Manifestazioni extraepatiche della epatite C: le tireopatie Rassegne

Rassegne
Vol. 96, N. 7-8, Luglio-Agosto 2005
Pagg. 370-381
Manifestazioni extraepatiche della epatite C: le tireopatie
Alessandro Antonelli1, Clodoveo Ferri2, Poupak Fallahi1, Silvia Martina Ferrari1,
Alessandra Ghinoi2, Maria Teresa Mascia2, Ele Ferrannini1
Riassunto. Numerosi studi hanno valutato la prevalenza dei disordini tiroidei nei pazienti con infezione cronica da virus dell’epatite C (HCV). In generale, la disfunzione
tiroidea nell’epatite cronica C può includere tutte le forme di tireopatia (ipo- ed iper-tiroidismo, tiroidite di Hashimoto ed isolati aumenti degli anticorpi antitiroide). La prevalenza di vari disordini tiroidei e degli autoanticorpi anti-tiroidei sierici è generalmente più elevata nei pazienti HCV-positivi rispetto a quelli con infezione da altri virus epatitici (B o D), o rispetto ai controlli sani. Nel complesso, i risultati della maggior
parte degli studi nei pazienti HCV-positivi, soprattutto nei soggetti di sesso femminile
ed indipendentemente dalla terapia interferonica, confermano una maggiore prevalenza di disordini autoimmuni tiroidei ed ipotiroidismo rispetto ai controlli. Più recentemente, alcuni studi epidemiologici hanno suggerito un’associazione tra HCV e carcinoma della tiroide. Questi ultimi dati necessitano di ulteriori indagini, ma sembrano essere sufficienti per suggerire un attento monitoraggio della tiroide nel follow-up di
pazienti con epatite cronica C.
Parole chiave. Autoanticorpi anti-tiroide, autoimmunità tiroidea, carcinoma tiroideo,
crioglobulinemia mista, epatite cronica, ipertiroidismo, ipotiroidismo, virus dell’epatite C.
Summary. Extrahepatic manifestations of hepatitis C virus: the thyroid disorders.
The prevalence of thyroid disorders has been studied in patients with chronic hepatitis C virus (HCV) infection by many studies. In general, thyroid dysfunction in
chronic C hepatitis may include all forms of thyroid alterations, i.e. hypothyroidism and
hyperthyroidism, Hashimoto’s disease and isolated increases in antithyroid autoantibodies. The prevalence of various thyroid disorders and serum anti-thyroid autoantibodies is generally higher in chronic hepatitis type C than in hepatitis B or D or control
series. The results of most studies in patients with hepatitis C confirm a higher prevalence of autoimmune thyroid involvement and hypothyroidism than in controls. More recently, some epidemiological studies have suggested a possible association between HCV
and thyroid cancer. These last data need to be confirmed by other studies, but seem to
be sufficient to suggest careful thyroid monitoring during the follow-up of patients with
HCV infection.
Key words. Chronic hepatitis, hepatitis C virus, hyperthyroidism, hypothyroidism,
mixed cryoglobulinemia, thyroid autoimmunity, thyroid autoantibody, thyroid cancer.
Introduzione
Il virus dell’epatite C (HCV) è un virus a RNA
facente parte dei Flaviviridae, una famiglia che include virus che sono sia epato- sia linfo-tropici, e
può essere associata a patologie infettive croniche.
Il genoma di questo virus è stato individuato per la
prima volta sedici anni fa, usando tecniche di reverse cloning sul sangue di uno scimpanzè affetto
da epatite non-A, non-B1. La validità di accurati
1
test sierologici e dosaggi per individuare direttamente o indirettamente RNA virali nei fluidi biologici ha portato alla scomparsa di HCV dal sangue usato per le trasfusioni, prima di allora principale modalità di trasmissione del virus, e ad una
significativa diminuzione del numero di nuove infezioni riportato ogni anno. Ha inoltre permesso di
individuare i soggetti infetti cronicamente, molti
dei quali sono in apparenza asintomatici, o affetti
da patologie primitivamente extraepatiche2.
Dipartimento di Medicina Interna, Università di Pisa; 2 U.O. di Reumatologia, Università, Modena.
Pervenuto il 15 febbraio 2005.
A. Antonelli, et al.: Manifestazioni extraepatiche della epatite C: le tireopatie
371
È stato stimato che 3,9 milioni di persone neTabella 1. - Manifestazioni immunologiche dell’infegli Stati Uniti sono positive agli anticorpi antizione da epatite C.
HCV (HCVAb) (i.e. 1,8% della popolazione; 0,10,7% dei donatori sani di sangue), dei quali 2,7
• Complessi immuni contenenti IgM
milioni risultano positivi per l’RNA virale e so• Attivazione del complemento “cold-dependent”
no quindi considerati cronicamente infetti3; questa percentuale aumenta drammaticamente
• Fattore reumatoide (~70%)*
quando vengano indagate specifiche popolazioni
• Anticorpi antitessuto (40 – 50%)
di pazienti (emofilici, tossicodipendenti, individui affetti da HIV). Nella popolazione di indivi• Scialoadenite linfocitaria (~50%)*
dui in dialisi, dal 10 al 40% è HCVAb positivo
• Anticorpi anticardiolipina (~20%)*
(HCV+)4. Sebbene l’HCV sia responsabile di circa il 20% delle epatiti virali acute acquisite in
* Nella maggior parte dei casi in assenza di artrite reumatoide
comunità, il 40-50% dei pazienti non presenta
o sindrome di Sjögren clinicamente evidenti.
