L’ABBRACCIO 42 Rivista trimestrale di informazione del Centro Solidarietà Genova 16126 Genova - Via Asilo Garbarino, 9/B Telefono 010.25.46.01 - Fax 010.25.46.02.02 r.a. Direttore Responsabile: Silvano Balestreri Realizzazione e stampa: TotalPrint Genova S.r.l. N. 42 • 4° Trimestre 2005 - N. 4 del 2005 Prezzo 1,00 Euro Autorizzazione Tribunale di Genova 26/94 tariffa R.O.C. Poste Italiane S.p.A. sped abb. postale - D.L 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 N° 46) art 1 comma 1, DCB Genova Buone Feste “Perché non fare di tutti i giorni della mia vita un’unica opera d’amore?” Raul Follereau L’ABBRACCIO Dove possiamo incontrarci a Genova Rivista trimestrale di informazione spedita in abbonamento postale Fassolo Trasta Via Asilo Garbarino, 6-9/B 16126 Genova Telefono 010.25.46.01 Fax 010.25.46.02.02 In questa sede sono offerti i seguenti servizi: Casa di Accoglienza per tossicodipendenti “Casabella”, Casa alloggio “La Tartaruga” per persone malate di Aids, progetti “Odissea 2000” “Castore e Polluce” ed “Euphòria”, servizi di Prevenzione ed Auto Aiuto, direzione e uffici. Salita Cà dei Trenta, 28 - 16159 Genova Rivarolo Comunità Terapeutica Riabilitativa, Comunità di Reinserimento Sociale, Comunità semiresidenziale e residenziale di Accoglienza, Tel. 010.7404474 Direttore responsabile Silvano Balestreri Caporedattore Ramon Fresta In redazione Aldo Castello La copertina è di Luzzati Disegni Luzzati, Piccardo e Reginaldo Foto Giorgio Raffo, Foto Flash per Fronda d’Oro 2005 Hanno collaborato Donatella Giacalone, Ezio Lazzari, Giovanni Lizzio, Giuliano Ortolani, Claudio Renzetti, Piergiorgio Semboloni, Anna Valbusa Direzione e redazione Via Asilo Garbarino, 6 B 16126 Genova Telefono 010.25.46.01 Fax 010.25.46.02.02 Centro città Centro adolescenti “In-Chiostro”, salita S. Maria di Castello 15; Lunedi mercoledì e venerdì dalle 14.30 alle 18.30 Tel. 010.2468573 - 340.4821045 Siamo anche in tutta Italia Impaginazione e stampa TotalPrint Arti Grafiche Genova S.r.l. La nostra filosofia • BOLZANO Autorizzazione Tribunale di Genova 26/94 Sped. abb. postale 50% - Genova Periodico associato USPI • BELLUNO iamo qui perché non c’è alcun rifugio dove nasconderci da noi stessi. S • TRENTO • VARESE VICENZA • TREVISO • • IVREA • VERONA • VENEZIA • MILANO • CREMONA • PADOVA • PIACENZA • TORINO • • MANTOVA VERCELLI • PARMA • REGGIO EMILIA • MODENA • BOLOGNA • RAVENNA • AOSTA Fino a quando una persona non confronta se stessa negli occhi e nei cuori degli altri, scappa. • GENOVA Chi siamo Dove siamo • SANREMO • LA SPEZIA • PISTOIA • PRATO • FIRENZE Fino a che non permette loro di condividere i suoi segreti, non ha scampo da questi. • AREZZO • JESI • MUCCIA • SPOLETO Timoroso di essere conosciuto né può conoscere se stesso né gli altri, sarà solo. • ALBA ADRIATICA Via Asilo Garbarino, 6 B - 9 B 16126 Genova Telefono 010.25.46.01 Fax 010.25.46.02.02 • PESCARA • VITERBO • ANGUILLARA • CIVITAVECCHIA • ROMA • ANZIO • FORMIA • CASERTA Bianca Costa Bozzo Presidente • BARI • AVELLINO • GRAVINA Paolo Merello Direttore Generale • CAGLIARI E-mail: [email protected] Pagina Web: http://www.csgenova.org • COSENZA • CATANZARO Federazione Italiana Comunità Terapeutiche Tel. 06.66.16.66.68 Via Bravetta, 365 00164 Roma Presidente Egidio Smacchia 2 • MESSINA • REGGIO CALABRIA • CATANIA Dove altro se non nei nostri punti comuni possiamo trovare un tale specchio? Qui insieme una persona può alla fine manifestarsi chiaramente a se stessa non come il gigante dei suoi sogni né il nano delle sue paure, ma come un uomo parte di un tutto con il suo contributo da offrire. Su questo terreno noi possiamo tutti mettere radici e crescere non più soli come nella morte, ma vivi a noi stessi e agli altri. L’ABBRACCIO L’EDITORIALE La nostra missione per l’anno nuovo dare una risposta a quanti soffrono di Bianca Costa Bozzo* C’ è un tempo di attesa per tutto ciò che è nuovo, c’è il timore per la realtà che ogni giorno si ripropone sotto aspetti diversi, c’è il dolore del cuore di coloro che ci sf idano -per non usare il verbo “gridano”- con la loro sofferenza. Sento l’inquietudine dei giovani che spesso non sanno dove andare, scoraggiati anche da una società che talvolta non riesce a testimoniare, a trasmettere f iducia nel domani. Rifletto sul Tema Pastorale di quest’anno: la Missione. Il termine mi rimanda subito con il pensiero ai paesi cosiddetti del “terzo mondo”, in cui spesso manca qualsiasi segno di civiltà e in cui i diritti umani non sono conosciuti. Continuo a riflettere e a pensare come si può fare “Missione” alle soglie del 2006, nella nostra città di Genova che, rispetto ai paesi citati, è sicuramente civilizzata e più attenta ai diritti dei suoi cittadini. Io credo che la vera Missione, per noi laici, consista nell’essere annunciatori di pace, nella costruzione di certi valori e nell’impegno concreto di comunione fraterna. Nell’essere testimoni, attraverso il nostro servizio nei confronti di chi è in diff icoltà, anche con semplicità, iniziando dalle piccole cose. Nell’essere presenti, aprendoci al dialogo e all’ascolto. Obiettivo non facile da conseguire perché durante il nostro quotidiano siamo distratti da tanti avvenimenti, da numerose preoccupazioni (piccole e grandi), siamo frastorna- più bisogno della Chiesa, delle Istituzioni, della professionalità degli Operatori e della presenza efficace dei Volontari. Vorremmo avere ancora tante persone nuove che ci aiutino materialmente e moralmente a sostegno di questa nostra opera. Abbiamo progetti inediti per il 2006 e soprattutto ancora tanto entusiasmo!!! Vi auguro un Buon Natale! E con “buon” intendo che ognuno di noi possa fare del bene e possa riceverne altrettanto. Vi auguro, infine, un sereno 2006, che lo sia davvero, anche per i vostri cari. ti dalle immagini, dalla pubblicità, dai rumori assordanti, corriamo sempre e a f ine giornata siamo stanchi e non siamo disposti a sentire più nulla che possa turbare la nostra serata. Non credo che in questo agire ci sia solo dell’egoismo, ritengo piuttosto ci sia il sano desiderio di sopravvivere. Nonostante i miei 77 anni, ho ancora tanto da imparare, devo *Presidente Centro di Solidarietà di ancora “crescere” e sensibilizzar- Genova mi sempre più per entrare in sintonia con coloro che hanno bisogno di aiuto, liberandomi da difese a volte inutili e talora inadeguate. Eminenza, la ringraziamo perché anche quest’anno, con il Tema Pastorale, Lei ci invita a riflettere. La prego di ricordarsi di noi nelle Sue preghiere, perché il Signore possa aiutare me e i miei collaboratori ad andare avanti nella nostra Missione quotidiana. Sta finendo il 2005: come Centro di Solidarietà abbiamo fatto tanto, forse avremmo potuto fare molto altro ancora. Abbiamo sempre Bianca Costa Bozzo, Presidente del Centro di Solidarietà di Genova 3 L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ Doppia diagnosi e comunità terapeutica l’esperienza Castore e Polluce di Ramon Fresta I l Centro di Solidarietà di Genova, a partire dal 1999, ha attivato un servizio rivolto ad utenti maggiorenni, di ambo i sessi, che oltre ad essere dipendenti da sostanze hanno la necessità di ricevere assistenza psichiatrica, soggetti che vengono comunemente definiti con “Doppia Diagnosi”. Dalla nascita delle Comunità Terapeutiche ad oggi ci si è resi conto che il tossicodipendente era parallelamente affetto da altri disturbi di natura psicopatologica, quali ansia, depressione, disturbi dell’umore e di personalità. Molti studi diagnostici condotti sulle persone inserite nelle Comunità hanno fatto emergere che più del 40% ha questo tipo di problemi. Questi soggetti tendono più degli altri ad agire in modo auto ed etero-distruttivo e arrivano ad interrompere i percorsi riabilitativi, con conseguenti ricadute sociali negative. Questo quadro di fondo è stato l’in-put iniziale per lo studio e la realizzazione del servizio, seguendo quella che è sempre stata una delle peculiarità che Bianca Costa ha voluto per il Centro di Solidarietà: attenzione al territorio, al mutamento dei suoi bisogni per dare risposte concrete ed efficaci alle sofferenze dei suoi abitanti. I ale servizio, nato come progetto sperimentale grazie al finanziamento del fondo lotta alla droga istituito dal D.P.R. 309/90, si è in seguito trasformato in una comunità residenziale chiamata “Castore e Polluce”. Il Progetto comprende sostegno psicologico e psichiatrico, intervento educativo-comportamentale, cure infermieristiche, intervento familiare e lavoro di rete. L’obiettivo che ci si pref igge è quello di accompagnare la persona verso l’inclusione sociale, anche attraverso il passaggio in “appartamenti protetti” affinché la strada verso l’autonomia sia graduale e monitorata costantemente. L’équipe che segue la comunità di Castore e Polluce è composta da un Responsabile, da Educatori professionali e Medici psichiatri, da uno Psicologo e da Infermieri professionali. Si avvale delle consulenze di un responsabile sanitario, di un legale e di un supervisore. Dopo cinque anni di lavoro il Centro ha sentito la necessità di condividere dati ed esperienza