Arriviamo dalla Grande Città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra Madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa scatola di cartone, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche. Trilogia della Città di K., Agota Kristof COMUNI D’ITALIA editoriale 1/2016 Emergenze, contingenze e… stabilità: quando gli istituti non fanno seguito al significato delle parole Non è un periodo certamente facile questo: forse troppe novità normative affollano la scrivania degli operatori e di chi faticosamente deve far funzionare una macchina – quella dell’ente locale – assai spesso martoriata da tagli, vincoli e interventi più o meno mirati. E ancora numerosissime se ne annunciano all’orizzonte (i decreti attuativi della legge 124/2015), come abbiamo avuto modo di sottolineare in precedenti numeri di questa Rivista. Vero è che le risorse, umane e finanziarie, vengono a latitare, così come è vero che a fronte delle carenze finanziarie, tra le novità che maggiormente interessano i comuni si sono verificate alcune emergenze che sicuramente interessano il territorio e la competenza degli enti locali. Ovviamente le novità normative dovute alle emergenze si sommano, al contemporaneo persistere di vecchie regole, cercando di farvi fronte. Tra le prime ci sono senz’altro le emergenze che, purtroppo, accompagnano quotidianamente le cronache del nostro Paese: quella inerente i rifiuti, quella che riguarda l’inquinamento atmosferico delle grandi città, e, in fondo, e da ultimo, anche quella inerente i mo­di di esercizio di libertà generalmente riconosciute nel mondo occidentale: ovverosia ai limiti che le libertà dell’individuo possono sopportare in relazione all’esigenza di tu­tela della sicurezza e dell’ordine pubblico, l’esercizio del culto e della libertà di riunione in genere di persone di varie etnie, nazio­nalità, credo, fino all’esposizione di simboli religio­si nei luoghi pubblici. Di regola, si è indotti a ricollegare l’esercizio dei poteri emergenziali ad un potere più o meno ampio di ordinanza del Sindaco, nella duplice veste di Ufficiale di Governo o di Capo dell’amministrazione comunale, e a situazioni caratterizzate da contingibilità ed urgenza. Siffatto collegamento sorge spontaneo in ragione dei chiari riferimenti normativi: com’è noto, l’art. 54, comma 2, t.u. ridisciplina la materia già regolata dagli artt. 153 t.u. 4 febbraio 1915, n. 148 e 32 l. 23 dicembre 1978, n. 833, nonché dall’art. 38, comma 2, l. 142/1990. Il testo si caratterizza per aver recepito, addirittura sul piano letterale, il consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale (Corte Cost., 2 luglio 1956, n. 8 e 27 maggio 1961, n. 26), in base a cui “le ordinanze di necessità ed urgenza debbono avere efficacia strettamente limitata nel tempo’’. La pronuncia della Corte costituzionale n. 115/2011 ha avuto il pregio di ribadire questo indirizzo interpretativo, espungendo dal testo della norma- modificata come noto nel 2008 con la riforma e i nuovi poteri conferiti ai c.d. sin- 2 COMUNI D’ITALIA editoriale 1/2016 daci sceriffi- la parte in cui comprende la locuzione « anche », prima delle parole «contingibili ed urgenti», sul presupposto che la norma censurata, non limitando i poteri di ordinanza dei sindaci ai casi contingibili ed urgenti, violasse la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost. Un siffatto requisito, che non riguarda soltanto la temporaneità delle ordinanze (sul fatto che queste non possono rivestire carattere di continuità e stabilità v. Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 1991, n. 700), va riferito peraltro anche alla condizione di fatto in cui i provvedimenti operano, di indole accidentale e straordinaria, tale che non può essere soddisfatta attraverso i comuni poteri, ovvero la contingibilità. È stato anzi sottolineato come la “contingibilità” non costituisca un presupposto per il legittimo esercizio del potere, ma una caratteristica del relativo provvedimento, vale a dire l’essere legato a circostanze contingenti (cfr. Cons. Giust. Amm., 28 agosto 1986, n. 129). Assai spesso, tuttavia, lo strumento delle ordinanze viene usata, tuttavia, anche per situazioni non inerenti all’insorgere di situazioni emergenziali e provvisorie. Le riflessioni che sono contenute negli articoli di Massimiliano Alesio sottolineano che esiste infatti un’isolata fattispecie, in cui le ordinanze sindacali non trovano il loro fondamento giustificativo nelle or indicate situazioni e che non viene affatto risolto dalla normativa contenuta nel testo unico, nemmeno nella versione recentemente revisionata ad opera del d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126 . Si tratta dell’articolo 192 del d.lgs. n. 152/2006, maggiormente noto come Codice dell’ambiente, il quale, in tema di divieto di abbandono di rifiuti, ai commi 1 e 2 stabilisce che “L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee”. In buona sostanza, la disposizione normativa proibisce, in primo luogo, la condotta di abbandono e di deposito “incontrollato” di rifiuti sul suolo e nel suolo. L’aggettivo “incontrollato” viene intenzionalmente evidenziato attraverso le parentesi, in quanto costituisce il primario elemento di radicamento della competenza del Sindaco. Ora, nel successivo comma 3, viene stabilito che “chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”. La disposizione normativa conferisce al Sindaco, e non ad altri, il potere e la competenza ad emettere l’ordinanza per il rispetto delle condotte vietate e ciò, pure in assenza di situazioni emergenziali e contingibili. Il quesito, che si affaccia anche nello specifico contributo di Pierobon in tema di inquinamento atmosferico (e quindi di situazione sicuramente emergenziale), richiede la valutazione di alcuni fattori quali la competenza sindacale rispetto a quella dirigenziale, facendo ricorso a diversi elementi, anche astrattamente condivisibili, quale quello del criterio di specialità (disciplina speciale, quale quella del Codice dell’ambiente, prevalente su quella generale) e quello cro- 3 editoriale COMUNI D’ITALIA 1/2016 nologico (la disposizione del Codice dell’ambiente è temporalmente successiva). C’è tuttavia da chiedersi il reale motivo per cui il Legislatore del 2006 ha attribuito tale potere al Sindaco, dal momento che a tale domanda non viene data risposta nemmeno nella più recente giurisprudenza, (Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2016, n. 57). Il contributo di Alesio intende fornire una risposta in merito, ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività o di definitività, con l’unico reale scopo di sollecitare una riflessione. A tal riguardo, è indispensabile precisare la natura ed il ruolo delle ordinanze contingibili ed urgenti, quale strumento primario di intervento e di azione del Sindaco nell’ambito locale, a fronte di situazioni emergenziali. Il problema, per la verità, si pone anche a riguardo di altre vicende, quali l’uso del velo islamico femminile nelle sue diverse forme, di cui si occupa, in un’ottica di spessore maggiormente generale, lo studio di Francesco Vergine che affronta il delicatissimo tema – senz’altro più ampio – del rapporto con le libertà costituzionalmente garantite, in specifico riferimento alla collocazione sul territorio di luoghi di culto autorizzati quali moschee, e dell’uso di luoghi di ritrovo di associazioni islamiche. Ma, ovviamente, in attesa della prevista ondata di decreti attuativi della legge Madia, tra le novità di rilievo per l’attività degli enti locali ci sono quelle contenute nella legge di stabilità per il 2016, legge 208 del 23 dicembre 2015 pubblicata in G.U. del 30 di­cembre, supplemento ordinario n. 302: essa, ad esempio, intro­duce non poche modifiche in tema di appalti – come ci sottolinea il notevole studio di Stefano Usai – che incidono in modo significativo sul c.d. obbligo di centralizzazione dei procedimen­ti di gara per i comuni non capoluogo di provin­cia, sulle stesse modalità di acquisto delle forni­ture e servizi in ambito sotto soglia comunitario ed in relazione agli obblighi di adesione alle con­venzioni per l’acquisto delle particolari categorie merceologiche individuate nel comma 7, articolo 1, della legge 135/2012. Notevoli sono anche, per restare a quelle di mag­gior rilievo, le disposizioni in tema di program­mazione del fabbisogno di beni e servizi con l’in­troduzione di una nuova previsione che impone – per certe soglie – l’obbligo di redigere un pro­gramma di acquisti a pena di grave responsabi­lità per i dirigenti/responsabili di servizio che, in ambito, hanno compiti propulsivi/istruttori. Ricette sempre uguali per il lavoro pubblico e gli enti locali, anche se influenzate dalla “grana” della ri­collocazione dei dipendenti in esubero di province e città metropolitane, sono invece quelle date dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208, che mantiene – come sottolinea il contributo di Daniele Campalto – il personale pubblico al di qua del guado, nell’attesa di riforme sempre an­ nunciate e mai in atto. In realtà, la legge di sta­bilità 2016, con i suoi 999 commi dell’articolo uni­co, esito ormai consueto del maxiemendamento governativo, lungi dal modificare in modo significativo l’impianto complessivo, ormai mol­to, troppo, complicato, dell’ordinamento del lavoro pubblico, rispolvera, come ricorda Luigi Oliveri nel suo accuratissimo contributo – addirittura istituti che sembra­vano abbandonati, come l’obbligo di ridurre i fondi decentrati del personale, imposto dal “famigera­to” articolo 9, comma 2-bis, del d.l. 4 COMUNI D’ITALIA editoriale 1/2016 78/2010, con­vertito in legge 122/2010, ripristinato in spolvero dall’articolo 1, comma 236, della legge 208/2015. Conclude il numero, oltre a uno studio – ad opera di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella – sulla Strategia Nazionale per le Aree Interne, destinata ai comuni italiani ca­ratterizzati da difficoltà di accesso ai servizi fondamentali, quali l’istruzione, la mobilità e le cure ospedaliere, contemplata dal nuovo ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020, un prezioso e innovativo contributo operativo predisposto da Marzia Alban sulle tematiche inerenti il rafforzamento dell’acquisizione centralizzata di beni e servizi, contemplato dai commi da 494 a 512 della legge di stabilità: a corredo cioè dell’approfondimento teorico pratico di Stefano Usai, la rubrica accompagna il lettore con un formulario operativo che propone tre schemi per l’affidamento a seconda si proceda autonomamente, nel Mepa o tramite convenzione Consip. A ulteriore ausilio, vi è infine la consueta indispensabile raccolta di giurisprudenza sul tema delle ordinanze contingibili e urgenti ad opera di Francesca Palazzi. 5 COMUNI D’ITALIA sommario 1/2016 Rivista bimestrale di approfondimento giuridico sugli enti locali DIRETTORE SCIENTIFICO Tiziano Tessaro Editoriale 2 di Tiziano Tessaro DIRETTORE RESPONSABILE Manlio Maggioli COMITATO SCIENTIFICO Massimiliano Alesio, Giovanni Balsamo, Daniele Campalto, Roberto Camporesi, Riccardo Carpino, Caterina Cittadino, Eva Contino, Carla Franchini, Vittorio Galatro, Luigi Lovecchio, Maurizio Lucca, Leopoldo Mazzarolli, Fabio Melilli, Paola Menta, Paola Minetti, Alberto Mingarelli, Paola Morigi, Maria Giuliana Murianni, Riccardo Nobile, Luigi Oliveri, Francesca Palazzi, Alessandro Petrillo, Alberto Pierobon, Cinzia Renna, Carlo Saffioti, Agostino Tabarrini, Tiziano Tessaro, Walter Tortorella, Francesco Tramontana, Fabio Trojani, Luciano Vandelli, Francesco Verbaro Focus Legge di Stabilità 9 REGISTRAZIONE Presso il Tribunale di Rimini il 15 marzo 1967 al n. 25 MAGGIOLI SPA Azienda con Sistema Qualità certificato ISO 9001:2008 Iscritta al Registro operatori della comunicazione N. di iscrizione al ROC: 10649 TIPOGRAFIA DI STAMPA Maggioli SPA - Santarcangelo di Romagna (RN) DIREZIONE/AMMINISTRAZIONE/DIFFUSIONE Maggioli Spa – Divisione Editoria – Maggioli Editore è un marchio Maggioli Spa presso c.p.o. 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Oltre ad accedere all’archivio storico della rivista, è possibile consultare in anteprima i fascicoli in corso di stampa. 6 Le innovazioni in tema di acquisti nella legge di stabilità di Stefano Usai 20 COORDINAMENTO REDAZIONALE Maria Letizia Fabbri PROGETTO GRAFICO Alice Allegra Emergenze, contingenze e… stabilità: quando gli istituti non fanno seguito al significato delle parole Legge di stabilità 2016 e personale PA: ancora al di qua del guado di Daniele Campalto 23 Ricette sempre uguali per il lavoro pubblico e gli enti locali di Luigi Oliveri Speciale: potere di ordinanza del sindaco 31 Il potere di ordinanza del Sindaco oltre i provvedimenti contingibili ed urgenti di Massimiliano Alesio HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: MARZIA ALBAN Funzionario del Comune di Selvazzano Dentro (PD) FRANCESCA PALAZZI Dottore di ricerca in Diritto pubblico presso l’Università di Bologna MASSIMILIANO ALESIO Avvocato e segretario di Enti Locali ALBERTO PIEROBON Esperto in rifiuti e servizi pubblici locali DANIELE CAMPALTO Segretario generale di Ente locale e manager di rete GIORGIA MARINUZZI Fondazione Ifel - Istituto per la Finanza e l’Economia locale LUIGI OLIVERI Dirigente - Area Servizi alla persona e alla comunità, Provincia di Verona TIZIANO TESSARO Magistrato presso la Corte dei conti, sezione Veneto WALTER TORTORELLA Fondazione Ifel - Istituto per la Finanza e l’Economia locale STEFANO USAI Vicesegretario del Comune di Terralba (OR) COMUNI D’ITALIA sommario 1/2016 38 Libertà religiosa e tutela della sicurezza pubblica in Europa ed in Italia di Francesco Vergine 49 Le ordinanze ambientali (smog): cenni di Alberto Pierobon Formulario 55 Acquisti autonomi, acquisti nel Mepa, acquisti tramite convenzione Consip di Marzia Alban I numeri dei Comuni 65 I comuni di aree interne: il target territoriale di una strategia nazionale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella Rassegna tecnica a cura di Francesca Palazzi 75 dalla Gazzetta Ufficiale 78giurisprudenza 97 circolari & pareri 106quesiti CONDIZIONI DI ABBONAMENTO 2016 Rivista cartacea: canone annuale euro 195,00; canone triennale euro 167,00; Rivista digitale: canone annuale euro 90,00; canone triennale euro 81,00 • Copia singola: euro 36,00 • Copia arretrata: euro 38,00 I prezzi sopra indicati si intendono Iva inclusa. Il pagamento dell’abbonamento deve essere effettuato con bollettino di c.c.p. n. 31666589 intestato a Maggioli Editore Spa, Periodici, Via Del Carpino, 8 47822 Santarcangelo di Romagna (RN). La rivista è disponibile nelle migliori librerie. L’abbonamento decorre dal primo fascicolo raggiungibile con diritto al ricevimento dei fascicoli arretrati ed avrà validità per un anno. La Casa Editrice comunque, al fine di garantire la continuità del servizio, in mancanza di esplicita disdetta, da comunicarsi in forma scritta entro i 45 giorni successivi alla scadenza dell’abbonamento, si riserva di inviare il periodico anche per il periodo successivo. La disdetta non è comunque valida se l’abbonato non è in regola con i pagamenti. Il rifiuto o la restituzione dei fascicoli della rivista non costituiscono disdetta dell’abbonamento a nessun effetto. I fascicoli non pervenuti possono essere richiesti dall’abbonato non oltre 20 giorni dopo la ricezione del numero successivo. Coloro che sono in regola con i pagamenti hanno diritto a richiedere entro l’anno la risoluzione gratuita di due quesiti di interesse generale. I quesiti dovranno essere formulati per iscritto ed inviati all’indirizzo e-mail: [email protected] COLLABORAZIONI Per l’invio di articoli si prega di far riferimento al seguente indirizzo e-mail: [email protected] oppure Redazione Comuni d’Italia – Via Del Carpino, 8 47822 – Santarcangelo di Romagna (RN) TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la riproduzione, anche parziale, del materiale pubblicato senza autorizzazione dell’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti. L’autore garantisce la paternità dei contenuti inviati all’editore manlevando quest’ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendicare diritti su tali contenuti. FILIALI BOLOGNA Piazza VIII agosto - Galleria del Pincio - 40126 Bologna Tel. 051.229439-228676 – Fax 051.262036 MILANO Via F. Albani, 21 – 20149 Milano Tel. 02.48545811- Fax 02.48517108 ROMA Via Dandolo, 19 – 00153 Roma Tel. 06.5896600-58301292 – Fax 06.5882342 Inserto staccabile BRUXELLES Avenue d’Auderghem, 68 – Bruxelles – Belgium Tel. +32 27422821 – Mob. +32 493061872 Rassegna di giurisprudenza Ordinanze contingibili e urgenti: una casistica giurisprudenziale a cura di Francesca Palazzi www.periodicimaggioli.it 7 Amministrazione e Management NEWS NOVITÀ Contiene lo schema del nuovo Regolamento comunale sul procedimento amministrativo anche in versione web compilabile e personalizzabile di Marzia Alban La Legge n. 124/2015 la cosidetta riforma Madia, dà una decisa accelerazione dalle riforme, con l’intenzione in particolare di operare uno svecchiamento della Pubblica Amministrazione. Diverse le metodologie usate e le sfaccettature della riforma, stante l’eterogeneità delle materie trattate. Sono tanti gli spunti che la Legge n. 124/2015 vuole offrire, alcuni appena accennati, altri più immediati. Accanto a disposizioni precettive, leggiamo infatti espressioni e intenzioni (digital first) che attendono una concreta attuazione nei prossimi mesi. Si intravede, al fine, un disegno compiuto, da leggersi peraltro in modo coordinato con le altre riforme in itinere, che mira alla profonda revisione della macchina organizzativa pubblica. Tra gli interventi di maggiore impatto, vi è certamente quello sulla disciplina dell’azione amministrativa. I primi sette articoli della norma, contengono, infatti, modifiche particolarmente incisive della legge sul procedimento amministrativo (Legge 241/90), con l’immediata e operante rivisitazione dell’autotutela e l’introduzione del nuovo silenzio assenso tra le PA, e con alcuni istituti affidati invece alla normativa delegata, tra cui spiccano la conferenza di servizi, l’accesso ai documenti amministrativi e la riscrittura della disciplina del termine. Questo testo si offre pertanto di fornire una lettura ragionata delle nuove norme, coordinata con il contesto trattato, collegando cioè l’analisi delle nuove disposizioni alla indispensabile disamina degli istituti del procedimento amministrativo su cui va a intervenire, così come risultanti dalla incessante produzione giurisprudenziale intervenuta dalla emanazione della Legge 241/1990 ad oggi. L’intento degli Autori è quello di analizzare la nuova disciplina dell’azione amministrativa offrendo una chiave di lettura critica di quello che sarà il volto della pubblica amministrazione per effetto delle nuove regole. Ottobre 2015 - pp. 328 - F.to 17x24 - Codice 88-916-1387-5 - € 48,00 Tiziano Tessaro, Magistrato della Corte dei Conti. Direttore della rivista on-line www.lagazzettadeglientilocali.it e del bimestrale Comuni d’Italia, entrambi Maggioli Editore. Stefania Piovesan, Avvocato Cassazionista specializzato in diritto amministrativo. Visita la pagina www.maggiolieditore.it o contatta il nostro Servizio Clienti per conoscere la libreria più vicina. Tel 0541 628242 - Fax 0541 622595 I Posta: Maggioli Spa presso c.p.o. Rimini - 47921 - (RN) I [email protected] COMUNI D’ITALIA Focus legge di stabilità acquisti 1/2016 Le innovazioni in tema di acquisti nella legge di stabilità di Stefano Usai La legge di stabilità per il 2016 – legge 208 del 23 dicembre 2015 pubblicata in G.U. del 30 dicembre, supplemento ordinario n. 302 – introduce non poche modifiche in tema di appalti. Modifiche, come si vedrà nel prosieguo – focalizzando l’analisi sulle modifiche di interesse dei comuni – che incidono in modo significativo sul c.d. obbligo di centralizzazione dei procedimenti di gara per i comuni non capoluogo di provincia, sulle stesse modalità di acquisto delle forniture e servizi in ambito sottosoglia comunitario ed in relazione agli obblighi di adesione alle convenzioni per l’acquisto delle particolari categorie merceologiche individuate nel comma 7, articolo 1, della legge 135/2012. Notevoli sono anche, per restare a quelle di maggior rilievo, le disposizioni in tema di programmazione del fabbisogno di beni e servizi con l’introduzione di una nuova previsione che impone – per certe soglie – l’obbligo di redigere un programma di acquisti a pena di grave responsabilità per i dirigenti/responsabili di servizio che, in ambito, hanno compiti propulsivi/istruttori. Nel prosieguo si cercherà di porre l’attenzione sulle novità con considerazioni anche di tipo pratico/operativo. La centralizzazione dei procedimenti di gara e la soglia dei 40 mila euro Una delle modifiche di maggior rilievo, a lungo richiesta dall’ANCI in rappresentanza delle istanza soprattutto dei piccoli comuni, è quella contenuta nel com- ma 501, articolo 1, della legge di stabilità. La norma in parola, modificando l’articolo 23-ter del decreto-legge 90/2014 come modificato dalla legge di conversione 114/2014 ha l’effetto di estendere ad ogni comune non capoluogo di provincia, prescindendo pertanto dalla dimensione abitativa, l’esenzione dall’obbligo di centralizzare i procedimenti di gara fino alla soglia dei 40 mila euro. Sono note le questioni relative alla centralizzazione delle procedure di acquisto – in vigore dal 1° novembre 2015 – così come declinate al comma 3-bis dell’articolo 33 del codice dei contratti. Ai sensi della disposizione in parola, “i comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i comuni istituiti a seguito di fusione l’obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione”. 9 Focus legge di stabilità acquisti Semplificando, per ciò che in questa sede interessa (1), i comuni non capoluogo di provincia a far data dal 1° novembre 2015 hanno l’obbligo di accorpare i procedimenti di acquisto secondo le forme giuridiche indicate dalla disposizione (unione dei comuni, associazione con ente capofila, provincia o uffici provinciali) con l’alternativa di rivolgersi ai soggetti aggregatori (Consip o centrali di committenza qualificati dall’ANAC). In caso di inadempimento, come bene sottolinea la norma, l’ANAC non potrà rilasciare il codice identificativo di gara (CIG) al RUP con conseguente nullità dell’eventuale contratto stipulato. Aspetto quest’ultimo non irrilevante se si considera che il RUP all’atto delle richiesta del codice identificativo deve certificare – con responsabilità personale – se l’ente abbia o meno rispettato le disposizione in argomento (e quindi il soggetto agisce come responsabile del centro in cui sono state aggregate le procedure) o se – trattandosi di comune in regione a statuto speciale – la regione si sia avvalsa della clausola di salvaguardia di cui all’articolo 50-bis della legge 89/2014. L’obbligo della centralizzazione ha subito una prima deroga – per acquisti fino alla soglia dei 40 mila euro di tipo, si potrebbe dire selettivo perché inizialmente consentita ai soli comuni non capoluogo di provincia con più di 10 mila abitanti. In sostanza, fino dal 1° novembre al 31 dicembre 2015, gli acquisti di beni, servizi e lavori nei comuni si strutturava secondo regimi giuridici differenti. In particolare, i comuni capoluogo di provincia, non avendo obblighi di centralizzazione potevano (e possono) procedere con le acquisizioni secondo la totale autonomia. I comuni non capoluogo di provincia con una popolazione sopra i 10 mila abitanti, subivano (e subiscono) l’obbligo della centralizzazione ma solo per importi superiori ai 40 mila euro. Da questa prerogativa, almeno fino al 31 dicembre 2015, risultavano esclusi i comuni di soglia abitativa fino ai 10 mila abitanti i quali dal 1° novembre risultavano obbligati a centralizzare ogni procedimento di acquisto a prescindere dall’importo, fatta salva – evidentemente, così come per ogni comune – la possibilità di procedere attraverso la Consip o altri soggetti aggregatori. Il differente regime normativo è stato censurato (1) Per approfondimenti sulle tematiche poste dalla legge di stabilità e più in generale sugli aspetti operativi imposti dall’obbligo della centralizzazione delle procedure di acquisto, cfr. S. Usai, La stazione appaltante unica, Maggioli, 2016. 10 COMUNI D’ITALIA 1/2016 dall’ANCI soprattutto in relazione alle problematiche poste per i c.d. micro acquisiti quali piccole manutenzioni, piccoli acquisti e similari a cui non si poteva far fronte con le spese di economato. In particolare, si è evidenziato, ed a ragione, che il ricorso alla stazione appaltante unica – costituita secondo le forme giuridiche di cui al comma 3-bis dell’art. 33 del codice – non consentiva di procedere agli acquisti con quella speditezza e tempestività necessari per soddisfare le esigenze sottese. Tale disparità, a far data dal 1° gennaio 2016 è appunto venuta meno per effetto delle modifiche apportate dalla legge di stabilità con il comma 501 che incide, in modo si potrebbe dire nevralgico, direttamente sul comma 3, del d.l. 66/2014 come convertito con legge 89/2014 (c.d. terza spending review) abrogando la deroga prevista solo per i comuni non capoluogo con più di 10 mila abitanti con conseguente estensione della fascia esente ad ogni comune non capoluogo a prescindere, come si diceva, dalla dimensione abitativa. In specie, il comma della legge di stabilità puntualizza che “all’articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, sono apportate le seguenti modificazioni: a) sono premesse le seguenti parole: «Fermi restando l’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, l’articolo 1, comma 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e l’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66,»; b) le parole: «con popolazione superiore a 10.000 abitanti» sono soppresse”. Le modifiche, pertanto, hanno modificato il comma 3, art. 23-ter, della legge 114/2014 e l’attuale formulazione è la seguente: “3. Fermi restando l’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, l’articolo 1, comma 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e l’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, i comuni possono procedere autonomamente per gli acquisti di beni, servizi e lavori di valore inferiore a 40.000 euro”. La norma, considerate le modifiche della legge di stabilita, premette pertanto tutta una serie di riferimenti normativi relativi alla spending review ed in particolare l’art. 26, comma 3, della legge 488/1999 in tema di procedure di adesione alle convenzioni dei soggetti aggregatori (Consip e centrali regionali qualificate dall’ANAC) che – per gli enti locali – almeno fino alla soglia dei 40 mila euro non può ritenersi obbligatoria a condizione che a base d’asta vengano poste le condizio- COMUNI D’ITALIA 1/2016 ni tecnico/economiche declinate nella convenzione. Viene richiamato l’art. 1, comma 450 della legge finanziaria per il 2007 relativa all’obbligo – in ambito sottosoglia comunitario (con l’eccezione – di cui si dirà – fino ai mille euro) di procedere con gli acquisti – per gli enti locali – attraverso una delle forme di mercato elettronico (non necessariamente il MEPA di Consip) ai sensi dell’articolo 328 del regolamento attuativo del codice dei contratti. Infine, viene richiamato il comma 3, art. 9, del d.l. 66/2014 come convertito con l. 89/2014. La prescrizione rinvia ad un decreto ministeriale che individua beni e soglie per cui si rende obbligatorio il ricorso a Consip o ad altri soggetti aggregatori, testualmente la disposizione prevede che “con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi, d’intesa con la Conferenza unificata, sentita l’Autorità nazionale anticorruzione, entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di analisi del Tavolo dei soggetti aggregatori e in ragione delle risorse messe a disposizione (…), sono individuate le categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, nonché le regioni, gli enti regionali, gli enti locali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché loro consorzi e associazioni, e gli enti del servizio sanitario nazionale ricorrono a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori (…) per lo svolgimento delle relative procedure. Per le categorie di beni e servizi individuate dal decreto di cui al periodo precedente, l’Autorità nazionale anticorruzione non rilascia il codice identificativo gara (CIG) alle stazioni appaltanti che, in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma, non ricorrano a Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore. Con il decreto di cui al presente comma sono, altresì, individuate le relative modalità di attuazione”. Il senso di acquisto autonomo, ovviamente, viene precisato dal legislatore – con i richiami in premessa del comma – per rammentare che l’inciso non autorizza certo le stazioni appaltanti a deroghe ai principi introdotti con la spendig review ed in particolare l’obbligo – nel sotto soglia comunitario (dal 1° gennaio 2016 fino a 209 mila euro) – di procedere attraverso forme di mercato elettronico o, per i soggetti obbligati, direttamente con il MEPA. Rimane ferma una questione, puramente teorica che potrebbe essere risolta con il nuovo codice dei con- Focus legge di stabilità acquisti tratti, relativa al fatto che i riferimenti sostanziali relativi alla centralizzazione delle procedure sono collocati al comma 3-bis dell’articolo 33 del codice e la specifica esenzione in un testo diverso (legge 114/2014). Distonie, queste, che complicano l’attività del RUP che per poter operare deve necessariamente avere a mente i vari collegamenti (tacendo poi degli innumerevoli collegamenti normativi determinati dai vari innesti e dai richiami continui ad altre norme collocate in altre leggi. Gli acquisti svincolati dal mercato elettronico Il comma 502 introduce una novità rispetto all’obbligo delle pubbliche amministrazioni – previsto nella prima delle spending review (art. 7 della legge 94/2012) – ovvero l’obbligo, per le acquisizioni di beni e servizi in ambito sottosoglia comunitaria (per il 2016, per le amministrazioni diverse da quelle “statali”, fino a 209 mila euro) , di rivolgersi al mercato elettronico di Consip o – per gli enti locali (e quindi anche i comuni) – ad una delle forme di mercato elettronico così come previsto dall’articolo 328 del regolamento attutivo del codice dei contratti (d.P.R. 207/2010). È abbastanza noto – anche in seguito a precisazioni intervenute grazie a pareri forniti dalle varie sezioni regionali della Corte dei conti – che l’obbligo dell’acquisto attraverso il mercato elettronico, in ambito sottosoglia, è inderogabile salvo eccezioni di tipo oggettivo quali la carenza del prodotto/servizio da acquistare oppure l’oggettiva inadeguatezza del prodotto/servizio rispetto alle esigenze della stazione appaltante. Pertanto, contrariamente anche a qualche riflessione – assolutamente non condivisibile (in qualche occasione sostenuta anche dall’ANAC) – il RUP non può procedere ad una acquisto “tradizionale” fuori mercato elettronico nel caso in cui il prodotto, presente nella vetrina virtuale, possa essere acquisito ad un prezzo inferiore. In sostanza, il dato economico non costituisce un elemento oggettivo che consenta la deroga all’obbligo di acquisire attraverso il mercato elettronico disponendo il punto ordinante della stazione appaltante della possibilità di chiedere offerte migliorative attraverso l’invio di specifiche RDO (richieste di offerta “telematiche” interagendo con gli appaltatori presenti nel mercato elettronico) oppure, come anche si legge nel sito della Consip, potendo il punto istruttore (il RUP nelle procedure telematiche) invitare l’appaltatore ad aderire ed inserire le proprie offerte nella vetrina telematica. 11 Focus legge di stabilità acquisti Il panorama sintetizzato risulta ora modificato dalla previsione di una soglia libera dai vincoli appena descritti – per importi inferiori a mille euro (valido anche per il servizio sanitario) – per cui il RUP delle pubbliche amministrazioni non ha più l’obbligo di escutere il MEPA o (nel caso di enti locali) forme di mercato elettronico (ad esempio del soggetto aggregatore regionale) ma può avviare un procedimento “tradizionale” extra mercato virtuale. Il comma che introduce la soglia esente è il 502, articolo 1 della legge di stabilità secondo cui “All’articolo 1, comma 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: «Dal 1º luglio 2007,» sono soppresse; b) al primo periodo, dopo le parole: «per gli acquisti di beni e servizi» sono inserite le seguenti: «di importo pari o superiore a 1.000 euro e»; c) al secondo periodo, dopo le parole: «per gli acquisti di beni e servizi di importo » sono inserite le seguenti: «pari o superiore a 1.000 euro e»”. Proprio l’individuazione di una soglia esente dall’obbligo di ricorrere ad acquisti telematici conferma che la previsione dell’obbligo – in ambito sottosoglia – dovesse (e deve) essere ritenuto come inderogabile e non disponibile per il RUP al di là delle eccezioni predette ovvero la carenza del prodotto servizio o l’inadeguatezza rispetto alle esigenze della stazione appaltante. Sotto il profilo operativo appare interessante soffermarsi sulle operazioni cui è tenuto il RUP nel caso in cui – effettuati i controlli nei mercati elettronici (e, se compatibili eco l’acquisto, anche quelle delle convenzioni) – il prodotto/servizio risulti assente o inadeguato. All’atto dell’adozione della determinazione a contrattare – che avvia il procedimento di acquisto – il responsabile del procedimento di spesa dovrà adeguatamente certificare di aver compiuto le debite indagini ed indicare il conseguente esito. Evidenziazione che vale come motivazione che abilita l’acquisto extra mercato elettronico. Quanto annotato vale in specie per i comuni e quindi soprattutto in relazione ai cc.dd. controlli interni svolti in fase successiva dal segretario comunale. Diversa, evidentemente, è a far data dal 1° gennaio la procedura sugli acquisti per importi inferiori ai mille euro ora affrancati dall’obbligo della procedura “virtuale”. Nel caso di specie, il RUP non ha più l’obbligo di escutere le forme di mercato elettronico potendo agire direttamente – con la determinazione a contrattare con cui viene assunta la prenotazione di impegno di spesa – fuori mercato. 12 COMUNI D’ITALIA 1/2016 È altresì vero che come buona prassi di azione amministrativa, il RUP potrebbe determinarsi autonomamente a procedere comunque alla previa escussione del mercato elettronico. Inoltre, la previa escussione del mercato, non più obbligatoria grazie alla modifiche intervenuta con la legge di stabilità, potrebbe anche essere declinata in una specifica direttiva o del responsabile del servizio o direttamente dal segretario o dalla stessa giunta in modo da procedimentalizzare gli acquisti di minore importo. Ovviamente, le previsioni in parola andranno contestualizzate con i nuovi obblighi in tema di programmazione degli acquisti di beni e servizi di cui si dirà più avanti. Le modiche in tema di programmazione degli acquisti di beni e servizi Il comma 505 della legge di stabilità introduce una disciplina specifica in tema di programmazione obbligatoria degli acquisti di beni e servizi aggiuntiva (e non più abrogativa come prevista nelle prime bozze della legge di stabilità) rispetto a quella prevista nell’art. 271 del regolamento attuativo del codice dei contratti (d.P.R. 207/2010). La programmazione obbligatoria riguarda solamente gli enti che hanno un “volume” di acquisto superiore al milione di euro, mentre gli enti con spese inferiori rimangono soggetti ad una programmazione solo facoltativa. È interessante, oltre che dar conto della nuova disposizione – destinata pertanto a restare fuori dal corpus normativo codice-regolamento e quindi con necessità di concreto recepimento nel nuovo codice dei contratti –, anche esaminare le differenze sostanziali rispetto alla programmazione facoltativa considerato che, per certi versi, proprio quest’ultima appare più rigorosa rispetto alla programmazione obbligatoria. Il primo periodo del comma 505 puntualizza che “al fine di favorire la trasparenza, l’efficienza e la funzionalità dell’azione amministrativa, le amministrazioni pubbliche approvano, entro il mese di ottobre di ciascun anno, il programma biennale e suoi aggiornamenti annuali degli acquisti di beni e di servizi“di importo unitario stimato superiore a 1 milione di euro”. Mentre, nelle prime redazioni della legge, il milione di euro sembrava riferita alla programmazione biennale complessiva. Il legislatore pertanto collega l’obbligo a precise esigenze di trasparenza ed efficienza negli acquisti pre- COMUNI D’ITALIA 1/2016 cisando, poi come si vedrà più avanti, precise sanzioni per i dirigenti/responsabili inadempienti. Il programma pertanto, in primo luogo deve essere biennale con delle appendici esecutive/operative annuali che – come precisa il terzo periodo del comma in commento devono indicare “le risorse finanziarie relative a ciascun fabbisogno quantitativo degli acquisti per l’anno di riferimento”. Del programma biennale, il legislatore precisa anche il contenuto minimo – secondo periodo del comma in esame – in cui si puntualizza che “il programma biennale, predisposto sulla base dei fabbisogni di beni e servizi, indica le prestazioni oggetto dell’acquisizione, la quantità, ove disponibile, il numero di riferimento della nomenclatura, le relative tempistiche”. Una serie di precisazioni, pertanto, che avvicinano questa programmazione a quella ben collaudata dei lavori pubblici (peraltro triennale). Il comma prevede, inoltre, precisi obblighi di comunicazione – come il programma dei lavori pubblici – del programma biennale e degli aggiornamenti (quarto periodo), in particolare la programmazione deve essere comunicata “alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, nonché pubblicati sul profilo del committente dell’amministrazione e sul sito informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture presso l’Autorità nazionale anticorruzione”. La violazione delle di queste prescrizioni – recita il quinto periodo del comma – “è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti, nonché ai fini dell’attribuzione del trattamento accessorio collegato alla performance”. Su quest’ultimo periodo, a sommesso avviso, occorre soffermarsi. La norma, correttamente, richiama in causa direttamente i dirigenti/responsabili pure in relazione ad un atto che – trattandosi di programmazione – è di diretta competenza (quanto all’approvazione), se si parla di comuni, del consiglio comunale. Il comma richiama pertanto quel compito istruttorio/ propositivo che connatura ogni funzione del burocrate. L’avvio della redazione del programma pertanto, non può che competere ai responsabili di servizio ed in particolare, (nel caso di insistenza dell’ufficio dell’economo), l’ufficio competente agli acquisiti o, in caso, di acquisti “diffusi” all’interno dell’ente dei vari responsabili. Appare un’ovvietà evidenziare che la redazione del programma deve essere seguita da un unico responsabile o un unico RUP che cura dapprima una analisi storica sul volume degli acquisti avvalendosi, evidentemen- Focus legge di stabilità acquisti te, dei vari uffici provvedendo poi anche ad inoltrare specifiche richieste sugli acquisti da programmare e da inserire nel documento che poi dovrà essere integrato nel DUP (il documento unico di programmazione che sostituisce la relazione previsionale e programmatica accorpando, sostanzialmente, tutti i tradizionali allegati al bilancio – e riguardo al quale andranno anche corrette le date di presentazione considerato che il DUP, a regime, deve esser presentato in consiglio entro il 31 luglio mentre il programma sui beni e servizi deve essere approvato entro ottobre). Pertanto, la sanzione colpisce, a parere di chi scrive, proprio l’eventuale inerzia dei responsabili anche ai fini della produttività. Prescrizione di particolare significato anche alla luce della disposizione espressa nel sesto periodo secondo cui “le acquisizioni non comprese nel programma e nei suoi aggiornamenti non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni”. Uno scenario, tutto sommato, facile da ipotizzare riguarda il caso in cui il programma non sia stato redatto – per inerzia dei responsabili – e si sia proceduto comunque a degli acquisti. Si tratta di capire poi in termini di responsabilità cosa ciò possa comportare. Naturalmente, il divieto implica delle eccezioni ed infatti (settimo periodo) “sono fatte salve le acquisizioni imposte da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le acquisizioni dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari”. La norma inoltre prevede (ottavo periodo) che “le amministrazioni pubbliche trasmettono i dati di programmazione di cui ai periodi precedenti al Tavolo tecnico dei soggetti di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che li utilizza ai fini dello svolgimento dei compiti e delle attività ad esso attribuiti. A cui si aggiunge, (nono periodo), secondo un primo emendamento apportato in fase di redazione definitiva, l’obbligo per cui al tavolo tecnico dei soggetti aggregatori – di cui al d.l. 66/2014 – devono essere trasmessi “nel loro testo integrale tutti i contratti stipulati in esecuzione del programma biennale e suoi aggiornamenti, fatta salva la tutela delle informazioni riservate di proprietà del committente o del fornitore di beni e servizi”. Tale obbligo si applica anche ai contratti già stipulati – ed in corso – ante entrata in vigore della norma. 13 Focus legge di stabilità acquisti La programmazione facoltativa La disposizione contenuta nel comma 505 – come si evidenziava – introduce un doppio binario giuridico ed occorre distinguere tra programmazione facoltativa (disciplinata nell’art. 271 del regolamento attuativo del codice che non viene più abrogato come previsto nelle prime bozze della legge di stabilità) e la programmazione obbligatoria con responsabilità precise in carico ai dirigenti. La novità di rilievo, appunto, è che l’art. 271 del d.P.R. 207/2010, che prevede la facoltà di redigere un programma di acquisiti di beni e servizi, non viene più abrogato ma rimane come norma di principio per chi non ha un volume di acquisto superiore al milione di euro. Per tutti questi enti la norma continua pertanto a ribadire una facoltà di redazione del programma. Le due disposizioni, e quindi gli adempimenti a cui sono tenute le stazioni appaltanti – a seconda della circostanza che la programmazione si atteggi come obbligo o come facoltà –, appaiono sostanzialmente diverse e la programmazione facoltativa sembra presentare una disciplina addirittura – in certi casi – anche più rigorosa rispetto alla nuova pre- COMUNI D’ITALIA 1/2016 scrizione. Appare opportuno, pertanto, mettere a confronto almeno una parte delle diverse disposizioni per meglio evidenziarne le differenze. Come si evidenziava, la disposizione della legge di stabilità introduce una disciplina differente rispetto a quella contenuta nel regolamento attuativo (d.P.R. 207/2010) con non poche distonie che, probabilmente, verranno eliminate in fase di redazione del nuovo codice. Una prima sostanziale differenza si può già leggere nei commi iniziali delle norme che si riportano a confronto in tabella 1. A sinistra la norma del regolamento attuativo (art. 271, d.P.R. 207/2010, Programmazione dell’attività contrattuale per l’acquisizione di beni e servizi) che riguarderà i soli enti che hanno facoltà di predisporre il programma che, a differenza del testo licenziato dal Senato non viene più abrogata. In questo senso, l’ultimo periodo del comma 505, art. 1, della legge di stabilità dispone che rimane “fermo quanto previsto dall’articolo 271 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, limitatamente agli acquisti di beni e servizi di importo unitario stimato inferiore a 1 milione di euro”. Tabella 1 Art. 271, d.P.R. 207/2010 (regolamento) Art. 1, comma 505, l. 208/2015 (legge di stabilità) 1. Ciascuna amministrazione aggiudicatrice può approvare ogni anno un programma annuale per l’acquisizione di beni e servizi relativo all’esercizio successivo. