La grande danza nella vita di Patrizia Manieri

mercoledì 15 agosto 2012
L’INTERVISTA
15
SPETTACOLI
UNA VITA INTERA PASSATA AL TEATRO SAN CARLO, DA ALLIEVA DELLA SCUOLA DI BALLO AD ÉTOILE
La grande danza nella vita di Patrizia Manieri
di Elisabetta Testa
NAPOLI. È stata l’ultima ballerina
a danzare con Rudolf Nureyev. Una
vita intera passata al teatro San
Carlo, da allieva della Scuola di Ballo ad étoile. Patrizia Manieri (nella
foto), napoletana, ha ballato al fianco dei più grandi artisti, da Carla
Fracci a Rudolf Nureyev, e poi Ekaterina Maximova e Vladimir Vassiliev, sempre nel segno della qualità. Fisico strepitoso, doti innate, è
stata la punta di diamante del teatro San Carlo negli anni in cui la
danza faceva sognare.
Com’è entrata la danza nella
sua vita?
«È stato mio padre ad iscrivermi alla Scuola di Ballo. Ero di gomma,
con un tocco di ironia dico sempre
che sono arrivata in teatro in una
valigia, con le gambe dietro alla testa».
Quali sono state le difficoltà?
«La mia grande elasticità, le gambe iper estese e la schiena morbidissima. La mia duttilità fisica mi
ha aiutato per alcuni versi ma ho
dovuto lavorare tantissimo per rinforzarmi. Sono cresciuta in una famiglia molto severa, mio padre era
militare, quindi ho accettato la disciplina ferrea della Scuola di Ballo
senza problemi. Eravamo obbligati
ad essere educati e disciplinati, non
c’erano alternative. Una volta durante le prove del saggio in teatro
non si accennava a darci la pausa
pranzo. Nessuno ebbe il coraggio
di chiederla fin quando alcuni ragazzi decisero di apparire in palcoscenico con un cartellone dove c’era
scritto: “Abbiamo fame”. Ci fu un
attimo di panico poi la signora Gallizia si mise a ridere e ci lasciò andare».
C’è una persona in particolare
che ha inciso nel suo percorso
artistico?
«Tante! Quando ero ancora nel corpo di ballo Mario Pistoni che mi ha
affidato dei ruoli da prima ballerina
LIVE NEI CARCERI
poi Roberto Fascilla, Rudolf Nureyev, Ricardo Nunez. Tutti i ballerini
con i quali ho danzato mi hanno lasciato il segno, non riesco a dimenticarne neanche uno».
Che ricordo ha di Rudolf Nureyev?
«Mi voleva bene, ballare con lui è
stata un’emozione fortissima, aveva
una personalità sconvolgente. Ho
interpretato anche le sue coreografie, da “Raymonda” con Charles Jude a “Cenerentola” in cui ero una
delle due sorellastre fino a “L’aprésmidi d’un faune” alla Certosa di Padula, l’ultima volta che ha ballato.
Durante le prove era molto esigente, uscivo dalla sala distrutta ma ricca di emozioni, la sua severità non
era fine a se stessa, riusciva a tirare fuori il meglio da ciascun danzatore. Ogni momento passato insieme a lui mi ha arricchito tantissimo».
Qual è il suo ricordo più bello?
«Ne ho più di uno. Quando avevo
quindici anni Bianca Gallizia, l’allora direttrice della Scuola di Ballo, mi
portò in tournée in Brasile, a Rio de
Janeiro e San Paolo, con la Danza
delle ore della “Gioconda”. Ogni sera era un trionfo, ci chiedevano
sempre il bis. Una volta entrarono
in palcoscenico tutti i tecnici, le
maestranze; il pubblico, composto
MUSICA
in gran parte da
emigranti italiani, si
alzò in piedi continuando ad applaudire… fu un momento di grande
commozione. L’altro
ricordo a cui sono
particolarmente legata è quando ho
ballato “Oneghin”,
mi ha riportato alla
mia vita privata».