con quelli di altre realtà nazionali e regionali. Da qui l’origine del convegno: DOPPIA DIAGNOSI E COMUNITA’ TERAPEUTICA - l’esperienza “Castore e Polluce” del Centro di Solidarietà di Genova. Una storica azienda genovese si rinnova e propone la sua gamma di prodotti di alto livello qualitativo corredata dalla certificazione della qualità ISO 9002. DA OGGI LE PITTURE PER L’EDILIZIA, L’INDUSTRIA E LA MARINA AVRANNO IL NUOVO MARCHIO Una garanzia in più di continuità e adattamento alle mutevoli esigenze del mercato Colorificio Federico Torre S.p.A. - Via Romairone, 72 16163 Genova - S. Quirico Tel. 010.72.64.911 - Fax 010.72.64.948 4 L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ L’incontro ha avuto luogo Venerdì 28 ottobre 2005 nella magnifica Sala del Capitano di palazzo San Giorgio che l’Autorità Portuale genovese ha messo a disposizione gratuitamente. Dopo i saluti delle autorità: il “padrone di casa” Giovanni Novi, il Presidente della regione Claudio Burlando e gli Assessori Veardo e Torti per il Comune e la Provincia, la Presidente del Centro -Bianca Costa- ha aperto i lavori, durati tutto il giorno, lavori che sono stati seguiti da una foltissima ed attenta platea di operatori del settore. Le diverse relazioni hanno sviluppato il discorso su diverse direttrici e prendendo in esame la situazione non solo ligure. Il Dr. Bignamini, direttore dell’U.O. patologie delle Dipendenze della ASL 3 di Torino, nella sua relazione ha messo in luce come il contenitore della doppia diagnosi corra il rischio di diventare il rifugio di tutte quelle situazioni di difficile comprensione e gestione; da qui la sottolineatura di una diagnosi chiara come strumento per l’operatività. Ha trattato anche della rete di relazioni -”i nodi”che sussistono tra organizzazione, paziente e terapeuta. Il Dr. Renzetti, sociologo clinico con grande esperienza di formatore e supervisore in molte realtà di diverse regioni, ha sviluppato maggiormente il tema del punto di vista sociale sulla doppia diagnosi. È partito dal mutamento dello scenario del mondo della tossicodipendenza: attualmente la realtà è caratterizzata “da poliassuntori a dominio di cocaine”. Ha evidenziato come tale fenomeno sia strettamente legato allo stile di vita della società del duemila che rincorre “la prestazione” in ogni campo (sia lavorativo che nel tempo libero). Ha terminato dicendo che non può bastare il ricorso al DSM4 per definire il fenomeno, se non si esce da quegli schemi si rischia di non “vedere” alcuni fenomeni ed ha sottolineato come -nel trattamentosia fondamentale considerare anche il mondo dei valori che orienta la nostra vita ed il nostro modo di stare in mezzo agli altri. La Dott.ssa Trogu, della AUSL 8 di Cagliari, parlando dell’integrazione psico-biologica dei trattamenti, ha riportato dati in cui si osserva come sia trattamenti psicofarmacologici che psicoterapici possano migliorare i risultati ottenibili dai pazienti portatori di patologia psichiatrica.Ha mostrato come, proprio sulla base di osservazioni di questo genere, abbia preso piede la implementazione di programmi integrati in grado di rispondere a bisogni diversificati di tipo sanitario e sociale che spesso si accompagnano alle condizioni di grossa sofferenza psichica. La Dott.ssa Peroni, coordinatrice della “rete tematica Doppia Diagnosi” della FICT, ha illustrato l’attività svolta f ino ad ora dal gruppo che vede rappresentati 12 centri della Federazione. Ha riportato alcuni dati dell’utenza seguita e si è soffermata sui valori ispiratori ed il mutato lavoro degli operatori che hanno dovuto imparare a lavorare in equipes multidisciplinari. Ha terminato il suo intervento ricordando quello che ancora resta da fare:una maggiore attenzione ai problemi legali, dei protocolli chiari per le ammissioni e le dimissioni, la cura dell’aspetto educativo e la raccolta dei dati. Nelle relazioni riguardanti mag- giormente la nostra regione, il Dr. Semboloni -Coordinatore del Dipartimento delle Dipendenze della ASL 3 genovese- ha presentato il percorso che ha definito il progetto di collaborazione tra dipartimenti e unità operative intra ed extraziendali per realizzare un protocollo di intervento sui casi definiti “doppia diagnosi”. Le relazioni inerenti la comunità Castore e Polluce, curate dai dottori Giacalone, Lazzari e Lizzio, hanno evidenziato la metodologia dell’intervento adottato all’interno del servizio e l’organizzazione dello stesso, inoltre -attraverso l’analisi di dati relativi all’utenza trattata- è stato fornito un profilo della persona che utilizza il nostro servizio di “doppia diagnosi”: maschio, età compresa tra i 30 e i 37 anni, in possesso di licenza media, vive in casa con la famiglia, ha spesso precedenti penali legati ad uno scarso controllo dell’impulsività e alla condotta tossicomanica; ha iniziato molto giovane ad usare sostanze ma ha anche avuto esperienze lavorative seppur segnate da instabilità. Nel tracciare la conclusione dei lavori, il Dr. Guelfi -membro del Comitato Scientifico del Centro di Solidarietà- ha sottolineato l’importanza fondamentale del lavoro di rete tra tutte le realtà che si occupano di tale fenomeno: Salute mentale, Dipartimento delle Dipendenze,Comune e Privato Sociale; altra necessità importantissima è quella di momenti di formazione comune tra tutti gli operatori di queste realtà affinché vi sia maggiore comprensione tra le parti favorita da un linguaggio e conoscenze comuni il tutto nell’interesse delle persone che vengono seguite. 5 L’ABBRACCIO 1000 ABBONAMENTI PER IL CENTRO • OLTRE 30 ANNI DI ATTIVITA’ SUL TERRITORIO • 800 RAGAZZI PIENAMENTE REINSERITI NELLA SOCIETA’ • OLTRE 2000 FAMILIARI CONTATTATI NEGLI ULTIMI 10 ANNI • PIU’ DI 100 RAGAZZI SEGUITI OGNI GIORNO DAI NOSTRI OPERATORI: UNA COMUNITÀ TERAPEUTICA TRADIZIONALE UNA COMUNITÀ PER DOPPIA DIAGNOSI UNA CASA ALLOGGIO PER AIDS DUE ACCOGLIENZE NOTTURNE A BASSA SOGLIA UN CENTRO DIURNO PER ADOLESCENTI E INOLTRE: • ATTIVITÀ DI PREVENZIONE NELLE SCUOLE E SUL TERRITORIO • VOLONTARIATO ATTIVO • UNA BIBLIOTECA DEDICATA AL SOCIALE Questi numeri illustrano le attività del Centro di Solidarietà di Genova, attività che necessitano di risorse adeguate per proseguire e ampliarsi ulteriormente verso nuovi bisogni che il territorio ci prospetta. Per questo, caro amico, chiediamo anche il tuo aiuto: ci siamo prefissi l’obiettivo di raccogliere 29 1000 abbonamenti all’Abbraccio per il 2006. Ti chiediamo di rinnovare il tuo abbonamento e, se possibile, farne sottoscrivere altri: il tuo sostegno è 40 fondamentale per noi! L’ABBRACCIO O I C 21 AC R B B A L’ IO C AC R B ’L AB Rivista trimestrale di informazione del Centro Solidarietà Genova , 9/B arino .02 r.a. o Garb 25.46.02 i Via Asil- Fax 010. Balestrer ova 6 Gen 25.46.01 Silvano ova 26/94 1612 010. bile: di Gen Telefono Responsa unale ova Trib - Gen Direttore zione 50% rizza Auto abb. postale 2002 . S.r.l. Sped • 2° Trimestre stampa Genova N. 29 zione e iche Realizza t Arti Graf TotalPrin 16126 Genova - Via Asilo Garbarino, 9/B Telefono 010.25.46.01 - Fax 010.25.46.02.02 r.a. Direttore Responsabile: Silvano Balestreri Autorizzazione Tribunale di Genova 26/94 Sped. abb. postale 50% - Genova N. 21 • 2° Trimestre 2000 Realizzazione e stampa TotalPrint Arti Grafiche Genova S.r.l. ale mestr ta tri one Rivis ormazi di inf ntro va del Ce età Geno ari Solid r.a. , 9/B 2 no 6.02.0 ri S.r.l. rbari 5.4 Ga 0.2 lestre va ilo x 01 Ba Geno 05 a As - Fa no int - Vi 6.01 SilvatalPr del 20 ) e: /94 nova 5.4 sabil a: To N. 2 26 abb. N° 46 6 Ge 0.2 on mp 05 nova ed /04 12 o 01 sp 16 lefon e Re e e statre 20 Ge .A. sp /02 Te rettor azion imes le di S.p L. 27 Di alizz 2° Tr Euro ibuna liane nv. in Re 40 • 1,00 e Tr ste Ita 3 (co va N. zo azion Po 00 Geno Prez torizz O.C. 353/2 B Au iffa R. - D.L 1, DC tar stale mma po 1 co art 16 Te 12 D le 6 R iret fono Gen N ea to ov Pr . 41 lizza re 010. a A ez • zi Res 25 - V ta ut zo 3° on po .4 ia po riff oriz 1, Tr e e ns 6.01 Asi ar stal a R zazi 00 E imes stamabile - lo G t 1 e .O on ur tr Fa co - D .C e o e 20 pa: : Si x 01arba lv m .L . Po Tr 05 Tota an 0. rino m 35 st ib a 1, - N lP o B 25.4 , 9/ 3/ e It unal . 3 rint ales 6.02 B D 20 al e CB 03 ia di de Gen trer .0 l 20 ov i 2 G (conne S. Gen en r.a 05 a ov v. p.A ova . S. a in . 26 r.l L. sp /9 . 