Gruppo Interstizi & Intersezioni - Dipartimento di Sociologia UNIVERSITÀ CATTOLICA – MILANO neXus N 16 6 Neew wsslleetttteerr nn.. 1 Inverno 2009/2010 Ogni giorno / mi vado chiedendo /quanto tempo rimanga ancora / alla primavera Daigu Ryokan Cari lettori della Newsletter, sta terminando il primo decennio dal momento irripetibile del passaggio al Duemila; e si conclude l’anno europeo della Creatività, di cui pochi si sono accorti. La creatività non è qualcosa di programmabile, ma la sua assenza fa ristagnare la vita dei singoli e delle collettività. Per questo, c’è bisogno di assicurare condizioni che ne favoriscano il libero e imprevedibile sviluppo: nei bambini come negli adulti, negli artisti ma anche negli economisti e negli operatori sociopolitici alla ricerca di nuove soluzioni ai problemi della modernità contemporanea. La creatività è un lievito, un soffio sottile, un elemento impalpabile che può manifestarsi oppure no, talora è un lucignolo fumigante che non va spento e che può generare trasformazioni di segno positivo. Ricordo in proposito che nell’immediato dopoguerra un sociologo creativo come fu il russo-americano Pitirim Sorokin fondò a Harvard un originale ‘Centro di ricerca sull’altruismo creativo’ e scrisse un ponderoso volume su “Il potere dell’amore” (1954, tr.it.2005), che è il potere di generare conseguenze innovative e positive a livello sociale oltre che individuale. L’impresa scientifica e umanistica degli Interstizi e Intersezioni si è nutrita sin dagli inizi di una ricerca di creatività. In questa linea, confidiamo che i lettori apprezzeranno la sezione speciale che in questo numero, diffuso nel dicembre 2009, proponiamo attraverso alcuni ‘Mini-racconti di Natale’, fra i cui autori figura un bambino. Con i migliori auguri da parte del nostro Gruppo. Gianni Gasparini SSO OM MM MA AR RIIO O Mini-racconti di Natale Laura Bosio, Alessandro Buffelli, Gianni Gasparini, Giovanna Salvioni 1. Incontri - Ugo Fabietti, Un ricordo di Claude Lévi-Strauss (1908-2009) Italo Piccoli, La vita quotidiana: tra sociologia e spiritualità 2 Libri & Scritti - Nicoletta Polla-Mattiot, I viaggiatori del silenzio: un libro, un festival, un sito Paolo D’Angelo, Estetica e paesaggio Vanni Codeluppi, Nel paese delle meraviglie: l’universo dei parchi di divertimento 3. Arte & Comunicazione - Francesco Tedeschi, Alle soglie dell’invisibile. La fotografia nell’opera di Silvio Wolf 4. Vita quotidiana - Francesca Rigotti, L’interesse e gli interessi Rubrica “Le città interstiziali” - Gianni Gasparini, Venezia, città-limite Pubblicazioni recenti Mini-racconti di Natale Æ Meditazioni sul Natale “Da dove viene quel senso di dolcezza infinita, quasi di casa, di capanna, di grembo, che avvertiamo in noi quando ci poniamo a meditare su cosa significhi il Natale, una volta che lo si spogli d’ogni sua decorazione e lo si riconduca al vertice e all’abisso della sua umile e fulgida verità?”. E’ l’inizio, semplice e potente, di una delle “meditazioni sul Natale” di Giovanni Testori raccolte in volume da Fulvio Panzeri e Valerio Rossi sotto il titolo Un bambino per sempre (Interlinea). La nostalgia di “tornare a casa” attraversa e accomuna queste pagine. Dov’è il Natale oggi?, si chiede Testori, e come segno di riconoscimento indica “tutto ciò che abita fuori dalle forme che la nostra società, per questi giorni di festa, suole prendere”. Fuori dalla vanità e dallo sfarzo, “insulto ludico” alla miseria, alla sofferenza, alla fame, “o anche solo alla quotidiana fatica e alla quotidiana ricerca e professione d’onestà”. A questo “luttuoso brillio”, a questi “Natali ingordi e privi di perdono”, Testori oppone “l’enormità dolcissima del Natale”: il richiamo a una solidarietà e a una pietà “nel senso della giustizia di Cristo, della sua lucentezza, della sua santità, della sua intelligenza, della sua bellezza, del suo amore e della sua pace”. Laura Bosio, scrittrice Æ Una strana stella cometa «Questo racconto è un racconto un po’ strano – mi dice il nonno. «Perché? – rispondo io. «Perché ti dice come è nata la stella cometa....non quella di Betlemme, ma un’altra, con la coda meno luminosa, ma comunque molto simpatica». «In una notte come questa una ragazzina, Ester, osservava il cielo e pensava: Quante stelle ci sono nel cielo...si fanno compagnie le une con le altre...come sono fortunate...non come me....non ho neanche un fratello o una sorella con cui giocare, correre, litigare....! Le stelle sentirono questi pensieri, espressi sottovoce da Ester e con un rapido passaparola organizzarono una riunione per decidere come aiutare Ester. Quella notte ci fu una gran confusione nel cielo: ogni stella diceva la sua, dalla più grande e luminosa, alle più piccole simili a puntini persi nello spazio. Ma l’idea più originale l’ebbero un gruppo di stelle che arrivavano da lontano e che insieme avevano fatto un lungo viaggio per partecipare alla riunione. Decisero di mettersi tutte insieme: un po’ a formare una bella stella con tutte le sue punte a posto, e un po’ dietro, a formare