una storia di infezione chiaramente documentata. Una percentuale variabile fra il 50 e l’80%
La prevalenza della crioglobulinemia mista in corso di indegli affetti sviluppa una epatopatia cronica
fezione
cronica da HCV è stata stimata in un range variabi(contro il 2-5% di individui HBV-positivi). Circa
le dal 13 al 54% nelle differenti casistiche9. La comparsa di
il 50% degli HCV+ mostra livelli normali o legautoanticorpi, ed in particolare di FR, può essere rilevata nel
germente alterati di transaminasemia 2,3. Inolcorso di diverse viremie croniche (soprattutto Epstein-Barr)
tre, le alterazioni degli enzimi epatici possono
e può interferire nell’esecuzione di alcuni test ritenuti dianon essere costanti, riflettendo le fluttuazioni
gnostici in corso di specifiche malattie del tessuto connettispontanee della viremia che nel tempo possono
vo. In alcune casistiche, l’infezione cronica da HCV è stata
variare anche nell’ordine di grandezza di circa
associata ad un’alta prevalenza di markers sierologici di autoimmunità, compresa la
un “log 6” del numero
presenza di complessi immudi copie virali nel sieni (tabella 1), anche se non
ro; ciò implica che l’inQueste manifestazioni extraepatiche dell’infezionecessariamente correlati
fezione da HCV possa
ne da HCV includono sia disordini autoimmuni
ad evidenti patologie exnon esssere diagnostisubclinici, sia manifestazioni autoimmuni e/o reutraepatiche10,11,12. I meccacata in certe fasi di
matiche clinicamente evidenti, così come linfonismi responsabili dell’emalattia in assenza di
spansione policlonale delle
proliferazione benigna delle cellule B e talvolta
campionature seriali 5.
cellule-B e della conseguencomparsa di linfomi non-Hodgkin.
Nel 20-35% degli indite produzione di anticorpi
in corso di infezione cronica
vidui l’infezione cronida HCV restano ancora da
ca evolve in cirrosi ed
chiarire. Le possibilità includono: (a) attenuazione della
un numero significativo di essi svilupperà un
soppressione dominante di cellule-T sulle cellule-B producarcinoma epatocellulare; di conseguenza,
centi autoanticorpi durante l’infezione cronica, come è stal’HCV è oggi la principale causa di queste due
to suggerito per il virus di Epstein-Barr; (b) espansione
patologie negli Stati Uniti. L’intervallo medio
delle cellule-B producenti autoanticorpi dovuta alla disreprima dell’instaurarsi della cirrosi è di dieci angolazione del network anti-idiotipo; (c) mimetismo moleni, quello per il carcinoma epatocellulare è di 29
colare tra antigeni virali ed antigeni self; (d) modulazione
anni. Ogni anno, 8/10000 persone muoiono per
diretta delle risposte immunitarie da parte dei complessi
complicazioni di epatopatie HCV-associate ed un
immuni o dei frammenti di Ig (e.g. Fc) o componenti del
complemento che possono essere generati nel corso delmigliaio va incontro a trapianto di fegato; tra gli
l’infezione; (e) disregolazione del network delle citochine
individui trapiantati, circa il 40% svilupperà
skewing cellule-T regolatorie ad un fenotipo Th2, che può
una ripresa dell’epatite nell’allotrapianto e molessere associato ad aumentate risposte immuni umorali
ti di essi richiederanno una terapia specifica e/o
ed alla produzione di autoanticorpi; (f) infezione diretta di
un trapianto6. In alcuni pazienti le manifestaspecifici subsets di linfociti-B o -T e/o altre cellule monozioni extraepatiche possono causare lievi comnucleari; (g) fattori genetici dell’ospite (e.g. HLA) che posplicazioni nel decorso dell’infezione cronica,
sono influenzare la sua capacità nell’eliminare il virus e/o
mentre in altri possono rappresentare il disorsostenere risposte immunitarie umorali o cellulo-mediate.
dine prevalente.
HCV ed autoimmunità
Lo spettro delle manifestazioni
extraepatiche immunomediate da HCV
La fase acuta delle infezioni da virus epatitici può
essere associata ad un significativo aumento dei livelli
di IgM, che riflette in parte risposte precoci di tali anticorpi a vari antigeni virali. Nell’infezione cronica da
HCV può essere notato un aumento policlonale delle
IgM, che è dovuto in parte alla produzione di autoanticorpi con attività di fattore reumatoide (FR). Alcuni di
questi FR formano complessi immuni legandosi al loro
antigene (i.e. IgG), potenzialmente crioprecipitabili; in
tal caso si parla di crioglobulinemia mista, di tipo II
(IgM monoclonali) o di tipo III (IgM policlonali)7,8.
Alcune recenti rassegne hanno trattato le manifestazioni extraepatiche dell’infezione da HCV, tra le quali molte malattie reumatiche conosciute13,14. La tabella 2
(a pag. seguente) riporta le principali malattie per le
quali è stato ipotizzato un ruolo causale dell’HCV, classificate in base al loro grado di correlazione patogenetica con il supposto trigger virale. Oltre alla crioglobulinemia mista (CM), altre malattie significativamente associate all’HCV sono la porfiria cutanea tarda, l’epatite
autoimmune, la glomerulonefrite, le tireopatie, il diabete mellito ed alcune forme di linfoproliferazione.
372
Recenti Progressi in Medicina, 96, 7-8, 2005
Il possibile ruolo patogenetico dell’HCV in queste differenti condizioni morbose è spesso avvalorato, oltre che
da dati clinico-epidemiologici, da studi di laboratorio ed
istopatologici. È possibile affermare che per una data
malattia, almeno in particolari sottogruppi di pazienti
ed in particolari aree geografiche, l’HCV possa costituire un importante trigger patogenetico. Per altre manifestazioni cliniche, come poliartrite cronica, sindrome
sicca, polimiosite, fibrosi polmonare, ecc. (tabella 2), è
stata riportata un’aumentata prevalenza di positività
per l’infezione da HCV molto spesso riferita a casistiche
numericamente limitate o aneddotiche.
PORFIRIA CUTANEA TARDA
Un’associazione statisticamente significativa tra
porfira cutanea tarda e infezione da HCV è stata dimostrata da vari studi clinico-epidemiologici23-25. In assenza di porfiria cutanea tarda clinicamente manifesta, nei
soggetti HCV-positivi non è dimostrabile alcuna alterazione del metabolismo porfirinico; questo dato suggerisce che il virus agisca come fattore scatenante solo in
soggetti geneticamente predisposti ed in presenza di altri cofattori patogenetici.
DIABETE MELLITO
Tabella 2. - Manifestazioni extraepatiche da HCV.
• Crioglobulinemia mista
• Porfiria cutanea tarda
• Glomerulonefrite membranoproliferativa
• Linfoproliferazione
• Diabete mellito tipo 2 (*)
• Epatite autoimmune (*)
• Poliartrite cronica (*)
• Sindrome di Sjögren (*)
• Fibrosi polmonare (**)
• Disfunzione gonadica (**)
• Malattia di Behçet (**)
• Polimiosite (**)
• Vasculiti non crioglobulinemiche (**)
(*) dati epidemiologici non uniformi
(**) case reports o segnalazioni iniziali
Rimane ancora molto discussa la possibile associazione tra diabete mellito di tipo 1 e 2 e infezione da HCV.