27 ed 4 /0 ab 2/ b. 04 N ° 46 ) L’A BB RA CC IO ale estr trim one ista azi ova Riv informtro en di Cen età G del dari li So “Die Jungfrau” - Gustav Klimt il 22 giugno il Centro ha celebrato così la giornata mondiale contro l’abuso di droghe Foto di Giu liana so Traver Un convegno sull’occupazione femminile: 41 abbonamento “ordinario” € 25 abbonamento “sostenitore” € 50 6 ora ign rietà s , a a nc olid Bia lla S de C er ch ia vo mo lo nt ar i R d ivis d i in ta So el C for trim lid en ma e ar tro zio str ie ne ale tà G en ov a Abbiamo ipotizzato due possibilità: Per l’abbonamento si può utilizzare il bollettino postale pre-intestato che trovate allegato alla rivista o fare un versamento sul C.C. Postale N° 22030167 Intestato a: Associazione Centro di Solidarietà L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ La ricetta del sociologo contro la dipendenza: riscoprire i valori della vita a “doppia diagnosi” è un fenomeno plurale, complesso, ma soprattutto controverso, sia sul piano trattamentale che dal punto di vista diagnostico. Qui non affronterò questioni di carattere eziologico o clinico, ma cercherò di leggere il fenomeno all’interno di una cornice più ampia, concedendomi -per brevità- una certa vaghezza. Partirò da due domande per niente scontate: in questi ultimi 10 anni è cambiata la scena della tossicodipendenza? Possiamo continuare a proporre pratiche consolidate verso un target che nel corso del tempo è rimasto sostanzialmente lo stesso? Ho riguardato alcuni rapporti di ricerca sugli stili di consumo dei tossicodipendenti, sulla base di dati relativi all’ultimo trimestre 2004 e al primo semestre 2005. Sono realtà differenti che seguo come supervisore. Torino, Ivrea, Alessandria, Cremona, Brescia, Perugia, sono città di dimensioni diverse ma tutte con una presenza significativa di popolazione dipendenti da sostanze stupefacenti. Le ricerche che hanno come ambito di indagine le Unità di Strada -i “drop in center”- gli spazi di somministrazione del Metadone, sono ricerche che -in media- hanno coinvolto il 20-30% P ERCHÉ È GIUSTO PARLARE DI “COCAINE”, AL PLURALE di Claudio Renzetti* L singolare), si è modificata e anche molto. degli utilizzatori di questi servizi. Ogni ricerca aveva una domanda simile: “Quali sono le sostanze che usi frequentemente?”. Ecco la classifica (per ordine di preferenze): • EROINA+COCAINA • EROINA+METADONE +COCAINA • EROINA+ALCOOL+COCAINA • COCAINA+METADONE +PSICOFARMACI • EROINA+METADONE +COCAINA+ALCOOL +PSICOFARMACI • ALCOOL+EROINA +CANNABIS+METADONE T ornando ai quesiti di partenza, la mia tesi è questa: la scena della tossicodipendenza è cambiata ed è caratterizzata da poliasuntori a dominio di cocaine. E questo ha una rilevanza qualitativa e quantitativa che impone nuove pratiche. Non sto parlando solo del mondo della notte - fenomeno proteiforme dentro il quale c’è un consumo statisticamente rilevante di sostanze illegali (eccitanti, dispercettive, depressive) e legali. Dico solo che la che la tossicodipendenza, intesa come insieme di fenomeni patologici (declinati al plurale e non al A mio parere, siamo di fronte a un’offerta inedita, per quantità e varietà, di sostanze connotate con questo nome: sostanze che mimano, ma non sempre, gli effetti eccitanti/stimolanti della “cocaina”. Con questo nome vengono vendute/acquistate dosi diverse per taglio -principio attivo- modalità di assunzione. A volte c’è una stessa connotazione nominale ma non una corrispondenza farmacocinetica. Le Cocaine sono apprezzate come: sostanze “diurne” (droghe da lavoro, da prestazione); sostanze “notturne” (droghe ricreazionali per il piacere e il tempo libero); sostanze “transtemporali” (droghe usate non tanto in rapporto ad una scansione temporale e con un fine performativo, ma adottate con un fine “compensativo”). P ERCHÉ PARLARE DI POLICONSUMI? Oggi il policonsumo rappresenta lo stile dominante. Siamo passati da un percorso lineare verso la dipendenza (alla ricerca della sostanza top/elettiva, con le altre sostanze in una funzione di contorno) ad un percorso combinatorio. È la lezione di J. Stein rivista e corretta: “La cocaina e l’eroina 7 L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria Giovanni Novi, presidente dell’Autorità portuale non sono più quelle di una volta. Allora, credi a me, mescola perché non esiste la droga ideale”. Con “Policonsumo” si intende un’associazione (sequenziale o contemporanea) di farmaci legali e illegali, prescritti e auto-prescritti. Da notare bene che la sfida delle grandi case farmaceutiche è tutta proiettata sulle biotecnologie (un fatturato di 37 miliardi di dollari anno), cioè sulla capacità di personalizzare i trattamenti adattandoli alle caratteristiche dei singoli pazienti. Questa innovazione rivoluzionaria assume una forma mista, un mix tra arte e ingegneria. Ma oggi si va affermando anche una tendenza “povera” al consumo personalizzato di droghe: non si interviene (ancora?) sui singoli farmaci per equilibrarli in relazione alla caratteristiche genetiche degli assuntori e alle loro attese/preferenze, ma c’è un consumo che sperimenta diverse combinazioni. Q UALI SONO I CRITERI DI ASSUNZIONE? Angelo Giulio Torti, assessore della Provincia Paolo Veardo, assessore del Comune di Genova 8 Si possono osservare almeno due condotte: 1) autoregolamentazione, una forma di autocontrollo da consumatori esperti, per potenziare progressivamente un effetto desiderato secondo un approccio che definisco “uso performativo”, che segue un criterio con andamento esponenziale: coca+amfetamina, oppure metadone+alcol, ecc.), chiamo questo approccio; oppure per equilibrare/compensare effetti di segno diverso, secondo un approccio che definisco “uso compensativo” e un criterio mediatore: metadone+ cocaina, oppure cocaina+alcol, oppure cocaina+eroina, ecc. 2) occasionalità, un consumo apparentemente disordinato e non programmato: random. Solo alla fine della giornata il soggetto può fare un bilancio di quello che ha consumato in rapporto alle occasioni avute. Se una volta erano i tossicodipendenti a dire cosa assumevano (dichiarando preferenze predeterminate) ora questo lo si scopre solo con gli esami Tossicologici (“pensavo di consumare Cocaina, ma non saliva. Poi il medico mi ha spiegato che era eroina”). I PROBLEMI LEGATI ALLE COMBINAZIONI DOMINATE DALLE “COCAINE” • Peggioramento del quadro sanitario (fuori vena, flebiti, ecc.) • Disturbi mentali latenti che vengono evidenziati • Maggiore inclinazione a delinquere • Siero conversioni, MTS e HIV+ • Bassa adesione ai trattamenti • Indisponibilità di farmaci anti over • Relazioni difficili con i pazienti Le patologie mentali (già latenti o innestate/favorite dal mix di sostanze) sono prevalentemente i disturbi dell’umore e i disturbi della personalità. E qui mi fermo perché non voglio rubare il mestiere ad altri che hanno una competenza maggiore della mia. L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ L A DOPPIA DIAGNOSI, NUOVO EFFETTO DEL DISAGIO Dopo questa prima analisi, desidero soffermarmi su un interrogativo ricorrente: esiste un “punto di vista sociale” che ci aiuti a comprendere meglio la particolarità del fenomeno che stiamo trattando? Possiamo dire che le osservazioni sui casi di doppia diagnosi mettono in luce caratteristiche che sono proprie della nostra contemporaneità? Oppure, rovesciando il ragionamento, possiamo supporre che l’analisi di alcune variabili culturali e valoriali della nostra civiltà ci aiutino a capire gli attuali fenomeni di adiction e i disturbi psichici ad essi associati? Questa è una scommessa desiderabile, vediamo in che misura è anche possibile. Se la scena della tossicodipendenza è cambiata con i policonsumi diffusi e con l’entrata dirompente delle cocaine, dobbiamo formulare delle ipotesi interpretative. Possiamo dire che “è tutta colpa del mercato”? Grande varietà di offerta a prezzi accessibili: è tutto lì il punto? Non mi piacciono le risposte uniche e non mi piace la parola “colpa”, ma certamente il mercato ha il suo peso. Il mercato plasma il consumatore, ma è anche vero che il consumo viene alimentato da una domanda che nel tempo si consolida come “bisogno sociale”. E questo bisogno sociale viene sostenuto (in maniera circolare) da credenze, valori, simboli, stili di vita, ecc. Proverò a spiegare meglio il mio punto di vista, sperando che qualcuno lo corregga o lo migliori. Pensate alle sollecitazioni pubblicitarie che scandiscono la nostra quotidianità. Voglio ricordarvi solo alcuni slogan: “A cosa serve un conf ine? Ad essere superato” (TIM) “Il futuro non è un luogo da scoprire ma un’emozione da provare” (GRUNDING) “Impossibile non è un fatto ma un’opinione” (ADIDAS) “Vodafone - e tutto ruota intorno a te!” (VODAFONE) “Non sai mai da dove arriverà il tuo prossimo concorrente: go on be a tiger” (un’agenzia di consulenza aziendale) Si, certo, sono tra loro diversi ma c’è un filo comune che li lega. Questi messaggi non solo promuovono un prodotto, ma descrivono un consumatore: decisamente in affanno, continuamente in gara, disperatamente incerto, irrimediabilmente vulnerabile. Se non hai Vodafone non sei nessuno - sei lontano dal centro e resti alla periferia del mondo. Se non sei TIM rimani dentro il perimetro dell’ovvio, del già noto, del banale e non puoi guardare cosa c’è oltre il confine. Queste sollecitazioni segnano una contraddizione: da una parte siamo di fronte ad un’offerta inedita di opportunità, dall’altra avvertiamo dolenti le nostre ridotte capacità di accesso. Per quanti sforzi io faccia mormoriamo dentro di noi: “Non riuscirò mai ad ottenere tutto quello che mi sta davanti”. Per quanti tentativi metto in atto, non riuscirò mai a fare tutto quello che sollecita il mio desiderio. Quello che ho non mi basta e ciò che desidero non posso averlo. Quando questa consapevolezza diventa lacerante, e non sappiamo convivere con essa abbassando le nostre aspettative, allora