- Centro di Solidarietà di Genova

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L’ABBRACCIO
42
Rivista trimestrale
di informazione
del Centro
Solidarietà Genova
16126 Genova - Via Asilo Garbarino, 9/B
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Direttore Responsabile: Silvano Balestreri
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N. 42 • 4° Trimestre 2005 - N. 4 del 2005
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Autorizzazione Tribunale di Genova 26/94
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postale - D.L 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 N° 46)
art 1 comma 1, DCB Genova
Buone Feste
“Perché non fare
di tutti i giorni della mia vita
un’unica opera d’amore?”
Raul Follereau
L’ABBRACCIO Dove possiamo incontrarci a Genova
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In questa sede sono offerti i seguenti servizi:
Casa di Accoglienza per tossicodipendenti
“Casabella”, Casa alloggio “La Tartaruga” per
persone malate di Aids, progetti “Odissea
2000” “Castore e Polluce” ed “Euphòria”, servizi di Prevenzione ed Auto Aiuto, direzione e
uffici.
Salita Cà dei Trenta, 28 - 16159 Genova Rivarolo
Comunità Terapeutica Riabilitativa, Comunità di
Reinserimento Sociale, Comunità semiresidenziale
e residenziale di Accoglienza, Tel. 010.7404474
Direttore responsabile
Silvano Balestreri
Caporedattore
Ramon Fresta
In redazione
Aldo Castello
La copertina è di
Luzzati
Disegni
Luzzati, Piccardo e Reginaldo
Foto
Giorgio Raffo,
Foto Flash per Fronda d’Oro 2005
Hanno collaborato
Donatella Giacalone, Ezio Lazzari,
Giovanni Lizzio, Giuliano Ortolani,
Claudio Renzetti,
Piergiorgio Semboloni,
Anna Valbusa
Direzione e redazione
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La nostra filosofia
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Periodico associato USPI
• BELLUNO
iamo qui perché non c’è alcun
rifugio dove nasconderci da noi
stessi.
S
• TRENTO
• VARESE
VICENZA • TREVISO
•
• IVREA
• VERONA
• VENEZIA
• MILANO • CREMONA
• PADOVA
• PIACENZA
• TORINO •
•
MANTOVA
VERCELLI • PARMA
• REGGIO EMILIA
• MODENA
• BOLOGNA
• RAVENNA
• AOSTA
Fino a quando una persona non confronta se stessa negli occhi e nei
cuori degli altri, scappa.
• GENOVA
Chi siamo
Dove siamo
• SANREMO
• LA SPEZIA • PISTOIA
• PRATO
• FIRENZE
Fino a che non permette loro di condividere i suoi segreti, non ha scampo da questi.
• AREZZO
• JESI
• MUCCIA
• SPOLETO
Timoroso di essere conosciuto né
può conoscere se stesso né gli altri,
sarà solo.
• ALBA ADRIATICA
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16126 Genova
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Presidente
• BARI
• AVELLINO
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Direttore Generale
• CAGLIARI
E-mail:
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http://www.csgenova.org
• COSENZA
• CATANZARO
Federazione Italiana Comunità
Terapeutiche
Tel. 06.66.16.66.68
Via Bravetta, 365
00164 Roma
Presidente Egidio Smacchia
2
• MESSINA
• REGGIO CALABRIA
• CATANIA
Dove altro se non nei nostri punti
comuni possiamo trovare un tale
specchio?
Qui insieme una persona può alla
fine manifestarsi chiaramente a se
stessa non come il gigante dei suoi
sogni né il nano delle sue paure, ma
come un uomo parte di un tutto con
il suo contributo da offrire.
Su questo terreno noi possiamo tutti
mettere radici e crescere non più soli
come nella morte, ma vivi a noi stessi e agli altri.
L’ABBRACCIO
L’EDITORIALE
La nostra missione per l’anno nuovo
dare una risposta a quanti soffrono
di Bianca Costa Bozzo*
C’
è un tempo di attesa per tutto
ciò che è nuovo, c’è il timore per
la realtà che ogni giorno si ripropone sotto aspetti diversi, c’è il
dolore del cuore di coloro che ci
sf idano -per non usare il verbo
“gridano”- con la loro sofferenza.
Sento l’inquietudine dei giovani
che spesso non sanno dove andare,
scoraggiati anche da una società
che talvolta non riesce a testimoniare, a trasmettere f iducia nel
domani.
Rifletto sul Tema Pastorale di quest’anno: la Missione. Il termine mi
rimanda subito con il pensiero ai
paesi cosiddetti del “terzo
mondo”, in cui spesso manca
qualsiasi segno di civiltà e in cui i
diritti umani non sono conosciuti.
Continuo a riflettere e a pensare
come si può fare “Missione” alle
soglie del 2006, nella nostra città di
Genova che, rispetto ai paesi citati,
è sicuramente civilizzata e più
attenta ai diritti dei suoi cittadini.
Io credo che la vera Missione, per
noi laici, consista nell’essere
annunciatori di pace, nella
costruzione di certi valori e nell’impegno concreto di comunione
fraterna. Nell’essere testimoni,
attraverso il nostro servizio nei
confronti di chi è in diff icoltà,
anche con semplicità, iniziando
dalle piccole cose. Nell’essere
presenti, aprendoci al dialogo e
all’ascolto.
Obiettivo non facile da conseguire
perché durante il nostro quotidiano
siamo distratti da tanti avvenimenti, da numerose preoccupazioni
(piccole e grandi), siamo frastorna-
più bisogno della Chiesa, delle Istituzioni, della professionalità degli
Operatori e della presenza efficace
dei Volontari. Vorremmo avere
ancora tante persone nuove che ci
aiutino materialmente e moralmente a sostegno di questa nostra opera.
Abbiamo progetti inediti per il
2006 e soprattutto ancora tanto
entusiasmo!!!
Vi auguro un Buon Natale! E con
“buon” intendo che ognuno di noi
possa fare del bene e possa riceverne altrettanto.
Vi auguro, infine, un sereno 2006,
che lo sia davvero, anche per i
vostri cari.
ti dalle immagini, dalla pubblicità,
dai rumori assordanti, corriamo
sempre e a f ine giornata siamo
stanchi e non siamo disposti a sentire più nulla che possa turbare la
nostra serata. Non credo che in
questo agire ci sia solo dell’egoismo, ritengo piuttosto ci sia il sano
desiderio di sopravvivere.
Nonostante i miei 77 anni, ho
ancora tanto da imparare, devo *Presidente Centro di Solidarietà di
ancora “crescere” e sensibilizzar- Genova
mi sempre più per
entrare in sintonia
con coloro che
hanno bisogno di
aiuto, liberandomi
da difese a volte
inutili e talora inadeguate.
Eminenza, la ringraziamo perché
anche quest’anno,
con il Tema Pastorale, Lei ci invita a
riflettere.
La prego di ricordarsi di noi nelle
Sue preghiere, perché il Signore
possa aiutare me e
i miei collaboratori
ad andare avanti
nella nostra Missione quotidiana.
Sta finendo il 2005:
come Centro di
Solidarietà abbiamo fatto tanto,
forse avremmo
potuto fare molto
altro ancora.
Abbiamo sempre Bianca Costa Bozzo, Presidente del Centro di Solidarietà di Genova
3
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
Doppia diagnosi e comunità terapeutica
l’esperienza Castore e Polluce
di Ramon Fresta
I
l Centro di Solidarietà di
Genova, a partire dal 1999, ha attivato un servizio rivolto ad utenti
maggiorenni, di ambo i sessi, che
oltre ad essere dipendenti da
sostanze hanno la necessità di ricevere assistenza psichiatrica, soggetti che vengono comunemente
definiti con “Doppia Diagnosi”.
Dalla nascita delle Comunità Terapeutiche ad oggi ci si è resi conto
che il tossicodipendente era parallelamente affetto da altri disturbi di
natura psicopatologica, quali ansia,
depressione, disturbi dell’umore e
di personalità. Molti studi diagnostici condotti sulle persone inserite
nelle Comunità hanno fatto emergere che più del 40% ha questo
tipo di problemi. Questi soggetti
tendono più degli altri ad agire in
modo auto ed etero-distruttivo e
arrivano ad interrompere i percorsi
riabilitativi, con conseguenti ricadute sociali negative.
Questo quadro di fondo è stato
l’in-put iniziale per lo studio e la
realizzazione del servizio, seguendo quella che è sempre stata una
delle peculiarità che Bianca Costa
ha voluto per il Centro di Solidarietà: attenzione al territorio, al
mutamento dei suoi bisogni per
dare risposte concrete ed efficaci
alle sofferenze dei suoi abitanti.
I
ale servizio, nato come progetto sperimentale grazie al finanziamento del fondo lotta alla
droga istituito dal D.P.R. 309/90,
si è in seguito trasformato in una
comunità residenziale chiamata
“Castore e Polluce”.
Il Progetto comprende sostegno
psicologico e psichiatrico, intervento educativo-comportamentale,
cure infermieristiche, intervento
familiare e lavoro di rete.
L’obiettivo che ci si pref igge è
quello di accompagnare la persona
verso l’inclusione sociale, anche
attraverso il passaggio in “appartamenti protetti” affinché la strada
verso l’autonomia sia graduale e
monitorata costantemente.
