Studenti del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino Wilhelm

Settembre
Musica
Torino Milano
Festival Internazionale
della Musica
04_ 21 settembre 2014
Ottava edizione
Torino
Teatro Vittoria
Studenti del Conservatorio
Giuseppe Verdi di Torino
Lunedì 15.IX.2014
ore 18
Wilhelm Friedemann Bach
Telemann
Magnani
Both
Leclair
Paganini
Ewald
Lafosse
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Wilhelm Friedemann Bach (1710-1784)
Due duetti per clarinetto, trascritti da Duetti per flauto
n. 1 Allegro in mi minore
n. 2 Allegro ma non troppo in sol maggiore
Georg Philipp Telemann (1681-1767)
Duetti per clarinetto, trascritti da Duetti per violino
Aurelio Magnani (1856-1921)
Primo movimento (in forma di sonata) per due clarinetti
Allegro brillante – Moderato – Moderato con moto
Allegro brillante come prima
Heinz Both (1924)
Boogie for Clarinets
(Boogie-Woogie Tempo)
Chocolate Lady
(Jazz-Waltz Tempo)
Jean-Marie Leclair (1697-1764)
Sonata V in mi minore per due violini
dalle Sonates à deux violons sans basse op. 3
Allegro ma poco
Gavotta. Andante
Presto
Niccolò Paganini (1782-1840)
Dai 24 Capricci op. 1:
Capriccio n. 13, Allegro “La risata” (Enrico Diale, violino)
Capriccio n. 9, Allegretto “La caccia” (Paolo Chiesa, violino)
Victor Ewald (1860-1935)
Quintetto per ottoni in si bemolle minore op. 5
Moderato
Adagio – Allegro – Adagio
Allegro moderato
André Lafosse (1890-1975)
Suite Impromptu, per ensemble di ottoni
Épithalame. Moderato e un poco rubato
Marche. Allegro risoluto
Élégie. Adagio ma non troppo
Mouvement. Vivo
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Studenti del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino
Davide Goegan, Daniele Nicolosi, clarinetti
Scuola di clarinetto di Vittorio Muò
Paolo Chiesa, Enrico Diale, violini
Scuola di violino di Guido Rimonda
Ensemble d’ottoni MiraBrass
Emanuele Poma, Luca Martinacci, Cesare Mecca, trombe
Elodie Salito, corno
Claudio Giunta, trombone
Paolo Bartolomeo Bertorello, basso tuba
Scuola di musica d’assieme per fiati di Francesca Odling
In collaborazione con
Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino
Il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino nel tempo ha
formato solisti di fama mondiale e musicisti che collaborano con
le più importanti orchestre internazionali. I vari gruppi strumentali composti dai ragazzi hanno in repertorio musica che spazia
da Bach a Mozart fino a compositori del Novecento come Holst,
Hindemith, Respighi e Bettinelli.
Hanno inoltre all’attivo diversi concerti sul territorio, in condivisione con la programmazione delle attività musicali e culturali
della Città. Hanno goduto della collaborazione di importanti maestri come Amiram Ganz, il Trio Altenberg e Salvatore
Accardo, tra gli altri.
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Il programma di questa serata, di cui sono protagonisti gli studenti
del Conservatorio di Torino, prevede l’esecuzione di una carrellata
di brani per varie combinazioni strumentali e di epoche diverse,
dal Settecento ad autori contemporanei. Una sezione è dedicata ai
duetti per clarinetto. Derivato dall’antico chalumeau, il clarinetto
è strumento relativamente moderno, sviluppatosi a partire dal
Settecento. La sua letteratura si avvale tanto di pezzi originali quanto di trascrizioni: è questo il caso dei brani di Wilhelm Friedemann
Bach e di Georg Philipp Telemann. Primogenito maschio di
Johann Sebastian Bach, Wilhelm Friedemann, nato a Weimar
nel 1710, dopo essere stato allievo del padre, che per lui scrisse
un Klavierbüchlein (1720) e aver studiato sia alla Thomasschule
di Lipsia sia all’Università della stessa città (giurisprudenza, filosofia, matematica), condusse vita errabonda ed eccentrica (gli fu
spesso rimproverato di aver disperso buona parte dei manoscritti
paterni avuti in eredità). Fu attivo come organista nella chiesa
di Santa Sofia di Dresda (1733-1746), poi a Halle (fino al 1764)
e infine libero professionista. Dal 1774 prese dimora a Berlino,
dove poté godere della protezione della principessa Anna Amalia,
sorella di Federico II. Si distinse soprattutto nella produzione strumentale, nella quale abbracciò il nuovo credo galante e in alcuni
casi lo stile empfindsam (sensibile), che ebbe come massimo esponente il fratello Carl Philipp Emanuel. Autore di sonate, fantasie,
forme di danza, concerti, giunse a un idioma che prelude a quello
mozartiano. I due Duetti qui presentati sono trascrizioni da Duetti
per flauto composti nel periodo di Dresda: in forma bipartita, essi
sono costruiti sulla base di eleganti strutture dialogiche.
