Rassegna La psichiatria di consultazione e collegamento: modelli e dati della letteratura Consultation-Liaison psychiatry: models and literature data MARIO FULCHERI, SILVIO BELLINO, MONICA ZIZZA, ROSSELLA DI LORENZO, FILIPPO BOGETTO Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Torino RIASSUNTO. La psichiatria di consultazione e collegamento ha come oggetto di interesse la prevenzione, la diagnosi e il trattamento delle condizioni psicopatologiche insorte in rapporto a malattie somatiche ed emerse in un contesto di medicina internistica. Si configurano due distinte modalità di applicazione: l’attività di consultazione riguarda essenzialmente la diagnosi e il trattamento, nei suoi aspetti farmacologici e psicoterapici, del paziente ricoverato di un reparto di medicina generale o specialistica; l’attività di collegamento o liaison comporta un rapporto di collaborazione più stretto con l’équipe curante e interviene anche sui problemi che gli operatori sanitari incontrano nella relazione terapeutica e nella assistenza dei pazienti. L’articolo prende in esame i modelli proposti dalle ricerche condotte in questo campo per verificarne l’efficacia e l’applicabilità. Le tendenze che sono emerse dalle ricerche e dalla pratica clinica sono: per la psichiatria di consultazione, sviluppare servizi specifici all’interno dell’ospedale generale, in grado di garantire un intervento sollecito e un’assistenza intensiva e continuativa; per la psichiatria di collegamento, sviluppare figure professionali che ricevano una formazione specifica in questo campo e abbiano il compito di operare stabilmente in collaborazione con i colleghi non psichiatri. È necessario condurre ulteriori indagini su questi temi con disegno sperimentale e metodo rigorosi, poiché i dati finora raccolti sono limitati. Occorre inoltre definire i compiti dello psicologo clinico soprattutto negli interventi di liaison. PAROLE CHIAVE: psichiatria di consultazione, psichiatria di collegamento, psicosomatica, psicologia clinica. SUMMARY. Consultation-Liaison psychiatry concerns with prevention, diagnosis and treatment of psychopathological conditions that are related to a physical disorder and occur in medical units. Two different types of intervention can be considered: psychiatric consultation deals with diagnosis and treatment (both drug therapy and psychotherapy) of medical inpatients; liaison psychiatry requires a closer cooperation with other physicians and involves relational issues in medical settings. This paper examines the models proposed in this research field and the studies performed to assess if they are relaiable and efficacious. Research and clinical practice indicated the following trends: to organize specific services of consultation psychiatry that can supply timely measures and continuous and intensive care; to provide professionals who received a specific training in liaison psychiatry and can operate in a team with other psysicians. Further investigations of these issues with an adequate design and method are required, as only few data are available at this moment. Besides, the role and task of clinical psychologists in liaison need to be better defined. KEY WORDS: consultation psichiatry, liaison psychiatry, psychosomatics, clinical psychology. INTRODUZIONE La psichiatria di consultazione e collegamento è diventata oggetto, negli ultimi anni, di una crescente atE-mail: [email protected] tenzione da parte degli studiosi che si sono occupati di definirne le caratteristiche, le competenze ed i campi di applicazione. Contemporaneamente ha avuto inizio un’attività di ricerca volta a verificare i risultati ottenuti con i diversi modelli di organizzazione che sono stati elaborati (1). Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 257 Fulcheri M, et al La psichiatria di consultazione è stata definita come “una subspecializzazione della psichiatria che ha come oggetto d’interesse la diagnosi, il trattamento, lo studio, la prevenzione della morbilità psichiatrica presente nei soggetti con patologia organica e in coloro che somatizzano. È l’organizzazione di consulenze psichiatriche, di attività di liaison e di insegnamento per operatori non psichiatrici di ogni tipo di setting clinico, ma in particolar modo nell’ospedale generale” (2). La psichiatria di consultazione e collegamento è una branca della psichiatria che si pone come interfaccia tra lo psichico e il somatico con l’obiettivo di riversare nell’ambito medico tutte le conoscenze teoriche e cliniche riguardanti: la persona malata, le sue reazioni all’evento patologico, i rapporti eziologici fra psiche e disturbo organico, la relazione medico-paziente, allo scopo di riportare al centro della medicina non la lesione anatomica ma il malato nella sua complessità biologica, psicologica e sociale e nella sua relazione con il medico (3). Nell’ambito di tale definizione assume particolare rilievo la definizione del concetto di malattia psicosomatica. L’American Psychiatric Association definisce come psicosomatico “tutto ciò che fa riferimento a una costante e inseparabile interazione della psiche (mente) e del soma (corpo)” (4, 5). Lo psichiatra Heinroth ha introdotto i termini di “psicosomatico” nel 1818 e di “somatopsichico” nel 1828, trattando le malattie in cui lo stato psichico è modificato dal fattore somatico. Il termine, derivato dal greco (psychè=anima e sòma=corpo), ha ricevuto un largo consenso perché si è prestato a descrivere alcune patologie come l’asma o l’ulcera peptica, in cui le emozioni sembrano giocare un ruolo importante e gli organi interessati hanno un’ampia innervazione neurovegetativa (6). In tal modo vengono gettate le fondamenta di una modalità di interpretare le malattie secondo una visione più completa (anche se ancora condizionata da una concezione dualistica dell’uomo). Dunbar è stato pioniere nella ricerca in questo campo e nei suoi lavori (1943) si è proposto di istituire un collegamento tra profili di personalità e malattie psicosomatiche servendosi di questionari (self-rating scale), test proiettivi e scale psicometriche. Egli descrive gli individui “... dal carattere impulsivo, amanti dell’avventura, incapaci di controllare la propria aggressività” come soggetti ad alto rischio (80%) di essere vittime di incidenti frequenti. Per Dunbar costoro sono contrapposti ai soggetti “coronarici e anginosi, dal carattere ambizioso, autodisciplinato, dotati di buone capacità progettuali, che rimandano la soddisfazione dei loro bisogni immediati in funzione della meta che si prefiggono” (7). Il lavoro di Dunbar è stato ripreso e sviluppato da Alexander, Schur e Benedekt della Scuola di Chicago (1952). Questi Autori hanno elaborato, per quanto concerne la specificità delle malattie psicosomatiche maggiori, un sistema coerente che istituisce un parallelismo tra conflitti intrapsichici specifici (in termini psicoanalitici) ed alterazioni fisiologiche. Secondo Alexander, le malattie psicosomatiche derivano da innervazioni anomale, legate ad un’alterata distribuzione del sistema neurovegetativo, il quale induce alla lotta o alla fuga in situazioni conflittuali difficili (ergotropia di W.R. Hess) o durante il riposo (tropotropia di W.R. Hess). Pertanto, in caso di atteggiamenti cronici di rivalità, aggressività, ostilità, il sistema simpatico noradrenergico è sottoposto a eccitazione cronica; per esempio, il soggetto che soffre di ipertensione essenziale è un individuo ben controllato per quanto riguarda la muscolatura volontaria, mentre a livello neurovegetativo viscerale è continuamente sottoposto alla pressione di emozioni represse, dell’aggressività e della competitività e vive in un regime di eccitazione noradrenergico. Quando le due tendenze di attacco e fuga sono bloccate, ne deriva uno sconvolgimento neurovegetativo interno che rischia di cronicizzare sviluppando la patologia psicosomatica (8). La ricerca sui meccanismi eziopatogenetici della malattia psicosomatica si è sviluppata anche in Europa nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. La Scuola di Marty a Parigi (1963) elabora le sue concezioni partendo dall’osservazione che i malati psicosomatici sono caratterizzati da una struttura di personalità diversa da quella dei nevrotici. In essi sono carenti i contenuti fantasmatici e simbolici del mondo interiore, sono prevalenti i contenuti di tipo concreto del pensiero “operativo”, orientati al fine di iperadattarsi all’ambiente (9). La regressione presente nei malati psicosomatici è una regressione dell’Io ad un livello difensivo primitivo, con forti tendenze autoaggressive e autodistruttive messe in relazione con l’istinto di morte. Tale fissazione a un livello narcisistico e a una fusione soggetto-oggetto rende impossibile ogni vero rapporto oggettuale. Il soggetto si identifica totalmente con l’oggetto e sperimenta l’Altro come una duplicazione proiettiva di se stesso. Il pensiero operazionale attaccato al concreto e l’orientamento pragmatico non gli permettono quindi di accedere al pensiero simbolico (10). La psicosomatica presenta differenti campi di applicazione: lo studio delle consequenze somatiche dei fenomeni affettivi, lo studio delle ripercussioni psicologiche dei disturbi somatici, lo sviluppo di un tipo di approccio medico che prenda in considerazione il paziente come inscindibile unità somato-psichica, l’analisi delle dinamiche che caratterizzano il rapporto medico-paziente (6). Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 258 La psichiatria di consultazione e collegamento: modelli e dati della letteratura Un contributo fondamentale a quest’ultima linea di sviluppo della psicosomatica proviene dai lavori compiuti da Michael Balint in Francia negli anni ’60. L’Autore sostiene l’assunto che considera l’essere umano malato nella sua totalità anziché una malattia isolata dal suo contesto psicologico e sociale. Egli si sofferma in particolare sulle modalità di comunicazione e sul rapporto che si stabilisce tra il medico e il paziente sia a livello conscio che inconscio. In questo senso, Balint cerca di gettare un ponte tra una psicologia monopersonale e una psicologia bipersonale, tra la personalità dell’individuo qual’è determinata dal suo passato e il campo interpersonale che essa instaura mediante la comunicazione con il medico (11). Le implicazioni pratiche di questa impostazione consistono in un metodo di formazione e di ricerca attraverso la costituzione dei “gruppi Balint”, che si propongono di arricchire la formazione psicologica dei medici attraverso la comprensione delle dinamiche relazionali. Fondati da Balint, questi gruppi svolgono la loro attività in riunioni dove un medico, alla presenza di uno psicologo clinico e dei colleghi, riferisce la sua esperienza con il paziente. Il materiale più importante che viene utilizzato è il controtransfert del medico e il modo con cui egli utilizza la sua personalità e le sue conoscenze scientifiche. Lo scopo del lavoro del gruppo è quello di aiutare il medico nella cura di quei pazienti in cui la conflittulità intrapsichica determina o accompagna la malattia somatica e ne condiziona l’evoluzione e il decorso (12). La psichiatria di consultazione-collegamento ha origini negli Stati Uniti negli anni ’30 e si sviluppa sulla base di alcuni concetti fondamentali della medicina psicosomatica sottolineando in particolare quello di unità somato-psichica e ponendo in evidenza l’importanza della relazione medico-paziente. Lo sviluppo successivo di questa nuova specializzazione della psichiatria può essere schematicamente suddiviso in tre fasi: tra il 1935 e il 1960 (fase organizzativa) si è assistito allo sviluppo dei primi servizi di psichiatria di consultazione-collegamento; tra il 1960 e il 1975 (periodo di sviluppo concettuale) sono stati messi a fuoco i diversi aspetti che la consulenza deve prendere in considerazione (dati psicosociali, caratteristiche di personalità del paziente, eventi stressanti, reazioni alle malattie, interazione tra medico e paziente e tra medico e psichiatra); dal 1975 ad oggi (periodo di crescita) si è avuta diffusione ed espansione sia delle unità psichiatriche negli ospedali generali che dei servizi di psichiatria di consultazione-collegamento. In Europa lo sviluppo delle unità di psichiatria di consultazione-collegamento è iniziato con l’istituzione di reparti psichiatrici all’interno degli ospedali generali; si è trattato di uno sviluppo frammentario e prevalentemente riconducibile a iniziative locali. In Italia l’interesse per i disturbi psichici dei pazienti con malattie somatiche è cresciuto a partire dagli anni ’70, in parallelo con i movimenti di opinione che hanno portato nel 1978 ad approvare la legge di riforma dell’assistenza psichiatrica (legge 180, del 1978). Tale riforma legislativa ha infatti portato, oltre allo sviluppo dei servizi territoriali, anche all’istituzione di servizi psichiatrici di diagnosi e cura all’interno dell’ospedale generale. La presenza di medici psichiatri che lavorano con i colleghi di altre discipline ha favorito lo scambio di consultazioni reciproche, con la conseguente necessità di attuare nuove modalità di gestione e di cura del disagio e del disturbo psichico all’interno dell’istituzione ospedaliera e nel territorio (13). Alla luce di quanto si è finora esposto, la psichiatria di consultazione-collegamento può essere considerata come un valido strumento di applicazione dei concetti e delle teorie sviluppatesi all’interno della corrente psicosomatica (14) e come un paradigma di traduzione nella pratica clinica del concetto di biopsicosociale (derivato dalla teoria generale dei sistemi), con la sua aspirazione ad un recupero della dimensione unitaria e globale dell’essere umano anche nella situazione di malattia. Il sistema biologico dà rilievo al substrato anatomico, strutturale e molecolare della malattia e ai suoi effetti sul funzionamento biologico del paziente; il sistema psicologico evidenzia gli effetti dei fattori psicodinamici, delle motivazioni e della personalità sull’esperienza di malattia e sulla reazione ad essa; il sistema sociale sottolinea le influenze culturali, ambientali e familiari sull’espressione e l’esperienza di malattia (15). In riferimento a questi concetti, la malattia viene considerata non più come la lesione di un organo, ma come una crisi che nasce dall’intrecciarsi di fattori biologici, psicologici e sociali e che a sua volta si riflette su di essi, perturbandoli e alterando gli equilibri tra i diversi elementi. Ad esempio, un nodulo al seno in una giovane donna e l’accentuarsi di un deficit nel visus di un’anziana signora evocano angosce e fantasie differenti. Queste angosce trovano forza nel substrato psicologico del paziente: precedenti esperienze di malattia proprie o di familiari, insicurezze sul proprio futuro, angosce sulla propria vecchiaia, alimentano e danno forma ai vissuti che l’evento clinico attiva. In risposta a questi vissuti dolorosi si attivano meccanismi di difesa intrapsichici e strategie comportamentali molto variabili. Alcuni pazienti reagiscono entrando in uno stato di allarme permanente, altri si mostrano incapaci di prendere atto della situazione. I Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 259 Fulcheri M, et al diversi modi di reagire alla malattia influiscono non solo sulla qualità di vita del paziente, ma anche sulla capacità di affrontare adeguatamente gli aspetti biologici della malattia stessa. Tali aspetti del mondo intrapsichico del paziente possono essere modificati dalla relazione terapeutica con il medico che in questa fase si trova al centro dell’investimento emotivo del paziente. È in questa relazione che diviene possibile non solo risanare le lesioni dei tessuti e ricostruire i piani anatomici, ma anche ristrutturare lo schema corporeo e l’immagine di sé superando così gli esiti di gravi malattie (3). In proposito, è noto il concetto di Balint che il medico stesso costituisce il farmaco di maggior consumo ed è ormai chiaramente acquisito il fatto che la relazione medico-paziente, e in particolare il clima che si instaura tra i due già nei primi minuti del loro incontro, ricopre fondamentale importanza per l’andamento della malattia (16). La relazione medico-paziente presenta caratteristiche peculiari e, proprio in funzione dell’oggetto e rispetto ad una serie di parametri formali che la caratterizzano, deve strutturarsi diversamente da altri tipi di relazione interpersonale. Essa presenta le seguenti peculiarità: – è complementare, in quanto i due soggetti coinvolti comunicano su un piano paritetico pur articolandosi in ruoli differenti che si succedono rapidamente l’uno all’altro; – è implicitamente contrattuale in quanto, indipendentemente dall’esplicitazione, ambedue i membri hanno aspettative reciproche che li legano in una sorta di contratto che è per entrambi garanzia di una buona relazione; – la relazione nasce e si sviluppa in funzione del timore della sofferenza. È quindi centrata sull’obiettivo e, sebbene possa arricchirsi nel tempo di obiettivi meno definiti e più interpersonali, mantiene questa connotazione; – è ritualizzata, possiede delle proprie modalità che si sono strutturate nel tempo e nella cultura di ogni popolo. Appartengono ai rituali l’insieme delle regole della relazione, il compenso, il camice, la sequenza delle