L’équipe che segue la comunità di
Castore e Polluce è composta da
un Responsabile, da Educatori professionali e Medici psichiatri, da
uno Psicologo e da Infermieri professionali. Si avvale delle consulenze di un responsabile sanitario,
di un legale e di un supervisore.
Dopo cinque anni di lavoro il Centro ha sentito la necessità di condividere dati ed esperienza con quelli
di altre realtà nazionali e regionali.
Da qui l’origine del convegno:
DOPPIA DIAGNOSI E COMUNITA’ TERAPEUTICA - l’esperienza “Castore e Polluce” del
Centro di Solidarietà di Genova.
Una storica azienda genovese si rinnova e propone la sua gamma
di prodotti di alto livello qualitativo
corredata dalla certificazione della qualità ISO 9002.
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L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
L’incontro ha avuto luogo Venerdì
28 ottobre 2005 nella magnifica
Sala del Capitano di palazzo San
Giorgio che l’Autorità Portuale
genovese ha messo a disposizione
gratuitamente.
Dopo i saluti delle autorità: il
“padrone di casa” Giovanni Novi,
il Presidente della regione Claudio Burlando e gli Assessori Veardo e Torti per il Comune e la
Provincia, la Presidente del Centro -Bianca Costa- ha aperto i
lavori, durati tutto il giorno, lavori
che sono stati seguiti da una foltissima ed attenta platea di operatori del settore.
Le diverse relazioni hanno sviluppato il discorso su diverse direttrici e prendendo in esame la
situazione non solo ligure.
Il Dr. Bignamini, direttore dell’U.O. patologie delle Dipendenze
della ASL 3 di Torino, nella sua
relazione ha messo in luce come il
contenitore della doppia diagnosi
corra il rischio di diventare il rifugio di tutte quelle situazioni di difficile comprensione e gestione; da
qui la sottolineatura di una diagnosi chiara come strumento per
l’operatività. Ha trattato anche
della rete di relazioni -”i nodi”che sussistono tra organizzazione,
paziente e terapeuta.
Il Dr. Renzetti, sociologo clinico
con grande esperienza di formatore
e supervisore in molte realtà di
diverse regioni, ha sviluppato maggiormente il tema del punto di vista
sociale sulla doppia diagnosi.
È partito dal mutamento dello scenario del mondo della tossicodipendenza: attualmente la realtà è
caratterizzata “da poliassuntori a
dominio di cocaine”. Ha evidenziato come tale fenomeno sia strettamente legato allo stile di vita della
società del duemila che rincorre “la
prestazione” in ogni campo (sia
lavorativo che nel tempo libero).
Ha terminato dicendo che non può
bastare il ricorso al DSM4 per definire il fenomeno, se non si esce da
quegli schemi si rischia di non
“vedere” alcuni fenomeni ed ha
sottolineato come -nel trattamentosia fondamentale considerare anche
il mondo dei valori che orienta la
nostra vita ed il nostro modo di
stare in mezzo agli altri.
La Dott.ssa Trogu, della AUSL 8
di Cagliari, parlando dell’integrazione psico-biologica dei trattamenti, ha riportato dati in cui si
osserva come sia trattamenti psicofarmacologici che psicoterapici
possano migliorare i risultati ottenibili dai pazienti portatori di
patologia psichiatrica.Ha mostrato
come, proprio sulla base di osservazioni di questo genere, abbia
preso piede la implementazione di
programmi integrati in grado di
rispondere a bisogni diversificati
di tipo sanitario e sociale che
spesso si accompagnano alle condizioni di grossa sofferenza psichica.
La Dott.ssa Peroni, coordinatrice
della “rete tematica Doppia Diagnosi” della FICT, ha illustrato
l’attività svolta f ino ad ora dal
gruppo che vede rappresentati 12
centri della Federazione. Ha riportato alcuni dati dell’utenza seguita
e si è soffermata sui valori ispiratori ed il mutato lavoro degli operatori che hanno dovuto imparare
a lavorare in equipes multidisciplinari. Ha terminato il suo intervento ricordando quello che ancora
resta da fare:una maggiore attenzione ai problemi legali, dei protocolli chiari per le ammissioni e le
dimissioni, la cura dell’aspetto
educativo e la raccolta dei dati.
Nelle relazioni riguardanti mag-
giormente la nostra regione, il Dr.
Semboloni -Coordinatore del
Dipartimento delle Dipendenze
della ASL 3 genovese- ha presentato il percorso che ha definito il
progetto di collaborazione tra
dipartimenti e unità operative intra
ed extraziendali per realizzare un
protocollo di intervento sui casi
definiti “doppia diagnosi”.
Le relazioni inerenti la comunità
Castore e Polluce, curate dai dottori Giacalone, Lazzari e Lizzio,
hanno evidenziato la metodologia
dell’intervento adottato all’interno
del servizio e l’organizzazione
dello stesso, inoltre -attraverso l’analisi di dati relativi all’utenza
trattata- è stato fornito un profilo
della persona che utilizza il nostro
servizio di “doppia diagnosi”:
maschio, età compresa tra i 30 e i
37 anni, in possesso di licenza
media, vive in casa con la famiglia, ha spesso precedenti penali
legati ad uno scarso controllo dell’impulsività e alla condotta tossicomanica; ha iniziato molto
giovane ad usare sostanze ma ha
anche avuto esperienze lavorative
seppur segnate da instabilità.
Nel tracciare la conclusione dei
lavori, il Dr. Guelfi -membro del
Comitato Scientifico del Centro di
Solidarietà- ha sottolineato l’importanza fondamentale del lavoro
di rete tra tutte le realtà che si
occupano di tale fenomeno: Salute
mentale, Dipartimento delle
Dipendenze,Comune e Privato
Sociale; altra necessità importantissima è quella di momenti di formazione comune tra tutti gli
operatori di queste realtà affinché
vi sia maggiore comprensione tra
le parti favorita da un linguaggio e
conoscenze comuni il tutto nell’interesse delle persone che vengono seguite.
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L’ABBRACCIO
1000 ABBONAMENTI PER IL CENTRO
• OLTRE 30 ANNI DI ATTIVITA’ SUL TERRITORIO
• 800 RAGAZZI PIENAMENTE REINSERITI NELLA SOCIETA’
• OLTRE 2000 FAMILIARI CONTATTATI NEGLI ULTIMI 10 ANNI
• PIU’ DI 100 RAGAZZI SEGUITI OGNI GIORNO DAI NOSTRI OPERATORI:
UNA COMUNITÀ TERAPEUTICA TRADIZIONALE
UNA COMUNITÀ PER DOPPIA DIAGNOSI
UNA CASA ALLOGGIO PER AIDS
DUE ACCOGLIENZE NOTTURNE A BASSA SOGLIA
UN CENTRO DIURNO PER ADOLESCENTI
E INOLTRE:
• ATTIVITÀ DI PREVENZIONE NELLE SCUOLE E SUL TERRITORIO
• VOLONTARIATO ATTIVO
• UNA BIBLIOTECA DEDICATA AL SOCIALE
Questi numeri illustrano le attività del Centro di Solidarietà di Genova, attività che necessitano di risorse adeguate per proseguire e ampliarsi
ulteriormente verso nuovi bisogni che il territorio ci prospetta. Per questo, caro amico, chiediamo anche il tuo
aiuto: ci siamo prefissi l’obiettivo di raccogliere
29
1000 abbonamenti all’Abbraccio per il 2006.
Ti chiediamo di rinnovare il tuo abbonamento e, se possibile, farne sottoscrivere altri: il tuo sostegno è
40
fondamentale per noi!
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Un convegno sull’occupazione femminile:
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abbonamento
“ordinario” € 25
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Abbiamo ipotizzato due
possibilità:
Per l’abbonamento si può
utilizzare il bollettino postale
pre-intestato che trovate allegato
alla rivista o fare un versamento sul
C.C. Postale N° 22030167
Intestato a:
Associazione Centro di Solidarietà
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
La ricetta del sociologo
contro la dipendenza:
riscoprire i valori della vita
a “doppia diagnosi” è un
fenomeno plurale, complesso, ma
soprattutto controverso, sia sul
piano trattamentale che dal punto
di vista diagnostico.
Qui non affronterò questioni di
carattere eziologico o clinico, ma
cercherò di leggere il fenomeno
all’interno di una cornice più
ampia, concedendomi -per brevità- una certa vaghezza.
Partirò da due domande per niente
scontate: in questi ultimi 10 anni è
cambiata la scena della tossicodipendenza? Possiamo continuare a
proporre pratiche consolidate verso
un target che nel corso del tempo è
rimasto sostanzialmente lo stesso?
Ho riguardato alcuni rapporti di
ricerca sugli stili di consumo dei
tossicodipendenti, sulla base di
dati relativi all’ultimo trimestre
2004 e al primo semestre 2005.
Sono realtà differenti che seguo
come supervisore.
Torino, Ivrea, Alessandria, Cremona, Brescia, Perugia, sono città di
dimensioni diverse ma tutte con
una presenza significativa di popolazione dipendenti da sostanze stupefacenti. Le ricerche che hanno
come ambito di indagine le Unità
di Strada -i “drop in center”- gli
spazi di somministrazione del
Metadone, sono ricerche che -in
media- hanno coinvolto il 20-30%
P
ERCHÉ È GIUSTO
PARLARE DI “COCAINE”,
AL PLURALE
di Claudio Renzetti*
L
singolare), si è modificata e anche
molto.
degli utilizzatori di questi servizi.