una lunghissima coda, capace di abbracciare Ester e non lasciarla mai sola. Da quella notte una stella cometa andò a trovare Ester ogni volta che si sentiva sola e giocava con lei a nascondino, ai quattro cantoni (anzi, ai cento cantoni, perché tutte le stelle volevano giocare), a guardia e ladri. Insomma, facevano insieme una gran confusione! E continuò così finché Ester non diventò grande, e non ebbe più bisogno della sua personale stella cometa. Ancora oggi gli astronomi si chiedono da dove sia arrivata e che fine abbia fatto quella strana stella cometa che per un po’ di anni era comparsa sulla casa di Ester! Ma quella stella si vede solo con gli occhi del cuore!» Alessandro Buffelli, studente scuola elementare - Novara ÆNatale in trenta righe Gli avevano chiesto un miniracconto di Natale per la loro Newsletter on-line, una iniziativa neoartigianale e postsociologica che un gruppetto di anime belle aveva fondato per favorire i nessi e i legami tra scienziati e subscienziati sociali separati da storici steccati e da effimeri stecchini infradisciplinari. Gli avevano detto: scrivici entro 15 giorni un racconto di 30 righe massimo . E lui aveva accettato, non solo per la simpatia che nutriva per quella consorteria di idealisti ma perché scrivere racconti era la sua passione segreta: nel cassetto 2 ne aveva accumulati tanti sui personaggi di fiabe e favole, Pinokkio e i due PP (Peter Pan e il Piccolo Principe), senza trascurare per questioni di genere Alice, Biancaneve e Cappuccetto rosso. Mentre si accingeva a scrivere si rese conto con un certo disagio che erano già state riempite le prime 8, 9, 10 righe. Pensò con invidia ai giapponesi che con gli haiku se la cavano ottimamente in 17 sillabe, ai twitter con il limite dei 140 caratteri, ai necrologi che per ovvie ragioni occupano pochissime righe, ai telegrammi che ci si scambiava nel secolo scorso con stile burocraticamente efficace. Intanto le righe scorrevano inesorabilmente, erano 12, 13, e il racconto non veniva ancora. Si fermò e si accorse che il telefono fisso dello studio non funzionava: allora slacciò il cinturino e gettò via l’orologio, il cellulare non ce l’aveva, il computer era spento; così disconnesso uscì senza farsi notare, scese nel giardino sotto casa e si mise a guardare intensamente gli alberi con le ultime foglie dai colori nostalgici tra rosso e bruno, giallo miele e verde strapazzato. Ma che c’entravano gli alberi, e prima il telefono muto e il computer spento? Lo spazio intanto continuava a diminuire, entro 10 righe avrebbe dovuto chiudere. Eureka, aveva trovato: il tempo! Era il tempo il nesso tra la vita del mondo e il Natale. Il tempo dell’orologio e del computer, come quello degli alberi e delle stagioni, parla di qualcosa che scorre inarrestabile; il Natale al contrario è il tempo sospeso, in bilico, come l’aurora che sta fra la tenebra della notte e la luce abbagliante del mattino. Natale è l’interstizio in cui il tempo si ferma e dove il prima è separato dal dopo. Gli venne in mente il verso del poeta quando dice che ci fu ‘Un momento del tempo ma il tempo fu fatto attraverso quel momento’. Natale - gli parve di intuire - era proprio quel momento di tempo senza tempo in cui l’istante si congiunge misteriosamente all’eterno. Stava avvicinandosi alle 30 righe, ma ormai il compito era svolto: gli era riuscito in qualche modo di parlare del Natale. Depose la penna sollevato e scrisse l’ultima parola del suo miniracconto: FINE. Gianni Gasparini, Università Cattolica - Milano ÆRacconto di Natale L’appuntato Mario Cacioppo pedalava allegramente lungo la strada provinciale, col cestino della bicicletta, gentilmente prestata da sua moglie, pieno di golosi acquisti per la cena, dato che era la vigilia di natale. A un tratto gli parve di sentire un insistente miagolio, e siccome era sensibilissimo ai torti fatti ai deboli e agli innocenti, frenò pensando di aiutare un gattino in difficoltà e mandando un pensiero non amichevole all’umano che in difficoltà lo aveva messo. Sul ciglio della strada restò un attimo immobile come una statuina del presepe: in uno scatolone di cartone era sistemato, con cura dovette ammettere e ben protetto dal freddo, un neonato che si lamentava flebilmente. Nonostante gli anni di carriera si emozionò e abbastanza agitato sollevò lo scatolone, lasciò cadere la bicicletta e si avviò ,di corsa ma non troppo ( per non scuotere oltre misura il piccolo),verso la villetta più vicina. La giovane padrona di casa gli mise a disposizione il telefono , intiepidì del latte e vezzeggiò commossa il bambino. Sembrava robusto ed era molto bello, con la testolina coperta da una peluria dorata. Arrivarono velocemente sulla stessa automobile il comandante, il medico , il sindaco e il parroco. A turno guardarono con affetto il neonato, che nel calore della stanza si stava appisolando. Il comandante ispezionò brevemente il contenitore, e dalle pieghe della copertina emerse quasi come una farfalla un foglietto; c’erano scritte poche parole, ma piene di passione: “Amatelo molto, e chiamatelo Emanuel”. Cacioppo, il comandante,il dottor Bellini, don Giorgio, il sindaco Peruzzi, rimasero in silenzio. Cacioppo prese dalle braccia del medico il bambino, così caldo e morbido , un dono di Dio. E sentì con stupore il sindaco dire: “Questo bimbo va presentato in modo solenne a tutto il paese! Quest’anno il nostro presepe vivente è ben riscaldato, e lui sarà almeno per qualche ora il Bambino Gesù nella capanna!”