stato del 21%; anemia importante si è
sviluppata nel 43% dei pazienti, rash
cutaneo nel 31%. L’analisi, pur limitata
alle prime 16 settimane, ribadisce la necessità di una scelta attenta del paziente da trattare (piastrine > 90.000
mmc); rispetto all’Early Access Program
francese (CUPIC) gli eventi negativi
sono stati inferiori e meglio controllati.
• In vitro, in cellule Hep G2 transfettate con HBV wild-type flavocoxid (che
contiene flavonoidi, baicalina e catechina) dopo 5 giorni ha ridotto di oltre
l’80% la sintesi di intermedi replicativi
dell’HBV ed ha indotto una riduzione
del 30% del ccc DNA (abs OC-29).
L’associazione di flavocoxid con ETV
ha ulteriormente ridotto l’espressione
di tutti i parametri replicativi dell’HBV.
• In 21 pazienti HCV (abs F-01) trattati
in triplice con TVR o BOC sono state
determinate la presenza e l’emergenza di resistenze ai due antivirali,
prima della terapia e ogni 4 settimane
durante la terapia. In due pazienti cirrotici che hanno sviluppato resistenza,
sono state identificate le mutazioni re-
sistenti V36M + R 155 K all’8a settimana di terapia. In altri due pazienti
sono state identificate le mutazioni resistenti V 36 M e T 54 A già alla 48a
ora di terapia con TVR; uno dei due,
ha esibito breakthrough virale alla 24
settimana ma l’altro ha raggiunto RVR.
Un paziente trattato con BOC esibiva
la resistenza Q80S pre-terapia ma ha
raggiunto l’RVR. Questi dati, pur preliminari, suggeriscono che il precoce
riconoscimento di mutazioni dell’HCV
in terapia possa servire a sospendere
o variare il trattamento antivirale.
• Lo studio Optimize (abs T-01) dimostra che TVR BID (1125 mg per
dose) ottiene un’efficacia terapeutica
simile alla somministrazione standard
TID (750 mg per dose). La semplificazione terapeutica favorisce l’aderenza del paziente.
• IL28CC è stata correlata con un declino rapido della viremia HCV nella
fase iniziale della terapia con PegIFN e RBV (abs T-04) ed è stata rilevata l’associazione tra genotipo
IL28CC sia con l’assenza di steatosi
che con più severa infiammazione
portale nei pazienti con HCV1; l’associazione è stata confermata con infiammazione lobulare severa nei
pazienti con HCV2 e con fibrosi
avanzata nei pazienti con HCV3
(abs OC-21).
[46th Associazione Italiana per lo Studio del Fegato. Roma, 21-22 febbraio 2013. M. Rizzetto]
Mario Rizzetto
SCDU Gastroenterologia, AO Città
della Salute e della Scienza di Torino
congress report
46
11th European Meeting on HIV
and Hepatitis
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Roma, 20-22 marzo 2013
S
ul versante HIV, è emerso l’impatto dei livelli di viremia al baseline e della risposta virologica alla
terapia: Armenia et al hanno mostrato
come valori di viremia > 500.000
copie/ml correlino con un ritardo nel
raggiungimento del successo virologico e con un aumentato rischio di rebound virologico. Ciò evidenzia la
necessità di un monitoraggio adeguato per quei pazienti che albergano un virus con elevato potenziale
replicativo (abs #1).
• E’ stato discusso anche il significato
clinico dei fallimenti terapeutici con
bassi livelli di viremia che si accompagnano ad un aumentato rischio di
sviluppare ceppi farmacoresistenti
(Colafigli E. abs #3).
• Discussa anche la resistenza ai farmaci di ultima generazione: uno studio condotto su oltre 7.000 sequenze
della RT di HIV ha mostrato come
circa la metà dei pazienti che hanno
ricevuto nel corso della loro storia terapeutica un trattamento con NNRTI
(in particolar modo etravirina e nevirapina) albergano ceppi in grado di
compromettere la risposta virologica
a rilpivirina, evidenziando l’importanza del test genotipico come strumento irrinunciabile per attuare un
corretto sequencing degli NNRTI
(Santoro MM. abs #17).
• Sono state descritte le barriere che
ad oggi rendono arduo il percorso
verso la cura funzionale o biologica
del virus: Martinez Picado J. ha evidenziato come la cura dell’infezione
da HIV non possa prescindere dalla
definizione di marcatori diagnostici
Figura 1. Principali barriere all’eradicazione di HIV
Panteleo G, Roma 2013
“Dal workshop emergono gli update in ambito virologico sulla gestione del paziente con HIV e HCV”
accurati per misurare e monitorare il
pool di reservoir cellulari di HIV e i livelli di replicazione virale residua in
tutti i reservoir.
• Pantaleo G. ha, invece, sottolineato
la necessità di un approccio integrato
basato sul sinergismo tra strategie virologiche e immunologiche come
unica arma per scalfire il pool di reservoir cellulari di HIV (figura 1).