manovre semeiologiche, il diritto di chiedere notizie che attengono alla sfera intima del paziente e, infine, il diritto del medico di entrare nello spazio somatico del paziente. Per quanto si è detto la relazione medico-paziente presuppone abilità specifiche e differenti tra loro, richiede “empatia senza coinvolgimento”, nell’interesse di entrambi i membri della relazione stessa (17). Il medico dovrebbe riuscire a trasformare la relazione con il paziente in un atto terapeutico. Perché ciò possa avvenire il medico deve riconoscere l’intrinseco valore del- la relazione terapeutica e deve imparare ad usarla con la stessa attenzione e competenza con cui userebbe un farmaco potente e non privo, potenzialmente, di effetti collaterali. Dalla fine degli anni ’80, alcuni Autori (18) si sono occupati di elaborare sul piano teorico e concettuale queste esigenze derivate dall’esperienza clinica e hanno sottoposto all’attenzione della letteratura medica il modello “patient-centered”, che rappresenta un’alternativa al paradigma biomedico centrato sulla malattia ed orientato in favore di una ridefinizione della malattia in senso biopsicosociale. Tale modello di “medicina centrata sul paziente” sottolinea l’importanza del significato soggettivo della malattia: ciò che il paziente esperisce a livello personale, le implicazioni psicologiche, gli aspetti contestuali e le conseguenze sociali dell’essere malati sono considerati parte dell’oggetto malattia e fondamentali, di pari dignità, rispetto al dato biologico. In tale metodo clinico la formulazione della diagnosi da parte del medico è imprescindibile dall’espressione del vissuto di malattia che necessariamente proviene dal paziente. Come riportato da Luban-Plozza “... è necessaria una formazione degli operatori ai fini della comprensione del disturbo e del trattamento medico, attraverso lo sviluppo di una comunicazione attenta ai vissuti psicologici della malattia riferiti sia al paziente (patientcentered) che al medico (doctor-centered)” (19). In questo contesto il “metodo Balint” è stato interpretato da Rabin e dai suoi collaboratori (20) come possibilità di libera espressione del controtransfert del medico e ha contribuito al passaggio dal modello “disease-centered” al modello “patient-centered”. Gli Autori espongono l’importanza della “narrazione” come modalità comunicativa all’interno dei gruppi Balint e descrivono come l’attenzione all’insight possa aiutare lo spostamento da un modello tipicamente biomedico ad un modello più narrativo. Il modello “patient-centered” si focalizza sulla malattia e sulle quattro principali dimensioni dell’esperienza di malattia: – i modelli profani di malattia cui il malato si riferisce, le sue idee e le sue interpretazioni rispetto alla propria patologia; – i suoi sentimenti, in particolare la paura di essere malato; – le conseguenze della malattia rispetto alla propria vita, in particolare le scelte di valori che ne derivano; – le aspettative ed i desideri del malato. La psichiatria di consultazione, che sul piano teorico ha raccolto i contributi essenziali del paradigma psicosomatico e del modello biopsicosociale, si pone sul piano operativo due obiettivi principali: Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 260 La psichiatria di consultazione e collegamento: modelli e dati della letteratura 1. formulare la diagnosi e il trattamento dei disturbi mentali nei soggetti affetti da condizioni mediche generali. All’interno dell’ospedale generale è frequente l’individuazione di comorbilità psichiatriche, tanto che i dati recenti indicano che per i due terzi dei pazienti che sviluppano disturbi depressivi o d’ansia nell’ospedale generale, il disturbo psichiatrico rappresenta la risposta a malattie organiche (21). 2. trasferire nell’ambito della medicina generale le conoscenze teoriche e cliniche raccolte sul paziente, sulle sue reazioni all’evento patologico, sui rapporti eziologici tra psiche e disturbo organico, sulla relazione medico-paziente allo scopo di riportare al centro della medicina non la lesione anatomica, ma il malato nella sua complessità biologica, psicologica e sociale (3); Il processo delle attività di consulenza e collegamento spesso è parallelo al processo che si svolge nel corso di una psicoterapia. Informazioni e modalità di reazioni emergono nelle visite di controllo e si sviluppano nuove prospettive che spesso non erano evidenti nella visita iniziale (22). Le relazioni tra disturbo psichico e patologia somatica possono essere descritte secondo i seguenti modelli (23): – patologia somatica con patologia psichica secondaria (ad esempio, un soggetto che sviluppa in seguito ad un infarto acuto del miocardio un Disturbo Depressivo dovuto a Condizione Medica Generale). In questo caso è necessario che sia individuato uno specifico meccanismo fisiopatologico che, a partire dalle alterazioni prodotte dalla malattia somatica, è all’origine dei sintomi psichici (24); – patologia somatica con patologia psichica indipendente (ad esempio, un soggetto affetto da schizofrenia cronica paranoide e da diabete insulino-dipendente, sviluppa dei deliri paranoidei riguardo alle iniezioni di insulina); – somatizzazione di disturbo psichiatrico (ad esempio, un soggetto con Disturbo di Conversione: disturbo somatoforme monosintomatico, che in modo specifico riguarda le funzioni motorie volontarie o le funzioni sensitive; benché la sintomatologia riproduca quella dovuta a deficit neurologici, l’eziologia è verosimilmente psichica e l’origine è riconducibile a conflitti intrapsichici inconsci) (25). Nell’attività clinica la psichiatria di consultazione prevede due distinte modalità di applicazione: – la consultazione vera e propria riguarda essenzialmente la diagnosi, che si avvale di strumenti quali il colloquio clinico e il materiale testologico, e il trattamento, sia nei suoi aspetti farmacologici che psicote- rapici, del disturbo psichico del paziente ricoverato nel reparto di medicina generale. Pertanto, la specificità dello psichiatra consulente è costituita dalla sua formazione che permette di valutare le interazioni tra le variabili biologiche, psicologiche, psicodinamiche e sociali nella clinica, nella diagnostica, nel progetto terapeutico e nella prognosi di un disturbo mentale (26). Lo psichiatra consulente realizza una presa in carico e un’assunzione di responsabilità nei confronti del paziente che potrebbe definirsi parallela e complementare a quella del medico del reparto (15). – il collegamento o liaison è invece un tipo di intervento più articolato e continuativo, che nasce dalla richiesta formulata dal medico di reparto allo psichiatra o allo psicologo clinico e si estende ad una forma di collaborazione con l’équipe curante e di collegamento e mediazione tra questa, il paziente, i familiari e il personale di assistenza (27). Esso si rivolge essenzialmente ai problemi che il personale sanitario, assistenziale o educativo incontra all’interno del proprio lavoro con i pazienti. In questo caso il consulente opera in modo indiretto, compiendo il proprio intervento nei confronti del collega che fornisce il servizio diretto al paziente. Il consulto è indirizzato ad uno o più operatori e può vertere su uno specifico caso, oppure sul metodo globale di intervento adottato dai consultanti. Le procedure di consulenza variano dai consigli rispetto all’atteggiamento da assumere, alle interpretazioni delle dinamiche che si instaurano tra il paziente e l’équipe curante e all’interno di questa, ai programmi di formazione. È da rilevare come i presupposti di un’attività di psichiatria di consultazione siano sostanzialmente diversi da quelli di un’attività di psichiatria di collegamento. Nel primo caso la domanda scaturisce soprattutto da esigenze di definizione diagnostica e di valutazione del quadro clinico e degli interventi da adottare, nel secondo caso lo psichiatra consulente opera come collaboratore e mediatore nella relazione d’aiuto. Secondo S.J. Korchin (28), la consulenza e il collegamento rispondono al duplice fine di “contribuire alla soluzione dei problemi del paziente e, contemporaneamente, potenziare le capacità di colui che chiede il consulto, in vista della soluzione dei problemi futuri”. Gli Autori Shakin, KunKel e Thompson (22) descrivono l’attività di consulenza e collegamento attraverso lo svolgimento di più colloqui con il paziente, i familiari, gli amici, il medico che richiede la consulenza, il personale infermieristico ed altri sanitari professionisti. Lo psichiatra e lo psicologo clinico devono adattare il proprio intervento a ciascuno di questi individui e gruppi in modo che essi comprendano