Georg Philipp Telemann, di Magdeburgo, fu una delle personalità
eminenti della prima metà del Settecento. Autore soprattutto di
musiche vocali sacre (cantate per la chiesa luterana, passioni-oratorio) e profane (vasta attività nel teatro d’opera) legate anche alla sua
formazione letteraria, non trascurò tuttavia la musica strumentale, rivelando l’assorbimento di stili diversi (italiano, francese). Fu
musicista stimatissimo ai suoi tempi, apprezzato da Händel e da
J.S. Bach. Attivo a Halle, Lipsia, Francoforte e infine ad Amburgo,
dove giunse nel 1721 come Kantor nel celebre “Johanneum”, istituzione didattica di massimo prestigio, rappresentò in questa città
l’ala musicale modernista, insieme al teorico Johann Mattheson,
divenendo un personaggio chiave del primo Illuminismo tedesco.
Di lui si ascolteranno alcune trascrizioni per clarinetto da Duetti
per violino, caratterizzati da imitazioni “a canone”.
Aurelio Magnani, compositore e clarinettista romagnolo, attivo
a cavallo dei secoli XIX e XX, fu docente al Conservatorio di
Venezia e poi, dal 1883, a Roma, al Conservatorio di Santa Cecilia.
Ricoprì la carica di primo clarinetto in numerose orchestre, tra
le quali quelle della Fenice di Venezia e del Teatro Augusteo di
Roma. Grande didatta, fu autore di un Metodo e di numerosi studi
per il suo strumento, nonché di trascrizioni da brani celebri del
Settecento e dell’Ottocento, soprattutto pagine di Mozart. Fra i
pezzi originali per due clarinetti, si ricorda un Primo movimento
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(in forma di sonata), suddiviso in quattro sezioni differenti per
agogica e tonalità, con varietà di temi e di figurazioni.
Il compositore contemporaneo Heinz Both è parimenti noto sia
per trascrizioni, per lo più da musiche popolari americane, sia
per brani originali di carattere essenzialmente jazzistico (che
possono pertanto prevedere l’inclusione di effetti a sorpresa): fra
questi Boogie for Clarinets e Chocolate Lady, che esaltano l’elemento ritmico e rivelano una felice commistione di influenze
danzistiche di svariata provenienza. A due violinisti spetterà il
compito di celebrare l’autore lionese Jean-Marie Leclair, il primo
e il più importante di una grande famiglia di violinisti, del quale
ricorre il 250º anniversario della morte. Fu violinista, ballerino
e coreografo, ed è quest’ultima attività a essere documentata in
particolare a Torino. Ma in questa città egli fu anche allievo, fra
il 1726 e il 1728, di Giovanni Battista Somis (fondatore di un’importante scuola violinistica piemontese), che a sua volta aveva
studiato a Roma con Arcangelo Corelli, il creatore di un idioma
violinistico di diffusione europea, inteso soprattutto a sviluppare
la tecnica dell’arco e a mettere in rilievo l’espressività dello strumento. Somis, rispetto a Corelli, mostra una semplificazione del
linguaggio in direzione di quello stile galante o rococò che dominò
l’Europa musicale verso la metà del XVIII secolo. Leclair, a volte
più audace nei Concerti, nelle Sonate tende ad allinearsi a tale
stile, privilegiando la piacevolezza sonora e l’equilibrio formale.
Attivo a Parigi, dove si produsse al “Concert spirituel”, in Olanda,
dove conobbe Locatelli, a Chambéry e di nuovo a Parigi, dove
morì assassinato in circostanze misteriose, egli tentò con successo
quella réunion des goûts, sintesi di elementi italiani e francesi,
che fu sostenuta anche dal clavicembalista François Couperin
nonché, con il termine di vermischter Geschmack, “gusto misto”,
sovranazionale, dal flautista e teorico Johann Joachim Quantz,
che Leclair aveva conosciuto a Torino. Le Sonate dell’op. 3 (1730)
comprendono brani per due violini senza il basso. La Sonata V si
articola in tre movimenti: due estremi più veloci e complessi e un
tempo di danza centrale (Gavotta). Nel primo Allegro prevale una
parità fra i due violini, con dialoghi ed effetti imitativi. La Gavotta,
compunta alla maniera francese, tiene il luogo del tempo lento; le
figure tematiche sono assegnate al primo violino, che il secondo
sostiene con garbati arpeggi. Nel Presto conclusivo il violino primo
trascina il secondo in un moto perpetuo, che si libera dalla compostezza dei modelli italo-francesi con una verve tutta nuova. Il
violinismo “spettacolare” è rappresentato dai Capricci di Paganini.
