BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA ROMA - Serie XIII, vol. VII (2014), pp. 131-143 ERNESTO MAZZETTI NOTE SULLA PRESENZA DELLA GEOGRAFIA ECONOMICA NEGLI ATENEI MERIDIONALI NEL VENTENNIO 1920-1940 (*) Nel territorio delle discipline geografiche in Italia il ventennio tra le due guerre è significativo in quanto palesa il progressivo affermarsi di una geografia economica che sempre più s’arricchisce di contenuti e metodi che ne consolidano la specificità. Favoriscono tale processo le innovazioni nell’ambito dell’organizzazione universitaria che segneranno negli anni Trenta del Novecento la trasformazione dei preesistenti Regi Istituti Superiori di Scienze Economiche e Commerciali in Facoltà di Economia e Commercio inserite all’interno dei maggiori atenei a quei tempi esistenti. Vi contribuiscono, ovviamente, alcune eminenti figure di studiosi attivi in diverse università italiane. Il presente articolo, che deriva dalla partecipazione dell’autore, in qualità di rappresentante della Società Geografica Italiana, al Gruppo di lavoro nazionale che ha approfondito il tema della cultura economica nel Mezzogiorno d’Italia nel ventennio 1920-1940, si sofferma in particolare sull’apporto conferito a tale processo da geografi che operarono nelle università del Mezzogiorno, segnatamente quelle di Bari, Napoli e Catania. L’analisi delle presenze, delle produzioni e degli impegni didattici dei geografi che, nel loro operare nelle diverse sedi accademiche meridionali nell’arco tempo- (*) Questo testo ripropone con alcune modifiche e ampliamenti la relazione tenuta dall’autore al Convegno La cultura economica in Italia nel Mezzogiorno tra le due guerre, svoltosi a Napoli dal 7 al 9 novembre 2013 a conclusione delle ricerche su tale tema svolte nel corso dei due anni precedenti dal Gruppo di lavoro nazionale coordinato da Piero Barucci con la collaborazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dell’Istituto Gramsci, dell’Istituto Sturzo e della Fondazione Spirito. Corrispondendo all’intendimento di Barucci di estendere l’ambito di tale ricerca anche agli apporti più propriamente geografico-economici, la Società Geografica Italiana istituì un proprio gruppo di lavoro affidandone il coordinamento all’autore. La relazione costituisce appunto la sintesi ragionata dei contributi approntati da Daniela La Foresta per Napoli, Elio Manzi per Palermo, Claudio Cerreti e Floriana Galluccio per la figura di Carlo Maranelli, Maurizio Memoli per la Sardegna, Antonio Mininno per Bari, Domenico Ventura per Catania. Considerazioni e giudizi formulati da ciascun collaboratore vengono richiamati nel testo con specifiche citazioni, restando ovviamente attribuibili all’autore quelli non altrimenti menzionati. 132 Ernesto Mazzetti rale considerato, sono venuti privilegiando aspetti più propriamente economici della disciplina porta a una significativa considerazione introduttiva. È in Puglia che vengono posti i semi di quel filone di ricerca che nel suo progressivo evolversi, coinvolgendo più studiosi e applicandosi a più temi, problemi e aree geografiche, finirà per definire lo spazio autonomo d’una geografia cui è doveroso accompagnare l’aggettivo «economica». Mai disgiunto dall’ancoraggio ai dati sulla natura fisica dei territori, questo filone produce analisi che, attente ai mutamenti storicamente ricostruibili delle attività economiche prevalenti, dei modelli insediativi delle popolazioni, delle dotazioni infrastrutturali, indaga anche sulle forze attrattive e repulsive che assecondano o scoraggiano ubicazioni di imprese o di colture, tra tali forze comprendendo istituti normativi e maglie amministrative. Tra Bari e Napoli. – Questa iniziale considerazione è motivata dalla presenza a Bari sin dal 1904 di Carlo Maranelli, figura eminente nella storia della geografia italiana del Novecento. Maranelli vi rimarrà fino al 1920, ed avrà come allievo Ferdinando Milone. Quando, appunto nel 1920, si trasferirà a Napoli, gli succederà Carmelo Colamonico; e quando a sua volta anche il Colamonico passerà – nel 1926 – all’Ateneo napoletano, nel 1927 a Bari rientrerà il Milone, da vincitore di cattedra, per restarvi fino al 1935, anno del suo nuovo trasferimento a Napoli. Giungerà quindi a Bari Umberto Toschi, proveniente da Catania come libero docente, che nei suoi quattordici anni di presenza barese, dopo aver vinto il concorso a cattedra nel 1933, ricoprirà anche il ruolo di preside (1938) della neonata Facoltà di Economia e Commercio, e infine di rettore dell’Ateneo dal 1940 fino al 1947. Maranelli, Milone, Toschi sono tre figure di studiosi che estendono la ricerca geografica in direzioni che sempre più adducono a problematiche macroeconomiche, a questioni sociali, a questioni di attrezzatura dei territori, nel coinvolgimento con temi quali la geografia dei porti e della navigazione, la geografia urbana, nell’approfondimento delle cause che incidono sulla diversità nella distribuzione spaziale delle attività umane. Sempre meno, quindi, geografia meramente ricognitiva e descrittiva, e sempre più geografia indagatrice della complessità e diversità dell’articolarsi nei tempi e negli spazi del rapporto tra società e territori. Un rapporto da non più considerarsi quale risultato ineluttabile di un particolare ambiente fisico e climatico, ma piuttosto come generato da attitudini maggiori o minori dei gruppi umani a rendersi protagonisti della fruizione dello spazio da loro abitato. Figura eminente anche quella del Colamonico, che a Napoli agli impegni didattici della cattedra di Geografia nella Facoltà di