IL NUOVO CODICE DEL CONSUMO : D.LGS. 6 SETTEMBRE 2005 N. 206. LA PUBBLICITÀ
INGANNEVOLE E LA FUNZIONE DELL ’AUTORITÀ GARANTE CONCORRENZA E MERCATO
Sommario: 1. La pubblicità – 2. L’evoluzione normativa italiana in materia di pubblicità e l’adozione del nuovo
codice del consumo – 3. La pubblicità ingannevole e la pubblicità comparativa.
1. LA PUBBLICITÀ
Con il termine pubblicità si intende generalmente quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su
iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta,
Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in
relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi. La pubblicità, pertanto, è molto importante per i suoi effetti
sulle nostre idee e sul nostro comportamento e, di conseguenza, costituisce uno dei più efficaci strumenti
utilizzati dalle imprese nel confronto concorrenziale 1. Le imprese, infatti, si disputano la clientela non solo, e non
sempre, attraverso un’offerta di qualità migliore a prezzi più convenienti, ma anche attraverso la comunicazione
di un’immagine dei propri prodotti che, agli occhi dei consumatori, li distingua positivamente da quelli dei
concorrenti. Dietro la brevità di un messaggio pubblicitario si cela spesso un lavoro lungo e complesso.
L’operatore pubblicitario, nell’ideazione del messaggio, innanzitutto mira a costruire un’identità del prodotto
(posizionamento) che lo rende distinto dagli altri, sottolineando una prestazione del prodotto (benefit), cioè la sua
capacità di fare una certa cosa, di ottenere un certo risultato. In seguito vi è l’individuazione delle categorie di
consumatori più sensibili al prodotto da pubblicizzare, oppure quelle che sono in grado di concorrere in maniera
determinante allo sviluppo delle vendite (target). Una volta individuati i destinatari della comunicazione, i
pubblicitari puntano a costruire il messaggio in modo che esso ne attiri l’attenzione, venga da loro ricordato e
finisca per condizionarne i consumi. Se da una parte è indubbia la posizione rilevante ricoperta dello strumento
pubblicitario nell’economia moderna, vista la necessità di informare i consumatori e contribuire così a un sano
confronto concorrenziale fra le imprese, dall’altra parte viene in evidenza la delicatezza di tale strumento. In altre
parole, un uso distorto della pubblicità porta inevitabilmente alla lesione della sfera soggettiva del consumatore, il
cui consenso contrattuale dovrebbe essere il frutto di un libero processo di autodeterminazione e non dovrebbe
essere carpito fraudolentemente da un messaggio pubblicitario ingannevole; allo stesso modo un utilizzo
scorretto dello strumento pubblicitario è idoneo a falsare il sano gioco della concorrenza e rappresenta, pertanto,
un serio ostacolo alla effettiva realizzazione di un libero mercato concorrenziale. Le strategie delle imprese che
adottano messaggi pubblicitari decettivi sono diversificate, ma tutte sono volte a influenzare i consumatori poco
informati, facendo loro pagare un prezzo eccessivamente elevato rispetto alla qualità effettivamente offerta.
Tramite la pubblicità ingannevole le imprese tendono a sfruttare le rilevanti asimmetrie informative che spesso
contraddistinguono il loro rapporto con i consumatori. Pertanto è necessario, non solo nell’ interesse dei
consumatori ma anche delle stesse imprese, garantire che la pubblicità svolga la propria funzione di
comunicazione e promozione senza indurre i suoi destinatari in inganno. Di conseguenza la tutela della
concorrenza e la tutela dalla pubblicità ingannevole si integrano l’una con l’altra, entrambe funzionali a ridurre le
possibilità di sfruttamento del potere di mercato nei confronti dei consumatori.