Da molti anni insegna e ha lavorato come assistente alla coreografia al teatro
San Carlo, al teatro Massimo di
Palermo, al teatro dell’Opera di
Roma. Come ha vissuto il passaggio da étoile a maitre de
ballet?
«È stato difficile abbandonare le
scene, avrei ballato tutta la vita ma
mi sono imposta di smettere, la
danza è dei giovani, anche se da
giovane si ha meno esperienza. Un
artista maturo può dare molto di più
ma la danza è estetica e bisogna essere consapevoli che mentre la maturità cresce il fisico pian piano ti
abbandona. Ho accettato il cambio
di ruolo perché il mio amore per la
danza si è semplicemente trasformato, come in un matrimonio in cui
la passione non può durare per
sempre. Prima stavo di fronte allo
specchio ora sono con le spalle allo
specchio. Si diventa più generosi».
Che cosa la colpisce in un danzatore?
«L’emozione che comunica. E poi la
tecnica».
Che cos’è il talento?
«Una dote che non ti dà nessuno o
ce l’hai o... ce l’hai! E’ come il fascino di una donna, ti puoi vestire con
gli abiti più belli, i gioielli più preziosi ma se non hai fascino non incanti nessuno».
Che cosa è cambiato nel mondo della danza negli ultimi an-
ni?
«La tecnica si è evoluta tantissimo
anche se i passi che s’insegnano sono sempre gli stessi. I ballerini di
oggi fanno cose strepitose, i fisici
sono diversi, più belli, più dotati. I
giovani di oggi sono meno inclini ai
sacrifici, senza dedizione, senza rinunce non si ottiene granché, bisogna studiare seriamente, approfondire ogni dettaglio e questo vale non solo nella danza».
Che cosa le piace del mondo
della danza e che cosa non sopporta?
«Ci si innamora di una persona che
non è perfetta. Può essere brutta o
antipatica però ti piace, non sai perché ma ti innamori, è un grande mistero. Ho esaltato ciò che mi piaceva, amando molto i ruoli che ho sentito fino in fondo tra cui quello di
Myrta, Carmen, Tatiana e ho accettato quello che non mi piaceva.
Mi sono goduta la mia vita artistica fino in fondo, la rifarei di nuovo».
Ce l’ha un sogno?
«Mi sarebbe piaciuto un maggiore
interesse della mia città verso la
danza».
Che cosa la emoziona?
«La bellezza, l’armonia».
Ha mai avuto paura?
«Sempre. Un secondo prima di entrare in palcoscenico ma appena cominciavo a ballare passava».
Che cos’è l’umiltà?
«Una dote che pochi hanno. I grandi artisti non si vantano mai».
Che cos’è la danza per lei?
«L’ho conosciuta da bambina e mi
ha subito affascinato, mi è entrata
nel cervello e mi ha raggiunto il cuore! Per lei ho lottato, faticato, gioito, pianto, mi sono divertita e ho sofferto. Con lei ho condiviso la mia vita, mi ha accompagnato con passione, regalandomi fortissime emozioni. È stato un grande amore e come tutti gli amori col passare del
tempo si è trasformato ma mi ha lasciato la certezza che durerà per
sempre».
LO SPETTACOLO PROPOSTO DA GIGI DE LUCA
Maschio Angioino, “Tutto Totò”
non esalta la platea di “Ridere”
di Mimmo Sica
NAPOLI. Sotto tono “Tutto Totò”,
lo spettacolo che Gigi De Luca ha
portato in scena, con la sua compagnia, al Maschio Angioino, nella quarta serata di “Ridere 2012”.
Nonostante l’amore e il rispetto
per il “Principe” dell’attore e autore e il suo apprezzabile impegno, lo spettacolo è apparso poco ritmato e alquanto deludente
nella tempistica: gli sketch del
grande comico, geniali nella loro
semplicità, non sono facili da imitare. L’omaggio ad Antonio De
Curtis è iniziato con la “Preghiera al clown”, una sua commovente poesia tratta dal film “Il più
comico spettacolo del mondo” del
1953, diretto da Mario Mattoli.