• Sul versante HCV, dalle numerose
presentazioni è emersa la straordinaria variabilità genetica di questo virus
in grado di modulare il suo potenziale
patogeno e la risposta al trattamento.
E’ nota l’esistenza di diversi genotipi
di HCV che possono rispondere ai farmaci in modo differente.
Zazzi M. ha mostrato come il genotipo 1a è a sua volta distinto in 2 sot-
[11th European Meeting in HIV and Hepatitis. Roma, 20-22 marzo 2013. V. Svicher]
togenotipi che albergano già in modo
costitutivo distinti profili di resistenza
agli inibitori della proteasi (abs #12).
• Questa elevata diversificazione genetica rende ragione della rapida
comparsa di ceppi farmacoresistenti
soprattutto nel contesto di pazienti
null/partial responder ad un trattamento precedente con IFN e RBV e,
quindi, in quei pazienti in cui l’inibitore della proteasi agisce come una
monoterapia funzionale (Di Maio VC.
abs #10). Ciò evidenzia la necessità
di costruire per i pazienti HCV un regime terapeutico contenente più farmaci attivi e l’importanza del test
genotipico per il corretto management
del paziente con HCV.
Valentina Svicher
Università degli Studi “Tor Vergata”, Roma
congress report
47
48th European Association
for the Study of the Liver
“Lo studio CUPIC e altri studi sul campo
ribadiscono la necessità di un’accurata scelta
dei pazienti da trattare con TVR e BOC”
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
• Gli studi tedeschi sul campo (abs:
793, 805, 871, 875) sia con TVR
che con BOC indicano, invece, risposte iniziali (RVR) consistenti ed
effetti collaterali simili agli studi registrativi (anemia < 8.5 g/dl nel 28,9%). Da rilevare, tuttavia, che la
percentuale di cirrotici arruolati
negli studi tedeschi è solo del 1021%.
Analizzati alla luce della percentuale di pazienti cirrotici, i vari studi
sul campo non sono dunque contraddittori per quanto riguarda la sicurezza ed il rischio di BOC e TVR,
in quanto gli effetti avversi sono
proporzionali al numero di cirrotici,
ma ribadiscono la necessità di
un’accurata scelta dei pazienti da
trattare.
• Lo stato di avanzamento dei trial
terapeutici è stato oggetto di diverse
presentazioni. I dati più significativi
e completi riguardano sofosbuvir
(SOF). Gli studi NEUTRINO, POSITRON, FUSION e FISSION sono
stati nel frattempo pubblicati per extenso e vengono commentati in un
altro articolo in questo numero di
ReAd Files (vedi pag. 37). Essi propongono:
– terapia con SOF e P + R per 12
settimane per i pazienti con genotipi
1, 4, 5, 6 naive non cirrotici o con
cirrosi compensata (NEUTRINO);
– terapia con SOF + R per 12 settimane per i pazienti con genotipi 2 e
3 naive, non cirrotici o con cirrosi
compensata (FISSION).
– terapia con SOF + R per 12-16
settimane per i pazienti con genotipi
2 e 3 non cirrotici o con cirrosi compensata, non elegibili o non responder alla duplice terapia P + R
(POSITRON, FUSION).
Considerata l’efficacia della terapia
in diversi genotipi, la breve durata
del trattamento (12-16 settimane),
Interazioni
farmacologiche
• Più studi affrontano lo scenario
della triplice terapia con boceprevir
(BOC) e telaprevir (TVR) nella pratica clinica.
Nello studio CUPIC francese sono
stati arruolati 674 pazienti HCV1
con cirrosi o fibrosi F3 compensata
(Child A).
I dati confermano l’efficacia dei farmaci, con SVR12 del 41% per BOC
e del 40% per TVR, ma anche la minore sicurezza, rispetto agli studi registrativi, già emersa nei report
preliminari del CUPIC.
Eventi avversi seri si sono avuti nel
45% dei pazienti in TVR e nel 32,2%
nei pazienti in BOC. Il 22% e il
26,3% hanno smesso prematuramente TVR o BOC, il 14% e l’11%
per effetti collaterali gravi (abs 60).
• L’uso della triplice terapia con TVR
o BOC è stato valutato nella ricorrenza dell’epatite HCV1 post-trapianto in una coorte americana (abs
23) ed in una coorte francese (abs
1422). Nella coorte americana trattata con TVR, gli effetti collaterali importanti sono stati evidenziati nel
41,2% dei pazienti ed il 2% sono
deceduti; nella coorte francese la risposta virale alla fine della terapia è
stata dell’82% con BOC e del 38%
con TVR, il 44% dei pazienti ha sospeso la terapia per non-risposta o
effetti collaterali vari.
congress
report
• In uno studio sul campo in Austria
(abs 65), sono stati arruolati 110
pazienti HCV1 con fibrosi epatica
avanzata/cirrosi, trattati con BOC e
TVR. Solo 24 pazienti hanno raggiunto una risposta virale alla fine
della terapia.