Il diabete tipo 1 ha notoriamente una patogenesi autoimmune con coinvolgimento di anticorpi anti cellule
insulari, mentre il diabete tipo 2 ha una patogenesi prevalentemente legata a una condizione di insulino resistenza, ma che in una certa percentuale è legata anche
alla presenza di anticorpi che alterano la secrezione insulare (anti-GAD, anti-IA2, anti-CD38, etc)26,27. Mentre
l’associazione tra diabete tipo 1 ed epatite C rimane
aneddotica, recenti studi epidemiologici indicano che il
rischio di sviluppare un diabete mellito tipo 2 in soggetti HCV-positivi è significativamente più elevato rispetto
alla popolazione di controllo28,29, anche in assenza di altri fattori di rischio quali obesità, grave epatopatia, abuso di alcool o droghe, stato di povertà28. Sembra interessante dal punto di vista patogenetico l’osservazione che
i pazienti con crioglobulinemia mista HCV+ che sviluppano un diabete mellito presentano un fenotipo clinico
del tutto peculiare: il peso corporeo, i valori di colesterolemia e di pressione arteriosa sono significativamente
inferiori rispetto ai soggetti diabetici HCV-negativi29.
Inoltre, in questi ultimi pazienti si osserva una significativa associazione tra presenza di diabete e presenza di
autoanticorpi circolanti che suggerisce un coinvolgimento autoimmune nella patogenesi della malattia29.
HCV NELLA CRIOGLOBULINEMIA MISTA
GLOMERULONEFRITE MEMBRANOPROLIFERATIVA
L’associazione più significativa è quella con la sindrome della crioglobulinemia mista (CM). Nel 1990, subito dopo la scoperta dell’HCV, il riscontro di anticorpi anti-HCV
in una percentuale significativa di pazienti suggeriva un
ruolo patogenetico di questo virus nella CM15. Questa ipotesi è stata ulteriormente avvalorata da studi virologici
che documentavano la presenza di viremia nella maggior
parte dei pazienti con CM (HCV RNA nell’86% dei casi). Il
ruolo patogenetico dell’HCV è stato in seguito definitivamente stabilito attraverso studi epidemiologici, istopatologici e laboratoristici16. Mediante indagini di biologia molecolare e di immunoistochimica, tra cui il riscontro dell’HCV-RNA e/o antigeni virali a livello tessutale, è stato
possibile dimostrare il coinvolgimento più o meno diretto
dell’HCV nella patogenesi delle lesioni vasculitiche, così
come del disordine linfoproliferativo sottostante16-19. La
presenza di crioglobuline miste in quantità estremamente
variabile, più spesso in tracce, è riscontrabile in oltre il
50% dei pazienti HCV+, ma solo in una minoranza di casi,
intorno al 5%, si sviluppa la tipica sindrome clinica16,20-22.
Vi è inoltre un’estrema eterogeneità geografica nella prevalenza della CM HCV-correlata, con un evidente gradiente nord-sud Europa. La malattia è infatti più frequente nei paesi del bacino del Mediterraneo e alquanto rara
nei paesi del nord Europa16. Questa osservazione suggerisce il ruolo decisivo di altri cofattori, ambientali e/o genetici, nel determinismo della sindrome crioglobulinemica.
L’associazione tra infezione cronica da HCV e glomerulonefrite (GN), con o senza sindrome crioglobulinemica,
è stata riportata da vari Autori30. Le glomerulonefriti
HCV-correlate possono manifestarsi tanto nel rene nativo
quanto nel rene trapiantato31. La patogenesi da immunocomplessi della glomerulonefrite crioglobulinemica è suffragata dalla presenza di depositi all’interno dei glomeruli e nello spazio subendoteliale dei capillari, costituiti da
complessi IgG-IgM, particelle virali, IgG anti-HCV, fattore reumatoide e complemento32. È possibile anche che l’infezione da HCV possa causare un quadro di glomerulonefrite membrano proliferativa attraverso l’induzione di autoanticorpi diretti contro gli antigeni glomerulari33.
EPATITE AUTOIMMUNE
Questa particolare epatopatia cronica, precedentemente era denominata epatite ‘lupoide’, in quanto caratterizzata dalla presenza di uno o più autoanticorpi circolanti, di una o più manifestazioni extra-epatiche immuno-mediate, dalla frequente risposta terapeutica alla
terapia corticosteroidea e dall’assenza di agenti eziologici noti di tipo infettivo. Tuttavia, studi clinico-epidemiologici, condotti per lo più su casistiche italiane, hanno dimostrato che una percentuale di pazienti con epatite autoimmune può riconoscere l’HCV come agente causale34.
A. Antonelli, et al.: Manifestazioni extraepatiche della epatite C: le tireopatie
373
Studi epidemiologici documentano una correlazione
tra la sindrome di Sjögren (SS) e l’infezione da HCV36. Il
riscontro di una sindrome sicca in pazienti HCV+, con o
senza CM, è relativamente frequente; essa è spesso caratterizzata dall’assenza del tipico quadro istologico a
carico delle ghiandole salivari ed autoanticorpale (antiSSA/SSB), necessari per la diagnosi di SS definita.
L’HCV sembra quindi più frequentemente responsabile
di manifestazioni cliniche Sjögren-like, in genere una
lieve sindrome sicca, nell’ambito di un disordine autoimmuno-linfoproliferativo più ampio16.
sulla base di quest’ultimi dati, sembra probabile che la
linfoproliferazione sia più spesso oligloclonale40,4, nonostante la presenza di un pattern monotipico all’immunoistochimica. È stato pertanto ipotizzato che la linfoproliferazione HCV-correlata in corso di CM non sia da
considerare di per sé linfomatosa, sia perché oligoclonale, sia perché il franco linfoma che talvolta compare in
questi soggetti sembra originare da un clone B diverso
da quelli che costituivano il disordine tipo MLDUS sottostante.