2. L’EVOLUZIONE NORMATIVA ITALIANA IN MATERIA DI PUBBLICITÀ E L’ ADOZIONE DEL NUOVO
CODICE DEL CONSUMO
Nel nostro Paese, le prime norme in materia risalgono agli anni Venti. Esse prevedevano perlopiù il
ricorso alla censura preventiva dei messaggi pubblicitari, limitata peraltro ad alcuni settori merceologici. In realtà
l’apparato normativo nazionale era privo di una qualche forma generale e diretta di tutela dei consumatori contro
le comunicazioni ingannevoli. Gli unici a essere tutelati in via generale erano gli imprenditori, che, in qualità di
concorrenti, potevano chiedere l’intervento del giudice contro messaggi pubblicitari che costituissero
concorrenza sleale (solo di recente, con l’approvazione della L. n. 281 del 1998, “Disciplina dei diritti dei consumatori
Gli investimenti pubblicitari netti (tv, radio e stampa) in Italia nel 2001 sono stati pari a circa 6.630 milioni di euro.
Nonostante la leggera flessione rispetto al 2000 (meno 2,2%) superano i 6 miliardi di euro: quasi 17 milioni di euro al giorno,
oltre 700.000 euro l’ora. Cifre che dimostrano come la pubblicità sia un fenomeno molto rilevante in termini economici.
1
1
e degli utenti”, è stata riconosciuta la generale possibilità alle associazioni dei consumatori di adire il giudice civile a
tutela dei diritti dei consumatori); il giudice penale poteva poi (e può tutt’oggi) intervenire nei casi in cui nel
messaggio pubblicitario fossero configurabili reati (truffa, frodi e così via). Qualche norma della disciplina
radiotelevisiva (L. n. 223 del 1990, cosiddetta legge Mammì) era certo diretta alla repressione di alcuni illeciti in
materia pubblicitaria, ma comunque non forniva sufficienti strumenti di tutela. Il vuoto normativo ha portato gli
stessi operatori pubblicitari a dotarsi di regole di comportamento tramite la costituzione dell’Istituto
dell’Autodisciplina Pubblicitaria, ente privato a base associativa, che ha affidato a un Giurì appositamente
costituito il controllo della pubblicità diffusa dai suoi associati. L’Istituto ha elaborato un Codice di
Autodisciplina Pubblicitaria, costantemente aggiornato, nel quale si prevede anche la repressione della pubblicità
ingannevole ed il controllo della correttezza della pubblicità comparativa. Il codice vincola solo gli associati, i
quali, a loro volta, si impegnano ad obbligare contrattualmente al suo rispetto i soggetti, eventualmente non
associati, con i quali concludono contratti pubblicitari.
L’impulso allo sviluppo della materia è venuto principalmente dagli obblighi derivanti al nostro Paese
dall’appartenenza alla Comunità Europea. L’istituzione comunitaria, infatti, nel 1984 ha adottato la direttiva
84/450/CEE, che stabilisce i principi generali in materia di pubblicità ingannevole ai quali le legislazioni degli
Stati membri devono uniformarsi. In seguito si è cercato di disciplinare il fenomeno della pubblicità comparativa
tramite l’adozione nel 1997 della Direttiva 97/95/CE. L’Italia ha dato attuazione alla Direttiva Comunitaria
84/450/CEE adottando il decreto legislativo n. 74 del 25 gennaio 1992 in materia di pubblicità ingannevole;
tramite il D.lgs. n. 67 del 25 febbraio 2000 ha recepito le disposizioni comunitarie in materia di pubblicità
comparativa, apportando delle modifiche al D.lgs. n. 74 del 1992. La direttiva sulla pubblicità ingannevole del
1984 indicava gli elementi a cui riferirsi per verificare la sussistenza dell’ingannevolezza (relativi al prezzo, al
prodotto e all’impresa produttrice) e lasciava poi agli Stati membri la possibilità di decidere quale dovesse essere
l’organo al quale concretamente rivolgersi per ottenere una pronuncia di divieto della pubblicità ingannevole. Le
formule adottate nei vari paesi europei sono state diverse: in alcuni la tutela dalla pubblicità ingannevole è stata
affidata al giudice civile, penale o amministrativo (come in Belgio, Olanda, Germania, Francia); in altri le relative
competenze sono state attribuite ad autorità indipendenti, così come è successo in Italia. L’organo incaricato