Effetti avversi gravi si sono verificati
nel 20%, il 46,8% ha sospeso la terapia, 3 pazienti sono morti per
sepsi. L’analisi ha confermato il rischio di effetti collaterali maggiori
nei pazienti con basse piastrine
(<100.000/mmc), bassa albuminemia (< 3,5 g/dl) e in presenza di un
gradiente pressorio porto-sistemico
(HVPG) ≥ 10 mm Hg.
highlights
C
ome prevedibile, le novità in
tema di trattamento dell’epatite
cronica C sono state al centro del
programma scientifico del recente
congresso dell’EASL, presentando un
quadro avvincente del presente, del
prossimo futuro e, in prospettiva, di
possibilità di interventi terapeutici
inimmaginabili fino a non molto
tempo fa. Tuttavia, l’elevato numero
di molecole e combinazioni impedisce di seguire tutti gli studi. Riportiamo, quindi, la selezione degli
abstract più importanti, riportandone
il numero consecutivo, così come
pubblicato su Journal of Hepatology
2013 Vol 58, supp 1.
editoriale
Amsterdam, 24-28 aprile 2013
congress report
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
48
un regime terapeutico privo di IFN
nel paziente di genotipo 2 e 3, l’assenza di resistenze, e una buona tollerabilità priva di effetti collaterali
aggiuntivi a P/R, questi studi pongono un nuovo paradigma con cui
confrontare gli altri trial clinici.
• Nell’ottica di una terapia senza
IFN, nell’HCV1 sono interessanti lo
studio ELECTRON, AVIATOR e gli
studi con daclatasvir.
Nello studio ELECTRON, SOF è
stato somministrato per 12 settimane
in regime IFN-free a pazienti HCV1
naive e null-responder a P + R in
combinazione con GS-5885 (ledipasvir, inibitore dell’NS 5A) + RBV,
oppure in combinazione con GS9669 (inibitore non-nucleosidico di
NS5B) e RBV.
La risposta SVR12 è stata del 100%
nel regime SOF + LDV + RBV
(25/25 pazienti naive e 25/25 pazienti null-responder) e del 92% nei
pazienti naive (23/25) nel regime
SOF + GS-9669 + RBV. Questi dati
preliminari indicano che l’aggiunta
di un secondo DAA migliora la risposta al regime SOF + RBV sia nei
pazienti HCV1 naive che nei pazienti null-responder a P/R (abs 14,
www.natap.org).
Simili risultati sono stati ottenuti
nello studio AVIATOR, che ha utilizzato combinazioni senza IFN di
ABT-450 dato con ritonavir, insieme
a ABT-267 e ABT-333 ed R, che
hanno indotto una SVR12 in oltre il
90% di 247 pazienti HCV1; la risposta è stata ottima anche nei nullresponder a P + R ed indipendente
dal sottotipo HCV (1a o 1b), dal ge-
“Si evidenzia quindi un’area di bisogno che potrà
essere colmata dalla prossima disponibilità
dei DAA di seconda generazione”
notipo IL28B, dalla fibrosi e dal livello basale di HCV RNA (abs 3).
• In uno studio di fase 2 sono stati
valutati daclatasvir (inibitore della
NS5A), asunaprevir (inibitore della
NS3 proteasi) e BMS-791325 in due
dosi (75 e 150 mg due volte al dì)
senza P + R per una durata di 12 o
24 settimane in 66 pazienti HCV1
non cirrotici (74% HCV1a).
L’SVR12 in 16 pazienti è stata del
94% senza differenza fra la durata
di 12 o 24 settimane di terapia; nessuno ha sospeso la terapia (abs
1423). Lo studio offre una buona
prospettiva nei pazienti con HCV1a
meno sensibili alla terapia con altri
antivirali rispetto ai pazienti HCV1b.
dell’NS5A e di GS-9451, un inibitore
dell’NS3, insieme a P + R ha indotto
SVR4 del 74% in pazienti HCV1 breakthrough e null-responder a P + R. La
risposta è stata superiore nel genotipo
1b e nei pazienti IL28B CC (abs 13).
• Alisporivir in dosaggio da 400 a
800 mg/die insieme a P + R dato per
48 settimane a 347 pazienti inclusi
25% cirrotici, 34% null-responder a
P + R, 79% IL28B CT o TT, ha indotto
SVR12 nel 44% nei cirrotici e nel
65% nei null-responder (abs 1421).
• Ancor più interessante il primo studio di ritrattamento della non-risposta alla triplice con TVR e BOC.
La combinazione solo orale di daclatasvir (60 mg) con SOF (400 mg)
con o senza R, senza IFN, data a 41
pazienti non cirrotici non responder
a triplice con TVR o BOC ha indotto
risposta sostenuta nel 100% dei pazienti trattati, indicando la disponibilità di un valido trattamento per chi
ha fallito la terapia con gli inibitori
della proteasi di prima generazione
(abs 1417, www.natap.org).