«C’è tanta gente che si diverte a
far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla; manda, se puoi, qualcuno su questo
mondo capace di far ridere me
come io faccio ridere gli altri», ha
detto De Luca nei panni del vecchio comico e sul palcoscenico è
comparso il dinoccolato Pinocchio. Intelligente trovata artistica del regista che ha inteso così
rappresentare il passaggio simbolico tra il vecchio varietà, quello di Maria De Angelis, in arte
Maria Campi, che, ispiratasi alla
sciantosa napoletana Maria Borsa, inventò la “mossa” e il nuovo
interpretato da Totò e caratterizzato da toni surreali e futuristici
che trovano appunto in Pinocchio
la massima espressione. Lo spettacolo, privo di una vera trama, è
proseguito con la messa in scena “di tutti i momenti teatrali e
poetici del più famoso comico italiano del Novecento, tra il mondo
dell’avanspettacolo e quello della
rivista”. Tra gli sketch si segnalano, in particolare, quelli tratti
dai films “Totò tarzan” e “Signori
si nasce”, dove De Luca ha fatto
rivivere il barone Zazà. L’interpretazione di “Miss, mia cara
Miss”, accompagnata dal balletto delle ballerine del nuovo varietà erede del Cafè-Chantant, ha
fatto calare il sipario sulla prima
parte. Nel secondo tempo è stata
particolarmente apprezzata l’imitazione dei fratelli De Regge e
l’interpretazione di “Malafemmena” fatta da De Luca con l’accompagnamento del coro composto da tutti gli artisti e da un
maestro alla chitarra. L’attenzione è stata alta e tutta per De Luca solo quando ha declamato “’A
livella”. Sulla scena, infatti, si è
visto finalmente l’artista che ha
interpretato lavori di Viviani, Pergolesi, Beckett, De Filippo e la
sua performance è stata salutata
da un prolungato applauso. Il finale è stato tutto e solo Totò. De
Luca lo ha impersonato con realismo e lo ha presentato nel momento in cui saluta il pubblico, il
suo unico amico, al quale regala
la sua valigia con spezzoni dei
suoi film e, soprattutto, con la
scatola del trucco. È il commiato
del “Principe” che, con quell’omaggio, lascia la difficile eredità di un “grande”ai suoi ammiratori e abbandona la scena lasciando addolorati e sgomenti i
suoi compagni di “lavoro”. Ma,
colpo di scena, un attore apre la
valigia e per magia ricompare in
bombetta e frack il re dei comici
che intona “Carmè, Carmè”, accompagnato dal coro degli altri
attori e dalle note del chitarrista”.
A CASTELFRANCO IN MISCANO L’ARTISTA HA CELEBRATO IL PADRE SCOMPARSO
Ferragosto
con De Maio
Antonio Pappano entusiasma nel “Memorial”
NAPOLI. Grazie al supporto
della Camera di Commercio,
nella persona del presidente
Maurizio Maddaloni, anche
quest’anno il cantautore Pino De
Maio, artista sensibile al sociale,
si fa promotore della 12ª
edizione di “Ferragosto in
Musica”, una canzone per
sorridere alla vita, progetto
sociale ideato dallo stesso De
Maio. Il 15 agosto è il giorno in
cui anziani rimasti soli in città
avvertono maggiormente la
solitudine, giorno in cui negli
ospedali gli ammalati avvertono
grandi disagi insieme ad una
profonda malinconia, giorno in
cui nei carceri si sta più male e
questo per gli ospizi i dormitori
pubblici i centri di cura mentale.