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 128, commi 2,ultimo periodo, 9, 10 e 11, del codice e all’articolo 13,commi 3, secondo e terzo periodo, e 4, del presente regolamento. 505. Al fine di favorire la trasparenza, l’efficienza e la funzionalità dell’azione amministrativa, le amministrazioni pubbliche approvano, entro il mese di ottobre di ciascun anno, il programma biennale e suoi aggiornamenti annuali degli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato superiore a 1 milione di euro. 2. Il programma è predisposto nel rispetto dei principi generali di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa, in conformità delle disposizioni del codice e sulla base del fabbisogno di beni e servizi definito dall’amministrazione aggiudicatrice tenendo conto dell’ordinamento della stessa e della normativa di settore ove vigente. (4° periodo) Il programma biennale e gli aggiornamenti sono comunicati alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, nonché pubblicati sul profilo del committente dell’amministrazione e sul sito informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture presso l’Autorità nazionale anticorruzione. Nel caso in cui la programmazione, pertanto, sia solo facoltativa la disciplina applicabile si può desumere da una serie di norme che sono relative alla programmazione dei lavori pubblici (programmazione, come noto, obbligatoria). In questo senso, il primo comma dell’art. 271 del regolamento attuativo richiama rispettivamente l’art. 128 del codice e l’art. 13 del regolamento attuativo, in particolare: a) Art. 128 codice “Programmazione dei lavori pubblici”: - Art. 128, comma 2, ultimo periodo (vengono espunti i riferimenti relativi ai lavori pubblici); - Art. 128, commi 9, 10, 11 (vengono espunti i riferimenti relativi ai lavori pubblici); b) Art. 13 del regolamento attuativo “Programma triennale ed elenchi annuali”: - Art. 13, comma 3, secondo e terzo periodo; - Art. 13, comma 4 (depurato dai riferimenti ai lavori). 14 COMUNI D’ITALIA Focus legge di stabilità acquisti 1/2016 Tabella 2 Art. 128 del codice “Programmazione dei lavori pubblici” Testo della norma Commento Art. 128, comma 2, ultimo periodo (vengono espunti i riferimenti relativi ai lavori pubblici) “Lo schema di programma (…) sono resi pubblici, prima della loro approvazione, mediante affissione nella sede delle amministrazioni aggiudicatrici per almeno sessanta giorni consecutivi ed eventualmente mediante pubblicazione sul profilo di committente della stazione appaltante”. Art. 128, commi 9, 10, 11 (vengono espunti i riferimenti relativi ai lavori pubblici) “9. L'elenco annuale predisposto dalle amministrazioni aggiudicatrici deve essere approvato unitamente al bilancio preventivo, di cui costituisce parte integrante, e deve contenere l'indicazione dei mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contributi o risorse dello Stato, delle regioni a statuto ordinario o di altri enti pubblici, già stanziati nei rispettivi stati di previsione o bilanci, nonché acquisibili ai sensi dell'articolo 3 del decretolegge 31 ottobre 1990, n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403, e successive modificazioni. Un (…) (n.d.a.: al posto di lavoro un acquisto) non inserito nell'elenco annuale può essere realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco, fatta eccezione per le risorse resesi disponibili a seguito di ribassi d'asta o di economie. Agli enti locali si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267”. Naturalmente il riferimento alla metodologia di approvazione – circostanza che riguarda anche il piano delle opere pubbliche, dovrà tener conto – per gli enti locali – della contabilità armonizzata e pertanto della circostanza che le programmazioni tanto la prima quanto quella degli acquisti di beni e servizi dovranno essere inseriti nel DUP (documento unico della programmazione) che sostituisce la relazione previsionale e programmatica e che dovrà essere approvato dal Consiglio come atto specifico (e non come allegati al bilancio). Per effetto di quanto tutti i termini previsti attualmente per l’approvazione sia del primo quanto il programma degli acquisti di beni e servizi dovranno essere conciliati con i termini di presentazione/approvazione del DUP prevista – dal 2016 (e quindi per il bilancio del 2017) – al 31 luglio. “10. (…) (n.d.a.: Gli acquisti di beni e servizi) non ricompresi nell'elenco annuale o non ricadenti nelle ipotesi di cui al comma 5, secondo periodo, non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni”. Il comma 5 da riferirsi in questo caso a beni e servizi statuisce che “Le amministrazioni aggiudicatrici nel dare attuazione ai lavori previsti dal programma triennale devono rispettare le priorità ivi indicate. Sono fatti salvi gli interventi imposti da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le modifiche dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari ovvero da altri atti amministrativi adottati a livello statale o regionale”. “11. Le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute ad adottare il programma (…) sulla base degli schemi tipo, che sono definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture; i programmi (…) sono pubblicati sul sito informatico del Ministero delle infrastrutture di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 6 aprile 2001, n. 20 e per estremi sul sito informatico presso l'Osservatorio”. Anche per la programmazione obbligatoria sono sostanzialmente previsti obblighi di già previsti per la programmazione facoltativa. Per la prima anche la pubblicazione sul sito come emerge dal 4° periodo secondo cui “Il programma biennale e gli aggiornamenti sono: - comunicati alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione; - nonché pubblicati sul profilo del committente dell’amministrazione; - e (n.d.a.: pubblicati) sul sito informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture presso l’Autorità nazionale anticorruzione”. 15 COMUNI D’ITALIA Focus legge di stabilità acquisti 1/2016 Art. 13 del d.P.R. 207/2010 “Programma triennale ed elenchi annuali” Art. 13, comma 3, secondo e terzo periodo “La proposta di aggiornamento è fatta anche in ordine alle esigenze prospettate dai responsabili del procedimento dei singoli interventi. Le Amministrazioni dello Stato procedono all’aggiornamento definitivo del programma entro novanta giorni dall’approvazione della legge di bilancio da parte del Parlamento”. Art. 13, comma 4 “Sulla base dell'aggiornamento di cui al comma 3 è redatto, entro la stessa data, l'elenco dei (…) (n.d.a.: degli acquisti) da avviare nell'anno successivo, con l’indicazione del (…) (n.d.a.: del CIG in luogo del CUP che riguarda solo gli investimenti), previamente richiesto dai soggetti competenti per ciascun (…) (n.d.a.: acquisto)”. (depurato dai riferimenti ai lavori) Non può non rilevarsi che, nel caso di programmazione facoltativa, l’ente dispone di riferimenti certi che vengono attinti dalla programmazione dei lavori pubblici mentre nel caso di programmazione obbligatoria – e ciò è un paradosso – non insistono riferimenti normativi certi oltre al comma della legge di stabilità. Infatti, in questa – primo periodo – si legge solamente che “al fine di favorire la trasparenza, l’efficienza e la funzionalità dell’azione amministrativa, le amministrazio- ni pubbliche approvano, entro il mese di ottobre di ciascun anno, il programma biennale e suoi aggiornamenti annuali degli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato superiore a 1 milione di euro. Una maggiore semplificazione nel caso in cui la programmazione sia facoltativa, invece, emerge dalla profonda differenza tra il comma 3 dell’art. 271 del regolamento attuativo (Programmazione dell’attività contrattuale per l’acquisizione di beni e servizi) e il comma 505, art. 1 della legge di stabilità (v. tabella 3). Tabella 3 Art. 271, d.P.R. 207/2010 l. 208/2015 (legge di stabilità), art. 1, comma 505 3. Il programma individua l’oggetto, l’importo presunto e la relativa forma di finanziamento. Con riferimento a ciascuna iniziativa in cui si articola il programma annuale, l’amministrazione provvede, nel corso dell’esercizio, alla verifica della fattibilità tecnica, economica ed amministrativa. (secondo periodo) Il programma biennale, predisposto sulla base dei fabbisogni di beni e servizi, indica le prestazioni oggetto dell’acquisizione, la quantità, ove disponibile, il numero di riferimento della nomenclatura, le relative tempistiche. (terzo periodo) L’aggiornamento annuale indica le risorse finanziarie relative a ciascun fabbisogno quantitativo degli acquisti per l’anno di riferimento. (quinto periodo) La violazione delle previsioni di cui ai precedenti periodi è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti, nonché ai fini dell’attribuzione del trattamento accessorio collegato alla performance. Come si può notare, nel caso della programmazione obbligatoria occorrerà indicare anche il numero di riferimento dagli allegati del codice e, soprattutto, la tempistica. Dato, quest’ultimo non richiesto per la programmazione facoltativa. Nella programmazione obbligatoria le appendici annuali devono indicare i riferimenti relativi alla copertura finanziaria. Nella programmazione facoltativa è prevista una verifica di fattibilità che, evidentemente, riguarderà anche la programmazione obbligatoria. Di rilievo, ed appare coerente con la programmazione obbligatoria è il riferimento alla responsabilità dei dirigenti di cui si è già detto sopra. Sostanzialmente uguali sono le disposizioni relative ad acquisti di beni e servizi non compresi nel programma. Tabella 4 Art. 271, d.P.R. 207/2010 L. 208/2015 (legge di stabilità), art. 1, comma 505 4. Qualora l’amministrazione aggiudicatrice abbia predisposto il programma di cui al presente articolo, rimane salva la possibilità di avviare procedimenti per l’acquisizione di beni e servizi non previsti in caso di urgenza risultante da eventi imprevisti o imprevedibili in sede di programmazione. (sesto periodo) Le acquisizioni non comprese nel programma e nei suoi aggiornamenti non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni. (settimo periodo) Sono fatte salve le acquisizioni imposte da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le acquisizioni dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari. 16 COMUNI D’ITALIA Focus legge di stabilità acquisti 1/2016 Infine, l’articolo 271 ha una norma di chiusura assente nella nuova disposizione che riguarda le amministrazioni “legate” al bilancio statale. Tale riferimento manca perché per la programmazione obbligatoria il legislatore ha previsto una esplicita scadenza (nel mese di ottobre) che,come detto, dovrà essere coordinata con le scadenze del DUP. Il rafforzamento dell’obbligo di adesione alle convenzioni per particolari categorie merceologiche Un rafforzamento degli obblighi di adesione alle convenzioni di Consip o delle centrali di committenza regionali emerge chiaramente dal comma 494, articolo 1, della legge di stabilità. Il comma incide su altra norma cardine del sistema spending review (in particolare della seconda spending ovvero la legge 135/2012) e riguarda gli acquisti di particolari categorie merceologiche (telefonia fissa e telefonia mobile e del 3 per cento per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento) modificando il terzo ed il quarto periodo del comma in argomento. Il testo del comma della legge di stabilità è il seguente: “All’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: «È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie mer- ceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori almeno del 10 per cento per le categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile e del 3 per cento per le categorie merceologiche carburanti extrarete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali. Tutti i contratti stipulati ai sensi del precedente periodo devono essere trasmessi all’Autorità nazionale anticorruzione. In tali casi i contratti dovranno comunque essere sottoposti a condizione risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai migliori corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento rispetto ai contratti già stipulati. Al fine di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso una razionalizzazione delle spese delle pubbliche amministrazioni riguardanti le categorie merceologiche di cui al primo periodo del presente comma, in via sperimentale, dal 1º gennaio 2017 al 31 dicembre 2019 non si applicano le disposizioni di cui al terzo periodo del presente comma»”. Pertanto, dalla tabella 5 emerge chiaramente la sostanza delle modifiche volute dal legislatore della legge di stabilità. Tabella 5 L. 135/2012, comma 7, periodi 3 e 4: periodi abrogati dalla legge di stabilità L. 135/2012, comma 7: nuovi periodi innestati dalla legge di stabilità È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali. In tali casi i contratti dovranno comunque essere sottoposti a condizione risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai predetti corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico. È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori almeno del 10 per cento per le categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile e del 3 per cento per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip SpA e dalle centrali di committenza regionali. Tutti i contratti stipulati ai sensi del precedente periodo devono essere trasmessi all’Autorità nazionale anticorruzione. In tali casi i contratti dovranno comunque essere sottoposti a condizione risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai migliori corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento rispetto ai contratti già stipulati. Al fine di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso una razionalizzazione delle spese delle pubbliche amministrazioni riguardanti le categorie merceologiche di cui al primo periodo del presente comma, in via sperimentale, dal 1º gennaio 2017 al 31 dicembre 2019 non si applicano le disposizioni di cui al terzo periodo del presente comma. 17 Focus legge di stabilità acquisti Si possono facilmente notare le sostanziali differenze. Rispetto alla pregressa disposizione – in cui pure risultava consentita la procedura di evidenza pubblica in luogo dell’adesione alla convenzione – l’attuale legislatore ammette la deroga all’adesione ma a condizione che vengano raggiunti specifici obiettivi di risparmio rispetto ai prezzi delle convenzioni. Nella stesura definitiva della legge gli obiettivi di risparmio sono del 10% per le “categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile” e del 3% “per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento” rispetto ai prezzi risultanti dalle convenzioni Consip o dalle convenzioni delle centrali di committenza regionali. La procedura alternativa all’adesione – e quindi o attraverso il sistema dei rilanci per le convenzioni delle centrali o attraverso un vera e propria gara – inoltre non solo deve raggiungere uno specifico obiettivo di contenimento ma il relativo contratto dovrà essere trasmesso all’ANAC. In coerenza con l’intento del rafforzamento, lo stesso legislatore ha previsto però un’applicazione delle prerogative appena rammentate solamente in via sperimentale per il 2016, norma che verrà infatti disapplicata per il triennio 2017-2019 evidentemente per verificare gli effetti di questa (pur contingentata) liberalizzazione. In ogni caso, gli eventuali contratti dovranno comunque riportare la “condizione risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai migliori corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento rispetto ai contratti già stipulati”. Altre disposizioni di interesse per i comuni Piuttosto rilevante è l’apertura, contenuta nel comma 504, articolo 1 della legge di stabilità, degli strumenti a disposizione di Consip alle manutenzione per le quali pertanto si imporrà la previa indagine – per importi al di sopra dei mille euro – nella vetrina elettronica. Viene perfezionato il sistema dell’adesione alle convenzioni Consip di cui all’articolo 26 della legge 488/1999 con la prescrizione – comma 507 – che con decreto il “Ministro dell’economia e delle finanze definisce, (…), sentita l’Autorità nazionale anticorruzione, tenendo conto degli aspetti maggiormente incidenti sul prezzo della 18 COMUNI D’ITALIA 1/2016 prestazione nonché degli aspetti qualificanti ai fini del soddisfacimento della domanda pubblica, le caratteristiche essenziali delle prestazioni principali che saranno oggetto delle convenzioni stipulate da Consip SpA ai sensi dell’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488. Conseguentemente all’attivazione delle convenzioni di cui al periodo precedente, sono pubblicati nel sito istituzionale del Ministero dell’economia e delle finanze e nel portale degli acquisti in rete i valori delle caratteristiche essenziali e i relativi prezzi, che costituiscono i parametri di prezzo-qualità di cui all’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488”. Inoltre, (comma 508) “nei casi di indisponibilità della convenzione stipulata da Consip SpA ai sensi dell’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, ed in mancanza dei prezzi di riferimento forniti dall’Autorità nazionale anticorruzione ai sensi dell’articolo 9, comma 7, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, la predetta Autorità, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze, individua, con proprio provvedimento, le modalità per l’elaborazione adeguativa dei prezzi della precedente edizione della convenzione stipulata da Consip SpA. I prezzi forniti dall’Autorità ai sensi del periodo precedente costituiscono prezzo massimo di aggiudicazione per il periodo temporale indicato dall’Autorità medesima”. Interessante, non per i comuni, il comma 510 che evidenzia che “le amministrazioni pubbliche obbligate ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stipulate da Consip SpA, ovvero dalle centrali di committenza regionali, possono procedere ad acquisti autonomi esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specificamente motivata resa dall’organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio della Corte dei conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione per mancanza di caratteristiche essenziali”. Il riferimento, pertanto riguarda in particolare le amministrazioni statali e le ASL. Il problema non sfiora i comuni non capoluogo considerato che nel caso in cui operino in alternativa alla centralizzazione sono si obbligati ad aderire a queste convenzioni (mentre per i comuni capoluogo insiste solo una facoltà che riguarderà anche le centrali costituite dai comuni non capoluogo) ma, nel caso in cui queste non siano disponibile non potranno che procedere attraverso la centrale unica costituita (o a cui dovranno aderire). COMUNI D’ITALIA 1/2016 Differente è la questione per gli acquisti di beni e servizi informatici e di connettività (comma 512) – che riguarda anche i comuni – secondo cui “al fine di garantire l’ottimizzazione e la razionalizzazione degli acquisti (…), fermi restando gli obblighi di acquisizione centralizzata previsti per i beni e servizi dalla normativa vigente, le amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, provvedono ai propri approvvigionamenti esclusivamente tramite Consip SpA o i soggetti aggregatori, ivi comprese le centrali di committenza regionali, per i beni e i servizi disponibili presso gli stessi soggetti”. I commi 516 e 517 precisano che “le amministrazioni e le società” obbligate ai sensi del comma appena citato “possono procedere ad approvvigionamenti al di fuori delle modalità di cui ai commi 512 e 514 (2) esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione motivata dell’organo di vertice amministrativo, qualora Focus legge di stabilità acquisti il bene o il servizio non sia disponibile o idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione ovvero in casi di necessità ed urgenza comunque funzionali ad assicurare la continuità della gestione amministrativa. Gli approvvigionamenti effettuati ai sensi del presente comma sono comunicati all’Autorità nazionale anticorruzione e all’Agid”. Le violazioni, evidentemente, (comma 517) rilevano ai fini della responsabilità per danno erariale e della responsabilità disciplinare del dirigente/responsabile del servizio interessato. Inoltre, si cerca di assicurare la piena funzionalità dei soggetti aggregatori (centrali di committenza qualificati dall’ANAC) – ai sensi della parte finale del comma 512 – consentendo alle regioni di “assumere personale strettamente necessario (…), in deroga ai vincoli assunzionali previsti dalla normativa vigente, nei limiti del finanziamento derivante dal Fondo di cui al comma 9 del medesimo articolo 9 del decreto-legge n. 66 del 2014”. (2) Il comma 514 dispone che “Ai fini di cui al comma 512, Consip SpA o il soggetto aggregatore interessato sentita l’Agid per l’acquisizione dei beni e servizi strategici indicati nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione di cui al comma 513, programma gli acquisti di beni e servizi informatici e di connettività, in coerenza con la domanda aggregata di cui al predetto Piano. Agid, Consip SpA e i soggetti aggregatori, sulla base di analisi delle informazioni in loro possesso relative ai contratti di acquisto di beni e servizi in materia informatica, propongono alle amministrazioni e alle società di cui al comma 512 iniziative e misure, anche organizzative e di processo, volte al contenimento della spesa. Consip SpA e gli altri soggetti aggregatori promuovono l’aggregazione della domanda funzionale all’utilizzo degli strumenti messi a disposizione delle pubbliche amministrazioni su base nazionale, regionale o comune a più amministrazioni”.. 19 COMUNI D’ITALIA Focus legge di stabilità personale 1/2016 Legge di stabilità 2016 e personale PA: ancora al di qua del guado di Daniele Campalto La legge 28 dicembre 2015, n. 208, la legge di stabilità 2016, con i suoi 999 commi dell’articolo unico, esito ormai consueto del maxiemendamento governativo, mantiene il personale pubblico al di qua del guado, nell’attesa di riforme sempre annunciate e mai in atto. Ad esempio, l’atteso passaggio ai fabbisogni standard, prefigurato dalla legge 42/2009 e poi dal d.lgs. 216/2010, che ora si arricchisce di una nuova Commissione tecnica (commi 29-34 della legge 208/2015, d’ora in poi soltanto con riferimento ai commi) a rimpiazzo di altra precedente Commissione tecnica paritetica prevista dalla legge sul federalismo fiscale. Che sia la mossa decisiva per l’avvicinamento alla terra promessa, cioè l’effettivo avvio del sistema, è lecito dubitarne. Fatto sta che in mancanza di un sistema di contabilizzazione e programmazione che prescinda dai fabbisogni storici, si rimane ancorati a una disciplina vincolistica finalizzata a contenere, o meglio a comprimere la spesa, rendendo impossibili operazioni meno che occasionali in materia di personale pubblico. Peraltro gli estensori del testo del maxiemendamento non si sono dati la briga, con riferimento al personale delle pubbliche amministrazioni, di ordinare le disposizioni in maniera sistematica, così che si scoprono disseminate in maniera apparentemente casuale nel vasto territorio dell’articolo unico. Ciò che induce il sospetto dell’assenza di un approccio coerente e organico. Da un pur faticoso sguardo d’insieme se ne ritrae comunque una impostazione prevalentemente negativa, volta a limitare, a comprimere, a impedire. In continuità dunque con i provvedimenti degli ultimi cinque anni, im- 20 prontati dalla crisi finanziaria che continua a proiettare la sua ombra sulla pubblica amministrazione. Senza contare che resta ancora da sciogliere il nodo della ricollocazione del personale soprannumerario degli enti di area vasta, frutto della disastrosa riforma delle province (l. 56/2014), sui cui si è incentrata la precedente manovra (la legge 190/2014, legge di stabilità 2015) e che ha causato un sostanziale blocco delle assunzioni che ancora perdura. A distanza di un anno, la legge di stabilità 2016 è costretta a metterci più di una pezza, prima di tutto con la previsione della tempestiva nomina di un commissario straordinario per dare attuazione alle disposizioni della legge 56/2014 nelle regioni morose o ritardatarie, ai fini del trasferimento del personale e delle relative risorse per le funzioni non fondamentali delle province. In particolare il commissario avrà il compito di completare entro il 30 giugno 2016 il trasferimento del personale operando “nei limiti della capacità di assunzione e delle relative risorse finanziarie della regione ovvero della capacità di assunzione e delle relative risorse finanziarie dei comuni che insistono nel territorio della provincia o città metropolitana interessata” (comma 766). Per favorire il completamento della ricollocazione del personale soprannumerario inoltre la l. 208/2015 (comma 760) provvede a prorogare la sospensione, già stabilità dal d.l. 78/2015 con riferimento al solo 2014, per gli enti locali delle sanzioni previste non solo per il mancato rispetto dei tempi medi dei pagamenti, ma anche del patto di stabilità e del termine della relativa certificazione, e cioè il divieto di procedere ad assunzioni di COMUNI D’ITALIA 1/2016 personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale. La legge di stabilità 2016 inoltre pone fine alla indecorosa giostra del personale della polizia provinciale: inizialmente destinato, stando alle circolari ministeriali, a confluire nell’ambito di riformati corpi di polizia; quindi indirizzato dal d.l. 78/2015 agli enti locali in deroga ai vincoli in materia di assunzioni e di spesa di personale; ora infine, prendendo atto che la maggioranza delle regioni ha conservato le funzioni di polizia amministrativa locale in capo alle province e alle città metropolitane, concedendo agli enti di area vasta la possibilità di incrementare le proprie dotazioni in modo da non dover computare il personale della polizia provinciale tra gli eccedentari (comma 770). Che il legislatore abbia fretta di archiviare la vicenda della riforma delle province, frettolosa e mal concepita sull’onda di impulsi superficiali e demagogici e gestita in maniera poco meno che dilettantesca, lo testimoniano anche le inevitabili disposizioni di rifinanziamento delle funzioni fondamentali (comma 754) e di copertura del trattamento economico del personale soprannumerario non ancora ricollocato (comma 764), nonché la previsione dell’assorbimento di ulteriori 1.000 unità di tale personale da parte del Ministero della Giustizia “al fine di supportare il processo di digitalizzazione in corso presso gli uffici giudiziari” e per dare compiuta attuazione al trasferimento al Ministero degli uffici giudiziari in precedenza decentrati (comma 771). Infine, il preannuncio della prossima fine del regime speciale dettato dalla legge 190/2014, e poi modificato dal d.l. 78/2015, tutto rivolto alla soluzione del problema del personale soprannumerario degli enti di area vasta: le “ordinarie facoltà di assunzione previste dalla normativa vigente sono ripristinate nel momento in cui nel corrispondente ambito regionale è stato ricollocato il personale interessato alla relativa mobilità” (comma 234), reso noto con apposito annuncio sul portale nazionale “Mobilita.gov”, che avrà infine trovato una immediata e concreta ragion d’essere. La disposizione in questione rintuzza infine l’approccio rigoristico della Corte dei Conti, sezione delle autonomie, che a partire dalla deliberazione n. 19 del 4 giugno 2015 aveva orientato la propria interpretazione delle disposizioni della l. 190/2014 intorno al fine primario della “completa ricollocazione del personale soprannumerario senza alcuna limitazione geografica”, negando cioè la possibilità di disapplicazioni parziali, a livello provinciale o regionale: approccio che ora contrasta con l’evidente ansia di rimozione del problema, che il legislatore non nasconde. Tuttavia, la preannunciata fine del regime speciale mi- Focus legge di stabilità personale rato alla ricollocazione del personale soprannumerario degli enti di area vasta suona come una ironia beffarda. Infatti, le ripristinate “ordinarie facoltà di assunzione” si traducono nella legge di stabilità 2016 nel ritorno – per i comuni già soggetti al patto di stabilità (disapplicato a partire dal 2016) – al noto meccanismo della limitazione del turn over, e in particolare per il triennio 2016-2018 autorizzando per ciascun anno assunzioni a tempo indeterminato (ma si badi bene, limitatamente al personale non dirigenziale, esclusa la dirigenza) per una spesa non superiore al 25% di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente (comma 229), fatta eccezione naturalmente per le procedure di ricollocazione del personale provinciale soprannumerario. Addirittura, lo stesso comma disapplica per gli anni 2017 e 2018 le più favorevoli percentuali previste dal comma 5-quater dell’art. 3 del d.l. 90/2014 per gli enti la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente è pari o inferiore al 25% (cioè a partire dal 2015 il 100% del turnover, peraltro funzionale anche nel 2016 all’operazione di assorbimento del personale soprannumerario degli enti di area vasta). Va un po’ meglio per i comuni che già non erano soggetti al patto di stabilità, i quali possono continuare ad assicurare interamente il turn over, nonché per i comuni sorti a seguito di fusione e per le unioni di comuni, che possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 100% della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente (comma 229). Si prosegue dunque sul medesimo tracciato delle politiche di riduzione del personale pubblico, quello che ha portato ad esempio, secondo i dati dell’osservatorio del MEF sul conto annuale, a una riduzione nel periodo 20072013 da 516.000 a 484.000 unità entro il solo ambito delle regioni e delle autonomie locali, e prima ancora di verificare gli effetti della riforma delle province. E come detto va ancora peggio per il personale dirigenziale, escluso dal computo per il calcolo delle facoltà assunzionali: per quest’ultimo è stabilito nientemeno che il blocco delle assunzioni e degli incarichi (comma 219) in funzione del completamento del processo di ricollocazione del personale dirigenziale degli enti di area vasta eventualmente in soprannumero e soprattutto in attesa dei decreti attuativi della legge 124/2015, cioè la cosiddetta “Riforma Madia”, con riferimento alla dirigenza pubblica. In particolare il comma 219 in questione stabilisce la “indisponibilità” dei posti dirigenziali (in dotazione organica) vacanti alla data del 15 ottobre 2015 e la risoluzione automatica degli incarichi conferiti dopo quella 21 Focus legge di stabilità personale data, tenendo conto di eventuale personale in posizione di studio, in comando o in aspettativa o senza incarico e fatti salvi gli incarichi conseguenti a procedure di copertura iniziate anteriormente. Dunque fino a nuovo ordine i posti dirigenziali vacanti alla data del 15 ottobre 2015 possono essere coperti soltanto ad interim o, auspica il legislatore, magari pure eliminati: infatti chiede a regioni e enti locali di provvedere alla ricognizione delle proprie dotazioni organiche dirigenziali e al riordino delle competenze degli uffici apicali “eliminando eventuali duplicazioni” (comma 221). Soltanto le province e le città metropolitane sono esonerate dal blocco, e soltanto per il presidio delle funzioni fondamentali (comma 224). Anzi, allo scopo di favorire una maggiore flessibilità degli incarichi dirigenziali, e dunque una loro possibile “razionalizzazione”, la legge di stabilità 2016 giunge perfino a rimuovere il vincolo di esclusività per i dirigenti della polizia municipale e anche dell’avvocatura civica, che potranno d’ora in poi sovraintendere a funzioni più ampie di quelle finora ricoperte in via esclusiva; e sempre in funzione della flessibilità, a prendere atto che il principio della rotazione degli incarichi dirigenziali, stabilito dall’art. 1, comma 5, della legge 190/2012 ai fini della prevenzione della corruzione, non può essere applicato in strutture di dimensioni troppo limitate senza produrre diseconomie organizzative (ancora il comma 224). Infine viene ribadita e rafforzata, a mo’ di incentivo alla “razionalizzazione” della dotazione organica della dirigenza, la facoltà già prevista dall’art. 4, comma 2, del d.l. 16/2014 per gli enti che non avessero rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa, di evitare il recupero delle somme compensandole con gli effettivi risparmi derivanti dalla riduzione delle figure apicali (comma 226). Dulcis in fundo, si fa per dire, di nuovo il blocco del fondo delle risorse decentrate. Non si è fatto neppure in tempo a prendere atto finalmente della riapertura della fase negoziale per i nuovi CCNL per il triennio 2016-2018, riapertura obbligata a seguito della sentenza della Corte costituzionale 178/2015: la legge di stabilità 2016 mette a disposizione per i nuovi CCNL per le amministrazioni dello stato risorse presso- 22 COMUNI D’ITALIA 1/2016 ché simboliche (comma 466) che formeranno ovviamente il parametro di riferimento anche per la determinazione degli oneri contrattuali per le altre pubbliche amministrazioni (comma 469). Ma perché non ci siano dubbi che il legislatore non intende consentire l’innesco di rinnovate dinamiche salariali che facciano leva sull’incremento dei fondi delle risorse decentrate (anche se col bizzarro pretesto di attendere l’adozione dei decreti legislativi attuativi della Riforma Madia ai fini dell’omogeneizzazione del trattamento economico della dirigenza) la legge di stabilità 2016 torna all’antico, cioè sostanzialmente alla originaria versione del comma 2 bis dell’art. 9 del d.l. 78/2010 prima delle modifiche apportate dalla legge di stabilità 2014. Il comma 236 infatti stabilisce che dal 2016 “l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale… non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 ed è comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio”. Con una sola differenza rispetto alla formulazione del comma 2-bis dell’art. 9 del d.l. 78/2010: che si può tener conto “del personale assumibile ai sensi della normativa vigente”. Ciò che questo significhi nelle intenzioni del legislatore, è però difficile ipotizzare senza mettere radicalmente in discussione il meccanismo di computo sin qui faticosamente costruito (cioè computando solo l’organico effettivo e non anche quello potenziale). A margine, fa ora l’effetto di una beffa l’ultimo periodo del comma 2-bis dell’art. 9 del d.l. 78/2010, in base al quale a decorrere dal gennaio 2015 sono state consolidate le riduzioni delle risorse destinate al trattamento economico accessorio, e che lasciava intendere che si sarebbe quindi tornati a una dinamica normale del fondo. Anche in questo caso, come in quello del ritorno al turn over ridotto, e più in generale per l’impostazione di piccolo cabotaggio, la legge di stabilità 2016 delude l’aspettativa, che pure era parsa credibile, del passaggio a una nuova fase per il personale pubblico, da oltre un quinquennio imprigionato nel cono d’ombra della crisi. COMUNI D’ITALIA Focus legge di stabilità lavoro pubblico 1/2016 Ricette sempre uguali per il lavoro pubblico e gli enti locali di Luigi Oliveri Ricette sempre uguali per il lavoro pubblico e gli enti locali, anche se influenzate dalla grana della ricollocazione dei dipendenti in esubero di province e città metropolitane. La legge 208/2015, lungi dal modificare in modo significativo l’impianto complessivo, ormai molto, troppo, complicato, dell’ordinamento del lavoro pubblico, rispolvera addirittura istituti che sembravano abbandonati, come l’obbligo di ridurre i fondi decentrati del personale, imposto dal “famigerato” articolo 9, comma 2-bis, del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, ripristinato in spolvero dall’articolo 1, comma 236, della legge 208/2015. Le ragioni di tutto questo sono note e chiare. La spesa del personale pubblico è l’unico aggregato in costante discesa, grazie appunto a misure come il blocco della contrattazione ed i tetti rigidi alla contrattazione e, adesso, si aggira intorno ai 152 miliardi, quando solo 8 anni fa era di circa 173 miliardi. Occorre insistere, perché tutte gli altri aggregati della spesa pubblica aumentano e perché, a causa della contrazione del Pil, il rapporto tra spesa di personale e Pil rimane costante, nonostante la seconda, come visto, si riduca anche sensibilmente nel medio periodo. Dirigenti La legge 208/2015 non poteva mancare di creare problemi interpretativi, per la verità nel caso di specie, facilmente risolvibili perché oggettivamente di poca fondatezza. A creare il “caso” è il comma 219 della legge, cui si af- fida il compito di recuperare, almeno in parte, dalla spesa del personale il finanziamento delle scarsissime risorse da finalizzare al rinnovo contrattuale (circa 300 milioni per i comparti dello Stato; altrettanto si stabilirà, probabilmente, per regioni enti locali). Il comma 219 dispone che “nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell’attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni, sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, come rideterminati in applicazione dell’articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, vacanti alla data del 15 ottobre 2015, tenendo comunque conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o con incarico di studio e del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa”. Tradotto in termini più semplici: non si potranno coprire i posti vacanti di qualifica dirigenziale delle dotazioni organiche delle amministrazioni statali, come già ridotto a seguito della spending review targata Monti, fino a quando non entreranno in vigore i decreti legislativi attuativi della riforma Madia della p.a. Tuttavia, resteranno disponibili, i posti per assorbire i dirigenti privi di incarico o con incarichi di studio o in comando. Questo comma va letto in combinazione col successi- 23 Focus legge di stabilità lavoro pubblico vo 224: “Resta escluso dalle disposizioni di cui al comma 118 il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, delle città metropolitane e delle province adibito all’esercizio di funzioni fondamentali, degli uffici giudiziari e dell’amministrazione della giustizia, dell’area medica e veterinaria e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale. É escluso altresì il personale delle Agenzie di cui al decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 157”. Quindi, non c’è il congelamento delle assunzioni delle qualifiche dirigenziali: a) per il personale non contrattualizzato; b) per il personale di province e città metropolitane appartenente alle funzioni fondamentali; c) per il personale 1. degli uffici giudiziari e dell’amministrazione giudiziaria 2. dell’area medica e veterinaria e dei ruoli del Ssn; d) per il personale delle Agenzie fiscali. Sarebbe, però, interessante sapere dal Legislatore a cosa serva la precisazione riferita a province e città metropolitane, visto che a tali enti rimane totalmente ed inviolabilmente vietato di effettuare assunzioni a tempo indeterminato, di dirigenti come di personale di qualsiasi altra qualifica. Sempre restando sulla questione della dirigenza e della razionalizzazione della spesa, con connessa riduzione dei ruoli, il comma 220 rinvia ad un “decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 31 gennaio 2016, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze” il compito di effettuare “la ricognizione delle dotazioni organiche dirigenziali delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie, degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca, nonché degli enti pubblici di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”. Si tratta, in effetti, di un adempimento estremamente importante soprattutto in vista della riforma della dirigenza disegnata dall’articolo 11 della legge 124/2015, allo scopo di comprendere quali posti risultino disponibili, visto che è necessario capire che margini di flessibilità vi saranno ai fini della revisione degli incarichi e della copertura dei posti vacanti. Specie perché tale copertura avverrà in tempi estremamente lunghi: infatti il sistema del corso-concorso e dei concorsi previsto dalla legge 124/2015 richiede un periodo di tre anni prima di consolidare nei ruoli i nuovi dirigenti. Anche regioni ed enti locali sono chiamati, dal comma 221, ad effettuare la “ricognizione delle proprie dotazioni 24 COMUNI D’ITALIA 1/2016 organiche dirigenziali secondo i rispettivi ordinamenti”, nonché il “riordino delle competenze degli uffici dirigenziali, eliminando eventuali duplicazioni”. Ovviamente, si tratta di adempimenti di particolare rilievo per le grandi città e le regioni, enti nei quali è più facile riscontrare casi eventuali di duplicazioni, rispetto a comuni di dimensioni maggiormente contenute ove le dotazioni organiche dirigenziali risultano molto più ristrette. A proposito di regioni ed enti locali, tornando al problema interpretativo riguardante il comma 219, secondo parte della dottrina (1) il comma 219 non si applicherebbe alla dirigenza locale e regionale. A suffragare la teoria secondo la quale il comma 219 limiterebbe la propria portata applicativa alle sole amministrazioni dello Stato vi sarebbero due ordini di ragioni. Un primo, si riferisce ad un’interpretazione letterale. Il comma, infatti: a) dispone che “sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia”; ma, la distinzione della dirigenza in prima e seconda fascia non esiste nel comparto regioni-enti locali; b) l’indisponibilità riguarda i posti dirigenziali della dotazione organica “come rideterminati in applicazione dell’articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni”; ma, l’obbligo di rideterminazione previsto dall’articolo 2 della manovra Monti riguardava esclusivamente le amministrazioni dello Stato. Da qui, dunque, il fronte interpretativo teso a ritenere l’inapplicabilità del comma 219 agli enti locali ritiene di rinvenire la dimostrazione certa della propria teoria. Tuttavia, questa motivazione di ordine letterale non pare assolutamente poter costituire la base convincente per escludere gli enti locali dall’obbligo di rendere indisponibile i posti della dotazione organica. È proprio l’interpretazione letterale che non lo consente, perché il comma 219 impone di rendere indisponibili i posti dirigenziali delle dotazioni organiche, vacanti alla data del 15 ottobre 2015 “delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”. Il comma si riferisce in modo evidentissimo a tutte le am- (1) Cfr. P. Monea , M. Mordenti, Organici congelati e turn over dei dirigenti, agli enti locali serve un’esclusione esplicita, in “Il Quotidiano degli enti locali”, Il Sole24Ore, 13 gennaio 2015. Contra, R. Nobile, Nuove indicazioni in materia di assunzioni di dirigenti negli enti locali e legge di stabilità per il 2016, in “La gazzetta degli enti locali”, Maggioli, 15 gennaio 2015. COMUNI D’ITALIA 1/2016 ministrazioni pubbliche elencate nell’articolo 1, comma 2 (2), del d.lgs. 165/2001, tra le quali sono compresi regioni ed enti locali. Non c’è esclusione alcuna. Al contrario, come visto prima, la legge 208/2015 si premura di escludere espressamente dall’obbligo di rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione organica, limitatamente al personale non contrattualizzato, al personale di province e città metropolitane appartenente alle funzioni fondamentali (anche se province e città metropolitane non possono assumere nessun dipendenti), al personale personale degli uffici giudiziari e dell’amministrazione giudiziaria, al personale dell’area medica e veterinaria e dei ruoli del SSN e al personale delle Agenzie fiscali. Poiché la legge 208/2015 ha indicato in modo estremamente chiaro gli ambiti ai quali non si estende l’applicazione dell’obbligo di rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione organica, con un’elencazione tassativa e in questa elencazione non sono presenti i dirigenti degli enti locali, proprio l’interpretazione letterale, che non si limiti a soli piccoli stralci del comma 219, dimostra che esso comma si applichi necessariamente anche agli enti locali. Il riferimento alla rideterminazione dei posti imposto alle sole amministrazioni statali dall’articolo 2 del d.l. 95/2012, è solo un accidente della norma, inserito per indicare che le amministrazioni soggette al citato articolo 2 del d.l. 95/2012 debbono, ovviamente, rendere indisponibili i posti vacanti al 15 ottobre 2015, tenendo conto del riordino posto in essere e nulla più. Tale inciso della norma non vale certo ad escludere dall’obbligo le amministrazioni che non fossero state obbligate a riordinare i posti dirigenziali. Tra l’altro, non è da dimenticare che il citato d.l. 95/2012 aveva previsto anche in capo agli enti locali la rideterminazione delle dotazioni organiche, per effetto dell’arti- (2) Se ne riporta il testo: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”. Focus legge di stabilità lavoro pubblico colo 12, comma 8(3). È un ulteriore accidente che, poi, non sia stato dato seguito alle previsioni di tale norma. È per questa ragione che il comma 219 prende in considerazione in modo espresso solo l’adempimento all’articolo 2 del d.l. 95/2012. Che, sul piano letterale, l’inciso riferito a tale norma sia solo un elemento accidentale, dunque non essenziale, lo dimostra la circostanza che cancellando le parole “come rideterminati in applicazione dell’articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni” la norma né perde di significato, né cambia la sua portata: anche se il legislatore non avesse introdotto questo inciso, è perfettamente evidente che possono essere resi indisponibili solo i posti dirigenziali delle dotazioni organiche come rideterminati. Un secondo ordine di argomentazioni si fonda sull’autonomia costituzionalmente garantita delle autonomie locali. Dunque, sulla base di una interpretazione “costituzionalmente orientata”, il comma 219 non sarebbe applicabile alle regioni e agli enti locali, dal momento che ai sensi dell’articolo 117, comma 6 della Costituzione,detti enti hanno potestà regolamentare “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. Si tratta di un’argomentazione piuttosto debole, per risultare persuasiva e convincente. Si rispolvera un tema ormai chiarito molte volte dalla Corte costituzionale: la potestà organizzativa di regioni ed enti locali, si svolge mediante i regolamenti, norme subordinate alla legge, che, per altro, non possono intaccare la potestà legislativa esclusiva dello Stato. Nel caso di specie, la legge 208/2015 appartiene con (3) Se ne riporta il testo: “Fermi restando i vincoli assunzionali di cui all’articolo 76, del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito con legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni ed integrazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012 d’intesa con Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo prioritariamente conto del rapporto tra dipendenti e popolazione residente. A tal fine è determinata la media nazionale del personale in servizio presso gli enti, considerando anche le unità di personale in servizio presso le società di cui all’articolo 76, comma 7, terzo periodo, del citato decreto-legge n. 112 del 2008. A decorrere dalla data di efficacia del decreto gli enti che risultino collocati ad un livello superiore del 20 per cento rispetto alla media non possono effettuare assunzioni a qualsiasi titolo; gli enti che risultino collocati ad un livello superiore del 40 per cento rispetto alla media applicano le misure di gestione delle eventuali situazioni di soprannumero di cui all’articolo 2, comma 11, e seguenti”. 