. “Viva!” esclamò il parroco e “Siii!” gli altri in coro con gioia. Il giorno di Natale, sul tabellone elettronico del comune situato in piazza, tutti potevano leggere:”Come ogni 25 dicembre Emanuel è tornato. Lo potete vedere tra le braccia di Maria nel nostro presepe vivente”. Giovanna Salvioni, Università Cattolica – Milano 3 1. Incontri Æ Un ricordo di Claude Lévi-Strauss (1908-2009) “Odio i viaggi e gli esploratori”. Così suona l’inizio di Tristi tropici, il libro che nel 1955 avrebbe reso Claude Lévi-Strauss e l’antropologia noti in tutto il mondo. Ma Lévi-Strauss aveva cominciato a viaggiare quando, giovane professore di filosofia nei licei di provincia francesi, aveva colto la proposta di andare a insegnare sociologia a San Paolo del Brasile. Lì iniziò infatti la sua grande avventura scientifica e umana: le ricerche tra gli indios, il ritorno in Francia, la guerra, la fuga in America, l’incontro con la linguistica strutturale, il ritorno, gli onori e la fama mondiale. Claude Lévi-Strauss è morto ormai prossimo a compiere cento e uno anni. L’anno passato, per il suo centesimo compleanno, la Bibliothèque de la Pléïade (Gallimard) lo aveva incluso, tra i suoi “immortali”, pubblicando in un volume di circa duemila pagine alcune delle sue opere che Lévi-Strauss in persona aveva selezionato. Comunque si sia tentati di definire la sua opera è certo che la figura di Lévi-Strauss svetta unica e solenne nella storia dell’antropologia e nella cultura del Novecento. Il suo pensiero ha infatti segnato in maniera inconfondibile non solo il profilo dell’antropologia per parecchi decenni, ma ha influito su quello di tutte le scienze umane e della cultura generalmente intesa per una buona metà del secolo trascorso. Le sue teorie relative alla natura dello scambio matrimoniale, la sua analisi del “pensiero selvaggio”, e la teoria del mito come “pensiero che pensa se stesso”, unite a una grande prosa e a una straordinaria capacità di transitare dall’antropologia alla filosofia, da questa alla letteratura e alla musica e alla pittura, fanno di Claude Lévi-Strauss una figura tanto eccezionale quanto inimitabile. La storia di Lévi-Strauss è piuttosto nota. L’ha raccontata lui stesso in Tristi tropici e poi in una serie di interviste più o meno celebri rilasciate nel corso degli anni, tra le quali spicca quel D’après et de loin pubblicato prima nel 1988 e poi ampliato nel 1998, quando Lévi-Strauss aveva ormai novant’anni. Formatosi alla scuola dei filosofi francesi degli anni Venti-Trenta Lévi-Strauss lasciò, “deluso” (è una parola sua), questa disciplina per dedicarsi all’etnologia accostandosi quindi a quella sociologia francese scaturita dalla scuola di Durkheim che avrebbe segnato in maniera indelebile, con Hertz, Hubert, Mauss e molti altri i destini dell’antropologia transalpina. Nel 1934 andò a ricoprire una cattedra di sociologia a San Paolo del Brasile iniziando le sue ricerche tra gli indios. Dopo qualche anno tornò in patria, ma per poco. Nel 1939 scoppiò la guerra, e LéviStrauss venne chiamato alle armi. Dopo la sconfitta, Lévi-Strauss viene congedato. Ma viene “arruolato” nel progetto americano di “salvataggio dei cervelli” in fuga dall’Europa invasa dai nazisti (Lévi-Strauss, che aveva anche ascendenze ebraiche, rischiava più di molti altri). Arrivato a New York (su cui scriverà pagine di straordinaria bellezza poi raccolte in Lo sguardo da lontano) entrò in contatto con gli ambienti antropologici statunitensi e, soprattutto, si legò di una profonda amicizia con il grande linguista russo Roman Jakobson, fondatore con altri, nel 1929, del Circolo Linguistico di Praga, e uno dei padri della linguistica strutturale. Questo incontro segnerà in maniera decisiva tutto il lavoro successivo di Lévi-Strauss. Contrario a una visione dello studio dell’uomo come soggetto storico capace di imporre al mondo una forma e una direzione, Lévi-Strauss concepisce l’antropologia come ricognizione delle istanze inconsce, “vuote” e non illimitate (le “strutture”) che rendono possibile, allo spirito, articolare l’esperienza del reale. Marx e Freud hanno, egli dice, preparato il terreno per togliere al “soggetto” della filosofia occidentale quell’onnipotenza 4 di pensiero e di azione che ora lui riconduce ad una combinatoria di possibilità non infinite in cui i singoli fenomeni registrati dal pensiero acquisiscono un senso solo perché accostati in un certo modo ad altri: è la lezione della linguistica strutturale. Comincia così l’analisi dei sistemi di classificazione “primitivi”, l’esame dei sistemi di parentela, lo studio dei