• In uno studio di fase 2, asunaprevir (inibitore della NS3 proteasi) è
stato dato in triplice insieme a P + R
a pazienti naive, non cirrotici, 253
di loro con HCV1, 18 con HCV4; la
terapia è stata data per 12 settimane, dopo le quali i pazienti che
avevano raggiunto l’RVR prefissata
alla 10a settimana sono stati randomizzati a mantenere la triplice o passare a P + R, mentre quelli che non
avevano raggiunto RVR sono stati trattati in triplice per 24 settimane e con
P + R per altre 24 settimane.
Nei pazienti HCV1, la SVR24 è stata
del 64%, in quelli con genotipo 4
dell’89%. Questo studio indica una
particolare attività di asunaprevir
nell’epatite C da HCV4 (abs 1420).
• Nell’ottica di una terapia più efficace nei pazienti difficili, la combinazione di GS-5885, un inibitore
• GS 5885 + GS 9451 insieme a P + R,
dati per 6 o 12 settimane a pazienti
HCV1 naive, con IL28B CC favore-
[48th European Association for the Study of the Liver. Amsterdam, 24-28 aprile 2013]
congress report
editoriale
Percorsi ragionati
HIV
3; la percentuale di soggetti cirrotici
era del 22,5% nell’HCV3, solo
dell’1,4% nel genotipo 2.
L’SVR24 è stata dell’83% sia a 12 che
a 16 settimane nel genotipo 2 e del
69% e 67% a 12 e 16 settimane nel
genotipo 3; 3 su 7 (43%) pazienti cirrotici con genotipo 3 sono andati incontro a relapse (abs 1418).
La combinazione di MK-5172, un
inibitore della proteasi NS3/4A,
con P + R è stata data in dosi di 100200-400 o 800 mg per 12 settimane,
seguita da 12 settimane di P + R (in
chi non acquisiva RVR).
Si è ottenuta SVR12 o SVR24
nell’80-91% dei pazienti trattati. I risultati indicano la potenzialità terapeutica di MK-5172 alla dose di
100 mg (abs 66).
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
per 24 settimane (abs 1413).
Lo studio STARTVerso1 ha valutato
l’uso di faldaprevir in combinazione
con P + R in 652 pazienti europei e
giapponesi HCV1 naive; la terapia
con faldaprevir è stata data per 12 o
24 settimane con dosi di faldaprevir
di 120 o 240 mg una volta al
giorno, su un backbone di P + R di
24 settimane. La SVR12 è stata del
79% e dell’80% nei due gruppi trattati con dosi diverse di faldaprevir,
meno del 5% dei pazienti hanno sospeso la terapia per effetti collaterali
(abs 1416).
Lo studio COMMAND GT 2/3 ha
valutato l’uso di daclatasvir (un inibitore complesso dell’NS5A) in combinazione con P + R dati per 12 o
16 settimane a pazienti con HCV2 o
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
• Interessanti, anche se nella loro attuale formulazione i risultati appaiono meno competitivi (soprattutto
per il mantenimento di Peg-IFN e la
durata della terapia non inferiore
alle 24 settimane), lo studio QUEST
2, lo studio STARTVerso1, lo studio
COMMAND e altri studi di fase 2.
Lo studio QUEST 2 ha arruolato 391
pazienti naive HCV1, randomizzati
al trattamento con simeprevir (inibitore della proteasi NS3/4A) insieme
a P e R per 12 settimane, seguite da
altre 12 o 24 settimane di P + R sulla
base della risposta virale sostenuta.
L’SVR12 è stata dell’81% nei pazienti trattati con simeprevir e i due
tipi di Peg-IFN. La maggioranza dei
pazienti (91%) è stato trattato solo
“L’associazione di DAA senza interferone consentirà
un trattamento curativo anche nei pazienti difficili
da trattare con schemi abbreviati e semplificati”
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
vole, hanno indotto elevate percentuali di SVR12 (82%) simili a quelle
indotte dalla duplice terapia, suggerendo che nei pazienti HCV1 facili la
terapia con antivirali possa essere ridotta a 6 settimane (abs 64).
49
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
highlights
51
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Il gruppo WFPA in Italia
In Italia si è costituita una sezione nazionale, composta da 22 infettivologhe,
e da una rappresentante di una associazione di pazienti donne impegnate in
diverse attività per le donne con infezione da HIV, come quelle educazionali.
Lo studio DiDi
Per descrivere il vissuto della donna con
HIV e identificarne i bisogni sanitari, il
gruppo WFPA Italia ha condotto un’importante indagine conoscitiva, lo studio
DiDi (Donne con Infezione Da HIV).
Lo studio si è basato su un questionario
anonimo, proposto a tutte le donne con
HIV afferenti ai Centri Clinici di Malattie Infettive per la cura di HIV tra il settembre 2010 ed il gennaio 2011.
