Flora Le piante grasse Oggi un numero sempre crescente di persone si dedicano alla coltivazione delle piante grasse. Il motivo di questa “scoperta” è da ricercare nel fatto che queste piante non richiedono cure complicate, non subiscono facilmente gli attacchi di parassiti e sono particolarmente ornamentali. Nei luoghi d’origine, vivono in climi o posizioni in cui per lungo periodo di tempo non hanno a disposizione l’acqua necessaria per sciogliere i sali contenuti nel terreno e la cui soluzione costituisce il necessario nutrimento. Proprio per adattarsi alle condizioni ambientali, molte di esse hanno sviluppato tessuti di foglie, rami o fusti che nelle cellule che li compongono hanno cavità ricchissime di liquidi: in tal modo, il loro ricambio organico è comunque assicurato. La presenza dell’acqua nei tessuti ha, di solito, l’effetto di rendere gli organi che la contengono di apparenza carnosa, e proprio per tale motivo queste piante vengono comunemente chiamate “grasse”. Tale dizione non ha valore scientifico perché in esse non si riscontra alcuna componente chimica che meriti il nome “grasso”, ma è usato comunemente nel senso di “grosso”. Nel raggruppamento delle piante grasse, chiamate più esattamente “succulente”, si possono incontrare tre diversi tipi classificati in funzione del loro ambiente di provenienza: a) piante di ambienti montuosi dove, quando c’è freddo, la presenza di neve o acqua ghiacciata nel terreno impedisce il normale assorbimento da parte delle radici, determinando un lunghissimo periodo di riposo (quiescenza); b) piante di luoghi siccitosi caldi, che crescono in ambienti predesertici, spesso anche nella selva, il cui ritmo vegetativo è condizionato dalla luce e dalla temperatura, ma soprattutto dalla prolungata assenza di precipitazioni; c) piante di ambienti umidi e caldi, quali le foreste tropicali, dove gene- ralmente crescono come epifite od in sottilissimi strati di terra molto ben drenati e la cui succulenza, incrementata dall’umidità ambientale, supplisce alla carenza dovuta alla posizione ed alle stagioni asciutte. In linea generale, tranne che in coltivazioni o collezioni specializzate, soltanto il secondo gruppo (b) viene preso in considerazione per la coltura normale cui può dedicarsi un appassionato. Si tratta pur sempre di un grandissimo numero di specie, accresciute dai risultati di moltissimi incroci, ed appartenenti alle più diverse famiglie botaniche. Quella delle Cactaceae, composta di tutte piante originarie delle due Americhe, è probabilmente la più conosciuta e diffusa in coltivazione; quella delle Aizoaceae è invece esclusivamente africana; mentre la famiglia delle Crassulaceae è cosmopolita, benché le specie più valide al fine della coltivazione provengano, anche in questo caso, dall’Africa e dall’America. Le riserve idriche che provocano la successione sono unite spesso ad altre forme di protezione. Tra queste si possono ricordare: - Tutti i tipi di pelosità o pubescenza che, ricoprendo l’epidermide, rappresentano una difesa sia contro il freddo che contro l’eccessiva incidenza dei raggi ultravioletti. - Il caratteristico rivestimento ceroso (detto pruina), che ricopre foglie e fusti rendendoli biancastri, limita la traspirazione e fa scorrere l’acqua sui delicati tessuti che risentirebbero del suo ristagnare. - L’abolizione delle foglie o la trasformazione di esse in spine, propria di tutte le Cactaceae e di molti generi di altre famiglie, permette la riduzione degli scambi con l’atmosfera al livello minimo richiesto per la sussistenza, per evitare la dispersione di liquido interno. - I tessuti di fusti o rami, modificati, hanno il compito di compiere la funzione clorofilliana che trasforma l’energia solare in sostanze organiche. di Giuseppe Sollino - La peculiarità delle forme trova la sua spiegazione nella lotta per l’adattamento e la sopravvivenza che queste piante sostengono nel loro ambiente d’origine; infatti le forme sferiche o cilindriche sono l’ideale per ridurre al minimo la porzione soggetta a condizioni avverse: l’insolazione colpisce sempre soltanto una minima parte, a rotazione, l’acqua non può ristagnare, ed i vasi conduttori rimangono ben protetti dai tessuti che li circondano. In altri casi la parte apicale, più delicata, viene protetta dalla disposizione delle foglie detta “a rosetta”, nella quale la porzione più esterna formata dalle foglie più mature, può serrarsi su quelle interne, nascenti, difendendole