miti. La sua macchina strutturale disseziona, distingue, accosta, oppone e ricompone, miriadi di oggetti in sé apparentemente privi di significato per riordinarli successivamente all’interno di una visione coerente e compiuta, fondata sulla convinzione che lo spirito umano funziona in base a leggi ineludibili presso di “noi” come presso gli “altri”, in passato come adesso, e quasi certamente anche domani. Accanto a questo Lévi-Strauss “strutturalista” affiora di tanto in tanto un altro Lévi-Strauss, meno imponente ma non per questo meno noto, e neppure meno importante per l’eco prodotta dalla sua antropologia su un pubblico ben più ampio di quello degli specialisti. E’ il Lévi-Strauss di Tristi tropici (1955) in cui “frammenti di musica e poesia”, espressione di un raffinato clima intellettuale da cui LéviStrauss proviene, e che spesso costituiscono la materia di affascinanti operazioni di bricolage testuale, funzionano come tracce di una memoria proustiana (alla quale Lévi-Strauss spesso si richiama) nei cui risvolti la teoria sembra essere in sintonia con una esperienza personalmente vissuta. Questa esperienza personale è quella di tutti gli antropologi, figure “socialmente anomale” la cui vocazione li spinge “a risalire il corso dei millenni” alla ricerca di un tempo doppiamente perduto: tanto dalla società alla quale essi appartengono, quanto da loro stessi che cercano, lontano dai propri simili, il senso del distacco da questi ultimi. E’ l’esperienza de “il Lazzaro dei tempi moderni”, quello eroicizzato - filosoficamente, si intende - da Susan Sontag in un celebre saggio del 1963 (L’antropologo come eroe); il redivivo che, come scrisse nel 1954 lo stesso Lévi-Strauss, “morto alla sua società e ai suoi” torna tra questi compiendo il destino di chi, dopo aver viaggiato e aver preso le distanze da tutte le culture, sente la necessità di affrancarsi dall’ ultima delle culture di cui non si è ancora liberato: la sua”. Con Lévi-Strauss l’ambizione dichiarata dell’antropologia fu quella di presentarsi come una scienza in forma di viaggio. Il viaggio dell’antropologo strutturalista non è tanto nello spazio, ma nel pensiero, è il viaggio che è possibile compiere attraverso quelle strutture che sono i sistemi di parentela, le forme di classificazione simbolica della realtà e i sistemi mitici: grandi, immensi campi di fenomeni dietro i quali sarà possibile ritrovare le invarianti che li fondano, strutture che stanno ai quei sistemi come le note stanno al grandioso universo musicale costruito dall’uomo. Lévi-Strauss, è vero, fu etnografo prima che antropologo, e dunque viaggiò. E Tristi tropici è, tra le molte altre cose, un grandissimo libro di viaggi. Ma non si deve cedere all’illusione. Perché il viaggio nello spazio compiuto dall’etnografo Lévi-Strauss è l’annuncio – nostalgico – che i viaggi ormai non esistono più. Quell’ “Odio i viaggi e gli esploratori”, a cui fa da contrappunto l’altrettanto celebre conclusione del libro - “Addio selvaggi! Addio viaggi!” – mette in scena un sentimento della perdita che si riveste del disprezzo nutrito da Lévi-Strauss per i viaggi “da cartolina” e per gli esploratori “della domenica”, nel momento stesso tuttavia in cui perdita e disprezzo si soffondono di una nostalgica malinconia: “vorrei essere vissuto al tempo dei ‘veri viaggi’, quando offrivano in tutto il loro splendore, uno spettacolo non ancora infangato, contaminato e maledetto….”. Ugo Fabietti, Università degli Studi di Milano Bicocca Æ La vita quotidiana: tra sociologia e spiritualità (Università Cattolica, Milano, 26 novembre 2009) Teologi e sociologi a confronto sul tema della vita quotidiana e della spiritualità. L’occasione è stata la presentazione dell’ultimo libro di Gianni Gasparini, La vita quotidiana (Cittadella, Assisi 2009). Ad animare il dibattito due teologi d’eccezione: Franco Giulio Brambilla, della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale nonché Vescovo Ausiliare di Milano, e Ermes Ronchi, della Corsia dei Servi di Milano, e due sociologi tra i massimi studiosi della vita quotidiana: Laura Balbo, dell’Università di Padova e, ovviamente, Gianni Gasparini. A coordinare il dibattito il prof. Michele Colasanto, direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica. Nonostante la diversa posizione ideologica – ovviamente cattolica quella dei due teologi e laica quella della sociologa Laura Balbo – i relatori hanno concordato su una definizione di spiritualità che rimanda alla “conoscenza” e, per estensione, a tutto ciò che permette e favorisce la conoscenza ( e quindi anche la sociologia e tutte le scienze umane e non). La spiritualità è la capacità di attribuire un senso alle cose e agli accadimenti dell’uomo. Nella Genesi, Dio soffiò lo spirito in una massa inerme di creta e quella creta divenne uomo, allo scopo di glorificare il Creatore. Il senso della vita e la finalità delle azioni umane le ha date Dio: all’uomo il compito di ri-conoscerle. Se nelle religioni monoteiste il senso dell’uomo è dato da Dio; in una