dell’applicazione di entrambe le discipline così in vigore è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
cioè la medesima autorità amministrativa che applica la legge antitrust.2
Le disposizioni contenute nel D.lgs. n. 74 del 1992 e n. 67 del 2000 sono state assorbite dal Nuovo
Codice del Consumo. Tale raccolta normativa, approvata con D.lgs. del 6 settembre 2005 n. 206, ed entrata in
vigore il 24 ottobre 2005, riunisce in un unico testo le disposizioni di 21 precedenti provvedimenti (4 leggi, 2
decreti del Presidente della Repubblica, 14 decreti legislativi ed 1 regolamento di attuazione) che riguardano i
rapporti tra i consumatori e le imprese (manifatturiere, di intermediazione commerciale e di servizi). Pur essendo
un codice prevalentemente compilativo – poiché riproduce la disciplina di precedenti provvedimenti – contiene
anche degli adeguamenti e modifiche sostanziali, determinati dalla necessità di armonizzare alcune leggi nazionali
approvate in passato rispetto a successive norme comunitarie e all’evoluzione giurisprudenziale. Inoltre, riunendo
in un unico testo normativo norme caratterizzate dall’entrata in vigore in tempi diversi, il Codice persegue
l’obiettivo di armonizzare e riordinare sotto principi comuni l’intera disciplina al fine di “assicurare un elevato livello
di tutela dei consumatori e degli utenti.”
Il decreto delegato n. 206 del 2005 costituisce l’attuazione della delega conferita al Governo con la L. 29
luglio 2003, n. 229, recante interventi urgenti in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e
semplificazione - legge di semplificazione per il 2001. I termini della delega sono stati prorogati prima dall'art. 2
della L. 27 luglio 2004, n. 186, legge di conversione, con modificazioni, del D.L. 28 maggio 2004, n. 136 e,
successivamente, dall'articolo 7 della L. 27 dicembre 2004, n. 306.
In particolare, l’art. 7 della L. n. 229 del 2003 ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti
legislativi, per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori, ai sensi e secondo i
principi e i criteri direttivi di cui all’art. 20 della L. 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dall’art. 1 della stessa L.
n. 229 del 2003, e nel rispetto dei principi e criteri direttivi ivi richiamati.
Nell’esercizio di tale delega, il Ministero delle attività produttive si è avvalso del prezioso contributo
fornito dalla Commissione di studio istituita con DM 23 dicembre 2002, presieduta dal professore Guido Alpa e
composta da alcuni tra i massimi esperti della materia.
L’Autorità, volendo sottolineare quella convergenza tra i suoi compiti già indicata dal legislatore, ha di recente operato
un’importante modifica del proprio assetto organizzativo, eliminando la Direzione Pubblicità Ingannevole, che aveva fin qui
esercitato la competenza esclusiva a trattare la materia pubblicitaria, e distribuendo tra le singole Direzioni istruttorie
competenti per materia la trattazione dei casi di pubblicità ingannevole e comparativa. In tal modo si è pensato di sfruttare
in modo più efficace le sinergie tra attività di tutela della concorrenza e repressione delle forme di pubblicità illecita.
2
2
Il frutto del lavoro della commissione è stato recepito nel codice de quo, nel quale si è tenuto conto delle
osservazioni delle associazioni di settore maggiormente rappresentative e ha accolto la quasi totalità delle
valutazioni contenute nei pareri resi rispettivamente: dalla Conferenza unificata, di cui all'art. 8 del D.lgs. 28
agosto 1997, n. 281, in data 16 dicembre 2004, dal Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi,
nell’adunanza generale del 20 dicembre 2004 e dalle competenti Commissioni parlamentari 3 nelle date del 9 e del
10 marzo 2005. L’art. 18 del Nuovo Codice introduce disposizioni generali in materia di pubblicità e
comunicazioni commerciali, anche al fine di rendere possibile l’inserimento futuro di ulteriori disposizioni
all’interno del corpus codicistico. Gli artt. dal 19 al 27 riproducono gli artt. da 1 a 8 del D.lgs. 25 gennaio 1992, n.