Ogni ricerca aveva una domanda
simile: “Quali sono le sostanze
che usi frequentemente?”.
Ecco la classifica (per ordine di
preferenze):
• EROINA+COCAINA
• EROINA+METADONE
+COCAINA
• EROINA+ALCOOL+COCAINA
• COCAINA+METADONE
+PSICOFARMACI
• EROINA+METADONE
+COCAINA+ALCOOL
+PSICOFARMACI
• ALCOOL+EROINA
+CANNABIS+METADONE
T
ornando ai quesiti di partenza, la mia tesi è questa: la scena
della tossicodipendenza è cambiata ed è caratterizzata da poliasuntori a dominio di cocaine. E
questo ha una rilevanza qualitativa
e quantitativa che impone nuove
pratiche.
Non sto parlando solo del mondo
della notte - fenomeno proteiforme
dentro il quale c’è un consumo statisticamente rilevante di sostanze
illegali (eccitanti, dispercettive,
depressive) e legali. Dico solo che
la che la tossicodipendenza, intesa
come insieme di fenomeni patologici (declinati al plurale e non al
A mio parere, siamo di fronte a
un’offerta inedita, per quantità e
varietà, di sostanze connotate con
questo nome: sostanze che mimano, ma non sempre, gli effetti eccitanti/stimolanti della “cocaina”.
Con questo nome vengono vendute/acquistate dosi diverse per
taglio -principio attivo- modalità
di assunzione. A volte c’è una
stessa connotazione nominale ma
non una corrispondenza farmacocinetica.
Le Cocaine sono apprezzate
come: sostanze “diurne” (droghe
da lavoro, da prestazione); sostanze “notturne” (droghe ricreazionali per il piacere e il tempo libero);
sostanze “transtemporali” (droghe
usate non tanto in rapporto ad una
scansione temporale e con un fine
performativo, ma adottate con un
fine “compensativo”).
P
ERCHÉ PARLARE
DI POLICONSUMI?
Oggi il policonsumo rappresenta
lo stile dominante. Siamo passati
da un percorso lineare verso la
dipendenza (alla ricerca della
sostanza top/elettiva, con le altre
sostanze in una funzione di contorno) ad un percorso combinatorio. È la lezione di J. Stein rivista e
corretta: “La cocaina e l’eroina
7
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria
Giovanni Novi, presidente dell’Autorità portuale
non sono più quelle di una volta.
Allora, credi a me, mescola perché
non esiste la droga ideale”.
Con “Policonsumo” si intende
un’associazione (sequenziale o
contemporanea) di farmaci legali e
illegali, prescritti e auto-prescritti.
Da notare bene che la sfida delle
grandi case farmaceutiche è tutta
proiettata sulle biotecnologie (un
fatturato di 37 miliardi di dollari
anno), cioè sulla capacità di personalizzare i trattamenti adattandoli
alle caratteristiche dei singoli
pazienti. Questa innovazione rivoluzionaria assume una forma
mista, un mix tra arte e ingegneria.
Ma oggi si va affermando anche
una tendenza “povera” al consumo
personalizzato di droghe: non si
interviene (ancora?) sui singoli farmaci per equilibrarli in relazione
alla caratteristiche genetiche degli
assuntori e alle loro attese/preferenze, ma c’è un consumo che sperimenta diverse combinazioni.
Q
UALI SONO I CRITERI
DI ASSUNZIONE?
Angelo Giulio Torti, assessore della Provincia
Paolo Veardo, assessore del Comune di Genova
8
Si possono osservare almeno due
condotte:
1) autoregolamentazione, una
forma di autocontrollo da consumatori esperti, per potenziare progressivamente un effetto desiderato
secondo un approccio che definisco “uso performativo”, che segue
un criterio con andamento esponenziale: coca+amfetamina, oppure
metadone+alcol, ecc.), chiamo
questo approccio; oppure per equilibrare/compensare effetti di segno
diverso, secondo un approccio che
definisco “uso compensativo” e un
criterio mediatore: metadone+
cocaina, oppure cocaina+alcol,
oppure cocaina+eroina, ecc.
2) occasionalità, un consumo
apparentemente disordinato e non
programmato: random. Solo alla
fine della giornata il soggetto può
fare un bilancio di quello che ha
consumato in rapporto alle occasioni avute. Se una volta erano i
tossicodipendenti a dire cosa assumevano (dichiarando preferenze
predeterminate) ora questo lo si
scopre solo con gli esami Tossicologici (“pensavo di consumare
Cocaina, ma non saliva. Poi il
medico mi ha spiegato che era
eroina”).
I
PROBLEMI LEGATI
ALLE COMBINAZIONI DOMINATE DALLE “COCAINE”
• Peggioramento del quadro sanitario (fuori vena, flebiti, ecc.)
• Disturbi mentali latenti che vengono evidenziati
• Maggiore inclinazione a delinquere
• Siero conversioni, MTS e HIV+
• Bassa adesione ai trattamenti
• Indisponibilità di farmaci anti
over
• Relazioni difficili con i pazienti
Le patologie mentali (già latenti o
innestate/favorite dal mix di
sostanze) sono prevalentemente i
disturbi dell’umore e i disturbi
della personalità. E qui mi fermo
perché non voglio rubare il
mestiere ad altri che hanno una
competenza maggiore della mia.
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
L
A DOPPIA DIAGNOSI,
NUOVO EFFETTO
DEL DISAGIO
Dopo questa prima analisi, desidero soffermarmi su un interrogativo
ricorrente: esiste un “punto di
vista sociale” che ci aiuti a comprendere meglio la particolarità
del fenomeno che stiamo trattando? Possiamo dire che le osservazioni sui casi di doppia diagnosi
mettono in luce caratteristiche che
sono proprie della nostra contemporaneità?
Oppure, rovesciando il ragionamento, possiamo supporre che l’analisi di alcune variabili culturali e
valoriali della nostra civiltà ci aiutino a capire gli attuali fenomeni
di adiction e i disturbi psichici ad
essi associati? Questa è una scommessa desiderabile, vediamo in
che misura è anche possibile.
Se la scena della tossicodipendenza è cambiata con i policonsumi
diffusi e con l’entrata dirompente
delle cocaine, dobbiamo formulare delle ipotesi interpretative.
Possiamo dire che “è tutta colpa
del mercato”? Grande varietà di
offerta a prezzi accessibili: è tutto
lì il punto? Non mi piacciono le
risposte uniche e non mi piace la
parola “colpa”, ma certamente il
mercato ha il suo peso. Il mercato
plasma il consumatore, ma è
anche vero che il consumo viene
alimentato da una domanda che
nel tempo si consolida come
“bisogno sociale”. E questo bisogno sociale viene sostenuto (in
maniera circolare) da credenze,
valori, simboli, stili di vita, ecc.
Proverò a spiegare meglio il mio
punto di vista, sperando che qualcuno lo corregga o lo migliori.
Pensate alle sollecitazioni pubblicitarie che scandiscono la nostra
quotidianità.
Voglio ricordarvi solo alcuni slogan:
“A cosa serve un conf ine? Ad
essere superato” (TIM)
“Il futuro non è un luogo da scoprire ma un’emozione da provare”
(GRUNDING)
“Impossibile non è un fatto ma
un’opinione” (ADIDAS)
“Vodafone - e tutto ruota intorno a
te!” (VODAFONE)
“Non sai mai da dove arriverà il
tuo prossimo concorrente: go on be a tiger” (un’agenzia di consulenza aziendale)
Si, certo, sono tra loro diversi ma
c’è un filo comune che li lega.
Questi messaggi non solo promuovono un prodotto, ma descrivono
un consumatore: decisamente in
affanno, continuamente in gara,
disperatamente incerto, irrimediabilmente vulnerabile.
Se non hai Vodafone non sei nessuno - sei lontano dal centro e
resti alla periferia del mondo.
Se non sei TIM rimani dentro il
perimetro dell’ovvio, del già noto,
del banale e non puoi guardare
cosa c’è oltre il confine.
Queste sollecitazioni segnano una
contraddizione: da una parte
siamo di fronte ad un’offerta inedita di opportunità, dall’altra
avvertiamo dolenti le nostre ridotte capacità di accesso.
Per quanti sforzi io faccia mormoriamo dentro di noi: “Non riuscirò
mai ad ottenere tutto quello che
mi sta davanti”. Per quanti tentativi metto in atto, non riuscirò mai a
fare tutto quello che sollecita il
mio desiderio. Quello che ho non
mi basta e ciò che desidero non
posso averlo. Quando questa consapevolezza diventa lacerante, e
non sappiamo convivere con essa
abbassando le nostre aspettative,
allora le sostanze psicoattive restano un rimedio formidabile.
Il tavolo dei relatori: Mauro Palumbo (da sinistra), Tarcisio Mazzeo, don Franco Martini, Luigi Ferannini
9
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
Monsignor Franco Anfossi, responsabile Caritas
Palazzo San Giorgio, dove si è svolto il convegno
10
Come scrive Franzen (“Le Correzioni”, Einaudi): “Le droghe sono
sexy perché offrono la possibilità
di diventare qualcun altro”, dunque di moltiplicare la nostra soggettività ampliando le capacità
percettive, emozionali, cognitive.