prospettiva laica è l’uomo stesso che deve ricercare un senso e una finalità alla propria vita. In questa seconda prospettiva, Laura Balbo ha proposto la fondazione di una Sociologia della Laicità, complementare alla Sociologia della Religione, per studiare se e come la laicità, ovvero la ricerca di senso indipendente dalla trascendenza, influisca nei comportamenti sociali. La ricerca di 5 senso non solo non può ignorare ma, indubbiamente, deve partire proprio dalla comprensione della quotidianità, ovvero da quel sistema di atti, di relazioni, di comportamenti, di significati che si ripetono identici per lungo tempo. Ma sono proprio questi atti e queste relazioni che, nella loro prevedibilità, offrono all’uomo quella sicurezza che rappresenta ancora oggi uno degli obbiettivi maggiormente ricercati. E questo nonostante si sia attratti, almeno a parole, dalle esperienze cosiddette eccezionali, uniche e irrepetibili. Concordemente, quindi, i relatori hanno ribadito il valore della vita quotidiana la quale, inoltre, a guardarla un po’ più da vicino e in modo approfondito, si presenta ricca di sfaccettature e di momenti i unici molto di più di quanto comunemente non si creda. Italo Piccoli, Università Cattolica – Milano 2. Libri & Scritti Æ I viaggiatori del silenzio: un libro, un festival, un sito (Il paradosso del silenzio, Percorsi alternativi nel caos contemporaneo, a cura di Nicoletta Polla-Mattiot, ed. Il Poligrafo, 2009). Sono stati presentati, nell’accogliente Spazio Tadini di Milano, gli atti del Festival del silenzio. La manifestazione, ideata da Fuoribiennale, si propone di promuovere l’esplorazione e l’esperienza del silenzio nei suoi molteplici aspetti, e di portarlo all’interno delle nostre città sempre più accelerate e assediate dal rumore. Tanti i contributi raccolti all’interno del volume, curato da Nicoletta Polla-Mattiot. La prima sezione si addentra nella relazione fra silenzio e creatività artistica: dall’ideazione della mostra Silenzio raccontata da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo alla testimonianza dell’artista contemporaneo Massimo Kaufman sull’estasi e la comunicazione oltre il linguaggio; da un excursus dietro i più famosi “pentimenti d’artista”, tracciato con l’aiuto della riflettografia da Giovanni Villa, all’emozione evocata dalla visione, indagata con gli strumenti della psichiatria da Antonella Garofalo. La seconda sezione esamina la parola silenzio e le sue implicazioni semantiche (Luigi Perissinotto), metaforiche (Francesca Rigotti), psicologiche (Manuela Trinci), persuasive (Luigi Spina). La terza sezione è una raccolta di laboratori, rivolti alla pratica e all’esercizio del silenzio. Nell’attività artistica e pedagogica di Daria Tonzig, destinata a bambini e adulti, tacere è l’occasione per un dialogo muto fatto di mimo e disegno; nel breve corso di scrittura di Duccio Demetrio, il silenzio è la concentrazione da cui germina il filo della narrazione e del ricordo autobiografico; nell’olfattoteca di Laura Tonatto ci si affida al più istintivo dei sensi, per tacere e conoscere annusando. Con l’occasione della presentazione, è stato inaugurato anche il sito e il blog del silenzio, a cui sono invitati a partecipare tutti coloro che vogliano unirsi ai “viaggiatori del silenzio” e abbiamo un contributo scientifico, letterario, artistico, musicale o semplicemente personale legato al tema. (www.ascoltareilsilenzio.org e http://blog.ascoltareilsilenzio.org). Nicoletta Polla-Mattiot, Milano Æ Estetica e paesaggio (Estetica e paesaggio, a cura di Paolo D’Angelo, Bologna, Il Mulino, 2009). Molte sono le discipline che nell’odierna situazione culturale si occupano di paesaggio, dalla geografia all’ecologia, dalla architettura all’antropologia, dalla sociologia ai visual studies. Ma per quanto vi siano molti modi di guardare al paesaggio, e di farne oggetto di indagine, non c’è dubbio che all’origine la nozione di paesaggio sia una nozione estetica. E ancora oggi, nel discorso comune, quando sentiamo parlare di paesaggio, pensiamo subito all’aspetto di un luogo, al suo essere bello, equilibrato, armonico, o viceversa deturpato, disomogeneo, brutto. Il volume a cura di Paolo D’Angelo (del quale segnaliamo anche : Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale (Roma-Bari, 20094) si compone di un’ampia Introduzione e di una Parte Antologica, che ripercorre le tappe salienti della discussione sul paesaggio condotta nella filosofia del Novecento, da Simmel a Ritter, da Rilke ad Assunto. Al tempo stesso, esso presenta un ampio panorama delle teorie più recenti, da quelle che riconducono il paesaggio reale alla pittura di paesaggio (A. Roger) a quelle che lo equiparano all’ambiente fisico-naturale (J. Appleton), da quelle che insistono sul carattere culturale di ogni paesaggio (A. Berque, M. Venturi Ferriolo) a quelle che lo considerano una fonte di identificazione per le popolazioni che lo abitano (L. Bonesio). Oggi che la tutela del paesaggio e la difesa del nostro patrimonio storico-naturale sono