Lettere aggiungeva quelli connessi agli incarichi negli Istituti universitari Orientale e di Suor Orsola. Nella sua vasta produzione scientifica Colamonico in misura minore percorrerà ambiti di geografia propriamente economica, privilegiando piuttosto temi di geografia fisica e cartografia (come, ad esempio, tra i suoi primi scritti, La pioggia in Campania, nelle Memorie Geografiche a cura di G. Dainelli, 1915). Ebbero rilevanza i suoi studi di Note sulla presenza della geografia economica negli atenei meridionali 133 geografia agraria e sulle varie forme di abitazioni rurali – masseria, trullo e abitazione rurale scavata nella roccia (più frequente nel versante ionico delle Murge, nella zona delle gravine) – che lo videro impegnato sin dal 1922 con un articolo sulla distribuzione delle colture nel Barese corredato da una carta basata sui rilievi catastali. Negli anni del dopoguerra avviò l’importante ricerca che, sotto l’egida del CNR, vide a lungo impegnati numerosi geografi italiani nella elaborazione della Carta della utilizzazione del suolo d’Italia in ventisei fogli a scala 1:200.000 e nella produzione di memorie illustrative dell’uso del suolo nelle diverse regioni italiane. Bari, dunque, in rapporto che direi osmotico con Napoli. E in sincronia le due sedi vedranno il progressivo evolversi normativo che, dalle originarie strutture ottocentesche degli Istituti Superiori di Scienze Economiche e Commerciali, porterà all’istituzione di Facoltà di Economia e Commercio aggregate alle locali università. Aggregazione che avverrà col Regio decreto del 19 dicembre 1935 n. 2285 e riguarderà, nel Mezzogiorno, Bari, Napoli e Catania. A consolidate e antiche presenze delle discipline geografiche, segnatamente della geografia fisica nelle Facoltà di Scienze naturali, e della geografia generale in quelle di Lettere e Filosofia, si aggiungeranno da questo momento offerte formative incentrate sugli aspetti economici e anche su quelli politici, e li si ritroverà, nel caso di Napoli, non solo nell’Ateneo Federiciano, ma anche nel Regio Istituto Navale (poi, dal 1930, Istituto Universitario Navale) (1), nell’Istituto Universitario Orientale (2), nonché nella Facoltà di Giurisprudenza, quando in essa verrà attivato il corso di laurea in Scienze Politiche. Ho detto di Carlo Maranelli: il suo ruolo va specificato con notazioni ulteriori. Nativo di Campobasso da famiglia marchigiana, studiò in Roma, allievo di Giuseppe Della Vedova, che, divenuto presidente della Società Geografica Italiana, lo volle accanto quale addetto alla vasta biblioteca sociale. Operoso nelle ricerche, nel 1904, a ventotto anni, vinse la cattedra di Geografia economica nella Regia Scuola Superiore di Commercio di Bari e qui, nel triennio di straordinariato, produsse quelle Considerazioni geografiche sulla questione meridionale (1908) che resteranno – a giudizio di suoi contemporanei, come il Milone e lo storico Corrado Barbagallo, e nelle postume valutazioni dei geografi Gambi, Compagna e altri (3) – un (1) Oggi denominato Università degli Studi di Napoli Parthenope. (2) Fino al secondo dopoguerra sotto la direzione del Ministero delle Colonie. Dal 2002 denominata Università di Napoli l’Orientale. (3) Per F. Milone si veda Carlo Maranelli, introduzione a Considerazioni geografiche sulla questione meridionale (Bari, Laterza, 1946); e per C. Barbagallo La questione meridionale negli scritti di C. Maranelli, ibidem. Il Gambi cita di Maranelli lo studio su La Murgia dei Trulli (inserito in Considerazioni geografiche sulla questione meridionale) nel suo scritto Critica ai concetti geografici di paesaggio umano in Questioni di Geografia (Napoli, ESI, 1964), e ancora in Uno schizzo di storia della geografia in Italia nel volume Una geografia per la storia (Torino, Einaudi 1973). Il Compagna ha per Maranelli apprezzamenti ne La Questione Meridionale (Milano, Garzanti, 1962), e in Meridionalismo liberale (Milano-Napoli, Ricciardi, 1975). 134 Ernesto Mazzetti caposaldo in quell’ambito di studi che successivamente si prese a definire «meridionalistici». Ben ne illustra il motivo questa considerazione di Claudio Cerreti: «si distacca dal determinismo positivista e in particolare da quel pessimismo fatalista […] che interpretava il “sottosviluppo” del Mezzogiorno in termini ambientali. Maranelli, al contrario, tende a enfatizzare le cause storiche e socio-economiche. Anche nei lavori di taglio economico (ad esempio sui trasporti, sull’agricoltura) e soprattutto nella didattica geografico-economica, Maranelli imposta il suo lavoro in una maniera molto diversa dalla geografia economica del periodo: siamo ancora negli anni in cui la geografia economica non si è ancora “affrancata” dalla geografia commerciale (e coloniale)» (4). Con questo lavoro il Maranelli inserisce l’approccio geografico nel dibattito da oltre un decennio in corso – nell’ambito scientifico, non meno che in quello politico e giornalistico – sulle condizioni delle regioni meridionali che già vistosamente palesavano divari profondi con il resto dell’Italia unita. Giustino Fortunato, l’indiscusso protagonista della fase fondativa del pensiero meridionalistico, eppur votato al pessimismo che ricavava dalla considerazione dell’ingrata costituzione fisica di gran parte del territorio meridionale, ritenendola deterministicamente causa difficilmente sormontabile di condizioni d’inferiorità produttive e sociali, ebbe comunque stima e apprezzamento per lo studio del Maranelli. D’altronde Francesco Compagna, nella conferenza celebrativa del centenario della nascita di Maranelli, pose in risalto