A partire dalla prima osservazione del 19949, un
gran numero di studi clinico-epidemiologici e di laboratorio hanno dimostrato in modo definitivo che l’HCV può
essere considerato come agente eziologico in una significativa percentuale (20-30%) di NHL-B ‘idiopatici’ con
vario grado di malignità16,20. Come per l’associazione
HCV/CM, anche la prevalenza di HCV/NHL-B presenta
un’eterogenea distribuizione geografica, essendo statisticamente significativa nei paesi del sud Europa, in
Israele, Giappone e popolazioni USA di origine ispanica16,20,42, ma rara nei paesi del nord Europa43.
FIBROSI POLMONARE
Patogenesi delle malattie HCV-correlate
L’esistenza di un legame patogenetico fra HCV e fibrosi polmonare è stata suggerita sulla base di pochi
studi, spesso non controllati. Di grande interesse è il riscontro di un’alveolite mista (linfociti e neutrofili) in
pazienti con infezione cronica da HCV spesso asintomatici dal punto di vista respiratorio. Raramente, in
pazienti HCV+, con/senza sindrome crioglobulinemica,
si assiste alla comparsa di fibrosi polmonare clinicamente grave37,38.
Oltre al ben noto epatotropismo, l’HCV presenta anche un chiaro linfotropismo; questa importante peculiarità biologica è stata inizialmente suggerita dal riscontro di una replicazione virale (in atto o latente) nei linfociti periferici di pazienti con epatite C o vasculite
crioglobulinemica HCV-correlata44,45. L’infezione del tessuto linfoide rappresenta un reservoir del virus che può
contribuire in modo determinante alla sua persistenza
nell’organismo20,45. L’infezione cronica da HCV, attraverso uno o più meccanismi, fra cui il coinvolgimento di
antigeni virali, l’induzione di autoantigeni e/o meccanismi di mimetismo molecolare, costituisce uno stimolo
cronico per il sistema immune dell’ospite. Una possibile
conseguenza è la proliferazione cronica, inizialmente policlonale, dei linfociti B, a sua volta responsabile della
produzione di fattore reumatoide, immunocomplessi,
crioglobuline e vari autoanticorpi. A questo riguardo
sembra di grande importanza patogenetica la possibilità d’interazione fra la proteina E2 dell’envelop virale ed
il recettore CD81 presente sulle cellule dell’ospite, soprattutto linfociti46; questa interazione può incrementare la frequenza di riarrangiamenti genici nei linfociti B
antigene-reattivi. Tale ipotesi potrebbe essere indirettamente avvalorata dalla presenza nei linfociti della traslocazione T(14; 18)47, dimostrata in un’elevata percentuale di soggetti HCV+ ed in particolare nella CM tipo
II . La traslocazione T(14; 18)47 e l’attivazione del protoncogene Bcl2, caratterizzato da attività anti-apoptosica, sono responsabili di una prolungata sopravvivenza
delle cellule B. La successiva comparsa di altre aberrazioni genetiche, quale ad esempio l’attivazione dell’oncogene c-myc48, può facilitare lo sviluppo e la selezione
di cloni neoplastici. La suddetta ipotesi patogenetica
spiega come l’HCV, virus a RNA incapace d’integrarsi
nel genoma dell’ospite, possa essere responsabile solo
attraverso meccanismi indiretti, quale la stimolazione
cronica del sistema immunitario, dell’esordio di una costellazione di disordini autoimmuni e linfoproliferativi,
in pazienti geneticamente predisposti e con il probabile
contributo di fattori esogeni tuttora in gran parte ignoti16,20,22,48. Considerata la diffusione mondiale pressocché omogenea del virus, soltanto ipotizzando un processo eziopatogenetico multifattoriale e multistep è possibile comprendere la comparsa di disordini autoimmuni
e neoplastici HCV-correlati, così come la loro eterogenea
distribuzione geografica16 .
POLIARTRITE CRONICA
È di frequente il riscontro in soggetti HCV+ di un impegno flogistico articolare, generalmente oligodistrettuale, non erosivo e intermittente, che può rispondere
bene a terapia con idrossi-clorochina35.
SINDROME DI SJÖGREN
DISFUNZIONE GONADICA
Altra possibile associazione riportata recentemente è
quella fra HCV ed alterazioni gonadiche; in particolare,
è possibile osservare una disfunzione erettile in una significativa percentuale di pazienti HCV+ di sesso maschile, con o senza sindrome crioglobulinemica39. La patogenesi del deficit erettivo è probabilmente multifattoriale, ma presumibilmente indipendente dalla presenza
di altre comorbilità, quale l’epatopatia grave39.
HCV e linfoproliferazione
L’espansione dei linfociti B in circolo e a livello degli
infiltrati linfoidi, osservabili nel tessuto epatico e nel
midollo osseo, rappresenta un’alterazione tipica della
CM HCV-correlata, particolarmente evidente nella CM
tipo II16,20,40. Si tratta generalmente di un disordine linfoproliferativo quasi sempre asintomatico e scarsamente evolutivo verso un franco linfoma non-Hodgkin (NHLB). Queste alterazioni clinicamente ‘indolenti’ sono oggi
classificate come ‘disordini linfoproliferativi monotipici
di incerto significato (MLDUS)’, differenti dal punto di
vista clinico-prognostico dai NHL-B a basso grado16,20.
Nella maggior parte dei pazienti il quadro istologico
MLDUS è molto simile a quello osservato in corso di leucemia linfatica cronica a cellule B (B-CLL) o immunocitoma. Il fenotipo B-CLL è caratterizzato da un insieme
di piccoli linfociti, prolinfociti e paraimmunoblasti; l’infiltrato B linfocitario monoclonale tipo B-CLL generalmente non presenta una tendenza espansiva nel midollo osseo, ed a livello epatico può persino regredire in caso di evoluzione cirrotica 16,20. Gli studi di biologia
molecolare suggeriscono che ogni aggregato nodulare
deriva dalla proliferazione di pochi, distinti linfociti B;
374
Recenti Progressi in Medicina, 96, 7-8, 2005
HCV e tireopatie autoimmuni
Nel 1992, Pateron et al.49 per primi riportarono
un’alta prevalenza di autoanticorpi anti-tiroidei
(14%) nei pazienti con infezione da HCV. Successivamente molti lavori (circa 215), la maggior parte
non controllati, hanno studiato la prevalenza di
manifestazioni autoimmuni tiroidee nei pazienti
con infezione da HCV.