avvertite sempre di più come una priorità e una responsabilità, è importante conoscere i modi nei quali la filosofia ha teorizzato il paesaggio. Per sapere cosa esattamente difendiamo, e come possiamo farlo. Paolo D’Angelo, Università di Roma Tre 6 ÆNel paese delle meraviglie: l’universo dei parchi di divertimento I parchi di divertimento sono dei luoghi affascinanti e complessi in grado di offrire all’individuo molteplici esperienze che lo coinvolgono sia sul piano fisico che su quello mentale. Costituiscono perciò una realtà estremamente importante delle società contemporanee. Non è un caso che i principali parchi attirino ogni anno alcune decine di milioni di visitatori. Va considerato inoltre che se, come ha sostenuto David Harvey, lo sviluppo della postmodernità produce un’intensificazione di quei processi di compressione dello spazio e del tempo che sono tipici della modernità, il mondo dei parchi di divertimento rappresenta in maniera esemplare l’attuale contesto sociale postmoderno. Tutto infatti in tali parchi è orientato a contrarre la percezione dello spazio e del tempo del visitatore. Data la loro importanza economica e sociale, i parchi di divertimento richiedono un’analisi approfondita ed è ciò che ho tentato di effettuare all’interno del volume che ho recentemente curato insieme a Stefano Calabrese: Nel paese delle meraviglie. Che cosa sono i parchi di divertimento (Carocci, 2009). Il libro è strutturato in cinque capitoli preparati da altrettanti autori, ciascuno dei quali affronta uno dei principali modelli presenti nell’universo dei parchi di divertimento. Ho scritto il primo capitolo, che ricostruisce la storia secolare delle varie forme di divertimento che hanno anticipato la nascita nell’Ottocento dei primi parchi e poi tratta in particolare dei parchi di divertimento in senso proprio, ovvero dei luna park o «parchi d’attrazione» (come ad esempio Gardaland o Mirabilandia). Il secondo capitolo è stato curato da Massimiliano Freddi e affronta l’analisi del modello Disney, un modello che è nato negli anni Cinquanta del Novecento, ma ha saputo rinnovarsi costantemente e rappresenta ancora oggi il principale punto di riferimento per l’intera categoria dei parchi. Il terzo capitolo è firmato da Stefano Calabrese e tratta dei sempre più numerosi parchi tematici: Movieland Studios (cinema), Terra magica (storia antica), Dickens World (il mondo letterario di David Copperfield), ecc. Il quarto capitolo, scritto da Alfonso Morone, affronta la realtà estremamente articolata dei parchi che trattano vari aspetti della natura: di vita marina come gli acquari e i delfinari (Acquario di Genova, Oltremare), faunistici, zoosafari, ecc. Infine, il quinto capitolo è ad opera di Sabrina Pomodoro e considera un fenomeno nato da poco tempo, ma diventato rapidamente importante: i luoghi creati dalle aziende per comunicare la loro storia e il loro mondo (Swaroski, Volkswagen, Sony, Lego, Kellogg’s, ecc). Spesso sono dei musei, ma tendono a farsi sempre più spettacolari e coinvolgenti per i visitatori. Dunque a diventare anch’essi dei veri e propri parchi di divertimento. Vanni Codeluppi, Università di Modena e Reggio Emilia 3. Arte & Comunicazione ÆAlle soglie dell’invisibile. La fotografia nell’opera di Silvio Wolf La fotografia può valere come “luogo di transizione”, come momento che registra uno scarto fra un qui e un altrove, fra il visibile e l’invisibile, e per questo è da intendersi, come sostiene Silvio Wolf, quale coscienza critica nei confronti dello statuto dell’immagine. Ne deriva che la sua natura e le sue possibilità siano oggi nelle forme di esplorazione della natura sorgiva di una forma che non si limita e non si può limitare a essere quella vista con gli occhi e documentata da uno strumento ottico meccanico. Alle diverse possibilità di una fotografia che si articola attorno alla riflessione teorica sul senso che essa può assumere nella realtà visiva odierna, le sue proposte affiancano, nelle sue recenti realizzazioni, una particolare sfida, quella di rendere l’osservatore il soggetto del rapporto con le tracce di condizioni visive che diventano interiori, superando la superficialità delle immagini. Wolf è tra coloro che pensano che oggi le immagini, il “visibile”, abbiano saturato il nostro orizzonte, e che occorra riscoprire ciò che resta nascosto, che esse stesse nascondono. “L’invisibile è sotteso al visibile: le immagini ne sono forma simbolica d’interpretazione…”, dice, tra l’altro, in un testo scritto ad accompagnare una recente sua mostra a Milano (Prima del Tempo, Galleria Nicoletta Rusconi, 18 settembre – 7 novembre 2009). Questi assunti si sono tradotti, per esempio, in una installazione di tre 7 fotografie monocrome nere, risultato di un’esposizione alla luce che le ha accecate, di fronte alle quali il visitatore poteva sostare, rispecchiandosi in esse e sentendo un rumore di respiro proveniente dall’alto, esattamente sopra di lui; o in un effetto di intenso controluce registrato su una lastra di alluminio, dove un sottile