Introduzione
Queste conferenze raccontano un’epidemia dimenticata di una malattia mentale, inaugurata da un operaio del gas folle e dal suo medico,
un energico pioniere dell’educazione fisica. Credo che questi eventi
parlino da soli, sia in quanto fatti reali sia come parabola sulla malattia mentale e la psichiatria. Gli strani eventi che descrivo stimolano
qualche riflessione sulle malattie mentali transitorie. I lettori più attenti alla teoria che ai fatti vorranno qualche anticipazione sull’uso
che faccio dell’accaduto.
Per “malattia mentale transitoria” intendo una malattia che compare in un dato momento, in un dato luogo, per poi sparire. Può
diffondersi da un posto all’altro e ripresentarsi in momenti diversi.
Può colpire una certa classe sociale o gli individui di un solo sesso, e
privilegiare le donne povere o gli uomini ricchi. Ciò non vuol dire
che la malattia va e viene in questo o in quel paziente, ma che questo
tipo di follia esiste soltanto in certi periodi e in certi luoghi. L’esempio più classico di malattia mentale transitoria è l’isteria, o comunque
le sue numerose manifestazioni in Francia verso la fine dell’ottocento.
Un osservatore distaccato oggi chiamerebbe in causa la personalità
multipla come esempio di malattia mentale transitoria e non avrebbe
difficoltà a mettere insieme una lista di altre malattie mentali che si
dimostrerebbero transitorie: la sindrome da affaticamento cronico,
l’anoressia, disturbi intermittenti esplosivi, o qualunque altra cosa
scelga di sottoporre ad esame.
Le malattie mentali transitorie sono all’origine di dibattiti banali
sul loro essere “reali” o frutto di una “costruzione sociale”. Quello
che ci serve sono strumenti di pensiero più elaborati della realtà o del
condizionamento sociale. Le mie ambizioni teoriche in queste conferenze sono modeste. Non aspiro a comprendere la realtà. Desidero
fornire una cornice all’interno della quale cercare di capire la possibilità stessa delle malattie mentali transitorie.
Il mio contributo più importante è la metafora della nicchia eco11
I VIAGGIATORI FOLLI
logica all’interno della quale si sviluppano le malattie mentali. Nicchie
di questo tipo dipendono da un certo numero di vettori. Ne metto in
evidenza quattro. Uno, necessariamente, è medico. La malattia deve
collimare con una cornice diagnostica più ampia, una tassonomia della malattia. Il vettore più interessante è quello della polarità culturale:
la malattia si deve situare all’interno di due elementi della cultura
contemporanea, uno romantico e virtuoso, l’altro vizioso e tendente
al crimine. Che cosa s’intenda per virtù o crimine dipende a sua volta
dalle caratteristiche della società in senso lato, e le virtù non sono
stabilite una volta per tutte: la prudenza, una virtù per la borghesia
protestante dell’Europa all’alba della modernità, sarebbe stata presa
per debolezza in età feudale. Si rivela inoltre necessario un vettore di
osservabilità: la malattia deve essere visibile in quanto tale, in quanto
sofferenza possibilmente da evitare. Infine qualcosa di più familiare:
la malattia, malgrado il dolore di cui è causa, dovrebbe anche fornire
una forma di liberazione che non è possibile altrove, nella cultura
nella quale essa fiorisce.
Le conferenze sono ricche di aneddoti storici e di dettagli curiosi.
Ma non sono solo racconti. Mostrano, attraverso gli esempi, la potenza del concetto di nicchia ecologica per la malattia mentale transitoria. Do per scontato che una malattia mentale – quello che una certa società considera follia – ha bisogno al tempo stesso di vittime e di
esperti. Noi li chiamiamo pazienti e specialisti, ma nella terza conferenza cito l’esempio di miti greci in cui sono presenti la follia, i sofferenti e gli esperti, anche se avremmo qualche esitazione a parlare di
pazienti e di specialisti nel senso moderno dei termini. L’idea di follia
è transculturale, molto più delle categorie mediche della fine del novecento. Poiché sia le vittime che gli esperti hanno un ruolo di primo
piano, la prima conferenza si dilunga sulla prima vittima e il primo
medico di un’epidemia di viaggiatori folli scoppiata nel 1887.