25 Focus legge di stabilità lavoro pubblico ogni evidenza alla materia trasversale del coordinamento della finanza pubblica, spettante in via esclusiva alla potestà dello Stato, ai sensi dell’articolo 119, comma 2, della Costituzione. Dunque, né i regolamenti possono derogare alla legge, né si può immaginare che lo Stato non disponga del potere di esercitare il coordinamento della finanza pubblica, imponendo vincoli di spesa come quelli oggetti del comma 219, che congela la possibilità di assumere, con alcune eccezioni, dirigenti pubblici, proprio allo scopo di conseguire effetti di risparmio, coinvolgendo pienamente anche gli enti locali. Nessun vulnus all’autonomia costituzionale di regioni ed enti locali pare derivare dal comma 219 anche per altre ragioni. In primo luogo, il comma 219 non è una disposizione a regime, ma solo transitoria: opera, come essa stessa dispone, solo “nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell’attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni”. Dunque, l’indisponibilità è solo temporanea. Ed ha un fine ulteriore all’attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica: preparare il terreno all’attuazione della riforma della dirigenza pubblica disposta dalla legge 124/2015, all’evidente scopo di non incrementare il numero dei dirigenti, mentre è ancora in corso la ricognizione corretta dei posti disponibili, in vista della creazione del “mercato” della dirigenza previsto dall’articolo 11 della legge Madia, che impone al suo avvio coerenza tra i posti disponibili e i dirigenti incaricati, per evitare che vi possa essere un esubero dei secondi, rispetto ai primi, tale da inchiodare il sistema prima ancora che parta. Ricordando che l’articolo 11 della legge 124/2015 riordina la dirigenza in un ruolo unico, in realtà composto di tre ruoli tra di loro, però, perfettamente interscambiabili, quello dei dirigenti statali, quello dei dirigenti regionali e quello dei dirigenti degli enti locali, è del tutto irrazionale immaginare che le sole amministrazioni statali debbano rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione organica, ai fini dell’attuazione della legge. Trattandosi, in questo caso, di una normativa direttamente incidente sui rapporti di lavoro, lo Stato dispone di integrale ed esclusiva potestà legislativa, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, nonché, soprattutto, nella lettera l) in tema di ordinamento civile (e connessa formazione dei rapporti di lavoro). Pertanto, l’articolo 1, comma 219, della legge 208/2015 non incide negativamente in alcun modo l’autonomia co- 26 COMUNI D’ITALIA 1/2016 stituzionalmente garantita di regioni ed enti locali e, dunque, non si può che confermarne la sua completa applicazione anche a detti enti. D’altra parte, la conferma che gli enti locali debbono rendere indisponibili i posti vacanti dirigenziali è data dal successivo comma 224, che elenca categorie di personale escluso dal divieto del comma 219 (tra cui il personale non contrattualizzato), specificando che sono da escludere i dipendenti delle città metropolitane e delle province adibito all’esercizio di funzioni fondamentali. Se gli enti locali non fossero coinvolti nel divieto di cui al comma 219 tale precisazione non sarebbe stata necessaria. Pertanto, comuni e aree vaste non potranno effettuare assunzioni ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000, in quanto si tratta di contratti a termine entro la dotazione. Si può ritenere, invece, applicabile il comma 2 dell’articolo 110 Finché non si saranno avverate le condizioni indicate prima, il comma 219 impedisce di coprire i posti della dotazione organica, e, dunque, impedisce non solo le assunzioni a tempo indeterminato, ma anche quelle a tempo determinato, disciplinate dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 e dall’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000. Infatti gli incarichi dirigenziali “a contratto”, cioè a tempo determinato, disciplinati da tali disposizioni sono finalizzati a coprire posti dotazionali. Sicché, se i posti vacanti sono resi indisponibili, questo vale tanto per la copertura a tempo indeterminato, quanto per gli incarichi a contratto. La tagliola è particolarmente forte, tanto che gli incarichi dirigenziali conferiti a copertura dei posti da rendere indisponibili dopo il 15 ottobre 2015 e fino all’1.1.2016 cessano di diritto alla data dell’1.1.2016, con risoluzione dei relativi contratti. Ai sensi del penultimo periodo del comma 219, “sono fatti salvi i casi per i quali, alla data del 15 ottobre 2015, sia stato avviato il procedimento per il conferimento dell’incarico e, anche dopo la data di entrata in vigore della presente legge, quelli concernenti i posti dirigenziali in enti pubblici nazionali o strutture organizzative istituiti dopo il 31 dicembre 2011, i posti dirigenziali specificamente previsti dalla legge o appartenenti a strutture organizzative oggetto di riordino negli anni 2014 e 2015 con riduzione del numero dei posti e, comunque, gli incarichi conferiti a dirigenti assunti per concorso pubblico bandito prima della data di entrata in vigore della presente legge o da espletare a norma del comma 216, oppure in applicazione delle procedure di mobilità previste dalla legge”. COMUNI D’ITALIA 1/2016 Avvocati e comandanti polizia municipale Il comma 221si segnala per la soluzione che pone al problema sollevato da un indirizzo della giurisprudenza amministrativa eccessivamente formalista, secondo il quale l’avvocatura dei comuni ed i comandanti della polizia locale non solo non possano essere inserite in strutture dirigenziali più ampie, ma, soprattutto, possano svolgere esclusivamente detti incarichi, senza commistioni. Il che crea comprensibili problemi organizzativi esattamente ai comuni di dimensioni medio piccole. Il comma risolve il problema, stabilendo che “Allo scopo di garantire la maggior flessibilità della figura dirigenziale nonché il corretto funzionamento degli uffici, il conferimento degli incarichi dirigenziali può essere attribuito senza alcun vincolo di esclusività anche al dirigente dell’avvocatura civica e della polizia municipale”. Quindi, queste figure dirigenziali potranno essere al vertice di strutture organizzative “miste”. Sembra abbastanza evidente che il richiamo alla “flessibilità” delle figure dirigenziali contenute nel comma 221 sia un’ulteriore risposta al tema posto in merito al comma 219: gli enti locali possono e debbono fare fronte all’impossibilità di assumere nuove figure dirigenziali, mediante il riordino degli incarichi esistenti, valorizzando le figure in servizio. Rotazione dei dirigenti negli enti locali Ma, l’esiguità della dotazione organica dirigenziale degli enti di minori dimensioni pone anche il problema, in verità irrisolvibile, della loro rotazione. Anche in questo caso, il comma 221 della legge 20/2015 sacrifica la forma e le velleità della normativa anticorruzione alla sostanza: “Per la medesima finalità, non trovano applicazione le disposizioni adottate ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ove la dimensione dell’ente risulti incompatibile con la rotazione dell’incarico dirigenziale”. Il legislatore, dunque, prende con ritardo atto che la rotazione è uno strumento importante, ma sostanzialmente velleitario, laddove i numeri non la permettano. Fondi contrattuali illegittimamente costituiti Il successivo comma direttamente rilevante per gli enti locali è il 226, che introduce un’intersecazione di difficile comprensione (e probabilmente scarsa utilità), con le Focus legge di stabilità lavoro pubblico disposizioni del “salva Roma” a proposito dei rimedi apprestati alla costituzione e/o distribuzione del salario accessorio affetta da vizi di legittimità. Il comma prevede che “Le regioni e gli enti locali che hanno conseguito gli obiettivi di finanza, pubblica possono compensare le somme da recuperare di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4(4) del decreto- (4) Se ne riporta il testo: “1. Le regioni e gli enti locali che non hanno rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa sono obbligati a recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie a questa destinate, rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale, le somme indebitamente erogate mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli. Nei predetti casi, le regioni ((adottano)) misure di contenimento della spesa per il personale, ulteriori rispetto a quelle già previste dalla vigente normativa, mediante l’attuazione di piani di riorganizzazione finalizzati alla razionalizzazione e allo snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con la contestuale riduzione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale in misura non inferiore al 20 per cento e della spesa complessiva del personale non dirigenziale ((in misura)) non inferiore al 10 per cento. Gli enti locali adottano le misure di razionalizzazione organizzativa garantendo in ogni caso la riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri definiti dal decreto di cui all’articolo 263, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Al fine di conseguire l’effettivo contenimento della spesa, alle unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero all’esito dei predetti piani obbligatori di riorganizzazione si applicano le disposizioni previste dall’articolo 2, commi 11 e 12, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nei limiti temporali della vigenza della predetta norma. Le cessazioni dal servizio conseguenti alle misure di cui al precedente periodo non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over. Le Regioni e gli enti locali trasmettono ((entro il 31 maggio di ciascun anno)) alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e al Ministero dell’interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali, ai fini del relativo monitoraggio, una relazione illustrativa ed una relazione tecnico-finanziaria che, con riferimento al mancato rispetto dei vincoli finanziari, dia conto dell’adozione dei piani obbligatori di riorganizzazione e delle specifiche misure previste dai medesimi per il contenimento della spesa per il personale ((ovvero delle misure di cui al terzo periodo)). 2. Le regioni e gli enti locali che hanno rispettato il patto di stabilità interno possono compensare le somme da recuperare di cui al primo periodo del comma 1, anche attraverso l’utilizzo dei risparmi effettivamente derivanti dalle misure di razionalizzazione organizzativa di cui al secondo e terzo periodo del comma 1 nonché di quelli derivanti dall’attuazione dell’articolo 16, commi 4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con 27 Focus legge di stabilità lavoro pubblico legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, anche attraverso l’utilizzo dei risparmi effettivamente derivanti dalle misure di razionalizzazione organizzativa adottate ai sensi del comma 221, certificati dall’organo di revisione, comprensivi di quelli derivanti dall’applicazione del comma 228”. La disposizione è molto simile a quanto già previsto appunto dall’articolo 4 del “decreto salva Roma”. Esso, infatti, già consente di utilizzare i risparmi derivanti dalla razionalizzazione delle dotazioni organiche dirigenziali (estendendo agli enti locali misure che il d.l. 95/2012 indica alle amministrazioni statali). Dunque, il riordino della dirigenza come derivante dall’attuazione del comma 221 del ddl di stabilità appare palpabilmente di scarsissima utilità, perché già insito nelle previsioni normative già vigenti. modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. ((3. Fermo restando l’obbligo di recupero previsto dai commi 1 e 2, non si applicano le disposizioni di cui al quinto periodo del comma 3-quinquies dell’articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, agli atti di costituzione e di utilizzo dei fondi, comunque costituiti, per la contrattazione decentrata adottati anteriormente ai termini di adeguamento previsti dall’articolo 65 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e successive modificazioni, che non abbiano comportato il riconoscimento giudiziale della responsabilità erariale, adottati dalle regioni e dagli enti locali che hanno rispettato il patto di stabilità interno, la vigente disciplina in materia di spese e assunzione di personale, nonché le disposizioni di cui all’articolo 9, commi 1, 2-bis, 21 e 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni)). ((3-bis. Al fine di prevenire l’insorgere di contenziosi a carico delle amministrazioni coinvolte, le regioni e gli enti locali che, nel periodo 2010-2013, hanno attivato, anche attraverso l’utilizzo dei propri organismi partecipati, anche superando i vincoli previsti dalla normativa vigente in materia di contenimento complessivo della spesa di personale limitatamente alla parte di spesa coperta dai finanziamenti regionali, iniziative di politica attiva del lavoro finalizzate alla creazione di soluzioni occupazionali a tempo determinato dei lavoratori di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, e all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 280, possono, limitatamente al medesimo periodo, provvedere al pagamento delle competenze retributive maturate, nel rispetto del patto di stabilità interno e nei limiti delle disponibilità finanziarie, garantendo comunque la salvaguardia degli equilibri di bilancio, senza che cio’ determini l’applicazione delle sanzioni previste dalla legislazione vigente. 3-ter. Le disposizioni di cui al comma 3-bis sono limitate ai soli aspetti retributivi e non possono in alcun modo comportare il consolidamento delle posizioni lavorative acquisite in violazione dei vincoli di finanza pubblica. 3-quater. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 4, comma 8, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e dall’articolo 1, comma 209, della legge 27 dicembre 2013, n. 147))”. 28 COMUNI D’ITALIA 1/2016 Non appare, poi, chiaro quali sarebbero i risparmi utilizzabili per attutire gli effetti del taglio alle risorse decentrate allo scopo di sanarne i vizi, scaturenti dall’applicazione del comma 228. È opportuno riportare, allora, il testo di tale comma 228: “Le amministrazioni di cui all’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e successive modificazioni, possono procedere, per gli anni 2016, 2017 e 2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25 per cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente. In relazione a quanto previsto dal primo periodo del presente comma, al solo fine di definire il processo di mobilità del personale degli enti di area vasta destinato a funzioni non fondamentali, come individuato dall’articolo 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014, restano ferme le percentuali stabilite dall’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. Il comma 5-quater dell’articolo 3 del decreto-legge 24 giugno 2014, n, 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, è disapplicato con riferimento agli anni 2017 e 2018”. Anche una lettura poco attenta di tale comma, in realtà molto involuto e complesso, rivela che esso non serve allo scopo di reperire i finanziamenti a compensazione delle maggiori spese derivanti da fondi contrattuale illecitamente costituiti o le cui risorse siano state illecitamente distribuite. Dal comma 228 non deriva alcun risparmio. Esso, contiene nel 25% della spesa del personale cessato l’anno precedente il limite al turn over. Ma, questa disposizione non determina una minore spesa rispetto ad un flusso precedentemente autorizzato, perché, al contrario, limita proprio lo stanziamento e, dunque, il flusso stesso della spesa. Gli enti, insomma, non sono autorizzati a far proprie le risorse del 75% del costo delle assunzioni, per finanziare così spese mediante il bilancio. Semplicemente, potranno stanziare per il personale meno di quanto sarebbe concesso se il turn-over non incontrasse i limiti imposti dalla legge. Talmente il comma 226 serve a poco, che, come è noto, non è di aiuto alcuno per dare soluzione al problema del comune di Roma, ove le ispezioni della Ragioneria generale dello Stato hanno rilevato esattamente quei vizi di utilizzo e costituzione del fondo, che hanno dato origine all’articolo 4 del d.l. 16/2014, non a caso noto come “sal- COMUNI D’ITALIA 1/2016 va Roma”. I fatti, com’era facile pronosticare(5), hanno dimostrato che la norma non ha salvato alcunché, in quanto insufficiente a determinare una reale chiusura dei problemi derivanti dall’applicazione della contrattazione collettiva. Tanto è vero che già si parla di modifiche al comma 226, allo scopo di renderlo davvero efficace per risolvere le questioni legate all’applicazione delle complesse e convulse regole sulla contrattazione collettiva. Tetto alle assunzioni Andiamo ad esaminare, adesso, proprio il già visto comma 228 (il 227 si riferisce alle amministrazioni dello Stato) e le regole nuove, ma vecchie, relative ai limiti alle assunzioni. Il comma contiene una serie di precetti: 1. un giro di vite al tetto al turnover, che viene drasticamente abbassato per tutti gli anni 2016, 2017 e 2018 al solo 25% della spesa del personale non avente qualifica dirigenziale (le assunzioni dei dirigenti sono sostanzialmente bloccate, come visto sopra) cessato l’anno precedente. Il tutto, contraddicendo la flessibilizzazione delle assunzioni e la “staffetta generazionale” di cui si era tanto parlato (a sproposito) nel 2014, a seguito dell’approvazione del d.l. 90/2014; 2. la conferma del regime di congelamento delle assunzioni disposto dall’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014, per agevolare la ricollocazione del personale provinciale in sovrannumero con: a. la precisazione che nel 2016, ultimo anno di applicazione del regime straordinario di cui al citato articolo 1, comma 424, resta ferma la percentuale dell’80% della spesa del personale cessato l’anno precedente; 3. la disapplicazione, per i soli anni 2017 e 2018, del “bonus” concesso agli enti virtuosi dall’articolo 3, comma 5-quater, del d.l. 90/2014, a mente del quale agli enti locali la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente è pari o inferiore al 25 per cento, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato entro il 100% del turnover. Il comma 228, come si nota, non brilla assolutamente per chiarezza e sistematicità e sarà fonte certa di intoppi operativi ed interpretativi. Si può, però, affermare che, fino a quando non si sarà (5) L. Oliveri, Contratti decentrati. La lezione del “caso”Roma” in “La Settimana degli enti locali”, ed. Maggioli, n. 18/2014 e Sanatoria dei contratti decentrati: occorre correggere il tiro, in www.leggioggi.it, Maggioli. Focus legge di stabilità lavoro pubblico concluso il processo di ricollocazione dei poco meno di 2.000 dipendenti provinciali ancora in sovrannumero, nel 2016 gli enti locali avranno ancora in sostanza la possibilità di destinare a tali ricollocazioni il 100 della spesa delle cessazioni avvenute nel 2016, detratte (se vi sono) le spese per assunzioni di vincitori di concorsi appartenenti a graduatorie vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015. C’è da ricordare che laddove a livello regionale tutti i dipendenti in sovrannumero siano stati ricollocati, il Dipartimento della funzione pubblica potrà sbloccare le assunzioni per i comuni del territorio di quelle regioni, come prevede il comma 234 della legge 208/2015. Di fatto, dunque, la conferma della percentuale del turn over all’80% del costo del personale cessato l’anno precedente (2015), ai fini della ricollocazione dei dipendenti provinciali in sovrannumero, non serve assolutamente a nulla, visto che si mantiene ferma la possibilità di utilizzare il 100% del turn over. Invece, le assunzioni non riferite al personale delle province in sovrannumero potranno essere finanziate: a) con le risorse del triennio 2012-2014 non spese (ma, in realtà le risorse del 2014 dovrebbero essere state erose dalle esigenze di ricollocazione del personale provinciale del 2015…); b) con il 25% della spesa del personale cessato, che finanzia nella sostanza le assunzioni ammesse dal combinato disposto della deliberazione della Sezione Autonomie della Corte dei conti 19/2015 e dell’articolo 4 del d.l. 78/2015: di fatto, le figure da adibire ai servizi sociali e dell’istruzione, caratterizzati da profili infungibili o titoli di studio del tutto peculiari (educatori asili nido e assistenti sociali). Se nel 2016 si chiuderà la vicenda della ricollocazione dei sovrannumerari, allora si ripristineranno le vecchie regole: niente più congelamento delle assunzioni, ma il limite sarà quello del 25% della spesa del personale cessato nel 2015; probabilmente sarà utilizzabile, però, l’incentivo per gli enti virtuosi, previsto dall’articolo 3, comma 5-quater, del d.l. 90/2014, ma per l’ultima volta, visto che non sarà applicabile negli anni 2017 e 2018. È da ribadire che il comma 228 autorizza le amministrazioni locali ad effettuare “assunzioni di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale”. Tale comma, quindi, appare un’ulteriore dimostrazione che il comma 219 impedisca l’assunzione di dirigenti anche agli enti locali, in conseguenza dell’indisponibilità dei posti vacanti al 15 ottobre 2015 della dotazione organica dirigenziale. Tuttavia, il comma 228 estende a un triennio l’operatività di un blocco che, invece, per il comma 219 è molto più limitato nel tempo. Occorrerà un coordinamento tra le due disposizioni. 29 Focus legge di stabilità lavoro pubblico Blocco contratti decentrati Il comma 236, di fatto, ripristina sia pure in forme leggermente diverse, le famigerate disposizioni dell’articolo 9, commi 1 e 2-bis, del d.l. 78/2010, reintroducendo il blocco della contrattazione decentrata: “Nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, con particolare riferimento all’omogeneizzazione del trattamento economico fondamentale e accessorio della dirigenza, tenuto conto delle esigenze di finanza pubblica, a decorrere dal 1° gennaio 2016 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio, tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa vigente”. Per quanto la norma non sia destinata a durare a lungo, in quanto l’attuazione della riforma Madia della p.a. dovrebbe farne cessare l’efficacia, per un tempo difficilmente inferiore all’anno 2016 sortirà effetti già noti e visti: 30 COMUNI D’ITALIA 1/2016 a) fissare un tetto all’ammontare complessivo delle risorse decentrate, che non sarà più quello del 2010, bensì quello del 2015, oltre il quale non sarà possibile spingersi; b) ridurre detto ammontare in proporzione alla cessazione del personale in servizio. C’è, però, una new entry (perché il passato si ripete, ma mai, in effetti, esattamente uguale, bensì sempre entropizzato da vizi deformanti): la necessità di tenere conto “del personale assumbile ai sensi della normativa vigente”. Si tratta di una fantastica espressione che nemmeno la Sibilla cumana sarebbe riuscita a rendere più criptica. Così, nel 2016 ci sarà occasione non solo di rispolverare i conteggi più assurdi e ovviamente mai dettati dal legislatore su come computare i tagli da apportare ai fondi decentrati per effetto delle cessazioni, ma anche di scervellarsi per capire cosa mai significhi effettuare quei tagli, ma tenendo conto del personale assumibile: cioè, tagliarli solo se non sia assunto il personale assumibile? O solo fino per il periodo nel quale detto personale non sia assunto? Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, Aran, Funzione Pubblica e Ragioneria generale dello stato possono essere contenti: scaldino i motori: il 2016 sarà occasione per rendere ancora più caotico l’ordinamento con pareri che, come sempre, diranno tutto ed il suo esatto contrario. COMUNI D’ITALIA 1/2016 Speciale: potere di ordinanza del sindaco quadro generale Il potere di ordinanza del Sindaco oltre i provvedimenti contingibili ed urgenti di Massimiliano Alesio Di regola, si è indotti a collegare l’esercizio del potere di ordinanza del Sindaco, nella duplice veste di Ufficiale di Governo o di Capo dell’amministrazione comunale, a situazioni caratterizzate da contingibilità ed urgenza. Siffatto collegamento sorge spontaneo in ragione dei chiari riferimenti normativi, che dopo brevemente esamineremo (1). Disposizioni normative, che espressamente radicano il potere di ordinanza del Sindaco in relazione all’insorgere di situazioni emergenziali e provvisorie. Tuttavia, esiste un’isolata fattispecie, in cui le ordinanze sindacali non trovano il loro fondamento giustificativo nelle or indicate situazioni. Si tratta dell’articolo 192 del d.lgs. n. 152/2006(2), maggiormente noto come Codice dell’ambiente, il quale, in tema di divieto di abbandono di rifiuti, ai commi 1° e 2° stabilisce quanto segue: “L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee”. In buona sostanza, la disposizione normativa proibisce, in primo luogo, la condotta di abbandono e di de- posito “incontrollato” di rifiuti sul suolo e nel suolo. L’aggettivo “incontrollato” viene intenzionalmente evidenziato attraverso le parentesi, in quanto, come vedremo in seguito, costituisce il primario elemento di radicamento della competenza del Sindaco. Ora, nel successivo comma 3, viene stabilito che (3) “chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, (...) Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”. Eccoci al punto importante: la disposizione normativa conferisce al Sindaco, e non ad altri (4), il potere e la competenza ad emettere l’ordinanza per il rispetto delle condotte vietate. Ciò, pure in assenza di situazioni emergenziali e contingibili. Perché? Perché viene prevista la competenza sindacale pur in assenza delle predette situazioni? Invero, la dottrina e, soprattutto la giurisprudenza, si sono interrogate in merito, non fornendo una piena risposta al- (1) Il riferimento è agli articoli 54, comma 4 e 50, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000. (2) Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale” (G.U. n. 88 del 14 aprile 2006). (3) Fatta salva l’applicazione della sanzioni previste dagli articoli 255 e 256 del Codice dell’ambiente. (4) Dirigente o Responsabile d’area titolare di posizione organizzativa. 1. Premessa 31 Speciale: potere di ordinanza del sindaco quadro generale la domanda. Infatti, hanno giustificato la competenza sindacale rispetto a quella dirigenziale (5), facendo ricorso a diversi elementi, anche condivisibili, quale quello del criterio di specialità (disciplina speciale, quale quella del Codice dell’ambiente, prevalente su quella generale) e quello cronologico (la disposizione del Codice dell’ambiente è temporalmente successiva) (6). Tuttavia, non hanno fornito risposta alla domanda principale: perché il Legislatore del 2006 ha attribuito tale potere al Sindaco? Perché ha fatto tale scelta e non quella diversa di conferire il potere al dirigente? Anche nella più recente giurisprudenza, a tale domanda non viene data risposta (7). Il presente contributo intende tentare di fornire una risposta in merito, ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività o di definitività, con l’unico reale scopo di sollecitare una riflessione. A tal riguardo, è indispensabile precisare la natura ed il ruolo delle ordinanze contingibili ed urgenti, quale strumento primario di intervento e di azione del Sindaco nell’ambito locale, a fronte di situazioni emergenziali. 2. Le ordinanze contingibili ed urgenti: natura giuridica ed inquadramento costituzionale L’inserimento delle ordinanze contingibili ed urgenti nel novero delle fonti di diritto, in forza della loro vis derogatoria rispetto alla legge e dei precetti generali ed astratti in essi contenuti, è andato progressivamente svalutandosi, tramontando l’idea della loro natura normativa (8). Tale tipologia di provvedimento, proprio in relazione alla contingibilità, cui è portato a far fronte, appare incapace di innovare stabilmente l’ordinamento, provvedendo a sovrastare, sospendere o invalidare l’applicazione di precetti normativi (5) Competenza, che dovrebbe imporsi in base all’articolo 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000. (6) Giova precisare ed anticipare che l’orientamento maggioritario della giurisprudenza conferisce il potere di ordinanza in questione al Sindaco. Tuttavia, sussiste, seppur temporalmente risalente, un contrario orientamento. (7) Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2016, n. 57, si limita a ribadire la competenza del Sindaco sulla base dei richiamati criteri di specialità e cronologico. (8) Giova ricordare che, nel linguaggio giuridico, il termine ordinanza indicava, in passato, atti di diversa natura ed efficacia ed aveva un significato generico ed imprecisato. Con questa categoria di atti, si tendevano a designare alcuni atti del sovrano, soprattutto di natura normativa, atti imperativi dello Stato diversi dalla legge e dalla sentenza, atti del Governo con valore di legge, atti normativi di secondo grado, atti amministrativi generali, atti emanati sul presupposto della necessità e dell’urgenza. In tal senso: M. A imonetto, Le ordinanze del Sindaco e dei dirigenti comunali, Rimini, 1999. 32 COMUNI D’ITALIA 1/2016 per un limitatissimo periodo temporale, quale è appunto l’attualità della contingenza che l’ha determinata. Proprio in riferimento a quest’ultima caratteristica, occorre tener conto di una risalente, ma fortemente significativa presa di posizione della Corte costituzionale. Precisamente, il giudice delle leggi, attraverso la sentenza n. 4/1977, negando la natura normativa delle ordinanze d’urgenza, ne sottolineava invece una mera natura provvedimentale in relazione alla loro incapacità di modificare in maniera stabile ed irreversibile l’assetto normativo. In particolare, la Corte ha evidenziato che “le ordinanze contingibili ed urgenti, anche se e quando normative, non sono certamente ricomprese tra le fonti del nostro ordinamento giuridico; non innovano al diritto oggettivo; né, tanto meno, sono equiparabili ad atti con forza di legge, per il sol fatto di essere eccezionalmente autorizzate a provvedere in deroga alla legge. Tali ordinanze, sia che si rivolgano a destinatari determinati, prescrivendo loro un comportamento puntuale, sia che dispongano per una generalità di soggetti e per una serie di casi possibili, ma sempre entro i limiti, anche temporali, della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare, sono provvedimenti amministrativi, soggetti, come ogni altro, ai controlli giurisdizionali esperibili nei confronti di tutti gli atti amministrativi”. A sostegno del carattere non normativo delle ordinanze, parte della dottrina ha sostenuto che la qualificazione in termini amministrativi delle ordinanze contingibili ed urgenti ha consentito di portare l’attenzione del sindacato del giudice amministrativo, non solo sugli elementi di fatto, su cui si fonda il potere di ordinanza, ma soprattutto sul rapporto tra questi elementi e la deroga alle norme legislative, insieme con la congruità della relativa motivazione(9). I sostenitori di tale orientamento fanno leva su di una duplice considerazione: a) anche in caso di connotazione generale delle misure adottate, la temporaneità delle statuizioni, destinate a cadere con il venir meno della situazione legittimante, è incompatibile con il carattere normativo; b) occorre tener conto che la capacità di questa categoria di ordinanze di innovare il diritto vigente determina non tanto un effetto abrogativo, quanto piuttosto un effetto derogatorio rispetto alla legislazione ordinaria, sospendendone soltanto l’applicazione per il tempo strettamente necessario per affrontare la situazione di pericolo, tanto che venute meno le condizioni, che ne avevano indotto l’adozione, le disposizioni derogate tornano a produrre effetti. Invero, secondo altro orientamento (c.d. orientamento intermedio fra i due contrapposti indirizzi: quello che propugna la natura (9) In tal senso: Sorrentino F., Le fonti del diritto amministrativo, Padova, 2004. COMUNI D’ITALIA 1/2016 amministrativa e quello che propugna, invece, la natura normativa), le ordinanze contingibili ed urgenti presentano un carattere generalmente amministrativo ed eccezionalmente normativo, potendo contenere precetti generali ed astrattamente idonei ad innovare, sia pure entro un limitato periodo di tempo, l’ordinamento giuridico. In tal senso, è stato affermato che “negli ordinamenti contemporanei, gli atti normativi sono tutti nominati e definiti dalle norme sulla normazione e fra essi non si includono le ordinanze d’urgenza”(10). Ad ogni modo, pur nelle differenti visioni, appare ben chiaro che l’emanazione delle ordinanze di urgenza costituisce un potere eccezionale, attraverso il cui esercizio la pubblica amministrazione incide gravemente nella sfera giuridica dei cittadini, anche al di là di ciò che dispone la legge. Pertanto, siffatto potere può essere esercitato solo da quegli organi, a cui l’ordinamento giuridico tassativamente lo attribuisce. Per quanto riguarda l’inquadramento costituzionale, si è già evidenziato che il Giudice delle leggi (11) ha affermato la natura generalmente amministrativa delle ordinanze e solo eccezionalmente normativa, ove contengano precetti generali ed astratti. Occorre, però, chiarire che, per valenza normativa-derogatoria, si intende solo un effetto di sospensione della normativa vigente, non certo un effetto di abrogazione. Invero, qualche anno prima, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 8 del 2.7.1956, ha individuato i criteri, ai quali devono attenersi tali ordinanze: a) efficacia temporale limitata al permanere della situazione di necessità; b) adeguata motivazione; c) efficace pubblicazione, nei casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale; d) conformità ai principi generali dell’ordinamento giuridico e, primariamente, ai principi costituzionali; e) non operatività in materie coperte da riserva assoluta di legge. Particolarmente importante, ad avviso del Giudice delle leggi, è la conformità ai principi generali dell’ordinamento giuridico. Così, nel giudicare sulla conformità alla Costituzione della norma, di cui all’articolo 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (12), che attribuisce un generale potere di deroga all’Autorità amministrativa (13), la Corte costituzionale, con una sentenza interpretativa di accoglimento, ha dichiarato illegittima la norma, nei limiti in cui attribuisce ai prefetti il potere di emettere ordinanze, senza il rispetto dei principi dell’ordi- (10) Lo Torto A., Le ordinanze necessitate e la potestà di deroga, in I TAR, 1990, vol. II, 137. (11) Sentenza n. 4 del 4.10.1977. (12) R.d. 18 giugno 1931 n. 773. (13) “Il prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha la facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”. Speciale: potere di ordinanza del sindaco quadro generale namento giuridico (14). La Corte ha precisato, in proposito, che le ordinanze contingibili ed urgenti “non solo devono rispettare quei precetti costituzionali che siano inderogabili anche per il legislatore ordinario, ma devono mantenersi nei limiti dei principi dell’ordinamento giuridico dello Stato. I criteri atti ad assicurare il rispetto dei questi limiti devono essere fissati nella legge attributiva della potestà. L’art. 2 del testo unico delle leggi di p.s. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) è illegittimo solo in quanto attribuisce ai prefetti il potere di adottare, in caso di urgenza o per grave necessità pubblica, provvedimenti ritenuti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, senza fissare criteri idonei ad assicurare che la discrezionalità degli indicati organi amministrativi si eserciti nel rispetto dei limiti dell’ordinamento giuridico dello Stato”. 3. Le ordinanze contingibili ed urgenti: l’indeterminatezza del contenuto quale ulteriore giustificazione della competenza sindacale Analizzando la normativa in materia, soprattutto i già richiamati articoli 50, comma 5 e 54, comma 4 del d.lgs. n. 267/2000, appare chiaro che le ordinanze in esame esigono la presenza di puntuali presupposti di azione. In primo luogo, la sussistenza di una situazione eccezionale, imprevedibile ed urgente, la quale costituisce un elemento pacifico ed indiscusso delle ordinanze, fra l’altro ripetutamente confermato dalla giurisprudenza, anche recente: “Qualora si verifichino situazioni di eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente e non si possa altrimenti provvedere, il Sindaco ha il potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente”(15). Il presupposto della contingibilità indica la sussistenza di una situazione temporale ed accidentale, la quale si ricollega strettamente all’altro requisito della residualità, inteso come impossibilità di utilizzare altri strumenti ordinari, concretamente idonei alla tutela dell’interesse leso, o esposto a pregiudizio(16). Ul(14) Sentenza n. 26 del 27.5.1961. (15) TAR Puglia, sez. Lecce I, 2 dicembre 2015, n. 3477. (16) In tal senso: “Il potere del Sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, cui sia impossibile far fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento” (TAR Lazio, sez. Roma II-bis, 33 Speciale: potere di ordinanza del sindaco quadro generale teriore presupposto delle ordinanze contingibili ed urgenti è rappresentato dalla sussistenza di una situazione di pericolo. La giurisprudenza è ben chiara al riguardo: “La possibilità di ricorrere allo strumento dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto ed attuale, che impone di provvedere in via d’urgenza con strumenti extra ordinem, per porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento” (17). Oltre i presupposti ora indicati, occorre tener conto di un altro elemento indefettibile delle ordinanze contingibili ed urgenti: l’indeterminatezza del contenuto delle medesime. Invero, tale elemento, più che porsi come requisito legittimante, si atteggia a postulato caratterizzante tali ordinanze, le quali, appunto, si contraddistinguono proprio in virtù del loro contenuto non predeterminato. Certo, tali ordinanze devono rispettare i corollari indicati dalla Corte costituzionale e, cioè i principi generali dell’ordinamento giuridico, sub specie di conformità ai precetti costituzionali, come quelli relativi a materie coperte da riserva assoluta di legge, nonché gli altri principi generali dell’ordinamento non deducibili da norme costituzionali. La giurisprudenza, anche recente, ben richiama infatti tali obblighi: “Per quanto abilitate in via provvisoria, per far fronte ad emergenze sanitarie o di igiene pubblica e per finalità di prevenzione di gravi pericoli per l’incolumità pubblica, a disporre per la situazione di urgenza e necessità, senza che il contenuto del provvedimento sia predeterminato dalla legge, dovendo lo stesso adeguarsi alle circostanze concrete, le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti non possono disattendere i principi generali dell’ordinamento, tra i quali il principio di separazione dei poteri, che esclude l’esercizio di poteri legislativi, o di poteri spettanti ad altri organi costituzionali, ad opera di autorità amministrative”(18). Tuttavia, al di là di tali insopprimibili obblighi, resta l’inequivoco fatto, il quale si pone come elemento fortemente caratterizzante, che siffatte ordinanze costituiscono strumenti atipici per quanto attiene al contenuto, in quanto la legge predetermina unicamente i presupposti per l’esercizio del potere, ma non il contenuto del medesimo. La giurisprudenza è ben chiara al riguardo: “L’atipicità, infatti, è conseguenza della funzione dell’istituto, considerato che le situazioni di urgenza concretamente verificabili non so- n. 12694/2015). (17) TAR Campania, sez. Salerno I, 13 gennaio 2016, n. 11. (18) TAR Marche, sez. I, n. 37/2014. 