l’evoluzione Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 261 Fulcheri M, et al della situazione clinica e siano in grado di collaborare efficacemente alla conduzione della terapia. EPIDEMIOLOGIA La psichiatria di consultazione-collegamento ha posto notevole attenzione alla raccolta di dati epidemiologici. Gli studi condotti finora hanno evidenziato una prevalenza di disturbi psichiatrici tra i ricoverati in ospedale generale che varia dal 23% al 61% a seconda degli Autori e delle metodologie utilizzate. I disturbi più rappresentati, spesso in comorbilità tra loro, sono i disturbi affettivi (con una prevalenza dal 20% al 45%), i disturbi cognitivi e mentali organici (dal 4% al 28%), i disturbi d’ansia (dal 10% al 15%), quelli di personalità (dal 2% al 15%) e i somatoformi (dal 5% al 10%) (29-31). La comorbilità medico-psichiatrica presenta valori particolarmente elevati fra le patologie mediche che comportano un forte stress, suddivise in acute (infarto del miocardio, ictus, ustioni), croniche (cancro, AIDS, diabete, insufficienza renale con necessità di emodialisi, sclerosi multipla) e chirurgiche (trapianti d’organo, interventi a cuore aperto, chirurgia plastica, della mammella o degli organi genitali) (3). Sono significativi i dati dello studio Psychological Problems in General Health Care (PPGHC), condotto dall’OMS (3) sui pazienti della medicina generale in 15 centri di varie parti del mondo applicando la stessa metodologia di ricerca (Tabella 1). La prevalenza dei disturbi psichici fra i pazienti dei medici di medicina generale varia dal 7% al 53% tra i vari Centri, con un valore medio del 24%; si tratta di disturbi che raggiungono una diagnosi definita secondo i criteri dell’ICD10 (la depressione e i disturbi d’ansia sono le diagnosi più frequenti). I disturbi psichiatrici globalmente considerati si distribuiscono in uguale misura nei due sessi. I due terzi dei disturbi mentali si presentano con sintomi prevalentemente somatici e solo il 5% dei pazienti si rivolge al medico riferendo sintomi propriamente psichici. È rilevante il dato della comorbilità psichiatrica che interessa il 9,5% dei pazienti con almeno due diagnosi psichiatriche definite. Di fatto, i pazienti con comorbilità medico-psichiatrica non sempre ricevono un trattamento adeguato (32), principalmente per la mancanza di appropriati strumenti di screening (33) e per la difficoltà presente negli operatori ad individuare i problemi psicosociali dei loro pazienti. Ne consegue che lo psichiatra viene interpellato per lo più per pazienti con manifestazioni psichiatriche sintomatiche e comportamentali eclatanti, mentre dal processo di chiarificazione diagnostica e di trattamento psichiatrico e psicoterapico rimane esclusa la maggior parte dei soggetti con comorbilità medico-psichiatrica. Costoro hanno maggiori rischi di complicazioni a carico sia delle malattie somatiche che del disturbo psichico, che non solo comportano una maggiore sofferenza umana, ma determinano anche costi più alti in tutti i livelli del trattamento e della riabilitazione (34, 35). Il mancato riconoscimento di disturbi psichiatrici in pazienti di medicina generale può tradursi in un ritardo nella dimissione dall’ospedale e in un eccessivo ricorso ad indagini strumentali (21). In merito sono state condotte numerose ricerche. Katon e collaboratori hanno sviluppato dei modelli per la cogestione tra medici di famiglia e psichiatri in cui si è osservato come l’addestramento e l’informazione migliorino la compliance nella cura con un effetto positivo sulle conseguenze cliniche (36). Levenson e collaboratori hanno riscontrato nel loro campione che i pazienti con comorbilità psichiatrica hanno dei tempi di Tabella 1. Risultati dello studio PPGHC, compiuto dall’OMS sui pazienti della medicina generale in 15 centri internazionali. I dati relativi al centro italiano di Verona sono riportati separatamente (Ustun, Sartorius, 1995) Diagnosi psichiatrica Uno o più disturbi mentali Due o più disturbi mentali Disturbo Depressivo Maggiore Disturbo d’Ansia Generalizzato Neurastenia Abuso di alcool Dipendenza da alcool Disturbo di Somatizzazione Disturbo Distimico Disturbo di Panico con/senza Agorafobia Disturbo di Panico Ipocondria Tutti i Centri Verona Valore minimo Valore massimo 24,0 9,5 10,4 7,9 5,4 3,3 2,7 2,7 2,1 12,4 4,5 4,7 3,7 2,1 2,6 0,5 0,1 2,0 7,3 2,3 2,6 0,9 1,1 0,6 0,4 0,1 0,3 52,5 33,3 29,5 22,6 10,5 10,0 7,2 17,7 9,8 1,1 1,1 0,8 0,6 1,5 0,3 0,0 0,1 0,1 3,9 3,5 3,5 Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 262 La psichiatria di consultazione e collegamento: modelli e dati della letteratura ospedalizzazione e dei costi significativamente superiori agli altri (37). La ricerca di Wells e collaboratori (38) ha documentato l’aumento dei costi associato alla comorbilità medico-psichiatrica, l’impatto negativo della malattia psichiatrica sul recupero funzionale del paziente, ed una minore qualità di cura psichiatrica nell’ambito della medicina di base. Tale ricerca ha mostrato che, tra i pazienti che utilizzano l’assistenza sanitaria, quelli con diagnosi di depressione comportano dei costi doppi rispetto ai pazienti non depressi. Quando i disturbi depressivi, d’ansia e di somatizzazione sono riconosciuti dai medici di medicina di base (ciò accade nel 50% dei casi) spesso a tale riconoscimento non segue un trattamento adatto (38). In definitiva, un adeguato trattamento psichiatrico è un elemento che può migliorare in modo significativo la qualità globale dell’intervento clinico, inducendo una riduzione dei costi nel trattamento di molte condizioni patologiche medico-chirurgiche. Tali conclusioni sono ulteriormente supportate da uno degli studi effettuati negli Stati Uniti, il Medical Outcomes Study dal quale è emerso che la disabilità dovuta alla depressione è simile o addirittura superiore a quella prodotta dalle comuni malattie organiche croniche (38). Altre indagini hanno permesso di stimare anche quantitativamente l’importanza dei disturbi psichici come problema di politica sanitaria. Di fatto, un rapporto della World Health Organization ha dimostrato che i disturbi neuropsichiatrici sono responsabili del 10% dei costi complessivi di tutte le malattie, espressi sulla base degli anni di vita in salute che sono persi a causa della mortalità precoce o della disabilità. Al riguardo, i disturbi neuropsichiatrici si collocano allo stesso livello delle malattie cardiovascolari e delle malattie respiratorie e ad un livello decisamente superiore rispetto a quello dei tumori considerati nel loro insieme (39). MODELLI E APPLICAZIONI DELLA PSICHIATRIA DI CONSULTAZIONE-COLLEGAMENTO Nel seguente paragrafo sono descritti due dei modelli teorici utilizzati nell’ambito della psichiatria di consultazione: il primo fa riferimento ai diversi livelli e ai diversi filtri che i pazienti attraversano durante il processo diagnostico, il secondo distingue le diverse aree di intervento in cui si svolge la psichiatria di consultazione. Nel corso della descrizione di tali modelli faremo riferimento ad alcune esperienze cliniche centrate su queste tematiche. Il modello di Goldberg e Huxley (40), con i suoi 5 livelli e 4 filtri descrive il processo di selezione delle persone che lamentano disturbi psichici a partire dalla popolazione generale fino ai servizi psichiatrici specialistici. Secondo questo modello, il primo livello è costituito da soggetti che nella popolazione generale presentano disturbi, nella maggior parte dei casi, depressivi ed ansiosi. Solo una parte di queste persone attraversa il primo filtro (rappresentato dalla decisione di consultare il medico di base oppure del Pronto Soccorso), per raggiungere il secondo livello, composto da coloro che presentano tali disturbi e che sono stati visitati in ambulatorio o ricoverati in un reparto internistico, chirurgico o in un reparto specialistico non psichiatrico. I dati pubblicati da Matarazzo (41) e Kebbon et al. (30) indicano che in media la quota dei pazienti che ha disturbi psichiatrici individuabili con un questionario standardizzato è circa la metà di quelli ricoverati in ospedale generale; in realtà, utilizzando un’intervista clinica standardizzata ed un sistema diagnostico come il DSM-IV (24), solo un quarto dei pazienti posiviti al questionario si conferma “caso psichiatrico”. La gravità dei disturbi psichiatrici (20-45%) è associata con problemi di carattere familiare e sociale ed è correlata con una prognosi più sfavorevole per la malattia organica. Il più comune tipo di disturbo psichiatrico corrisponde ad un disturbo d’ansia (dal 10% al 15%), seguito da un disturbo dell’adattamento dovuto a condizioni stressanti connesse ad