74, come modificato dal D.lgs. 25 febbraio 2000, n. 67 (“Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come
modificata dalla direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa”) nonché dalla L. 6 aprile
2005, n. 49 recante modifiche all’art. 7 del D.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, in materia di messaggi pubblicitari
ingannevoli diffusi attraverso mezzi di comunicazione. Il codice prevede alcune variazioni rispetto alle norme
originarie; in particolare:
a) alla lettera d) del comma 1 dell’art. 20, nella definizione di operatore pubblicitario, è stata inserita, su
specifica segnalazione del Ministero della comunicazioni, in alternativa alla nozione di “proprietario del mezzo”,
quella di “responsabile della programmazione radiofonica o televisiva”; la medesima modifica è stata inserita al
comma 10 dell’articolo 26;
b) all’art. 21, comma 1. lettera c), il riferimento ai “diritti di proprietà intellettuale” è comprensivo del
diritto d’autore e dei diritti ad esso connessi.
c) all’art. 25, comma 1, è stato fatto salvo il divieto previsto dalla sopravvenuta L. 3 maggio 2004, n. 112,
art. 10, comma 3;
d) all’art. 26 non è stato riprodotto il comma 14 dell’articolo 7 del D.lgs. n. 74 del 1992, in quanto la
relativa disposizione è confluita nel testo dell’art. 139.
Gli artt. 28 e 29 costituiscono norme di mero coordinamento, finalizzate al rafforzamento della tutela del
consumatore in materia di televendite, in conformità ai principi di delega.
All’interno dell’art. 28 sono aggiunte specifiche disposizioni tratte dal Codice di autoregolamentazione
del 14 maggio 2002 in materia di televendite e spot di televendita di beni e servizi di astrologia, di cartomanzia ed
assimilabili, di servizi relativi ai pronostici concernenti il gioco del lotto, enalotto, superenalotto, totocalcio,
totogol, totip, lotterie e giochi similari, riscritte e rielaborate secondo specifiche indicazioni fornite dalle
competenti Commissioni di entrambi i rami del Parlamento.
Gli artt. 30 e 31 riproducono, rispettivamente, commi diversi del medesimo art. 3-bis della L. 30 aprile
1998, n. 122, introdotto dall’art. 52 della L. 1° marzo 2002, n. 39.
L’art. 32 contiene la disciplina sanzionatoria in materia di televendite, conformemente all’art. 6 della
delibera n. 538/01/CSP del 6 luglio 2001 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, recante il regolamento
in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite.
3. LA PUBBLICITÀ INGANNEVOLE E LA PUBBLICITÀ COMPARATIVA.
Il decreto n. 74 del 1992 ha lo scopo di tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze
sleali i soggetti che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i consumatori e, in
genere, gli interessi del pubblico nella fruizione di messaggi pubblicitari, nonché di stabilire le condizioni di liceità
della pubblicità comparativa secondo quanto disposto dalle modifiche apportate dal D.lgs. 25 febbraio 2000, n.
67, in attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE, in materia di pubblicità
ingannevole e comparativa.
Per “pubblicità” si intende qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di
un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili
o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di
servizi. La nozione è molto ampia e include ogni forma di comunicazione promozionale, quali che siano le sue
modalità o i mezzi di diffusione. Restano escluse, invece, le pubblicità non commerciali, nel senso che non sono
riferite ad attività economiche, come ad esempio la propaganda politica e la pubblicità sociale, e quelle forme di
pubblicità che devono essere sottoposte ad approvazione già prima della loro diffusione4. Sono invece incluse
X Commissione permanente - Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati e 10ª Commissione
permanente - Industria, commercio, turismo del Senato della Repubblica.