dal freddo, dal sole o dall’eccessiva umidità. - L’estremo limite di protezione e di difesa lo troviamo nelle piante che uniscono la perfezione della forma con la mimetizzazione: caratteristici di questo tipo molti generi di Aizoaceae che vengono collettivamente chiamati “pietre viventi” (Lithops ad esempio) perché il corpo vegetale, rotondo o cilindrico, risulta più o meno profondamente interrato e di aspetto tale da confondersi con le piante che lo circondano. Queste piante divengono così scarsamente distinguibili nel terreno e si salvano dagli animali che le appetiscono perché la loro succulenza costituisce una tregua alla sete dovuta all’ambiente desertico. Le necessità basilari delle piante grasse sono molto simili per tutto il raggruppamento. Una corretta coltivazione è di ordine generale e permetterà, non soltanto di avere delle piante floride e sane, ma anche quelle smaglianti fioriture ottenibili solo praticando tutte le operazioni necessarie. Si deve notare che la maggior parte delle piante grasse, data la provenienza esotica, non possiede nomi comuni. I nomi latini, anche se apparentemente astrusi e difficili, sono gli unici che permettono una sicura identificazione del genere e della specie. La sistemazione In casa Dato l’estremo bisogno che le piante grasse (succulente) hanno di aria e di La Rassegna d’Ischia 11 sole, non si può affermare che siano l’optimum delle piante d’appartamento. La mancanza di aerazione fa perdere loro le difese naturali e di conseguenza l’aspetto carnoso: diventano esili e, quando vengono poste al sole, possono riportare più facilmente bruciature all’epidermide. Fanno eccezione quelle che in natura vivono al riparo di rocce o arbusti come ad esempio le Haworthia e le Gasteria che infatti sono frequentemente usate nelle composizioni in ciotola come piante ornamentali da interno da sistemare in zone luminose lontane da correnti d’aria. All’aperto Per la loro natura tutte le piante grasse dovrebbero godere almeno di un periodo all’aperto, più o meno in pieno sole a seconda delle necessità dei vari tipi, durante il periodo vegetativo che generalmente coincide con l’estate. Le piante in vaso posso essere poste su terrazzi o balconi, oppure chi possegga un giardino può vantaggiosamente impiegare le più grandi raggruppando i vasi in un angolo normalmente nudo. L’esposizione ad ovest è da evitare, perché in estate, nelle zone temperate, l’arco della luce diurna eccede di molto quello normale nelle zone tropicali e le piante che siano colpite dal sole fino al tramonto sarebbero soggette ad un calore eccessivo e prolungato, non compensato da notti sufficientemente lunghe. In terrazza In terrazza i vasi dovrebbero essere isolati in qualche modo dalla pavimentazione, con supporti sollevati, legno o lastre di polistirolo espanso per impedire che la loro base risenta dell’eccessivo calore circostante, anzi, dato che le terrazze sono particolarmente esposte al sole ed al vento, meglio ancora sarebbe se i vasi fossero posti in contenitori o cassette di qualsiasi tipo in modo che la terracotta non si prosciughi eccessivamente e le radici non brucino venendo a contatto con essa. I vasi non dovranno mai essere eccessivamente grandi, poiché il sistema radicale delle succulente non si spinge mai molto in profondità con eccezione delle Agavi, delle Aloe, e di alcune Cactaceae peraltro piuttosto rare, che hanno grosse radici a fittone. 12 La Rassegna d’Ischia In giardino In giardino un alto strato di ghiaia o ciottoli al di sotto dei vasi, oppure un angolo pavimentato, formeranno una base assai migliore della nuda terra o dell’erba; in questi ultimi due casi, per buono che sia il drenaggio, l’umidità viene mantenuta molto più a lungo e vi è il pericolo che, richiamate da essa, le radici trovino la loro via di uscita nel foro di scolo, approfondendosi nel terreno, rendendo difficile e precaria la rimozione al momento in cui necessiteranno nuovamente di essere messe al riparo. Un tempo, nei giardini dotati di aiuole dove si effettuava la cosiddetta mosaicoltura, e cioè disegni formati da piante e fiori, era molto in voga l’impiego delle rosette compatte e glauche delle Echeverie coltivate in piccoli vasi che venivano interrati per formare divisioni e bordure. Oggi solo raramente si vedono nei giardini coltivazioni di questo tipo, un poco leziose e che richiedono una grande manutenzione, ma non impedisce che Echeveria, Sedum, forme striscianti di Aizoaceae e