le sostanze psicoattive restano un rimedio formidabile. Il tavolo dei relatori: Mauro Palumbo (da sinistra), Tarcisio Mazzeo, don Franco Martini, Luigi Ferannini 9 L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ Monsignor Franco Anfossi, responsabile Caritas Palazzo San Giorgio, dove si è svolto il convegno 10 Come scrive Franzen (“Le Correzioni”, Einaudi): “Le droghe sono sexy perché offrono la possibilità di diventare qualcun altro”, dunque di moltiplicare la nostra soggettività ampliando le capacità percettive, emozionali, cognitive. Le droghe ci aiutano ad Essere ovunque ma non qui - né ora. Di fronte alle sfide della contemporaneità molti considerano due alternative (che spesso non sono antagoniste ma complementari): ci si può drogare, un rimedio formidabile perché favorisce una chiusura protettiva verso un mondo ostile, le droghe (come l’eroina) anestetizzano i dilemmi dell’esistenza, oppure possiamo doparci potenziando artificialmente le nostre capacità sensoriali e comportamentali. Con le cocaine, il viagra, le metanfetamine, l’EPO e tutto ciò che mi fa sentire imbattibile. Abbiamo rimedi per la memoria, per dimagrire, dormire, svegliarci, per rendere di più sul lavoro o al letto. Sostanze illegali e prodotti farmaceutici fanno a gara per ricordarci: non solo che non c’è festa senza alcol (“No Martini, no party”) ma radicalmente “No drugs, no future”. “La strada farmacologica per l’incremento delle prestazioni lavorative e per il gioioso rilassato godimento del tempo libero non si presenta priva di rischi… Tuttavia, per non finire dalla parte dei perdenti, chi vuole stare al passo con la velocità delle macchine e dei processori, deve essere disposto ad adattarsi con tutti i mezzi disponibili, mettendo in conto i rischi”. Dunque: “L’uso di sostanze che danno assuefazione aumenterà nel senso di una prescrizione sociale, cioè per migliorare il proprio rapporto con le richieste della quotidianità” (Gunter Amendt p. 19-41). Ecco, penso che i disturbi dell’umore (il binomio ansia/depressione) e i disturbi della personalità (rifiuto della propria incerta/angusta identità) associati alle sostanze di addiction hanno a che fare con tutto questo, con la ricerca di contenere la consapevolezza di un sé mancante, di un soggetto claudicante che arranca verso traguardi che si spostano continuamente in avanti. A LCUNE RACCOMANDAZIONI Ragionando di droghe e di salute mentale non possiamo prescindere dagli stili di vita e dai modelli culturali che li orientano e prescrivono. Ragionando di doppia diagnosi mettiamo da parte il DSM 4 e altri manuali perché se utilizziamo solo quelle lenti di lettura rischiamo di non vedere fenomeni inediti, spuri, sottotraccia. Non possiamo occuparci di trattamento se non riconsideriamo l’adeguatezza delle nostre pratiche ai mutamenti della scena della tossicodipedenza. Non possiamo occuparci di trattamento se non affrontiamo - come azione non solo preventiva ma “pervasiva” - questioni che riguardano l’etica, ovvero la lista dei valori che governano la nostra vita e i nostri modelli di convivenza. * Sociologo clinico L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ Come trattare i pazienti con dipendenze e psicopatologie di Ezio Lazzari, Donatella Giacalone e Anna Valbusa I l Progetto Castore Polluce nasce dall’individuazione che più del 50% dei tossicodipendenti presenti presso le Comunità “Tradizionali” presentano anche una patologia psichiatrica, il che ha fatto pertanto emergere con chiarezza che questi soggetti tendono più degli altri ad agire in modo auto ed etero distruttivo e tendono ad interrompere i diversi percorsi riabilitativi intrapresi, con conseguenti ricadute nel contesto sociale. Il paziente inserito nel progetto di Doppia Diagnosi, oltre alla problematica relativa all’uso di sostanze, presenta, quindi, un quadro psicopatologico: ansia, depressione, disturbi dell’umore, di personalità, con significative difficoltà nella costruzione di relazioni efficaci e, in generale, nella socializzazione. Il dibattito scientifico sul termine “Doppia Diagnosi” si presenta vivace nel tentativo di darne una definizione univoca. Noi ci riferiamo alla termine “diagnosi duale” attribuito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1995, che recita: «coesistenza nel medesimo individuo di un disturbo dovuto al consumo di sostanze psicoattive e di un altro disturbo psichiatrico». Da qui la decisione, da parte del Centro di Solidarietà di Genova, di dare vita a partire dal 1999 al Progetto “Castore e Polluce” - istitu- zionalmente definito Doppia Diagnosi - per utenti maggiorenni, di ambo i sessi, interessati da dipendenza da sostanze con comorbilità psichiatrica. I l trattamento degli utenti “Doppia Diagnosi” I punti fondamentali nel trattamento degli utenti “doppia diagnosi” si focalizzano nel: lavoro sul comportamento, che si traduce nel trasmettere al paziente il prendersi cura del proprio spazio/ambiente fisico/cura del sé come punto di partenza per poter agire, ove possibile, un cambiamento più profondo e sul contenimento del disagio psichico, che consiste nell’accettazione delle regole di vita comunitaria e il rispetto dei tempi di cura per impostare un efficace percorso riabilitativo, modif icare le scelte del paziente rispetto alle condotte di abuso e acquisire una consapevolezza del proprio trattamento psichiatrico e dei suoi funzionamenti; la presa in carico familiare, offrendo sostegno e informazione, completa e definisce l’approccio sociale che connota il Progetto Uomo. Il Progetto offre i propri servizi ad utenti uomini e donne con problemi di dipendenza da sostanze (alcool, eroina, cocaina, nuove droghe) ed in presenza di sofferenze psicologiche e/o patologie psichiatriche con una severità che consenta comunque la realizzazione di un percorso f inalizzato all’autonomia funzionale della persona e ad una sua conclusione del percorso terapeutico intrapreso. Il percorso comunitario all’interno della struttura “Castore e Polluce” si articola in quattro fasi: Fase 0: Valutazione diagnostica La fase preliminare all’inserimento dell’utente in struttura comprende una serie di colloqui di conoscenza finalizzati alla definizione di un potenziale percorso terapeutico che prevede: la segnalazione da parte del Servizio pub- I relatori: Donatella Giacalone (da sinistra), Ezio Lazzari, Pippo Rossetti, Giovanni Lizzio, Donatella Peroni 11 L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ blico di riferimento (SerT e SSM), i colloqui individuali (eventualmente anche con i familiari disponibili) con lo psichiatra della struttura e con l’operatore, l’individuazione in sinergia con il Servizio inviante degli elementi essenziali sui quali risulterà necessario intervenire durante il programma terapeutico riabilitativo, inf ine il confronto sul caso in équipe diagnostica. Fase 1: Osservazione e diagnosi La fase diagnostica ha una durata che varia da 1 a 3 mesi, in regime residenziale e si pone i seguenti obiettivi: eventuale disintossicazione da terapie sostitutive, inquadramento diagnostico attraverso la somministrazione di questionari psicodiagnostica (CBA, ASI, SCID I e II), scelta e definizione del contratto terapeutico con l’utente e la famiglia. Il contratto in tutte le fasi è stipulato dagli operatori del progetto in accordo con l’utente e gli operatori del Servizio Pubblico. Fase 2: Percorso comunitario In fase progettuale i tempi variano da un minimo di sei mesi ad un massimo di dodici mesi. Tale periodo può naturalmente subire delle variazioni a seconda della valutazione che l’équipe effettuerà sull’andamento del percorso dell’utente. Questa fase prevede un percorso terapeutico individuale e di gruppo e un coinvolgimento dell’utente nelle attività riabilitative, lavorative e ricreative della struttura, che si prefiggono di: contenere il disagio psichico dell’utente, stabilizzare la patologia psichiatrica e 12 Il grafico sintetizza l’importanza del lavoro in rete tra servizi, famiglia e comunità terapeutica favorire la risoluzione della dipendenza da stupefacenti, ridurre il danno da abuso di sostanze, educare al benessere, recuperare i legami familiari ed amicali ed infine individuare percorsi di reinserimento. Fase 3: Reinserimento Durante il percorso verrà valutato insieme all’utente ed al Servizio Pubblico quale tipo di conclusione del contratto terapeutico ipotizzare, quali gli obiettivi e che tipo di rete socio assistenziale attivare per sostenere l’utente nel suo percorso di reinserimento sociale e lavorativo. In tale fase ci si propone di favorire un’autonomia funzionale e lavorativa, laddove possibile, creando le condizioni per un eventuale reinserimento in famiglia o nelle case alloggio del Progetto Mappe al fine di garantire continuità nel processo riabilitativo verso un’adeguata reinclusione sociale. Ma cosa intendiamo per Progetto “Mappe”? Il Centro di Solidarietà di Genova ha attivato nel secondo semestre del 2003 un Progetto, denominato “MAPPE”, consistente in alloggi protetti per un’ utenza che inizia a sperimentarsi all’esterno della struttura, ma necessita ancora di