le politiche sociali - Ordine Assistenti Sociali Friuli Venezia Giulia

Ordine degli Assistenti Sociali
Regione Friuli Venezia Giulia
LE POLITICHE SOCIALI NELLA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA
IL PUNTO DI VISTA DEGLI ASSISTENTI SOCIALI
PREMESSA
Gli Assistenti Sociali si sono impegnati in modo consistente e a lungo hanno
atteso la legge quadro che, finalmente, dopo cent’anni, ha sostituito la famosa legge
Crispi, importante per l’epoca, ma assolutamente inadeguata fin dal dopoguerra. Non si
può negare che importanti eventi e leggi epocali si siano succedute nello scorso secolo,
avvenimenti determinati dalla comparsa di nuovi bisogni e dalla necessità di adottare
modelli adeguati per affrontarli.
A partire dagli anni ’60 un’evoluzione culturale e normativa ha prodotto una serie di
eventi quali: la riforma della previdenza sociale, l’istituzione della scuola media
obbligatoria, degli asili nido, della pensione sociale, l’istituzione delle Regioni. E ancora,
negli anni ’70-80, il decentramento amministrativo, la soppressione di vari enti
assistenziali (ONMI, ENAOLI, EMPMS, ENS, ONPI), l’istituzione del Servizio Sanitario
Nazionale e l’adozione di importanti leggi finalizzate alla deistituzionalizzazione (ad es, la
riforma psichiatrica, le norme relative all’affidamento e all’adozione dei minori, ecc.), per
arrivare, negli anni ’90, all’emanazione di altre significative leggi riguardanti l’ordinamento
delle autonomie locali, il volontariato, la cooperazione sociale, l'assistenza, l'integrazione
sociale e i diritti delle persone disabili, il riconoscimento e la promozione di diritti ed
opportunità per l'infanzia e l'adolescenza.
IL SISTEMA SOCIALE E SOCIOSANITARIO NELLA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA
Ritornando ai giorni nostri, la legge 328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali”) si pone l’obiettivo di realizzare un sistema
integrato di interventi e servizi sociali: la persona, il cittadino, è al centro del sistema,
vengono valorizzate le risorse familiari e della comunità locale, si stabilisce la necessità di
prestazioni integrate tra servizi pubblici, privato sociale, volontariato. La legge introduce i
concetti di sussidiarietà verticale (tra istituzioni) e orizzontale (con i privati, il privato
sociale e le associazioni di volontariato) e riconosce, inoltre, la centralità delle figure
professionali sociali, individua le funzioni del servizio sociale professionale fornendo linee
chiare per delineare l’immagine futura della professione dell’assistente sociale.
La L.R.23/2004 “Disposizioni sulla partecipazione degli Enti Locali ai processi
programmatori e di verifica in materia sanitaria, sociale e sociosanitaria e disciplina dei
relativi strumenti di programmazione, nonché altre disposizioni urgenti in materia sanitaria
e sociale” delinea le aree dell’integrazione sociosanitaria individuando le prestazioni a
rilevanza sociale, sanitaria, sociosanitaria, nonché le prestazioni ad elevata integrazione
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sociosanitaria. Traccia le linee per la pianificazione e programmazione territoriale da
realizzarsi attraverso vari strumenti: Piano sanitario e sociosanitario regionale, Piano
regionale degli interventi e dei servizi sociali, Piano Attuativo Locale (PAL), Piano attuativo
ospedaliero, Programma delle Attività Territoriali (PAT), e Piano di Zona (PdiZ).
Quest’ultimo deve contenere anche una parte di programmazione integrata sociosanitaria
(PAT/PdiZ).
La legge regionale applicativa (L.R. 6/2006 “Sistema integrato di interventi e servizi
per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale”), seppur con i noti ritardi,
richiamandosi alla legge quadro nazionale, delinea i servizi socioassistenziali essenziali
da attivare in ogni Ambito Distrettuale della Regione Friuli Venezia Giulia. Con successive
leggi applicative si aprono nuovi orizzonti per la professione, sia sul versante più
specificatamente tecnico professionale, sia a livello manageriale.
In Italia e nella nostra Regione negli ultimi anni sono state varate importanti
normative che hanno portato allo sviluppo di un sistema di servizi ed interventi rivolti alla
generalità della popolazione (servizio sociale dei comuni, ecc.) o miranti ad intervenire in
situazioni specifiche (immigrazione, contrasto alla povertà, interventi a favore delle
famiglie). L’idea era quella di proseguire, con il contributo di tutti i soggetti coinvolti (enti,
privati, associazioni), il cammino intrapreso, come si è visto in precedenza, fin dagli anni
’60, e cioè attuare una politica sociale rivolta alle persone inserite nel proprio contesto di
vita familiare, lavorativo, sociale, rafforzare il sistema di protezione sociale verso coloro
che, per circostanze diverse, si fossero trovati in situazioni di difficoltà e di disagio. E da
questa condizione non si può arretrare se non ripristinando vecchie logiche settoriali,
ghettizzanti, riparatrici.