Il libro è suddiviso in più sezioni. Quella iniziale consiste di quattro conferenze. Le prime tre ricostruiscono una serie di eventi in maniera dettagliata, e la quarta discute i problemi che essi sollevano: riflette sulla realtà delle malattie mentali transitorie. È impossibile in
una serie di conferenze includere tutti i sorprendenti effetti collaterali
che una storia vera porta con sé. Molti episodi sono consegnati alle
note. Queste forniscono i riferimenti, ovviamente, ma sono parte integrante delle conferenze, costituendo un serbatoio di informazioni e di
aneddoti che conferma, dal mio punto di vista, le affermazioni più
rilevanti delle conferenze stesse. Restavano aperte altre questioni. Tre
supplementi prendono in esame gli altri problemi sorti. Infine vi sono
alcuni documenti tradotti dal francese, che riguardano il mio paziente
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INTRODUZIONE
protagonista e il suo medico. Alcuni lettori incominceranno dai documenti, altri dalle conferenze. Non sarebbe assolutamente privo di
senso iniziare dalle note.
Subito dopo aver tenuto le conferenze, ho cominciato a ribellarmi
contro una strana tendenza nella vita intellettuale del nostro tempo.
La relazione fra i malati di disturbi mentali che non esistono più e i
loro medici esercita un fascino macabro, un fascino che cancella il
confine fra realtà e finzione. La trilogia di Pat Barker – Rigenerazione, The Eye in the Door e The Ghost Road – ha vinto il Booker Prize
con il terzo volume, anche se il primo è il migliore. Il suo tema è
l’interazione fra William Rivers, un antropologo e medico specializzato nelle nevrosi traumatiche di guerra, e il poeta Sigfried Sassoon;
molti altri medici (Henry Head) e scrittori (William Owen, Robert
Graves) compaiono sulla scena, anche se il paziente protagonista è,
credo, immaginario.
Il romanzo di Margaret Atwood L’altra Grace racconta la relazione fra una cameriera folle che aveva ucciso i suoi padroni un secolo e
mezzo fa e il dottore che studia il suo caso nel manicomio in cui è
stata rinchiusa. La donna è realmente vissuta, e vere sono le istituzioni dell’Ontario e i medici, anche se qui è il medico protagonista ad
essere immaginario. Ma questi sono romanzi. Mettono in scena il passato ricorrendo a ossessioni psichiatriche recenti. Nei libri di Baker le
psicosi post-traumatiche fanno la parte del leone, anche se nel terzo
volume fa capolino qualche personalità multipla. In quello della Atwood la personalità multipla è un interrogativo costante; Grace ha
commesso i delitti con una seconda personalità, oppure quella personalità non è stata “forgiata” dal medico del New England, giovane e
buono, che parla con lei tutti i giorni, ma da Jeremiah il venditore
ambulante che riveste il ruolo dell’investigatore della psiche al momento della quasi-soluzione?
C’è molta altra letteratura, in gran parte noiosa, nella quale il malato di mente di un disturbo che non esiste più e il medico si fanno i
fatti loro, ma mi sono limitato a citare i migliori romanzi del 1995 e
del 1996. Colpisce nella stessa misura il diffondersi di pubblicazioni
di storia culturale parallele ai romanzi di Barker e Atwood. Niente è
degno di nota quanto l’opera che vede protagonisti Daniel Paul
Schreber nel ruolo del paziente, Paul Emil Flechsig nel ruolo del medico, e Sigmund Freud in quello del ficcanaso. Schreber, nominato
presidente o capo della Corte Suprema sassone, era uno schizofrenico
paranoico che ha scritto le sue memorie in un manicomio. Massa e
potere (1978) di Elias Canetti utilizzava questi scritti in un raffronto
fra la follia privata di Schreber e la follia pubblica di Hitler. Entram13
I VIAGGIATORI FOLLI
bi, secondo Canetti, erano mossi da una sensibilità patologica nei
confronti delle possibilità offerte dal potere. Canetti si fermava alla
teoria. Di recente ci sono stati così tanti esami dettagliati della vita e
dell’epoca di Schreber, che sono portato a credere che sappiamo
“tutto” di lui, specialmente grazie alle ricerche appassionate di William Niederland, Il caso di Schreber. Profilo psicanalitico di una personalità paranoide (1984), e di Zvi Lothane, In Defense of Schreber. Soul
Murder and Psychiatry (1992). Grazie alle copiose fotografie procurate
da Lothane, sappiamo persino che faccia aveva ognuno dei personaggi del caso Schreber. Louis Sass in The Paradoxes of Delusion. Wittgenstein, Schreber, and the Schizophrenic Mind (1995), ha utilizzato
Schreber per capire la schizofrenia dall’interno, considerando lo schizofrenico un solipsista, e quindi per comprendere la battaglia di
Wittgenstein contro il solipsismo, se non contro la stessa schizofrenia.