34 COMUNI D’ITALIA 1/2016 no prevedibili a priori e, quindi, non è possibile prevedere il contenuto che l’ordinanza dovrà avere per fronteggiare la situazione di urgenza”(19). Dunque, ordinanze che debbono rispettare i “supremi principi”, ma che si caratterizzano pur sempre per un contenuto non determinato. In altri termini, tale contenuto dovrà essere “inventato”(20) al momento dell’insorgere della situazione emergenziale, al fine di fronteggiare la medesima. A ben vedere, la predetta situazione emergenziale funge da fonte per così dire eteronoma dell’esercizio del potere: ossia il suo accertamento, oltre che indefettibile presupposto di legittimità, ne conforma il contenuto. Le misure concretamente individuate ed adottate devono, infatti, essere adeguate, ragionevoli e proporzionate allo stato di pericolo come previamente accertato che, ovviamente, presuppone, a monte, l’individuazione della causa generatrice. Un potere di analisi e di accertamento della situazione contingente, certo imbrigliato dall’obbligo del rispetto dei richiamati principi, ma pur sempre “forte”, in quanto capace di dar luogo a misure ed interventi dal contenuto non previsto dal Legislatore. Orbene, la presenza di un siffatto forte e peculiare potere non può che esigere che la sua attribuzione sia conferita non ad un organo ordinario di gestione, quale il dirigente, ma ad un organo “diverso”, un organo caratterizzato da funzioni “politiche” e non amministrative. Un organo che possa assumersi la responsabilità non solo amministrativa dell’ordinanza, in quanto si tratta di decidere il contenuto della medesima. Un contenuto, come già detto, non predeterminato. Tale organo non può che essere espressione del potere politico, che, in quanto diretto al perseguimento dei fini generali, non può che assumersi la delicata responsabilità di individuare, in concreto, il preciso contenuto del provvedimento straordinario(21). Ed, infatti, il potere di adottare le ordinanze contingibili ed urgenti, proprio in ragione dell’illustrata indeterminatezza del contenuto, è conferito ad organi politici in senso lato, come si evince dal seguente elenco: a) Le ordinanze emanate dal Presidente del Consiglio dei ministri o, per sua delega, dal Ministro per il coordinamento della protezione civile, nonché dal Prefetto che opera quale loro delegato, ai sensi dell’articolo 5 della (19) TAR Molise, sez. I, n. 104/2014. (20) Il termine è volutamente forte ed anche esagerato, ma è idoneo ad illustrare il concetto. (21) “Il suum dell’atto politico, di cui all’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 104/2010, è dato dalla sussistenza di una libertà nel fine che impedisce, in ragione dell’assenza del necessario parametro giuridico, l’estrinsecazione del sindacato giurisdizionale” (Cons. Stato, sez. V, n. 6002/2012) COMUNI D’ITALIA 1/2016 legge 225/1992, per l’attuazione degli interventi conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza(22), a seguito di calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari(23). b) Le ordinanze emanate, ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 833/1978 e dell’articolo 117 del d.lgs. n. 112/1998, in caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica, dal Ministro della salute, dal Presidente della giunta regionale o dal sindaco, con efficacia estesa, rispettivamente, all’intero territorio nazionale o parte di esso comprendente più regioni, alla regione o parte del suo territorio comprendente più comuni, al territorio comunale. c) Le ordinanze emanate dal Prefetto, quale autorità provinciale di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 2 del r.d. 733/1931 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), in caso di urgenza, o grave necessità pubblica, se indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica e giammai rivolti a superare una mera inerzia amministrativa. Siffatta peculiarità (contenuto indeterminato - potere di ordinanza ad organi non propriamente amministrativi) è pienamente confermata in ambito locale. Infatti, come ben noto, abbiamo: - Le ordinanze contingibili ed urgenti, emanate dal Sindaco, quale rappresentante della comunità locale, nell’esercizio di competenza esclusiva che non può essere delegata ad altri organi, ai sensi dell’articolo 50, com- (22) “Le situazioni di emergenza, prese in considerazione dall’art. 5, legge n. 225 del 1992, consentono l’esercizio di poteri derogatori della normativa primaria solo a condizione che si tratti di deroghe temporalmente delimitate, non anche di abrogazione o modifica di norme vigenti, e sempre che tali poteri siano ben definiti nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio, non potendo in particolare il loro impiego realizzarsi senza che sia specificato il nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e le norme di cui si consente la temporanea sospensione” (Consiglio di Stato, sez. IV , 28 ottobre 2011 n. 5799). (23) La giurisprudenza è ben chiara al riguardo: “Allorquando la Presidenza del Consiglio dei Ministri ex art. 5, l. n. 225 del 1992 attribuisce poteri straordinari ad un organo governativo (ovvero ad un organo che sia emanazione dello stesso), l’ordinanza commissariale attributiva del potere commissariale ha la forza di apportare deroga alla legislazione ordinaria, comprensiva anche dello stesso art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000. Pertanto, alcun dubbio può sussistere circa il persistere, alla data del 31 gennaio 2008, della competenza del Sindaco di Napoli, quale Commissario delegato ad adottare provvedimenti contingibili ed urgenti volti a sollecitare l’esecuzione di lavori tesi all’eliminazione di dissesti e del consequenziale stato di pericolo per la pubblica e privata incolumità delle persone” (TAR Campania, Napoli, sez. V, n. 3076/2009). Il Consiglio di Stato (sentenza n. 654/2011) parla di amplissima potestà discrezionale. Speciale: potere di ordinanza del sindaco quadro generale ma 5°, del d.lgs. n. 267/2000, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale (24). - Le ordinanze contingibili ed urgenti, emanate dal Sindaco, quale ufficiale del Governo, ai sensi dell’articolo 54 del d.lgs. 267/2000, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (25). 4. Le ordinanze comunali di rimozione dei rifiuti abbandonati: le precisazioni della giurisprudenza Preso atto che l’indeterminatezza del contenuto giustifica l’attribuzione del potere di ordinanza di urgenza al Sindaco, ritorniamo alla nostra domanda: perché il potere di ordinanza, previsto dal comma 3°, dell’articolo 192 del Codice dell’ambiente, viene attribuito al Sindaco, nonostante che non si sia in presenza di un provvedimento contingibile ed urgente? L’abbondante contenzioso, che ha interessato la disposizione normativa ora richiamata consente di sciogliere, se non in modo radicalmente definitivo, i seguenti nodi interpretativi. · Obbligatorietà del contraddittorio con l’interessato. È oramai acquisito che la previsione contenuta nella predetta disposizione (“[…] in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati […]”) debba essere osservata a pena di illegittimità dell’ordinanza di rimozione, che conclude il relativo procedimento (26). · Irresponsabilità del proprietario incolpevole. Oltre che nei confronti del soggetto responsabile dell’abbando- (24) Interessante è il seguente arresto giurisprudenziale: “Dopo l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, il sindacato del g.a. sulle ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, ex art. 50 t.u.e.l., non è più esteso anche al merito; l’art. 134 del codice non include, infatti, tali atti tra quelli relativamente ai quali la cognizione è estesa anche al merito, per cui detti provvedimenti non possono più essere pienamente sindacati dal g.a. non solo con riferimento a tutti gli aspetti concernenti la legittimità, ma anche ai profili relativi alla sufficienza ed alla attendibilità delle disposte istruttorie ed alla convenienza, opportunità ed equità delle determinazioni adottate” (TAR Abruzzo, sez. Pescara I, n. 264/2011). (25) Il vicesindaco, diversamente che nelle ordinanze ex art. 50, comma 5, TUEL, può emanare questo diverso tipo di ordinanze. In tal senso: TAR Calabria, sez. Catanzaro, sez. I, n. 606/2011. (26) In tal senso: TAR Campania, sez. Napoli VI, n. 393/2014; TAR Puglia, sez. Lecce, n. 303/2013. 35 Speciale: potere di ordinanza del sindaco quadro generale no, l’ordinanza di rimozione rifiuti abbandonati può essere indirizzata anche al proprietario o altro titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa. Affinché sia legittima tale estensione, il Consiglio di Stato (27) (sentenza 17 luglio 2014, n. 3786) ha affermato che “in un quadro normativo volto a tutelare l'integrità dell'ambiente, il comma 3 dell’art. 192 non prevede una ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui: se vi è un abbandono di rifiuti avente il carattere della repentinità e della irresistibilità, se avvisa dell'accaduto la pubblica autorità e pone in essere le misure esigibili per evitare il ripetersi dell'accaduto, il proprietario non può essere considerato responsabile, per il suo solo titolo di proprietario”. All’opposto, ed al di là delle ipotesi di connivenza o complicità con gli autori dell’abbandono, è prevista la responsabilità a titolo di colpa del proprietario, che quindi legittima l’emissione di ordinanza sindacale anche nei suoi confronti, principalmente in caso di negligenza, che si verifica anche quando, per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche, nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare la verificazione dell'abbandono dei rifiuti. Esemplificativamente, è stata ritenuta sovente sufficiente, ai fini dell’esonero da responsabilità, la condotta del proprietario che abbia provveduto a recintare il proprio terreno, poi fatto oggetto dell’abbandono ed abbia prontamente segnalato l’abbandono alle Autorità (28); oppure che abbia effettuato un accettabile livello di vigilanza sul fondo stesso, senza potersi pretendere che il proprietario la eserciti in maniera costante ed ininterrotta, di giorno e di notte (29). Discorso più complesso ed articolato deve essere condot- (27) Cons. Stato, sez. V, n. 3786/2014. (28) In tal senso: TAR Puglia, Lecce n. 357/2014. (29) In tal senso: TAR Campania, Napoli, n. 1486/2013 ed anche Cons. Stato, sez. V, n. 935/2005. Significativamente, il TAR Lombardia, Milano, ha osservato che “l’ordine di rimozione dei rifiuti presenti sul fondo può essere rivolto al proprietario solo quando ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell’illecito, per avere cioè posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo, dovendosi escludere che la norma citata configuri un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva, con conseguente illegittimità degli ordini di smaltimento dei rifiuti, ancorché fondati su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime di esperienza, rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua mera qualità, ed in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell’Amministrazione procedente, sulla base di un’istruttoria completa e di un’esauriente motivazione, dell’imputabilità soggettiva della condotta” (sentenza 29.1.2014, n. 312). 36 COMUNI D’ITALIA 1/2016 to in relazione alla problematica dell'individuazione dell'organo competente all'adozione dell'ordinanza. In giurisprudenza, negli anni precedenti, si era consolidato l’orientamento per cui “....il potere di adottare ordinanze per disporre la rimozione e l’avvio al recupero di rifiuti abbandonati non spetta al sindaco, ma rientra nella generale competenza gestionale dei dirigenti”(30), dovendosi ricomprendere questo tipo di ordinanze nell'ambito dei provvedimenti con rilevanza esterna, non inclusi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo politico amministrativo degli organi di governo dell'ente e non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale(31). Pertanto, si sosteneva la competenza dirigenziale, in quanto l’ordinanza di rimozione dei rifiuti, se non è caratterizzata da situazioni di pericolo, per le quali sono giustificate misure di messa in sicurezza d’emergenza (in relazione, ad esempio, a rifiuti speciali tossici e nocivi giacenti al suolo), non rientra nella categoria di quelle contingibili ed urgenti. Anche perché siffatta ordinanza non si presenta come un “atto a contenuto indeterminato”, nel quale vengono enunciati solo taluni elementi del potere: la competenza, il fine di interesse pubblico, i presupposti di necessità e urgenza. Tale orientamento è stato confortato, osservando che la disposizione, di cui all’articolo 192 del codice dell’ambiente, attribuisce si la competenza al Sindaco, ma occorre tener conto dei reali assetti di competenze all’interno degli enti locali. Precisamente, in virtù del principio sulla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali, di cui all’articolo 107 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali(32), la predetta disposizione deve essere letta alla luce del nuovo principio, per il quale spetta ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati”(33). Ancor più esplicitamente, si è affermato che: “La soluzione non cambia neppure dopo l’adozione del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il cui articolo 192, comma 3, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui all’art. 14, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 22/1997” (34). Tuttavia, la giurisprudenza più recente afferma la competenza sindacale, in base a due precise ragioni. In primo luogo, in base al criterio della specialità: la disposizione normativa ha inteso conferire al Sindaco un potere speciale ed ultroneo, che travalica l’ordinario assetto delle compe- (30) TAR Abruzzo, sez. Pescara n. 145/2006. (31) TAR Sardegna, sez. I, n. 104 /2005. (32) D.lgs. n. 267/2000. (33) TAR Basilicata, sez. I, n. 457/2007. (34) TAR Sardegna, sez. II, n. 1598/2009. COMUNI D’ITALIA 1/2016 tenze dirigenziali, disciplinato dall’articolo 107 del d.lgs. n. 267/2000. In secondo luogo, il criterio della cronologia: la disposizione normativa in esame risale al 2006, quindi ben sei anni dopo il decreto legislativo in materia di enti locali, emanato nel 2000. Paradigmatica è stata la seguente pronuncia: “L’art. 192, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 TUEL, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2 e, in base agli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell’art. 107 , comma 5, del d.lgs. n. 267/2000”(35). Successivamente, si è puntualizzato che l’articolo 192, comma 3, costituisce una vera norma speciale, sopravvenuta rispetto all’articolo 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000. Tale norma, in modo inequivoco, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti (36). Attualmente, a fronte di qualche isolata pronuncia (37), la tesi della competenza sindacale appare nettamente maggioritaria, come statuito anche recentemente: "Per la pacifica giurisprudenza di questa Sezione, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, è una disposizione speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2. La disposizione sopravvenuta prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000 " (38). 5. Le ordinanze comunali di rimozione dei rifiuti abbandonati: alla ricerca della "peculiarità" giustificante Possiamo, ora, tentare di fornire una risposta alla domanda già precedentemente avanzata: perché il potere di ordinanza, previsto dal comma 3°, dell'articolo 192 del Codice dell'ambiente, viene attribuito al Sindaco, nonostante che non si sia in presenza di un provvedimento contingibile ed urgente? Ecco, il percorso giuridico-concettuale da intraprendere, al fine di esaudire l'oggetto del quesito, deve prendere le (35) Cons. Stato, sez. V, n. 4061/2008. (36) TAR Veneto, sez. III, n. 40/2009. (37) TAR Calabria, sez. Catanzaro I, n. 714/2012. (38) Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2016, n. 57. Speciale: potere di ordinanza del sindaco quadro generale mosse da un dato oggettivo: l'ordinanza, espressamente attribuita alla competenza del Sindaco, non è collegata ad una situazione prettamente emergenziale. Infatti, la condotta di abbandono e di deposito di rifiuti, oltre che quella di immissione di rifiuti nelle acque, non determina automaticamente l'insorgere di una situazione contingibile ed urgente. Certo, la notevole quantità di rifiuti, illegittimamente abbandonati e depositati, potrebbe cagionare una situazione di emergenza ambientale. Tuttavia, la disposizione normativa non contempla espressamente tale ipotesi. Anzi, tale omissione induce a ritenere che la fattispecie concreta, cui intende riferirsi la disposizione normativa, sia quella di una situazione non straordinaria, caratterizzata dalla presenza di rifiuti abbandonati e depositati in modo incontrollato, al di là delle quantità. Preso atto dell'assenza di una situazione emergenziale, quale presupposto fondante del potere di ordinanza, non ci resta che analizzare il "contenuto" dell'ordinanza. In altri termini, accertato l'abbandono ed il deposito incontrollato di rifiuti, cosa può effettivamente ingiungere il Sindaco? Il comma 3 ci fornisce una risposta: "Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate". Ecco: il contenuto dell'ordinanza non è determinato! La disposizione normativa non indica precise misure, ma si limita ad indicare che il Sindaco deve ordinare le operazioni a tal fine necessarie, cioè gli interventi, le azioni, che egli (il Sindaco) reputa come indispensabili per tutelare l'area, soprattutto sotto il profilo ambientale. Certo, probabilmente, il Sindaco ingiungerà interventi di rimozione, recupero o smaltimento dei rifiuti (laddove il recupero dei medesimi non fosse possibile) e, quindi, di ripristino dello stato dei luoghi. Tuttavia, a ben vedere, all'interno delle probabili ingiunzioni di rimozione, recupero o smaltimento e ripristino, sussiste una discrezionalità, sia tecnica che amministrativa, relativamente all'individuazione delle concrete misure. Queste non sono predeterminate e devono essere individuate e selezionate dal Sindaco. Quindi, un contenuto possibile dell'ordinanza, seppur non integralmente indeterminato, ma pur sempre ampio e tendenzialmente generico. Un contenuto, che deve essere "scritto e deciso" in modo discrezionale e non ancorato a precise misure predeterminate ("operazioni necessarie"). Un contenuto non propriamente determinato, che esige scelte ed opzioni concrete, che sembrano travalicare la normale competenza gestionale dei dirigenti e che impone il radicamento del potere in capo ad un organo prettamente politico, oltre che anche amministrativo: il Sindaco. 37 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa COMUNI D’ITALIA 1/2016 Libertà religiosa e tutela della sicurezza pubblica in Europa ed in Italia I segni religiosi ed il divieto di burqa: dalla legge “reale” alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo di Francesco Vergine I recenti fatti di cronaca riportano in evidenza alcune questioni d’interesse generale relative alla convivenza tra credi religiosi e ancor più al tema dei limiti della libertà di religione Si tratta in particolare del problema relativo ai modi di esercizio di libertà generalmente riconosciute in occidente e ai limiti che le libertà dell’individuo possono sopportare in relazione all’esigenza di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, sub specie di prevenzione e repressione dei reati. Si pensi alla nota vicenda del velo islamico femminile nelle sue diverse forme, alla collocazione sul territorio di luoghi di culto autorizzati quali moschee, all’uso di luoghi di ritrovo di associazioni islamiche per l’esercizio del culto e della libertà di riunione in genere di persone di varie etnie, nazionalità, credi, fino all’esposizione di simboli religiosi nei luoghi pubblici ed in particolare il crocefisso nelle scuole e nelle aule di giustizia, per arrivare a temi che toccano la dignità e l’integrità fisica della donna tra cui, oltre all’obbligo del velo, le mutilazioni genitali femminili. Parlamenti e giudici nazionali ed europei hanno dovuto occuparsi spesso negli ultimi anni di tali vicende, onde individuare un difficile punto di equilibrio tra diritti di liber- 38 tà e talora contrapposte esigenze imperative di interesse generale, legate ad interessi pubblici primari. Si consideri che il contemperamento tra diritti di libertà dell’individuo di rilievo costituzionale e beni giuridici primari quali la sovranità e l’ordinamento repubblicano, la vita e l’integrità fisica dei singoli, la sicurezza, spesso appare difficile da raggiungere, specie laddove diversi sono gli attori della trama in esame, il legislatore, i giudici nazionali ed europei, i partiti politici ed altri ancora. Non par dubbio che ruolo centrale assumano i Parlamenti in Europa, chiamati a fissare detto equilibrio attraverso norme che incontrano i limiti delle disposizioni costituzionali e dei principi relativi alla tutela dei diritti della persona. Nel nostro paese ritorna periodicamente, tra altri, il tema del velo islamico femminile nei luoghi pubblici o aperti al pubblico in modo indifferenziato, quali uffici delle amministrazioni, scuole, ospedali, ecc., nelle diverse forme che esso assume nelle tradizioni islamiche (1) . (1) Il burqa è una tunica azzurra che copre tutto il corpo, compresi gli occhi ,con una griglia. davanti solo per permettere di vedere; il niqab ha un velo che copre il capo e il volto, lasciando solo gli occhi scoperti; il khi- COMUNI D’ITALIA 1/2016 Da ultimo la Regione Lombardia ha introdotto disposizioni che prevedono il riconoscimento totale di chi accede agli edifici regionali, stabilendo che non potranno più accedere a questi edifici le persone che indossano burqa, niqab, casco integrale o passamontagna. Ruolo centrale nelle vicende relative ai modi di esercizio di alcune libertà, tra cui quella di culto, ha svolto il giudice delle leggi, fissando alcuni principi che ancor oggi sono capisaldi di ogni ragionamento in materia anche in ordine al profilo del rapporto tra lo Stato e la religione cattolica. La Corte Costituzionale, nella famosa sentenza 12 aprile 1989, n. 203, sull’ora di religione nelle scuole, ha infatti affermato che «il principio supremo della laicità dello Stato [...] è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica». La Corte ha precisato che «Il principio di laicità [...] implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Allo Stato « spetta [...] il compito di garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della libertà di religione» (Corte Cost.sent. n. 334/1996). Il principio supremo di laicità caratterizza «in senso pluralistico la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse» (Corte Cost., sentenza n. 508/ 2000). Occorre allora rammentare le coordinate costituzionali in argomento, costituite dall’art.8 Cost. secondo cui “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”, e hanno diritto di organizzarsi “ secondo i propri statuti” purchè non in contrasto “con l’ordinamento giuridico italiano”. L’art. 19 Cost. stabilisce inoltre la libertà di professione della propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di propaganda e di esercizio anche in pubblico, purché “non si tratti di riti contrari al buon costume”. L’art. 8 Cost. in particolare può essere letto congiuntamente all’art. 2 Cost., che garantisce i diritti inviolabili della persona, tra cui si può annoverare il credo religioso, nel suo aspetto del “foro interno”, mentre l’art. 19 Cost., garantendone le forme di organizzazione e di espressione, concerne la libertà del “foro esterno”. mar, un lungo velo che copre interamente i capelli, il collo e le spalle ma non il viso; il chador, un velo nero che copre tutto il corpo, chiuso al mento ma lascia scoperto il volto; l’al amira, formato da due parti, una raccoglie i capelli, l’altra copre il collo; l’hijab un foulard che copre il collo e i capelli, ma non il viso, scendendo sulle spalle e sul petto; il sitar velo supplementare che alcune donne in hijab tunica utilizzano insieme a guanti per coprire anche le mani. Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa Il quadro costituzionale e dei principi comunitari deve essere tratteggiato facendo poi specifico riferimento alle norme europee in tema di libertà di culto. Di rilievo è anzitutto nel diritto europeo l’art. 9 Convenzione europea diritti dell’uomo, CEDU, che riconosce ad ogni persona le libertà di pensiero, di coscienza, di religione, il cui esercizio peraltro è soggetto da un lato al rispetto della legge , dall’altro alla protezione dei diritti fondamentali della persona , come espressamente disposto al secondo comma: CEDU, art. 9, comma 2: “La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui”. La Corte EDU di Strasburgo ha in proposito precisato che la limitazione all’esercizio di una libertà fondamentale è coerente con la Convenzione a tre condizioni: 1. solo la legge può prevedere limitazioni; 2. le norme devono risultare proporzionate allo scopo perseguito; 3. lo scopo perseguito deve essere legittimo. L’art. 9 CEDU in particolare garantisce sia la libertà di religione (il c.d. “foro interno”: «Ogni persona ha diritto alla libertà [...] di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo»), sia le relative forme di manifestazione , ovvero il c.d. “foro esterno”: «tale diritto include [...] la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti», incluso il diritto di fare proselitismo e quello di portare un abbigliamento in conformità a precetti religiosi . Se il foro interno si sostanzia in un diritto soggettivo assoluto e non suscettibile di alcuna restrizione, le forme di manifestazione della libertà di religione (foro esterno) possono invece subire delle limitazioni, alle condizioni stabilite dall’art. 9, comma 2, CEDU sopra citato. I limiti che il legislatore può prevedere devono quindi essere fondati sulla prioritaria tutela di interessi generali ed imperativi: pubblica sicurezza, protezione dell’ordine, salute o a morale pubblica, protezione dei diritti e della libertà altrui. Occorre quindi verificare come conciliare la tutela assoluta del foro interno con la tutela relativa del foro esterno. La soluzione dipende da come viene affrontata la questione della compatibilità dei simboli religiosi negli spazi pubblici di una «società democratica» e, più in generale, dell’ambito da riconoscere alla libertà religiosa e di coscienza in Europa. 39 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa La dottrina sostiene in merito che “la questione dell’ostensione dei simboli religiosi o dell’abbigliamento religiosamente caratterizzato rappresenta la punta dell’iceberg di un difficile bilanciamento fra il quantum di laicità richiesto ad uno Stato secolare e le domande sociali di inclusione delle forme di espressione delle diversità culturali, religiose ed etniche nella sfera pubblica. In sintesi, si tratta del rapporto tra la neutralità statale e le appartenenze identitarie di tipo religioso nelle società democratiche pluraliste e multiculturali, nelle quali il problema giuridico principale consiste nel ricercare un punto di equilibrio tra la tutela del “diritto alla diversità” e le esigenze della maggioranza”(2). Analogo principio è richiamato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea detta anche Carta di Nizza, proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e Commissione. La proclamazione solenne, tuttavia, non rese la Carta giuridicamente vincolante. L’adozione del progetto di Costituzione per l’Europa, sottoscritto nel 2004, avrebbe conferito alla Carta un carattere vincolante. Il fallimento del processo di ratifica ha fatto sì che la Carta rimanesse una mera dichiarazione di diritti sino all’adozione del trattato di Lisbona. Il 1o dicembre 2009, la Carta è diventata giuridicamente vincolante. L’articolo 6, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea (TUE) stabilisce ora che «[l]’Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [...], che ha lo stesso valore giuridico dei trattati». La Carta, pertanto, rientra nel diritto primario dell’Unione europea e in quanto tale funge da parametro per esaminare la validità del diritto secondario dell’UE e delle misure nazionali. Ha quindi assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea. Essa è dunque vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri e si pone allo stesso livello di trattati e protocolli allegati. Ai nostri fini ricordiamo allora che la Carta di Nizza riconosce ad ogni persona la libertà di pensiero, di coscienza, di religione ed in particolare il diritto di ciascuno di manifestare la propria convinzione anche in pubblico, attraverso le varie forme possibili, le pratiche e l’osservanza dei riti (art. 10). (2) Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Chambre, sentenza 1° luglio 2014, S.A.S. contro Francia, ricorso n. 43835/11 , p. 11, di Umberto G. Zingales, in federalismi.it 40 COMUNI D’ITALIA 1/2016 È ivi precisato che i limiti all’esercizio di libertà riconosciute dalla Carta devono essere previsti dalla legge e rispettare il principio di proporzionalità. In particolare eventuali limitazioni si ritengono proporzionate e quindi si ammettono solo in due ipotesi generali: 1. se siano necessarie per esigenze imperative di interesse generale riconosciute nell’Unione europea; 2. se poste per garantire diritti o libertà altrui (art. 52). L’art. 52 della Carta di Nizza, sulla portata dei diritti garantiti, fissa così le condizioni delle eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali e stabilisce che i diritti fondati sui trattati europei si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dagli stessi, mentre per i diritti corrispondenti a quelli della CEDU, il significato e la portata degli uni sono uguali a quelli degli altri, salva restando la possibilità di una protezione più estesa da parte dell’Unione europea. Quanto al sistema delle limitazioni ai diritti e alle libertà è opportuno rilevare che la formula utilizzata dalla Carta si ispira alla giurisprudenza della Corte di Giustizia e, in particolare, alla sentenza 13 aprile 2000 (Corte di Giustizia, causa C-297/97, Karlsson), dove la Corte di Lussemburgo afferma : «secondo una giurisprudenza costante, restrizioni all’esercizio di questi diritti possono essere operate ( ) purchè tali restrizioni rispondano effettivamente a finalità di interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato ed inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti». Pare utile allora rammentare che nel dibattito attuale le ragioni addotte per limitare l’uso del velo alle donne in pubblico sono almeno tre: la dignità della donna e la sua eguaglianza con l’uomo; la tutela della sicurezza pubblica; la prevenzione specifica di reati di terrorismo. Ci si deve allora chiedere se le limitazioni siano rispondenti o meno all’interesse generale e siano coerenti con i principi costituzionali ed europei. Uno sguardo va dato alla realtà d’oltralpe, dove dal 2004 sono vigenti norme restrittive in materia di uso del velo femminile islamico. Attualmente la legislazione francese contempla due diverse leggi, la prima del 2004, la seconda del 2010, che toccano direttamente il tema dei simboli religiosi e del loro uso in luoghi pubblici tra cui gli istituti scolastici, prova inconfutabile che in quel paese il tema è da qualche decennio ormai molto sentito per varie ragioni, tra cui la massiccia presenza di immigrati di credo musulmano. In Francia nel 2004 è stata adottata la legge sostenuta dal Presidente Chirac, che ha vietato l’ostensione dei COMUNI D’ITALIA 1/2016 simboli religiosi negli istituti scolastici (Loi n. 2004-228, del 15 marzo 2004). Anche il Presidente Sarkozy, eletto nel 2007, ha affrontato la tematica dell’abbigliamento religioso con particolare riguardo al burqa e al niqab, dichiarando nel 2009 al Congresso di Versailles che il burqa non è il benvenuto sul territorio francese perché offensivo per la dignità delle donne. Le affermazioni del Presidente erano state sostenute nel 2008 dal deputato Jacques Mayard che aveva presentato un progetto di legge al fine di contrastare gli attacchi alla dignità della donna nella pratica religiosa (« Proposition de loi vivant à lutter contre les atteintes à la dignité de la femme résultant de certaines pratiqued religieuses»). L’anno successivo, Bernard Accoyer, Presidente dell’Assemblea Nazionale, e Gerard Larcher, Presidente del Senato, hanno presentato congiuntamente un ulteriore progetto che ha proposto di interdire abbigliamenti e accessori che celano l’identità delle donne («Proposition de loi à interdire l’ensemble des vêtements ou accessoires permettano de pasque l’identité d’une personne»), al fine di tutelare l’ordine pubblico e di agevolare un processo di promozione dei tradizionali valori repubblicani. Con particolare riferimento all’abbigliamento che nasconde il volto, il Governo ha poi costituito una Commissione parlamentare presieduta da Andrea Gerin, deputato del partito comunista francese, che, in data 26 gennaio 2010, dopo una lunga serie di audizioni, ha presentato all’Assemblea nazionale un rapporto nel quale si qualificava il burqa come un segno di schiavitù incompatibile con i principi della Repubblica. Tale posizione, tuttavia, non ha avuto unanimi consensi in Francia: è stata, infatti, espressa da più parti la perplessità che lo strumento legislativo non sia sufficiente a garantire il risultato sperato. Un precedente eclatante che alimenta tali timori è quello delle alunne della scuola francese che furono ritirate dall’istituto dai rispettivi genitori. Secondo la maggioranza parlamentare, l’approvazione del divieto legislativo del burqa o del niqab rappresenta uno strumento per la difesa della laicità dello Stato, senza per questo limitare la libertà di religione degli immigrati musulmani. Tra gli argomenti utilizzati è l’affermazione secondo cui il velo integrale sarebbe soltanto un’intollerabile umiliazione per le donne; inoltre viene rammentato che secondo i conoscitori del Corano non esisterebbero regole religiose che espressamente impongono il velo alle donne nelle sue diverse forme conosciute (cfr. in Italia il parere del comitato per l’islam italiano reso su ddl di modifica l. 152/1975). Si arriva così nel luglio 2010 all’approvazione da parte Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa della Assemblea nazionale francese della legge che vieta il burqa (con 336 voti favorevoli ed uno contrario); il Senato vara definitivamente il 14 settembre la legge n. 2010/1192, in vigore dall’11 aprile 2011. Il provvedimento si applica sia nei luoghi pubblici che in quelli aperti al pubblico e la violazione del divieto per chi indossa il burqa comporta una sanzione pecuniaria. A partire dai sei mesi successivi alla pubblicazione della stessa legge, tuttavia, chi costringe qualcuno ad indossare il velo integrale potrà essere punito con la reclusione (fino ad un anno) e con il pagamento di un’ammenda di 30000 euro. Tale sanzione viene raddoppiata se la donna è minore d’età. Il Conseil Constitutionnel , con decisione 7 ottobre 2010, 2010-613 DC, ha ritenuto la legge conforme a Costituzione, con una riserva: proibire l’occultamento del viso in luoghi pubblici non può comunque restringere – in contrasto con l’art. 10 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 – l’esercizio della libertà di religione nei luoghi di preghiera aperti al pubblico(3). In particolare, l’art. 1 della legge n. 2010-1192 stabilisce: «Nul ne peut, dans l’espace public, porter une tenue destinée à dissimuler son visage». Per “spazio pubblico” si intendono le pubbliche vie e i luoghi aperti al pubblico o affidati ad un servizio pubblico. Il divieto non opera se l’abbigliamento che nasconde il volto è prescritto o autorizzato da disposizioni legislative o regolamentari, oppure se è giustificato da ragioni di salute o da motivi professionali ovvero se si iscrive nel quadro di pratiche sportive, di feste o di manifestazioni artistiche o tradizionali (art. 2). Su tali aspetti, si vedano anche le circolari del Primo Ministro del 2 marzo 2011 (pubblicata nel journal officiel del 3 marzo 2011) e del Ministro dell’interno del 31 marzo 2011. In caso di violazione del divieto imposto dalla legge è prevista una sanzione massima di centocinquanta euro, oltre all’obbligo di seguire un corso di educazione civica (art. 3); una sanzione è stabilita anche per coloro che costringono altri a nascondere il volto, puniti con un anno di detenzione ed una ammenda di trentamila euro (le pene sono raddoppiate nel caso in cui i fatti siano compiuti a danno di minori). In generale, i casi fondamentali in materia vedono coinvolte discipline che vietano in presenza di certe condizioni di indossare il velo in stati che hanno fatto proprio il principio di laicità in senso “negativo”. Ci si riferisce ai divieti previsti in Francia e in Turchia, posti all’at- (3) Cfr. A. Fornerod, Les «affaires de burqa» en France, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, 1/2012, 63 e ss. 41 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa tenzione della Corte europea nei casi Leyla Sahin c. Turchia (2005) e S.a.s. c. Francia76 (2014), nonché nel caso Ahmet Arslan c. Turchia (2010), l’unico in cui la Corte europea ha ravvisato una violazione della Convenzione europea per via dell’applicazione di sanzioni penali e restrizioni della libertà di manifestare in capo a soggetti che indossavano indumenti religiosi (maschili). Particolare rilievo ha avuto oltralpe la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani su alcune controversie relative alla legislazione francese in esame. Con la sentenza S.A.S vs France del 1° luglio 2014 la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che la legge francese dell’ottobre 2010, contenente il divieto di indossare qualunque capo di abbigliamento che copra il volto, non viola la Convenzione. La Corte riconosce che il divieto intacca sia il diritto alla vita privata, protetto dall’art. 8 della CEDU, che la libertà religiosa, protetta dall’art. 9, ma ritiene che “la Francia ha un ampio margine di apprezzamento” (par. 155) in quanto la restrizione imposta rientra in quelle “misure necessarie in una società democratica per la protezione dei diritti e della libertà altrui”, che entrambi gli articoli autorizzano. In concreto, la Corte EDU stabilisce che coprire il volto viola il “diritto altrui ad abitare uno spazio di socializzazione che facilita il vivere insieme” (par. 122). La legge francese, inoltre, soddisfa i requisiti di proporzionalità cui il margine di apprezzamento è sottoposto, prevedendo una sanzione amministrativa di lieve entità (150 euro) e un divieto limitato al volto e non ad un qualsiasi abbigliamento religiosamente connotato o tradizionale, quale il semplice velo, il chador o la jilaba, che risultano in generale ammessi nello spazio pubblico (salve le restrizioni per i luoghi di lavoro statali). La Corte EDU tuttavia chiarisce nella motivazione che le ragioni del divieto non vanno ricercate altrove se non nella “fraternitè”, valore fondamentale nella costituzione francese, che esprime tra l’altro la regola del diritto a vivere insieme: “vivre ensamble” è per la Corte un diritto di ciascuno, che comporta l’obbligo di mostrare il volto, nonostante le dissenting opinions di due dei giudici di Strasburgo. Vengono invece escluse dal ragionamento motivazioni quali la dignità della donna, la sua eguaglianza, la sicurezza pubblica, la laicità degli spazi pubblici nei quali trova applicazione il divieto di burqa. La tutela della pubblica sicurezza in particolare, consentita dagli artt. 8 e 9 CEDU , postula una valutazione in concreto, per la Corte EDU, esigendosi un rischio generalizzato che all’epoca non era ritenuto sussistere; il di- 42 COMUNI D’ITALIA 1/2016 vieto assoluto di portare il velo integrale in pubblico è ritenuto non proporzionato se non in presenza di un contesto soggetto a rischio. Quindi si sarebbe potuto ritenere proporzionato solo un divieto negli aeroporti e nelle foto sui documenti d’identità. In definitiva dal principio di fraternità (fraternitè) secondo la CEDU deriva la regola di mostrare il volto in pubblico (cfr. RUGGIU Ilenia, “Strasburgo conferma il divieto francese al burqa con l’argomento del vivere insieme”, in forum quaderni costituzionali , 2014). Il divieto è sì una ingerenza nei diritti della ricorrente alla libertà religiosa e alla privacy, per la Corte EDU tuttavia esso appare necessario e proporzionato agli scopi perseguiti: preservare le condizioni del “vivre ensamble”, elemento integrante dei diritti e delle libertà dei singoli. Particolare attenzione deve essere poi riservata alla Turchia, paese nel quale è stato proclamato un forte principio di laicità. Va segnalata una decisione che ha un rilievo significativo, che riguarda Merve Kavakçi, una parlamentare turca che ha tentato di entrare in Parlamento nella prima riunione dopo la sua elezione e prestare giuramento indossando il velo islamico non integrale,bensì il chador. La prima decisione significativa in ordine cronologico e che ha fissato i criteri di giudizio che poi saranno seguiti in modo abbastanza costante, sia pur con qualche precisazione, dalla Corte, concerne il caso Leyla Sahin v. Turkey (Corte EDU, Leyla Sahin c. Turchia,n.44774/98,10.11.2005). La pronuncia trae origine dal ricorso alla Corte europea di una studentessa turca della Facoltà di Medicina dell’Università di Istanbul contro il provvedimento adottato dalle autorità disciplinari dell’istituto, con cui le era stato interdetto l’accesso ad alcuni esami e lezioni, a causa del suo rifiuto di togliersi il velo islamico durante il loro svolgimento. I diritti dell’uomo ritenuti lesi secondo la studentessa sono, in particolare, tutelati dall’art. 9 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione), nonché dagli artt. 8, 10 (Libertà di espressione) e 14 (Divieto di discriminazione) della CEDU. La Corte europea, dando rilevanza allo specifico contesto turco, ha ritenuto le misure adottate dall’Università proporzionate allo scopo perseguito, ovvero quello di completare il processo di laicizzazione della società turca iniziato nei primi del ’900, in un paese,quindi, dove forte è il rischio che istanze di tipo religioso si trasformino in rivendicazioni fondamentaliste. La Corte europea di Strasburgo considera il divieto in parola necessario in una società COMUNI D’ITALIA 1/2016 democratica (art. 9 CEDU) affermando che il divieto del velo serve ad impedire la discriminazione di quanti non professano la religione più diffusa in Turchia, ovvero islamica. Da sottolineare anche qui che il fatto che la Corte EDU riconosce nel complesso un ampio margine di apprezzamento agli Stati in questo ambito. Con riguardo al tema specifico del velo islamico in Italia, pare necessario delineare in breve il quadro normativo. Va anzitutto ricordato che in Italia vige un obbligo generale dello straniero non comunitario di esibire, a richiesta delle autorità di polizia, alternativamente passaporto, documento di identità, permesso o carta di soggiorno: la fattispecie è sanzionata penalmente (art. 6 c. 3 d. lgs. 25.7.1998, n. 286). Si aggiunge che se vi è dubbio l’ordinamento pone quindi a carico dello straniero un dovere di esibizione di documenti di riconoscimento allo scopo di agevolare il compito di identificazione degli organi di polizia. Esso assume carattere rafforzato rispetto all’analogo obbligo di identificazione gravante sul cittadino italiano, posto dall’art. 651 c.p. e che viene assolto anche mediante la sola dichiarazione verbale delle generalità, purchè esse siano declinate al pubblico ufficiale in modo veritiero e completo. Il testo unico delle leggi di p. s. (r.d. 18.6.1931 n. 773 art. 85) e la legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 5, comma 1, prevedono entrambe un espresso divieto di comparire mascherati in luogo pubblico, usando qualsiasi mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona. In particolare il t.u.l.p.s. all’art. 85 vieta in generale di comparire mascherati in luogo pubblico, prevedendo in caso di violazione una sanzione amministrativa. La legge n. 152/1975, art. 5, comma 1 (c.d. legge Reale) prevede invece quale reato il fatto di comparire con “caschi protettivi o (...) qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico od aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Quest’ultimo divieto viene esteso alle manifestazioni pubbliche o aperte al pubblico, tranne che in occasione degli eventi sportivi che richiedano l’uso di tali mezzi. L’art. 5 legge n. 152/1975 prevede al secondo comma, come modificato dalla legge n. 155/2005 art. 10, l’arresto da uno a due anni e l’ammenda da euro 1.000 a euro 2.000. La norma va inquadrata nel contesto politico dell’epoca e la dottrina penalistica parlò di “reato di casco” per definire icasticamente la fattispecie penale, che aveva la chiara finalità di prevenire comportamenti prodromici e preparatori di reati di violenza a connotazione politica, specie in occasioni di riunioni pubbliche. Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa Si tratta di un reato-mezzo, la cui ratio consiste nel divieto di condotte che impediscano o rendano specialmente difficoltoso alle forze di polizia di identificare compiutamente i partecipanti alle manifestazioni ed ai cortei, all’epoca connotati spesso come luoghi di incidenti tra fazioni politiche contrapposte e con la polizia stessa. La fattispecie soddisfa l’esigenza di prevenire i reati legati a manifestazioni politiche, ovvero agevolarne l’accertamento mediante la piena identificabilità dei soggetti attivi. Passando alle posizioni espresse in Italia dai giudici amministrativi, si deve ricordare che molte furono le ordinanze sindacali in tema di velo islamico, ma il ‘leading case’ è accaduto ad Azzano Decimo (Pordenone), dove una ordinanza sindacale che vietava il velo venne annullata dalla locale Prefettura, con la motivazione che essa creava disorientamento e confusione in un quadro normativo già per sé complesso (4). Il sindaco aveva esercitato un potere di ordinanza contingibile ed urgente riservato al Prefetto dall’art. 2 t.u.l.p.s., che prevede l’adozione di atti extra ordinem dell’autorità di p.s. in casi di urgenza o grave necessità pubblica “indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”. Secondo la Prefettura, il sindaco, inoltre, non avrebbe informato in via preventiva il Prefetto della adozione del provvedimento in parola, come invece è imposto dall’art. 54 testo unico enti locali (d.lgs. n. 267/2000). Il Comune friulano ha impugnato l’atto di annullamento dell’ordinanza sindacale emesso dalla Prefettura di Pordenone dinanzi al TAR Friuli V.G. che svolge interessanti considerazioni. Il Comune anzitutto sosteneva, a propria difesa, che il sindaco nella materia ha una competenza generale ex art. 1, TULPS, in cui rientra anche la funzione di curare l’osservanza della legge e di interpretazione delle norme. Con la sentenza 16.10.2006, n. 645 il TAR ha respinto il gravame del comune ed ha affermato che il Sindaco non ha una generale competenza in materia di sicurezza pubblica, né può interpretare in via autentica una norma di legge. Si tratta infatti di operazione che solo lo stesso legislatore può compiere, adottando a tale scopo un atto di va- (4) Tra tante ordinanza 12 ottobre 2009, n. 15, Comune di Drezzo. Ordinanza in materia di tutela della sicurezza urbana e dell’incolumità pubblica; ordinanza 5.2.2009, n. 3, Comune di Azzano Decimo. Ordinanza in materia di uso di mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona; sono seguite analoghe ordinanze dei sindaci di Varallo (Vercelli), Camerata Cornello (Bergamo), Costa Volpino (Bergamo), Treviso, Alassio (Savona). 43 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa lore eguale alla norma interpretata. Il Tribunale ha precisato che il Prefetto aveva il potere gerarchico di annullamento dell’atto sindacale, essendo questo un atto emesso dal sindaco in qualità di ufficiale di governo ed in materia di sicurezza pubblica. Ne derivava quindi nella specie una relazione gerarchica che abilitava il Prefetto, quale organo periferico del governo, all’esercizio di un generale potere di annullamento per vizi di legittimità degli atti emessi nelle materie di competenza statale esclusiva, quali l’ordine e la sicurezza pubblica (Costituzione art. 117). La giurisprudenza riconosce in generale il potere del Prefetto di annullamento delle ordinanze sindacali illegittime, alla luce dei seguenti argomenti: • l’atto generale in materia di pubblica sicurezza adottato dal sindaco-ufficiale di governo si iscrive in un rapporto di dipendenza dal Prefetto; • il Prefetto è autorità provinciale di p.s. e sovrintende alla attuazione delle direttive ministeriali nella provincia; • egli assicura unità di indirizzo e coordinamento degli ufficiali ed agenti di p.s. quale è in certe circostanze il Sindaco (legge n. 121/1981, art. 13); • questa funzione generale non può che includere anche il potere di annullamento d’ufficio degli atti del Sindaco quale ufficiale di governo, che risultino illegittimi o contrastanti con la menzionata unità d’indirizzo. La ricostruzione è stata confermata dal Consiglio di Stato che ha ritenuto legittimo l’annullamento prefettizio dell’ordinanza del sindaco che vietava di indossare il velo islamico in luogo pubblico o aperto al pubblico, ponendo un caposaldo ancora oggi costantemente richiamato in materia (Cons. Stato, sez. VI, sentenza 19 giugno 2008, n. 3076). Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR Friuli V.G., affermando che il riferimento alla legge 152/1975 non è pertinente: indipendentemente dalla lettura di esso come simbolo culturale, religioso, o di altra natura, il velo non è “un mezzo finalizzato ad impedire senza giustificato motivo il riconoscimento”. Da sottolineare che il riferimento dell’ordinanza all’art. 85 del r.d. n. 773/1931 è errato, in quanto è evidente che il burqa non costituisce una maschera, ma un tradizionale capo di abbigliamento di alcune popolazioni, tuttora utilizzato anche con aspetti di pratica religiosa. Il richiamo all’art. 5 della legge n. 152/1975, che vieta l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona,in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo, è pertanto erroneo. Il Consiglio di Stato valorizza invece la peculiarità del bur- 44 COMUNI D’ITALIA 1/2016 qua, in quanto «si tratta di un utilizzo che generalmente non è diretto ad evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture». Pur non entrando nel merito della appartenenza del burqua ai simboli religiosi o culturali, o di altra natura, ciò basta al Consiglio di Stato per respingere l’appello del Comune di Azzano Decimo, affermando che il burqua non è «un mezzo finalizzato a impedire senza giustificato motivo il riconoscimento». Pertanto, «il citato art. 5 [della legge n. 152/1975] consente nel nostro ordinamento che una persona indossi il velo per motivi religiosi o culturali; le esigenze di pubblica sicurezza sono soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e dall’obbligo per tali persone di sottoporsi all’identificazione e alla rimozione del velo, ove necessario a tal fine. Resta fermo che tale interpretazione non esclude che in determinati luoghi o da parte di specifici ordinamenti possano essere previste, anche in via amministrativa, regole comportamentali diverse incompatibili con il suddetto utilizzo, purché ovviamente trovino una ragionevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze». È stata così esclusa l’applicabilità dell’art. 85 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (sul divieto di comparire mascherato in luogo pubblico), e dell’ art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 15 (che vieta l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo), nei confronti di chi indossi il burqa per motivi religiosi o culturali. A conferma di siffatta illegittimità, depone la circolare del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, n. 300.C/2000/3656/A/24.159 del 24 luglio 200043, indirizzata ai Questori, con cui il Capo della Polizia offre un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in materia di foto identificative da apporre sui documenti, escludendo expressis verbis la possibilità di estenderla al velo. Quest’ultimo è considerato, infatti, parte integrante dell’abbigliamento abituale delle donne di religione islamica; pertanto, se ne impone il rispetto in conformità al principio costituzionale della libertà di culto e di religione, salvo che non impedisca di rendere riconoscibili i tratti del viso. Ne deriva che, finché il riconoscimento del volto non è impedito, il velo non pone problemi di sicurezza e tutela dell’ordine pubblico; diversamente accade qualora il velo sia in apparenza indossato per motivi religiosi, ma di fatto utilizzato per impedire il riconoscimento per fini criminosi. COMUNI D’ITALIA 1/2016 Con riguardo alla tutela dei diritti fondamentali del singolo, il potere di ordinanza ex art. 54 TUEL deve rispettare i principi generali e le leggi vigenti e non può pertanto avere carattere “creativo”, salvi i casi di urgenza e contingibilità. Nell’affermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa in argomento, la giurisprudenza ritiene che l’ordinanza sindacale di sicurezza urbana è un tipico atto amministrativo che deve limitarsi ad introdurre misure di attuazione di norme ordinarie volte a tutelare la ordinata convivenza civile, allorché dalla loro violazione in specifici contesti spazio-temporali ed ambientali possa derivare grave pericolo per la sicurezza pubblica (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, sent. 6 aprile 2010, n. 981). È necessario quindi limitare l’ambito oggettivo delle ordinanze sindacali in esame, stabilendo con chiarezza che esse devono fondarsi su norme primarie statali o regionali, ovvero su regolamenti: su questa base normativa, a fronte di un concreto pericolo per la sicurezza pubblica, l’ordinanza potrà recare misure di attuazione, sanzionate amministrativamente ai sensi dell’art. 7-bis d.lgs. 267/2000, TUEL. Un esteso ed atipico potere ordinatorio del Sindaco ex art. 54 TUEL, sganciato da una norma-base, sarebbe in contrasto con la garanzia dei diritti fondamentali del singolo coperti dalle riserve di legge ex artt. 23, 97, 113 Costituzione. Ne deriverebbe inoltre un anomalo potere “regolamentare” del sindaco, in contrasto con la generale competenza del consiglio comunale in materia di regolamenti, (art. 42 TUEL). Va rilevato inoltre il pericolo che la tipologia di ordinanze in esame si sostituisca a prescrizioni e discipline di competenza della dirigenza o riservate a statuti e regolamenti. In tal senso la giurisprudenza amministrativa citata ritiene che il potere ordinatorio sindacale, atipico ed extra ordinem, a carattere generale ed ordinario, presenti gravi profili di violazione della Costituzione, oltreché di interna contraddizione. Occorre poi rammentare che il principio costituzionale della libertà di culto deve consentire anche ai non cittadini ed a coloro che professano altre religioni, diverse da quella cattolica, di manifestare liberamente, nei limiti della legge, il proprio convincimento, anche mediante l’uso in pubblico di segni esteriori di quella fede o di quella cultura. Il principio è come detto sopra, sancito dalla Costituzione agli artt. 3, 8 e 19, nonchè dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 9. Esso può portare ad escludere la illiceità di tale condotta, ai sensi dell’art. 4 del- Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa la legge n. 689/1981 e dell’art. 51 del codice penale, che prevedono l’esercizio del diritto quale causa generale di giustificazione del fatto illecito, sia esso illecito amministrativo, o reato. Per quanto attiene poi alla giurisprudenza civile merita segnalazione una recente ordinanza del Tribunale di Torino in ordine ad una azione contro la discriminazione proposta ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011, da una associazione contro il comune di Varallo (Trib. Torino, sez. I, civ., ordin. 14.4.2014). L’associazione studi sull’immigrazione lamentava la violazione, da parte del Comune, dell’art. 43 d.lgs. 25.7.1998 n. 286 (relativamente alla discriminazione avente ad oggetto l’origine etnica e le convinzioni e pratiche religiose) e dell’art.2 d.lgs. 9.7.2003 n. 215, emanato in attuazione della Direttiva CE n.43 del 2000 (riguardo al divieto di discriminazione rappresentato da molestie poste in essere per motivi di origine etnica aventi lo scopo di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo). La violazione era realizzata tramite l’emanazione in data 19.8.2009 e 21.8.2009 delle ordinanze comunali n. 99 e n. 100 aventi ad oggetto, rispettivamente, il divieto sanzionato in via amministrativa, di indossare il “burkini” su tutto il territorio comunale “nelle strutture finalizzate alla balneazione”, nonché il divieto “di abbigliamento che possa impedire o rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, quale a titolo esemplificativo caschi motociclistici al di fuori di quanto previsto dal codice della strada e qualunque altro copricapo che nasconda integralmente il volto”. Veniva quindi disposta l’installazione, ad ogni entrata del paese, di cartelli di metri 2 per 3 riportanti la prescrizione “su tutte le aree pubbliche è vietato l’uso di burqa, burqini e niqab, vietata l’attività a “vu’ cumprà” e mendicanti”. La scritta era inserita all’interno di un simbolo indicante il divieto di sosta e corredata, sulla parte sinistra del cartello, da due immagini femminili abbigliate con il niqab ed il burqa e da un’immagine maschile, tutte con sovraimpresse due linee incrociate e l’epigrafe “NO niqab e burqa” e “NO Vu cumprà” e, sulla parte destra del cartello, da un’immagine femminile con il velo islamico e l’epigrafe “SI velo”. Detti cartelli venivano poi rimossi e sostituti da altri che non avevano riferimenti a figure femminili o ai veli islamici. Il Sindaco di Varallo, dopo un richiamo, nella premessa, anche all’art. 5, l. n. 152/1975 (divieto di uso di mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della 45 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa persona in luogo pubblico o aperto al pubblico senza giustificato motivo) e al d.m. 23.4.2007 del Ministero dell’Interno (Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione), “ordina: è vietato su tutto il territorio comunale nei luoghi pubblici o aperti al pubblico l’uso di abbigliamento che possa impedire o rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, quale a titolo esemplificativo caschi motociclistici al di fuori di quanto previsto dal codice della strada, e qualunque altro copricapo che nasconda integralmente il volto”. Il Tribunale di Torino stabilisce che l’ordinanza non contiene alcun accenno di discriminazione religiosa o etnica, giacchè il suo ambito di applicazione è onnicomprensivo e non discriminante come tale. Tali fatti non appaiono discriminatori, né riguardo all’origine etnica né alla fede religiosa, giacchè la frase, contenuta nei cartelli, “NO AL VOLTO COPERTO, (salvo giustificati motivi)” appare un’espressione del tutto generale e rivolta indifferenziatamente ai destinatari del messaggio rappresentati dalla totalità dei cittadini che lo leggono. In tale ottica, né la dimensione ridotta dell’espressione “(salvo giustificati motivi)” né la mancanza, di seguito ad essa, della frase “ivi compresi i motivi di carattere religioso” possono assumere un significato discriminatorio. Il giudice monocratico torinese tuttavia precisa che i cartelli originariamente esposti e poi sostituiti erano quelli sì fortemente discriminatori affermando: “il divieto che dal cartello promanava veniva radicato tramite la focalizzazione del messaggio (tra l’altro, dai forti contenuti anche nelle immagini figurative) soprattutto sulle minoranze femminili ed islamiche ed era reso ancor più tagliente dall’utilizzo improprio del simbolo del divieto di sosta (riferito a tutte le condotte vietate) che l’art.158 del Codice della Strada prevede per i veicoli e non per gli esseri umani”. Sul fronte dell’iniziativa legislativa, nell’attuale legislatura (XVII) risultano presentati almeno tre disegni di legge che affrontano la problematica del velo integrale: “C1571, di iniziativa dell’on. Molteni (Lega Nord autonomie) ed altri, recante”Modifiche all’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto dell’uso di indumenti o altri oggetti che impediscano l’identificazione nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, nonché introduzione degli articoli 612-ter del codice penale e 24-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernenti il delitto di costrizione all’occultamento del volto”; C 467, di iniziativa dell’on Vaccaro (Pd), recante “Modifica dell’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, 46 COMUNI D’ITALIA 1/2016 concernente il divieto dell’uso di indumenti o altri oggetti che impediscano l’identificazione nei luoghi pubblici o aperti al pubblico”; C 87, di iniziativa dell’on. Binetti (SCpI) e altri, recante “Modifica dell’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, in materia di utilizzo di mezzi, anche aventi connotazione religiosa, atti a rendere irriconoscibile la persona”. Questi disegni di legge sono stati presentati nel 2013, ma ad oggi non risulta iniziato l’esame (2). Negli altri paesi europei, come ricorda la stessa Corte EDU, solo il Belgio ha adottato una legge simile a quella francese: si tratta della legge 1° giugno 2011, entrata in vigore il 23 luglio 2011, “Loi visant à interdire le port de tout vêtement cachant totalement ou de manière principale le visage”, che la Cour constitutionnelle (6 dicembre 2012) ha giudicato compatibile con l’art. 9 della CEDU. In Spagna il Tribunale supremo (6 febbraio 2013, n. 693/2013) si è pronunciato in senso sfavorevole sul divieto di accesso alle aree municipali o nei luoghi utilizzati per i servizi pubblici disposto dai sindaci nei confronti di coloro che indossano il velo integrale, il passamontagna, caschi integrali o altri tipi di indumenti o accessori che impediscano l’identificazione e la comunicazione visiva. Per il Tribunale supremo spagnolo eventuali limitazioni ai diritti fondamentali possono essere previste solo dalla legge per scopi legittimi e solo se «necessario in una società democratica» (Sulle problematiche del burqa in Spagna cfr. A. MOTILLA, El problema de la utilización de vestimentas religiosas en el espacio público: el asunto del «burqa» islámico en España, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1/2012, 133 e ss.). In Olanda il Consiglio di Stato si è espresso negativamente su alcuni progetti di legge in materia di divieto di indossare il velo integrale in pubblico (pareri 21 settembre 2007, 6 maggio 2008, 2 dicembre 2009 e 28 novembre 2011, cfr. A. OVERBEEKE, Verso un divieto generale del «burqa» nei Paesi Bassi, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1/20). I temi evocati devono essere legati da un lato alle questioni generali del multiculturalismo nella società attuale e dall’altro alla tutela c.d. multilivello dei diritti fondamentali della persona, che si realizza attraverso l’articolazione di strumenti che non necessariamente passano per le aule di giustizia. Le coordinate ermeneutiche di diritto europeo e nazionale costituiscono principi generali che evocano poi una traduzione in regole di condotta del singolo, atte COMUNI D’ITALIA 1/2016 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa a contemperare diritti e libertà da un lato, ed esigenze imperative di interesse generale dall’altro, che devono essere calate in contesti sociali e culturali in rapida evoluzione. Risulta per queste ragioni difficile ricorrere allo strumentario della legislazione di pubblica sicurezza ed al codice penale a fronte di una giurisprudenza che non sembra dare spazio a fattispecie incriminatrici, quantomeno nei termini in cui esse vengono richiamate da ordinanze e regolamenti comunali o locali in genere. In questa materia il margine di apprezzamento riservato agli Stati gioca un ruolo fondamentale: l’applicazione delle norme convenzionali, infatti, deve tener conto delle diversità sociali e culturali dei vari paesi, ai quali è riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo un adeguato grado di discrezionalità sul modo in cui i diritti e le libertà garantiti dalla CEDU trovano applicazione a livello nazionale, tenendo conto delle relative e particolari circostanze e condizioni. Il principio ha assunto gradualmente una portata più estesa, correlata all’esigenza dei singoli Stati di mantenere una propria specificità nelle modalità di bilanciamento fra diritti individuali e interessi pubblici (5). Sulla “dottrina del margine di apprezzamento” si è chiarito che la discrezionalità concessa agli Stati occupa un posto ben preciso nel sistema c.d. multilivello della tutela dei diritti umani, tenuto conto del ruolo sussidiario che la CEDU ricopre sul piano sovranazionale (6). Ciò vale soprattutto per questioni controverse in ordine alle quali gli Stati assumono posizioni eterogenee. Ritiene la Corte di Strasburgo, infatti, che sulle questioni che coinvolgono i rapporti tra lo Stato e le religioni, sulle quali possono esistere forti divergenze in una società democratica, occorre prendere atto che non è possibile avvalersi di una concezione uniforme in Europa del significato della religione nella società: l’impatto di atti corrispondenti all’espressione pubblica di una convinzione religiosa non sono gli stessi secondo le epoche e i contesti. Quindi la regolamentazione in materia può variare da paese a paese in funzione delle tradizioni nazionali e delle esigenze imposte dalla protezione dei diritti e delle libertà altrui e dall’ordine pubblico (CEDU Grande Camera, Leyla Sahin c. Turchia, sent. 10 novembre 2005). La dottrina osserva che il margine di apprezzamento svolge un delicato ruolo nel contenzioso portato davanti ai giudici di Strasburgo ed è spesso utilizzato per rinviare agli Stati le decisioni in materie particolarmente controverse o complesse, specie quando si ravvisa un basso livello di consenso tra gli Stati stessi su una specifica questione. Tra le decisioni più note della Corte Edu sul margine di apprezzamento si richiama quella relativa al caso Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, nella quale si evidenzia che non è possibile rinvenire nelle legislazioni nazionali degli Stati membri un concetto uniforme ed europeo di morale, che invece varia nel tempo ed è diversa da luogo a luogo. Pertanto, in ragione del loro diretto e continuo contatto con le forze vitali della società, gli Stati si trovano in una better position rispetto ai giudici internazionali quando si tratti di stabilire quali siano gli esatti contenuti della morale (7). Si comprende, quindi, come sia possibile che la Corte europea, pur giudicando le controversie sulla base dell’identico parametro offerto dall’art. 9 CEDU, abbia un approccio differente sulla materia dei simboli religiosi, valutando caso per caso e ispirando le proprie decisioni ad un prudente pragmatismo, nonché prendendo atto dei differenti modelli di laicità nell’esperienza contemporanea. Si pensi a paesi come la Francia e la Turchia, che sono gli unici due Stati del Consiglio d’Europa le cui Costituzioni proclamano il principio di laicità dello Stato, mentre in altri contesti un simbolo religioso quale il velo islamico può essere considerato una semplice manifestazione esteriore della propria fede religiosa. (5) A. Madera , E.N. Marchei, Simboli religiosi «sul corpo» e ordine pubblico nel sistema giuridico turco: la sentenza «Ahmet Arslan e altri c. Turchia» e i confini del principio di laicità, in “Diritto e religione in Europa”, cit., p. 123. (6) P. Tanzarella , Il margine di apprezzamento, in M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione: università e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, cit., 145 e ss. (7) C. Evans, Individual and Group Religious Freedom in the European Court of Human Rights: Cracks in the Intellectual Architecture, in Journal of Law and Religion, 26, 2010-2011, Zingales U.G., op. cit., p. 13. 47 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco libertà religiosa BIBLIOGRAFIA F. Minutoli, L’abbigliamento indossato in conformità a precetti religiosi nei luoghi pubblici, in Diritto e religione in Italia. Sul rapporto tra la libertà di religione e la libertà di espressione cfr. C. Salazar, I «destini incrociati» della libertà di espressione e della libertà di religione: conflitti e sinergie attraverso il prisma del principio di laicità, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, 1/2008, 67 e ss. J. Martínez-Torrón, La (non) protezione dell’identità religiosa dell’individuo nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in Diritto e religione in Europa. R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi, La laicità crocifissa. Il lodo costituzionale dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, Giappichelli, Torino, 2004. S. Mancini, Il potere dei simboli, i simboli del potere. Laicità e religione alla prova del pluralismo, Cedam, Padova, 2008. S. Ferrari, I simboli religiosi nello spazio pubblico, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2/2012. D. Tega , La Corte di Strasburgo torna a pronunciarsi sul velo islamico. Il caso Sahin c. Turchia, in Quaderni Costituzionali, 2004, p. 846 e ss. Sulla giurisprudenza amministrativa citata, E. D’arpe, Il sindaco non può vietare l’uso di burqa e di chador, in Corriere del merito, 12, 2006, 1496; V. Greco, Il divieto di indossare il velo islamico: tutela della sicurezza o strumento di lotta politica? 48 COMUNI D’ITALIA 1/2016 Quando il sindaco eccede i suoi poteri, in “Giurisprudenza di merito”, 9, 2007, 2426. A. Lorenzetti, Il divieto di indossare «burqa» e «burquini». Che «genere» di ordinanze?, in “Le Regioni”, 1-2/2010, 349 e ss. F. Vergine, Sui poteri dei sindaci in materia di sicurezza urbana, in www.altalex.com. idem, Segni religiosi e sicurezza pubblica. Il velo islamico, in Comuni d’Italia, settembre 2007. In ambito penale, cfr. Tribunale di Cremona, 27 novembre 2008, con commento di N. Folla , L’uso del burqa non integra reato in assenza di una previsione normativa espressa, in “Corriere del merito”, 3/2009, p. 295; V. Masarone, L’incidenza del fattore culturale sul sistema penale tra scelte politico-criminali ed implicazioni dommatiche, in “Diritto penale e processo”, 10/2014, 1237 e ss. M. D’A mico, Laicità costituzionale e fondamentalismi tra Italia ed Europa: considerazioni a partire da alcune decisioni giurisprudenziali, in “Associazione ital. Costituzionalisti”, n. 2/2015. B. Marchetti, Libertà religiosa e CEDU, Report annuale, 2011 - Italia, in “Iuspublicum”, settembre 2011. Sulla tutela multilivello si veda M. Cartabia, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, 2014, www.cortecostituzionale.it. Per un esempio di utilizzazione della dottrina del “margine di apprezzamento” da parte della Corte Costituzionale italiana sentenza n. 264/2012 e ordinanza n. 10 /2014. In dottrina cfr. C. Cinelli, Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte costituzionale italiana e margine di apprezzamento, in Riv. dir. int., 3/2014, p. 787 e ss.). COMUNI D’ITALIA 1/2016 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco ordinanze ambientali Le ordinanze ambientali (smog): cenni di Alberto Pierobon 1. Sintetici richiami alle ordinanze di necessità e urgenza Anzitutto va ricordato che il potere di ordinanza di urgenza e necessità deve rifarsi o esibire le seguenti caratteristiche, requisiti, presupposti (1): a) deriva da una norma di legge statale (cosiddetta “attributiva” o “autorizzatoria” o “legittimante” per la pubblica amministrazione) che non ne stabilisce il contenuto (che è “indeterminato”). Essa enuncia solo taluni elementi del potere: la competenza, il fine di interesse pubblico, i presupposti di necessità e urgenza; b) atipicità (2); c) fine di interesse pubblico (non la causa) dell’ordinanza; d) natura provvedimentale (3) e non legislativa; e) accertamento da parte di organi tecnici della situazione di pericolo o di danno che si intende fronteggiare con una discrezionalità tecnica; f) presupposto: la necessità (reale e attuale)(4) e l’urgen- (1) In proposito cfr. A. Pierobon, Le ordinanze di necessità e urgenza comunali in materia ambientale: prima ricostruzione, in questa Rivista, n. 11, 2007, p. 20 ss. (2) Si tratta infatti di uno ius singolare. (3) Sono atti a contenuto particolare e concreto, non generale e astratto, inoltre non è obbligatoriamente richiesta la loro pubblicazione legale, anche se nel caso in cui il provvedimento abbia carattere individuale, sono necessarie adeguate forme di pubblicazione, o di comunicazione al destinatario. (4) Si badi: la necessità non è l’autonoma fonte del diritto di disporre con l’ordinanza, ma è solo un presupposto. In dottrina si è anche ricorsi all’analisi dell’art. 54 del codice penale e all’art. 2045 del codice civile per riferirsi ai requisiti rinvenibili za (improrogabile: non si può fare altrimenti!); g) contingibilità: straordinarietà e imprevedibilità dell’evento; h)temporaneità; i)eccezionalità; j) proporzionalità (e adeguatezza) tra il fine (di interesse pubblico) e il rimedio alla situazione da fronteggiare; k) nesso di strumentalità (ragionevole controllabile); l) congruità ed utilità; m) inesistenza di alternative (residualità del rimedio); n) adeguata (e non generica) motivazione, anche per relationem; o) deve comportare il minore possibile sacrificio dell’interesse privato (in proposito si veda la questione del diritto soggettivo e interesse legittimo che può, nel caso concreto, vantare il soggetto destinatario); p) è di immediata eseguibilità ed esecutorietà; q) è fatto divieto per l’amministrazione procedente di perseguire interessi patrimoniali propri; r) non si può incidere patrimonialmente nei rapporti di obbligazione fra terzi (5); s) si può derogare alla legislazione vigente (non certo alle norme cosiddette “imperative”), giammai contro: la Costituzione, i principi generali dell’ordinamento (jus non scriptum), il diritto comunitario, e osservando il rispetto delle riserve di legge assolute e relative; la necessità della situazione tutelata dall’intervento pubblico, ovvero ai concetti di: a) inevitabilità; b) personalità; c) volontaria causazione; d) proporzionalità. (5) L’ordinanza è diretta a tutelare l’interesse pubblico pregiudicato dall’evento straordinario, mentre per la tutela degli interessi privati debbono invocarsi altri strumenti (per esempio la denuncia di danno temuto di cui all’art. 1172 c.c.). 49 COMUNI D’ITALIA Speciale: potere di ordinanza del Sindaco ordinanze ambientali t) non si devono vulnerare i poteri ordinari delle regioni (in quanto costituzionalmente protetti) (6); u) non definitività: con possibilità anche di ricorso gerarchico (a seconda della materia: Prefetto, Presidente della Giunta Regionale, ecc.); v) la forma scritta ab substantiam (7); w) sanzioni: se ricorre l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art.650 c.p. (norma cosiddetta “in bianco”), oppure le specifiche norme previste in materia (esempio procedura di cui alla Legge n. 689/1981, sanzioni ex art. 7-bis del d.lgs. n.267/2000). Com’è noto, l’ambiente è un valore costituzionale protetto (artt. 2, 9 e 32 Cost.), è un diritto soggettivo fondamentale (8), nel quale – come da insegnamenti giurisprudenziali – ricorre il bilanciamento tra diversi altri valori costituzionali. Ed è col ricorso ai principi (costituzionali o dell’ordinamento generale) che si offrono (in presenza di lacuna legis) possibilità interpretative per innovare l’ordinamento (ferma restando la sua unità sistematica, oltre che coerenza). Anche nelle ordinanze, occorre una qualcerta abilità scientifica da parte di chi ne ipotizza l’adozione e poi le formula. Oltre a rispettare e richiamare le anzidette caratteristiche, presupposti, etc. devesi adottare un procedimento logico-casistico,chiarendo quali siano i rapporti che con l’adozione dell’ordinanza, si intendono tutelare, avendo già soppesato e bilanciato (non come semplice sillogismo) tutti i “valori” ivi coinvolti (9). (6) In proposito cfr. A. Pierobon, L’emergenzialità nella gestione dei rifiuti, in qusta Rivista, n. 5, 2007. (7) Ma, si può ipotizzare che a fronte della gravità di un fenomeno (esempio terremoto) che non tollera indugi procedimentali o decisori, un provvedimento orale, poi da “ratificare” per iscritto. (8) O un diritto “sociale di prestazione”, si rinvia, ancora, a A. Pierobon, L’emergenzialità nella gestione dei rifiuti, cit., nota 6 a p. 38 et passim. (9) Sintomatica, in tal senso è la qualificazione giuridica che l’ordinamento appresta per determinati beni: diritti soggettivi o interessi legittimi, dai quali discende una diversa giurisdizione e una diversa possibilità (anche di prospettiva) nel sindacare i provvedimenti della pubblica amministrazione. In altri termini, al giudice dei diritti spetta la dichiarazione dei principi dell’ordinamento giuridico al fine di verificare se il potere della p.a. esista o meno; al giudice degli interessi legittimi spetta invece la verifica della corretta utilizzazione del rimedio come adottato dalla pubblica amministrazione, considerando il fine di interesse pubblico indicato direttamente, o indirettamente, dalla norma attributiva del potere. Nei diritti soggettivi gli interessi privati prevalgono sui poteri pubblici; ma vi sono anche i poteri dell’autorità pubblica (gli interessi pubblici) che prevalgono sui privati talchè il diritto soggettivo degrada a interesse legittimo. 50 1/2016 2. Emergenza smog! Che si fa? La grancassa mediatica vieppiù ci bombarda (evidenziando, talvolta enfatizzando, talaltra sottocendo o minimizzando) con i raggiunti, intollerabili, livelli di inquinamento atmosferico (10), tanto che si sta parlando, con sempre maggiore preoccupazione, di una “emergenza smog”. Questa emergenza consegue dall’inquinamento provocato, soprattutto (come livelli di concentrazione degli inquinanti nell’atmosfera) dai trasporti; dagli impianti di riscaldamento; dalla combustione di combustibili fossili (produzione energia elettrica); dagli usi civili; dai trasporti; dai processi industriali (in particolare chimici); dall’agricoltura (allevamenti); dalla gestione dei rifiuti; dai fenomeni atmosferici; ecc. (11). Uno studio condotto dal Centro comune di ricerca (Joint Research Centre, JRC) e dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)(12)ha sistematicamente analizzato gli studi disponibili sul particolato (del diametro minore di 10 e 2,5 micron, PM10 e PM2,5) e identificato le principali categorie di PM nell’aria urbana in 51 diverse città del mondo. In media, il traffico è risultato essere la principale fonte di inquinamento atmosferico, responsabile di un quarto delle polveri sottili nell’aria. Insomma, le fonti dell’inquinamento atmosferico urbano da polveri, pur con differenze significative tra varie regioni del mondo, sono: (10) Ciò nasce da un obbligo informativo di cui all’art. 18, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 155 attuativo della direttiva 2008/50/CE del 21 maggio 2008, sulla qualità dell’aria e ambiente, la quale disposizione prevede che le informazioni relative ai provvedimenti adottati dagli organi competenti in caso di superamento dei limiti di qualità dell’aria vengano diffuse anche tramite la televisione, la stampa e internet. Anche il d.lgs. n. 195/2005 (recepimento della direttiva 2005/4/CE concernente l’accesso del pubblico all’informazione ambientale), stabilisce che le regioni e le province autonome debbono adottare “tutti i provvedimenti necessari per informare il pubblico in modo adeguato e tempestivo attraverso radio, televisione, stampa, internet o qualsiasi altro opportuno mezzo di comunicazione”. In caso di superamento della soglia di informazione o delle soglie di allarme, vanno poi trasmesse al Ministero dell’Ambiente le informazioni circa i livelli misurati e la durata del superamento. Il Ministero dell’ambiente comunica tali informazioni alla Commissione europea e al Ministero della salute (vedi limiti dell’art. 19) ove le soglie siano riferite all’ozono, ed entro tre mesi dalla data della misurazione in caso di soglie riferite ad altri inquinanti. (11) Si veda l’apposito capitolo (ed altri interventi correlati) il volume collettaneo (a cura di A. Pierobon), Nuovo manuale di diritto e di gestione dell’ambiente, Santarcangelo di Romagna, 2012. (12) Da Le fonti dell’inquinamento atmosferico urbano, in www.arpat.toscana.it , 14 gennaio 2016, . COMUNI D’ITALIA 1/2016 - Il traffico (25%); - Le fonti non specificate di origine umana (22%); - La combustione domestica (20%); - Le polveri e sali naturali (18%); - Le attività industriali (15% ). Queste situazioni – quantomeno in presenza di certune condizioni e circostanze – profilano, se non comportano, rischi e/o pericoli per la saluta umana. In particolare, non va sottavalutato (nella loro “invisibilità”) che le polveri (fini e ultrafini) penetrano in profondità nell’apparato respiratorio, talvolta assorbendo ulteriori inquinanti atmosferici (metalli e altri) (13). Solitamente questi fenomeni, causativi di cambiamenti climatici, desertificazione, pioggie acide, etc., vengono fronteggiati con diverse scelte di politica ambientale (come giuridicamente normata) (14). Anzitutto con la regolamentazione delle autorizzazioni distinguendo i vari impianti civili e non. Qui la pubblica amministrazione valuta la compatibilità tra l’interesse pubblico (protezione salute e ambiente) e l’interesse dei soggetti che presentano i loro progetti causativi delle emissioni inquinanti di cui si è accennato. Poi sono stati stabiliti dei limiti alla qualità dell’aria, acqua, suolo, etc.: in pratica si consente un minimun di inquinamento (15), rendendo intollerabile l’eccedente. (13) I PM10 sono polveri inalabili che possono penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (dal naso alla laringe), mentre i PM2,5 sono polveri respirabili che possono penetrare nel tratto inferiore dell’apparato respiratorio (dalla trachea fino agli alveoli polmonari). In proposito, da diversi lustri, le avanguardie mediche formatesi sulle problematiche degli inceneritori e/o delle malattie da lavoro, dal cancro, ecc., sembrano essere state quelle più sensibili e attente alla problematica de qua. Gli studi epidemiologici, che come sappiamo richiedono un orizzonte lungo di analisi (20 e più anni circa) confermano queste loro risalenti preoccupazioni. In proposito va ricordata la figura di L. Tomatis, coraggioso scienziato, oncologo, medico e ricercatore, d’adozione triestina (che vantava brillanti esperienze in USA e in Francia) venuto a mancare nel 2007. Basta leggere uno dei suoi libri, quale Il fuoriuscito, Milano, 2005 per rendersi conto di che pasta fosse fatta quella splendida persona. Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo, purtroppo verso la fine della sua esistenza, comprendendone il preclaro equilibrio e saggezza, fuori dai molti estremismi che alitano in questa materia, purtroppo ancora oggi molto ideologicizzata e piegata a diversi interesse e parrocchie. (14) In fonti di rango diverso, ma comunque finalizzate a prevenire/ridurre queste emissioni. Ad esempio si vedano: il d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285. “Nuovo codice della strada” e il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 24 “Attuazione della direttiva 2009/33/CE relativa alla promozione di veicoli a ridotto impatto ambientale e a basso consumo energetico nel trasporto su strada”. (15) Ma i valori limite di emissione possono essere variamente Speciale: potere di ordinanza del Sindaco ordinanze ambientali Quale sia poi l’effetto sulla salute e sull’ambiente è un altro discorso, si tratta infatti di una scelta di politica ambientale che equilibra – le esigenze e i valori – tra economia, società e ambiente. In negativo stanno le sanzioni (si veda la recente introduzione degli ecoreati (16)) e (per estremizzare) le definizioni, quale quella di “danno” con i suoi rimedi, ecc. Qui la discrezionalità viene meno, ossia è vincolata, salvo che per le sostanze che non sono state normate (17). E pure con meccanismi economici (vedasi i cosiddetti meccanismi o certificati Kyoto (18)), incentivi, ecobonus, conto energia, contributi, regole tecniche di produzione e di commercializzazione (es. auto elettriche, uso del solare, dell’idrogeno,ecc.) la quale analisi non rientra nell’economia del presente scritto. Ora, come notato, è tornato prepotentemente alla ribalta mediatica (talvolta esacerbata da dispute “teologiche” sul tema più che sui fatti) il tema del cambiamento climatico, anche – sempre come accennato – per il tramite della drammatizzazione mediatica circa inondazioni, tempeste tropicali, nevicate atipiche, gelate, desertificazioni, inversioni termiche, e così via. Qui, come sempre accade con le emergenze (e di fronte ai dualismi,allargati “a forbice”, che impongono subitanee scelte), sembrano aprirsi non solo (obiettivamente) nuove opportunità occupazionali, ma pure occasioni, per così dire, “affaristiche”. Infatti, le lobbies e le resistenze qui non mancano di certo, poiché – ognun se ne avvede – si vengono a toccare rilevantissimi interessi industriali (petroliferi in primis , ma non solo). Per cui rieccoci al confronto (guerra o pace camuffata che sia) tra gli scienziati pro/contro, tra i politici pro e concontinua a p. 59 } tro, assieme alla loro pletorica corte di funzionari e consulenti che spesso si schierano secondo l’interesse del momento o della cordata, ossia assumendo una posizione opportunistica, più che convintamente etica e responsabile fino in fondo (19). espressi, secondo la disciplina che prescrive e che consente delle facoltà: come flussi di massa annuali in rapporto al totale delle emissioni (considerando anche le emissioni diffuse?); come media oraria della percentuale/flusso di massa di sostanza inquinante medio per ora o di quello imposto per anno in rapporto al totale delle emissioni? (16) Cfr. A. Pierobon, Ecoreati e attività tecnica e di consulenza, in “L’Ufficio Tecnico”, luglio-agosto 2015. (17) Nella parte V del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. “codice ambientale”) artt. 267-298, sulle “Norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera” le polveri totali hanno un range minimo/massimo dei valori di emissione. (18) Sui quali, amplius, si veda l’apposito capitolo sempre in Nuovo manuale, cit. (19) Cfr. A Pierobon, Nuove opportunità per i tecnici, consulenti 51 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco ordinanze ambientali Sembra, che ci si avventuri così in un territorio settario o di appartenze, ma così non è (almeno uscendo dalla gabbia dualistica). Basti solamente pensare che i predetti scienziati e/o professionisti, assieme ai legali svolgono prestazioni supportanti l’attività amministrativa, come pure nell’ambito giudiziale (in veste di periti, CTU, CTP, ecc.). Sono problemi che (in varie salse, densità, intensità, complessificazione) troviamo calati anche nella materia dell’emergenza e delle ordinanze da emettersi. Anche qui sorge la doverosa, preliminare, domanda del “devo? perché? come?” eziandio in presenza di situazioni nelle quali si dichiara (previa istruttoria esperita) l’eccezionale ed urgente necessità di intervenire – immediatamente – per tutelare i beni giuridici protetti, con una durata, entro un certo termine (contingibilità) e con equilibri e dosaggi che vanno ricercati con sapiente ponderazione. Tra altro, ci si dibatte tra provvedimenti a contenuto vincolato e a contenuto discrezionale, comunque sempre da motivare e da supportare. Difatti, ci si premura di previamente acquisire pareri e/o indagini ad hoc, oppure delle obiettive valutazioni/accertamenti tecnici ambientali, riferite al caso, di volta in volta, all’esame. Pervero, anche da fonte prefettizia non manca chi – pungolando una scelta in questa via crucis, paventa una responsabilità penale in caso “di inerzia degli enti preposti” (20). Nelle emissioni le provincie possono emettere – ma nell’ambito del solo rispetto della legge e dell’autorizzazione da esse rilasciata - ordinanze ex art. 278 codice ambientale, mentre i Sindaci emettono le notissime ordinanze contingibili ed urgenti, ex artt. 54 (21) e 107 del e periti (prima parte), in “L’Ufficio Tecnico”, dicembre 2015, nonché la “parte seconda”, di imminente pubblicazione. (20) Ad esempio il Prefetto di Venezia con nota prot. 70249 del 23 dicembre 2015 inoltrata a enti locali e altri. Ad esempio, la Procura di Firenze recentemente aveva accusato vari amministratori pubblici (presidente regione Toscana, sindaco di Firenze, altri assessori e sindaci) di aver disatteso la normativa europea che pone un limite ai giorni di superamento dei valori tollerati per la presenza di sostanze inquinanti nell’aria PM10 e biossido di azoto) e di non aver adottato – negli anni successivi al 2005 - misure per la tutela dei cittadini. La corte d’appello di Firenze, come già deciso in primo grado, ha assolto questi amministratori perché il fatto non sussiste. “I consulenti sono costati 372 mila euro – ha commentato uno dei difensori, l’avvocato Marco Passagnoli – per un flop che a ben vedere poteva essere individuato fin dall’inizio” F. Servatici, in “La Repubblica”, 27 novembre 2014. (21) In particolare vedasi il comma 3 dell’art. 54: Attribuzione 52 COMUNI D’ITALIA 1/2016 TUEL (d.lgs. 18 agosto 2000,n. 267). Siamo fuori dall’ordinaria attività amministrativa, ma si cerca di creare “appoggi” normativi non solo nei riferimenti (già esistenti) alla normativa comunitaria (direttiva 2008/50/CE del 21 maggio 2008, sulla qualità dell’aria e ambiente) e nazionale (d.lgs. 13 agosto 2010, n. 155 (22) di attuazione della predetta direttiva (23); d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 parte “V” aria;etc.) ma soprattutto attraverso la legislazione regionale (o delle provincie autonome) in materia, quali sono i piani regionali per la tutela e il risanamento dell’atmosfera (nelle varie denominazioni volute dalle regioni)(24). Per cui le ordinanze, sempre rispettando e richiamandosi agli elementi e condizioni dianzi precisate, sono funzionalizzate a prevenire e ridurre i livelli di concentrazione degli inquinanti nell’atmosfera. Sappiamo che la qualità dell’aria dipende da un sacco di cose e varia a seconda di quando viene misurata e come e dove. Ad esempio i risultati cambiano da periodo invernale ad estivo, a seconda delle condizioni metereologiche attuali o attese; se si misurano con centraline mobili o stazioni fisse (eppoi la durata del monitoraggio) se nel territorio di misurazione sono presenti autostrade (pestifere sotto questo profilo di ammorbamento dell’aria) o industrie chimiche o agricoltori dediti all’abbruciamento di ramaglie o vegetali; ed altro ancora. del sindaco nei servizi di competenza statale. Potere del sindaco di emanare ordinanze in casi di emergenza connessi al traffico e/o con l’inquinamento atmosferico o acustico - Adempimento previsto: ottemperanza di tali provvedimenti. (22) Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa. Questo decreto quadro è stato attuato con vari diversi decreti. (23) Il cui allegato XI indica i limiti di concentrazione del PM10 in 50 microgrammi per metro cubo, non più di 35 volte l’anno, con valore medio non superiore a 40 microgrammi per metro cubo. Per il PM 2,5 (particolato con diametro inferiore a 2,5 micron) il limite è di 25 µg/metro cubo come media annua. Il limite per il biossido di azoto (NO2) è di 40 µg/metro cubo, con concentrazione media oraria di 200 non superando non più di 18 giorni l’anno. (24) Va detto che il d.lgs. n. 155/2010 impone la zonizzazione di tutto il territorio nazionale (art. 3) in base alla densità delle emissioni, alle caratteristiche orografiche, alle caratteristiche meteo-climatiche, al grado di urbanizzazione, ecc. Poi la classificazione (art. 4) delle zone e la valutazione della qualità dell’aria (art. 5) al punto che in sede di VIA o AIA le autorià possono imporre ulteriori e/o nuove installazioni di stazioni di misurazione (guardando ai bioindicatori e altro). Inoltre si debbono prevedere (art. 10 e decreti recepimento) dei piani di riduzione del rischio, prevedendo le azioni limitanti, se non sospensive, alle attività causative delle emissioni di cui trattasi. L’art. 17 contempla i metodi e gli strumenti di misura della qualità dell’aria e la programmazione dei controlli. COMUNI D’ITALIA 1/2016 3. Conclusioni Non possiamo evitare di considerare che i provvedimenti di cui trattasi vengono assunti per tamponare (limitare o sospendere), cioè provvisoriamente, alle situazioni di “sforamento” dei prefissati limiti di emissione di inquinamento atmosferico. Insomma, si fa rientrare la vita civile e produttiva entro la “tollerabilità” di un inquinamento che si deve, in un certo senso, subire nella logica (o rincorsa?) dello sviluppo (progresso?) economico-sociale. Nel patologico, cioè quando si cominciano a intravvedere (nell’invisibilità del fenomeno e nei suoi effetti striscianti, di lungo periodo) le problematiche di salute della popolazione (o di parte di essa), allora si accende la “spia” sanitaria che parimenti impone, al di là dei limiti – e della tollerabilità – ambientali/e di cui si è detto, una attivazione c.d. “emergenziale” . Ma andando a un ragionamento di sostanza, cosa sembra emergere? Forse che imporre la limitazione di circolazione ai veicoli secondo una rotazione secondo il criterio della targa alterna aiuta a risolvere il problema? Imporre alle famiglie di tenere la temperatura dei propri impianti sotto una certa soglia risolve il problema? E così via. Piuttosto, e più seriamente – ognun se ne avvede – qui servono interventi programmatici, duraturi e soprattutto seri. Ad esempio – quale modello che rispetta la normativa adottando un approccio molto pratico – si veda il decreto Presidente Provincia di Bolzano n. 37 del 15 settembre 2011 (regolamento sulla qualità dell’aria, attuativo della legge provinciale n. 8 del 16 marzo 2000) che, a noi pare, contenere dei primi elementi (anche procedurali) utili a tal fine. Il Piano di qualità dell’aria si rifà agli obiettivi comunitari e nazionali, ma (come per altri) “può individuare obiettivi di qualità dell’aria più restrittivi dei valori limite (nazionali e comunitari n.d.r.)” si noti “allo scopo di preservare la migliore qualità dell’aria ambiente compatibile con le strategie di sviluppo sostenibile attraverso l’applicazione di provvedimenti che non comportino costi sproporzionati”. Vengono poi indicate le misure (“piano di azione”) che dapprima tutelano la popolazione, per le conseguenze a breve termine, per la salute, cosiccome generate da inquinamento superiore a talune soglie di allarme. Si tratta – è evidente – di provvedimenti straordinari e contingibili per situazioni che vanno però assunti “al fi- Speciale: potere di ordinanza del Sindaco ordinanze ambientali ne di limitare o di sospendere le attività che contribuiscono all’insorgenza del superamento o del rischio di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme”. Il tutto prevedendo (come impone anche la legislazione nazionale ed europea) la diffusione delle informazioni alla popolazione, fornendo al contempo utili indicazioni comportamentali. Il meccanismo poi prevede che ove siano constatati o previsti ( il che ci riporta ad una anticipazione ragionevole degli eventi sulla base di valutazioni storicoscientifiche) superamenti delle soglie di allarme (individuate) per il biossido di zolfo (SO2) o per il biossido di azoto (NO2) l’Agenzia ambientale deve informare immediatamente i sindaci territorialmente competenti e altri organismi previsti. In tal caso (ecco la doverosità fuori da discrezionalità), scatta il “piano di azione”: i Sindaci emanano le ordinanze di urgenza per proteggere la salute dei cittadini e per ridurre tempestivamente le emissioni degli inquinanti responsabili del superamento. Qui le attività sindacali sono previste ex ante, anche distinguendosi tra il periodo estivo e non - senza districarsi tra interpretazioni sofistiche e/o burocratiche e/o scientifiche -aiutando a far rientrare la situazione (del superamento dei limiti), altresì consentendo una correlazione tra la sorgente delle emissioni (donde un utile e fruttuoso incrocio, ad esempio, tra l’inventario delle emissioni e la classificazione delle zone, ecc.), tale da fornire agli enti pubblici (ma anche alla popolazione) ulteriori informazioni utili da considerarsi per le previsioni future (e nei modelli). Ecco i primi concreti germi (e spunti) per la circolarità e per la socializzazione delle informazioni per compattare le azioni in una logica sistemica e pianificatoria, piuttosto che consolatoria o di allarme. Ad esempio, si potrà decidere (come previsto in allegato “C” al prefato decreto) di limitare la circolazione per i veicoli dotati di certuni motori (escludendo le autovetture a gas, elettriche e ibride: il che diventa una scelta che indirettamente incentiva l’acquisto/utilizzo di queste diverse vetture) come pure si può imporre di limitare l’utilizzo dei piccoli impianti a legna (stante le emissioni di fumo atipiche: non esclusivamente in via generalizzata colpendo tutti gli utilizzatori dei caminetti o impianti). Insomma, a noi pare, che i comuni anche versando in siffatte situazioni emergenziali, ovvero nel ricorrere alle ordinanze in parola, debbano essere da un lato sgravati dall’esercire una (sia consentito “eccedente”, forse sproporzionata) discrezionalità; dall’altro gli 53 Speciale: potere di ordinanza del Sindaco ordinanze ambientali amministratori e i funzionari vanno come dire “aiutati” nella loro “doverosità” dell’azione amministrativa che non può conseguire dalla mera paura di incorrere in responsabilità penale. Le scelte degli amministratori locali debbono bensì discendere dalla funzione di tutela della salute e dell’ambiente della propria collettività. Si tratta di una azione che non può essere disgiun- 54 COMUNI D’ITALIA 1/2016 ta dai noti (anzidetti) “valori” costituzionali e neppure evitare di aggiornarsi alla nuova visione dello sviluppo sostenibile. Rispetto e atteggiamento che non possono giammai adombrarsi, ma che anzi vanno decisamente promossi e coltivati, oltre che concretamente perseguiti con una attività programmatoria piuttosto che di provvedimenti emergenziali. COMUNI D’ITALIA 1/2016 formulario acquisti Acquisti autonomi, acquisti nel MEPA, acquisti tramite convenzione Consip di Marzia Alban La legge di stabilità 2016 (l. 208/2015) contiene l’ennesima manovra di “razionalizzazione” dei processi di approvvigionamento di beni e servizi per le amministrazioni pubbliche, e insieme di spending review, introducendo rilevantissime modifiche ad una pluralità di disposizioni, già modificate a più riprese dai recenti interventi di spending review. Ovviamente non si tratta di “testo unico” organico sulle modalità di acquisizione di beni e servizi, ma di continue modifiche, integrazioni, soppressioni di parole, periodi o frammenti di periodi di norme precedenti. Agli operatori è lasciato il non agevole compito di ricostruire un mosaico sempre più complesso, dove le diverse tessere sono contenute in una miriade di leggi finanziarie o decreti legge anticongiunturali o di spending review. Anche le “Tabelle obblighi-facoltà” elaborate da Consip sulle procedure previste per le diverse tipologie di p.a. sono da tempo non aggiornate: un altro sintomo dell’avvertita difficoltà di inseguire novità che si succedono ad un ritmo sempre più frenetico e disordinato (…) una triste ordinarietà con cui purtroppo deve fare i conti chi è deputato agli acquisti. Il solito mastodontico art. 1 della Legge Finanziaria nei commi da 494 a 512 prevedono il “Rafforzamento dell’acquisizione centralizzata di beni e servizi”. La relazione tecnica, spiega che “le norme per il rafforzamento dell’acquisizione centralizzata sono volte a conseguire una maggiore economicità ed efficienza negli approvvigionamenti di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, garantendo risparmi di spesa tramite la riduzione dei prezzi unitari d’acquisto. I nuovi strumenti che agiscono sul lato della domanda, incluso lo sviluppo di gare aggregate, e le misure volte al rafforzamento degli strumenti sul lato dell’offerta, offrono alle pp.aa. strumenti per effettuare riduzioni della spesa per l’acquisto di beni e servizi nel solco già tracciato dal d.l. 66/2014. Le principali novità riguardano: - Obbligo più stringente per gli enti locali di ricorso alle convenzioni Consip o centrali di committenza regionali per le categorie merceologiche individuate all’art. 1, comma 7 del d.l. 95/2012 (comma 494); - Obbligo di utilizzo per le società pubbliche controllate dallo Stato o dagli Enti locali di utilizzare il parametro di prezzo qualità delle convenzioni Consip (comma 498); - inserimento degli enti locali tra i soggetti che oltre determinate soglie e per definite categorie di beni e servizi, si rivolgono a soggetti aggregatori (comma 499); - autorizzazione anche per i comuni sotto i 10.000 abitanti della possibilità di procedere autonomamente, e non tramite CUC, per gli acquisti di valore inferiore a 40.000,00 euro (comma 501). Il limite era stato imposto dall’art. 23-ter, comma 3 del d.l. 90/2014; 55 formulario acquisti COMUNI D’ITALIA 1/2016 - previsione del limite di 1000,00 euro di importo per acquisti di beni e servizi oltre il quale vige l’obbligo del ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione (comma 502); - Estensione dell’oggetto degli strumenti di acquisto e negoziazione messi a disposizione da Consip, anche alle attività di manutenzione (comma 504); - Obbligo di programmazione biennnale, con aggiornamenti annuali, per gli acquisti di beni e servizi di importo stimato superiore a un milione di euro (comma 505); - Obbligo per l’acquisizione di beni e servizi in materia di informatica e di connettività di procedere esclusivamente tramite Consip o soggetti aggregatori (comma 512). Il formulario propone tre schemi per l’affidamento a seconda si proceda autonomamente, nel MEPA o tramite convenzione Consip. 56 COMUNI D’ITALIA 1/2016 formulario acquisti Determinazione tipo di Aggiudicazione per acquisto autonomo Determinazione del Responsabile del servizio di ............................. N. reg. part. ............................. N. reg. gen. ............................. Li ............................. Oggetto: Aggiudicazione della fornitura di ............................. - Codice C.I.G.: ............................. : .............................Impegno di spesa. IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO PREMESSO che si rende necessario procedere all’acquisto di .............................onde assicurare il regolare svolgimento del servizio di ............................. VISTO l’art. 125 del D.lgs. 163/2006; Rilevato che la fornitura, per tipologia ed importo, rientra nel disposto degli artt. ................... del Regolamento per lavori, provviste e servizi da eseguirsi in economia approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. ......... del ................... e successive modificazioni; VISTO l’art. 1, c. 502 della L. 208/2015 (1) che indica in € 1000,00 l’importo di beni e servizi dal quale vige l’obbligo del ricorso al mercato elettronico di cui al d.P.R. 207/2010 ; RITENUTO, dato l’importo in questione pari a circa € 900,00 di procedere autonomamente; (2) CONSIDERATO che si è provveduto a formulare una richiesta di offerta (3) per negoziare prezzi e condizioni migliorative e specifiche, nella quale sono state specificate le clausole essenziali del contratto, selezionando n. .........fornituri, scelti fra quelle iscritte all’Albo dei Fornitori ed altre di fiducia, le quali hanno fatto pervenire le loro offerte; RITENUTO di aggiudicare la fornitura alla/e ditta/e risultata/e la/e migliore/i offerente/i, ovvero: ............................. come indicato nel prospetto comparativo, agli atti del Settore .............................; (4) RITENUTA la congruità dell’offerta; Accertato che la ditta aggiudicataria ha presentato l’autocertificazione inerente il possesso dei requisiti di natura generale di cui all’art. 38 del d.lgs.163/2006 ed il foglio patti e condizioni debitamente sottoscritti; VISTO il Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali approvato con d.lgs. n. 267 del 18.8.2000, ed in particolare gli artt. 107 e 192; VISTO il d.lgs. n. 163/2006 Codice Appalti, ed in particolare l’art. 125; VISTO il Regolamento comunale per la disciplina degli acquisti in economia; VISTA la delibera del Consiglio comunale n. ......... del.............., dichiarata immediatamente eseguibile, che ha approvato il bilancio triennale per gli anni............................. e la deliberazione di Giunta n. …., adottata in data…, dichiarata immediatamente eseguibile, con la quale è stato approvato il PEG per l’anno............................. VISTI gli articoli 37 del d.lgs 33/2013 ed 1, comma 32 della legge 190/2012; VISTO il decreto sindacale n. ....... del............................. DETERMINA 1) di affidare alla ditta “.............................” di ............................. la fornitura di quanto specificato nella premessa narrativa; (5) (1) Il comma 502 della l. 208/2015 modifica l’art. 1, comma 450 della l. 296/2006 relativo al mercato elettronico della p.a, ponendo un limite di € 1000,00 per l’importo dei beni e servizi da acquistare per i quali vige l’obbligo del ricorso del mercato elettronico di cui al d.P.R. 207/2010. (2) Le amministrazioni saranno dunque libere di effettuare l’acquisto con modalità elettronica o meno per importi infra mille euro. Così vengono semplificati gli acquisti “in economia” come disciplinati dai propri regolamenti interni, ed effettuati mediante negoziazione diretta con i fornitori locali, emissione di buono d’ordine e gestione mediante cassa economale, o con procedure equivalenti e comunque semplificate. (3) Le nuove disposizioni sono fortemente a rischio elusione, perché le p.a. potrebbe essere tentata di frazionare gli acquisti pur di rientrare nella cifra massima. Pertanto nell’applicazione della norma si dovrà tenere conto del noto principio del divieto di frazionamento artificioso, previsto dall’art. 29, comma 4 del Codice degli Appalti (“nessun affidamento può essere frazionato al fine di escluderlo dall’osservanza delle norme che troverebbero applicazione se il frazionamento non vi fosse stato”). (4) L’utilizzo del MEPA non è più obbligatorio fino all’importo di € 100,00, ma qualora l’Amministrazione preferisca procedere comunque su MEPA, per ragioni di economia procedurale, potrà individuare nel Mercato Elettronico lo specifico metaprodotto per il servizio di cui si ha necessità e procedere con un ordine diretto (ODA) ; (5) Proprio con riguardo all’obbligo di preventiva escussione dei sistemi di e-procurement, è stata introdotta una deroga per i “microacquisti” di importo inferiore a 1.000 euro . Con tale intervento viene restituita anche l’opportuna semplificazione per gli acquisti “economali” disciplinati dai regolamenti interni delle p.a., ed effettuati mediante negoziazione diretta con i fornitori locali, emissione di buono d’ordine e gestione mediante cassa economale, o con procedure equivalenti e proporzionate alla modestissima entità della spesa. 57 formulario acquisti COMUNI D’ITALIA 1/2016 2) di impegnare allo scopo la somma complessiva di euro ..............., IVA compresa; 3) di imputare la spesa di € ..............., alla Missione............................. programma.............................Titolo............................. cap. ............... alla voce “...............” del Bilancio .............................; 4) di dichiarare che l’obbligazione diverrà esigibile entro ............................. (indicazione della scadenza dell’obbligazione giuridica) 5) di dare atto di aver accertato preventivamente che la presente spesa è compatibile con i relativi stanziamenti di cassa e con le regole del patto di stabilità interno, ai sensi dell’art. 183, c. 8 del TUEL. 6) di disporre che il presente provvedimento venga pubblicato all’Albo Pretorio ai sensi dell’art. ........ del Regolamento comunale per la disciplina dei contratti ed, inoltre, di adempiere agli obblighi di pubblicazione sul portale dei dati previsti dagli articoli 37 del d.lgs. 33/2013 ed 1, comma 32 della legge 190/2012 il PTTI approvato con DGC n. ....... del ............................. evidenziando quanto segue: (6) CIG struttura proponente oggetto procedura di scelta del contraente elenco operatori invitati a presentare l’offerta aggiudicatario importo aggiudicazione determinazione approvazione tempi completamento Periodo pubblicazione importo somme liquidate IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO ............................................ ATTESTAZIONE ai sensi dell’art. 183 comma 7, TUEL Importo della spesa: euro ............................. Impegno contabile: n. ................................... Capitolo di bilancio: ...................................... Missione: ...................................................... Programma: .................................................. Si assicura al riguardo di aver effettuato con esito positivo la valutazione di incidenza del provvedimento sull’equilibrio finanziario della gestione, dando atto altresì che dalla data odierna il suddetto provvedimento è esecutivo a norma dell’art. 183, comma 7, t.u. li ........................... IL RESPONSABILE SERVIZI FINANZIARI .................................................................. (6)Anche per i piccoli acquisti permane l’obbligo di trasparenza previsto dal d.l.gs 33/2013 e dalla l. 190/2012: la tabella riassume i dati da pubblicare e da trasmettere all’ANAC entro Gennaio di ogni anno. 58 COMUNI D’ITALIA 1/2016 formulario acquisti Determinazione tipo di Aggiudicazione previo esperimento di RDO sul Mercato elettronico Determinazione del Responsabile del servizio di ............................ N. reg. part. ............... N. reg. gen. ............... li ............... OGGETTO: Aggiudicazione della fornitura/del servizio di ............................. per la durata contrattuale dal.............................al ............................. - Codice C.I.G.: ............................. : .............................Impegno di spesa. IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO PREMESSO che si rende opportuno/necessario provvedere in ordine alla fornitura/servizio di .............................per la durata dal.............................al........ ..................... Dato atto che l’importo della suddetta fornitura risulta di valore inferiore alla soglia di rilievo comunitario; RILEVATO che la fornitura, per tipologia ed importo, rientra nel disposto degli artt. ............................. del Regolamento per lavori, provviste e servizi da eseguirsi in economia approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. .......... del ............................. e successive modificazioni;(1) RICHIAMATO il D. l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con l. 135 del 7 agosto 2012 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”, che all’art 1 impone alle Pubbliche Amministrazioni l’obbligo di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. siano essi Convenzioni o offerte presenti nel MEPA (Mercato Elettronico delle Pubbliche Amministrazioni); DATO atto che ai sensi dell’art. 26, comma 3 della legge 488/1999 le amministrazioni che procedono autonomamente negli approvvigionamenti di beni e servizi, senza l’utilizzo delle convenzioni Consip, devono comunque rispettarne i relativi parametri di prezzo e qualità; (2) CONSIDERATO CHE l’Ente non ha aderito alle convenzioni Consip di cui all’art. 26, comma 1, della legge 488/1999 per l’approvvigionamento in oggetto, rispettando, tuttavia, quanto disposto dall’art. 26, comma 3, della citata legge, avendo utilizzato i parametri di prezzo e qualità contemplati nelle predette convenzioni come limite massimo, ed escludendo, conseguentemente, le offerte peggiorative sotto il profilo economico e prestazionale;(3) DATO ATTO che la presente fornitura/servizio supera l’importo di € 1000,00 e pertanto secondo la previsione dell’art. 1, c. 502 della l. 208/2015 vige l’obbligo del ricorso al mercato elettronico di cui all’art. 328 del d.P.R. 207/2010 (4) VISTA la determinazione n. del…….con la quale è stata indetta procedura di acquisto in economia ai sensi dell’art. 125 del Dlgs 163/2006 e del d.P.R. 207/2010; CONSIDERATO che si è provveduto all’interno del MEPA a formulare una richiesta di offerta (RdO n. .......... del............................. per negoziare prezzi e condizioni migliorative e specifiche, nella quale sono state specificate le clausole essenziali del contratto, selezionando n. ............................. fornituri, scelti (1) La presente determinazione tipo comprende gli importi da 1000,00 euro, fino alla soglia comunitaria. Tra le numerose novità della Legge 208/2015, alcune erano state fortemente richieste in una prospettiva di semplificazione, specie per i piccoli enti. È stata alla fine concessa la tanto agognata deroga per l’attività contrattuale minore di importo infra 40.000 euro, anche ai comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti (comma 501, che modifica l’art. 23-ter d.l. 90/2014 conv. l. 114/2014). Si tratta di un condivisibile intervento, dettato dalle pressanti richieste dell’ANCI di snellimento della gestione dell’attività contrattuale minore, ancorchè a ben vedere contraddica la finalità di rafforzamento della centralizzazione voluta dal legislatore. La deroga, va sottolineato, riguarda peraltro solo l’obbligo di centralizzazione secondo le modalità di cui all’art. 33, comma 3-bis del Codice, ma non quello di effettuare acquisti di beni e servizi mediante il prioritario ricorso agli strumenti elettronici (MEPA, altri mercati elettronici o sistemi telematici di negoziazione), attesa la persistente vigenza dell’art. 1, comma 450, II periodo, l. 296/2006, ovvero il ricorso ai soggetti aggregatori, come stabilito dal riformulato art. 9, comma 3, d.l. 66/2014, ora mitigato per gli acquisti di beni e servizi pari o superiori ai 1.000,00 euro. (2) Il comma 494 modifica il decreto 95/2012 nella parte in cui prevede la deroga all’obbligo per le p.a. di approvvigionarsi attraverso convenzioni per un elenco definito di categorie merceologiche. Tra le innovazioni più rilevanti, va segnalato che si disapplica per il periodo dal 1 gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, la c.d. “outside option”, ovvero la possibilità per le pp.aa. di ottenere condizioni economiche migliori rispetto alle convenzioni Consip grazie al rilancio competitivo mediante procedure autonome. (3) OPPURE: (CONSIDERATO CHE non sono attive convenzioni Consip di cui all’art. 26, comma 1, della legge 488/1999 aventi ad oggetto beni e/o servizi comparabili con quelli relativa alla presente procedura di approvvigionamento;). (4) L’obbligo per le amministrazioni di procedere ad acquisti di beni e servizi esclusivamente tramite strumenti telematici (strumenti Consip, strumento telematico della centrale regionale di riferimento, altro mercato elettronico della SA) vale ora per importi tra i 1.000 euro e la soglia comunitaria. Quindi i micro affidamenti di beni e servizi sotto i 1.000 euro, a partire dal 1° gennaio 2016, non ricadono più nell’obbligo di approvvigionamento telematico introdotto dalla speding review del 2012. 59 formulario acquisti COMUNI D’ITALIA 1/2016 fra le imprese iscritte al Mercato elettronico, le quali hanno fatto pervenire le offerte indicate nel verbale di gara n. ............ agli atti del Settore .............. ...................................; RITENUTO di aggiudicare la fornitura alla/e ditta/e risultata/e la/e migliore/i offerente/i, ovvero: ............................., come indicato nel prospetto comparativo e nella relazione in data............................., agli atti del Settore .............................; RITENUTA la congruità dell’offerta; ACCERTATO CHE le ditte partecipanti alla procedura di approvvigionamento hanno provveduto ad effettuare il versamento del contributo all’Autorità di vigilanza;(5) ACCERTATA l’assenza di rischi di interferenza nell’esecuzione dell’appalto; (6) DATO ATTO che sono stati espletati con esito favorevole i controlli di cui all’art. 48, comma 2, del d.lgs n. 163/2006, concernenti il POSSESSO dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa; ACCERTATO che la ditta aggiudicataria ha presentato l’autocertificazione inerente il possesso dei requisiti di natura generale di cui all’art. 38 del d.lgs. 163/2006 ed il foglio patti e condizioni debitamente sottoscritti; (7) VISTO il verbale di gara n. ...................../........ agli atti del Settore .............................; VISTO il Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali approvato con d.lgs. n. 267 del 18.8.2000, ed in particolare gli artt. 107 e 192; VISTO il d.lgs.. 81/2008 ed, in particolare, l’art. 26 comma 6; VISTA la determinazione dell’Autorità per la vigilanza n. 3 del 5.3.2008; VISTO il d.lgs. n. 163/2006 Codice Appalti, ed in particolare l’art. 125; VISTO il d.P.R. n. 207/2010 Regolamento di attuazione del Codice dei contratti con particolare riferimento all’art. 328; VISTO l’art. 26 della legge 488/1999; VISTO il Regolamento comunale per la disciplina dei contratti, dei lavori, servizi e forniture in economia; VISTA la l. 123/2007, con particolare riferimento all’art. 8; VISTA la delibera del Consiglio comunale n. ...............del............................. dichiarata immediatamente eseguibile, che ha approvato il bilancio triennale per gli anni............................. e la deliberazione di Giunta n. ..............., adottata in data…, dichiarata immediatamente eseguibile, con la quale è stato approvato il peg per l’anno............................. VISTI gli articoli 2, comma 3 e 17, comma 1 del d.P.R. 62/2013, Regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici a norma dell’art. 54 del d.lgs.. 30 marzo 2001, n. 165, nonché il “Codice di comportamento dei dipendenti del Comune di ............................. “approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. ......... del .................; (8) Visti gli articoli 37 del d.lgs. 33/2013 ed 1, comma 32 della legge 190/2012; VISTO il decreto sindacale n. ............... del..................................... DETERMINA 1) di affidare alla ditta “.............................” di ............................. la fornitura di quanto specificato nella premessa narrativa, per la durata di............................. ; 2) di impegnare allo scopo la somma complessiva di euro ............................., IVA compresa; 3) di imputare la spesa di € ..............., alla Missione……….. programma………….Titolo............................. cap. ............................. alla voce “...............” del Bilancio ............................. 4) di dichiarare che l’obbligazione diverrà esigibile entro .............................(indicazione della scadenza dell’obbligazione giuridica) 5) di dare atto di aver accertato preventivamente che la presente spesa è compatibile con i relativi stanziamenti di cassa e con le regole del patto di stabilità interno, ai sensi dell’art. 183, comma 8 del TUEL. (9) 6) di dare atto che non sussistono costi della sicurezza per rischi da interferenza oppure di dare atto che i costi della sicurezza per rischio da interferenza sono pari a ............; (5) Da inserire qualora il valore della fornitura sia uguale o superiore a 150.000,00 euro al netto dell’IVA (6) OPPURE: Accertata la presenza di rischi di interferenza nell’esecuzione dell’appalto, provvedendo, conseguentemente, alla redazione del Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), allegato quale parte integrante del presente provvedimento. Nel documento è stato quantificato il costo per la sicurezza. (7) Con comunicato del Presidente, l’ANAC in data 10.12.2015 ha evidenziato che Consip, in qualità di gestore del MEPA, ai sensi dell’art. 71 del d.P.R. 445/2000, effettua controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive in ordine al possesso dei requisiti di carattere generale, rese dagli operatori in fase di abilitazione al MEPA e rinnovate ogni sei mesi. La singola stazione appaltante è invece tenuta a svolgere le verifiche in ordine al possesso di ordine generale esclusivamente nei confronti del soggetto aggiudicatario della singola RDO. (8) Si ricorda che le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, assicurando che ne siano a conoscenza e curandone la trasmissione agli esterni. (9) I punti 3, 4 e 5 del dispositivo assicurano l’allineamento con la contabilità armonizzata e i relativi principi introdotti dal d.lgs.. 118/2011 e ss.mm.ii. 60 COMUNI D’ITALIA 1/2016 formulario acquisti 7) di dare atto che il presente provvedimento diverrà efficace, ai sensi dell’art. 11, comma 8, del d.lgs. 163/2003 all’esito dei controlli relativi ai requisiti di cui all’art. 38; 8) di disporre la consegna, al prestatore affidatario dell’appalto, mediante comunicazione dell’indirizzo url del sito del Comune ove è pubblicato e reperibile, all’interno della sezione “Amministrazione trasparente”, il “Codice di comportamento dei dipendenti del Comune di ..........”, approvato con deliberazione della Giunta comunale n. ............ del ............., in conformità a quanto disposto dal d.P.R. 16 aprile 2013 n. 62, recante principi e obblighi la cui violazione costituisce causa di risoluzione del rapporto contrattuale con il fornitore, così come stabilito dall’art. 2, comma 3 del citato d.P.R.; 9) di disporre che il presente provvedimento venga pubblicato all’Albo Pretorio ai sensi dell’art. ............................. del Regolamento comunale per la disciplina dei contratti ed, inoltre, di adempiere agli obblighi di pubblicazione sul portale dei dati previsti dagli articoli 37 del d.lgs. 33/2013 ed 1, comma 32 della legge 190/2012 il PTTI approvato con DGC n. ............................. del ............................. evidenziando quanto segue: (10) CIG struttura proponente oggetto procedura di scelta del contraente elenco operatori invitati a presentare l’offerta aggiudicatario importo aggiudicazione determinazione approvazione tempi completamento Periodo pubblicazione importo somme liquidate IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO ............................................ ATTESTAZIONE ai sensi dell’art. 183 comma 7, t.u. Importo della spesa: E .................... Impegno contabile: n. ..................... Capitolo di bilancio: ........................ Missione: ........................................ Programma: .................................... Si assicura al riguardo di aver effettuato con esito positivo la valutazione di incidenza del provvedimento sull’equilibrio finanziario della gestione, dando atto altresì che dalla data odierna il suddetto provvedimento è esecutivo a norma dell’art. 183, comma 7, t.u.e.l. li .......................... il responsabile servizi finanziari .................................................... (10) Il provvedimento va pubblicato secondo le norme generali e i regolamenti dell’ente, nonché secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 33/2013, art. 37, e la l. 190/2012 e il Piano triennale per la trasparenza e l’integrità con tutte le informazioni sintetizzate nella tabella. 61 formulario acquisti COMUNI D’ITALIA 1/2016 Approvvigionamento mediante adesione a convenzione Consip Determinazione del Responsabile del servizio di ............................. N. reg. part. ............................. N. reg. gen. ............................. Li ................................................ Oggetto: Approvvigionamento mediante adesione a convenzione Consip di ............................. IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO PREMESSO: - che è necessario acquisire ............................. (1); - che la società Concessionaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze per i servizi informatici pubblici, Consip SpA, nell’ambito del programma di razionalizzazione degli acquisti nella pubblica amministrazione, ha stipulato, così come stabilito dall’art. 26 della Legge 23.12.1999, n. 488 s.m.i., una convenzione per la “.............................”; - che la suddetta convenzione rientra nel sistema di acquisti di beni e servizi offerto a tutte le amministrazioni, attraverso l’accesso al sito internet del ministero dell’Economia e delle Finanze; CONSTATATO che è attiva dal ............................., con scadenza .............................. la convenzione Consip “............................. lotti .............................” per la fornitura di .............................; RILEVATO che la predetta convenzione, stipulata ai sensi dell’art. 26 della Legge n. 488/1999 e s.m.i., dalla Consip S.p.A., (2) per conto del Ministero dell’economia e delle finanze, con ............................. comprende la seguente documentazione: · Capitolato Tecnico · Condizioni generali ·Convenzione ·Corrispettivi · Guida alla Convenzione · Offerta Tecnica · Referenti call center · Relazione Tecnica · Responsabili del servizio generale ·DVRI RITENUTO pertanto di aderire alla convenzione e di procedere alla fornitura di cui necessita nell’ambito della predetta convenzione che risponde pienamente alle esigenze dell’amministrazione comunale; CONSIDERATO, inoltre, che: - l’affidamento della fornitura tramite convenzione Consip (3) consente il contenimento della spesa e dei tempi, in conformità con i principi generali dell’azione amministrativa; (1) Il comma 494 della l. 208/2015 disciplina la fornitura a regime speciale (energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) mediante modifiche apportate al comma 7 dell’art. 1 d.l. 95/2012 conv. l.135/2012. La normativa previgente prevedeva la possibilità di effettuare acquisti autonomi tramite altre centrali di committenza o procedure di evidenza pubblica a prezzi inferiori di quelli delle convenzioni purché i contratti fossero sottoposti a condizione risolutiva in tal senso. Ora l’approvvigionamento al di fuori delle convenzioni Consip è possibile solo se risulta inferiore a determinate soglie percentuali: 10% per la telefonia, 3% per le altre categorie merceologiche individuate, con obbligo di trasmissione all’ANAC dei contratti stipulati in base a questa facoltà. Si tratta come noto di tipologie merceologiche caratterizzate da un elevato grado di standardizzazione e rispetto alle quali si colgono i maggiori vantaggi in termini di centralizzazione, grazie alle economie di scala prodotte dall’aggregazione di volumi consistenti di forniture. (2) In tema di convenzioni quadro, altra novità di rilievo riguarda l’estensione dell’obbligo di benchmarking (rispetto dei parametri prezzo-qualità delle convenzioni) alle società partecipate. Il comma 498 stabilisce invero che “Le società controllate dallo Stato e dagli enti locali che siano organismi di diritto pubblico ai sensi dell’articolo 3, comma 26, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ad eccezione di quelle che emettono strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati, utilizzano i parametri di prezzo-qualità di cui all’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488”. Si amplia così la logica, oramai inarrestabile, di estensione ad ulteriori soggetti pubblici dei vincoli della spending review o dell’opportunità di fare ricorso agli strumenti di acquisto centralizzati. (3) Nella prospettiva di un ulteriore potenziamento dell’attività di Consip (peraltro prevista anche nella legge delega per l’approvazione del nuovo Codice), la legge finanziaria stabilisce che gli strumenti di acquisto e di negoziazione messi a disposizione da Consip S.p.A. possono avere ad oggetto anche attività di manutenzione qualificabili come lavori pubblici (comma 504). Una novità che pare presagire l’apertura anche ad altri lavori, nella prospettiva dell’obbligo di digitalizzazione di tutte le procedure di gara entro il 1.1.2018. 62 COMUNI D’ITALIA formulario acquisti 1/2016 - l’adesione alla convenzione Consip esonera dall’effettuare verifiche sui requisiti della ditta fornitrice, dato che questa verifica è stata effettuata in sede di gara dalla stessa Consip, con conseguente semplificazione sotto il profilo amministrativo; ACQUISITO il CIG derivato(4) per la presente fornitura, stimata in €.............................; VISTO che, con deliberazione di Consiglio n. ............................. adottata in data ............................., dichiarata immediatamente eseguibile, è stato approvato il bilancio preventivo 201.................................. VISTI: - il decreto legislativo 267/2000 e successive modifiche e integrazioni ed, in particolare, gli artt.107, 151 comma 4, 163 co. 1 e 3, 183 e 192; - l’art. 37 del d.lgs 33 del 14 marzo 2013 e l’art. 1 comma 32 della legge 190/2012; - l’art. 26 della legge 23.12.1999, n. 488 e s.m.i.; - l’art. 3 della legge 13 agosto 2010 n. 136; - la determina dell’Autorità di Vigilanza n. 4 del 7.7.2011; - l’art. ............................. dello Statuto comunale; - l’art. ............................ del regolamento di contabilità; DETERMINA 1) di aderire alla convenzione Consip relativa a ............................. stipulata tra Consip spa e la ditta ............................. relativa al lotto n. ............................. 2) di autorizzare la fornitura di ............................. al prezzo di ..............................