una fase di sostegno intermedia alla completa autonomia lavorativa ed abitativa. Ogni alloggio può ospitare fino ad un massimo di tre persone per una permanenza massima di 12 mesi. Durante tale periodo l’utente sarà seguito da una équipe composta da educatore, psichiatra, psicologo e infermiera. Tale intervento è una parte di un insieme più vasto di contributi teorici ed applicativi che hanno caratterizzato questa importante giornata di studi. Il Convegno ha avuto l’obiettivo di descrivere il fenomeno Doppia Diagnosi dando voce sia all’operatività dei Servizi del territorio nazionale sia alle impostazioni teoriche sottostanti che tratteggiano il lavoro sul campo. L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ Il ruolo dei volontari per aiutare a ricostruire rapporti e relazioni sociali di Giovanni Lizzio* I l 28 ottobre scorso il Centro ha promosso una giornata di studio intorno al fenomeno “doppia diagnosi” ed alle sue implicazioni clinico-riabilitative. È stata anche l’occasione per presentare ufficialmente il lavoro svolto in questi anni dalla struttura “Castore e Polluce”, presentandone la filosofia ispiratrice, il Progetto Uomo, i riferimenti teorici e i risultati ottenuti. In questo articolo viene presentato una sintesi della relazione sui dati epidemiologici raccolti e presentati. D oppia diagnosi: alla ricerca di una definizione La comorbilità, chiamata a volte «diagnosi duale» (dual diagnosys), è stata definita nel 1995 dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come la «coesistenza nel medesimo individuo di un disturbo dovuto al consumo di sostanze psicoattive e di un altro disturbo psichiatrico». Il termine “doppia diagnosi” definisce quindi una persona che soffre contemporaneamente di un problema legato alla dipendenza da sostanze stupefacenti ed una qualche patologia di tipo psichiatrico. L’intervento terapeutico riabilitativo deve tenere conto di questa complessità e deve quindi puntare ad una corretta valutazione della severità clinica di entrambe le sofferenze per identificarne adeguati luoghi e strumenti di cura e riabilitazione. L a ricerca sulla comunità Castore e Polluce Obiettivo della ricerca presentata al convegno era quello di studiare le condotte di abuso e la comorbilità psichiatrica nei pazienti della comunità doppia diagnosi, dalla sua apertura ad oggi, alla ricerca di una spiegazione del fenomeno “doppia diagnosi”. I dati epidemiologici sono stai raccolti mediante l’utilizzo di due strumenti diagnostici, l’Addiction Severity Index (A.S.I.) e la SCID I e II. • Addiction Severity Index: è uno strumento composto da X aree del contesto personale e sociale del paziente (schede medica, legale, familiare, formazione e lavoro, condotta di abuso e dipendenza da sostanze, psichiatrica e psicologica) e si presenta come un’intervista strutturata che l’operatore realizza con il paziente al suo ingresso. È molto utilizzata nel settore del lavoro sulle tossicodipendenze sia da strutture pubbliche sia private, e costituisce una sorta di cartella anamnestica del pazien- te. L’operatore, al termine di ogni scheda, è chiamato a dare una valutazione del grado di severità (problematicità, urgenza, importanza) riscontrato dall’intervista con il paziente. • SCID I e II: è uno strumento clinico che permette di analizzare le problematiche psicopatologiche riportate dal paziente e ne fornisce una diagnosi in asse I e II, secondo i criteri diagnostici del Manuale Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV) manuale di riferimento a livello mondiale per la diagnosi dei disturbi psichiatrici. Il campione dei soggetti in doppia diagnosi, 63 soggetti (53 maschi e 10 femmine), è stato anche confrontato con un gruppo di utenti presenti nella CT Trasta nel mede- Giovanni Lizzio traccia il bilancio di Castore e Polluce 13 L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ simo periodo temporale, composto da 53 soggetti (49 maschi e 6 femmine), allo scopo di studiarne le diversità rispetto alla condotta di abuso di sostanze stupefacenti. C astore e Polluce e CT Trasta: somiglianze e differenze Il prof ilo medio ricavato dalle scale ASI indica una generale maggiore severità (gravità) per il campione doppia diagnosi, elemento che si riscontra poi nella pratica clinica ed educativa. Lo strumento permette di evidenziare le aree critiche all’ingresso del paziente in comunità e di attivare adeguati interventi di supporto (fig.1, profilo di severità A.S.I.). In doppia diagnosi abbiamo una percentuale minore di utilizzatori di cocaina ed una maggiore di poliabusatori e di alcolisti. In entrambe le strutture gli eroinomani sono più del 45%. Questo dato, oltre ad evidenziare un generale maggior utilizzo di stupefacenti da parte del campione doppia diagnosi ci porta a riflettere sul suo uso autoterapeutico in un quadro psicopatologico che sembra quindi essere primario (fig.2, distribuzione soggetti per sostanza primaria). La doppia diagnosi si caratterizza per una distribuzione maggiore dell’età di esordio rispetto a quello della comunità tradizionale. Si delinea quindi il profilo di un paziente giovane, che sta male e che inizia ad usare droghe “pesanti” per ristabilire un proprio equilibrio emotivo e funzionale. L’andamento del grafico evidenzia 14 che i pazienti della doppia diagnosi hanno iniziato più precocemente l’utilizzo della sostanza primaria rispetto a quelli della comunità tradizionale (fig. 3, età esordio condotta di abuso). Il paziente doppia diagnosi risulta FIG.1 FIG.2 FIG.3 abitare prevalentemente da solo o in regime controllato, comunque lontano dal nucleo familiare di origine o di riferimento, specie se sono presenti anche dei figli (fig. 4, condizione abitativa). L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ I Il trattamento del paziente “doppia diagnosi” Il fenomeno doppia diagnosi si manifesta prevalentemente con l’associazione “disturbo dell’umore” e “disturbo borderline di per- FIG.4 FIG.5 sonalità”, con una prevalenza, nella prima categoria, di pazienti con diagnosi di disturbo bipolare. Dal punto di vista dell’esito del percorso comunitario questi soggetti mostrano le maggiori difficoltà nell’adesione alle regole comunitarie, durante il percorso riabilitativo, e di relazione interpersonale nonché di gestione dell’impulso all’uso di stupefacenti nella fase del reinserimento sociale. I dati rilevano anche la presenza di pazienti con diagnosi di disturbo borderline di personalità in assenza di diagnosi in asse I, fatto salvo per la dipendenza da sostanze. La diagnosi di disturbo borderline, sebbene sia spesso un contenitore diagnostico per la popolazione tossicomanica, evidenzia talvolta profili marcatamente disfunzionali, paragonabili a patologie più complesse quali psicosi, disturbo bipolare (f ig. 5, distribuzione principali diagnosi). La diagnosi di disturbo antisociale di personalità è stata, in questa ricerca, volutamente sottovalutata in quanto, in base agli strumenti di raccolta dei dati, risultava soddisfatta per tutta la popolazione tossicomanica, quindi scarsamente descrittiva del fenomeno doppia diagnosi. C FIG.6 onsiderazioni sul fenomeno doppia diagnosi Il fenomeno doppia diagnosi evidenzia, quindi, tutta la sua severità in quanto patologia che crea il vuoto intorno al paziente e ne rende molto difficile la sua reinclusione sociale. Il paziente risulta sostanzialmente solo, sia per la sua intrinseca difficoltà a mantenere relazioni sufficientemente stabili e durature, sia per la difficoltà del nucleo familiare di origine a gestire la patologia stessa: il percorso riabilitativo 15 L’ABBRACCIO COSTRUIRE IL FUTURO Gianpaolo Guelfi, anima del convegno deve quindi prendere in carico oltre che il paziente anche il suo nucleo familiare di riferimento. Dal punto di vista del percorso riabilitativo va considerato che le resistenze che il soggetto incontra nell’adattarsi e nell’aderire al trattamento ed al sistema di vita della comunità doppia diagnosi sono specchio delle difficoltà che incontra nel suo percorso di consapevolezza di malattia quindi vanno interpretate come manifestazione di un disagio che il paziente, in quel momento, non riesce ad affrontare. Le percentuali di abbandoni del percorso terapeutico, vanno rilette anche alla luce di queste difficoltà. Le percentuali di esito positivo confermano il valore terapeuticoriabilitativo del setting comunita- Molti giovani tra il pubblico che ha seguito le relazioni a Palazzo San Giorgio rio, in rete con i servizi territoriali e le famiglie dei pazienti (fig. 6, esito programma). I luoghi della cura L’analisi dei dati della nostra ricerca conferma la necessità e l’efficacia terapeutica di una struttura residenziale deputata all’accoglienza e al trattamento di soggetti doppia diagnosi, con una prospettiva a trattare un fenomeno che si dimostra a tendenza cronica. Si evidenziano quindi, da questo punto di vista, spazi di miglioramento prevalentemente legati alla formazione psichiatrica del personale di servizio ed all’intensificazione e stabilizzazione dei rapporti con le strutture esterne della rete. Anche l’attività di