4 Ad es., il Ministero della Sanità controlla preventivamente i messaggi riguardanti gli articoli medico -chirurgici,
verificandone anche la non ingannevolezza; analogamente la Consob autorizza la diffusione degli annunci riguardanti
l’offerta di strumenti finanziari.
3
3
nella nozione di pubblicità quelle forme di comunicazione che, anche se non tendono immediatamente a spingere
all’acquisto di beni o servizi, promuovono comunque l’immagine dell’impresa presso il pubblico dei consumatori.
Dal combinato disposto degli art.1, comma 2 ed art.2 del decreto in esame la pubblicità deve essere
palese, veritiera e corretta e, quindi, per “pubblicità ingannevole”, deve intendersi qualsiasi pubblicità che in
qualunque modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o
giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare
il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente. In parole
povere, è ingannevole ogni comunicazione che, direttamente o indirettamente, crea nei consumatori un’idea
errata sul prodotto o servizio offerto, condizionandone fraudolentemente le scelte. Non è necessario che il
messaggio pubblicitario abbia effettivamente arrecato un danno per essere qualificato come ingannevole. È
sufficiente che le informazioni inesatte che esso comunica siano potenzialmente in grado di alterare le decisioni
del consumatore. L’ingannevolezza può derivare sia da affermazioni ambigue o false, sia dall’omissione di
informazioni necessarie per valutare in modo completo l’offerta.
Nella valutazione dell’ingannevolezza del messaggio pubblicitario devono essere considerati diversi
elementi, con particolare riferimento alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura,
l’esecuzione, la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l’idoneità allo scopo, gli
usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere con il loro
uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi; al prezzo o al
modo in cui questo viene calcolato, ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi vengono forniti; alla categoria,
alle qualifiche e ai diritti dell’operatore pubblicitario, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà
intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o riconoscimenti.
La pubblicità, inoltre, come già sottolineato in precedenza deve essere chiaramente riconoscibile come
tale, essendo vietata ogni forma di pubblicità subliminale. Pertanto, in particolare nella pubblicità a mezzo
stampa, deve essere distinguibile da altre forme di comunicazione al pubblico, “con modalità grafiche di evidente
percezione”. Sussiste, quindi, un generale obbligo di evidenziare in maniera trasparente quando lo scopo della
comunicazione è pubblicitario e non informativo. Un’altra forma insidiosa di pubblicità non trasparente è quella
che, in termini tecnici, viene chiamata product placement. Consiste nello sfruttare l’immagine insistita o la ripetuta
citazione di un prodotto o di un marchio, senza un particolare motivo, durante una trasmissione o un film che
non ha scopi pubblicitari.
La pubblicità comparativa è quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa
promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti. Tali concorrenti possono
essere individuati genericamente o invece specificamente. Nel primo caso si parla di pubblicità comparativa
indiretta. Ad esempio, chi attribuisce al proprio prodotto pregi unici implicitamente afferma che tali pregi non
sono posseduti da tutti i prodotti concorrenti. Nel secondo caso si parla, invece, di pubblicità comparativa
diretta. Qui i concorrenti sono resi riconoscibili o mediante citazione espressa della loro denominazione o del
loro marchio, ovvero mediante l’indicazione di elementi che li rendano inequivocabilmente riconoscibili. Il
confronto, ovviamente, può essere espresso a parole, ma anche attraverso immagini in grado di ottenere, spesso
in modo più efficace, il medesimo risultato. La pubblicità comparativa diretta, se da un lato ha tradizionalmente
suscitato la preoccupazione di molte imprese, perché la sua natura aggressiva alza i costi della battaglia
concorrenziale, dall’altro, se condotta correttamente, rappresenta uno strumento informativo fondamentale a
disposizione dei consumatori, in quanto incrementa la trasparenza del mercato; ciascun produttore può
valorizzare quei pregi che rendono superiore il suo prodotto rispetto a quelli degli altri, accreditandosi così presso
il pubblico dei consumatori che potrebbe decretarne il successo.