Circa 580 donne, di cui il 18% immigrate, hanno compilato il questionario
dopo avere firmato il Consenso Informato. L’analisi mostra come solo infrequentemente la donna con HIV ha
acquisito l’infezione mediante i “classici” comportamenti a rischio, quali la
tossicodipendenza, ma nella grande
maggioranza dei casi (80%) la modalità di infezione è quella riferibile ai rapporti sessuali. Da rimarcare che ben nel
12% la diagnosi di infezione da HIV è
2001-2005
Dopo 2005
Ammassari A, et al. HIV Med 2013
stata posta nel corso di una gravidanza;
questa gravissima coincidenza di eventi
sottolinea l’assoluta necessità di rendere
il test per l’HIV obbligatorio nelle fasi
precoci di ogni gravidanza e di incentivare lo screening attivo nelle giovani
donne in procinto di una maternità.
Diversi risultati dello studio DiDi sono
stati presentati a congressi oppure pubblicati su riviste di settore (2-9).
Una prima analisi ha focalizzato l’attenzione sull’elevata percentuale (44%)
di donne intervistate che riportavano almeno una interruzione volontaria di
gravidanza. Fortunatamente, analizzando il tasso di interruzioni di gravidanza successiva alla diagnosi di
infezione da HIV nel corso degli anni si
riscontra una significativa e progressiva
riduzione dei questo evento negli anni
di calendario più recenti (figura 1).
Verosimilmente alla base di questa positiva evoluzione ci sono lo switch epidemiologico dalla popolazione che ha
acquisito l’infezione con la tossicodipendenza a quella con contagio sessuale, insieme alla disponibilità di
efficaci strategie per la prevenzione
della trasmissione materno-fetale.
Va comunque sottolineato l’aspetto traumatico di tale esperienza nel vissuto
Percorsi ragionati
HIV
1996-2000
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Prima 1996
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
Interazioni
farmacologiche
Figura 1. Incidenza per 100 persone-anno di interruzioni
di gravidanza dopo la diagnosi di infezione da HIV
congress
report
“Obiettivo:
ridurre
fragilità
clinica,
isolamento
psicologico
e vulnerabilità sociale”
highlights
WFPA, Women for Positive Action, è
un gruppo di donne medico, psicologhe, rappresentanti di associazioni di
pazienti, costituitosi in Europa, Canada e America Latina nel 2008 per
promuovere iniziative a supporto di
chi è maggiormente colpito dal virus.
WFPA ha come mission:
• dar voce, educare e supportare le
donne con HIV, i professionisti del settore salute e i rappresentanti delle associazioni coinvolti nel loro trattamento
• esplorare le problematiche e offrire
supporto educativo
• fornire un contributo importante per il
miglioramento della loro qualità di vita.
Le iniziative promosse in questi anni,
di tipo essenzialmente educazionale,
hanno visto la messa a punto di materiali informativi (set di diapositive) e
di approfondimento a scopo educativo su diverse tematiche (concepimento, gravidanza e contraccezione,
benessere emotivo, studi clinici, test
per HIV, rapporto medico-paziente,
credenze e spiritualità, HIV e invecchiamento, stigmatizzazione). Questi
ed altri materiali sono disponibili sul
sito www.womenforpositiveaction.org.
Su AIDS (1), sono state evidenziate
le gravi carenze di accesso delle
donne alle sperimentazioni cliniche
controllate, in parte dovute alla giusta preoccupazione per il possibile
effetto teratogeno, ma correlate ad
una conseguente mancanza di informazioni sulle possibili diversità di
metabolismo, su tossicità ed efficacia degli ARV.
Sono in programma altri articoli sulle
carenze nella gestione delle donne
con HIV.
WFPA è un programma educazionale sostenuto da AbbVie.
editoriale
Agire in positivo a supporto
delle donne con HIV
highlights
52
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
“Lo studio DiDi valuta la salute emozionale,
sessuale e riproduttiva della donna HIV+”
della donna, spesso non sufficientemente indagato e poco supportato nel
contesto clinico (2). Contraddittorio
sembra essere anche il vissuto in merito
al desiderio di maternità e l’adozione
di un efficace metodo contraccettivo.
Più della metà delle donne riporta un
calo del desiderio di maternità dopo
aver conosciuto il proprio stato sierologico oppure dopo avere iniziato la terapia antiretrovirale (figura 2).
Inoltre, il 61% delle donne riporta di
non desiderare un figlio al momento,
principalmente per paura di trasmettere l’infezione al neonato, di possibili
malformazioni fetali o perché il proprio stato di salute è ritenuto insufficiente. Dall’indagine emerge, quindi,
che la donna con HIV è ancora oggi
molto bisognosa di informazioni circa
la possibilità di una gravidanza sicura
nel contesto dell’infezione (3).