Mentre la maggior parte degli studi sono concordi nell’osservare una alta prevalenza di disfunzioni tiroidee nei soggetti HCV+ trattati con interferone50, esiste tutt’oggi una notevole discordanza
circa la prevalenza delle tireopatie nei soggetti con
infezione da HCV prima di qualsiasi trattamento.
Dalla revisione della letteratura, abbiamo trovato 18 studi con un controllo interno, tra i quali 12
riportano un’associazione positiva tra l’infezione da
HCV e l’autoimmunità e/o disfunzione tiroidea,
mentre 6 risultavano negativi. Riportiamo i risultati degli studi positivi (tabelle 3 e 4) e successivamente quelli dei negativi.
STUDI CHE RIPORTANO UN’ASSOCIAZIONE POSITIVA
TRA INFEZIONE DA HCV, AUTOIMMUNITÀ TIROIDEA
E DISFUNZIONE TIROIDEA
Tran et al.51 studiarono 72 pazienti con epatite
cronica C (43 uomini e 29 donne; età media = 51 aa)
contro 60 pazienti HBsAg-positivi (34 uomini e 26
donne; età media = 50 aa). 9 donne HCV+ su 29
(31%) mostravano autoanticorpi contro antigeni tiroidei [anticorpi antitireoglobulina (AbTg), anticorpi
antitireoperossidasi (AbTPO)]. Essi stimarono che 4
pazienti su 29 avessero la tiroidite di Hashimoto
(13,8%) sulla base dei loro alti titoli di autoanticorpi
tiroidei e della presenza di ipotiroidismo.
Nel gruppo di controllo, soltanto un uomo mostrava autoanticorpi antimicrosomali tiroidei, ad
un titolo molto basso e non si riscontrava alcun caso di ipotiroidismo. Nel lavoro di Preziati et al.52 86
pazienti con epatite C sono stati confrontati con 51
affetti da epatite B (HBV+). Il 9,3% dei pazienti
HCV+ ed il 3,9% degli HBV+ mostravano segni clinici e/o biochimici della disfunzione tiroidea; autoanticorpi anti-tiroide furono riscontrati in 33/78
(42,3%) pazienti HCV+ ed in 5/49 (10,2%) pazienti
HBV+. Matsuda et al. 53 dimostrarono che i livelli
di anticorpi AbTg e AbTPO nei pazienti HCV+ erano statisticamente più elevati di quelli nei pazienti sani. Deutsch et al. 54 riscontrarono che titoli
elevati di AbTPO (≥ 18 IU/mL) erano significativamente più frequenti tra donne con epatite cronica
C (11,2% vs 3,6%; p = 0,036). Prima di ogni trattamento, il 3,7% dei pazienti mostrava una disfunzione tiroidea, soprattutto ipotiroidismo (3,5%); tale prevalenza aumentava all’11,3% tra i pazienti
HCV+ con elevati livelli di AbTPO. Custro et al.55
dimostrarono che su 104 pazienti HCV+ (30 donne
e 74 uomini; età media= 53 anni), 8 (7,7%) risultavano sieropositivi per gli autoanticorpi tiroidei,
mentre la sieropositività nei controlli sani era 1/98
(1,3%). Il rischio relativo di sviluppare autoimmunità tiroidea associata a HCV era il 760% (95% CI,
220-1300%). Fernandez-Soto et al.56 esaminarono
134 pazienti HCV+ e 41 pazienti con HBV+. Livelli positivi di AbTPO e AbTg furono riscontrati nel
20% e 11% dei pazienti HCV+ rispetto al 5% e 3%
dei pazienti HBV+, rispettivamente (p<0,03).
Huang et al.57 valutarono 130 pazienti con infezione cronica da HCV e 130 controlli simili per sesso/età con epatite cronica B e 260 controlli normali. La prevalenza di autoanticorpi tiroidei nei pazienti maschi HCV+ era < 2%.
Tabella 3. - Principali studi controllati che dimostrano una maggiore prevalenza di manifestazioni di autoimmunità tiroidea (ATD) in pazienti HCV+ rispetto a pazienti HBV+ o controlli sani.
Tran et al. (1993)51
52
N°
HCV+
ATD
HCV+
N°
HBV+
ATD
HBV+
72
F=31%
60
F=0
51
10,2%
N°
controlli
ATD
controlli
p
0,02
0,01
Preziati et al. (1995)
86
42,3%
Matsuda et al. (1995)53
56
13%
Deutsch et al. (1997)54
211
F=20,2%
104
7,7%
134
20%
41
5%
Huang et al. (1999)
130
F=22,1%
130
F=1,6%
260
F=13,5%
0,01
Ganne-Carrie et al. (2000)58
97
17%
97
4%
0,01
Peoc’h et al. (2001)60
96
3,1%
<0,05
389
17,1%
0,002
93
12,2%
<0,05
Custro et al.
(1997)55
Fernandez-Soto et al
(1998)56
57
99
12,1%
61
630
25%
62
93
(CM)
30,6%
Antonelli et al. (2004)
Antonelli et al. (2004)
F = donne; CM = crioglobulinemia mista
40
176
16%
0,01
0,05
F=10,8%
98
86
0
1,3%
<0,05
<0,05
A. Antonelli, et al.: Manifestazioni extraepatiche della epatite C: le tireopatie
La prevalenza di anticorpi antimicrosomi di tiroide nelle donne HCV+ era significativamente più
elevata di quella dei controlli HBV+ (22,1 vs 1,6%;
p < 0,001), e maggiore ma non significativa rispetto ai controlli normali (13,5%). Lo studio di GanneCarrie et al.58 considerava 97 pazienti non trattati
con epatite cronica da HCV e 97 controlli. In ogni
caso furono effettuati un esame ecografico della tiroide ed un dosaggio dell’ormone tireo-stimolante
sierico (TSH), degli ormoni tiroidei e degli anticorpi anti-tiroidei. La prevalenza totale delle anormalità tiroidee era più elevata nei pazienti rispetto ai
controlli (17 vs 4%, p<0,01) e la prevalenza degli
anticorpi anti-tiroidei era significativamente diversa nei due gruppi (p=0,01). Ploix et al.59 evidenziarono che i titoli degli AbTPO e anti-microsomali
nelle donne HCV+ risultavano significativamente
pìù elevati rispetto alle donne controllo sane (rispettivamente 1: 83200 vs 1: 1900 e 834 vs 23,
p<0,01). Peoc’h et al.60 hanno riscontrato una prevalenza di anticorpi antimicrosomi di tiroide significativamenete più elevata nei pazienti HCV+
(12,1%) rispetto ai controlli (3,1%). Di recente abbiamo studiato61 la prevalenza dei disordini tiroidei
in 630 pazienti consecutivi con epatite cronica dovuta ad infezione da HCV; nessun paziente era affetto da cirrosi o da epatocarcinoma, o era in trattamento con interferon. Nello studio era inoltre
compreso un gruppo di controllo di 389 soggetti
provenienti da un’area di carenza iodica, un altro
gruppo di controllo di 268 individui che vivevano in
un’area con sufficiente apporto iodico, e 86 pazienti di età superiore ai 40 anni con epatite cronica B.