interventi chirurgici o a procedure dignostiche invasive. Dai dati ricavabili dalla letteratura (40) si rileva che, a distanza di alcuni mesi dalla dimissione, la gran parte dei pazienti recupera un buon livello di equilibrio affettivo; i pazienti che continuano a manifestare sintomi psichici sono quelli caratterizzati da un’anamnesi positiva per tali sintomi prima del ricovero. Tra tutti i soggetti con disturbi psichici che si rivolgono agli ambulatori o che vengono ricoverati in medicina generale solo alcuni passano il secondo filtro (rappresentato dal processo di identificazione e di riconoscimento dei suddetti disturbi da parte del medico) e giungono al terzo livello, nel quale si trovano i pazienti che, secondo i medici, presentano comorbilità psichiatrica associata a patologia organica. La capacità dei medici di riconoscere e trattare la sofferenza psichica dei pazienti durante il ricovero non è stata attualmente studiata in maniera sistematica. È opinione diffusa che i medici ospedalieri tendano a sottostimare la presenza di disturbi psichici nei pazienti ricoverati per una malattia internistica. I dati a disposizione indicherebbero una sottostima di circa il 50% dei casi di disturbo psichiatrico riscontrabili in un reparto di medicina interna, riconducibile ad almeno due ragioni: un primo motivo deriva dalla copresenza di un disturbo psichico e di un disturbo organico con attribuzione a quest’ultimo di sintomi che potrebbero appartenere al Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 263 Fulcheri M, et al primo disturbo; il secondo motivo è che laddove il disturbo psichico è riconosciuto, non è sempre riportato e opportunamente descritto nella cartella clinica e quindi non può divenire oggetto di attenzione clinica (40). L’identificazione dei casi con disturbi psichici da parte dei medici non psichiatri è inoltre condizionata dalla qualità della comunicazione medico-paziente (42). Alcuni pazienti attraversano il terzo filtro (che corrisponde alla decisione del medico di consultare lo specialista) e pervengono al quarto livello, costituito dai soggetti inviati in consulenza psichiatrica per iniziativa del medico di reparto o perché egli accoglie una richiesta da parte del paziente. Solo una quota molto ridotta di pazienti ospedalizzati per una malattia somatica che presentano sintomi psichiatrici viene inviata in consulenza dallo psichiatra. Una recente revisione della letteratura (43) ha evidenziato che la quota dei soggetti inviati in consulenza corrisponde in media all’1-2% dei pazienti che vengono ricoverati in ospedale generale, con un rapporto femmine/maschi di 1 su 5 e con una quota di anziani (di età superiore ai 60 anni) corrispondente a circa un quarto del totale. Questi Autori segnalano inoltre che: - tra i motivi della richiesta della consulenza al primo posto viene indicata l’esigenza di una definizione diagnostica, seguita da richieste di gestione del paziente o di soluzioni di conflitti tra paziente e staff curante; - le diagnosi formulate più frequentemente dal consulente riguardano i disturbi affettivi, i disturbi mentali organici, i disturbi di personalità, i disturbi nevrotici e da abuso di sostanze. Il dato che riguarda la netta prevalenza dei pazienti di sesso maschile fra quelli sottoposti a consulenza è sorprendente per la sensibile disparità fra i due sessi e perché contrasta nettamente con la distribuzione nei campioni clinici e nella popolazione generale dei casi di disturbo dell’umore che risultano i più frequenti nella psichiatria di consultazione. I pazienti che attraversano anche il quarto filtro (per i quali cioè interviene la decisione dello specialista di effettuare un ricovero), vanno a costituire la morbilità psichiatrica esistente al quinto livello, costituito dai soggetti la cui gravità sintomatologica ha reso necessario il trasferimento in un servizio psichiatrico di degenza. In conclusione, si può osservare che esiste una rilevante differenza fra il numero di pazienti ricoverati che presentano dei sintomi o dei disturbi psichici e quello dei pazienti inviati in consulenza allo psichiatra o psicologo clinico. Questo dato potrebbe indurre a concludere che è necessario inviare una quota maggiore di pazienti in consulenza psicologico-psichiatrica. In realtà, alcuni Autori (13) sostengono che il problema effettivo è quello di aumentare la quota dei pazienti presenti al terzo livello (che costituisce la morbilità cospicua, ossia i casi in cui il disturbo psichico è messo in evidenza dal medico non psichiatra) senza modificare quella del quarto livello (coloro che sono inviati in consulenza psichiatrica). In altre parole, viene sottolineata l’importanza della formazione del medico non psichiatra ad un intervento che tenga in considerazione l’elevato rischio di comorbilità psichiatrica che è presente nel corso di una degenza in ospedale. Il modello di Rigatelli et al. (44) prende in considerazione le diverse applicazioni della psichiatria di consultazione e collegamento nelle specifiche aree di intervento sanitario. Gli Autori analizzano il ruolo dello psichiatra consulente distinguendo quattro situazioni fondamentali a seconda delle strutture in cui opera e delle modalità con cui effettua il proprio intervento. 1 - Lo psichiatra consulente che opera sul territorio nei servizi ambulatoriali svolge principalmente un’attività di consultazione nei termini di valutazione diagnostica e di impostazione psicofarmacologica della terapia, mentre risulta secondaria l’attività di collegamento intesa come creazione di collaborazioni interdisciplinari tra i diversi operatori. 2 - Lo psichiatra consulente che fa parte di un Servizio di Diagnosi e Cura o di una Clinica Psichiatrica Universitaria e che opera in molteplici reparti dell’ospedale generale, oltre a provvedere all’accertamento diagnostico e all’impostazione di un corretto approccio terapeutico al paziente internistico con disturbi psichici, svolge un’attività che comprende anche altri aspetti, sostanzialmente riconducibili alla valutazione delle dinamiche del rapporto medicopaziente e al contributo alla formazione del medico non psichiatra e delle altre figure professionali che operano a contatto con il malato. In particolare, egli lavora alla creazione di collaborazioni tra i diversi reparti, funge da mediatore e interprete delle relazioni tra i membri dello staff e tra medico e paziente, contribuisce a formare l’attitudine di altri operatori all’individuazione e alla risoluzione di problemi di natura psichica che rispecchiano la complessità della condizione di malato (44). Inoltre, nel corso della pratica clinica quotidiana, lo psichiatra consulente che opera in ospedale è in più stretto rapporto con i medici e gli infermieri dei reparti con cui collabora, si trova a condividere con essi esperienze, incertezze e difficoltà e ha quindi la possibilità di contribuire al lavoro di reparto apportando idee e metodi condivisibili all’interno di un approccio al paziente non riduttivo (3). L’esperienza riferita da Posteraro e De Luca (45) è un esempio dell’attività centrata sulla collaborazione Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 264 La psichiatria di consultazione e collegamento: modelli e dati della letteratura interdisciplinare fra un’equipe di riabilitazione neuromotoria ed il consulente psichiatra e mostra la possibilità di un confronto fra diversi specialisti sulle modalità con le quali il paziente affronta la sua disabilità, al fine di capire meglio quali sono le sue esigenze, le sue motivazioni, il suo stato d’animo e di delineare l’atteggiamento più adeguato da tenere con la persona disabile e con la sua famiglia. Questo processo è possibile se lo psichiatra consulente si pone dal punto di vista dell’équipe riabilitativa ed è disponibile ad applicare le sue conoscenze specialistiche alle problematiche peculiari di un’unità di riabilitazione. L’attività di collegamento tra lo psichiatra consulente e gli operatori della riabilitazione neuromotoria si sviluppa attraverso la costituzione dei gruppi Balint (11). Le discussioni avvengono in un contesto in cui ciascun componente del gruppo porta la propria esperienza di un caso clinico e i propri problemi relazionali con il paziente con il fine di giungere ad una visione globale delle problematiche mediche, emotive e di rapporto che la gestione di quel caso comporta. Lo psichiatra e lo psicologo clinico, nell’ambito dell’attività di consultazione e collegamento che svolgono nell’ospedale generale, possono anche assumere un ruolo di supporto nei confronti di altri operatori che debbono affrontare particolari condizioni di stress nel rapporto con i loro