I principi fondanti la professione, raccolti nel Codice Deontologico, quali la centralità
della persona, il rispetto dei diritti universali, di giustizia sociale, di cittadinanza, di
domiciliarità, la valorizzazione delle risorse personali, familiari e dei legami sociali, devono
rimanere sempre dei pilastri per l’intervento sociale. Ciò che va mutato è la loro
declinazione nell’agire professionale, in linea con la trasformazione della società e le
nuove domande sociali.
Sta, invece, emergendo una tendenza a volersi rivolgere a categorie di soggetti, a
discriminare le persone (italiani e stranieri), ad attivare prestazioni ed interventi di tipo
prettamente economico, che mirano a dare una risposta contingente, anche se non
sempre risolutiva, mentre non si affrontano, attraverso politiche integrate, le questioni da
cui derivano i problemi che riguardano la vita delle persone nella comunità: lavoro, casa,
servizi per i soggetti non autonomi o disabili, relazioni sociali positive, ecc.
Preoccupa l’idea che ciò che si è faticosamente conquistato in cinquant’anni, possa
essere minato da strategie che costringono le persone a difendersi, a diffidare degli altri, a
rinchiudersi, ad isolarsi; preoccupa la possibilità che la visibilità sul territorio, da cui
discende l’accessibilità dei servizi, e il bagaglio di esperienze capitalizzato in questi anni
dagli assistenti sociali possano essere vanificati in poco tempo.
Preoccupa constatare che lo stesso tema della sicurezza, tanto caro agli
amministratori locali e nazionali, venga declinato nei termini di controllo e punizione,
preferibilmente rivolte ad alcune “categorie” di persone, a scapito degli interventi che
aumentano la coesione e l’inclusione sociale.
Preoccupa l’idea di un’assistente sociale “burocrate”, impegnato prevalentemente su
versanti amministrativi, attento a non coinvolgersi, occupato a fornire risposte individuali,
in risposta a bisogni contingenti.
Preoccupa l’ipotesi che i servizi vengano affidati, più agevolmente, a soggetti esterni
che si affacciano oggi nel sociale, così come appare inaccettabile l’attribuzione di
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competenze proprie del servizio sociale professionale a nuovi soggetti che non
possiedono i requisiti professionali per esercitare tali funzioni.
Preoccupa questa situazione di silenzio nella quale sono lasciati i servizi sociali dei
comuni nella nostra Regione e, più in generale, inquieta la percezione di indifferenza che
gli operatori dell’area professionale del servizio sociale dei Comuni, delle Aziende per i
Servizi Sanitari ed Ospedaliere sentono rispetto ai temi del sociale, dei servizi alla
persona, delle attività di integrazione sociosanitaria.
Allarma l’assenza di orientamenti da parte dell’Amministrazione Regionale intorno
alla programmazione territoriale (piano di zona e programmi per le attività territoriali),
rispetto alla quale nel recente passato soggetti pubblici e privati, migliaia di persone in
Regione, si sono spesi ed hanno investito energie in tali percorsi.
Quale prospettiva intende assumere l’Amministrazione Regionale rispetto alle
politiche sociali? E quale il loro rapporto con l’ambito più prossimo, quello sanitario? E
quali gli indirizzi nell’area dell’integrazione sociosanitaria? E ancora come si conciliano
leggi e regolamenti che apportano cambiamenti a livello gestionale o varano misure
economiche con la pianificazione del welfare locale? E quale rapporto intende sviluppare
l’Amministrazione Regionale con i tecnici, tramite i propri enti istituzionali?
Qualora si intravedesse il pericolo che le sensazioni possano lasciare spazio alle
azioni, gli Assistenti Sociali sono pronti a scendere nuovamente in campo per ribadire con
forza il proprio mandato istituzionale e i propri principi deontologici che mirano a rispettare
la dignità delle persone, a tutelare i diritti universalmente riconosciuti, a promuovere una
cultura della solidarietà e a contribuire alla costruzione e allo sviluppo di politiche sociali
finalizzare al miglioramento della qualità di vita.
Nello stesso tempo l’Ordine degli Assistenti Sociali della Regione Friuli Venezia
Giulia, a nome della comunità professionale, offre la propria disponibilità a collaborare con
quanti intendano agire per dare piena attuazione a tali principi.
Udine, 03 aprile 2009
f.to La Presidente
a.s. dott. Gabriella Totolo
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