volontariato ricopre il ruolo di signif icativo strumento per riabilitativo e contenitivo per questa tipologia di pazienti: le attività ludiche (gite e simili) e i laboratori (fotografia, uso del computer, lettura e commento articoli o libri, …) diventano un importante momento di socializzazione e di confronto, per i pazienti, con persone diverse dall’equipe terapeutica, che li possono aiutare a sviluppare i loro interessi e recuperare le attitudini soffocate o nascoste dalla condotta di abuso. È essenziale, infine, una collaborazione piena con tutta la rete dei Servizi per le Tossicodipendenze e la Salute Mentale, innanzitutto per la conduzione dei casi e per la necessaria continuità al momento della fine del programma terapeutico del paziente. * Psicologo struttura “Castore e Polluce” 16 L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ Un patto tra pubblico e privato per salvare pazienti a rischio suicidio di Piergiorgio Semboloni* I l trattamento residenziale trova indicazione per una parte dei soggetti così diagnosticati. Una parte invece per la gravità della diagnosi o per le difficoltà comportamentali non riesce a trovare accoglienza presso strutture idonee È esperienza comune la difficoltà e, a volte, la crisi e infine il rifiuto, provocati nelle comunità tradizionali dal paziente con comorbidità. Si pone quindi un problema culturale per gli operatori del pubblico e del privato di confronto dei loro modelli con quelli di una cultura psichiatrica, rappresentata a sua volta da approcci molto diversi tra loro, in quanto al di là di un ipotetico momento unificatore -entro certi limiti- sulla diagnosi, dal punto di vista dell’intervento anche questi approcci possono differenziarsi molto tra di loro. Inoltre, parlando di residenzialità e comorbidità, é da aggiungere l’esperienza derivata in questi anni dal lavoro sull’istituzione psichiatrica, al fine di non ricadere nella riproposizione di istituzioni “pseudomanicomiali” o comunque totalizzanti, in quanto finalizzate al loro “automantenimento” per un nuovo “target” di pazienti che allo stigma sociale della tossicodipendenza uniscono quello del disturbo psichiatrico. A questo proposito bisogna sottolineare anche come la psichiatria che in molti casi, specie nel passato, ha cercato di liberarsi delle tos- sicodipendenze come di un fardello pesante e non gradito, da far gestire a rari cultori della materia, o comprimari, dedichi oggi molta più attenzione a questo tema, in una piena consapevolezza dell’importanza e dell’entità del fenomeno in termini sociali, tanto da rappresentare una quota prevalente della psicopatologia. Parlando quindi di rete delle opportunità e comorbidità non si può non far riferimento alle esperienze della psichiatria anche per quello che riguarda il significato di programma residenziale e semiresidenziale oltreché l’idea stessa di comunità terapeutica. È evidente infatti come si debba far chiarezza sul tipo di comorbidità a cui ci si riferisce, in quanto diversi sono i problemi che ci pone il tossicodipendente con disturbo di personalità rispetto allo psicotico grave e non può essere sufficiente affiancare uno psichiatra all’équipe per affermare la terapeuticità di quel progetto residenziale. A meno che non si tratti di pazienti già compatibili con i trattamenti attuali, portatori di patologie meno importanti e per i quali non sono quindi necessarie nuove strutture specifiche. Ma non sono questi che costituiscono il nostro problema. Il problema che noi ci troviamo spesso ad affrontare é invece quello di quei pazienti per i quali non c’è un posto dove stare, né nelle famiglie, né nelle comunità attuali, né nei Servizi attuali, né negli ospedali attuali. Sono quei pazienti che sfuggendo da un trattamento ad un altro, da una comunità ad un’altra, da un ricovero coatto in reparto psichiatrico ospedaliero a un’overdose, a un gesto clamoroso finiscono alla fine per trovarsi un posto attraverso quel suicidio che noi potevamo già prevedere. Pensando a questi pazienti vale forse la pena di fermarsi un momento a riflettere sull’esperienza delle comunità per tossicodipendenti e per pazienti psichiatrici, per capire a quale tipo di progetto terapeutico ci ispireremo. I criteri che consentono di definire una comunità come terapeutica sono comunemente def initi da queste caratteristiche: l’ingresso del soggetto deve essere frutto di una motivazione e di una scelta personale e non può essergli imposto in alcun modo da altri. La strategia fondamentale per promuovere il cambiamento é costituita dalle attività di gruppo, la comunità si deve proporre come struttura aperta. In Italia il movimento delle Comunità per tossicodipendenti sviluppatosi negli anni settanta ha avuto un importante modello di riferimento nelle comunità americane sviluppate a partire dall’esperienza di Syanon, la prima comunità residenziale per tossicodipendenti. Costantini e Mazzoni hanno proposto la distinzione tra comunità implicitamente ed esplicitamente terapeutiche, Kanaeclin nelle sue ricerche ha individuato tre differenti modelli organizzativi: Comunità orientate dalla trasmissione/imposizione di modelli di comportamenti adeguati, Comunità orientate a 17 L’ABBRACCIO COSTRUIRE IL FUTURO sbloccare/nutrire, comunità orientate alla comprensione dei comportamenti. Possiamo considerare a parte quelle comunità che si connotano ulteriormente per la presenza di un leader carismatico. Tali iniziative terapeutiche vengono definite da Bergeret come “anaclitiche” o “narcisistiche”, in quanto la tecnica si baserebbe su un rafforzamento quasi “ortopedico” della persona dall’esterno attraverso il terapeuta e/o l’istituzione. In questi ultimi anni, rispetto a queste affermazioni, sono avvenuti notevoli cambiamenti nei programmi residenziali e semiresidenziali. Si é arrivati a superare il tabù del farmaco in comunità, in numerosi casi del metadone, si parla di “moduli di programma capaci di modellarsi sulle diverse situazioni personali. “Ogni modulo deve contenere modalità e strumenti d’intervento dotati di una certa autonomia e in grado, al limite, di potersi staccare dal modulo che lo precede o che lo segue e di poter funzionare di per sé” (Bimbo). Il programma (o la struttura) per la doppia diagnosi dovrebbe salvaguardare una modalità differenziata di presa in carico: tali apporti per essere in grado di qualificare proprio quel tipo di servizio non possono prescindere dalla competenza plurispecialistica, ma devono garantire soprattutto flessibilità e modulazione dell’intervento per rendere produttivo un tale progetto é necessario un gruppo di operatori in grado di rielaborare i modelli tradizionali dell’intervento identificando e risolvendo ogni elemento di possibile cristallizzazione e 18 rinunciando il più possibile alla ripetizione di schemi operativi ormai acquisiti e spesso “maneggiati” in modo automatico. Appare chiaro quanto possa essere delicato l’intreccio di dinamiche educative con gli elementi dell’intervento clinico e terapeutico. Bisogna comprendere quanto si debbano ancora affinare gli elementi dell’intervento residenziale in un precario equilibrio tra educazione e trattamento a fronte della complessità delle condizioni che emergono al momento del distacco dalle droghe. Esiti delle droghe o condizioni preesistenti? Compensate dall’azione di contenimento della comunità o indotte a uscire allo scoperto proprio dall’esposizione all’intensa esperienza emotivo-relazionale del ricovero residenziale? Torniamo dunque alla necessità di inquadramenti diagnostici che consentano di definire il tipo di problema orientando gli interventi attraverso una relazione strutturata tra Servizi Tossicodipendenze e Comunità, lasciando un successivo spazio all’osservazione del paziente senza l’interferenza delle droghe e considerando le conseguenze di un contesto che comunque risulta modif icato rispetto a quello di provenienza, della famiglia di origine, senza la comprensione del quale anche la diagnosi rischia di rimanere un informazione statica e parziale. È evidente dunque la necessità di un lavoro di conoscenza e di integrazione che, guardando a questo tipo di paziente e alle riflessioni già fatte in campo psichiatrico da Zapparoli parlando di terapia dello psicotico, definisca l’integrazione su diversi piani. Il primo é tra i differenti poli di un’ideale triangolo, cioé trattamento psicofarmacologico, psicoterapeutico, riabilitativo-assistenziale. Un secondo piano riguarda l’integrazione tra i diversi membri dello staff curante, in maniera formalizzata, con la partecipazione di tutto il personale al gruppo di supervisione, in parte non formalizzata, tramite gli interventi e i contatti estemporanei di ogni giorno. Un terzo livello é più allargato: non riguarda tanto la comunità nel suo interno, quanto i suoi rapporti con i reparti ospedalieri e i Servizi di Salute Mentale e Tossicodipendenze di competenza, la famiglia, l’entourage e l’ambiente del singolo paziente . Questi rapporti devono essere stretti affinchè la struttura in cui operiamo rappresenti solo un momento, ci si augura evolutivo ed