come i punti di contiguità tra le riflessioni di Fortunato e quelle di Maranelli fossero ben più numerosi dei punti di distacco (5). È giusto ricordare che qualche anno prima un altro geografo, Arcangelo Ghisleri che, nativo di Cremona, aveva ben conosciuto il Mezzogiorno, lavorando nel giornalismo a Napoli nel 1882-1883 e quindi nel biennio successivo quale docente d’istituto secondario a Matera, aveva scritto su La questione meridionale quale soluzione del problema italiano: testo ispirato alle idee federaliste del Cattaneo e animato da fervore politico data la sua militanza nelle esigue fila del partito repubblicano (6). Né fervore politico difettava al Maranelli che, pur avulso da adesioni partitiche, professò l’idea socialista e fu accanto a Gaetano Salvemini in rapporti d’amicizia e collaborazione (7), partecipando nel 1911 alla fondazione (4) C. Cerreti, Introduzione al saggio (con F. Galluccio) Meridionalismo e Geografia. Il percorso scientifico di Carlo Maranelli tra eterodossia e antifascismo nel volume Per una nuova storia della geografia italiana (Genova, Il Melangolo, 2012). (5) In occasione del centenario della nascita di Carlo Maranelli, F. Compagna ne ricordò la figura e l’opera in una lezione all’Associazione Insegnanti di Geografia (20 dicembre 1976): Vecchi e nuovi termini della questione meridionale, da Carlo Maranelli ai giorni nostri, poi nel volume (a cura di U. Leone) Vecchi e nuovi termini della questione meridionale. Scritti in ricordo di Francesco Compagna (Napoli, CCIAA, 1984). (6) A. Ghisleri, La questione meridionale nella soluzione del problema italiano, discorso pronunciato al Congresso del Partito Repubblicano in Forlì il 5 ottobre 1903, poi ripubblicato (a cura di G. Conti) nel novembre 1944, nella Roma liberata da cinque mesi dall’occupazione nazista. (7) Ben ne fanno fede le nutrite corrispondenze epistolari riproposte nei volumi dei Carteggi di G. Salvemini riferiti agli anni 1912-1914 e 1914-1920, a cura di E. Tagliacozzo (Bari, Laterza, 1984). Note sulla presenza della geografia economica negli atenei meridionali 135 della rivista «L’Unità» e approfondendo con lui aspetti di quella che andava sotto il nome di «questione Adriatica». Si rivelava in ciò anche acuto analista di problemi geo-politici; e proponendo col Salvemini di lasciare la Dalmazia al nascente Stato jugoslavo e la costituzione di Fiume e Zara in città libere, si poneva su posizioni ben distanti dalle tendenze nazionalistiche allora prevalenti in Italia (8). Dopo il quindicennio operoso trascorso a Bari e culminato nella direzione del Regio Istituto Superiore di Economia e Commercio, nel 1920 Maranelli si era trasferito a Napoli, per qui fondare un omologo istituto, prendendone la direzione e adoperandosi perché venisse collocato in una sede adeguata. Aggiunse un ulteriore impegno didattico, insegnando geografia anche presso l’Istituto Orientale di Napoli. L’avvento del regime fascista – rileva Floriana Galluccio – segnò per lui l’inizio di progressiva emarginazione. Dopo che ebbe firmato il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce (1925) intorno a lui, già noto per la fede socialista, si creerà un isolamento che l’indusse prima a lasciare la direzione dell’Istituto e l’incarico all’Orientale e, quindi, a dedicarsi alla sola didattica che, all’indomani della trasformazione dell’Istituto in Facoltà di Economia e Commercio inserita nell’Ateneo napoletano, lo vedrà figurare tra i docenti – come si rileva dagli Annuari di Ateneo sui quali ha indagato Daniela La Foresta – con la cattedra di Geografia economica negli anni accademici fino al 1939, l’anno in cui si spegnerà (9). Resterà ancora membro del Comitato Nazionale delle Ricerche e suo ultimo impegno di rilievo scientifico fu la partecipazione al Congresso geografico internazionale del 1934 a Varsavia, dove presentò una comunicazione sul concetto di regione agraria. A Bari e quindi a Napoli sarà attivo Ferdinando Milone, allievo del Maranelli e di venti anni più giovane (era nato a Napoli nel 1896). S’era inizialmente occupato di geografia dei prodotti agrari (Il grano, 1929), affrontando successivamente molteplici temi di geografia economica. Primo tra i geografi ad approfondire questioni di economia marittima e il ruolo dei porti nella realtà italiana e meridionale, pubblicò nel 1929 lo studio su Il porto di Napoli che ebbe poi ampliamenti ed aggiornamenti (10). Il suo percorso accademico lo vede nel 1927 a Bari, nell’Istituto Superiore di Scienze Economiche, dove assume la cattedra di geografia commerciale, prima ricoperta da Carmelo Colamonico, trasferitosi in quell’anno nella Facoltà di Let(8) C. Maranelli e G. Salvemini, Il problema militare dell’Adriatico, in «L’Unità», VII, 5, 2 febbraio 1918. Si veda anche di F. Milone l’introduzione a Considerazioni geografiche sulla questione meridionale (Bari, Laterza, 1946). (9) La permanenza del nome di Maranelli negli Annuari dell’Ateneo napoletano negli anni accademici successivi alla nascita della Facoltà di Economia (1935) si può, in realtà, ritenere del tutto formale. Il clima ostile creatosi intorno allo studioso, e anche le sue peggiorate condizioni di salute, lo avevano costretto a estraniarsi dalla vita dell’Università. (10) Note bio-bibliografiche sulla figura scientifica di F. Milone sono nel fascicolo Ricordando Ferdinando Milone (Roma, Edizioni Kappa, 1998) pubblicato in occasione dell’intitolazione allo studioso della biblioteca del Dipartimento di Studi Geoeconomici dell’Università «La Sapienza». 