Le droghe ci aiutano ad Essere
ovunque ma non qui - né ora.
Di fronte alle sfide della contemporaneità molti considerano due
alternative (che spesso non sono
antagoniste ma complementari): ci
si può drogare, un rimedio formidabile perché favorisce una chiusura protettiva verso un mondo ostile,
le droghe (come l’eroina) anestetizzano i dilemmi dell’esistenza,
oppure possiamo doparci potenziando artificialmente le nostre
capacità sensoriali e comportamentali. Con le cocaine, il viagra, le
metanfetamine, l’EPO e tutto ciò
che mi fa sentire imbattibile.
Abbiamo rimedi per la memoria,
per dimagrire, dormire, svegliarci,
per rendere di più sul lavoro o al
letto. Sostanze illegali e prodotti
farmaceutici fanno a gara per
ricordarci: non solo che non c’è
festa senza alcol (“No Martini, no
party”) ma radicalmente “No
drugs, no future”.
“La strada farmacologica per l’incremento delle prestazioni lavorative e per il gioioso rilassato
godimento del tempo libero non si
presenta priva di rischi…
Tuttavia, per non finire dalla parte
dei perdenti, chi vuole stare al
passo con la velocità delle macchine e dei processori, deve essere
disposto ad adattarsi con tutti i
mezzi disponibili, mettendo in
conto i rischi”.
Dunque: “L’uso di sostanze che
danno assuefazione aumenterà nel
senso di una prescrizione sociale,
cioè per migliorare il proprio rapporto con le richieste della quotidianità” (Gunter Amendt p. 19-41).
Ecco, penso che i disturbi dell’umore (il binomio ansia/depressione)
e i disturbi della personalità (rifiuto
della propria incerta/angusta identità) associati alle sostanze di addiction hanno a che fare con tutto
questo, con la ricerca di contenere
la consapevolezza di un sé mancante, di un soggetto claudicante che
arranca verso traguardi che si spostano continuamente in avanti.
A
LCUNE
RACCOMANDAZIONI
Ragionando di droghe e di salute
mentale non possiamo prescindere
dagli stili di vita e dai modelli culturali che li orientano e prescrivono.
Ragionando di doppia diagnosi
mettiamo da parte il DSM 4 e altri
manuali perché se utilizziamo solo
quelle lenti di lettura rischiamo di
non vedere fenomeni inediti,
spuri, sottotraccia.
Non possiamo occuparci di trattamento se non riconsideriamo l’adeguatezza delle nostre pratiche ai
mutamenti della scena della tossicodipedenza.
Non possiamo occuparci di trattamento se non affrontiamo - come
azione non solo preventiva ma
“pervasiva” - questioni che riguardano l’etica, ovvero la lista dei
valori che governano la nostra vita
e i nostri modelli di convivenza.
* Sociologo clinico
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
Come trattare i pazienti
con dipendenze e psicopatologie
di Ezio Lazzari, Donatella Giacalone e Anna Valbusa
I
l Progetto Castore Polluce
nasce dall’individuazione che più
del 50% dei tossicodipendenti presenti presso le Comunità “Tradizionali” presentano anche una
patologia psichiatrica, il che ha
fatto pertanto emergere con chiarezza che questi soggetti tendono
più degli altri ad agire in modo
auto ed etero distruttivo e tendono
ad interrompere i diversi percorsi
riabilitativi intrapresi, con conseguenti ricadute nel contesto sociale. Il paziente inserito nel progetto
di Doppia Diagnosi, oltre alla problematica relativa all’uso di
sostanze, presenta, quindi, un quadro psicopatologico: ansia, depressione, disturbi dell’umore, di
personalità, con significative difficoltà nella costruzione di relazioni
efficaci e, in generale, nella socializzazione.
Il dibattito scientifico sul termine
“Doppia Diagnosi” si presenta
vivace nel tentativo di darne una
definizione univoca. Noi ci riferiamo alla termine “diagnosi duale”
attribuito dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità nel 1995,
che recita: «coesistenza nel medesimo individuo di un disturbo
dovuto al consumo di sostanze
psicoattive e di un altro disturbo
psichiatrico».
Da qui la decisione, da parte del
Centro di Solidarietà di Genova, di
dare vita a partire dal 1999 al Progetto “Castore e Polluce” - istitu-
zionalmente definito Doppia Diagnosi - per utenti maggiorenni, di
ambo i sessi, interessati da dipendenza da sostanze con comorbilità
psichiatrica.
I
l trattamento degli utenti
“Doppia Diagnosi”
I punti fondamentali nel trattamento
degli utenti “doppia diagnosi” si
focalizzano nel: lavoro sul comportamento, che si traduce nel trasmettere al paziente il prendersi cura del
proprio spazio/ambiente fisico/cura
del sé come punto di partenza per
poter agire, ove possibile, un cambiamento più profondo e sul contenimento del disagio psichico, che
consiste nell’accettazione delle
regole di vita comunitaria e il
rispetto dei tempi di cura per impostare un efficace percorso riabilitativo, modif icare le scelte del
paziente rispetto alle condotte di
abuso e acquisire una consapevolezza del proprio trattamento psichiatrico e dei suoi funzionamenti;
la presa in carico familiare, offrendo sostegno e informazione, completa e definisce l’approccio sociale
che connota il Progetto Uomo.
Il Progetto offre i propri servizi ad
utenti uomini e donne con problemi di dipendenza da sostanze
(alcool, eroina, cocaina, nuove
droghe) ed in presenza di sofferenze psicologiche e/o patologie psichiatriche con una severità che
consenta comunque la realizzazione di un percorso f inalizzato
all’autonomia funzionale della persona e ad una sua conclusione del
percorso terapeutico intrapreso.
Il percorso comunitario all’interno
della struttura “Castore e Polluce”
si articola in quattro fasi:
Fase 0: Valutazione diagnostica
La fase preliminare all’inserimento dell’utente in struttura comprende una serie di colloqui di
conoscenza finalizzati alla definizione di un potenziale percorso
terapeutico che prevede: la segnalazione da parte del Servizio pub-
I relatori: Donatella Giacalone (da sinistra), Ezio Lazzari, Pippo Rossetti, Giovanni Lizzio, Donatella Peroni
11
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
blico di riferimento (SerT e SSM),
i colloqui individuali (eventualmente anche con i familiari disponibili) con lo psichiatra della
struttura e con l’operatore, l’individuazione in sinergia con il Servizio inviante degli elementi
essenziali sui quali risulterà necessario intervenire durante il programma terapeutico riabilitativo,
inf ine il confronto sul caso in
équipe diagnostica.
Fase 1: Osservazione e diagnosi
La fase diagnostica ha una durata
che varia da 1 a 3 mesi, in regime
residenziale e si pone i seguenti
obiettivi: eventuale disintossicazione da terapie sostitutive, inquadramento diagnostico attraverso la
somministrazione di questionari
psicodiagnostica (CBA, ASI,
SCID I e II), scelta e definizione
del contratto terapeutico con l’utente e la famiglia. Il contratto in
tutte le fasi è stipulato dagli operatori del progetto in accordo con
l’utente e gli operatori del Servizio Pubblico.
Fase 2: Percorso comunitario
In fase progettuale i tempi variano
da un minimo di sei mesi ad un
massimo di dodici mesi. Tale
periodo può naturalmente subire
delle variazioni a seconda della
valutazione che l’équipe effettuerà
sull’andamento del percorso dell’utente.
Questa fase prevede un percorso
terapeutico individuale e di gruppo
e un coinvolgimento dell’utente
nelle attività riabilitative, lavorative e ricreative della struttura, che
si prefiggono di: contenere il disagio psichico dell’utente, stabilizzare la patologia psichiatrica e
12
Il grafico sintetizza l’importanza del lavoro in rete tra servizi, famiglia e comunità terapeutica
favorire la risoluzione della dipendenza da stupefacenti, ridurre il
danno da abuso di sostanze, educare al benessere, recuperare i legami
familiari ed amicali ed infine individuare percorsi di reinserimento.
Fase 3: Reinserimento
Durante il percorso verrà valutato
insieme all’utente ed al Servizio
Pubblico quale tipo di conclusione
del contratto terapeutico ipotizzare, quali gli obiettivi e che tipo di
rete socio assistenziale attivare per
sostenere l’utente nel suo percorso
di reinserimento sociale e lavorativo. In tale fase ci si propone di
favorire un’autonomia
funzionale e lavorativa, laddove
possibile, creando le condizioni per
un eventuale reinserimento in famiglia o nelle case alloggio del Progetto Mappe al fine di garantire
continuità nel processo riabilitativo
verso un’adeguata reinclusione
sociale. Ma cosa intendiamo per
Progetto “Mappe”? Il Centro di
Solidarietà di Genova ha attivato
nel secondo semestre del 2003 un
Progetto, denominato “MAPPE”,
consistente in alloggi protetti per
un’ utenza che inizia a sperimentarsi all’esterno della struttura, ma
necessita ancora di una fase di
sostegno intermedia alla completa
autonomia lavorativa ed abitativa.
Ogni alloggio può ospitare fino ad
un massimo di tre persone per una
permanenza massima di 12 mesi.