emancipativo, dell’assistenza al paziente ed é proprio il senso storico della continuità quello che deve essere mantenuto e fornito. A questo punto certe riflessioni in atto in campo psichiatrico sulle comunità e le funzioni residenziali possono diventare forse stimoli anche per noi per capire meglio a quali strutture stiamo pensando. Penso ad alcune considerazioni di Anna Ferruta che dal suo punto di vista di psicoanalista invita a riflettere su alcuni temi : Dobbiamo continuare a vedere la comunità come famiglia o esistono altre metafore più adeguate, dal momento che la comunità rappresenta una famiglia ideale di cui il paziente deve fare sempre il lutto L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ rispetto a quella reale? Gli operatori sono preparati a reggere un investimento o transfert indifferenziato sulla Comunità e non sul singolo operatore, con le frustrazioni che ne conseguono sul piano della relazione e dell’identità professionale? Cosa si intende per regole, un modello vero e proprio da rispettare o piuttosto una cornice che può essere infranta, all’interno di un processo flessibile di continuità e cambiamento? Se gli operatori diventano anche loro molto ingombranti i pazienti soffocano, come in quei casi dove si creano situazioni di identificazione alienante inconscia per intrusione di figure troppo forti, particolarmente a livello transgenerazionale, f ino ad arrivare al carattere innaturale e pietrificante di gruppi e comunità artificiali. Siamo dunque pronti noi operatori dei Servizi per le Tossicodipendenze e delle Comunità a confrontarci con questi temi, ad accettare il passaggio da una certa “ortopedia morale” alla “ quotidianità come produttrice di eventi”, considerando le strutture residenziali come “apparati produttivi di quotidianità, intendendo con Correale “ la quotidianità come sufficientemente prevedibile e capace di dare la sensazione di una rete di momenti significativi sempre riconoscibile e attendibile”, ma “allo stesso tempo capace di piccoli motivi di dubbio e incertezza che hanno il fine di incrementare il senso di responsabilità del singolo paziente, ridando sapore alle abitudini stesse in un clima in cui sono possibili parziali, nuove, piccole acquisizioni” ?. Credo che solo l’accesso a questo tipo di dibattito sulla sofferenza psichica dell’individuo e le connessioni con i suoi sistemi di riferimento ci consenta poi di fare quei progetti coordinati, quelle definizioni di complementarietà e di opportunità tra servizi ed enti ausiliari di cui abbiamo bisogno per affrontare questa sfida. L’esperienza di ricerca clinico-epidemiologica condotta nel corso del 2003 nell’ U.O. Ponente, in sintonia con i dati condivisi della letteratura più recente sull’argomento e con le attuali valutazioni delle Società scientifiche italiane (SIP, SITD) indica la opportunità di riservare la definizione di “doppia diagnosi” ai casi che, soddisfacendo i criteri proposti dal DSM, presentano una diagnosi propria di dipendenza e una diagnosi propria di altro disturbo psichiatrico, che si configurano ad un livello di gravità medio-alto. Il criterio della gravità, quindi, è il criterio unificante di condizioni cliniche diverse, e la gravità va intesa come compromissione del funzionamento globale della persona. La complessità generale dei pazienti con un quadro di comorbilità di questo tipo è per molti aspetti evidente: inevitabili e intricate sono le reciproche influenze delle condizioni psicopatologiche emergenti e sottostanti e lo stesso processo diagnostico, da cui scaturiscono le opportunità della cura, è reso problematico, in modo peculiare, sia dal punto di vista dei tecnici delle dipendenze che da quello dei tecnici della psichiatria. Si tratta di un gruppo di pazienti che, in presenza di quadri clinici confusi o complicati da intossicazione, astinenza, assunzione terapeutica di farmaci non in uso nei normali protocolli psicofarmacologici, generalmente ricevono, allo stato attuale, trattamenti psichiatrici occasionali, non sufficientemente mirati, parziali o disomogenei rispetto alle terapie in corso. La “doppia diagnosi”, dunque, non consiste nella semplice concomitanza di una condizione tossicomanica con un altro disturbo psichiatrico, ma nella realtà di una selezionata tipologia di pazienti, tuttora quasi totalmente in carico al Ser.T, che per le sue caratteristiche di cronicità grave, elevato tasso di ospedalizzazioni, bassa compliance ai trattamenti, più elevato rischio suicidario o di pericolosità sociale, costi complessivi maggiori a carico dei servizi sanitari, richiede modalità di gestione complesse, che non sembrano poter ragionevolmente prescindere dalla presenza di équipes curanti in grado di trattare, nello stesso momento, sia la dipendenza che il disturbo psichiatrico. Il gruppo costituito dagli operatori della U.F. “DD” ha stabilito contatti permanenti con i Servizi psichiatrici e gli operatori del privato sociale che svolgono attività in questo settore, tramite riunioni periodiche finalizzate alla sperimentazione di modelli intermedi di integrazione, fondati su premesse di gestione condivisa di casi clinici. * Coordinatore dipartimento delle dipendenze dell’Asl 3 genovese 19 L’ABBRACCIO INSIEME PER IL CENTRO Cento per Centro Nella gara della solidarietà è più facile vincere insieme IL CENTRO HA BISOGNO DEL VOSTRO AIUTO. BASTANO 1000 EURO ALL’ANNO PER SOSTENERE LE ATTIVITÀ DI PREVENZIONE E RECUPERO CHE IL CENTRO OFFRE ALLA CITTÀ DA PIÙ DI TRENT’ANNI. IL CONTRIBUTO È TOTALMENTE DEDUCIBILE. POTETE VERSARLO CON LE SEGUENTI MODALITÀ: BONIFICO BANCARIO A FAVORE DI FONDAZIONE “CENTRO DI SOLIDARIETÀ ONLUS” ISTITUTO S.PAOLO IMI - SEDE DI GENOVA C/C N° 60830 ABI 1025 CAB 1400 CAUSALE “100 X CENT(R)O” Ci hanno aiutato: AZIENDE CHIMICHE ANGELINI - BOERO - CALVINI AGENZIE CAMISASCA - CANEPA & CAMPI - C.E.I. - CHANCE - COM.INT - COMTRADE COSTA CROCIERE - COSTA EDUTAINMENT - DE FERRARI DE VEGA ECOLOGITAL - ENERCARBO G.O. - GRUPPO VIZIANO - G.S. - ICAT FOOD ISCOTRANS - LEVORATO MARCEVAGGI - MADI VENTURA MOTONAUTICA CALZA - NAVALSEA - NAVIGAZIONE FINEMME OFFICINE MARIOTTI - P.L. FERRARI & C. - SAAR SAIF COMBUSTIBILI - SEFIMAR - SGARBI SERVICE - S.M. SPIGA NORD - STILMODE MAIOCCHI - STUDIO BUFFONI TOTALPRINT - WORDS Deducibilità per le imprese: Ai sensi art 13 Dlgs 4/12/97 n° 460 le offerte alle ONLUS sono deducibili dalla dichiarazione dei redditi fino ad un importo di € 2.065,83 annui o il 2% del reddito d’impresa, come documentazione è valida la ricevuta del bonifico bancario. V i a P. P a s t o r i n o 1 8 6 r. - 1 6 1 6 2 G e n o v a - Te l . 0 1 0 . 7 4 . 1 5 . 0 5 4 - F a x 0 1 0 . 7 4 . 1 6 . 2 8 1 i n f o @ t o t a l p r i n t . i t - w w w. t o t a l p r i n t . i t 20 L’ABBRACCIO PER SAPERNE DI PIÙ Il debutto di un volontario al seminario della FICT a Varese di Giuliano Ortolani* I mprovvisamente invitato dalla nostra Presidente partecipo ad una occasione significativa: il convegno FICT. L’invito lì per lì mi sconcerta: io, un volontario tra gli ultimi, ad un convegno FICT?! Per altro all’ordine del giorno del convegno é la stesura definitiva di un importante documento: un documento programmatico, una di carta dei valori! Comunque, perplesso, accetto volentieri . Bene ho fatto ad accettare. L’aver partecipato ai lavori sul documento, nei gruppi, riflettendo, condividendo con altri gli aspetti valoriali che animano i vari centri della federazione, e la FICT stessa, sono arrivato più vicino alle mie motivazioni e agli aspetti valoriali che animano il mio essere al Centro perché di quanto il documento esprime ho trovato risonanza in me. Si dirà nel dibattito e verrà riportato sul documento: punto fondante di tutto il Progetto Uomo è la Persona; la Persona si realizza unicamente in quanto è relazione, è in rapporto con l’Altro. È Persona in quanto si rivela all’altro nel suo Essere, che si concretizza, nei fatti, nell’essere con e nell’essere per... Ho sempre creduto vero questo mottetto. Ho sempre più confermato in me la verità di questa asserzione. Ne trovo le radici anche in uno dei testi che, anche laicamente, più apprezzo: la Sacra Bibbia. Se vivere in relazione con l’altro è offrirsi per quel che si è e non quel che si ha, allora la vera vita è l’Essere non l’Avere. Essere significa vivere ciò che hai in te, non vivere ciò hai al di fuori di te. Essere e non apparire. Apparire è esibire qualcosa di esterno a noi, che esibiamo come nostro ma che non è parte del nostro Essere. È il mettersi a cantare in play back, canto ma la voce non è mia. Essere è evitare lo stridore tra ciò che si è e ciò che vogliamo mostrare. In questo senso il testo sacro ci aiuta. In diversi passi, del Deuteronomio e Geremia, si parla della circoncisione del cuore per vivere; circoncisione come nuovo modo di vivere la Legge, la regola; il profeta Ezechiele dice…Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne. Se potessi sintetizzare un aspetto del ricco messaggio di Gesù di Nazareth, direi che Lui non propone di essere dentro la Legge, l’Apparire, ma di avere la Legge dentro, l’Essere. Ricorderete il brano sui farisei, sepolcri