Per indagare il regolare uso del preservativo sono state analizzate 343
donne che si sono dichiarate sessualmente attive nell’ultimo anno: emerge
un uso incostante del preservativo in
Figura 2. Desiderio di maternità nelle donne a
conoscenza del proprio stato sierologico o in ART
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
n= 178 donne
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
n= 157 donne in ART
ben 44.3% delle
donne, pur riferendo
il 64% delle donne
con partner discordante la paura di
21.6%
poter eventualmente
Quanto HIV impatta
Come la ART ha modificato
sul desiderio di maternità?
il desiderio di maternità?
trasmettere
l’infemoltissimo
lo ha aumentato
molto
zione al partner. Tra
moderatamente
poco
lo ha diminuito
i fattori predittivi delin nessun modo
nessuna variazione
l’uso incostante del
Ammassari A, HIV11 Glasgow 2012, P197
preservativo, il rapporto con un partner
Tra questi è da citare, nell’ambito della
occasionale e la difficoltà di dichiarare
dimensione del benessere emozionale
il proprio stato di sieropositività. La
e psicologico, una prevalenza rilevante
mancata correlazione tra uso incostante
di sintomatologia depressiva (33%)
del preservativo e una terapia antirecon un forte isolamento psicologico.
trovirale virologicamente efficace o
Infatti, il 41% le donne intervistate rifecomportamenti di elevata aderenza
risce che nessuno è a conoscenza della
agli ARV sottolinea il fatto che la natura
loro condizione di sieropositività e il
protettiva della carica virale soppressa
65% dichiara la necessità di nasconsulla contagiosità del soggetto a tutdere efficacemente questo segreto.
t’oggi non appare sufficientemente diffusa nella donna con HIV (4).
Adriana Ammassari1,
Oltre a queste prime analisi, lo studio
Antonella d’Arminio Monforte2
DiDi ha permesso l’approfondimento
1
INMI L. Spallanzani, Roma
di altri argomenti rilevanti per la salute
2
AO San Paolo, Milano
della donna sieropositiva.
Riferimenti bibliografici:
1. d’Arminio Monforte A, González L, Haberl A, et al. on behalf of Women for Positive Action. Better mind the gap: addressing the
shortage of HIV-positive women in clinical trials. AIDS. 2010; 24(8):1091-1094.
2. Ammassari A, Cicconi P, Ladisa N, et al. Induced first abortion rates before and after HIV diagnosis: results of an Italian self-administered questionnaire survey carried out in 585 women living with HIV. HIV Med. 2013 Jan; 14(1):31-9.
3. Ammassari A, Cicconi P, Ladisa N, et al. Reasons why HIV-positive women do not want to have a child: the questionnaire-based
DIDI study. J Int AIDS Soc 2012; 15 (Suppl 4): P197.
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6. Ammassari A, Trotta MP, Bini T, et al. Self-reported sexual health in HIV-infected women: correlates of dissatisfaction (DIDI study).
IAS, Roma 2011. TUPE149.
7. d’Arminio Monforte A, Cicconi P, Trotta MP, et al. Previous abortion is self-reported by a high proportion of women living with HIV:
picture from a questionnaire survey in Italy (DIDI Study). IAS, Roma 2011. TUPE331.
8. Ammassari A, Trotta MP, Bini T, et al. Ageing women with HIV: global health status, sexual and gynecological health, psychological factors, beliefs about medication, and cART adherence. EACS, Belgrade 2011.
9. Ammassari A, d’Arminio A, Anzalone E, et al. Motherhood desire and variables associated with decision-making in HIV-positive
women. ICAR, Napoli 2012.
[Agire in positivo a supporto delle donne con HIV. A. Ammassari, A. D’Arminio Monforte]
highlights
53
[ReAd files anno 14_n.2_giugno 2013]
Il commento
Come interpretare questi risultati? Gli
autori hanno puntato il dito su un meccanismo di tossicità diretta del farmaco
(precipitazioni dei cristalli in urine sovrasature). Tale spiegazione, allorchè
plausibile, non tiene conto della mancanza di aumento di incidenza della
patologia nei pazienti iperbilirubinemici
in cui si presume una concentrazione
plasmatica del farmaco più elevata.
Desideriamo tuttavia rilevare un aspetto
che i vari commentatori dell’articolo
non hanno mai presentato.
Percorsi ragionati
HIV
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Interazioni
farmacologiche
stati arruolati 1240 pazienti, 465
(37.5%) che avevano iniziato un trattamento con ATV/r e 775 (62.5%) controlli. La maggior parte era di sesso
maschile, giovane, di etnia asiatica.
I pazienti che hanno iniziato terapia
con ATV/r avevano un valore di BMI
più elevato (22.7 ± 3.14), più alti CD4
(303.9 ± 184.7 cellule/mmc) e valori
basali più elevati di acido urico (5.90 ±
1.31 mg/dl) e più basso eGFR (117.4
± 25.8 mil/min).