Per tutti questi Pino De Maio
insieme ad altri amici artisti
cercheranno di strappare un
sorriso. Da quasi un ventennio
Pino De Maio offre la sua
disponibilità artistica presso il
carcere minorile di Nisida, tanti
i ragazzi detenuti che si sono
appassionati alla musica, ma
l’orgoglio e di aver realizzato
con gli stessi, uno spettacolo
teatrale “Marialuna, una vita
tutta in salita”. Opera musicale
e teatrale scritta da De Maio e
registrata per la rai nella
trasmissione “Palco e
retropalco”. Sono due anni di
rappresentazioni, al Sannazaro
si sono realizzate mattinate per
le scuole, l’anno scorso ben 40 le
repliche fatte. Un grande
successo con grande richiesta di
scuole. Quest’anno saremo
ancora al Sannazaro per
replicare. Gli appuntamenti
proseguiranno sabato al Carcere
femminile di Pozzuoli (ore 11.30)
e a quello di Nisida (ore 18).
CASTELFRANCO IN MISCANO.
Anche quest’anno il cuore del
“Pappano memorial”, dedicato dal
maestro Antonio Pappano (nella foto), ormai felicemente sir Antony,
al ricordo del proprio padre, il maestro Pasquale, è stato il commosso
ringraziamento del direttore d’orchestra a coloro che hanno permesso pure in questo difficile 2012
la realizzazione della manifestazione ormai al nono anno. L’artista, nel
lunghissimo tripudio di applausi,
ha ringraziato Orazio del Vecchio,
antico amico di famiglia, con l’associazione “Pro Musica”, ideatore
e fondatore del “Memorial” in una
con il direttore, il presidente Mottola e la direttrice Sala del Conservatorio di Benevento la cui orchestra ha furoreggiato in questa indimenticabile serata, il maestro
Ciampa junior, abilissimo prepara-
MUSICA
tore dell’agguerrita formazione strumentale, ed ovviamente il sindaco
di Castelfranco, impegnato con dedizione nella riuscita del concerto,
indiscutibilmente l’evento musicale dell’Estate di quest’anno in Regione. Ad Antonio Pappano sono
stati presentati dai più giovani musicisti dell’insigne Istituto, che punta alle vette dell’eccellenza regionale del settore, una bacchetta simbolo della direzione onoraria della
scuola, ed una targa alla fulgente
carriera. Cammeo tradizionale nella sontuosa locandina sinfonica c’è
stata l’esibizione del tenore d’Errico, ospite abituale della manifestazione, che ha cantato due popolarissime arie d’opera (una di Donizetti ed una di Puccini) e, con eccessivo slancio, due canzoni napoletane, accompagnato mirabilmente al pianoforte da sir Antony,
che offre alla tastiera momenti di
somma finezza musicale, e sorprendente gioia d’ascolto: suoi
sempre delicati i prodigi di fraseggio, in Puccini soprattutto, trattandosi del logoro e clamoroso “Nessun dorma” da “Turandot”, con l’ormai imbarazzante “vincerò” . L’orchestra del Conservatorio sannita,
tra trepidazione e gioia, con meraviglioso evidentissimo impegno e
pathos palpabile ha suonato “Coriolano” di Beethoven, una suite da
“Carmen” di Bizet con aggiunte le
trascrizioni dei pezzi cantati più famosi, il “Bolero” di Ravel, la “Farandola” dall’”Arlesienne” sempre
di Bizet. Per la felicità di ogni scelta interpretativa, timbro e ritmo in
particolare, quest’ultimo pezzo, bis
graditissimo, è stato il momento
più alto del concerto, trasfigurando
i colori duri e giustapposti della par-
titura, quasi di van Gog, in fluido
di melodia. Chiaramente in quest’ottica è stata pensata dal direttore l’ouverture di Beethoven con
un respiro notevole che lasciava
trascolorare l’un tema famoso in un
altro, senza enfasi di tragico isterismo tragico, piuttosto realizzando
una bella pagina di plastico chia-
roscuro. Gli altri pezzi eseguiti, vissuti da tutti con strabiliante partecipazione, e tentativo di applausi a
scena aperta, sono stati trionfo di
musica pura, belle invenzioni musicali eseguite con severo trasporto, e compiute in modo memorabile. Ora Carmen” di Pappano la si
vorrebbe ascoltare intera. Meritevoli di lo speciali taluni maestri in
orchestra in ruoli difficili e scoperti. Tanti pezzetti e passaggi di queste amate partiture li abbiamo riscoperti, merito del sommo interprete. Bravissimi tutti, e grazie: grazie anche a chi ha provveduto a fare asfaltare le vie verso Faeto e Benevento, finalmente, a chi a disposto la tangenziale boschiva di Castelfranco per l’occasione. Si guarda con fiducia al decimo compleanno.