Con il termine “Capriccio” si poteva intendere nel Settecento una
forma di cadenza di bravura all’interno di un Concerto, oppure
uno studio tecnico per uno strumento ad arco. Paganini nei suoi
24 Capricci pubblicati nel 1820 come op. 1, ma composti prima
del 1817, fonde i vari significati che la parola poteva assumere,
elevando il tutto al concetto di opera-simbolo di una didattica
trascendentale, in ciò emulato poi da Liszt, che ne trasporrà l’idea
sul pianoforte. Un virtuosismo funambolico, ma sovente non
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disgiunto da elementi espressivi, contraddistingue i Capricci paganiniani, che si compiacciono anche di effetti onomatopeici, tali da
suggerire “titoli” posteriori per alcuni brani: “La risata” è detto il
n. 13, per una curiosa discesa cromatica per terze nel tema principale, ripreso in conclusione, mentre nella sezione centrale il
violino si cimenta in salti amplissimi. Il n. 9 è conosciuto come “La
caccia”, per la sua evocazione di strumenti campestri, con figure
ritmico-melodiche e armoniche tipiche (“sulla Tastiera imitando il
Flauto”, e poi “imitando il Corno sulla 3ª e 4ª corda”). Anche qui,
in due strofe centrali che si alternano al tema principale, compaiono vari aspetti virtuosistici, dai grandi intervalli alle volate di
biscrome nei registri acuti.
La corrusca sonorità degli ottoni è protagonista delle opere
di Ewald e di Lafosse. Victor Ewald, professore di Ingegneria
Civile a San Pietroburgo, nonché violoncellista, si era formato
al Conservatorio della medesima città con Karl Davidov, che ne
comprese presto le poliedriche possibilità musicali. Frequentò
le riunioni del “Gruppo dei Cinque” (Cui, Balakirev, Borodin,
Musorgskij e Rimskij-Korsakov), che diede vita nella seconda metà
dell’Ottocento a una “scuola nazionale” russa, e fu tra i pionieri,
dopo il francese Jean-François Bellon, nella creazione di opere
cameristiche per ottoni (egli stesso suonava la tuba). È autore di
quattro Quintetti per ottoni, eseguiti nel 1974-1975 dall’American
Brass Quintett alla Carnegie Hall e ripubblicati per ottoni moderni
a cura dell’ensemble Canadian Brass. Il Quintetto in si bemolle
minore op. 5, composto fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
Novecento, riveduto e pubblicato nel 1912, è suddiviso in tre
movimenti, sapientemente costruiti secondo un’elegante polifonia.
Nel Moderato la cellula tematica fondamentale è presentata dalla
tuba e circola poi fra i vari strumenti, per essere riesposta, nel suo
primo inciso e in fortissimo, nella chiusa. Il secondo movimento
contrappone due sezioni Adagio, imperniate su una figura tematica
che compare all’inizio nella prima tromba, e un Allegro centrale
caratterizzato da suggestivi moti contrari delle parti. Nell’ultimo
tempo, accanto al motivo principale si profila una figura ritmica a
note ribattute che sospingerà l’opera alla sua trionfale conclusione.
André Lafosse fu docente di trombone al Conservatorio di Parigi e
trombonista all’Opéra, nonché nell’Orchestra Lamoureux. È autore
di un Metodo, ancor oggi punto di riferimento per la didattica del
trombone. Celebre divenne la sua presa di posizione contro alcune
tecniche di derivazione jazzistica come il glissato: simbolo di uno
stretto legame con la tradizione classica, che si rivela anche dai
titoli di alcune sue opere per ensemble di ottoni, come la Suite
breve e la Suite Impromptu. Quest’ultima, che alterna movimenti
espressivi e brillanti, trova un punto di forza nei giochi timbrici, e
prevede a questo scopo anche la possibilità di sostituire in alcuni
luoghi la tromba con il flicorno soprano, creando evocativi contrasti di sonorità.
Giulia Giachin
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Milano Torino unite per il 2015
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