Sono stati determinati i livelli di ormone tireo-stimolante (TSH), tiroxina libera (FT4) e triiodiotironina libera (FT3), e quelli degli AbTg e AbTPO. I livelli medi di TSH erano più elevati (p = 0,001), e
quelli di FT3 e FT4 erano più bassi (p <0,0001), nei
pazienti con epatite cronica C rispetto a tutti gli altri gruppi. I pazienti HCV+ presentavano ipotiroidismo subclinico (13%), AbTg(17%) e AbTPO (21%)
più frequentemente rispetto a tutti gli altri gruppi.
In un altro studio62 abbiamo valutato la prevalenza e le caratteristiche cliniche dei disordini tiroidei
nei pazienti con crioglobulinemia mista HCV+ (n =
93, 17 uomini e 76 donne, età media 63, periodo medio di durata della malattia 14 anni) rispetto a 93
pazienti con epatite cronica C senza CM e 93 controlli sani HCV-negativi (simili per sesso/età) della
popolazione locale. I seguenti disordini tiroidei erano significativamente più frequenti nei pazienti
con CM rispetto ai controlli HCV-negativi: AbTPO
(28% vs 9%, p = 0,001); AbTPO e/o AbTg (31% vs
12%, p = 0,004); ipotiroidismo subclinico (11% vs
2%, p = 0,038); autoimmunità tiroidea (valutata anche ecograficamente) (35% vs 16%, p = 0,006).
STUDI CHE NON RIPORTANO ALCUNA ASSOCIAZIONE
TRA L’INFEZIONE DA HCV E L’AUTOIMMUNITÀ TIROIDEA
Il primo studio che riportò l’assenza di un’associazione tra l’infezione da HCV e l’autoimmunità tiroidea fu quello di Boadas et al.63. Furono studiati
192 donatori di sangue: 96 HCV+ e 96 negativi.
375
Fu riscontrato un ipotiroidismo in tre donne
(3,1%) nel gruppo HCV+, ed in 3 donatori antiHCV negativi. I titoli di anticorpo anti-tireoperossidasi erano al disopra dei valori normali in 5
(5,2%) individui HCV+ ed in otto (8,3%) donatori
anti-HCV negativi (p = ns). Pawlotsky et al.64 hanno studiato 61 pazienti HCV+, confrontandoli con
61 controlli di età e sesso simili, trovando un’alta
prevalenza di autoanticorpi tiroidei (8,1% vs 3%;
p = ns) nei pazienti HCV+, anche se non significativa. Marazuela et al.65 eseguirono uno studio
(non controllato) su 207 pazienti positivi per RNAHCV virale. Le prevalenze di anticorpi anti-tiroidei positivi ed ipotiroidismo erano significativamente più elevate nelle donne (14,7 e 10,5%, rispettivamente, vs 0% negli uomini, P <0,01) ed
erano strettamente associate all’aumento di età
(P < 0,01). Essi conclusero di non aver evidenziato nessuna significativa associazione tra l’epatite
cronica C e la presenza di autoimmunità tiroidea
nei pazienti donne. Metcalfe et al.66 esaminarono
111 pazienti HCV+ confrontandoli con 99 controlli e non evidenziarono un’aumentata prevalenza
di autoanticorpi tiroidei. Loviselli et al.67 al fine di
valutare la relazione tra marcatori sierologici dell’autoimmunità tiroidea ed epatite C cronica, esaminarono la popolazione generale (1233 soggetti)
di due paesi della Sardegna, dove l’infezione da virus dell’epatite C è endemica e la prevalenza di
patologie autoimmuni è elevata. Non fu riscontrata nessuna evidenza di un’associazione epidemiologica tra gli autoanticorpi tiroidei circolanti e
quelli anti-HCV. Betterle et al.68 verificarono la
presenza di autoanticorpi in 70 pazienti con infezione cronica da HCV ed ottennero risultati positivi nel 5,7% per gli AbTPO, e 2,8% per gli AbTg.
Queste frequenze non erano significativamente
diverse rispetto ai soggetti sani di controllo. Murdolo et al.69 analizzarono i campioni sierici di 203
pazienti adulti HCV+ dimostrando che la prevalenza di AbTPO e AbTg e anticorpi anti-recettore
del TSH (TRAb) era simile a quella osservata nei
soggetti di controllo.
CONCLUSIONE
La maggior parte degli studi ha riportato
un’alta prevalenza di disordini tiroidei nei pazienti con infezione cronica da HCV49-62. In generale, la disfunzione tiroidea nell’epatite cronica C
può includere tutte le forme di alterazioni tiroidee, i.e. ipotiroidismo ed ipertiroidismo, tiroidite
di Hashimoto ed isolati aumenti degli AbTPO 49-62.
La frequenza di elevati livelli degli anticorpi antitiroidei nei pazienti affetti da HCV varia nelle diverse casistiche, oscillando dal 2 al 48%49-62. Differenze nella distribuzione geografica34, variabilità genetica all’interno delle popolazioni studiate70
ed alcuni fattori ambientali (come l’assunzione iodica o altri agenti infettivi71,72) che svolgono un
importante ruolo nello sviluppo dei disordini tiroidei autoimmuni, potrebbero almeno in parte
rendere conto dei risultati discordanti riportati in
letteratura.