Durante tale periodo l’utente sarà
seguito da una équipe composta
da educatore, psichiatra, psicologo
e infermiera.
Tale intervento è una parte di un
insieme più vasto di contributi
teorici ed applicativi che hanno
caratterizzato questa importante
giornata di studi.
Il Convegno ha avuto l’obiettivo di
descrivere il fenomeno Doppia
Diagnosi dando voce sia all’operatività dei Servizi del territorio
nazionale sia alle impostazioni
teoriche sottostanti che tratteggiano il lavoro sul campo.
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
Il ruolo dei volontari per aiutare
a ricostruire rapporti e relazioni sociali
di Giovanni Lizzio*
I
l 28 ottobre scorso il Centro
ha promosso una giornata di studio intorno al fenomeno “doppia
diagnosi” ed alle sue implicazioni
clinico-riabilitative. È stata anche
l’occasione per presentare ufficialmente il lavoro svolto in questi
anni dalla struttura “Castore e Polluce”, presentandone la filosofia
ispiratrice, il Progetto Uomo, i
riferimenti teorici e i risultati ottenuti. In questo articolo viene presentato una sintesi della relazione
sui dati epidemiologici raccolti e
presentati.
D
oppia diagnosi:
alla ricerca di una definizione
La comorbilità, chiamata a volte
«diagnosi duale» (dual diagnosys), è stata definita nel 1995 dall’Organizzazione mondiale della
sanità (OMS) come la «coesistenza nel medesimo individuo di un
disturbo dovuto al consumo di
sostanze psicoattive e di un altro
disturbo psichiatrico».
Il termine “doppia diagnosi” definisce quindi una persona che soffre
contemporaneamente di un problema legato alla dipendenza da
sostanze stupefacenti ed una qualche patologia di tipo psichiatrico.
L’intervento terapeutico riabilitativo
deve tenere conto di questa complessità e deve quindi puntare ad
una corretta valutazione della severità clinica di entrambe le sofferenze per identificarne adeguati luoghi
e strumenti di cura e riabilitazione.
L
a ricerca sulla comunità
Castore e Polluce
Obiettivo della ricerca presentata
al convegno era quello di studiare
le condotte di abuso e la comorbilità psichiatrica nei pazienti della
comunità doppia diagnosi, dalla
sua apertura ad oggi, alla ricerca di
una spiegazione del fenomeno
“doppia diagnosi”. I dati epidemiologici sono stai raccolti
mediante l’utilizzo di due strumenti diagnostici, l’Addiction Severity
Index (A.S.I.) e la SCID I e II.
• Addiction Severity Index: è uno
strumento composto da X aree
del contesto personale e sociale
del paziente (schede medica,
legale, familiare, formazione e
lavoro, condotta di abuso e
dipendenza da sostanze, psichiatrica e psicologica) e si presenta
come un’intervista strutturata
che l’operatore realizza con il
paziente al suo ingresso. È
molto utilizzata nel settore del
lavoro sulle tossicodipendenze
sia da strutture pubbliche sia private, e costituisce una sorta di
cartella anamnestica del pazien-
te. L’operatore, al termine di
ogni scheda, è chiamato a dare
una valutazione del grado di
severità (problematicità, urgenza, importanza) riscontrato dall’intervista con il paziente.
• SCID I e II: è uno strumento
clinico che permette di analizzare le problematiche psicopatologiche riportate dal paziente e ne
fornisce una diagnosi in asse I e
II, secondo i criteri diagnostici
del Manuale Statistico dei
Disturbi Mentali (DSM IV)
manuale di riferimento a livello
mondiale per la diagnosi dei
disturbi psichiatrici.
Il campione dei soggetti in doppia
diagnosi, 63 soggetti (53 maschi e
10 femmine), è stato anche confrontato con un gruppo di utenti
presenti nella CT Trasta nel mede-
Giovanni Lizzio traccia il bilancio di Castore e Polluce
13
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
simo periodo temporale, composto
da 53 soggetti (49 maschi e 6 femmine), allo scopo di studiarne le
diversità rispetto alla condotta di
abuso di sostanze stupefacenti.
C
astore e Polluce e CT Trasta:
somiglianze e differenze
Il prof ilo medio ricavato dalle
scale ASI indica una generale
maggiore severità (gravità) per il
campione doppia diagnosi, elemento che si riscontra poi nella
pratica clinica ed educativa.
Lo strumento permette di evidenziare le aree critiche all’ingresso
del paziente in comunità e di attivare adeguati interventi di supporto (fig.1, profilo di severità A.S.I.).
In doppia diagnosi abbiamo una
percentuale minore di utilizzatori
di cocaina ed una maggiore di
poliabusatori e di alcolisti.
In entrambe le strutture gli eroinomani sono più del 45%.
Questo dato, oltre ad evidenziare
un generale maggior utilizzo di
stupefacenti da parte del campione
doppia diagnosi ci porta a riflettere sul suo uso autoterapeutico in
un quadro psicopatologico che
sembra quindi essere primario
(fig.2, distribuzione soggetti per
sostanza primaria).
La doppia diagnosi si caratterizza
per una distribuzione maggiore
dell’età di esordio rispetto a quello
della comunità tradizionale.
Si delinea quindi il profilo di un
paziente giovane, che sta male e
che inizia ad usare droghe “pesanti” per ristabilire un proprio equilibrio emotivo e funzionale.
L’andamento del grafico evidenzia
14
che i pazienti della doppia diagnosi hanno iniziato più precocemente l’utilizzo della sostanza
primaria rispetto a quelli della
comunità tradizionale (fig. 3, età
esordio condotta di abuso).
Il paziente doppia diagnosi risulta
FIG.1
FIG.2
FIG.3
abitare prevalentemente da solo o
in regime controllato, comunque
lontano dal nucleo familiare di
origine o di riferimento, specie se
sono presenti anche dei figli (fig.
4, condizione abitativa).
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
I
Il trattamento del paziente
“doppia diagnosi”
Il fenomeno doppia diagnosi si
manifesta prevalentemente con
l’associazione “disturbo dell’umore” e “disturbo borderline di per-
FIG.4
FIG.5
sonalità”, con una prevalenza,
nella prima categoria, di pazienti
con diagnosi di disturbo bipolare.
Dal punto di vista dell’esito del
percorso comunitario questi soggetti mostrano le maggiori difficoltà nell’adesione alle regole
comunitarie, durante il percorso
riabilitativo, e di relazione interpersonale nonché di gestione dell’impulso all’uso di stupefacenti nella
fase del reinserimento sociale.
I dati rilevano anche la presenza di
pazienti con diagnosi di disturbo
borderline di personalità in assenza di diagnosi in asse I, fatto salvo
per la dipendenza da sostanze.
La diagnosi di disturbo borderline,
sebbene sia spesso un contenitore
diagnostico per la popolazione
tossicomanica, evidenzia talvolta
profili marcatamente disfunzionali, paragonabili a patologie più
complesse quali psicosi, disturbo
bipolare (f ig. 5, distribuzione
principali diagnosi).
La diagnosi di disturbo antisociale
di personalità è stata, in questa
ricerca, volutamente sottovalutata
in quanto, in base agli strumenti di
raccolta dei dati, risultava soddisfatta per tutta la popolazione tossicomanica, quindi scarsamente
descrittiva del fenomeno doppia
diagnosi.
C
FIG.6
onsiderazioni sul fenomeno
doppia diagnosi
Il fenomeno doppia diagnosi evidenzia, quindi, tutta la sua severità
in quanto patologia che crea il
vuoto intorno al paziente e ne
rende molto difficile la sua reinclusione sociale.
Il paziente risulta sostanzialmente
solo, sia per la sua intrinseca difficoltà a mantenere relazioni sufficientemente stabili e durature, sia
per la difficoltà del nucleo familiare di origine a gestire la patologia stessa: il percorso riabilitativo
15
L’ABBRACCIO
COSTRUIRE IL FUTURO
Gianpaolo Guelfi, anima del convegno
deve quindi prendere in carico
oltre che il paziente anche il suo
nucleo familiare di riferimento.
Dal punto di vista del percorso riabilitativo va considerato che le resistenze che il soggetto incontra
nell’adattarsi e nell’aderire al trattamento ed al sistema di vita della
comunità doppia diagnosi sono
specchio delle difficoltà che incontra nel suo percorso di consapevolezza di malattia quindi vanno
interpretate come manifestazione di
un disagio che il paziente, in quel
momento, non riesce ad affrontare.
Le percentuali di abbandoni del
percorso terapeutico, vanno rilette
anche alla luce di queste difficoltà.
Le percentuali di esito positivo
confermano il valore terapeuticoriabilitativo del setting comunita-
Molti giovani tra il pubblico che ha seguito le relazioni a Palazzo San Giorgio
rio, in rete con i servizi territoriali
e le famiglie dei pazienti (fig. 6,
esito programma).
I
luoghi della cura
L’analisi dei dati della nostra ricerca conferma la necessità e l’efficacia terapeutica di una struttura
residenziale deputata all’accoglienza e al trattamento di soggetti
doppia diagnosi, con una prospettiva a trattare un fenomeno che si
dimostra a tendenza cronica.