persino Stapelia, siano poste con i loro vasi in tasche ricavate fra i massi di un giardino roccioso e vi fioriscano splendidamente. Anche se non potranno rimanervi per l’inverno ed anche se assumeranno posizioni difficili da rimuovere, radicando qua e là ed emettendo polloni, la loro moltiplicazione per talea è così semplice che in autunno si potranno nuovamente ricavarne vasi di piante giovani e compatte da porre (in casa o in serra) nei ripari invernali. Vi sono poi piante rusticissime che possono essere piantate in piena terra e forniscono un prezioso apporto ai giardini in cui è difficile creare soluzioni diverse purché siano in climi dove il gelo non sia né a lungo né troppo intenso. È il caso classico dei giardini litoranei, ed anche in quelli dell’entroterra dove il terreno sia povero o molto umido. Per questo la talea va tenuta all’ombra per un paio di giorni per permetterle di cicatrizzarsi. Successivamente va interrata leggermente in terriccio largamente sabbioso o di sola sabbia, e in questo periodo verranno somministrate soltanto leggere spruzzature sinché non si noti qualche segno di crescita. Per quanto riguarda le talee di foglia, facilissime per le Crassulaceae, la foglia non deve essere tagliata, ma staccata; e il distacco va effettuato con leggerezza e con decisone in modo che rimanga integro il punto di attacco con il fusto quindi si appoggia la foglia su sabbia appena umida che le permetterà di germogliare. In caso di marciume del colletto nelle Cactaceae a forma colonnare si potrà tentare di tagliare la parte superiore del fusto e di farla nuovamente radicare adoperandola come talea. Coltivazione in recipienti I vasi eccessivamente grandi hanno il difetto di contenere troppo terriccio in confronto al sistema radicale con il pericolo che si ammassi soffocando le radici. I rinvasi saranno quindi necessari soltanto quando si noterà che le radici tendono a fuoriuscire dal foro di scolo. I vasi debbono avere un ottimo ed alto drenaggio, onde evitare qualsiasi ristagno d’acqua al fondo del vaso, che potrebbe risultare dannoso alle piante. I piccolissimi recipienti, nei quali sono per solito contenute le piante comunemente rintracciabili in commercio, non possono ovviamente permettere una fognatura molto alta che occuperebbe troppo spazio e risulterebbe molto fastidiosa al momento del rinvaso già di per sé talvolta un po’ “avventuroso” per tutte le specie spinose. In questo caso, sarà bene porre sul foro di scolo un “coccio”, un frammento di terracotta, grande più possibile, in modo che, per svasare la pianta, sia sufficiente spingerlo con un bastoncino rigido: in tal modo la zolla si staccherà dal vaso intatta e potrà essere facilmente maneggiata dal lato dell’apparato radicale senza rischio di pungersi o graffiarsi; d’altronde bisogna tenere presente che tali piccoli vasi presentano scarsissimi rischi di trattenere acqua in eccesso perché il minimo volume di terra si asciuga molto facilmente a contatto con la terracotta delle pareti. Naturalmente se i vasetti, come frequentemente oggi, sono di plastica, occorrerà innaffiare con molta prudenza dato che la plastica non è porosa. Effettuando rinvasi si noterà spesso che intorno alle pareti del contenitore si è formato uno strato di radici: ciò è quello che i giardinieri chiamano “girare in vaso”. Normalmente tali radici hanno le punte vive e vitali, per solito biancastre, capaci di estendersi nel nuovo terriccio quando trovino lo spazio sufficiente; è questo il motivo per il quale si raccomanda di disturbare il meno possibile l’apparato radicale e di fare attenzione a non romperle. Ma nelle piante sottoposte ad una intensa insolazione ed innaffiate con parsimonia, tanto che la terracotta non resti mai umida, spesso le radici disseccano al contatto e formano uno strato feltroso nel cui centro le radicole vive rimangono rinchiuse e protette. In tal caso, per quanta terra nuova si fornisca ad un vaso più grande, esse, per poterne usufruire, non saranno mai capaci di rompere lo strato crostoso che si è formato all’interno ed uscirne. Occorrerà perciò tagliare con un coltellino la parte feltrosa, con molta precauzione, sinché non si scorgano le punte chiare del sistema radicale ancora efficienti, permettendo con il relativo espandersi dello spazio maggiore che gli sarà dato. Siccome le piante grasse sono generalmente contenute in piccoli vasi, risulta anche facile svasarle ed adoperarle per unirle in ciotole od altri