imbiancati. Nomen est homen: il destino dell’uomo è scritto nel suo nome. Nelle sue lontane origini il nome di ciascuno identificava la realtà esistenziale dell’uomo; insomma i soprannomi identificano l’essenza della persona, rappresentavano la caratteristica esistenziale di colui che li portava. Anche l’etnologia conferma. Il nome proprio in molte antiche popolazione intanto si acquisiva con l’età adulta cioè con il carattere formato, e con questo darsi un nome ci si appropriava anche della responsabilità del portarlo. Il nome descriveva l’uomo come sarebbe stato nella sua vita: per gli indiani d’America il nome rappresentava le caratteristiche vitali della persona; così i nomi raccontavano di capacità di coraggio, di caccia, di delicatezza, di astuzia. Anche in Europa il cognome rimanda alle caratteristiche originali della famiglia, della persona. Nella pittura giapponese quando l’allievo raggiungeva un primo grado di autonomia artistica conservava nel proprio nome la desinenza del nome del proprio maestro, intendendo dire come in lui esistessero tracce del suo maestro; crescendo in abilità ed esperienza, diventato pittore, cambiava il suo nome in qualcosa di nuovo perché era una realtà nuova. Esisteva cioè tra il nome e il modo di essere del portatore del nome una massima sovrapposizione. In definitiva anche nel libro della Genesi, nella Bibbia, dopo la creazione di tutte le cose del mondo, Adamo ed Eva sono chiamati a dare un nome a tutte le cose create perché queste sussistano; ancora oggi ricercatori ed astronomi danno il loro nome alle loro scoperte. Il nome proprio descriveva il sé, il proprio modo di essere, e lo metteva in relazione con gli altri. Ecco allora perché, tra le altre tante motivazioni del mio volontariato, sono volentieri qui al Centro. Progetto Uomo propone e aiuta a sviluppare nei ragazzi/e questa ricerca del proprio “nome” che hanno scritto dentro di loro e li aiuta a viverlo nel loro quotidiano, con coraggio. Don Abbondio, nei Promessi Sposi, dice: il coraggio uno non se lo può dare. Non sempre è facile vivere quel che si è veramente. In questo senso sento Progetto Uomo come una levatrice, lo credo un contesto e una 21 L’ABBRACCIO INSIEME PER IL CENTRO serie di strumenti che aiutano la rinascita di un uomo/donna, come dalla crisalide la farfalla, e posso immaginare gli operatori come le levatrici. In altri termini, penso alla maieutica che ci riporta a Socrate e all’arte della levatrice (questo significa il termine) che il filosofo proponeva ai suoi allievi nell’aiutarli ad “Essere”, padroni di sè. Un Essere, una Persona esiste nei nostri ragazzi/e ma é annebbiata dalle paure, rinnegata dal rancore o travisata da falsi coraggi o da illusori paesaggi, immagine repressa od esaltata dalle sostanze. Progetto Uomo è là per aiutarla a ri-nascere, per renderla visibile a loro stessi perché possano accoglierla e viverla in serenità. Come d’altro canto dice la nostra “filosofia” : “qui una persona può rivelarsi a se stessa…” . Amo i ragazzi/e perché in definitiva nella loro alienazione, di fondo, cercavano, se volete anche con radicalità, questa scoperta o negazione del sé, di un sé così come loro lo sognavano. Andavano comunque incontro al sè stessi utilizzando strumenti impropri, sbagliati. Erano persone in ricerca, ma che hanno utilizzato strumenti fuorvianti per far nascere un sé che non era loro proprio, ma era quello che speravano o pensavano dovesse essere, e che si illudevano di dover far crescere per il loro, e a volte altrui, benessere. In fondo quindi vivo la Comunità come centro di puericultura: uno spazio dove far ri-nascere L’impegno del volontariato per uscire dal mare della solitudine uomini/donne in una sorta di partenogenesi ( una nascita per autofecondazione), quindi, come ogni parto, una realtà dove sussistono grande dolore ed estrema gioia, possibili estreme delusioni e grandi speranze. Esistono altri ambiti dove strutture aiutano a ri-nascere: le caserme. Spazi di contenimento e, anche in questo caso, di “ri-nascita”. Radicale è la differenza. Senza emettere giudizi di merito ma solo per esaltare una nostra specificità vorrei dire che le ns CT propongono, perseguono ed aiutano alla ri-nascita spontanea verso l’autonomia, che é antinomia della dipendenza, della obbedienza afasica militaresca, è un cammino verso l’Essere; nelle caserme, in ogni caserma, è vero il contrario si cerca di soffocare, di spegnere l’Essere per far nascere l’Apparire, si impone la Dipendenza dalla regola, dall’Ordine, magari urlato: l’antitesi dell’autonomia responsabile. Se le caserme possono essere strumento per difendere la pace, in questo senso la CT è costruttrice di pace proprio perché al contrario delle caserme rende gli uomini liberi, liberi di decidere di essere se stessi, responsabili del proprio orizzonte, liberi di vivere l’Essere, l’Essere in relazione con l’altro, che è lo strumento che aiuta a risolve i conflitti, anche domestici, perché nella relazione si incontra l’Altro e lo si conosce e così la paura si tace. Detto questo, sento la necessità di ringraziare il Centro e la sua Presidente per l’occasione che mi hanno offerto per conoscere meglio i grandi Valori che ispirano Progetto Uomo, una esperienza che mi ha permesso di confermarmi nelle mie scelte e di trovare nuove energie per il mio servizio di volontario. * Volontario del Centro 22 L’ABBRACCIO APPUNTAMENTI IMPEGNI DEL CENTRO Calendario 5 ottobre: Aldo partecipa all’incontro dell’osservartorio regionale sulla tossicodipendenza per conto del Centro. 6 ottobre: Bianca partecipa alla trasmissione “parliamone insieme” a Tele Genova, il tema è il libro scritto su di lei da Bruno Viani. 14 ottobre: Giovanna Moisio rappresenta il Centro all’assemblea del CICA. A Padova. 14 ottobre: Aldo partecipa, a Roma, ad un incontro sulla cocaina nell’ambito dei gruppi tematici FICT. 17 ottobre: Bianca partecipa alla trasmissione”Liguria in diretta” a Primocanale, per parlare dell’evoluzione del fenomeno droga. 18 ottobre: Ramon partecipa alla trasmissione “parliamone insieme” a TeleGenova: il tema è l’attualità della tossicodipendenza. 19 ottobre: Ramon partecipa all’incontro del Coordinamento genovese HIV, tema dell’incontro Bianca Costa Bozzo, insignita della Fronda d’Oro 2005 - La consegna dell'onorificenza durante la cerimonia ufficiale a Chiavari il 19/11/2005, dalle mani dell’Assessore Regionale Renzo Guccinelli. per gentile concessione di Foto Flash (Lavagna) - ©Fronda d'Oro 2005 è la preparazione della manifestazione del 1° dicembre. Mese di ottobre: Aldo partecipa ad una serie di appuntamenti della CLESC regionale che culminano con l’incontro con l’Assessore M. Costa il 27-10, obiettivo è la legge regionale sul Servizio Civile. 21 ottobre:Ramon e Ezio sono a TeleGenova per presentare il prossimo convegno sulla doppia diagnosi. 24 ottobre:Una troupe di TeleCittà viene al Centro per intervistare un nostro utente sul tema della cocaina per la trasmissione “Zona Rossa” del 25-10. 26 ottobre: Ramon e Ezio partecipano, insieme al DR. Semboloni, alla trasmissione “Buongiorno Liguria” di Telecittà per presentare il convegno sulla doppia diagnosi. 28 ottobre: È il giorno del convegno “ Doppia Diagnosi e Comunità Terapeutica” organizzato dal Centro a Palazzo S. Giorgio. 2-4 novembre: Paolo e Aldo sono in Bulgaria per verificare la possibilità di progetti di cooperazione con quello Stato. 19 novembre: A Chiavari viene conferita a Bianca l’onorificenza “la fronda d’oro” per il suo impegno nella solidarietà. 21-23 novembre: A Varese si svolge un seminario e l’assemblea della FICT, la delegazione del Centro è composta da Bianca, Ramon, Marco C., Nuccia Z. e Giuliano O. 21-23 novembre: Paolo e Bernadette partecipano a Malaga ad un incontro transnazionale del progetto Equal “E-LE-CHANGE” 23 novembre: Franca e Aldo rappresentano il Centro all’incontro per il decennale di attività del CELIVO a Palazzo Ducale. 25 novembre: Il Dr. Parodi, Direttore Generale della ASL 3, visita le strutture del Centro in via Garbarino e a Trasta. Agenda 5-7 dicembre: Si svolge a Palermo la 4a conferenza nazionale sulla droga, per il Centro sono presenti Bianca, Paolo, Bernadette e Ornella. 7-23 dicembre: Anche quest’anno il Centro ha un suo stand al Mercatino di Natale in Piazza Piccapietra. 13 dicembre: Una troupe della RAI è al Centro per preparare un filmato sulle attività, svolte in collaborazione con la Caritas a favore dei senza dimora, finanziate dalla C.E.I., che sarà trasmesso il 24/12 alle ore 17,10 su RAI 1. 13 dicembre: Nella mensa del Fassolo si svolge l’annuale pranzo di Natale con i volontari del Centro. 19 dicembre: S.E. Monsignor Palletti celebra la Messa di Natale del Centro nella Parrocchia di San Teodoro in Piazza Di negro. 21 dicembre: Nella comunità di Trasta si svolge la cena di Natale organizzata dai ragazzi per amici e volontari. 23 “Via S. Lorenzo: La strada più bella d’Italia” Secolo XIX, giugno 2001 (Realizzata con Sistemi Applicativi Silossanici “Ariete”). Le soluzioni Boero per il Restauro e la Ristrutturazione: Silicati Silossani Acrilici Elastomerici