passaggio si apre in una lama di luce, centrale rispetto alla nera solidità di una tenda leggermente discosta. In questo lavoro si trova un’eco di altre figure di “soglie” che Wolf ha da tempo introdotto, anche visivamente, nelle sue realizzazioni fotografiche, andando così a far coincidere il significato con il significante. In un incontro svoltosi presso l’Università Cattolica lo scorso 5 novembre Wolf ha presentato, insieme a questi lavori, gli sviluppi di una sua ricerca da tempo in corso, consistente nel raccogliere e ingrandire i frammenti iniziali delle pellicole fotografiche solitamente gettati fra i rifiuti, perché destinati a essere parzialmente bruciati, divenuti delle forme di paesaggi o fotografie astratte, ma che potrebbero essere meglio definite come “immagini precedenti l’immagine”, in linea con una ricerca che si insinua fra il reale e il possibile, creando forme che sono, come ha detto altrove, contemporaneamente vere e false. Francesco Tedeschi, Università Cattolica - Milano 4. Vita quotidiana Æ L'interesse e gli interessi Nel linguaggio politico si intende per «conflitto di interessi» il problema che nasce quando viene affidata un'alta responsabilità decisionale ad un soggetto che abbia interessi personali o professionali in conflitto con l'imparzialità richiesta da tale responsabilità, che può venire meno visti i propri interessi in causa. Sembra, in questa descrizione che corrisponde peraltro a quella del linguaggio comune, che gli interessi siano necessariamente individuali, conflittuali e contrastanti, che ognuno abbia un interesse proprio da contrapporre a quello degli altri, e che il più forte vinca, come poi di fatto è successo e succede. Eppure il termine interesse ha una connotazione iniziale molto diversa, una connotazione quasi interstiziale, si potrebbe dire, almeno a leggere quel che ne scrive Hannah Arendt, che dedica qualche riga al tema in Vita activa. La condizione umana (Milano, Bompiani, 1994, ma orig. 1958). Gli uomini vivono in un mondo di cose, osserva Arendt, «un mondo che fisicamente si trova tra loro e dal quale derivano i loro interessi specifici, oggettivi, mondani. Tali interessi costituiscono, nel senso più letterale del termine, qualcosa che inter-est, che sta tra le persone e perciò può metterle in relazione e unirle. La maggior parte delle azioni e dei discorsi riguarda questo spazio relazionale, questo infra che varia in ogni gruppo di persone, così che gran parte delle parole e degli atti sono intorno a qualche realtà oggettiva del mondo» (ivi, p. 133). Insomma l'inter-esse sta tra le persone e le unisce. È uno spazio relazionale mondano che noi, dimentichi della saggezza della lingua, abbiamo trasformato in un movente egoistico di tipo individuale, per soddisfare il quale ognuno è disposto ad andare contro l'altro. Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana - Lugano Rubrica “Le città interstiziali” @ Venezia, città-limite Città eccezionale, al di là delle regole e delle logiche, esito di una costruzione materiale e socioculturale che dura da più di un millennio, Venezia sopravvive oggi ai margini della normalità, e non solo per il fatto di vivere sull’acqua. Nessun confronto con altre città è possibile: Venezia è fuori concorso, e lo sapeva bene Fernand Braudel, tra i più grandi storici del Novecento, che amava questa città al punto di proporne l’investitura a capitale del mondo: capitale per cultura, per storia, per modi di vita, come si sarebbe potuto dire fino a pochissime generazioni fa, quando l’anima della città era ancora visibile e il vivere in laguna si rifletteva sui bisogni di base, sulle relazioni umane, sulla quotidianità costruita attraverso adattamenti continui ai vincoli dell’acqua. Oggi arrivare a Venezia è sempre spaesante, la bellezza dei suoi luoghi d’arte resta stupefacente, la sua urbanistica fatta di campi e calli e sottoporteghi da percorrere a piedi è pur sempre ammirevole, ma si è colpiti e impressionati da due altri aspetti, di cui appare la stretta correlazione. Il primo è un flusso turistico enorme e inarrestabile in ogni stagione, con prevalenza degli stranieri: sono soprattutto essi a portare avanti in modo spietato e inconsapevole il processo di banalizzazione e omologazione dei luoghi e delle attrattive stereotipiche della città, dalla gondola alla fotografia al ponte dei Sospiri, dalla sosta a San Marco all’acquisto della maschera in cartapesta o di un oggetto in vetro. Il secondo aspetto è l’insostenibile aumento dei prezzi, per il quale si adducono ragioni di insularità e difficoltà di accesso (ma allora la Sardegna, o Lipari?) e che si è diffuso a macchia d’olio, secondo la nota legge della moneta cattiva 8 che scaccia la buona. L’accoglienza ricevuta dal visitatore che riesce una volta ogni tanto (magari una sola nella vita) a vedere Venezia è molto legato alla percezione di una correttezza e congruità dei prezzi di beni e servizi. Cito allora, a titolo di esempio, alcuni prezzi registrati personalmente nel 2009: pernottamento senza