E non bisogna dimenticare che il romanzo fatto di una sola frase, Il
nipote di Wittgenstein, di Thomas Bernhard era un tour de force che
riutilizzava i temi sollevati da Sass. Bernhard, grandissimo artista, non
si occupa del Wittgenstein che tutti conosciamo, e neanche di Schreber, ma nel libro troviamo il solipsista nel giardino di un manicomio
viennese, il nipote di Wittgenstein seduto al sole. Sass ha cercato di
vedere Schreber dall’interno. Il libro di Eric Santner My Own Private
Germany. Daniel Paul Schreber’s Secret History of Modernity (1996) si
addentra così tanto da scoprire, nella mente folle di Schreber, il mondo moderno e i prodromi del disastro tedesco.
Ho letto la maggior parte di questi libri dopo aver tenuto le conferenze su un medico appassionato di ciclismo e sul suo paziente, un
operaio del gas demente che spariva in maniera sistematica e incontrollabile per giorni, mesi o anni, spesso camminando 60 chilometri al
giorno, perdendo i documenti, ma non la voglia di andar via, via, via.
Alla fine, però, ho trovato questa ossessione per i pazzi e i loro medici un po’ snervante. Per quale tipo di comprensione ci diamo da fare,
di fronte alla realtà e alla finzione della follia? Che tipo di evasione è
quella con la quale facciamo finta di capire il nostro mondo alla luce
di malattie estinte e dei loro medici, possibilmente altrettanto pazzi?
Mi sono accorto persino di una simmetria terrificante. Barker, nella
finzione, alle prese con un medico e un paziente davvero famosi; Atwood, nella finzione, alle prese con un medico e un paziente davvero
oscuri. Canetti via Santner scrive sulla realtà, non sulla finzione, dell’ormai famoso paziente Schreber e dei suoi medici, per raccontare la
storia del mondo moderno nel suo complesso, più Hitler e Wittgenstein. Ed io, nel mio piccolo, a scrivere un resoconto sulla realtà di
un paziente davvero oscuro e di un altrettanto oscuro medico. La
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INTRODUZIONE
simmetria è, naturalmente, che gli autori canadesi, che si tratti di finzione o di realtà, preferiscono scrivere su oscuri provinciali. Ma che
stiamo facendo tutti noi? Non siamo solo preda del nostro voyeurismo?
Solo quando sono ritornato a leggere alcune storie recenti della
psicanalisi, o di rami di questa disciplina, mi sono liberato del mio
malessere: le storie della medicina con le quali per caso mi sono confrontato avevano pochissimo da dire sui pazienti, la gente vera. Noi
abbiamo un bisogno disperato della “grande narrazione” delle vecchie storie francesi sui casi clinici, o dello stesso Freud, per farci un’idea di come i nostri simili siano crollati mentalmente, un giorno,
ovunque essi fossero.
I romanzieri ci danno il senso del momento e del luogo in cui la
pazzia è al tempo stesso comprensibile e folle. Lo stesso vale per le
opere storiche di Lothane e Niederland e per gli investimenti più generosi, per quanto pianificati, di Sass e di Santner. Secondo Karl Jaspers, i pensieri scritti di Schreber erano assolutamente impermeabili,
inintelligibili, l’esempio perfetto dell’inaccessibilità della follia. Ma
adesso sono, in certo qual modo, tutti fin troppo comprensibili. Sono
investiti non da troppo pochi significati, ma da troppi. Il pericolo reale è quello di dimenticare che stiamo parlando di Schreber, il giudice pazzo, che, anche dopo un miglioramento e il ritorno a casa, peggiorò e morì in manicomio. Possiamo avvicinarci talmente, e anche
avanzare così in profondità, da perdere il contatto con il paziente
come fanno questi storici della psichiatria. I romanzieri offrono un
modello migliore, perché ci mostrano la tragedia e la commedia, evitando la profondità.
Alcuni lettori della mia storia avrebbero forse voluto più Storia:
della politica psichiatrica, per esempio, e di come essa rientrasse nella
più ampia politica francese dell’ottocento. Invece ho aggiunto informazioni sugli edifici, su che cosa significhi vivere in provincia, prigioniero di Bordeaux, dove Albert impazzì. Non sono un romanziere,
ma spero di avere attirato il lettore nelle stradine buie e malfamate di
una città che soffoca sotto il proprio orgoglio, o nel porticato spazioso dell’ospedale in cui il mio camminatore compulsivo si trovò al sicuro. Mi dilungo maggiormente sull’entusiasmo del mio medico per il
ciclismo che sulle ultime notizie da Parigi. Alla fine mi sono accorto
di essere più un compagno di strada che un voyeur, e che questa era
l’esperienza giusta all’interno della quale collocare i problemi teorici e
i concetti che, su un altro piano, costituiscono il tema di queste
conferenze.
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