Si evidenziano quindi, da questo
punto di vista, spazi di miglioramento prevalentemente legati alla
formazione psichiatrica del personale di servizio ed all’intensificazione e stabilizzazione dei rapporti
con le strutture esterne della rete.
Anche l’attività di volontariato
ricopre il ruolo di signif icativo
strumento per riabilitativo e contenitivo per questa tipologia di
pazienti: le attività ludiche (gite e
simili) e i laboratori (fotografia,
uso del computer, lettura e commento articoli o libri, …) diventano
un importante momento di socializzazione e di confronto, per i
pazienti, con persone diverse dall’equipe terapeutica, che li possono
aiutare a sviluppare i loro interessi
e recuperare le attitudini soffocate
o nascoste dalla condotta di abuso.
È essenziale, infine, una collaborazione piena con tutta la rete dei
Servizi per le Tossicodipendenze e
la Salute Mentale, innanzitutto per
la conduzione dei casi e per la
necessaria continuità al momento
della fine del programma terapeutico del paziente.
* Psicologo struttura “Castore e Polluce”
16
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
Un patto tra pubblico e privato
per salvare pazienti a rischio suicidio
di Piergiorgio Semboloni*
I
l trattamento residenziale
trova indicazione per una parte dei
soggetti così diagnosticati. Una
parte invece per la gravità della
diagnosi o per le difficoltà comportamentali non riesce a trovare
accoglienza presso strutture idonee
È esperienza comune la difficoltà
e, a volte, la crisi e infine il rifiuto,
provocati nelle comunità tradizionali dal paziente con comorbidità.
Si pone quindi un problema culturale per gli operatori del pubblico
e del privato di confronto dei loro
modelli con quelli di una cultura
psichiatrica, rappresentata a sua
volta da approcci molto diversi tra
loro, in quanto al di là di un ipotetico momento unificatore -entro
certi limiti- sulla diagnosi, dal
punto di vista dell’intervento
anche questi approcci possono differenziarsi molto tra di loro.
Inoltre, parlando di residenzialità
e comorbidità, é da aggiungere
l’esperienza derivata in questi anni
dal lavoro sull’istituzione psichiatrica, al fine di non ricadere nella
riproposizione di istituzioni “pseudomanicomiali” o comunque totalizzanti, in quanto finalizzate al
loro “automantenimento” per un
nuovo “target” di pazienti che allo
stigma sociale della tossicodipendenza uniscono quello del disturbo psichiatrico.
A questo proposito bisogna sottolineare anche come la psichiatria
che in molti casi, specie nel passato, ha cercato di liberarsi delle tos-
sicodipendenze come di un fardello pesante e non gradito, da far
gestire a rari cultori della materia,
o comprimari, dedichi oggi molta
più attenzione a questo tema, in
una piena consapevolezza dell’importanza e dell’entità del fenomeno in termini sociali, tanto da
rappresentare una quota prevalente
della psicopatologia.
Parlando quindi di rete delle
opportunità e comorbidità non si
può non far riferimento alle esperienze della psichiatria anche per
quello che riguarda il significato
di programma residenziale e semiresidenziale oltreché l’idea stessa
di comunità terapeutica.
È evidente infatti come si debba
far chiarezza sul tipo di comorbidità a cui ci si riferisce, in quanto
diversi sono i problemi che ci
pone il tossicodipendente con
disturbo di personalità rispetto
allo psicotico grave e non può
essere sufficiente affiancare uno
psichiatra all’équipe per affermare
la terapeuticità di quel progetto
residenziale. A meno che non si
tratti di pazienti già compatibili
con i trattamenti attuali, portatori
di patologie meno importanti e per
i quali non sono quindi necessarie
nuove strutture specifiche. Ma non
sono questi che costituiscono il
nostro problema. Il problema che
noi ci troviamo spesso ad affrontare é invece quello di quei pazienti
per i quali non c’è un posto dove
stare, né nelle famiglie, né nelle
comunità attuali, né nei Servizi
attuali, né negli ospedali attuali.
Sono quei pazienti che sfuggendo
da un trattamento ad un altro, da
una comunità ad un’altra, da un
ricovero coatto in reparto psichiatrico ospedaliero a un’overdose, a
un gesto clamoroso finiscono alla
fine per trovarsi un posto attraverso quel suicidio che noi potevamo
già prevedere.
Pensando a questi pazienti vale
forse la pena di fermarsi un
momento a riflettere sull’esperienza delle comunità per tossicodipendenti e per pazienti psichiatrici,
per capire a quale tipo di progetto
terapeutico ci ispireremo.
I criteri che consentono di definire
una comunità come terapeutica
sono comunemente def initi da
queste caratteristiche: l’ingresso
del soggetto deve essere frutto di
una motivazione e di una scelta
personale e non può essergli
imposto in alcun modo da altri.
La strategia fondamentale per promuovere il cambiamento é costituita dalle attività di gruppo, la
comunità si deve proporre come
struttura aperta.
In Italia il movimento delle Comunità per tossicodipendenti sviluppatosi negli anni settanta ha avuto un
importante modello di riferimento
nelle comunità americane sviluppate a partire dall’esperienza di Syanon, la prima comunità residenziale
per tossicodipendenti.
Costantini e Mazzoni hanno proposto la distinzione tra comunità
implicitamente ed esplicitamente
terapeutiche, Kanaeclin nelle sue
ricerche ha individuato tre differenti modelli organizzativi: Comunità
orientate dalla trasmissione/imposizione di modelli di comportamenti
adeguati, Comunità orientate a
17
L’ABBRACCIO
COSTRUIRE IL FUTURO
sbloccare/nutrire, comunità orientate alla comprensione dei comportamenti.
Possiamo considerare a parte quelle comunità che si connotano ulteriormente per la presenza di un
leader carismatico. Tali iniziative
terapeutiche vengono definite da
Bergeret come “anaclitiche” o
“narcisistiche”, in quanto la tecnica si baserebbe su un rafforzamento quasi “ortopedico” della
persona dall’esterno attraverso il
terapeuta e/o l’istituzione.
In questi ultimi anni, rispetto a
queste affermazioni, sono avvenuti
notevoli cambiamenti nei programmi residenziali e semiresidenziali.
Si é arrivati a superare il tabù del
farmaco in comunità, in numerosi
casi del metadone, si parla di
“moduli di programma capaci di
modellarsi sulle diverse situazioni
personali. “Ogni modulo deve
contenere modalità e strumenti
d’intervento dotati di una certa
autonomia e in grado, al limite, di
potersi staccare dal modulo che lo
precede o che lo segue e di poter
funzionare di per sé” (Bimbo).
Il programma (o la struttura) per
la doppia diagnosi dovrebbe salvaguardare una modalità differenziata di presa in carico: tali apporti
per essere in grado di qualificare
proprio quel tipo di servizio non
possono prescindere dalla competenza plurispecialistica, ma devono garantire soprattutto flessibilità
e modulazione dell’intervento per
rendere produttivo un tale progetto
é necessario un gruppo di operatori in grado di rielaborare i modelli
tradizionali dell’intervento identificando e risolvendo ogni elemento di possibile cristallizzazione e
18
rinunciando il più possibile alla
ripetizione di schemi operativi
ormai acquisiti e spesso “maneggiati” in modo automatico.
Appare chiaro quanto possa essere delicato l’intreccio di dinamiche educative con gli elementi
dell’intervento clinico e terapeutico. Bisogna comprendere quanto
si debbano ancora affinare gli elementi dell’intervento residenziale
in un precario equilibrio tra educazione e trattamento a fronte della
complessità delle condizioni che
emergono al momento del distacco dalle droghe. Esiti delle droghe
o condizioni preesistenti? Compensate dall’azione di contenimento della comunità o indotte a
uscire allo scoperto proprio dall’esposizione all’intensa esperienza
emotivo-relazionale del ricovero
residenziale? Torniamo dunque
alla necessità di inquadramenti
diagnostici che consentano di
definire il tipo di problema orientando gli interventi attraverso una
relazione strutturata tra Servizi
Tossicodipendenze e Comunità,
lasciando un successivo spazio
all’osservazione del paziente
senza l’interferenza delle droghe e
considerando le conseguenze di un
contesto che comunque risulta
modif icato rispetto a quello di
provenienza, della famiglia di origine, senza la comprensione del
quale anche la diagnosi rischia di
rimanere un informazione statica e
parziale.
È evidente dunque la necessità di
un lavoro di conoscenza e di integrazione che, guardando a questo
tipo di paziente e alle riflessioni
già fatte in campo psichiatrico da
Zapparoli parlando di terapia dello
psicotico, definisca l’integrazione
su diversi piani.
Il primo é tra i differenti poli di
un’ideale triangolo, cioé trattamento psicofarmacologico, psicoterapeutico, riabilitativo-assistenziale.
Un secondo piano riguarda l’integrazione tra i diversi membri dello
staff curante, in maniera formalizzata, con la partecipazione di tutto
il personale al gruppo di supervisione, in parte non formalizzata,
tramite gli interventi e i contatti
estemporanei di ogni giorno. Un
terzo livello é più allargato: non
riguarda tanto la comunità nel suo
interno, quanto i suoi rapporti con
i reparti ospedalieri e i Servizi di
Salute Mentale e Tossicodipendenze di competenza, la famiglia,
l’entourage e l’ambiente del singolo paziente .