136 Ernesto Mazzetti tere dell’Ateneo napoletano. Milone contribuirà in modo decisivo all’affermazione della Geografia commerciale che dal 1931-1932 muterà nome in Geografia economica. Anche grazie alla sua opera, con il nuovo statuto del Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali (R.D. 3-7-1930) vengono istituite alcune scuole di specializzazione per laureati, aventi la funzione di Magistero, in quanto abilitate a rilasciare titoli utili per l’insegnamento, tra cui quello della Geografia economica negli istituti medi tecnici e segnatamente in quelli commerciali. Dal contributo trasmessomi da Antonio Mininno relativo all’Università barese ricavo che con l’azione del Milone la disciplina geografica «non solo vede consolidata la propria posizione all’interno del corso normale, ma con la creazione di nuovi insegnamenti (geografia economica speciale, geografia economica dell’Italia, geografia dell’Oriente e delle colonie) rafforza la sua importanza, consentendo un notevole (per quei tempi) grado di specializzazione». Rientrato a Napoli, Ferdinando Milone affiancò Maranelli alla neonata Facoltà di Economia ricoprendo l’insegnamento di Geografia politica, e assumendo la cattedra di Geografia economica nell’Istituto Universitario Navale di Napoli (1936), del quale divenne direttore, fino al trasferimento a Roma nel dopoguerra. Nel 1969 divenne socio nazionale dei Lincei. Tra i temi da lui affrontati: la localizzazione delle industrie in Italia (sulla quale, nel 1937, coordinò ricerche di vari altri studiosi); l’emigrazione italiana in Australia e in Belgio. Oltre allo studio sul porto di Napoli, specie a partire dagli anni Cinquanta tratterà ancora argomenti relativi al Mezzogiorno. Del 1955 è quella che a giusta ragione viene considerata l’opera sua più notevole: L’Italia nell’economia delle sue regioni (1955), un caposaldo della letteratura geografica economica. A Ferdinando Milone, trasferito a Napoli, subentra nella neonata facoltà di Economia e Commercio dell’Ateneo barese (istituita col citato decreto del 1935) Umberto Toschi, libero docente dal 1931 e vincitore di concorso per l’insegnamento universitario dal 1933, proveniente dalla cattedra di Geografia economica del Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Catania (di tale esperienza si danno ragguagli più avanti). Di due anni maggiore del Milone, Toschi resterà a Bari 14 anni, affermandosi oltre che per impegno didattico e scientifico, anche per capacità organizzative. Nel 1938 i colleghi lo elessero preside della Facoltà di Economia e, due anni dopo, venne nominato rettore dell’Ateneo, carica che conservò fino al 1947, anno del suo trasferimento a Venezia da dove si sposterà due anni dopo per tornare nella natia Emilia e assumere la cattedra di Geografia economica a Bologna e quindi la direzione dell’Istituto di Geografia. È valutazione concorde degli studiosi che dal Toschi sono venuti contributi fondamentali alle discipline rientranti nel vasto alveo della geografia. Sia attraverso le ricerche sul campo, sia per gli apporti teorici. Dai giovanili studi sulla morfologia urbana di Bologna (1933) trasse elementi di riflessione sul tema della città, dalle quali ricaverà poi il primo trattato italiano di geografia urbana (La città, 1966). Dallo studio del Milone sul porto di Napoli trasse spunto per una ri- Note sulla presenza della geografia economica negli atenei meridionali 137 cognizione a scala più vasta: Lo studio geografico dei porti (1938), lavoro seguito da un’indagine specifica sui porti adriatici (1942), sui porti del mondo alla vigilia della seconda guerra mondiale, sui porti industriali e sull’industrializzazione dei porti. I corsi da lui tenuti negli anni baresi furono rielaborati e sistematizzati in opere che avranno più edizioni negli anni successivi, come gli Appunti di geografia politica (1937) e le trattazioni di geografia generale e di geografia economica. La sua operosa attività di ricercatore e teorizzatore dimostrò come dall’impianto metodologico della geografia economica potessero sortire approfondimenti in varie direzioni, capaci di trasformarsi in specifici filoni disciplinari: nella geografia dei trasporti marittimi e aerei, nella geografia del turismo. E, ancora, come la geografia economica potesse generare metodologie applicative, di rilevante utilità nella pianificazione urbana e territoriale e nelle scelte localizzative di imprese industriali e commerciali. Intellettuale a tutto campo, contribuì a sollecitare l’attenzione degli studiosi italiani verso le scuole tedesca e francese, creando intorno a sé, specie negli anni post-bellici, una scuola che è rimasta a lungo punto di riferimento della geografia italiana (11). In Sicilia. – A Catania l’istituzione nel febbraio 1920 di Corsi Superiori di Studi Commerciali costituì la premessa per l’avvio di studi superiori a indirizzo economico. I Corsi nacquero per un’iniziativa insieme pubblica – l’Ateneo catanese li ospitava nella sua sede centrale impegnandovi alcuni suoi docenti – e privata, di banche e imprenditori. Il professor Domenico Ventura, nell’ampio studio trasmessomi quale contributo alla presente relazione, dettagliatamente ha ricostruito le varie fasi che condurranno dall’avvento dei Corsi – «finalizzati alla formazione di tecnici destinati alle alte funzioni direttive nei commerci, nelle industrie e nelle banche» – alla successiva nascita (1922) del Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali. Dal quale, come già verificatosi in altre sedi universitarie, sortirà nel 1935 una Facoltà di Economia e Commercio. Per lo svolgimento di lezioni di geografia commerciale i promotori