E’ necessario, quindi, determinare a quali condizioni la pubblicità comparativa è lecita. Tali requisiti, che
devono essere tutti rispettati, sono ora elencati all’art. 3 bis del D.lgs. n. 74/92. In particolare, la pubblicità
comparativa è lecita se, oltre a non essere ingannevole, confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o
si propongono gli stessi obiettivi; confronta oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti,
verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi; non ingenera confusione
sul mercato fra operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri
segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente; non causa discredito o
denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un
concorrente. Un’ulteriore regola riguarda i raffronti che fanno riferimento a offerte speciali: in essi devono essere
indicati in modo chiaro e non equivoco il termine finale dell’offerta oppure, nel caso in cui l’offerta speciale non
sia ancora cominciata, la data di inizio del periodo nel corso del quale si applicano il prezzo speciale o altre
condizioni particolari o, se del caso, che l’offerta speciale dipende dalla disponibilità dei beni e servizi.
I concorrenti, i consumatori, le loro associazioni ed organizzazioni, il Ministro dell’industria, del
commercio e dell’artigianato, nonché ogni altra pubblica amministrazione che ne abbia interesse in relazione ai
4
propri compiti istituzionali, anche su denuncia del pubblico, possono chiedere all’Autorità garante che siano
inibiti gli atti di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa ritenuta illecita, la loro continuazione e che ne
siano eliminati gli effetti. In tale ambito, quindi, a differenza di quanto avviene nel settore della concorrenza,
l’Autorità non può agire autonomamente per l’individuazione e la repressione della pubblicità ingannevole. Le
denunce presentate all’organismo di controllo devono essere predisposte secondo le modalità e con i contenuti
esplicitamente individuati dal D.P.R. 11 luglio 2003, n. 284, “Regolamento recante norme sulle procedure istruttorie
dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di pubblicità ingannevole e comparativa”, che ha sostituito il
D.P.R. 10 ottobre 1996, n. 627. Se la segnalazione pervenuta non è manifestamente infondata il responsabile del
procedimento, individuato nell'unità organizzativa competente per materia, istituita ai sensi dell'art. 10, comma 6,
della L. 10 ottobre 1990, n. 287, comunica l'avvio del procedimento al committente del messaggio pubblicitario e,
se conosciuto, al suo autore, nonché al richiedente. Quando il committente non è conosciuto, il responsabile del
procedimento fissa un termine al proprietario del mezzo perché fornisca ogni informazione idonea ad
identificarlo ovvero rivolge analoga richiesta a qualunque soggetto, pubblico o privato, che possa fornirla.
L'Autorità, in caso di particolare urgenza, può disporre, con atto motivato, la sospensione della pubblicità
ritenuta ingannevole o della pubblicità comparativa ritenuta illecita. I soggetti portatori di interessi pubblici o
privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati cui può derivare un pregiudizio
dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento in corso e possono anche accedere agli atti
dello stesso. La Direzione competente, inoltre, provvede ad assegnare un termine, di solito di 15 giorni, entro il
quale possono essere presentate memorie da parte dei soggetti interessati. L’Autorità può richiedere che sia
l’operatore pubblicitario a fornire la prova della veridicità delle affermazioni contenute nel messaggio da lui
diffuso. A tale mezzo si ricorre quando la pubblicità comunica informazioni che l’operatore pubblicitario
dovrebbe conoscere. In questo caso, il silenzio o l’invio di prove insufficienti fa presumere l’inesattezza dei dati
contenuti nel messaggio. Il responsabile del procedimento, per valutare correttamente gli elementi istruttori, può
disporre che le parti siano sentite in apposite audizioni nel rispetto del principio del contraddittorio. L'Autorità,
inoltre, può disporre perizie e consulenze, operazioni di cui è data comunicazione alle parti del procedimento, in
modo tale che questi possano esercitare la facoltà di avvalersi di un loro consulente; questi può assistere alle
operazioni svolte dal consulente dell'Autorità e presentare scritti e documenti in cui svolgere osservazioni sui
risultati delle indagini tecniche.