Questi rapporti devono essere
stretti affinchè la struttura in cui
operiamo rappresenti solo un
momento, ci si augura evolutivo
ed emancipativo, dell’assistenza al
paziente ed é proprio il senso storico della continuità quello che
deve essere mantenuto e fornito. A
questo punto certe riflessioni in
atto in campo psichiatrico sulle
comunità e le funzioni residenziali
possono diventare forse stimoli
anche per noi per capire meglio a
quali strutture stiamo pensando.
Penso ad alcune considerazioni di
Anna Ferruta che dal suo punto di
vista di psicoanalista invita a
riflettere su alcuni temi :
Dobbiamo continuare a vedere la
comunità come famiglia o esistono altre metafore più adeguate, dal
momento che la comunità rappresenta una famiglia ideale di cui il
paziente deve fare sempre il lutto
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
rispetto a quella reale? Gli operatori sono preparati a reggere un
investimento o transfert indifferenziato sulla Comunità e non sul
singolo operatore, con le frustrazioni che ne conseguono sul piano
della relazione e dell’identità professionale? Cosa si intende per
regole, un modello vero e proprio
da rispettare o piuttosto una cornice che può essere infranta, all’interno di un processo flessibile di
continuità e cambiamento? Se gli
operatori diventano anche loro
molto ingombranti i pazienti
soffocano, come in quei casi dove
si creano situazioni di identificazione alienante inconscia per
intrusione di figure troppo forti,
particolarmente a livello transgenerazionale, f ino ad arrivare al
carattere innaturale e pietrificante
di gruppi e comunità artificiali.
Siamo dunque pronti noi operatori
dei Servizi per le Tossicodipendenze e delle Comunità a confrontarci con questi temi, ad accettare
il passaggio da una certa “ortopedia morale” alla “ quotidianità
come produttrice di eventi”, considerando le strutture residenziali
come “apparati produttivi di quotidianità, intendendo con Correale “
la quotidianità come sufficientemente prevedibile e capace di dare
la sensazione di una rete di
momenti significativi sempre riconoscibile e attendibile”, ma “allo
stesso tempo capace di piccoli
motivi di dubbio e incertezza che
hanno il fine di incrementare il
senso di responsabilità del singolo
paziente, ridando sapore alle abitudini stesse in un clima in cui
sono possibili parziali, nuove, piccole acquisizioni” ?.
Credo che solo l’accesso a questo
tipo di dibattito sulla sofferenza
psichica dell’individuo e le connessioni con i suoi sistemi di riferimento ci consenta poi di fare
quei progetti coordinati, quelle
definizioni di complementarietà e
di opportunità tra servizi ed enti
ausiliari di cui abbiamo bisogno
per affrontare questa sfida.
L’esperienza di ricerca clinico-epidemiologica condotta nel corso
del 2003 nell’ U.O. Ponente, in
sintonia con i dati condivisi della
letteratura più recente sull’argomento e con le attuali valutazioni
delle Società scientifiche italiane
(SIP, SITD) indica la opportunità
di riservare la definizione di “doppia diagnosi” ai casi che, soddisfacendo i criteri proposti dal DSM,
presentano una diagnosi propria di
dipendenza e una diagnosi propria
di altro disturbo psichiatrico, che
si configurano ad un livello di gravità medio-alto.
Il criterio della gravità, quindi, è il
criterio unificante di condizioni
cliniche diverse, e la gravità va
intesa come compromissione del
funzionamento globale della persona.
La complessità generale dei
pazienti con un quadro di comorbilità di questo tipo è per molti
aspetti evidente: inevitabili e intricate sono le reciproche influenze
delle condizioni psicopatologiche
emergenti e sottostanti e lo stesso
processo diagnostico, da cui scaturiscono le opportunità della cura, è
reso problematico, in modo peculiare, sia dal punto di vista dei tecnici delle dipendenze che da quello
dei tecnici della psichiatria.
Si tratta di un gruppo di pazienti
che, in presenza di quadri clinici
confusi o complicati da intossicazione, astinenza, assunzione terapeutica di farmaci non in uso nei
normali protocolli psicofarmacologici, generalmente ricevono, allo
stato attuale, trattamenti psichiatrici occasionali, non sufficientemente mirati, parziali o
disomogenei rispetto alle terapie
in corso.
La “doppia diagnosi”, dunque,
non consiste nella semplice concomitanza di una condizione tossicomanica con un altro disturbo
psichiatrico, ma nella realtà di una
selezionata tipologia di pazienti,
tuttora quasi totalmente in carico
al Ser.T, che per le sue caratteristiche di cronicità grave, elevato
tasso di ospedalizzazioni, bassa
compliance ai trattamenti, più elevato rischio suicidario o di pericolosità sociale, costi complessivi
maggiori a carico dei servizi sanitari, richiede modalità di gestione
complesse, che non sembrano
poter ragionevolmente prescindere
dalla presenza di équipes curanti
in grado di trattare, nello stesso
momento, sia la dipendenza che il
disturbo psichiatrico.
Il gruppo costituito dagli operatori della U.F. “DD” ha stabilito contatti permanenti con i Servizi
psichiatrici e gli operatori del privato sociale che svolgono attività
in questo settore, tramite riunioni
periodiche finalizzate alla sperimentazione di modelli intermedi
di integrazione, fondati su premesse di gestione condivisa di casi clinici.
* Coordinatore dipartimento delle
dipendenze dell’Asl 3 genovese
19
L’ABBRACCIO
INSIEME PER IL CENTRO
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è più facile vincere insieme
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20
L’ABBRACCIO
PER SAPERNE DI PIÙ
Il debutto di un volontario
al seminario della FICT a Varese
di Giuliano Ortolani*
I
mprovvisamente invitato
dalla nostra Presidente partecipo
ad una occasione significativa: il
convegno FICT. L’invito lì per lì
mi sconcerta: io, un volontario tra
gli ultimi, ad un convegno FICT?!
Per altro all’ordine del giorno del
convegno é la stesura definitiva di
un importante documento: un
documento programmatico, una di
carta dei valori! Comunque, perplesso, accetto volentieri .
Bene ho fatto ad accettare. L’aver
partecipato ai lavori sul documento, nei gruppi, riflettendo, condividendo con altri gli aspetti valoriali
che animano i vari centri della
federazione, e la FICT stessa, sono
arrivato più vicino alle mie motivazioni e agli aspetti valoriali che
animano il mio essere al Centro
perché di quanto il documento
esprime ho trovato risonanza in
me. Si dirà nel dibattito e verrà
riportato sul documento: punto
fondante di tutto il Progetto Uomo
è la Persona; la Persona si realizza
unicamente in quanto è relazione, è
in rapporto con l’Altro. È Persona
in quanto si rivela all’altro nel suo
Essere, che si concretizza, nei fatti,
nell’essere con e nell’essere per...
Ho sempre creduto vero questo
mottetto. Ho sempre più confermato in me la verità di questa
asserzione. Ne trovo le radici
anche in uno dei testi che, anche
laicamente, più apprezzo: la Sacra
Bibbia. Se vivere in relazione con
l’altro è offrirsi per quel che si è e
non quel che si ha, allora la vera
vita è l’Essere non l’Avere. Essere
significa vivere ciò che hai in te,
non vivere ciò hai al di fuori di te.
Essere e non apparire. Apparire è
esibire qualcosa di esterno a noi,
che esibiamo come nostro ma che
non è parte del nostro Essere. È il
mettersi a cantare in play back,
canto ma la voce non è mia. Essere
è evitare lo stridore tra ciò che si è
e ciò che vogliamo mostrare. In
questo senso il testo sacro ci aiuta.
In diversi passi, del Deuteronomio
e Geremia, si parla della circoncisione del cuore per vivere; circoncisione come nuovo modo di
vivere la Legge, la regola; il profeta Ezechiele dice…Darò loro un
cuore nuovo e uno spirito nuovo
metterò dentro di loro; toglierò dal
loro petto il cuore di pietra e darò
loro un cuore di carne. Se potessi
sintetizzare un aspetto del ricco
messaggio di Gesù di Nazareth,
direi che Lui non propone di essere
dentro la Legge, l’Apparire, ma di
avere la Legge dentro, l’Essere.
Ricorderete il brano sui farisei,
sepolcri imbiancati. Nomen est
homen: il destino dell’uomo è
scritto nel suo nome. Nelle sue
lontane origini il nome di ciascuno
identificava la realtà esistenziale
dell’uomo; insomma i soprannomi
identificano l’essenza della persona, rappresentavano la caratteristica esistenziale di colui che li
portava. Anche l’etnologia conferma. Il nome proprio in molte antiche popolazione intanto si
acquisiva con l’età adulta cioè con
il carattere formato, e con questo
darsi un nome ci si appropriava
anche della responsabilità del portarlo. Il nome descriveva l’uomo
come sarebbe stato nella sua vita:
per gli indiani d’America il nome
rappresentava le caratteristiche
vitali della persona; così i nomi
raccontavano di capacità di coraggio, di caccia, di delicatezza, di
astuzia. Anche in Europa il cognome rimanda alle caratteristiche originali della famiglia, della persona.