Massimo Lo Iacono
L’ARTISTA SUL MERCATO CON IL LAVORO DISCOGRAFICO “RETURN TO PARADISE”
Dall’Australia arriva il cantautore elettropop Sam Sparro
di Fabio Fiume
NAPOLI. A quattro anni di distanza dal successo strepitoso del singolo “Black and gold”, che non fu
però seguito in maniera così fortunata dall’album che la conteneva,
torna Sam Sparro (nella foto), cantautore e dj elettropop australiano e
lo fa affidandosi all’album “Return
to Paradise”, che però di paradisiaco ha davvero poco. Non perchè
non coraggioso, s’intenda, giacché
per stile Sparro sarebbe infatti stato perfettamente a suo agio, nelle
mode danzerecce, ed anche un po’
cafone del periodo (in stile Guetta,
ma anche Pitbull, Flo Rida e tutto
il filone li) ed invece ha deciso di
virare, puntualizzando non solo
l’elettronica, ma inserendo anche
qualche punta di r’n’b dal sapore
70’s, tuttavia mal interpretata.
Cambi anche a livello di immagine
per questo ritorno, mettendo alla
porta il look gayfriendly con camicie improbabili da surfista mancato e facendo entrare nell’armadio
completi ispirati ai gangsters americani degli anni 30 e 40, mischiato a baffetto e pettinatura filonazista. Coraggio dicevamo, ma il risultato non è di certo edificante. Il
primo singolo “Happiness”, fonde
un piano iniziale che fa molto house anni 90, ma poi cori ed arran-
giamento strutturato sul
basso, l’avvicinano con
forza alla dance dei 70,
sviando comunque, come apertura, da tutto
quello che poi è il resto
del progetto. Decisamente meglio il secondo,
“Wish i never met you”
(pure se quella fine molto Anastacia, senza tuttavia esserlo...) che invece ce lo riconsegna più vicino alle sonorità della sua già citata grande hit, anche se non moltissime radio l’hanno inserita nella loro playlist, non favorendone la diffusione;
ma questi restano i misteri delle
strane scelte che si fanno ai piani
alti dei network. Il brano
migliore del disco è di sicuro “Hurts like us” che a
sentore richiama qualche
pezzo del passato (stavolta dagli ‘80), pur senza essere sfacciato, e che ha
una chiusura originale,
che ti fa pensare più volte
che il pezzo sia finito, ma poi non è
così. Il resto ha ben poco di memorabile. Dall’apripista “Paradise
people”, scialacquato r’n’b, all’improbabile “Shades of grey” in cui ci
manca solo entry Mika ed allora
possiamo pure invitare i Cugini di
Campagna e fare una snervante festa delle voci bianche; già perchè
il falsetto è un piacevolissimo virtuosismo, quando è messo a fioritura, abbellimento di qualcosa e
non quando ci si gioca per un brano intero, a meno che tu non sia i
Bee Gees, e sinceramente Sparro
ci sembra un po’ distante. E poi c’è
“Closer” che è la sigla di un cartone animato robotico degli anni 70,
dove ti aspetti che qualcuno dica
a voce piena da un momento all’altro: “Mazingaaaaaaa”, ed invece ancora giù di falsetto che davvero non ne puoi più. Avrà pur voluto far ritorno in paradiso Sam
Sparro con questo disco, ma secondo noi, nel frattempo, han cambiato la serratura.