Il responsabile del procedimento, allorché ritenga sufficientemente istruita la pratica, comunica alle parti
la data di conclusione della fase istruttoria e indica loro un termine, non inferiore a dieci giorni, entro cui esse
possono presentare memorie conclusive o documenti. Il procedimento deve concludersi nel termine di
settantacinque giorni, decorrenti dalla data di ricevimento della richiesta o dall'individuazione del committente nel
caso in cui questo non sia conosciuto 5.
Al termine della fase istruttoria, il responsabile del procedimento rimette gli atti all'Autorità per
l'adozione del provvedimento finale. Quando il messaggio pubblicitario è stato o deve essere diffuso attraverso la
stampa periodica o quotidiana ovvero per via radiofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione,
l’Autorità Garante, prima di provvedere, richiede il parere all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni comunica il proprio parere entro trenta giorni dal ricevimento
della richiesta ed in caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere o senza che l'Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni abbia rappresentato esigenze istruttorie, l'Autorità garante della concorrenza e
del mercato procede indipendentemente dall'acquisizione del parere stesso.
Se, con la decisione finale, l’Autorità ritiene la pubblicità esaminata ingannevole o la pubblicità
comparativa non conforme alle condizioni in precedenza elencate, ordina che ne sia impedita o interrotta la
diffusione. Il provvedimento di ingannevolezza o di illiceità della pubblicità comparativa viene pubblicato sul
Bollettino settimanale dell’Autorità. L'Autorità, con il provvedimento con cui dichiara l'ingannevolezza della
pubblicità o l'illiceità della pubblicità comparativa può disporre la pubblicazione della pronuncia, integralmente o
per estratto, ovvero di una dichiarazione rettificativa, a cura e a spese dell'operatore pubblicitario. Questo perchè
non sempre la semplice cessazione della diffusione dei messaggi ingannevoli o comparativi illeciti annulla gli
effetti della pubblicità, specie nei casi in cui l’ingannevolezza del messaggio o i profili di illiceità della
comparazione siano particolarmente insidiosi e, dunque, suscettibili di permanere nel ricordo del consumatore,
così da indurlo, anche in un secondo tempo, ad acquistare quel prodotto. L’operatore pubblicitario che non
ottempera ai provvedimenti d’urgenza o a quelli inibitori o di rimozione degli effetti adottati con la decisione che
Il termine è prorogato una sola volta di novanta giorni quando:
a)
siano
disposte
perizie
o
consulenze
ovvero
siano
richieste
informazioni
o
documenti;
b) l'Autorità richieda all'operatore pubblicitario del decreto legislativo di fornire prove sull'esattezza materiale dei dati di fatto
contenuti nella pubblicità. Il termine è prorogato di centottanta giorni nel caso in cui l'operatore pubblicitario sia residente,
domiciliato od abbia sede all'estero.
5
5
definisce il ricorso è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda fino a lire cinque milioni. Come avviene
nell’ambito della concorrenza, i ricorsi avverso le decisioni definitive adottate dall’Autorità rientrano nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.6
Dott. Nicola Monfreda
Ufficiale Guardia di finanza
È comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario, in materia di atti di concorrenza sleale, a norma dell’art. 2598
del codice civile nonché per quanto concerne la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della
disciplina sul diritto d’autore protetto dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni e del marchio d’impresa
protetto a norma del RD 21 giugno 1942, n.929, e successive modificazioni, nonché delle denominazioni di origine
riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti.
6
6