Nel follow up sono stati identificati 35
casi di urolitiasi. I calcoli renali sono stati
identificati in 31 pazienti (6.7%) del
gruppo ATV/r e 4 casi (0.52%) nei controlli. Nel gruppo ATV/r il criterio diagnostico era così distribuito: 4 casi di
nuova insorgenza di ematuria, 14 casi
di passaggio di calcoli e 17 casi di diagnosi radiologica. Complessivamente
l’incidenza di urolitiasi era di 23.7 casi
per 1.000 anni/persona di follow up
nel gruppo ATV/r e di 2.20 casi per
1.000 anni/persona nei controlli.
Il tempo medio intercorso tra l’inizio
della ARV e la diagnosi di calcolosi renale era di 24.5 mesi nel gruppo ATV/r
rispetto a 21.9 mesi nei controlli.
La durata del periodo di osservazione
complessivo era di 1.310 anni/persona di follow up (31 mesi ATV/r e 23
mesi controlli). La tabella 1 mostra l’analisi multivariata della stima del rischio di
calcolosi renale indotta da ATV/r rispetto ai regimi con altri PI. ATV/r risultava indipendentemente associato alla
calcolosi renale. Il valore medio della
bilirubina non è significativamente differente nei pazienti trattati con ATV/r
che sviluppavano urolitiasi rispetto a
quelli che non sviluppavano urolitiasi
(2.4 mg/dl vs 2.3 mg/dl, p= 0.376).
Dei 31 pazienti in ATV/r che hanno
sviluppato urolitiasi, 13 hanno interrotto il trattamento, mentre dei 18 che
avevano proseguito, 6 (33.3%) hanno
manifestato recidiva di urolitiasi in un
periodo medio di 4.9 mesi.
I pazienti che avevano presentato urolitiasi hanno un più rapido declino del
valore di eGFR (30.7 ml/min) rispetto
a chi non aveva presentato urolitiasi
(8.1 ml/min), tuttavia l’interruzione di
ATV/r porta a un recupero del valore
di eGFR con un incremento di 20.1
ml/min in 6 mesi.
L’incidenza di urolitiasi appariva, quindi,
10 volte maggiore nei pazienti trattati
con ATV/r rispetto ai regimi con PI/r alternativi. Il proseguimento del trattamento con ATV/r appariva gravato da
un elevato rischio di recidiva di malattia.
congress
report
“L’eccesso di pazienti in
condizioni dismetaboliche
trattati con ATV/r può rappresentare un channelling
bias che comporta un maggior rischio di urolitiasi”
highlights
Tra le comorbosità HIV-associate, l’insufficienza renale (CKD) è una sfida importante nella gestione long term del
paziente: recentemente, la coorte Eurosida ha mostrato un’incidenza di CKD
dell’1.05% per 100 anni/persona di
follow up, segnalando un rischio incrementale, associato al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione ma
anche alla tossicità a lungo termine dei
farmaci ARV, soprattutto TDF, quando
utilizzato da solo o in associazione ad
ATV/r (1). Inoltre, sono aumentate le segnalazioni di tossicità diretta renale che
potrebbero favorire la formazione di
calcoli renali (2-3), non solo nei pazienti in terapia con IDV ma anche nei
pazienti trattati con ATV e DRV.
Le Linee Guida nazionali (4) ed internazionali raccomandano prima di iniziare la cART e durante il monitoraggio
viro-immunologico, di studiare la funzione glomerulare, con gli algoritmi di
stima del filtrato partendo dalla creatinina sierica (Cockroft-Gault, MDRD,
CKD-EPI), e la funzione tubulare, mediante lo studio della proteinuria, in
particolare il rapporto proteine/creatinina urinarie. Non viene però specificato come comportarsi in casi sospetti o
confermati di urolitiasi.
Alcune segnalazioni recenti (5-6), tra
cui un articolo di Hamada et al (7),
hanno destato l’attenzione sull’urolitiasi
associata all’esposizione di ATV/r: questo PI viene escreto (7%) in forma non
metabolizzata nelle urine e può quindi
precipitare, analogamente ad IDV, sotto
forma di cristalli a livello tubulare.