Nella pittura giapponese quando
l’allievo raggiungeva un primo
grado di autonomia artistica conservava nel proprio nome la desinenza del nome del proprio
maestro, intendendo dire come in
lui esistessero tracce del suo maestro; crescendo in abilità ed esperienza, diventato pittore, cambiava
il suo nome in qualcosa di nuovo
perché era una realtà nuova. Esisteva cioè tra il nome e il modo di
essere del portatore del nome una
massima sovrapposizione. In definitiva anche nel libro della Genesi,
nella Bibbia, dopo la creazione di
tutte le cose del mondo, Adamo ed
Eva sono chiamati a dare un nome
a tutte le cose create perché queste
sussistano; ancora oggi ricercatori
ed astronomi danno il loro nome
alle loro scoperte. Il nome proprio
descriveva il sé, il proprio modo di
essere, e lo metteva in relazione
con gli altri. Ecco allora perché, tra
le altre tante motivazioni del mio
volontariato, sono volentieri qui al
Centro. Progetto Uomo propone e
aiuta a sviluppare nei ragazzi/e
questa ricerca del proprio “nome”
che hanno scritto dentro di loro e li
aiuta a viverlo nel loro quotidiano,
con coraggio. Don Abbondio, nei
Promessi Sposi, dice: il coraggio
uno non se lo può dare.
Non sempre è facile vivere quel che
si è veramente. In questo senso
sento Progetto Uomo come una
levatrice, lo credo un contesto e una
21
L’ABBRACCIO
INSIEME PER IL CENTRO
serie di strumenti che aiutano la rinascita di un uomo/donna, come
dalla crisalide la farfalla, e posso
immaginare gli operatori come le
levatrici. In altri termini, penso alla
maieutica che ci riporta a Socrate e
all’arte della levatrice (questo significa il termine) che il filosofo proponeva ai suoi allievi nell’aiutarli
ad “Essere”, padroni di sè. Un
Essere, una Persona esiste nei nostri
ragazzi/e ma é annebbiata dalle
paure, rinnegata dal rancore o travisata da falsi coraggi o da illusori
paesaggi, immagine repressa od
esaltata dalle sostanze. Progetto
Uomo è là per aiutarla a ri-nascere,
per renderla visibile a loro stessi
perché possano accoglierla e viverla
in serenità. Come d’altro canto dice
la nostra “filosofia” : “qui una persona può rivelarsi a se stessa…” .
Amo i ragazzi/e perché in definitiva
nella loro alienazione, di fondo,
cercavano, se volete anche con radicalità, questa scoperta o negazione
del sé, di un sé così come loro lo
sognavano. Andavano comunque
incontro al sè stessi utilizzando
strumenti impropri, sbagliati. Erano
persone in ricerca, ma che hanno
utilizzato strumenti fuorvianti per
far nascere un sé che non era loro
proprio, ma era quello che speravano o pensavano dovesse essere, e
che si illudevano di dover far crescere per il loro, e a volte altrui,
benessere. In fondo quindi vivo la
Comunità come centro di puericultura: uno spazio dove far ri-nascere
L’impegno del volontariato per uscire dal mare della solitudine
uomini/donne in una sorta di partenogenesi ( una nascita per autofecondazione), quindi, come ogni
parto, una realtà dove sussistono
grande dolore ed estrema gioia,
possibili estreme delusioni e grandi
speranze.
Esistono altri ambiti dove strutture
aiutano a ri-nascere: le caserme.
Spazi di contenimento e, anche in
questo caso, di “ri-nascita”. Radicale è la differenza. Senza emettere
giudizi di merito ma solo per esaltare una nostra specificità vorrei
dire che le ns CT propongono, perseguono ed aiutano alla ri-nascita
spontanea verso l’autonomia, che é
antinomia della dipendenza, della
obbedienza afasica militaresca, è
un cammino verso l’Essere; nelle
caserme, in ogni caserma, è vero il
contrario si cerca di soffocare, di
spegnere l’Essere per far nascere
l’Apparire, si impone la Dipendenza dalla regola, dall’Ordine, magari
urlato: l’antitesi dell’autonomia
responsabile. Se le caserme possono essere strumento per difendere
la pace, in questo senso la CT è
costruttrice di pace proprio perché
al contrario delle caserme rende gli
uomini liberi, liberi di decidere di
essere se stessi, responsabili del
proprio orizzonte, liberi di vivere
l’Essere, l’Essere in relazione con
l’altro, che è lo strumento che aiuta
a risolve i conflitti, anche domestici, perché nella relazione si incontra l’Altro e lo si conosce e così la
paura si tace.
Detto questo, sento la necessità di
ringraziare il Centro e la sua Presidente per l’occasione che mi
hanno offerto per conoscere
meglio i grandi Valori che ispirano
Progetto Uomo, una esperienza
che mi ha permesso di confermarmi nelle mie scelte e di trovare
nuove energie per il mio servizio
di volontario.
* Volontario del Centro
22
L’ABBRACCIO
APPUNTAMENTI
IMPEGNI DEL CENTRO
Calendario
5 ottobre: Aldo partecipa all’incontro dell’osservartorio regionale
sulla tossicodipendenza per conto
del Centro.
6 ottobre: Bianca partecipa alla
trasmissione “parliamone insieme”
a Tele Genova, il tema è il libro
scritto su di lei da Bruno Viani.
14 ottobre: Giovanna Moisio rappresenta il Centro all’assemblea
del CICA. A Padova.
14 ottobre: Aldo partecipa, a
Roma, ad un incontro sulla cocaina nell’ambito dei gruppi tematici
FICT.
17 ottobre: Bianca partecipa alla
trasmissione”Liguria in diretta” a
Primocanale, per parlare dell’evoluzione del fenomeno droga.
18 ottobre: Ramon partecipa alla
trasmissione “parliamone insieme” a TeleGenova: il tema è l’attualità della tossicodipendenza.
19 ottobre: Ramon partecipa
all’incontro del Coordinamento
genovese HIV, tema dell’incontro
Bianca Costa Bozzo, insignita della Fronda d’Oro
2005 - La consegna dell'onorificenza durante la
cerimonia ufficiale a Chiavari il 19/11/2005, dalle
mani dell’Assessore Regionale Renzo Guccinelli.
per gentile concessione di Foto Flash (Lavagna) - ©Fronda d'Oro 2005
è la preparazione della manifestazione del 1° dicembre.
Mese di ottobre: Aldo partecipa
ad una serie di appuntamenti della
CLESC regionale che culminano
con l’incontro con l’Assessore M.
Costa il 27-10, obiettivo è la legge
regionale sul Servizio Civile.
21 ottobre:Ramon e Ezio sono a
TeleGenova per presentare il prossimo convegno sulla doppia diagnosi.
24 ottobre:Una troupe di TeleCittà viene al Centro per intervistare un nostro utente sul tema
della cocaina per la trasmissione
“Zona Rossa” del 25-10.
26 ottobre: Ramon e Ezio partecipano, insieme al DR. Semboloni,
alla trasmissione “Buongiorno
Liguria” di Telecittà per presentare
il convegno sulla doppia diagnosi.
28 ottobre: È il giorno del convegno “ Doppia Diagnosi e Comunità Terapeutica” organizzato dal
Centro a Palazzo S. Giorgio.
2-4 novembre: Paolo e Aldo sono
in Bulgaria per verificare la possibilità di progetti di cooperazione
con quello Stato.
19 novembre: A Chiavari viene
conferita a Bianca l’onorificenza
“la fronda d’oro” per il suo impegno nella solidarietà.
21-23 novembre: A Varese si svolge un seminario e l’assemblea della
FICT, la delegazione del Centro è
composta da Bianca, Ramon,
Marco C., Nuccia Z. e Giuliano O.
21-23 novembre: Paolo e Bernadette partecipano a Malaga ad un
incontro transnazionale del progetto Equal “E-LE-CHANGE”
23 novembre: Franca e Aldo rappresentano il Centro all’incontro
per il decennale di attività del
CELIVO a Palazzo Ducale.
25 novembre: Il Dr. Parodi, Direttore Generale della ASL 3, visita
le strutture del Centro in via Garbarino e a Trasta.
Agenda
5-7 dicembre: Si svolge a
Palermo la 4a conferenza nazionale sulla droga, per il Centro
sono presenti Bianca, Paolo,
Bernadette e Ornella.
7-23 dicembre: Anche quest’anno il Centro ha un suo
stand al Mercatino di Natale in
Piazza Piccapietra.
13 dicembre: Una troupe della
RAI è al Centro per preparare un
filmato sulle attività, svolte in collaborazione con la Caritas a favore
dei senza dimora, finanziate dalla
C.E.I., che sarà trasmesso il 24/12
alle ore 17,10 su RAI 1.
13 dicembre: Nella mensa del
Fassolo si svolge l’annuale pranzo di Natale con i volontari del
Centro.
19 dicembre: S.E. Monsignor
Palletti celebra la Messa di Natale del Centro nella Parrocchia di
San Teodoro in Piazza Di negro.
21 dicembre: Nella comunità di
Trasta si svolge la cena di Natale organizzata dai ragazzi per
amici e volontari.
23
“Via S. Lorenzo:
La strada più bella d’Italia”
Secolo XIX, giugno 2001
(Realizzata con Sistemi Applicativi
Silossanici “Ariete”).
Le soluzioni
Boero
per il Restauro
e la Ristrutturazione:
Silicati
Silossani
Acrilici
Elastomerici
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