prima colazione in camera doppia in un Istituto di suore, in bassa stagione, € 105; una corsa in vaporetto – strumento indispensabile per gli spostamenti -, € 6,50; una pizza da asporto €9/12; un pranzo in trattoria di livello medio-basso, senza vino, €35/50; uso di una toilette pubblica, €1,50 (probabile record mondiale, da segnalare al Guinness dei primati). A questo si aggiunge il sospetto che i ristoratori abbiano talvolta reagito alla crisi diminuendo la quantità delle porzioni sui piatti (sic!) e risparmiando sulla qualità. In sintesi: credo che se Venezia vuole ritrovare un’anima, senza nulla togliere all’importanza e alla legittimità della sua attività commerciale, debba pensare ad un codice etico per i comportamenti della vita quotidiana che comprenda il livello dei prezzi dei servizi: si tratterebbe di una sorta di dichiarazione d’intenti nei confronti dei visitatori, ai quali in contropartita non si dovrebbe temere di chiedere il massimo rispetto per il carattere eccezionale della città. Potrebbe farsene carico il Comune della città lagunare, o – perché no? – lo stesso Patriarcato di Venezia. Ma forse questo non è che un wishful thinking. Gianni Gasparini Pubblicazioni recenti • • • Elena Besozzi, Maddalena Colombo, Mariagrazia Santagati (a cura di), Giovani stranieri, nuovi cittadini, Le strategie di una generazione ponte, FrancoAngeli, Milano 2009. Vincenzo Cesareo, Italo Vaccarini (a cura di), La libertà responsabile. Una discussione, Vita e Pensiero, Milano 2009. Edgar Morin, Il gioco della verità e dell’errore. Rigenerare la parola politica, Erickson, Trento 2009. I nostri recapiti: Giovanni Gasparini (Il coordinatore) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] Tel. 02.7234.2547 Cristina Pasqualini e Fabio Introini (La segreteria) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] [email protected] Tel. 02.7234.3976/3764 9 Il Gruppo “Interstizi & Intersezioni”: Piermarco Aroldi, Paolo Corvo, Giovanni Gasparini, Fabio Introini, Cristina Pasqualini, Nicoletta Pavesi, Giovanna Salvioni, Paolo Volonté I corrispondenti: Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano (Relazioni interculturali); Marc Augé, École des Hautes Études en Sciences Sociales – Parigi (Antropologia); Maurice Aymard, Maison des Sciences de l’Homme – Parigi (Storia europea); Giampaolo Azzoni, Università di Pavia (Filosofia del Diritto); Laura Balbo, Università di Ferrara (Women studies); Enzo Balboni, Università Cattolica – Milano (Diritto e Istituzioni); Claudio Bernardi, Università Cattolica – Milano (Teatro); Gianantonio Borgonovo, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Milano (Bibbia); Laura Bosio, scrittrice (Fiction); Enrico Camanni, Torino (Montagna); François Cheng, Académie Française – Parigi; Giacomo Corna Pellegrini, Università degli Studi di Milano (Geografia); Cecilia De Carli, Università Cattolica – Milano (Arte); Roberto Diodato, Università Cattolica – Milano (Estetica); Duccio Demetrio, Università degli Studi – Bicocca, Milano (Educazione e formazione); Ugo Fabietti, Università di Milano-Bicocca (Antropologia); Maurizio Ferraris, Università di Torino (Ontologia); Enrica Galazzi, Università Cattolica – Milano (Linguistica); Hans Hoeger, Università Libera di Bolzano (Design); Philippe Jaccottet, Grignan (Poesia); Cesare Kaneklin, Università Cattolica – Milano (Psicologia); David Le Breton, Université de Strasbourg (Socio-Antropologia); Frédéric Lesemann, Université du Québec – Montréal (Culture delle Americhe); Francesca Marzotto Caotorta, Milano (Paesaggio); Elisabetta Matelli, Università Cattolica – Milano (Letterature antiche); Francesca Melzi d’Eril, Università di Bergamo (Letterature straniere); Giuseppe A. Micheli, Università di Milano-Bicocca (Demografia); Margherita Pieracci Harwell, University of Illinois – Chicago (Italian Studies); Edgar Morin, Cnrs – Parigi (Pensiero complesso); Salvatore Natoli, Università di Milano-Bicocca (Etica); Luigi L. Pasinetti, Accademia dei Lincei – Roma; Alberto Ricciuti, Milano (Medicina); Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana – Lugano (Filosofia); Detlev Schild, University of Göttingen (Biologia); Cesare Segre, Accademia dei Lincei – Roma; Dan Vittorio Segre, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Politologia); Pierangelo Sequeri, Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale – Milano (Religione); Antonio Strati, Università di Trento (Teoria dell’organizzazione); Pierpaolo Varri, Università Cattolica – Milano (Economia); Claudio Visentin, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Viaggio); Serena Vitale (Letteratura russa). Le Newsletters precedenti sono consultabili sul sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (www.ais-sociologia.it) e sul sito del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano (http://www3.unicatt.it/pls/unicatt/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=15524). Il contenuto degli articoli è liberamente riproducibile citando la fonte. Numero chiuso il: 14 dicembre 2009 10