Hamada et al ha valutato l’incidenza
di urolitiasi nei pazienti che iniziavano
una ARV con ATV/r, rispetto a regimi
contenenti altri PI, quali fosAPV (con o
senza ritonavir), LPV/r o DRV/r. Sono
editoriale
Urolitiasi in corso di infezione da HIV:
revisione della letteratura
highlights
54
Tabella 1. Analisi univariata senza e con progressivi aggiustamenti
per fattori associati all’outcome di interesse
highlights
congress
report
Interazioni
farmacologiche
Nuove terapie per
l’epatite cronica C
Percorsi ragionati
VIRUS EPATITICI
Percorsi ragionati
HIV
editoriale
Uso di ATV/r
Età, per 1 anno
di incremento
Modello 1
Crudo
(n= 1.240)
HR
IC 95%
10.44
3.68-29.59
-
Modello 2
Aggiustato
(n= 1.115)
HR
IC 95%
9.33
3.25-26.80
1.01
0.98-1.04
Modello 3
Aggiustato
(n= 1.115)
HR
IC 95%
10.08 3.47-29.12
1.00
0.96-1.04
Sesso maschile
-
-
1.73
0.37-7.93
1.22
0.25-5.79
Peso corporeo,
per 1 Kg di incremento
-
-
0.96
0.94-1.01
0.96
0.92-1.00
eGFR basale, per 1 ml/
min/1.73 m2 di incremento
Acido urico basale
per 1 mg/ml di incremento
-
-
-
-
1.15
0.96-1.38
-
-
-
-
1.42
1.09-1.85
Storia di urolitiasi
-
-
-
-
1.18
0.31-4.50
Pregressa esposizione
a indinavir
-
-
-
-
1.26
0.41-3.85
L’interpretazione nefrologica corrente
dell’urolitiasi inquadra tale patologia
nel contesto di un fenomeno dismetabolico complesso, che riconosce nell’insulinoresistenza l’elemento patogenetico
di base e nella sindrome metabolica il
quadro clinico di contesto.
L’associazione tra uso di ATV/r e rischio
di calcolosi renale potrebbe essere condizionata dalla preferenza per questo
farmaco nei pazienti dislipidemici poiché considerato a minor impatto sul metabolismo lipidico (8-9). In quest’ottica
lo studio può risentire di un “channelling
bias” cioè di una non omogenea distribuzione della popolazione nei due
gruppi di osservazione. La non omogenea distribuzione dei pazienti con iperuricemia al baseline, infatti, può essere
interpretata come un eccesso di pazienti
affetti da condizioni dismetaboliche nel
braccio con ATV/r e, in quanto tali, gravati da maggior rischio di urolitiasi.
Un ragionamento analogo a quanto discusso negli ultimi anni per spiegare una
possibile associazione spuria tra abacavir e malattie cardiovascolari.
In questo contesto, malgrado da diverse
esperienze sia emerso che la precipitazione di cristalli a livello dei tubuli renali
predisponga all’insorgenza e alla progressione dell’insufficienza renale, questo rischio potrebbe essere mediato da
un profilo di rischio cardiovascolare
peggiore. I soggetti a più alto rischio
cardiovascolare sarebbero più a rischio
di sviluppare contemporaneamente insufficienza renale cronica e nefrolitiasi.
“Nei soggetti HIV+
trattati la patologia
litiasica renale
è da approfondire,
identificando e correggendone le cause”
La patologia litiasica renale nei soggetti
con HIV e in ARV è da studiare: questa
segnalazione dovrebbe stimolare a verificare l’incidenza di nefrolitiasi in questi pazienti, a identificare le potenziali
cause e/o a mettere a punto studi clinici
di intervento con potere statistico e durata del follow up adeguati per l’inquadramento clinico-terapeutico di questa
problematica. Può essere utile inviare a
screening metabolico tutti i pazienti
HIV+ con recidive di coliche renali, evidenza di calcoli renali multipli o nei due
reni, anomalie urinarie persistenti (cristalluria) ed anamnesi familiare positiva
per coliche renali per individuare le anomalie urinarie correggibili responsabili
della formazione di calcoli renali e dell’insorgenza e progressione dell’insufficienza renale cronica (10).
Giovanni Guaraldi,
Giovanni Dolci
Clinica Malattie Infettive, Clinica
Metabolica, Università degli Studi
di Modena e Reggio Emilia
Antonio Bellasi
UOC Nefrologia e Dialisi,
Azienda Ospedaliera Sant’Anna, Como
Riferimenti bibliografici:
1. Mocroft A, Kirk O, Reiss P, EuroSIDA Study Group. Estimated glomerular filtration rate, chronic kidney disease and antiretroviral
drug use in HIV-positive patients. AIDS. 2010 Jul 17; 24(11):1667-78.
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5. Rockwood N, Mandalia S, Bower M, et al. Ritonavir-boosted atazanavir exposure is associated with an increased rate of renal
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Administration's Adverse Event Reporting System. AIDS 2007; 21(9):1215-8.
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8. Sakhaee K. Recent advances in the pathophysiology of nephrolithiasis. Kidney International 2009; 75:585-595.
9. Maalouf NM, Cameron MA, Moe OW, et al. Novel insights into the pathogenesis of uric acid nephrolithiasis. Current opinion in
nephrology and hypertension 2004; 13:181-189.
10. Alexander RT, Hemmelgarn BR, Wiebe N, et al. Kidney stones and kidney function loss: a cohort study. BMJ 2012; 345:e5287.
[Urolitiasi in corso di infezione da HIV: revisione della letteratura. G. Guaraldi, G. Dolci, A. Bellasi]
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