dei Corsi Superiori di Studi Commerciali invitarono il cattedratico di geografia inquadrato nell’ateneo messinese Attilio Mori. Fiorentino, Mori era approdato quarantenne all’università, dopo esperienze di viaggi scientifici e dopo essersi distinto come topografo presso l’Istituto Geografico Militare grazie alla sua approfondita preparazione in cartografia e topografia. A Catania si presterà per i tre anni accademici dal 1920 al 1923 a tenere lezioni di Geografia economica e commerciale (biennali, tra primo e secondo anno) e anche di Storia del commercio (collocato al secondo anno), svolgendo un ampio programma comprendente la ricognizio- (11) Ben chiarisce il ruolo del Toschi nell’affermazione d’una moderna geografia economica in Italia lo scritto di Calogero Muscarà Da Umberto Toschi a Francesco Compagna: storia di una vicenda concorsuale che ha contribuito alla costruzione d’una nuova geografia economica in Italia nel volume Per una nuova storia della geografia italiana (Genova, Il Melangolo, 2012). 138 Ernesto Mazzetti ne delle produzioni minerarie, agricole e animali, l’analisi dell’elemento umano nella Geografia economica, delle vie di comunicazioni terrestri e navali, delle correnti di esportazione e importazione. Nel 1923 viene accolta la sua richiesta di trasferimento a Firenze. Per lo svolgimento dei corsi in quel che nel frattempo è divenuto Regio Istituto Superiore, gli succede un’apprezzata figura di naturalista, il siciliano Gaetano Platania. Nato ad Acireale nel 1867, Platania è esperto di vulcanologia, mineralogia e geologia, membro del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici. Adempie diligentemente ai medesimi corsi in precedenza svolti dal Mori e negli anni accademici dal 1923 al 1930 risulta che oltre novecento allievi abbiano sostenuto gli esami con lui, contro però solo quattro laureati con tesi in Geografia commerciale. Il suo programma è suddiviso tra gli elementi di geografia generale e nozioni di geografia regionale, con particolare riferimento all’Italia e alle sue colonie e ai paesi europei. Nel 1930 il gravoso carico didattico in materie geografiche e commerciali passerà dal Platania al non ancora trentenne professore Angelo Segré, chiamato nel 1929 a Catania quale fresco vincitore di concorso in Storia economica. Segré in effetti è un antichista, studioso di storia del diritto romano, di papirologia ed epigrafia. L’interesse verso la storia antica lo porta comunque all’approfondimento di fatti economico-sociali. Il suo primo impegno didattico nell’Istituto è il corso di Storia economica che aprirà con una prolusione sul tema «Il mercantilismo nel mondo antico». Dall’anno successivo si farà carico anche del corso biennale di Geografia economica e lo manterrà fino a tutto l’anno accademico 19321933, articolando le sue lezioni su argomenti di geografia fisica, geografia della popolazione e geografia regionale, su produzioni, consumi e comunicazioni. Il 1933 segnerà per Segré il passaggio da professore straordinario a ordinario e anche l’abbandono degli insegnamenti geografici. L’Istituto superiore catanese chiama infatti in quell’anno il vincitore del concorso in Geografia economica e commerciale Umberto Toschi, proveniente dall’Istituto Superiore Libero di Scienze Economiche e Commerciali di Bologna. Toschi ha trentasei anni; nato in provincia di Bologna, è stato in guerra come ufficiale dei bersaglieri, si è laureato nel 1921 in Lettere con una tesi in Geografia sulla regione carpatico-danubiana e ha insegnato negli istituti tecnici e quindi ha tenuto corsi di Geografia commerciale e statistica demografica ed economica presso l’Istituto Superiore Libero. Conseguita la libera docenza nel 1931, risulta primo nel successivo concorso per la cattedra di Geografia economica bandito da Catania. Della sua rilevante personalità di studioso ho già detto. Va solo aggiunto che con lui a Catania si comincia ad affermare una scuola di geografia economica che oltre ai compiti didattici svolgerà significativa attività di ricerca. Appena costituita la Facoltà di Economia e Commercio, il Toschi ne fu nominato preside, carica che ovviamente lasciò quando, nel 1937, al momento del passaggio a professore ordinario, ottenne il trasferimento a Bari. Le pubblicazioni che, nella sua vastissima bibliografia, sono riferibili al periodo catanese riguardano prevalentemente temi di Note sulla presenza della geografia economica negli atenei meridionali 139 geografia delle comunicazioni aeree (tema che sarà oggetto anche d’un suo intervento al Congresso Internazionale di Geografia di Varsavia del 1934), monografie su paesi e continenti e il già citato studio di morfologia urbana su Bologna. Un complesso di trentasei scritti. A sostituire il Toschi negli insegnamenti geografico-economici nella Facoltà catanese sarà, dall’anno accademico 1936-1937, uno studioso triestino quarantenne, Gustavo Cumin. La sua formazione scientifica, come già quella del Platania nel decennio precedente, era prevalentemente naturalistica. Il trasferimento a Catania fu per lui occasione di costanti e fruttuose ricerche di vulcanologia e petrografia, pur non trascurando egli l’impegno didattico connesso allo svolgimento dei corsi di geografia economica, dei quali si fece carico fino all’anno della prematura scomparsa, appena sessantenne, nel 1956. Si era laureato a Roma in Scienze naturali nel 1922; ritornato quindi a Trieste, aveva svolto docenze da incaricato nell’Istituto medio per il Commercio, e frequentato da assistente l’Istituto di Geografia economica diretto dal professor Giorgio Roletto (che