376
Recenti Progressi in Medicina, 96, 7-8, 2005
Tabella 4. - Principali studi controllati che dimostrano una maggiore prevalenza di disfunzione tiroidea (TD) in
pazienti HCV+ rispetto a pazienti HBV+ o controlli sani. [F = donne; CM = crioglobulinemia mista; ipo = ipotiroidismo]
Tran et al. (1993)51
N°
HCV+
TD
HCV+
N°
HBV+
TD
HBV+
N°
controlli
TD
controlli
p
72
17%
60
0
0,02
52
86
9,3%
51
3,9 %
0,01
54
211
F=11,2%
AbTPO+
176
F=3,6%
AbTPO+
0,03
134
4%
41
0%
630
13%
ipo
86
4%
ipo
93
(CM)
10,8%
ipo
Preziati et al. (1995)
Deutsch et al. (1997)
Fernandez-Soto et al. (1998)56
61
Antonelli et al. (2004)
Antonelli et al. (2004)62
In studi diversi, l’ipotiroidismo subclinico (tabella 4) è stato osservato con una frequenza variabile dal 2% 65 al 14% 51 dei pazienti con infezione cronica da HCV. La prevalenza di vari disordini tiroidei e degli autoanticorpi sierici anti-tiroidei
è generalmente più elevata nei pazienti HCV+ rispetto a quelli HBV+ o D (vedi tabella 3, alla pagina 374). Alcuni autori hanno riportato anche
un’aumentata prevalenza di anticorpi anti-HCV
nelle patologie tiroidee autoimmuni73-75, prevalenza che non è stata confermata in altri studi66.
I risultati della maggior parte degli studi nei
pazienti HCV+ confermano una maggiore prevalenza di disordini autoimmuni tiroidei ed ipotiroidismo rispetto ai controlli, soprattutto nei
soggetti di sesso femminile.
Patogenesi delle tireopatie autoimmuni in
corso di infezione da HCV
Oltre ai meccanismi ricordati nella sezione relativa agli effetti extraepatici, alcuni altri specifici
meccanismi potrebbero essere coinvolti nella patogenesi delle tireopatie autoimmuni76. Il quadro dei
disordini tiroidei osservato in corso di infezione da
HCV assomiglia a quello osservato durante il periodo post-partum: presenza di livelli elevati di anticorpi antitiroide, con aumentato rischio di disfunzione tiroidea soprattutto nei soggetti con
AbTPO. Questo pattern è simile anche a quello osservato in soggetti trattati con interferon-alfa50.
Tali osservazioni suggeriscono che alti livelli di
interferone alfa endogeno, possano essere coinvolti nella comparsa di disordini autoimmuni della
tiroide in soggetti geneticamente predisposti50. Le
condizioni più importanti che possono portare a livelli elevati di interferone alfa sono alcune infezioni virali (Herpes simplex, Epstein-Barr, influenza-A, epatite B, HCV, citomegalovirus, HIV,
HTLV-1)77,78.
389
5%
ipo
0,002
93
2,2%
ipo
<0,05
L’importanza di questo punto è stata recentemente esaminata in uno studio in 56 pazienti con
diabete mellito tipo I79, un’altra malattia autoimmune che può essere scatenata dalla somministrazione di interferone alfa. Chedah et al.79 trovarono
che elevati livelli di interferone alfa potevano essere osservati nel 70% di 56 pazienti con diabete di tipo I di recente insorgenza, mentre non erano presenti in nessuno dei 37 controlli; nel 50% di questi
pazienti era possibile dimostrare la presenza del
Coxackie virus B. Questi dati inducono a ritenere
che le infezioni capaci di indurre una risposta dell’interferone alfa nell’ospite possano essere uno dei
fattori ambientali implicati nello sviluppo di tireopatie autoimmuni in soggetti geneticamente predisposti. Studi sperimentali hanno dimostrato che
l’interferone alfa upregola l’espressione degli antigeni di istocompatibilità di classe I e II in xenotrapianti di tessuto tiroideo da pazienti con morbo di
Basedow, in parallelo con un aumento degli anticorpi anti-TPO80. Questo comunque avviene solo se
linfociti infiltranti rimangono nel trapianto, suggerendo che l’interferone alfa possa essere capace di
aggravare una risposta immune solo in soggetti
predisposti con una tiroidite subliminale preesistente. Le infezioni virali potrebbero essere dunque un fattore scatenante di autoimmunità; tuttavia ancora oggi mancano ampi studi clinici che possano collegare alcune infezioni virali alle tireopatie
autoimmuni. Ciò potrebbe, almeno in parte, essere
dovuto al grande numero di virus che possono infettare l’uomo. Si può ipotizzare che alcune infezioni virali, tra le quali quella da HCV, possano indurre un aumento endogeno dell’interferone alfa
che potrebbe essere coinvolto nella comparsa di disordini autoimmuni tiroidei in soggetti geneticamente predisposti. Molti studi hanno inoltre dimostrato una aumentata espressione di interferon
gamma 81 e di chemochine interferon gamma inducibili (soprattutto CXCL10)82 negli epatociti e nei
linfociti di pazienti affetti da HCV83,84, correlati al
grado di infiammazione della malattia e ad un aumento delle concentrazioni dei livelli circolanti di
interferon gamma e CXCL1085,86.
A. Antonelli, et al.: Manifestazioni extraepatiche della epatite C: le tireopatie
È stato dimostrato sperimentalmente che l’aumento dell’espressione dell’interferon gamma a
livello intratiroideo è associato alla comparsa di
ipotiroidismo87. Inoltre l’interferon gamma induce la secrezione di CXCL10 in tireociti in coltura88, iniziando un processo che può portare all’innesco di una reazione autoimmune89.
Recentemente abbiamo dimostrato che alti livelli di CXCL10 circolanti sono presenti nei pazienti con tiroidite cronica di prima diagnosi89,
soprattutto in presenza di ipotiroidismo, indicando un coinvolgimento dell’immunità di tipo Th1
nella induzione e mantenimento delle tiroiditi
croniche90. Dati preliminari indicano un coinvolgimento della chemochina alfa CXCL10 e dell’interferon gamma anche in pazienti con epatite C o
crioglobulinemia mista HCV correlata, in presenza di tiroidite cronica ed ipotiroidismo. È perciò
interessante speculare che in pazienti con infezione cronica da HCV il coinvolgimento dell’interferon gamma e delle chemochine interferon
gamma inducibili, possano portare in soggetti geneticamente predisposti o con presenza di disfunzioni autoimmuni subliminali, alla comparsa
di manifestazioni autoimmuni tiroidee.