pazienti. Balestrieri e Zimmermann (46) hanno svolto alcune considerazioni in merito all’attività di consulenza compiuta dal Servizio di Psicologia Medica del Policlinico di Verona presso il reparto della Clinica Ematologica. In particolare, questi Autori hanno descritto le reazioni più comunemente osservate dai membri dell’équipe oncologica, quando questi si trovano a confrontarsi con situazioni particolarmente pregnanti sul piano emotivo, come i casi affetti da leucemie in fase terminale. Tali reazioni vengono schematicamente descritte secondo fasi successive. Vi è dapprima un periodo caratterizzato da sintomi di ansia, depressione, distacco emotivo, che possono temporaneamente regredire e riesacerbarsi, fino a quando l’operatore è in grado di raggiungere una condizione di sufficiente stabilità emotiva. Quando invece le richieste provenienti dal proprio lavoro eccedono le capacità di risposta emozionale degli operatori, sono possibili diversi tipi di reazioni. Si può manifestare inizialmente una condizione di irritabilità, tensione, facilità alla frustrazione. In questo caso si può attivare un meccanismo di formazione reattiva, che si esprime come cinismo o “humor nero”. Possono altrimenti evidenziarsi sentimenti di rifiuto e collera verso i pazienti, da cui facilmente derivano sentimenti di colpa tenuti a bada da un severo autocontrollo. Un’altra reazione è quella del coin- volgimento massivo dell’operatore sul proprio lavoro che determina un progressivo esaurimento delle risorse fisiche e psichiche. Attraverso questi diversi percorsi, si può comunque arrivare ad una franca depressione, che viene descritta in questi casi come sindrome del burn-out. Tale sindrome comprende, nel periodo iniziale sintomi quali stanchezza, difficoltà ad alzarsi al mattino, facile affaticabilità, disturbi somatici e dolenze muscolari. Il quadro può aggravarsi fino a determinare un progressivo distacco dall’ambiente di lavoro, con rallentamento dei ritmi e incremento dei periodi di assenza (47). È evidente che nelle diverse fasi di questo processo e soprattutto in quelle iniziali, in cui è possibile mobilitare le risorse dell’operatore e aiutarlo a confrontarsi in modo più efficace con i propri vissuti nei confronti della malattia e della morte, l’intervento dello psicologo clinico può svolgere un’efficace azione di supporto. Come abbiamo visto, tale intervento si esplica soprattutto attraverso la costituzione di gruppi di discussione. Un altro metodo ampiamente utilizzato per l’esercizio e la sperimentazione di problemi e situazioni all’interno dei gruppi consiste nell’uso del role-play, definito come “una metodica che punta al coinvolgimento diretto del soggetto nel processo di apprendimento attraverso la ridefinizione dei ruoli in base ai compiti e agli obiettivi di stimolazione” (48). 3 - Una situazione particolare è quella dello psichiatra consulente che appartiene ad un servizio autonomo e specifico all’interno dell’ospedale generale. Il servizio specifico autonomo di psichiatria di consultazione differisce da quelli precedentemente descritti in quanto dispone di un proprio organico che vi lavora a tempo pieno. Questa caratteristica dovrebbe consentire di organizzare in modo più efficiente l’attività di consultazione-collegamento e di eseguire interventi più tempestivi ed efficaci. La prima ricerca multicentrica mirata a valutare i risultati di questo tipo di organizzazione dei servizi è stata quella svolta dell’European Consultation-Liaison Workgroup (ECLW) nel 1987 (49). Obiettivo dello studio era quello di registrare e confrontare le caratteristiche del paziente, il tipo di richiesta formulata dal medico inviante e soprattutto gli aspetti quantitativi e qualitativi dell’intervento diagnostico-terapeutico-assistenziale effettuato dallo psichiatra consulente appartenente al servizio autonomo. I risultati hanno mostrato che i due servizi autonomi presi in considerazione nello studio presentano, rispetto ai servizi di psichiatria generale che svolgono anche attività di consultazione-collegamento, un numero più elevato di interventi di consultazione e di consulenze effettuate entro breve Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 265 Fulcheri M, et al tempo dal momento in cui sono state richieste (<24 ore); risultano significativamente maggiori anche il tempo medio dedicato ai pazienti ed il numero medio di colloqui effettuati (49, 50). La considerazione che deriva dai risultati ottenuti è che la maggiore disponibilità alla collaborazione con l’équipe curante offerta dallo psichiatra di un servizio specifico e la sua maggiore vicinanza ai luoghi in cui il problema emerge rendono possibile un lavoro più efficace, sia in termini quantitativi che verosimilmente qualitativi. Ciò giustifica la determinazione con cui negli Stati Uniti si cerca da anni il riconoscimento di questa particolare e “nuova” attività dello psichiatra all’interno dell’ospedale come ultraspecializzazione della psichiatria. Tale esigenza è stata più recentemente recepita anche in Europa, in particolare in Gran Bretagna, dove è presente una maggiore uniformità di vedute fra psichiatri ed internisti sulla necessità di instaurare servizi specifici di psichiatria di consultazione nei maggiori ospedali del Paese (51). In conclusione, si può affermare che ai suddetti tipi di psichiatria di consultazione-collegamento (un servizio che opera sul territorio, un servizio psichiatrico di un ospedale generale che svolge attività di consultazione, un servizio specifico autonomo), competono potenzialmente responsabilità e compiti via via più ampi, sia in riferimento alle modalità di intervento che al tipo di patologia o di situazioni per le quali è richiesta la consulenza (44). La collocazione spaziale e la conseguente disponibilità di tempo dello psichiatra consulente, delineano le potenzialità ed i limiti del tipo di consulenza che è possibile effettuare. Si può affermare che le diverse figure che sono state analizzate configurano proposte diverse in base alle quali i servizi territoriali o l’ospedale generale possono organizzare la consultazione psichiatrica. Pertanto, disporre di questi modelli è utile sia all’organizzazione dei servizi sanitari che alla realizzazione di studi clinici sistematici e quindi alla raccolta di dati che possano giustificare l’orientamento della scelta su un modello specifico. Occorre ammettere che la raccolta di tali dati è stata per ora limitata e si è svolta per lo più attraverso il contributo dell’esperienza di singoli operatori, anziché sulla base di attività di ricerca progettate e condotte con metodi di indagine sistematici e rigorosi. I modelli che abbiamo fin qui considerato sono principalmente mirati all’analisi delle modalità con cui i pazienti vengono in contatto con la psichiatria di consultazione o alla descrizione delle diverse tipologie di organizzazione in cui viene strutturata l’attività di consultazione-collegamento. Tuttavia, c’è un altro aspetto che riveste un notevole interesse per la psichiatria di collegamento e che permette di classificare diverse modalità di intervento: si tratta dell’insegnamento di elementi di igiene mentale ai medici di medicina generale o agli specialisti non psichiatri. È un aspetto che assume un grado di rilevanza crescente mentre si procede verso interventi di psichiatria di collegamento più strutturati e che prevedono un rapporto più stabile fra psichiatria o psicologo clinico ed équipe medica non psichiatrica. Questo tipo di situazione è infatti la sola che permette di instaurare un programma didattico caratterizzato da una sufficiente continuità e basato su un’adeguata conoscenza degli specifici problemi di interesse psichiatrico o psicologico clinico che quella équipe si trova ad affrontare quando opera sui pazienti. Strain e collaboratori (52) descrivono un modello di insegnamento di igiene mentale a medici non psichiatri che racchiude sei modalità d’intervento: a) di consulenza - è l’approccio di consulenza medica standard basato sul metodo del caso; b) di collegamento - oltre agli elementi del modello di consulenza, si utilizzano esercizi formali, strutturali, pedagogici, per insegnare le nozioni e le capacità di base. Un insegnante psichiatra spesso diviene parte di un’unità o équipe medica o chirurgica; c) a ponte - un insegnante psichiatra, affiliato a un dipartimento di psichiatria, viene assegnato ad una sede didattica di assistenza primaria per una parte importante del suo tempo; la didattica è strutturata; d) ibrido - la didattica è fornita da uno psichiatra, da un esperto comportamentale che fa parte di un’équipe multidisciplinare e da un professore universitario di assistenza primaria; e) psichiatrico autonomo - lo psichiatra è sovvenzionato dal gruppo di assistenza primaria e non ha legami formali con un dipartimento di psichiatria; f) di specializzazione post-laurea - il medico di assistenza primaria viene istruito in un ambiente di igiene mentale per 1 o 2 anni nell’individuazione, diagnosi e trattamento dei disturbi della salute mentale. Questo modello di integrazione dei servizi della psichiatria di consulenza-collegamento risolve l’isolamento delle discipline di igiene mentale in ambiente medico e la mancanza di struttura formale integrata che caratterizza la modalità tradizionale di consulenza. Nell’ambito dell’attività didattica e di formazione che entra quindi a far parte come elemento caratteristico dell’attività di consultazione e soprattutto di collegamento, uno dei temi di maggiore interesse è quello che concerne l’analisi delle dinamiche che si sviluppano all’interno del rapporto medico-paziente. Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 266 La psichiatria di consultazione e collegamento: modelli e dati della letteratura Lo studio del rapporto medico-paziente e l’elaborazione di modelli e di classificazioni che consentano di individuarne schematicamente le tipologie fondamentali è stato ampiamente sviluppato e richiederebbe una trattazione approfondita che non è l’oggetto di questo lavoro. Basterà qui ricordare il modello proposto da Schneider che muove la sua analisi sui concetti di reificazione-personalizzazione del rapporto, e quello più recente di Kaplan in cui il rapporto tra medico e paziente è considerato in rapporto alla personalità, alle attese e alle esigenze di entrambi i membri della relazione (Tabella 2). Questi modelli si propongono come schemi di riferimento che consentono al medico di affrontare le diverse situazioni in cui si trova ad operare con una maggiore consapevolezza del tipo di relazione che si instaura fra lui e il paziente, del tipo di ruolo più o meno direttivo che egli assume nella conduzione dell’intervento, del grado di collaborazione e partecipazione alle scelte terapeutiche che il paziente può offrire o richiedere in quel determinato contesto. È necessario che il medico non psichiatra sia dotato delle conoscenze e delle competenze essenziali per riconoscere le dinamiche relazionali che si instaurano con il paziente e riceva una formazione finalizzata a sviluppare adeguate capacità di comunicazione. Occorre quindi che si attui un processo di sensibilizzazione e di formazione che integri i programmi didattici accademici e accompagni l’attività professionale del medico attraverso l’esperienza di gruppi di discussione (gruppi Balint). In proposito, Lai (53) ha sottolineato che le discussioni in gruppo favoriscono l’emergere di dinamiche interpersonali che riproducono quelle che si instaurano tra medico e paziente e nell’ambito dell’équipe curante. Attraverso queste esperienze formative il medico può rendersi conto di come il proprio modo di elaborare e gestire le relazioni con il paziente influisca sul comportamento professionale, sulle decisioni diagnostico-terapeutiche e sulle reazioni del paziente e dei suoi familiari, con rilevanti ripercussioni sul decorso della malattia e l’esito del trattamento (53-55). CONCLUSIONI L’esame dei dati della letteratura che abbiamo compiuto in questo lavoro di revisione ha messo in evidenza un crescente interesse degli psichiatri per quegli aspetti della loro attività specialistica che concernono la diagnosi e il trattamento di condizioni psicopatologiche insorte in rapporto a malattie somatiche ed emerse in un contesto di medicina internistica. Lo sforzo di affinare gli strumenti, di approfondire le conoscenze per riconoscere tali condizioni psicopatologiche e per delinearne le complesse interazioni con le malattie somatiche concomitanti ha assunto notevole rilievo per la possibilità di intervenire sul paziente con maggiore efficacia tenendo conto della comorbilità psichico-somatica e delle sue specifiche ripercussioni sul decorso dei disturbi e l’esito dei trattamenti. Inoltre, l’accresciuta capacità dello psichiatra e dei medici internisti con cui collabora, di valutare la patologia del paziente nei molteplici aspetti che coinvolgono l’organismo nella sua totalità (al di là di un’artificiosa separazione fra soma e psiche) permette anche di incentrare l’attenzione sul soggetto malato inteso nella sua dimensione unitaria, senza trascurare alcun aspetto della valutazione clinico-diagnostica, prendendo in considerazione anche gli elementi riconducibili ai vissuti del soggetto nei confronti della malattia e della morte, alle strategie che egli adotta per affrontare lo stato di Tabella 2. Confronto tra i modelli di relazione medico-paziente proposti da Schneider (1977) e da Kaplan (1997) Modello di Schneider (1977) Modello di Kaplan (1997) Relazione scientifica: tipica degli studi biologici, oggettivizza il paziente e non è in grado di considerare le valenze emotive. Attivo-Passivo: appropriato per il soggetto non cosciente, implica la completa passività del paziente e la conseguente, e necessaria, assunzione del controllo da parte del medico. Docente-Studente: si osserva frequentemente nel corso della convalescenza dopo interventi chirurgici. Presuppone una posizione dominante del medico che ha un ruolo paternalistico ed esercita un controllo sul paziente, che ha il ruolo di dipendenza e di accettazione. Partecipazione reciproca: particolarmente evidente nel trattamento di malattie croniche, implica un rapporto di parità tra medico e paziente. I partecipanti hanno necessità dello stimolo reciproco e dipendono da esso. Amichevole: generalmente considerato disfunzionale e al di fuori dell’etica professionale; il medico manifesta necessità emotiva di trasformare il trattamento del soggetto in una relazione di scambio reciproco di informazioni personali e di affetto. Relazione di servizio: tipica degli specialisti, dei casi in cui la malattia è di breve durata o di gravità limitata, implica una relazione buona, ma superficiale e occasionale. Relazione interpersonale soggettiva: una comunicazione autentica, profonda, non rituale, in cui si raggiunge la “cura” globale della persona. Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 267 Fulcheri M, et al malattia e le condizioni di ricovero e di trattamento, le complesse relazioni che si instaurano fra il paziente, i suoi familiari, l’équipe curante e gli specialisti consulenti esterni. Come si vede, la ricerca volta a definire le caratteristiche e l’organizzazione della psichiatria di consultazione-collegamento si trova ad affrontare una varietà di problemi differenti con un duplice rischio. Da un lato, se si limita l’indagine all’esclusivo approfondimento delle conoscenze cliniche e terapeutiche attraverso studi sistematici e controllati su campioni selezionati di pazienti, si può arrivare a risultati che sono in definitiva difficilmente applicabili alla realtà della pratica clinica e che non tengono sufficientemente conto dei vissuti del paziente e della relazione medico-paziente, con effetti evidentemente negativi sugli elementi fondamentali del trattamento, come la compliance. Dall’altro, se si focalizza esclusivamente l’attenzione sui vissuti del paziente di fronte alla malattia somatica e sulle dinamiche che si svolgono fra le diverse figure che interagiscono in un reparto di degenza, si rischia di sottovalutare il problema assai rilevante di un corretto e completo inquadramento del caso clinico anche dal punto di vista psicopatologico, particolarmente se si considera che accanto al disagio e ai disturbi dell’adattamento alla malattia come fattore di stress sono rappresentati, in questi pazienti, disturbi mentali che sono la diretta conseguenza fisiopatologica della malattia somatica in atto ed altri che, esorditi indipendentemente da quest’ultima, di essa risentono nel loro decorso e su di essa incidono in misura più o meno rilevante ma, in generale, con un sensibile aggravamento della prognosi. Tali considerazioni sono indubbiamente rilevanti per una corretta impostazione di questo settore della ricerca e dell’attività clinico-psichiatrica ma hanno inevitabilmente carattere generale e non possono essere intese se non come un punto di partenza per progettare indagini sistematiche che permettano di raccogliere dati attendibili sui molteplici problemi che riguardano la psichiatria di consultazione e collegamento, selezionando per ciascun ambito di ricerca metodi di indagine appropriati e strumenti di valutazione specifici. Allo stato attuale della ricerca, emerge chiaramente che gli studi sistematici finora condotti per individuare