nel 1939 fonderà la rivista «Geopolitica»). Libero docente in Geologia nel 1929, poi in Geografia nel 1931, dopo aver insegnato Geografia economica nell’Istituto tecnico commerciale di Ancona vincerà nel 1936 il concorso per l’insegnamento della Geografia economica nella Facoltà di Economia e Commercio di Catania. Nell’anno accademico 1936-1937 completerà il corso lasciato dal Toschi in seguito al suo trasferimento. All’insegnamento nell’Ateneo catanese aggiungerà analogo impegno nell’Università di Messina. Dal 1939 (anno in cui consegue l’ordinariato) sommerà incarichi di Geografia a Lettere e Filosofia, e di Geografia politica ed economica a Scienze Politiche. Quando la Facoltà di Economia decide (1938) di dar vita a una Scuola di perfezionamento in Studi coloniali, Cumin viene incaricato dell’insegnamento di Geografia ed etnografia delle colonie italiane e straniere. L’iniziativa, tuttavia, morirà sul nascere per il sopraggiungere degli eventi bellici. Al ristabilimento della pace, la Facoltà di Economia potrà finalmente prendere possesso del Palazzo delle Scienze, nuova ed adeguata sede che però, negli anni della guerra e dell’occupazione alleata della Sicilia, era stata adibita ad altre funzioni. Cumin sarà eletto preside della Facoltà, carica che sommava a quella di direttore dell’Istituto di Geografia. Nell’elenco delle pubblicazioni da lui prodotte negli anni catanesi, i lavori frutto di indagini vulcanologiche, geologiche e idrografiche sovrastano quelli più specificamente riconducibili a temi di geografia economica. Tra questi ultimi figurano ricerche sulla pastorizia nella regione etnea, sullo sfruttamento delle pomici a Lipari e delle saline di Trapani, sui porti principali e secondari della Sicilia, oltre a numerose pubblicazioni di carattere più prettamente divulgativo volte a tracciare quelli che il Cumin definiva «profili» di regioni, paesi e continenti. Al caso di Gustavo Cumin, che insediatosi quarantenne a Catania vi rimase, assai attivo nelle funzioni didattiche e scientifiche, fino alla morte, non s’attaglia quella definizione di «professori di passo» che, come argutamente nota Elio Man- 140 Ernesto Mazzetti zi nel contributo fornitomi per la presente relazione, avrebbe in passato costituito, almeno in alcuni settori disciplinari, una sorta di tradizione per le università siciliane. In effetti, i dati biografici esposti in precedenza indicano una rilevante mobilità dei cattedratici nelle discipline geografico-economiche tra le università meridionali e tra queste e gli atenei d’altre regioni. Nella sua nota relativa all’Università di Palermo il Manzi osserva che non può individuarsi una presenza significativa di studiosi e di insegnamenti specificamente riferiti alla geografia economica nel ventennio tra le due guerre; prevaleva l’interesse verso la geografia generale ed erano attive scuole consolidate di etno-antropologia e cultura popolare. Ciò almeno fin quando nella Facoltà di Economia e Commercio non viene chiamato sulla cattedra di Geografia economica, in qualità di libero docente incaricato, il Luigi Arcuri di Marco. Anche in questo caso siamo di fronte a una eccezione rispetto alla tradizione dei cosiddetti «professori di passo»: l’Arcuri era siciliano, di altolocata famiglia palermitana. S’inserisce tardi, nel 1939, a quarantatré anni (era nato nel 1896) nell’attività universitaria: veniva da complesse e intense esperienze di vita e di studi. Era stato combattente nella prima guerra mondiale e nella campagna d’Etiopia. Aveva viaggiato a lungo in America Meridionale e in Africa orientale e approfondito da vicino le condizioni degli emigranti italiani. Professò – a giudizio di Manzi – «la geografia economica pratica» specie quando s’occupò della redazione del «Bollettino del Banco di Sicilia». La sua bibliografia è ricca di contributi a questo Bollettino così come testi pubblicati negli «Annali della Facoltà di Economia e Commercio». Comunque, riferendoci in particolare al ventennio tra le due guerre, per Palermo si deve parlare di una presenza del tutto marginale della geografia economica, dato che corsi regolari e ricerche specifiche avranno inizio solo alla fine del periodo considerato grazie all’inizio dell’esperienza universitaria dell’Arcuri di Marco. In Sardegna. – Quanto alla Sardegna, negli Atenei di Cagliari e Sassari si deve constatare l’inesistenza della Geografia economica nel ventennio preso in esame. La disciplina troverà spazio nei corsi universitari sardi solo dal 1950, anno dell’istituzione della Facoltà di Economia a Cagliari. Dal contributo trasmessomi da Maurizio Memoli si desume che i pochi insegnamenti di carattere geografico attivati nelle Facoltà umanistiche cagliaritane (affidati alla fine degli anni Venti al professor Crinò, e nel biennio 1940-1942 al professor Sestini) s’inserivano in filoni di geografia fisica, con riferimenti prevalenti a caratteristiche agrarie e minerarie del territorio sardo così come a temi di carattere storico e antropologico. Insegnamenti geografici nelle Facoltà di Lettere e Magistero verranno svolti anche da docenti di materie storiche e archeologiche. Nell’Ateneo di Sassari erano attive solo due Facoltà, Medicina e Giurisprudenza; in quest’ultima si ebbero corsi di economia e di statistica, alcuni svolti da apprezzati studiosi, ma – osserva Memoli – «nessuno adotta prospettive geografiche nell’analisi dei fenomeni econo- Note sulla presenza della geografia economica negli atenei meridionali 141 mici». E solo minima si deve considerare la presenza di contributi valutabili come geo-economici nel Congresso di