recipienti per effettuare composizioni a piacere; poiché esse sono spesso difficili da maneggiare a causa delle spine, un sistema per studiare il migliore effetto della composizione è quello di riempire la ciotola di terra che verrà pressata intorno ad alcuni vasetti vuoti della stessa grandezza di quelli dove sono contenute le piante così da ottenere degli spazi vuoti dove si proverà la posizione desiderata senza toccare i fusti e, solo una volta trovato il posto adatto, si provvederà allo svasamento e alla messa a dimora. Innaffiature È comune convincimento che le piante succulente necessitino di scarse innaffiature; se ciò è vero durante, appunto, il periodo di riposo invernale quando, se mantenuta la giusta temperatura, non ne desiderano affatto anche per un mese e più, durante il periodo vegetativo, le innaffiature dovranno essere regolari, in particolare se i vasi sono tenuti al sole che ne dissecca le pareti e conseguentemente brucia le radici che non possono espandersi liberamente come in piana terra. I nemici delle piante Le piante grasse non sono, relativamente agli altri vegetali, particolarmente soggette ad attacchi di parassiti. Mentre alcune come le Aloe e molte Euphorbia ne sono completamente immuni, altre possono essere invece colpite da: Cocciniglie brune, Cocciniglie cotonose e Marciumi, nemici questi da prevenire con attente cure, ma noiosi da eliminare. Una curiosità: i piccioni, posandosi su terrazzi o nei giardini, possono procurare qualche danno alle piante, in particolare a quelle con foglie piccole e carnose quindi più appetibili per questi simpatici animali. Cocciniglie brune Si distinguono bene sull’epidermide solo da adulte quando divengono scagliose e di colore bruno chiaro. Si ricoprono di involucro ceroso che rende più difficile la loro eliminazione. Cura: spruzzature a base di olio bianco; se l’attacco è agli inizi si può distaccar le per mezzo di ovatta arrotolata su uno stecchino ed imbevuta di alcol. Attaccano in particolare i Cactus e le Opuntia. Cocciniglie cotonose Appaiono come batuffoli di lana bianca di dimensioni microscopiche ed attaccano in particolare le Crassulaceae e le Aizoaceae. Marciumi Attaccano con maggior o minore facilità e sempre con danni gravi: sono dovuti ad un eccesso d’acqua nell’atmosfera. Punti più colpiti sono: il colletto nei cactus, e le foglie carnose. Una volta insediati, non vi è modo di porvi riparo. Piccioni Attratti a volte dall’aspetto carnoso, rigonfio e “appetitoso” delle foglie di Sedum o di Senecio, le staccano con una beccata procurando alle piante solo lievi danni estetici. Conclusioni Le piante grasse hanno guadagnato notevole terreno nelle colture e nei gusti del pubblico. Infatti, sia nei giardini che negli appartamenti, è abbastanza comune trovare collezione di piante grasse, talvolta correlate da etichette col nome relativo della specie e varietà. Tutte le piante appartenenti a questo gruppo provengono da zone desertiche, molto calde, dove le piogge sono rare e mal distribuite, dove il termometro non scende mai sotto lo zero. In tale ambiente le piante hanno assunto un aspetto speciale: molte hanno perso le foglie, il fusto si è ricoperto di spine e assolve la funzione clorofilliana (Opuntia); le foglie, nelle specie che l’hanno conservate, sono diventate molto spesse, carnose, rivestite di sostanze cerose, trasformate in organi di riserva di acqua e di materiali nutritivi (Mesembriàntemum); alcune specie possono mostrare vere e proprie foglie all’inizio della ripresa vegetativa, poi le lasciano cadere e prendono l’aspetto di quelle che ne sono prive. Tutte le Cactaceae provengono dai deserti americani. La maggior parte dal Messico e dall’America centrale, ma molte anche dalle zone asciutte di Perù, Brasile, Cile, Argentina, ecc. Da queste zone provengono infatti i generi Agave e Yucca, mentre i generi Aloe, Euphorbia, Haworthia e Gasteria ci sono giunti dall’Africa centrale e meridionale. Le Crassulaceae, infine, sono comuni tanto dell’America che dell’Africa, nonché dell’Europa Mediterranea, mentre l’Asia non ha minimamente contribuito alla costituzione di questo gruppo di piante. Ci sorprendiamo a pensare che l’esotismo delle piante grasse non stona, anzi conferisce alla natura dell’isola un apporto di forme e colori di enorme valenza. Forse l’uomo può, se vuole, intervenire nell’ambiente in maniera discreta e rispettosa delle leggi della natura. Giuseppe Sollino La Rassegna d’Ischia 13