le caratteristiche e verificare l’efficacia dei diversi modelli di organizzazione e di intervento che sono stati proposti sono molto limitati e non consentono di trarre indicazioni conclusive sulla maggior parte delle questioni in esame. In altre parole, è difficile al momento stabilire sulla base dei dati disponibili quale tipo di organizzazione dei servizi di consultazione-collegamento sia più idoneo a garantire un adeguato trattamento psichiatrico e psicologico clinico nei pazienti assistiti in medicina generale o in altre unità specialistiche, né esistono stime sufficientemente precise del rapporto costi-benefici delle diverse modalità di intervento. Gli studi che sono stati pubblicati in questo campo rappresentano più spesso un resoconto di esperienze cliniche e, sulla base di queste, l’elaborazione di modelli teorici, di protocolli di intervento sul paziente e di collaborazione con l’équipe curante. Si può tuttavia affermare che si delineano alcune tendenze fondamentali nella concezione teorica e nell’impostazione pratica della psichiatria di consultazione-collegamento. Per quanto riguarda la psichiatria di consultazione, quella cioè in cui lo psichiatra o lo psicologo clinico fornisce la propria consulenza ai colleghi intervistati per inquadrare e trattare le condizioni psicopatologiche emerse in un paziente assistito per una malattia somatica, si delinea la tendenza ad un suo sviluppo all’interno dell’ospedale generale o nell’ambito della assistenza territoriale dei servizi specifici. Tali unità, non essendo gravate da altre competenze e ponendo la psichiatria di consultazione al centro dei propri compiti, dovrebbero essere in grado di garantire un intervento più sollecito e un’assistenza più intensiva e continuativa. In effetti, i dati raccolti dalla prima ricerca multicentrica svolta su questo tema dall’European Consultation-Liaison Workgroup (1987) confermano la presenza di questi vantaggi. D’altra parte un servizio specifico di psichiatria di consultazione può disporre di operatori che si sono formati e che compiono la loro esperienza clinica precipuamente in questo campo. Questa caratteristica dovrebbe loro permettere di affrontare in modo più adeguato alcuni aspetti clinici peculiari di questo tipo di attività, che riguardano in particolare: 1) la diagnosi: in molti casi è problematico formulare una diagnosi differenziale tra disturbi mentali, in particolare somatoformi e malattie neurologiche e internistiche, così come non è agevole discriminare nell’ambito di una sindrome psichiatrica i sintomi, soprattutto somatici o vegetativi, che dipendono direttamente dall’alterazione psicopatologica e quelli che derivano invece dalle condizioni mediche generali concomitanti o dagli effetti indesiderati delle polifarmacoterapie; 2) la terapia farmacologica: è indispensabile possedere una conoscenza approfondita delle complesse interazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche fra le diverse classi di farmaci, poiché i pazienti trattati nell’attività di psichiatria di consultazione assumono nella maggioranza dei casi polifarmacoterapie anche molto complesse che richiedono una competenza che va al di là di quella strettamente psicofarmacologica; Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 268 La psichiatria di consultazione e collegamento: modelli e dati della letteratura 3) la psicoterapia: occorre essere capaci di adattare i principi e le tecniche della psicoterapia a un intervento che si svolge su pazienti con problematiche attuali molto rilevanti ed ineludibili, in un ambiente perlopiù molto distante dal setting tradizionale, in condizioni in cui è necessario dosare attentamente le componenti supportive ed esplorative della psicoterapia. Se consideriamo invece i modelli di organizzazione della psichiatria di collegamento, ossia di quella attività psichiatrica e psicologico clinica che si svolge sul territorio o in reparti dell’ospedale generale con un carattere di maggiore continuità e approfondimento rispetto all’intervento isolato di consultazione, la tendenza che emerge è quella di disporre, all’interno di un servizio psichiatrico o direttamente nell’ambito delle singole unità di medicina generale o specialistica, di figure professionali che ricevano una formazione specifica in questo campo e abbiano il compito di operare stabilmente in collaborazione con i colleghi non psichiatri. L’intervento di queste figure si estende in questo caso, al di là della consulenza clinica, sugli aspetti psichiatrici e psicologici del caso in esame, per coinvolgere la valutazione e la riorganizzazione delle dinamiche relazionali che si instaurano fra il paziente, i familiari, l’équipe curante e altri operatori come gli assistenti sociali. Tale tipo di intervento si indirizza innanzitutto al paziente, utilizzando gli strumenti diagnostici e terapeutici che appartengono anche alla psichiatria di consultazione, ma con la possibilità di instaurare un rapporto più protratto e di avviare interventi psicoterapici più strutturati. Inoltre, particolare attenzione viene riservata alla formazione degli operatori non psichiatri, attraverso la costituzione di gruppi di discussione e di supervisione dell’attività clinica (gruppi Balint). Un aspetto che richiede di essere meglio definito è il ruolo che deve assumere nell’ambito della psichiatria di consultazione-collegamento la figura dello psicologo clinico. Se infatti tale ruolo appare circoscritto nel caso della psichiatria di consultazione al contributo alla formulazione diagnostica attraverso la somministrazione di test e di scale di valutazione, esso assume maggior risalto nel caso dell’attività di collegamento. Infatti, il carattere più continuativo di tale attività consente, come si è visto, di attribuire maggior rilevanza ai trattamenti psicoterapici. Inoltre, lo psicologo clinico può operare in modo specifico nella conduzione degli interventi di sensibilizzazione e formazione agli aspetti psicologici della relazione medico-paziente e delle dinamiche che si instaurano all’interno dell’équipe curante. Tali interventi assumono nell’ambito di attività di collega- mento una tale rilevanza, come si è chiarito a proposito di gruppi di discussione, che sembra legittimo far riferimento a una vera e propria psicologia clinica di collegamento, che si affianchi e si integri con l’attività più propriamente psichiatrica. L’esigenza di chiarire le competenze e le aree di intervento della psicologia clinica, limitando i rischi di sovrapposizione e agevolando l’integrazione di questa disciplina con la psichiatria, deve rappresentare uno stimolo per l’elaborazione teorica e la ricerca, come è stato sottolineato da Pazzagli e Rossi (57): in questo contesto la definizione di una psicologia clinica di collegamento e la sua integrazione con la psichiatria di consultazione-collegamento può rappresentare un contributo significativo. Le tendenze che si sono fin qui enucleate sono il risultato dell’esperienza clinica e degli sforzi organizzativi e progettuali di un numero crescente di psichiatri e di psicologi clinici che si sono impegnati in questo campo e hanno fornito nei loro lavori un resoconto dell’attività svolta. Tuttavia, la carenza di studi sistematici che consentano di verificare e confrontare i risultati forniti dai singoli tipi d’intervento e dai differenti modelli organizzativi rappresenta un grave limite alla fondazione su basi scientifiche di questo particolare settore della pratica psichiatrica: in altre parole, non si dispone ancora di dati sufficienti per stabilire quali siano le modalità di intervento più efficaci in determinati contesti clinici e su pazienti con caratteristiche specifiche. Riteniamo, quindi, che la psichiatria di consultazione-collegamento presenti tuttora una serie di questioni aperte che rappresentano degli stimoli rilevanti per la futura attività di ricerca e che meritano particolare attenzione, in considerazione al notevole sviluppo che questa branca della psichiatria clinica sta raggiungendo nell’organizzazione dei servizi sanitari. BIBLIOGRAFIA 1. Cazzullo CL, Comazzi AM, Guaraldi GP, Rigatelli M, Verdecchia A: General hospital psychiatry in Italy: on the hospitalization of psychiatric patients and consultation-liaison psychiatry after law 180, 1978. General Hospital Psychiatric, 1984, 6, 261265. 2. Lipowski ZJ: Consultation-Liaison Psychiatry at century’s end. General Hospital Psychiatric, 1986, 8, 305-315. 3. De Bertolini C, Rigatelli M, Rizzardo R: Psichiatria di consultazione e collegamento. In Pavan L (a cura di) Trattato italiano di psichiatria. Masson, Milano, 1999. 4. 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