geografia tenutosi a Cagliari nel 1934. Qualche considerazione conclusiva. – La presente sintesi degli apporti derivati dall’attività del Gruppo di lavoro della Società Geografica Italiana, operante nell’ambito della ricerca nazionale coordinata dal professor Barucci, si è mossa entro una delimitazione spaziale, il Mezzogiorno d’Italia, e una delimitazione temporale, il ventennio tra le due guerre. Non poteva, di conseguenza, dar ragguagli su tutti gli elementi utili a una esaustiva ricostruzione del progressivo affermarsi in Italia di una geografia economica che vedeva consolidarsi la sua specificità appunto nel ventennio 1920-1940. Confido perciò che tale sintesi offra ad altri colleghi stimolo per approfondimenti che si proiettino fuori dei confini del Mezzogiorno, ricercando nell’opera dei più numerosi studiosi attivi in altre regioni quelle ulteriori riflessioni sui contenuti e metodi che arricchirono il processo formativo di quest’ambito disciplinare. E si proiettino anche fuori del limite temporale indicato, verso i decenni successivi alla fine della guerra. Appunto alla conclusione della drammatica vicenda bellica, e negli anni della faticosa ripresa dell’attività nelle università meridionali, è dato constatare come la geografia si palesi piuttosto emarginata nel panorama della cultura italiana. Risulta poco coinvolta in ricerche e approfondimenti di temi che a partire dagli anni Cinquanta diverranno pregnanti per la comunità nazionale, il suo territorio, le sue attività. Si pensi all’emigrazione meridionale verso sedi cisalpine, transalpine e oltreoceano; alla ricostruzione delle città con i connessi problemi di assetti urbanistici; all’iniziale e poi accelerato passaggio di quote crescenti di lavoratori dall’agricoltura all’industria e poi ai commerci e ai servizi; alla trasformazione delle colture e delle tecniche agrarie; al progressivo ampliamento delle reti di trasporto su ferro e su gomma, della distribuzione elettrica ed idrica, delle comunicazioni telefoniche. E si pensi altresì all’emergere, in una dimensione sempre più rilevante sotto il profilo sociale, economico e politico, del divario tra le regioni centro-settentrionali del Paese e quelle meridionali e insulari. Dalle cattedre geografiche attive nel Mezzogiorno dalla fine della guerra a gran parte degli anni Cinquanta non emergono riflessioni ed elaborazioni adeguate all’entità dei fenomeni di trasformazione del Paese, se non occasionali e poco incidenti. Il fervore di ricerche e studi, così come di polemiche politiche e culturali, che accompagna scelte fondamentali per l’avvenire di un Paese proteso alla ricostruzione della propria economia, del patrimonio infrastrutturale e di edilizia residenziale, alle trasformazioni agrarie, alla risorgente industrializzazione, alla ricerca d’una maggiore coesione sociale (12), sembra non lambire l’at(12) Anche attraverso difficili scelte di contenuto spiccatamente geopolitico, come l’istituzione delle Regioni a statuto speciale motivata dalla necessità di contenere le spinte autonomistiche, se non secessionistiche, determinatesi nell’immediato dopoguerra in Sicilia e Sardegna, e per venire incontro a esigenze di popolazioni alloglotte nelle regioni di confine, come Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. 142 Ernesto Mazzetti tenzione, o lambirla solo per aspetti marginali, dei geografi attivi nelle università e segnatamente di quelle meridionali (13). È giocoforza al riguardo ricordare come tale considerazione spingerà nel 1962 il giovane e già autorevole geografo Lucio Gambi, cattedratico a Messina, a intitolare un suo saggio Geografia (13) Trovo significativo che allorquando la dirigenza della Cassa per il Mezzogiorno, nata nel 1950, volle pubblicare uno studio sulla questione meridionale, in assenza di studi di autori italiani comparabili per ampiezza, scelse di finanziare la traduzione dal tedesco del ponderoso lavoro dell’economista agrario e storico economico F. Vöcthing, Die Italianische Südfrage. Entstehung und Problematik eines wirtschaftlichen Notstandsgebietes (Berlino, Duncker und Humblot, 1951). Né, evidentemente, tale dirigenza riteneva possibile identificare, tra gli studiosi italiani in quegli anni attivi nell’ambito delle discipline sociali e territoriali, possibili autori di un siffatto lavoro. Col titolo La questione meridionale l’opera del Vöcthing apparve in italiano nel 1955 (per i tipi dell’Istituto Editoriale del Mezzogiorno, Napoli), con prefazione del professor Giovanni Cassandro (che di lì a breve sarà nominato giudice costituzionale). Il Vöcthing, nativo di Basilea e cattedratico in Svizzera, aveva svolto ricerche in Italia per oltre un quindicennio: un suo studio sulla Romagna del 1927 fu ripubblicato negli anni Novanta a cura di P. Albonetti (La Romagna. Braccianti e Contadini, Ed. Circolo Cooperatori Ravennati). Così pure, nel 1990, a cura di A. Parisella, era stato ripubblicato La bonifica della pianura pontina (Roma, Ed. Sintesi Informazione), traduzione dello studio del 1942 Das pontinische Siedelwerk (in «Weltwirtschaftliches Archiv»). Nel 1953 il Vöcthing aveva pubblicato uno scritto sulla riforma agraria italiana, tradotto nel 1955 ne La riforma fondiaria in Italia a cura della Facoltà di Economia e Commercio di Napoli, e riproposto da B. Caizzi in Nuova antologia della questione meridionale (Milano, Comunità, 1962): Una critica liberale della riforma agraria: i prevedibili effetti sociali (pp. 269-280). Il ponderoso trattato (656 pagine) dedicato a La questione meridionale merita una pur breve riflessione, soprattutto nella