È inoltre interessante notare che è stata dimostrata la presenza di HCV nella tiroide di soggetti
infettati91. Quali conseguenze questo possa avere
sulla funzione, la vitalità e la induzione di disfunzioni immunitarie nella tiroide umana deve essere
ancora stabilito.
HCV e carcinoma tiroideo
Noi per primi osservammo un’alta prevalenza
(2,2%) di carcinoma papillare tiroideo in 139 pazienti HCV+, mentre nessun caso fu riscontrato
in un gruppo di 839 soggetti controllo92. È da notare che nella nostra casistica la prevalenza dei
noduli tiroidei era elevata sia nei pazienti HCV+
sia, soprattutto, nei controlli, probabilmente come risultato del fatto che questi soggetti erano da
lungo tempo residenti in un’area di carenza iodica. In ragione dell’alta prevalenza di noduli tiroidei nei soggetti di controllo, la prevalenza di carcinoma tiroideo nei pazienti HCV+ risultava particolarmente significativa. Successivamente, in
uno studio caso-controllo condotto nel Sud Italia93, Montella e collaboratori hanno osservato
che, nei pazienti operati per carcinoma papillare
della tiroide, la prevalenza dell’infezione da HCV
era significativamente più alta rispetto a quella
osservata nei soggetti sottoposti ad intervento
chirurgico per disordini di tipo benigno, soprattutto nelle donne. Più recentemente, Montella et
al.94 hanno ricercato la presenza di infezione da
HCV in 495 pazienti con diversi tipi di carcinoma,
ed hanno riscontrato che tale infezione era associata ad un alto rischio di carcinoma epatico, mieloma multiplo, linfoma non-Hodgkin a cellule-B,
e carcinoma tiroideo. Questi risultati sono stati
successivamente riconfermati in un più recente
lavoro95.
377
Il nostro gruppo di lavoro ha studiato la prevalenza del carcinoma tiroideo anche in soggetti
(n=94) con crioglobulinemia mista HCV+62,96, rispetto a un gruppo di controllo di soggetti (n=470)
con età maggiore di 50 anni ottenuti dalla popolazione generale (5 soggetti di controllo per ogni
HCV+) di simile età e distribuzione dei sessi. La
prevalenza dei noduli tiroidei era più alta, sebbene non significativamente, nei soggetti di controllo (65,3 vs. 54,8%) che nei soggetti con crioglobulinemia. Tuttavia il 2,1% dei pazienti con crioglobulinemia presentava un carcinoma papillare della
tiroide, mentre nessun caso veniva riscontrato fra
i controlli (p = 0,001).
Fujino et al.97 hanno esaminata l’associazione
tra una anamnesi positiva per trasfusione ed il
carcinoma tiroideo. Dal 1988 al 1990 fu condotto
uno studio, che coinvolse 110.792 partecipanti da
45 aree di tutto il Giappone. I dati furono raccolti
da un totale di 37.983 donne senza alcuna storia
precedente di carcinoma (337.906 persone-anno);
furono identificati 79 casi di carcinoma tiroideo.
Una anamnesi positiva per trasfusioni di sangue
aumentava marginalmente il rischio di carcinoma
tiroideo [risk ratio (RR)=1,77, 95% intervallo di
confidenza (CI)=0,95-3,30]; mentre una storia di
trasfusioni e/o di una patologia epatica aumentava significativamente tale rischio (RR=1,84, 95%
CI=1.07-3,16). Questi risultati rafforzano indirettamente l’idea di un’associazione tra l’HCV ed il
carcinoma tiroideo.
Degno di particolare interesse è il fatto che l’autoimmunità tiroidea e la tiroidite autoimmune sono state considerate condizioni preneoplastiche.
Okayasu et al.98 studiarono la prevalenza e la severità della tiroidite associata a gozzo nodulare,
all’adenoma follicolare, o al carcinoma papillare
dall’esame di materiale ottenuto chirurgicamente.
La prevalenza di infiltrati linfocitari, indicativi
della tiroidite autoimmune, risultò significativamente più elevata nei pazienti con carcinoma papillare rispetto ai pazienti con gozzo nodulare o
adenoma follicolare. Nella nostra casistica di pazienti con crioglobulinemia mista62,96, entrambi i
pazienti con carcinoma papillare della tiroide mostravano infiltrazione linfocitaria della tiroide. Caratteristiche di autoimmunità tiroidea sono state
osservate più frequentemente nei pazienti HCV+
rispetto ai controlli, suggerendo che l’autoimmunità tiroidea può essere una condizione predisponente al successivo sviluppo del carcinoma papillare tiroideo96.
Un ruolo oncogenetico dell’HCV è stato dimostrato nel caso del carcinoma epatocellulare
quando sia presente una pregressa infezione cronica da HCV, con o senza cirrosi come fase intermedia1,2. Dal momento che l’HCV è un virus a
RNA il cui genoma non può essere integrato nell’ospite, il suo potenziale oncogeno deve essere
esercitato attraverso meccanismi indiretti. Esattamente quali meccanismi transducano il poten-
378
Recenti Progressi in Medicina, 96, 7-8, 2005
ziale oncogeno dell’HCV nei pazienti con carcinoma tiroideo non è attualmente noto. Clinicamente, le osservazioni attuali sembrano essere sufficienti per suggerire un attento monitoraggio della tiroide nel follow-up di pazienti con epatite
cronica HCV+, soprattutto in presenza di segni di
autoimmunità tiroidea.
Conclusioni
I risultati di precedenti studi indicano che l’infezione da HCV è frequentemente associata alla comparsa di disordini autoimmuni tiroidei e
disfunzioni tiroidee (soprattutto ipotiroidismo):
è perciò consigliabile un attento monitoraggio
del TSH (per esempio ogni 6-12 mesi), soprattutto in soggetti di sesso femminile ed in presenza di elevati livelli di AbTPO circolanti in
questi pazienti.
Alla comparsa di un ipotiroidismo, la terapia con
L-tiroxina dovrebbe essere intrapresa prontamente.
I risultati degli studi epidemiologici finora effettuati relativi ad una associazione fra infezione
da HCV e carcinoma tiroideo sono sufficienti per
suggerire un attento monitoraggio ecografico
della tiroide nel follow-up di pazienti con epatite cronica HCV+, soprattutto in presenza di segni di autoimmunità tiroidea.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Alessandro Antonelli
Università
Dipartimento di Medicina Interna
Via Roma, 67
56100 Pisa
E-mail: [email protected]
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