misura in cui da esso scaturivano spunti di dibattito culturale che ben avrebbero potuto coinvolgere i geografi attivi in quegli anni: ma fu un’occasione perduta, nella quale scorgo ulteriore conferma alle tesi polemiche del Gambi (1962). Mi riferisco alla circostanza che sia il prefatore, sia l’illustre economista agrario e urbanista Nallo Mazzocchi-Alemanni, consigliere d’amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno, cui si ritiene possa attribuirsi l’iniziativa di promuovere la traduzione dello studio del Vöcthing, trascurarono, o ritennero non fosse il caso soffermarsi, sul contenuto del paragrafo 5 («Antropologia») del cap. I («Le premesse naturali»), pp. 2027. Qui, alla ricerca di elementi che giustificassero le condizioni d’inferiorità del Meridione rispetto al resto d’Italia, il Vöcthing, nel ritenere contraddittoria la tesi di Alfredo Niceforo d’un determinismo ambientale connesso soprattutto a ragioni climatiche e tipi d’alimentazione, sosteneva piuttosto un determinismo razziale che egli basava sulla predominanza all’interno della popolazione meridionale della componente «pre-ariana […] che la scienza dell’antropologia suole chiamare col nome di razza mediterranea […] la cui funzione storica […] è stata in ogni tempo unicamente quella di chi è dominato e mai di chi domina, di chi riceve e che mai riesce a dare»; razza risultata nei secoli refrattaria a ogni mutamento che avrebbe potuto derivarle dalle invasioni di popolazioni settentrionali. Su tali opinabili considerazioni sorvolarono sia ancora il Mazzocchi-Alemanni, in un suo scritto del 1958 (L’ultimo classico della questione meridionale: Friedrich Vöchting e l’Italia del Sud, Roma, Istituto Nazionale di Economia Agraria), sia il geografo francese Paul Guichonnet che recensì l’opera nella «Revue de Géographie Alpine» (1957, 45, pp. 650-652). In effetti, l’attenzione che meritatamente veniva attribuita (come, ad esempio, dal Compagna ne La questione meridionale, Milano, Garzanti, 1962) al rilevante apporto del Vöcthing alla conoscenza del Mezzogiorno agrario lasciava ai margini l’iniziale notazione di stampo razzistico. Non sfuggita tuttavia a Massimo L. Salvatori che pur definendo «utile e monumentale» l’opera del Vöcthing gli fece carico d’aver accettato «la sostanza del razzismo antimeridionalistico, in ciò forse ispirato anche da certa cultura germanica» (Il mito del buongoverno, Torino, Einaudi, 1960, p. 205). Più recenti, e assai più aspre, le considerazioni che formulerà in un articolo su «La Repubblica» del 13 maggio 2010 Salvatore Settis che, ironizzando sul discusso scritto di Richard Lynn circa un presunto quoziente intellettivo inferiore nei meridionali, affermava come siffatte tesi non fossero nuove, perché precedute appunto da quelle formulate dal Vöcthing nel 1951. Note sulla presenza della geografia economica negli atenei meridionali 143 regione depressa (14), ove l’aggettivo «depresso» è riferito al panorama complessivo, della didattica e della ricerca, della geografia italiana. Gli replicherà Dino Gribaudi, illustre cattedratico che a Torino darà vita a una scuola geografica dalla quale negli anni successivi significativamente si alimenterà il filone geoeconomico della disciplina italiana (15). Il dibattito proseguirà negli anni successivi e, con sguardo retrospettivo, può ritenersi fecondo. A partire dagli anni Sessanta – principiando da Napoli, dove si affermerà quella che venne definita la «scuola di “Nord e Sud”», dal nome della rivista fondata nel 1954 da Francesco Compagna (16), divenuto dal 1960 professore incaricato di Geografia politica ed economica nell’allora Corso di Laurea (poi Facoltà dagli anni Settanta) di Scienze Politiche – la geografia economica, anche con gli apporti provenienti dagli atenei meridionali nello spirito che un quarantennio prima aveva animato i Maranelli, i Milone e i Toschi, entrerà a buon diritto nel dibattito culturale e scientifico riguardante il divenire del Paese, nella sua problematica interna e nei suoi rapporti con l’Europa e il mondo. THE PRESENCE OF ECONOMIC GEOGRAPHY IN THE UNIVERSITIES OF SOUTHERN ITALY (1920-1940). – The twenty-year period between 1920 and 1940 is important for the branches of Geography in Italy since it shows the progressive achievement of an Economic Geography that is continually being enriched by contents and methods and consolidates its specificity. In Southern Italy some distinguished scientists — active in particular among the universities of Bari, Naples and Catania — together with the innovations in university organization due to the transformation, in the Thirties, of the Royal Institutes of Economic and Commercial Sciences in faculties of Economics and Business within the main universities, contribute to this process. With this paper the Italian Geographical Society participated in the research of the national working group coordinated by professor Barucci on The Italian economic culture in Southern Italy between the two world wars. Università degli Studi di Napoli Federico II [email protected] (14) L. Gambi, Geografia regione depressa, Faenza, F. Lega, 1962; poi nel volume Questioni di Geografia (Napoli, ESI, 1964). (15) D. Gribaudi, Contro una critica demolitrice della geografia, in «Rivista Geografica Italiana», settembre 1963, 3, pp. 245-270. (16) Compagna fu il primo tra i geografi del dopoguerra ad approfondire storia, dimensioni e problemi dell’emigrazione meridionale in Terroni in città (Bari, Laterza, 1959; di recente ripubblicato, con introduzione di E. Paccagnini e postfazione di G. Fofi: Roma, Hacca, 2013).