(5); 3 di imputare la spesa di € ............................. alla Missione............................. programma.............................Titolo............................. cap. ............................. alla voce ............................. del Bilancio ............................. 4) di dichiarare che l’obbligazione diverrà esigibile entro ............................. (indicazione della scadenza dell’obbligazione giuridica) 5) di dare atto di aver accertato preventivamente che la presente spesa è compatibile con i relativi stanziamenti di cassa e con le regole del patto di stabilità interno, ai sensi dell’art. 183, comma 8 del TUEL. 6) di autorizzare i conseguenti adempimenti esecutivi, consistenti nella predisposizione e sottoscrizione dell’ordinativo di acquisto (6); 7) di dare atto che il presente provvedimento ha efficacia immediata dal momento dell’acquisizione dell’attestazione di copertura finanziaria resa ai sensi dell’art.183, comma 7 del d.lgs. 267/2000; 8) di disporre che il presente provvedimento venga pubblicato all’Albo Pretorio ai sensi dell’art. ........ del Regolamento comunale per la disciplina dei contratti ed, inoltre, di adempiere agli obblighi di pubblicazione sul portale dei dati previsti dagli articoli 37 del d.lgs. 33/2013 ed 1, comma 32 della legge 190/2012 il PTTI approvato con DGC n. ............... del …............... evidenziando quanto segue: (4) Al momento dell’adesione a una convenzione o accordo quadro deve essere richiesto un CIG derivato rispetto al CIG padre acquisito dal RUP che ha gestito la gara. La funzionalità è già prevista nel sistema informatico dell’Autorità. Il tutto è confermato dalla determinazione ANAC n. 11 del 23.9.2015, al punto 4 . (5) Ulteriore significativa innovazione è quella recata dal comma 505 circa l’obbligo (e non più mera facoltà) di programmazione acquisti di beni e servizi. Si prevede che “Al fine di favorire la trasparenza, l’efficienza e la funzionalità dell’azione amministrativa, le amministrazioni pubbliche approvano, entro il mese di ottobre di ciascun anno, il programma biennale e suoi aggiornamenti annuali degli acquisti di beni e di servizi di importo stimato superiore a 1.000.000,00 euro.” Il programma biennale, predisposto sulla base dei fabbisogni di beni e servizi, indica le prestazioni oggetto dell’acquisizione, la quantità, ove disponibile, il numero di riferimento della nomenclatura, le relative tempistiche. L’aggiornamento annuale indica le risorse finanziarie relative a ciascun fabbisogno quantitativo degli acquisti per l’anno di riferimento. Il programma biennale e gli aggiornamenti sono comunicati alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, nonché pubblicati sul profilo del committente dell’amministrazione e sul sito informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture presso l’Autorità Nazionale Anti Corruzione. Viene contestualmente abrogato l’art. 271 del Regolamento (d.P.R. 207/2010) che stabiliva una mera facoltà di adottare strumenti programmatori per gli acquisti di beni e servizi. L’effettività del nuovo obbligo si ricollega alle sanzioni stabilite dalla nuova disposizione: la violazione delle previsioni è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti, nonché ai fini dell’attribuzione del trattamento accessorio collegato alla performance. Le acquisizioni non comprese nel programma e nei suoi aggiornamenti non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni. Sono fatte salve le acquisizioni imposte da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le acquisizioni dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari. (6) Alla medesima logica di rafforzamento della centralizzazione si ricollegano le disposizioni in materia di forniture e servizi in ambito informatico (comma 512) con l’obbligo di approvvigionamento esclusivamente tramite Consip o soggetti aggregatori. 63 formulario acquisti COMUNI D’ITALIA 1/2016 CIG struttura proponente oggetto procedura di scelta del contraente elenco operatori invitati a presentare l’offerta aggiudicatario importo aggiudicazione determinazione approvazione tempi completamento Periodo pubblicazione importo somme liquidate IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO ............................................ ATTESTAZIONE ai sensi dell’art. 183 comma 7, t.u. Importo della spesa: euro ........................................ Impegno contabile: n. .............................................. Capitolo di bilancio: ................................................. Missione: .................................................................. Programma................................................................ Si assicura al riguardo di aver effettuato con esito positivo la valutazione di incidenza del provvedimento sull’equilibrio finanziario della gestione, dando atto altresì che dalla data odierna il suddetto provvedimento è esecutivo a norma del t.u. sull’ordinamento degli enti locali. li, ............................................ IL RAGIONIERE CAPO ......................................... 64 1/2016 IFEL - Dipartimento Studi EconomiaTerritoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella I comuni di aree interne: il target territoriale di una strategia nazionale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella La Strategia Nazionale per le Aree Interne, in posizione di rilievo nell’Accordo di Partenariato 2014-2020 e nel Piano Nazionale di Riforma del Governo italiano, si rivolge a territori (più di 4.000 comuni) distanti da grandi centri di agglomerazione e di servizio e con traiettorie di sviluppo instabili, ma al contempo dotati di risorse con un grande potenziale di attrazione. La sfida è quella di invertire il processo di marginalizzazione che ha colpito queste aree, contrastando la caduta demografica e rilanciando lo sviluppo di queste zone, grazie all’impiego di investimenti derivanti dai fondi ordinari delle Leggi di Stabilità e dai fondi comunitari rientranti nel nuovo ciclo di programmazione europea. Nel presente articolo si presentano gli obiettivi della Strategia e si analizzano nel dettaglio le caratteristiche demografiche, territoriali ed economiche dei comuni target. I NUMERI DEI COMUNI COMUNI D’ITALIA La Strategia Nazionale Aree Interne Nel nuovo ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020 si inserisce la Strategia Nazionale per le Aree Interne, destinata ai comuni italiani caratterizzati da difficoltà di accesso ai servizi fondamentali, quali l’istruzione, la mobilità e le cure ospedaliere. Il perimetro di tali aree è stato tracciato in prima battuta dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica, che ha individuato oltre 4.000 comuni che distano più di 20 minuti di percorrenza rispetto ad un comune che riveste il ruolo di “centro di offerta” dei servizi fondamentali prima detti. «Si tratta di aree particolarmente fragili, che hanno subito nel tempo un processo di marginalizzazione e declino demografico e le cui significative potenzialità di ricchezza naturale, paesaggistica e di saper fare vanno recuperate e valorizzate 65 I NUMERI DEI COMUNI IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella COMUNI D’ITALIA con politiche integrate sul lato dello sviluppo economico e su quello dell’adeguatezza dei servizi alle comunità»(1). Nello specifico stiamo parlando del 53% dei comuni italiani, nei quali vive il 23% della popolazione italiana, pari a oltre 13,5 milioni di abitanti, residenti in una porzione del territorio che supera il 60% della superficie nazionale. Sono territori caratterizzati da un forte spopolamento e da una scarsa offerta di servizi, molti di questi sono territori montani, vaste aree sono soggette ad elevati livelli di rischio idrogeologico e di perdita di diversità biologica. Tuttavia sono luoghi che custodiscono un patrimonio culturale e naturalistico importante, che fanno del paesaggio la loro idea di sviluppo e crescita, che possono ospitare un turismo a basso impatto ambientale, e che pertanto possono candidarsi a diventare sentinelle per la tutela e la valorizzazione del patrimonio ambientale che li rende unici. Da una prospettiva nazionale, la grande estensione delle aree interne, sia in termini demografici che territoriali, rende immediatamente evidente quanto sia consistente il loro potenziale e quanto sia quindi importante il loro contributo per riprendere una traiettoria di sviluppo a livello nazionale. L’obiettivo ultimo della Strategia Aree Interne, in quanto condizione individuata necessaria per il suo successo, è il rafforzamento della struttura demografica dei sistemi locali di queste aree attraverso una crescita demografica o un aumento delle classi di popolazione in età lavorativa. Tuttavia per il raggiungimento dell’obiettivo demografico finale, la strategia prevede il perseguimento di 5 obiettivi intermedi: 1. aumento del benessere della popolazione locale; 2. aumento della domanda locale di lavoro e dell’occupazione; 3. aumento del grado di utilizzo del capitale territoriale; 4. riduzione dei costi sociali della de-antropizzazione; 5. rafforzamento dei fattori di sviluppo locale. Sul versante operativo, la Strategia verrà attuata in due modalità: da un lato insisterà sull’adeguamento della qualità e quantità dell’offerta dei servizi essenziali (istruzione, sanità e mobilità) che identificano il diritto di cittadinanza, attraverso risorse nazionali (es. Leggi di Stabilità), dall’altro si declinerà in progetti di sviluppo locale, finanziati attraverso i fondi comunitari disponibili (FESR, FSE, FEASR, FEAMP) che si concentreranno sui fattori chiave, nascosti o da valorizzare, presenti nelle aree interne: • tutela del territorio e comunità locali; • valorizzazione delle risorse naturali, culturali e del turismo sostenibile; • sistemi agro-alimentari e sviluppo locale; • risparmio energetico e filiere locali di energia rinnovabile; • saper fare e artigianato. Come riportato nell’Accordo di Partenariato 2014-2020 dell’Italia per l’impiego dei fondi strutturali e di investimento europei, adottato il 29 ottobre alla Commissione europea a chiusura del negoziato formale, la Strategia Aree Interne potrà raggiungere il proprio obiettivo finale «valorizzando le risorse naturali e culturali come risorse che sostengono un’elevata qualità della vita, migliorando ulteriormente l’efficienza energetica e la produzione sostenibile di energia rinnovabile, compatibilmente con le esigenze di conservazione del territorio, e affrontando meglio la gestione dei rischi». (1) Accordo di Partenariato 2014-2020 dell’Italia adottato il 29 ottobre 2014. 66 1/2016 1/2016 I comuni di aree interne La scelta metodologica di classificazione delle aree interne si fonda sul grado di perifericità di tali realtà da quei comuni che si pongono come poli di offerta di servizi essenziali(2), ossia luoghi nei quali si registra la compresenza di un’offerta completa di scuole secondarie superiori, di strutture sanitarie sedi di dipartimenti d’emergenza e accettazione (DEA) di I livello e di stazioni ferroviarie di tipo almeno “silver”, corrispondenti ad impianti medio-piccoli. L’individuazione dei poli, secondo il criterio di capacità di offerta dei servizi essenziali, ha consentito di classificare i restanti comuni in 4 fasce in base alle distanze dai poli misurate in tempi di percorrenza: le aree di cintura, distanti meno di 20 minuti di percorrenza e quindi rientranti di diritto nei “centri” di offerta di servizi e le aree interne, suddivise al proprio interno in aree intermedie (20’<t<40’), periferiche (40’<t<75’) ed ultraperiferiche (t>75’). La caratterizzazione indicata in questo modo ha permesso di individuare 4.261 comuni di aree interne. Sulla base di queste scelte metodologiche, su un totale di 8.092 comuni, il 52,7% risulta essere di aree interne, il 2,7% un polo, l’1,3% un polo intercomunale e il 43,4% un comune di cintura (Tabella 1 e Figura 1). Tabella 1 - La classificazione dei comuni italiani in centri ed aree interne, 2012 N. comuni Tipologia v.a. Centri Aree interne % Polo 219 2,7% Polo intercomunale 104 1,3% Cintura (t<20’) 3.508 43,4% Intermedio (20’<t<40’) 2.377 29,4% Periferico (40’<t<75’) Ultraperiferico (t>75’) Totale* 1.526 18,9% 358 4,4% 8.092 100,0% I NUMERI DEI COMUNI IFEL - Dipartimento Studi EconomiaTerritoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella COMUNI D’ITALIA *La classificazione operata nel 2012 dal DPS si riferisce agli 8.092 comuni italiani esistenti in quell’anno. Si segnala che al 30 gennaio 2015 i comuni italiani sono 8.047. Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012 (2) Per maggiori informazioni sulla metodologia di definizione delle aree interne, cfr. la “Nota Metodologica per la definizione delle aree interne” disponibile sul sito http://www.dps.gov. it/it/arint/Cosa_sono/index.html. 67 I NUMERI DEI COMUNI 68 IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella COMUNI D’ITALIA 1/2016 Figura 1 - La classificazione dei comuni italiani in centri ed aree interne, 2012 Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012 I comuni di aree interne sono ampiamente diffusi su quasi tutto il territorio nazionale, anche se è possibile rilevarne un numero maggiore nelle regioni del centro-sud e lungo la dorsale appenninica. I comuni ultraperiferici risultano concentrati nella parte centro-meridionale della Basilicata, lungo la costa nord-occidentale della Calabria al confine con la Campania, in Sardegna, nell’estremità nord e a sud lungo la fascia orientale e in alcune zone delle Alpi centrali (Figura 2). In valore assoluto il maggior numero di comuni di aree interne, 515, si trova in Lombardia (Tabella 2) mentre la più alta percentuale di comuni di aree interne sul totale dei comuni della regione si rileva in quelle del sud. In particolare, oltre il 96% delle amministrazioni comunali della Basilicata è di aree interne. Valori superiori a quello medio nazionale (52,7%) si osservano anche nelle realtà comunali della Sardegna (84,4%), della Calabria (77,8%), della Sicilia (76,4%), del Molise (75,0%), dell’Abruzzo (70,8%) e della Puglia (56,2%). Al centro, percentuali di comuni di aree interne superiori al dato nazionale si rilevano nel Lazio (72,5%) e nell’Umbria (66,3%). Al nord, in Trentino-Alto Adige, su un numero complessivo di 333 comuni, l’82,6%, 275, è di aree interne e dei 74 comuni della Valle d’Aosta 44 sono di aree interne (il 59,5% dei comuni della regione). IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella COMUNI D’ITALIA 1/2016 Figura 2 - I comuni di aree interne, per grado di perifericità, 2012 Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012 Tabella 2 - I comuni di aree interne in Italia, per regione, 2012 Regione Piemonte Numero comuni di aree interne (a) 505 Numero comuni della regione (b) 1.206 % comuni di aree interne (a/b) 41,9% Valle d’Aosta 44 74 59,5% Lombardia 515 1.544 33,4% Trentino-Alto Adige Veneto 275 191 333 581 82,6% 32,9% Friuli-Venezia Giulia Liguria 86 106 218 235 39,4% 45,1% Emilia-Romagna Toscana 149 128 348 287 42,8% 44,6% Umbria 61 92 66,3% 69 IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella Numero comuni di aree interne (a) Regione COMUNI D’ITALIA 1/2016 Numero comuni della regione (b) % comuni di aree interne (a/b) Marche 118 239 49,4% Lazio 274 378 72,5% Abruzzo 216 305 70,8% Molise 102 136 75,0% Campania 286 551 51,9% Puglia 145 258 56,2% Basilicata 126 131 96,2% Calabria 318 409 77,8% Sicilia 298 390 76,4% Sardegna 318 377 84,4% Totale 4.261 8.092 52,7% Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012 Il 70,2% dei comuni del paese con popolazione inferiore a 2.000 unità e oltre la metà (51,4%) di quelli con un numero di abitanti compreso tra 2.000 e 4.999 residenti è di aree interne (Tabella 3). In generale all’aumentare della classe di ampiezza demografica, la percentuale di comuni di aree interne sul totale di ciascuna classe decresce sensibilmente, fino ad azzerarsi in corrispondenza della fascia demografica più popolosa con oltre 250.000 residenti. Solo il 4,3% delle amministrazioni comunali con popolazione tra 60.000 e 249.999 residenti è di aree interne. È evidente dunque che le aree interne siano prevalentemente piccoli comuni. Tabella 3 - I comuni di aree interne in Italia, per classe demografica, 2012 Classe di ampiezza de- Numero comuni di Numero comuni della % comuni di aree interne (a/b) mografica aree interne (a) classe demografica (b) 0 - 1.999 2.472 3.520 70,2% 2.000 - 4.999 1.109 2.156 51,4% 5.000 - 9.999 417 1.188 35,1% 10.000 - 19.999 183 709 25,8% 20.000 - 59.999 76 415 18,3% 60.000 - 249.999 4 92 4,3% >= 250.000 0 12 0,0% Totale 4.261 8.092 52,7% Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012 70 IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella COMUNI D’ITALIA 1/2016 Oltre 13,5 milioni di abitanti (3), il 22,8% della popolazione nazionale, risiede in un comune di aree interne (Tabella 4). Esistono forti differenze a livello geografico. Si passa dal 74,7% della popolazione dei comuni della Basilicata che vive in un comune di aree interne all’8,8% dei cittadini delle realtà comunali della Liguria. In generale nelle regioni del sud la percentuale di popolazione residente nei comuni di aree interne sulla popolazione regionale è superiore al dato nazionale; unica eccezione è rappresentata dalla Campania, in cui il 15,9% della popolazione risiede in un comune di aree interne. Al centro, oltre un terzo della popolazione umbra vive in un comune di aree interne; percentuali superiori alla media paese si osservano anche nei comuni del Lazio (24,3%). Al nord, oltre la metà dei residenti dei comuni del Trentino-Alto Adige risiede in un comune di aree interne; tale percentuale scende al 30,5% per ciò che concerne la popolazione dei comuni della Valle d’Aosta pur mantenendosi sopra la media nazionale. I comuni di aree interne coprono nel complesso una superficie pari a 183.959 kmq, pari al 61,0% della superficie totale del paese. I comuni di aree interne della Basilicata si estendono sul 92,3% della superficie complessiva dei comuni della regione. Percentuali superiori all’80% si osservano anche in Trentino-Alto Adige (89,8%) e in Sardegna (84,5%). Tabella 4 - La popolosità e l’estensione territoriale dei comuni di aree interne, per regione, 2011 Popolazione residente nei comuni di aree interne Regione v.a. Superficie (kmq) dei comuni di aree interne % su pop. dei comuni della regione v.a. % su sup. dei comuni della regione Piemonte 639.479 14,7% 12.520 49,3% Valle d’Aosta 38.680 30,5% 2.337 71,6% Lombardia 1.046.793 10,8% 11.049 46,3% Trentino-Alto Adige 574.062 55,8% 12.221 89,8% Veneto 892.029 18,4% 6.926 37,6% Friuli-Venezia Giulia 167.905 13,8% 4.227 53,8% Liguria 138.269 8,8% 2.783 51,3% Emilia-Romagna 598.881 13,8% 9.955 44,4% Toscana 495.636 13,5% 12.020 52,3% Umbria 297.448 33,6% 4.947 58,5% Marche 287.226 18,6% 4.811 51,4% Lazio 1.336.255 24,3% 10.207 59,2% (3) 15° Censimento della popolazione e delle abitazioni 2011, Istat. 71 IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella COMUNI D’ITALIA 1/2016 Abruzzo 376.181 28,8% 7.172 66,6% Molise 133.985 42,7% 3.308 74,5% Campania 916.017 15,9% 8.856 65,2% Puglia 1.180.592 29,1% 9.816 50,7% Basilicata 431.512 74,7% 9.228 92,3% Calabria 995.959 50,8% 11.896 78,9% Sicilia 2.137.718 42,7% 19.330 75,2% Sardegna 856.897 52,3% 20.350 84,5% Totale 13.541.524 22,8% 183.959 61,0% Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS ed Istat, 2012 Osservando i principali indicatori demografici, economici ed istituzionali dei comuni di aree interne rispetto a quelli classificati come centri e alla media dei comuni del paese, si possono cogliere alcuni segnali che indicano una maggiore sofferenza rispetto agli altri (Tabella 5). In dieci anni, dal 2001 al 2011, la popolazione residente nei comuni di aree interne è cresciuta circa la metà (il 2,2%) rispetto ai centri (4,9%) e alla media dei comuni italiani (4,3%). Analogamente anche la densità abitativa nei comuni di aree interne, pari a 73,6 abitanti per kmq, è oltre cinque volte inferiore rispetto a quella dei comuni classificati come centri (391,0 abitanti per kmq) e circa tre volte meno di quella media dei comuni del paese (197,2 ab./kmq). Il tasso migratorio, inteso come differenza tra iscritti e cancellati all’anagrafe ogni 1.000 abitanti, consente di avere una misura dell’attrattività dei comuni di aree interne rispetto ai centri e alla media dei comuni italiani. In particolare, mentre nei comuni di aree interne il tasso migratorio nel 2014 si ferma a 10,2 ogni 1.000 abitanti, nei centri il dato sale a 22,2 ogni 1.000 residenti; valore quest’ultimo superiore al dato medio nazionale (19,5 per 1.000 abitanti). Nei comuni di aree interne si registra una concentrazione di popolazione straniera residente più bassa rispetto ai comuni classificati come centri e alla media nazionale. Gli stranieri residenti nei comuni di aree interne rappresentano nel 2014 il 6,3% della popolazione di questi comuni, contro l’8,6% dei centri e l’8,1% della media dei comuni italiani. Il reddito imponibile ai fini IRPEF può permettere di misurare e confrontare la ricchezza economica dei comuni di aree interne rispetto agli altri comuni. Nell’anno d’imposta 2011 l’ammontare di reddito imponibile medio per ciascun contribuente residente in un comune italiano è stato pari a 23,48mila euro. Nei centri il reddito medio, pari a 24,36mila euro, si attesta sopra la media nazionale, mentre nei comuni di aree interne il dato si riduce a poco oltre i 20mila euro pro capite. Considerando l’incidenza delle imprese attive in un determinato settore economico in ogni comune rapportata al totale delle imprese attive nel comune stesso, si misura l’indice di specializzazione economica (4). Un comune può esse- (4) Da un punto di vista analitico si è proceduto al calcolo, per ciascun comune, dei quozienti di localizzazione (QL) dei tre settori (primario, secondario e terziario). A ciascun comune è stata poi attribuita la specializzazione economica corrispondente al massimo valore di QL osservato. 72 COMUNI D’ITALIA 1/2016 IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella re definito “specializzato” se tale rapporto risulta maggiore dello stesso rapporto calcolato a livello nazionale. L’analisi è stata svolta relativamente ai tre settori economici: primario (agricolo), secondario (industriale) e terziario (i servizi). Le realtà comunali italiane, nel complesso, manifestano una vocazione imprenditoriale agricola: nel 58,9% delle amministrazioni comunali tale specializzazione è prevalente. Nei comuni di aree interne il dato si amplifica: il 72,9% di essi è specializzato nel settore primario. I comuni classificati come centri mostrano invece una minore propensione al settore agricolo con il 43,4% specializzato in tale settore. I comuni di aree interne specializzati nel settore secondario sono meno della metà rispetto ai centri (19,9% i primi e 44,1% i secondi). Analogamente i comuni di aree interne specializzati nei servizi sono il 7,2% del totale, contro il 12,5% ed il 9,7% dei centri e della media nazionale rispettivamente. Da rilevare il dato sulla percentuale di comuni di aree interne partecipanti a forme di gestione associata di funzioni, quali Unioni di Comuni e Comunità montane, rispetto alla media nazionale e ai comuni centri. Poco meno di un terzo dei comuni di aree interne, il 30,6%, fa parte di un’Unione di Comuni (ottobre 2015) e, nel 2014, oltre il 30% di una Comunità Montana (30,2%). Nei centri tali percentuali si riducono al 27,6% e al 10,3% rispettivamente, mentre a livello nazionale risalgono al 29,2% per quanto riguarda le Unioni di Comuni e al 20,8% per le Comunità montane. Da rilevare il dinamismo dei comuni di aree interne per quanto riguarda l’attuazione degli interventi finanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) nel ciclo di programmazione 2007-2013. Infatti il 52,8% dei comuni di aree interne è attuatore di progetti FESR contro il dato medio nazionale del 45,8% e il 38,1% dei centri. Tabella 5 I principali indicatori demografici, economici ed istituzionali relativi ai comuni di aree interne (un confronto con i centri ed il totale dei comuni italiani) Aree interne Centri Totale comuni italiani Var. % popolazione residente 2001/2011 2,2% 4,9% 4,3% Densità abitativa (ab./kmq) 2011 73,6 391,0 197,2 Tasso migratorio (per 1.000 ab.) 2014 10,2 22,2 19,5 Incidenza degli stranieri residenti 2014 6,3% 8,6% 8,1% Reddito imponibile IRPEF per contribuente (migliaia di eu- 20,12 ro) anno d’imposta 2011 24,36 23,48 % comuni specializzati nel primario 2013 72,9% 43,4% 58,9% % comuni specializzati nel secondario 2013 19,9% 44,1% 31,4% % comuni specializzati nel terziario 2013 7,2% 12,5% 9,7% % comuni in Unioni di Comuni (ottobre) 2015 30,6% 27,6% 29,2% % comuni in Comunità Montane 2014 30,2% 10,3% 20,8% % comuni attuatori di progetti FESR 2007-2013 (febb.) 2015 52,8% 38,1% 45,8% Dove non diversamente specificato, i dati si riferiscono alla data del 1° gennaio di ciascun anno. Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, Istat, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Infocamere, Anci, anni vari. 73 IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella COMUNI D’ITALIA 1/2016 Questi i caratteri principali delle aree interne, luoghi sui quali si attiva la Strategia attraverso l’individuazione di aree progetto intese come «sistemi locali intercomunali, ciascuno con una propria identità territoriale definita da caratteri sociali, economici, geografici, demografici e ambientali»(5). All’area progetto, così concepita e selezionata attraverso un percorso di condivisione fra la regione e lo Stato, viene assegnato il compito di individuare una strategia di sviluppo (“strategia di area”) che costituisce sia la base per attuare gli «interventi per mezzo di un Accordo di Programma Quadro (APQ), sia lo strumento per comunicare in modo comprensibile a tutti i cittadini dell’area i risultati attesi e le azioni intraprese per conseguirli» (6). (5) “Linee guida per costruire una “Strategia di area-progetto”. Documento di lavoro: versione novembre 2014”, DPS. (6) Ib. 74 COMUNI D’ITALIA normativa 1/2016 dalla Gazzetta Ufficiale 16 NOVEMBRE 2015 - 15 FEBBRAIO 2016 DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 5 novembre 2015 Regioni a statuto ordinario - Contributi dovuti all’ARAN per l’anno 2016 (G.U. 16 novembre 2015 n. 267) DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO 8 ottobre 2015 Attribuzione di un contributo alle province, per l’importo complessivo di 30 milioni di euro nell’anno 2015, per la necessità di sopperire a specifiche straordinarie esigenze finanziarie, a valere sulle risorse del Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili (G.U. 17 novembre 2015 n. 268) dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 9 dicembre 2015 (G.U. 19 novembre 2015 n. 270) Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio delle Regioni, delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e dei loro organismi ed enti strumentali DECRETO LEGISLATIVO 4 novembre 2015 n. 186 Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige recanti modifiche e integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 574, in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari (G.U. 25 novembre 2015 n. 275) DECRETO LEGGE 25 novembre 2015 n. 185 (G.U. 21 dicembre 2015 n. 296) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 1 dicembre 2015 Aggiornamento degli allegati al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi (G.U. 22 dicembre 2015 n. 297) Misure urgenti per interventi nel territorio DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO 9 novembre 2015 Rettifica del decreto 28 ottobre 2015, di ulteriore differimento di termini per la presentazione del Documento unico di programmazione e della deliberazione del bilancio di previsione 2016 degli enti locali (G.U. 17 novembre 2015 n. 268) LEGGE 12 novembre 2015 n. 182 Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 20 settembre 2015, n. 146, recante misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione. (G.U. 18 novembre 2015 n. 269) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 15 settembre 2015 Assegnazione alle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto, di risorse finanziarie, ai sensi dell’articolo 32-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, (G.U. 25 novembre 2015 n. 275) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 25 novembre 2015 DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 18 novembre 2015 Modifica del decreto 21 novembre 2001 relativo alla individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato Modifica della Tabella A allegata al decreto 9 marzo 1999, di individuazione dei comuni non metanizzati ricadenti nella zona climatica E di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 26 agosto 1993, n. 412 (G.U. 30 novembre 2015 n. 279) (G.U. 23 dicembre 2015 n. 298) LEGGE 29 novembre 2015 n. 189 DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 16 dicembre 2015 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 2015, n. 154, recante disposizioni urgenti in materia economico-sociale Criteri di ripartizione delle risorse del Fondo per l’aggregazione degli acquisti di beni e servizi per l’anno 2015 (G.U. 30 novembre 2015 n. 279) (G.U. 24 dicembre 2015 n. 299) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 11 dicembre 2015 DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 18 dicembre 2015 Modifica del saggio di interesse legale (G.U. 15 dicembre 2015 n. 291) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE Nuove modalità di trasmissione al Ministero dell’economia e delle finanze, dei dati rilevanti ai fini dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (G.U. 28 dicembre 2015 n. 300) 75 COMUNI D’ITALIA normativa 1/2016 DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 21 dicembre 2015 DECRETO MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 22 dicembre 2015 Approvazione del modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2016 Direttive e calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati per l’anno 2016 (G.U. 28 dicembre 2015 n. 300) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 22 dicembre 2015 Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio degli enti locali e dei loro enti ed organismi strumentali (G.U. 28 dicembre 2015 n. 300) DECRETO MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI 30 ottobre 2015 Ripartizione delle risorse finanziarie afferenti al Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza finalizzato alla realizzazione di interventi nei comuni riservatari di cui alla legge 28 agosto 1997, n. 285, per l’anno 2015 (G.U. 29 dicembre 2015 n. 301) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 22 dicembre 2015 Approvazione della territorialità del livello delle locazioni immobiliari (S.O. 29 dicembre 2015 n. 301) DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO 23 dicembre 2015 Modalità tecniche di emissione della Carta d’identità elettronica (G.U. 30 dicembre 2015 n. 302) (G.U. 31 dicembre 2015 n. 303) DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO 27 ottobre 2015 Condizioni e modalità per la stipula di convenzioni e contratti per la permuta di materiali o prestazioni tra il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell’interno e soggetti pubblici e privati Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67 (G.U. 22 gennaio 2016 n. 17) Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonche’ per il riordino della disciplina vigente inmateria di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture Modalità di comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (G.U. 11 gennaio 2016 n. 7) DECRETO MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 22 dicembre 2015 Recepimento della direttiva della Commissione 2014/85/UE recante modifica della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida. (G.U. 13 gennaio 2016 n. 9) Legge 28 dicembre 2015 n. 221 Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali. DECRETO MINISTERO DELL’AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE 24 dicembre 2015 (G.U. 30 dicembre 2015 n. 302) (G.U. 21 gennaio 2016 n. 16) 76 DECRETO LEGISLATIVO 15 gennaio 2016 n. 8 DECRETO MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI 15 dicembre 2015 Proroga di termini previsti da disposizioni legislative DECRETO LEGGE 30 dicembre 2015 n. 210 (G.U. 22 gennaio 2016 n. 17) LEGGE 28 gennaio 2016 n. 11 Adozione dei criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici per la gestione dei cantieri della pubblica amministrazione e criteri ambientali minimi per le forniture di ausili per l’incontinenza (S.O. 30 dicembre 2015 n. 302) Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67 (G.U. 4 gennaio 2016 n. 2) (G.U. 18 gennaio 2016 n. 13) LEGGE 28 dicembre 2015 n. 208 DECRETO LEGISLATIVO 15 gennaio 2016 n. 7 (G.U. 29 gennaio 2016 n. 23) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 14 dicembre 2015 Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari nel territorio dello Stato, per l’anno 2016 (G.U. 2 febbraio 2016 n. 26) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 22 dicembre 2015 Rideterminazione del tasso di interesse da corrispondere sulle somme depositate nelle contabilità speciali fruttifere degli enti ed organismi pubblici (G.U. 5 febbraio 2016 n. 29) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 27 gennaio 2016 Tasso di riferimento determinato per il periodo 1° gennaio - 30 giugno 2016, relativamente alle operazione a tasso COMUNI D’ITALIA normativa 1/2016 variabile, effettuate dagli enti locali ai sensi dei decreti-legge 1° luglio 1986, n. 318, 31 agosto 1987, n. 359 e 2 marzo 1989, n. 66, nonché della legge 11 marzo 1988, n. 67 (G.U. 5 febbraio 2016 n. 29) DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 25 gennaio 2016 Ripartizione di spazi finanziari per interventi nel settore delle linee metropolitane concessioni demaniali marittime (G.U. 9 febbraio 2016 n. 32) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 24 dicembre 2015 Individuazione delle categorie merceologiche ai sensi dell’articolo 9, comma 3 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, unitamente all’elenco concernente gli oneri informativi (G.U. 9 febbraio 2016 n. 32) (G.U. 6 febbraio 2016 n. 30) DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO 1 febbraio 2016 Riassegnazione delle disponibilità residue del Fondo di solidarietà comunale 2014, a favore dei comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Siciliana e Sardegna (G.U. 6 febbraio 2016 n. 30) DECRETO MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 2 dicembre 2015 Aggiornamenti relativi all’anno 2016, delle misure unitarie dei canoni per le DECRETO LEGISLATIVO 28 gennaio 2016 n. 15 Attuazione della direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante modifica della direttiva 2005/36/ CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e del regolamento (UE) n. 1024/2012, relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno (“Regolamento IMI”) (G.U. 9/2/2016 n. 32) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 24 dicembre 2015 Determinazione dell’ammontare massimo del beneficio a favore dei nuclei familiari con un numero di figli minori, pari o superiore a quattro, in possesso di una situazione economica corrispondente a un valore ISEE non superiore a 8.500,00 euro annui. (G.U. 12 febbraio 2016 n. 35) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 29 dicembre 2015 Riparto del contributo complessivo di 30 milioni di euro a favore delle città metropolitane e delle province, per attività di assistenza e di istruzione agli alunni con handicap fisici o sensoriali o in situazione di svantaggio (G.U. 16 febbraio 2016 n. 38) DECRETO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 15 febbraio 2016 Indizione del referendum popolare per l’abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell’articolo 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come sostituito dal comma 239 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, limitatamente alle seguenti parole: «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale» (G.U. 16 febbraio 2016 n. 38) 77 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 giurisprudenza ACCESSO AGLI ATTI TAR TOSCANA SEZ. III sentenza 21 gennaio 2016, n. 99 Diritto di accesso agli atti del procedimento di sopralluogo della polizia municipale Diritto di accesso ai documenti amministrativi – sopralluogo della polizia municipale all’interno di abitazione privata – istanza di accesso agli atti da parte del soggetto proprietario – silenzio-rigetto – illegittimità – fattispecie È illegittimo il silenzio-rigetto serbato dal comune sull’istanza diretta ad ottenere l’accesso agli atti e documenti amministrativi del procedimento nell’ambito del quale funzionari della polizia municipale hanno eseguito un sopralluogo all’interno dell’abitazione della richiedente. Nella specie paiono infatti sussistere i presupposti per l’ostensione degli atti amministrativi, alla luce degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990; in particolare sussiste sicuramente l’interesse diretto, concreto e attuale previsto dall’art. 22, comma 1, lett. b), legge 241 cit., poiché la ricorrente chiede di prendere visione degli atti inerenti un procedimento amministrativo che ha direttamente inciso sulle sue situazioni giuridiche soggettive sia personali che proprietarie, avendo subito un sopralluogo nella sua abitazione da parte dell’autorità amministrativa; né sembrano rinvenibili nella specie limiti all’accesso ai sensi dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990; quanto alla “violazione penale” che l’amministrazione evoca nella nota depositata in giudizio essa non pare configurare un limite all’accesso: coma la giurisprudenza amministrativa ha chiarito il segreto istruttorio penale 78 viene in considerazione con riferimento agli atti compiuti dall’autorità amministrativa nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitele dall’ordinamento, non già quando l’amministrazione si limiti a presentare una denuncia all’a.g. nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative (TAR Lazio, sez. II, n. 11188/2015), com’è invece avvenuto nella specie, avendo il comune effettuato una comunicazione di notizia di reato con riferimento alla asserita violazione da parte della ricorrente dell’ordine dell’autorità consistente nella accertata inagibilità del suo appartamento. TAR SICILIA PALERMO SEZ. I sentenza 15 gennaio 2016, n. 108 Diritto di accesso alle offerte di gara Diritto di accesso ai documenti amministrativi – appalti – gara per l’affidamento di servizi – offerta tecnica presentata dalla società aggiudicataria – impresa concorrente seconda classificata – diritto di accesso – va riconosciuto Va riconosciuto all’impresa concorrente seconda classificata nella procedura di gara per l’affidamento di servizi il diritto di accedere all’offerta tecnica presentata dalla società aggiudicataria ed alle giustificazioni dell’offerta nel suo complesso. La controversia intercetta il tema dell’interpretazione del combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 13 del d.lgs. 163/2006 (su cui, tra gli altri, Cons. Stato, VI, 19.10.2009, n. 6393). Risulta evidente dalla lettura delle due disposizioni che nel codice dei contratti l’accesso sia collegato alla sola esigenza di una difesa in giudizio con una previsione che, quindi, si presenta più restrittiva di quella contenuta nell’art. 24, legge 241/1990, la quale contempla un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale (in termini Cons. Stato, sez. V, 24.3.2014, n. 1446). Ciò importa un controllo, anche da parte del giudice, in ordine alla effettiva pertinenza ed utilità della documentazione richiesta per la difesa in giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30.12.2011, n. 6996 e 9.12.2008, n. 6121). Nel caso di specie, gli atti richiesti – progetto tecnico integrale e giustificazioni – devono ritenersi rilevanti per la difesa processuale, nell’ottica della parte che richiede l’ostensione, posto che per buona parte il contenzioso ancora pendente è incentrato sul giudizio di congruità dell’offerta. Si aggiunga che il comma 5 fa riferimento a veri e propri segreti e non a generiche informazioni riservate proprie di ciascuna impresa (cfr. CGA, 5.12.2007, n. 1087) e invece le opposizioni formulate dalle parti appaiono sommarie e astratte e non tali da integrare una “motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente” efficacemente ostativa. TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. III sentenza15 gennaio 2016, n. 110 Istanze di accesso agli atti c.d. esplorative Diritto di accesso ai documenti amministrativi – associazione a tutela dei diritti dei cittadini – istanza di accesso all’elenco dei contratti di servizio pubblico locale stipulati dal Comune – rifiuto – legittimità – ragioni È legittimo il rifiuto opposto dal comune all’istanza di accesso agli atti formulata da una associazione a tutela dei diritti dei cittadini, al fine di prendere visione ed estrarre COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 copia dell’elenco dei contratti di servizio pubblico locale stipulati dall’amministrazione e ricadenti nella previsione di cui all’art. 2, comma 461, della legge n. 244 del 2007, considerato che l’oggetto dell’accesso risulta costituito da un numero indeterminato di documenti, in alcun modo individuati e per di più formati in un arco temporale non meglio specificato; inoltre, come ammesso dalle stesse ricorrenti nella nota di riscontro al preavviso di rigetto, non risulta nemmeno con certezza l’esistenza presso l’ente comunale della richiesta documentazione, ritenuta comunque “facilmente desumibile” dalle stesse istanti. Pertanto, come evidenziato dalla più recente giurisprudenza, un’istanza siffatta deve essere ritenuta del tutto generica e, conseguentemente, risulta legittimo il comportamento tenuto dall’amministrazione comunale intimata. Difatti,“l’istanza di accesso deve avere ad oggetto una specifica documentazione in possesso dell’amministrazione indicata in modo sufficientemente preciso e circoscritto e non può riguardare, come nella fattispecie, dati ed informazioni generiche riguardanti un complesso non individuato di atti di cui non si conosce neppure con certezza la consistenza, il contenuto e finanche la effettiva sussistenza, assumendo un sostanziale carattere di natura meramente esplorativa” (Cons. Stato, sez. IV, 12.1.2016, n. 68). CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV sentenza 12 gennaio 2016, n. 68 Istanze di accesso agli atti c.d. esplorative Diritto di accesso ai documenti amministrativi – istanza eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati – inammissibilità – fattispecie Se non può in linea di principio pretendersi che l’istante in sede di accesso agli atti indichi specifici dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso, deve in ogni caso rilevarsi come l’amministrazione, in detta sede, sia tenuta a produrre documenti individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto, e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi. Ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’amministrazione, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività. Richieste generiche, infatti, sottoporrebbero l’amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa. In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v’è dubbio come l’accesso non possa costringere l’amministrazione ad attività di ricerca ed elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati. Ne consegue che è legittimo il diniego di accesso opposto all’istanza volta ad ottenere”tutta la documentazione nessuna esclusa inerente l’attività svolta nel procedimento di verifica …” circa le prospettate violazioni del piano operazioni invernali, senza ulteriori precisazioni o specificazioni. L’oggetto dell’accesso, quindi, è costituito da un numero indeterminato di documenti, in alcun modo individuati e per di più formati in un arco temporale non meglio specificato. Pertanto, del tutto correttamente il primo giudice ha ritenuto una istanza siffatta del tutto “generica” e, conseguentemente, legittimo il diniego espresso al riguardo dall’amministrazione. Invero, il fatto che si tratti nella prospettazione del ricorrente di un accesso c.d. defensionale, volto ad acquisire documentazione utile nella causa instaurata dinnanzi al Giudice di Pace per il risarcimento dei danni subiti in occasione di un evento nevoso, è circostanza recessiva rispetto all’accertata genericità dell’istanza dallo stesso presentata la quale non poteva comunque come tale essere positivamente evasa. TAR VENETO SEZ. III sentenza 17 dicembre 2015, n. 1335 Accesso in materia ambientale e tutela del know how industriale Diritto di accesso ai documenti amministrativi – accesso in materia ambientale – istanza di rilascio di copia degli elaborati tecnico amministrativi concernenti la concessione di piccola derivazione d’acqua a uso idroelettrico, compresi gli elaborati di progetto presentati – accesso limitato alla presa vi- sione per esigenze di tutela del segreto industriale – illegittimità – ragioni È illegittimo il diniego di ostensione e copia degli elaborati tecnico amministrativi concernenti la concessione di piccola derivazione d’acqua a uso idroelettrico, ivi compresi gli elaborati di progetto presentati, laddove il soggetto istante abbia ottenuto una risposta limitata alla presa visione a seguito di opposizione al rilascio di copia semplice da parte della ditta controinteressata a tutela della proprietà intellettuale e del know how in essi contenuto. È pacifico che nella specie si controverta in ordine a un procedimento relativo a informazioni ambientali secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 195 del 2005: orbene prevede l’articolo 3 comma 1 che l’autorità pubblica rende disponibile secondo le disposizioni del presente decreto l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse, prevedendo i casi di esclusione all’articolo cinque, in base al quale deve essere effettuata una valutazione ponderata fra l’interesse pubblico all’informazione ambientale e l’interesse tutelato dall’esclusione dall’accesso, con applicazione restrittiva da parte dell’amministrazione, consentendosi, se del caso, un accesso parziale. Detto che la legittima esigenza di tutela del segreto industriale non esime l’amministrazione da un puntuale esame delle ragioni opposte, non potendosi in altri termini l’amministrazione limitare ad assumere come irrimediabilmente ostativo l’avviso della ditta controinteressata ai fini dell’ostensione piuttosto che dell’estrazione di copia, nel caso in esame ben si sarebbe potuto consentire un accesso parziale, escludendosi solo ed esclusivamente quelle informazioni direttamente attinenti con il segreto industriale da tutelare. Ed è in tali termini che deve essere accolta la domanda presentata, consentendosi appunto l’estrazione di copia di tutta la documentazione progettuale che non afferisca direttamente a profili involgenti il segreto industriale, secondo una valutazione necessariamente restrittiva in ordine agli eventuali profili ostativi. TAR MARCHE SEZ. I sentenza 11 dicembre 2015, n. 875 Diniego di accesso alle offerte di gara 79 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 Diritto di accesso ai documenti amministrativi – contratti della p.a. – appalti – offerte di gara – diniego di accesso – motivazione – esigenza di salvaguardare il “know-how industriale e commerciale” senza specificare quale tipo di segreto verrebbe divulgato – illegittimità È illegittimo il diniego di accesso alle offerte di gara motivato con generico riferimento all’esigenza di salvaguardare il “knowhow industriale e commerciale”, considerato che, nel caso di specie, l’esigenza di riservatezza viene genericamente affermata dall’amministrazione richiamando le opposizioni delle ditte controinteressate trascritte nel provvedimento impugnato che contengono, nella sostanza, un generico dissenso senza specificare quale tipo di segreto verrebbe divulgato e in quali documenti sarebbe contenuto. Sul punto va ricordato che l’amministrazione ha l’onere di rappresentare quali sono le specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale custoditi negli atti di gara, in riferimento a precisi dati tecnici. In assenza di tale dimostrazione, l’accesso deve essere consentito. Di conseguenza, ove non sia fornita, in modo puntuale, idonea prova circa l’esistenza di un vero e proprio segreto, non possono che prevalere le esigenze di trasparenza della procedura cui lo stesso concorrente (che oggi si oppone all’accesso) si è volontariamente ed implicitamente assoggettato con la partecipazione alla gara, peraltro con la duplice garanzia offerta dall’ordinamento della limitazione, sul piano della legittimazione soggettiva attiva, dell’accessibilità dell’offerta ad esclusivo vantaggio dei soli concorrenti che abbiano partecipato alla selezione e, sul piano oggettivo, per le sole esigenze di tutela giurisdizionale (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, 26.2.2013, n. 2106; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 15.1.2013 n. 116). TAR CALABRIA CATANZARO SEZ. I sentenza 19 novembre 2015, n. 1747 Diritto di accesso alle informazioni ambientali Diritto di accesso ai documenti amministrativi – informazioni in materia ambientale – autorizzazioni al taglio degli alberi in zona protetta (bosco) – diniego di accesso – illegittimità 80 Il d.lgs. 195/2005 introduce una disciplina particolare estendendo la conoscenza delle informazioni relative all’ambiente a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dimostrare il proprio interesse. In particolare, ai sensi degli artt. 1 e 2 del d.lgs. citato deve essere garantito il diritto all’informazione per garantire ai fini della più ampia trasparenza che l’informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa in forma o formati consultabili. La pubblica amministrazione è tenuta a rendere l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dichiarare e dimostrare il proprio interesse. Nel caso di specie, l’informazione richiesta ha carattere ambientale riguardando il taglio di alberi avvenuto in zona protetta e le ragioni a fondamento degli atti autorizzativi, con la conseguenza che la ricorrente Unione italiana sport per tutti (Uisp) ha diritto di accedere agli atti richiesti. È sufficiente evidenziare sul punto (Cons. Stato n. 4636/2015) che l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2005, ha previsto un accesso facilitato (rispetto a quello disciplinato dall’art. 22 della legge n. 241 del 1990) per le informazioni ambientali, al fine di assicurare, per la rilevanza della materia, la maggiore trasparenza possibile dei relativi dati. Il regime di pubblicità in materia ambientale ha carattere tendenzialmente integrale, sia per ciò che concerne la legittimazione attiva, con un ampliamento dei soggetti legittimati all’accesso, e sia per il profilo oggettivo, prevedendosi un’area di accessibilità alle informazioni ambientali svincolata dai più restrittivi presupposti dettati in via generale dagli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990. TAR LAZIO ROMA SEZ. III sentenza 16 novembre 2015, n. 12977 Istanza di accesso ad atti non impugnati entro il termine di decadenza Diritto di accesso ai documenti amministrativi – soggetto destinatario di un avviso di accertamento – istanza di accesso agli atti al fine di conoscere se il dipendente dell’Agenzia delle entrate che ha sottoscritto l’avviso di accertamento fosse “incaricato di funzioni dirigenziali” o rivestisse la qualifica di “dirigente” – diniego – motivazione – avvenuto decorso del termine per impugnare gli atti di accertamento tributario – illegittimità È illegittimo il diniego di accesso opposto al soggetto destinatario di un avviso di accertamento, il quale ha presentato istanza di accesso agli atti al fine di conoscere se il dipendente dell’Agenzia delle entrate che ha sottoscritto l’avviso di accertamento fosse “incaricato di funzioni dirigenziali” o rivestisse la qualifica di “dirigente”, adottato sul presupposto che l’istante non avrebbe un interesse diretto, attuale e concreto all’accesso perché la richiesta farebbe riferimento ad atti non impugnati entro il termine di decadenza o impugnati senza dedurre un vizio riconducibile alla legittima investitura del sottoscrittore o comunque a giudizi ormai definiti. Invero, la richiesta di accesso agli atti della pubblica amministrazione può essere proposta anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare la proposizione del ricorso giurisdizionale, dovendosi ribadire l’autonomia dell’interesse a chiedere l’ostensione di determinati documenti rispetto a quello che conduce, eventualmente, l’interessato, ad agire in giudizio per la tutela di determinate posizioni giuridiche. La valutazione, da parte dell’amministrazione, circa la sussistenza di un interesse concreto, diretto e attuale all’accesso (che costituisce altresì requisito di ammissibilità della relativa azione) è limitata al solo giudizio estrinseco sull’esistenza di un legittimo bisogno di conoscenza in capo a chi richiede i documenti, purché esso non sia preordinato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato sull’azione amministrativa, espressamente vietato dall’art. 24, comma 3, della legge 241/1990 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30.8.2013, n. 4321 e 12.2.2013, n. 793). La legittimazione all’accesso ai documenti amministrativi deve, quindi, ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che i provvedimenti che si chiede di visionare abbiano prodotto o siano idonei a determinare effetti diretti o indiretti anche nei suoi confronti. Pertanto il diritto di accesso può essere esercitato anche indipendentemente dall’esistenza di una lesione immediata della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere o a partecipare alla formazione COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 di quelli successivi. Nel caso in esame sussiste un interesse concreto e attuale all’accesso in capo al richiedente e non può nemmeno affermarsi che l’istanza in questione sia preordinata ad un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione; ciò in quanto il ricorrente, mediante l’esame della documentazione richiesta, si propone di verificare la correttezza del procedimento che ha condotto all’adozione dell’avviso di accertamento che rientra appieno nella nozione di “situazione giuridicamente tutelata” ai fini dell’accesso, ai sensi dell’art. 22 della legge 241/1990. In senso contrario non vale l’eccezione dell’amministrazione secondo cui sarebbe ormai decorso del termine per impugnare gli atti di accertamento tributario innanzi alla competente Commissione tributaria, atteso che l’interessato ha prospettato la possibilità che tali atti possano essere considerati nulli per mancata sottoscrizione da parte del dirigente, in virtù di quanto statuito dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015, che ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni che consentivano alle Agenzie fiscali di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari. TAR CALABRIA CATANZARO SEZ. II sentenza 12 novembre 2015, n. 1671 Accesso civico 1. Pubbliche amministrazioni – trasparenza – accesso civico – art. 5 d.lgs. 33/2013 – finalità 2. Pubbliche amministrazioni – trasparenza – obblighi di pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico – art. 14 d.lgs. 33/2013 – richiesta di accesso civico – mancato riscontro – condanna del comune alla pubblicazione 1. L’accesso civico consente ai cittadini e ad enti di controllare democraticamente se un’amministrazione pubblica abbia adempiuto agli obblighi di trasparenza previsti dalla legge, segnatamente se abbia provveduto alla pubblicazione di documenti, informazioni o dati, sicché l’amministrazione destinataria dell’istanza di accesso civico, ai sensi dell’art. 5, comma 3, del citato d.lgs. n. 33 del 2013, entro trenta giorni, deve pubblicare il documento, informazione o dato richiesto sul sito istituzionale, trasmettendolo contestualmente all’istante, ovvero comunicando a quest’ultimo il collegamento ipertestuale per l’accesso, con la precisazione che in tale ultimo modo la p.a. deve procedere allorché il documento, informazione o dato risulti già pubblicato nel rispetto della normativa vigente (cfr. TAR Lazio, sez. III-bis, 19.3.2014, n. 3014). 2. A fronte di una istanza di accesso civico, rimasta senza riscontro, riguardante dati ed informazioni sottoposti ad obbligo di pubblicazione, quali sono i dati e le informazioni concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico (art. 14, d.lgs. 33/2013), il comune va condannato a procedere, entro 30 (trenta) giorni dalla comunicazione e/o notificazione della sentenza, alla pubblicazione nel sito dei documenti, delle informazione e dei dati richiesti con la domanda di accesso civico, eccezion fatta che per la dichiarazione del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado (salvo che non sussista autorizzazione in proposito) ed a comunicare al medesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando il relativo collegamento ipertestuale. CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI sentenza 10 novembre 2015, n. 5111 Accesso agli atti di procedura selettiva annullata in autotutela 1. Diritto di accesso ai documenti amministrativi – art. 22 legge 241/1990 – legittimazione all’accesso – interesse di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon andamento dell’attività amministrativa – insufficienza 2. Diritto di accesso ai documenti amministrativi – procedura selettiva annullata in autotutela – interesse di un candidato ad accedere ai documenti riguardanti i giudizi espressi dall’organo di valutazione sul suo profilo – sussistenza 1. La disposizione di cui all’art. 22, comma 1, legge n. 241 del 1990 , pur riconoscendo il diritto di accesso a “chiunque vi abbia interesse”, non ha tuttavia introdotto alcun tipo di azione popolare diretta a consentire un qualche controllo generalizzato sulla amministrazione, tant’è che ha contestualmente definito siffatto interesse come finalizzato alla”tutela” di “situazioni giuridicamente rilevanti”. Non è dubbio pertanto che l’interesse che legittima la richiesta di accesso, oltre ad essere serio e non emulativo, deve essere “personale e concreto”, ossia ricollegabile alla persona dell’istante da uno specifico rapporto. In sostanza, occorre che il richiedente intenda poter supportare una situazione di cui è titolare, che l’ordinamento stima di suo meritevole di tutela. Non è sufficiente addurre il generico e indistinto interesse di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon andamento dell’attività amministrativa. Da questo indirizzo la giurisprudenza del Consiglio di Stato mai si è discostata (Cons. Stato, sez. VI, 23.11.2000, n. 5930; sez. IV, 6.10.2001, n. 5291; sez. VI, 22.10.2002, n. 5818; sez. V, 16.1.2005, n. 127; sez. IV, 24.2.2005, n. 658; sez. VI, 10.2.2006 n. 555; sez. VI, 1.2.2007, n. 416). 2. È illegittimo il diniego di accesso, per carenza di interesse concreto ed attuale, ai documenti amministrativi relativi ad una procedura selettiva annullata in autotutela, per vizio di composizione della commissione giudicatrice, ed oggetto di successiva rinnovazione. Invero, il sopravvenuto annullamento (con conseguente giuridica inefficacia) degli atti della procedura cui ha partecipato l’originario ricorrente non determina per lui il venir meno di un interesse comunque diretto, concreto ed attuale ad accedere ai medesimi nella parte in cui lo riguardano personalmente (e così è nel caso di specie, essendo l’istanza finalizzata all’ostensione degli atti della procedura riguardanti i giudizi espressi dall’organo di valutazione sul profilo del candidato ricorrente). Per vero, il diritto di accesso non è esercitabile soltanto per i provvedimenti amministrativi (dotati di perdurante efficacia giuridica), ma anche per meri atti o documenti non più idonei ad incidere sulla sfera giuridica dei soggetti ai quali si riferiscono, quante volte – come nella specie – chi agisce ad exibendum sia, o possa essere, comunque titolare di una situazione giuridicamente tutelata in quanto connessa al contenuto di siffatti atti o documenti (si veda l’art. 22, comma 1, lett.b), legge n. 241 del 1990). ATTI AMMINISTRATIVI CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI sentenza 10 dicembre 2015, n. 5625 Limiti temporali all’esercizio del potere di autotutela 81 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 Atti e provvedimenti amministrativi – concessioni edilizie in sanatoria – annullamento in autotutela – decorsi undici anni dal rilascio del condono – illegittimità È illegittimo l’annullamento, in autotutela, di “concessioni edilizie in sanatoria rilasciate oltre undici anni prima [...] per fabbricati realizzati inizialmente sin dagli anni cinquanta”. L’art. 21-nonies della legge 17.8.1990, n. 241 prevede infatti che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Nella specie, manca il requisito rappresentato dalla valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del provvedimento. Nel caso in esame tale affidamento era particolarmente qualificato, in ragione del lungo tempo trascorso dall’adozione delle concessioni annullate. In particolare, risultano trascorsi tredici anni dal rilascio del condono e ventinove anni dalla presentazione della relativa domanda. È bene anche aggiungere che il decreto-legge 12.9.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, rappresento da “diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. Pur se tale norma non è applicabile ratione temporis, in ogni caso, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti. APPALTI E SERVIZI CONSIGLIO DI STATO SEZ. III sentenza 22 gennaio 2016, n. 211 Criteri di verifica delle offerte anomale 1. Contratti della p.a. – appalti – gara – offerte anomale – verifica – soglia minima di utile al di sotto della qua- 82 le l’offerta deve essere considerata anomala – individuazione – possibilità – va esclusa 2. Contratti della p.a. – appalti – gara – offerte anomale – verifica – ampia discrezionalità – sindacato giurisdizionale – limiti 3. Contratti della p.a. – appalti – gara – offerte anomale – verifica – natura sanzionatoria – va esclusa 1. Nella gara pubblica la valutazione di anomalia dell’offerta va fatta considerando tutte le circostanze del caso concreto, poiché un utile all’apparenza modesto può comportare un vantaggio significativo sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa (il mancato utilizzo dei propri fattori produttivi è comunque un costo), sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e dall’aver portato a termine un appalto pubblico, cosicché nelle gare pubbliche non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulta pari a zero (Cons. Stato, sez. III, 10.11.2015, n. 5128). 2. Il giudizio sull’anomalia è un giudizio ampiamente discrezionale, espressione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza; il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non procedere ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, che costituirebbe un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione e tale sindacato rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto (Cons. Stato, sez. V, 2.12.2015, n. 5450). 3. Il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare in concreto che l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto. Esso mira piuttosto a garantire e tutelare l’interesse pubblico concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di gara per l’effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell’esecuzione dell’appalto, così che l’esclusione dalla gara dell’offerente per l’anomalia della sua offerta è l’effetto della valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere. Un sindacato nel dettaglio sui singoli aspetti è, dunque, precluso al giudice amministrativo, cui non è consentito procedere ad una autonoma valutazione della congruità o meno di singole voci, non potendosi esso sostituire ad una attività valutativa rimessa, quanto alla sua intrinseca manifestazione, unicamente all’amministrazione procedente (Cons. Stato, sez. VI, 14.8.2015, n. 3935; sez. V, 22.12.2014, n. 6231). TAR TOSCANA SEZ. II sentenza 13 gennaio 2016 n. 11 Appalti pubblici – Requisiti generali – Lex specialis – Obbligo dichiarazione precedente risoluzione contrattuale – Omissione – Dichiarazione falsa – Soccorso istruttorio – Inammissibilità Appalti pubblici – requisiti generali – lex specialis – obbligo dichiarazione precedente risoluzione contrattuale – omissione – dichiarazione falsa – soccorso istruttorio – inammissibilità L’omessa dichiarazione della precedente risoluzione contrattuale determina la falsità della dichiarazione resa e legittima, di per sé sola, l’esclusione. In tal caso non c’è spazio per il “soccorso istruttorio” perché “tale istituto può essere invocato in caso di dichiarazione incompleta, irregolare o addirittura mancante, non già nell’ipotesi – totalmente diversa – di una dichiarazione esistente, ma scientemente difforme dalla realtà” (così questa Sezione si è espressa nella sentenza 31 luglio 2015 n. 1133; cfr., nel medesimo senso, la già citata sentenza 5 dicembre 2014 n. 1990). TAR LAZIO ROMA SEZ. II-TER sentenza 8 gennaio 2016, n. 173 1. Appalti pubblici – Requisiti generali – Rilevanza della lex specialis- Previsione di una dichiarazione relativa all’assenza di cause impeditive – Pretesa incompletezza della dichiarazione, nella quale COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 non venga fatta menzione di tutti i precedenti penali – Non potrebbe comportare l’esclusione ope legis dalla gara, laddove all’omissione non corrisponda la sostanziale carenza del requisito 2. Appalti pubblici – Verifica dell’incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell’impresa sulla moralità professionale della stessa – Attiene all’esercizio del potere discrezionale della Pubblica Amministrazione- Dichiarazione resa sulla scorta di una formulazione del bando ambigua ed equivoca- Non può determinarsi l’esclusione dalla gara per l’incompletezza della dichiarazione resa 1. Secondo un primo orientamento, la mancata dichiarazione dei requisiti di partecipazione (con particolare riguardo a quello, che viene qui in considerazione, dell’assenza di condanne penali) sarebbe in grado di determinare ex se l’esclusione dalla gara, a prescindere dalla verifica in concreto delle sussistenza dei requisiti necessari, con la conseguenza che l’omessa dichiarazione delle sentenze di condanna comporterebbe sempre la non veridicità della dichiarazione, determinando l’esclusione dell’impresa (Cons. stato, sez. IV, 1 aprile 2011, n. 2068). Una diversa impostazione, che si contrappone al citato orientamento, attribuisce rilievo centrale al dettato della lex specialis, distinguendo i casi in cui essa richiede di dichiarare tutte le condanne riportate da quelli in cui è genericamente prevista una dichiarazione relativa all’assenza di cause impeditive: nel secondo caso (dichiarazione sull’assenza di cause impeditive), la pretesa incompletezza della dichiarazione, nella quale non venga fatta menzione di tutti i precedenti penali, non potrebbe comportare l’esclusione ope legis dalla gara, laddove all’omissione non corrisponda la sostanziale carenza del requisito (Cons. Stato, sez. V, 23 marzo 2011, n. 1795). In questa ottica, è stato anche precisato che il concorrente potrebbe omettere di fare menzione dei precedenti penali che non ritiene idonei a comprometterne, secondo l’idquod plerumque accidit, la moralità professionale, cosicché non potrebbe in ogni caso essere qualificata come falsa una dichiarazione fondata su una valutazione di carattere soggettivo (Cons. Stato, sez. V, 19 giugno 2009, n. 4082). Il Collegio condivide questo secondo orientamento, meno rigoroso e formalistico, incline al favor partecipationis ed in sintonia anche con la ratio sottesa ai più recenti interventi del Legislatore in materia di appalti pubblici. Applicando le suesposte coordinate al caso di specie, ne consegue che l’omessa dichiarazione della condanna penale da parte dell’amministratore unico della società aggiudicataria (per reato di guida in stato di ebbrezza) avrebbe potuto essere sanzionata con l’esclusione dalla gara solo in presenza di un obbligo stringente imposto dal bando; diversamente, infatti, il concorrente poteva ritenersi esonerato dal dichiarare l’esistenza di condanne per infrazioni penalmente rilevanti, ma di lieve entità (Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1799). 2. Il Collegio non ignora il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in materia di cause di esclusione dalle gare per reati incidenti sulla moralità professionale, la verifica dell’incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell’impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all’esercizio del potere discrezionale della p.a. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato, non potendo la stessa concorrente valutare da sé quali reati siano rilevanti ai fini della dichiarazione da rendere, ciò implicando un giudizio inevitabilmente soggettivo, inconciliabile con la finalità della norma (Consiglio Stato sez. V, 12 aprile 2007, n. 1723; Consiglio di Stato, sez. V, 06 marzo 2013, n. 1378). Tuttavia – aderendo sul punto all’orientamento meno rigoroso e formalistico (v. anche C.d.S., sez. III, sent. 507/2014) – allorché la dichiarazione sia resa sulla scorta di una formulazione del bando ambigua ed equivoca (come nella fattispecie) ed il concorrente incorra in errore indotto dalla formulazione stessa del bando, non può determinarsi l’esclusione dalla gara per l’incompletezza della dichiarazione resa (C.d.S., sez. V, 26.1.2011, n. 550, Consiglio di Stato, sez. VI, 01/02/2013, n. 634). Nel caso di specie, peraltro, il bando non conteneva al riguardo una espressa comminatoria di esclusione, tale non potendosi considerare quella in calce al punto A.1 del disciplinare, che, laddove prevede che “tutte le suddette dichiarazioni vanno rese dall’operatore economico concorrente ...”, rende applicabile l’esclusione stessa in caso di assenza della dichiarazione e non in ipotesi di dichiarazione negativa od incompleta. La disposta esclusione avrebbe potuto, pertanto, essere disposta soltanto là dove fosse stata effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito in questione; vale a dire, non per l’insussistente ipotesi di omessa o falsa dichiarazione, bensì soltanto dopo che l’Amministrazione, in sede di verifica dei requisiti soggettivi, avesse accertato l’esistenza di condanne penali, per la presenza di gravi reati incidenti sulla moralità professionale; previo, cioè, un giudizio valutativo della Stazione appaltante circa la gravità dei reati emersi e circa la loro incidenza sulla moralità professionale: giudizio, questo, ch’è del tutto mancato nel caso in questione. Il Collegio, aderendo all’orientamento più volte citato, ritiene che il rigore formalistico (per cui una dichiarazione inaffidabile, perché incompleta, sarebbe di per sé lesiva degli interessi considerati dal Legislatore, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti o meno, nella sostanza, di partecipare alla gara) debba cedere, come si è sopra chiarito, in presenza di una scusabilità dell’errore riconducibile a formulazioni degli atti di gara che possono indurre dubbi interpretativi, tanto più che vige oggi la regola della tassatività delle cause di esclusione, di cui all’art. 46, comma 1 bis, Codice dei contratti, che s’ispira ad un criterio sostanzialistico e riafferma il favor partecipationis (v. Consiglio di Stato, sez. III, n. 2006/2013; ibidem n. 507/2014); principio che ha trovato ulteriore conferma nel comma 3 dell’art. 39 del d.l. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 114 del 2014. TAR LOMBARDIA BRESCIA SEZ. II sentenza 16 dicembre 2015, n. 1726 L’incompatibilità dei commissari di gara (ex art. 84, comma 4, codice appalti) non si estende al segretario 1. Contratti della p.a. – appalti – commissione di gara – componenti della commissione diversi dal Presidente – incompatibilità ex art. 84, comma 4, d.lgs. 163/2006 – estensione al segretario – va esclusa 2. Contratti della p.a. – appalti – società in house – indizione procedura selettiva per l’affidamento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti – pre- 83 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 sidente società in house – nomina di sé stesso a Presidente della commissione giudicatrice – possibilità – va riconosciuta 1. Il motivo di incompatibilità di cui all’art. 84, comma 4, del d.lgs. 163/2006 (che recita testualmente: “I commissari diversi dal presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”) riguarda soltanto i commissari diversi dal presidente, e la deroga a favore di quest’ultimo attenua la rilevanza dell’interesse pubblico all’imparzialità: la volontà di conservare la distinzione tra i soggetti che hanno definito i contenuti e le regole della procedura e quelli che ne fanno applicazione nella fase di valutazione delle offerte non è pertanto rigorosa, essendo perseguita in modo parziale (per una specifica applicazione, si veda Consiglio di Stato, sez. III, 13.10.2014, n. 5057). In coerenza con la predetta impostazione si è statuito che “non costituisce violazione dei principi di imparzialità e buona amministrazione il cumulo, nella stessa persona, delle funzioni di presidente della commissione valutatrice e di responsabile del procedimento, nonché di soggetto aggiudicatore, risultando ciò conforme ai principi sulla responsabilità dei funzionari degli enti locali, come delineati dall’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000”(Cons. Stato, sez. V, 17.11.2014, n. 5632 e la giurisprudenza ivi richiamata; si veda anche TAR Veneto, sez. III, 22.4.2013, n. 593 il quale ha sottolineato che il legislatore demanda al dirigente la Presidenza della Commissione e l’esercizio delle funzioni inerenti al procedimento, secondo le previsioni dell’art. 107 del d.lgs. 267/2000 per gli enti locali e dell’art. 84, comma 3, del codice degli appalti). Se è dunque pacifico, in giurisprudenza, che il dirigente della stazione appaltante possa cumulare le descritte funzioni (di presidente della commissione e di redattore degli atti di gara), non si vede il motivo per estendere l’incompatibilità al Segretario verbalizzante, il quale svolge funzioni ausiliarie e documentali (TAR Campania, Salerno, sez. II, 8.2.2007, n. 1376) e non assume il ruolo di componente (TAR Brescia, sez. II, 4.11.2014, n. 1154). Sul punto, il TAR Puglia, Bari, sez. II, 9.1.2015, n. 17 ha sinteticamente rilevato che la possibilità di cui si controverte non è esclusa dalla 84 legge ed è anzi ammessa dalla giurisprudenza. Pertanto, il soggetto che ha provveduto a redigere il bando di gara può legittimamente assumere l’incarico di segretario della commissione giudicatrice, essendo privo del potere formale di interferire nell’attività dei 3 esperti, assumendo soltanto il compito di verbalizzare le decisioni altrui (cfr. sentenza sezione 10.4.2015, n. 514). 2. Il presidente del consiglio di amministrazione di una società pubblica non riveste un ruolo politico che determini la sua incompatibilità con il ruolo gestionale all’interno della compagine. L’organizzazione delle società per azioni si fonda infatti su una struttura ben definita (art. 2380-bis e ss. del c.c.) che assegna, nel sistema tradizionale, funzioni deliberative all’assemblea, gestionali agli amministratori e di controllo al collegio sindacale. Ne consegue che il presidente di una società in house ben può nominare se stesso quale presidente della commissione giudicatrice per l’affidamento di un appalto. Del resto, è demandata ai componenti del consiglio di amministrazione della società pubblica la gestione dell’impresa, e il compimento di tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. CONSIGLIO DI STATO SEZ. III sentenza 14 dicembre 2015, n. 5670 Competenza tecnica dei componenti delle commissioni di gara Contratti della p.a. – appalti – commissione di gara – componenti – requisito della competenza tecnica adeguata alle peculiarità dello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto – fattispecie La regola fissata dall’art. 84 d.lgs. n. 163 del 2006, per la quale i componenti della commissione di gara vanno scelti fra soggetti dotati di competenza tecnica adeguata alle peculiarità dello specifico settore interessato dall’appalto da assegnare, costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa; l’enunciato requisito dell’esperienza “nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto” deve, tuttavia, essere inteso in modo coerente con la poliedricità delle competenze spesso richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare, non solo tenendo conto, secondo un approccio formale e atomistico, delle strette professionalità tecnico settoriali implicate dagli specifici criteri di valutazione, la cui applicazione sia prevista dalla lex specialis, ma considerando, secondo un approccio di natura sistematica e contestualizzata, anche le professionalità occorrenti a valutare sia le esigenze dell’amministrazione, cui quei criteri siano funzionalmente preordinati, sia i concreti aspetti gestionali ed organizzativi sui quali gli stessi siano destinati ad incidere; non è, in particolare, necessario che l’esperienza professionale di ciascun componente copra tutti gli aspetti oggetto della gara, potendosi le professionalità dei vari membri integrare reciprocamente, in modo da completare ed arricchire il patrimonio di cognizioni della commissione, purché idoneo, nel suo insieme, ad esprimere le necessarie valutazioni di natura complessa, composita ed eterogenea (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10.6.2013, n. 3203). Ne consegue che appare immune da vizi la decisione del primo giudice – concernente l’affidamento di un appalto avente ad oggetto la fornitura di un prodotto software per la gestione dei ricoveri ospedalieri – che ha ritenuto sussistente la necessaria competenza dei componenti della commissione, rilevando che la presidente della commissione disponeva dell’esperienza professionale acquisita nella gestione ed utilizzazione di diversi sistemi informatici in uso nell’Azienda Ospedaliera, non soltanto nell’ambito specifico della fisica sanitaria e della radioterapia, e che i dirigenti dei settori interessati dall’acquisizione dei software oggetto di gara, quali ulteriori componenti della commissione per la fase di valutazione delle offerte tecniche (rispettivamente direttore del Sod Pronto Soccorso e Direttore del Sod medicina d’urgenza), fossero in possesso delle competenze necessarie ad apprezzare la rispondenza dei sistemi operativi offerti dalle partecipanti alle caratteristiche tecniche, qualitative e funzionali richieste dalla stazione appaltante. CONSIGLIO DI STATO SEZ. V sentenza 20 novembre 2015, n. 5296 Nomina del vicesindaco a presidente della commissione di gara COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 1. Contratti della p.a. – appalti – gara – composizione della commissione giudicatrice – provvedimento di nomina – onere di immediata impugnazione – non sussiste 2. Enti locali – comuni “polvere” – deroghe al principio di distinzione tra politica e amministrazione – nomina del vicesindaco a presidente della commissione di gara – legittimità 1. L’onere di immediata impugnativa è circoscritto alle clausole del bando di gara impeditive della partecipazione alla procedura o impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, e pertanto immediatamente lesive sotto questi profili (ad. plen., 29.1.2003, n. 1; sez. III, 14.5.2015, n. 2413; 2.2.2015, n. 491; sez. V, 1.8.2015, n. 3776; 21.7.2015, n. 3611; 18.6.2015, n. 3104; 3.6.2015, n. 2713), mentre ogni altra questione, ivi compresa la legittima composizione della commissione di gara, è rimessa all’impugnazione contro l’altrui aggiudicazione, perché è solo in questo momento che si concretizza la lesione per le altre partecipanti alla procedura e può conseguentemente ritenersi sorto l’onere di impugnazione. 2. L’art. 53, comma 23, legge 388/2000 (legge finanziaria per il 2001) che consente ai comuni di più ridotta consistenza demografica di attribuire compiti di gestione amministrativa ai componenti dell’organo di vertice politico dell’ente è da considerarsi norma speciale e derogatoria, tanto rispetto al principio di separazione politica – amministrazione sancito dal parimenti citato art. 107 t.u.e.l., quanto all’art. 84 codice dei contratti pubblici. Si tratta infatti di una previsione che ha l’evidente scopo di assicurare la necessaria funzionalità ai comuni “polvere”, i cui organici sono privi di posizioni dirigenziali, permettendo loro di coprire le posizioni apicali all’interno della propria “micro-struttura” mediante ricorso ai componenti dell’organo di direzione politica. Le ragioni che giustificano questa deroga al principio di separazione poc’anzi enunciato non può quindi che comportare, quale ulteriore e coerente conseguenza, che il componente della giunta cui è attribuita la responsabilità dei servizi comunali è pienamente investito delle funzioni connesse a tale attribuzione, ivi compresa quella di presidenza delle commissioni di gare per l’affidamento di contratti d’appalto da parte dell’ente, ai sensi del comma 3 dell’art. 84 del d.lgs. 163/2006, nonché del comma 1, lett. a), del medesimo art. 107 d.lgs. 267/2000 (secondo il quale ai dirigenti sono attribuiti “tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi”, tra i quali “la presidenza delle commissioni di gara”). In virtù della medesima deroga deve conseguentemente essere ritenuto inapplicabile il divieto, enunciato dal successivo comma 5 del medesimo art. 84, di nominare commissari delle procedure da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa “Coloro che nel biennio precedente hanno rivestito cariche di pubblico amministratore [...] relativamente a contratti affidati dalle amministrazioni presso le quali hanno prestato servizio”. CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI sentenza 6 novembre 2015, n. 5045 Limiti di operatività del c.d. contratto di avvalimento 1. Contratti della p.a. – appalti – contratto di avvalimento – art. 49, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 – limiti di operatività 2. Contratti della p.a. – appalti – contratto di avvalimento – art. 49, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 – oggetto – requisiti speciali di qualificazione professionale – possibilità – fattispecie 1. Il limite di operatività dell’istituto dell’avvalimento di cui all’art.49 comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, suscettibile di un amplissimo campo operativo, è dato anzitutto dal fatto che la messa a disposizione dei requisiti mancanti non deve riferirsi alle capacità di ordine generale del partecipante (quale la idoneità morale di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006) né ai requisiti soggettivi di carattere personale, individuati nell’art. 39 del medesimo d.lgs. (cd. requisiti professionali). Tali requisiti, infatti, sono relativi alla mera e soggettiva idoneità professionale del concorrente e quindi non sono surrogabili neppure con l’avvalimento, il cui perimetro applicativo resta quello dei requisiti strettamente connessi alla prova della capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale del concorrente. Inoltre, il trasferimento del requisito all’impresa ausiliata non può risolversi nel prestito di un valore puramente cartolare e astratto, essendo invece necessario, anche alla luce del chiaro disposto dell’art. 88 del d.P.R. n. 207 del 2010 che dal contratto risulti chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria a prestare le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità (mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti). Sulla base di tale enunciato, è stato affermato (Cons. Stato, sez. V, 27.4.2015, n. 2063) che è pacificamente insufficiente allo scopo la pedissequa riproduzione, nel testo del contratto di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione delle “risorse necessarie di cui è carente il concorrente” o espressioni equivalenti. 2. È illegittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante, dopo aver disposto l’aggiudicazione della gara in favore di un raggruppamento temporaneo di imprese, ne ha disposto l’annullamento ed ha quindi fatto luogo all’esclusione del concorrente dalla medesima gara per ritenuta incompletezza del contratto di avvalimento prodotto a corredo dell’offerta, considerato che, nel caso in esame, non può profilarsi alcun limite ostativo al ricorso all’avvalimento connesso alla natura personalistica dei requisiti oggetto di “messa a disposizione”, dato che a formare oggetto del prestito non è né un requisito di ordine generale né un requisito inerente l’esercizio di una professione regolamentata (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. V, 28.7.2015 n. 3698 sul diverso caso dell’applicabilità dell’istituto dell’avvalimento all’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali). Ed invero, nel caso di specie, il contratto di avvalimento ha avuto ad oggetto i requisiti speciali di qualificazione professionale (non quindi di abilitazione tout court) per l’esecuzione del servizio di progettazione oggetto d’appalto, dato che il professionista “concorrente” non era abilitato, all’epoca di presentazione dell’offerta, ad eseguire le progettazioni relative alle categorie OG 11 e OG 1 richiesta dalla lex specialis di gara. Detto requisito di speciale abilitazione sussisteva invece pacificamente in capo alla società di progettazione ausiliaria, che non si è impegnata semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astratto, avvalendosi della formula legislativa della messa a disposizione delle “risorse necessarie di cui è carente il concorrente” (o vaghe espressioni similari), ma ha espressamente assunto un 85 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 impegno sufficientemente specifico a garantire all’impresa avvalente l’attività di progettazione richiesta per l’esecuzione dell’appalto integrato di che trattasi, con le proprie risorse di carattere economico, finanziario ed organizzativo, nonché con il proprio personale dipendente e le proprie attrezzature. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V sentenza 6 novembre 2015, n. 5070 Appalti pubblici – Oneri di sicurezza – Oneri esterni da interferenze – Sono calcolati dalla stazione appaltante e non soggetti a ribasso – Oneri interni o aziendali – sono calcolati dal concorrente e indicati nell’offerta – Obbligo per il concorrente di indicare anche gli oneri esterni – Non sussiste – Ragioni La determinazione degli oneri di sicurezza c.d. esterni compete alla Stazione appaltante (contrariamente a quanto vale per gli oneri c.d. interni o aziendali), che vi procede impartendo un’indicazione di cui i concorrenti non possono far altro che tenere conto all’atto della formulazione delle loro offerte. Le radicali differenze che investono la natura degli oneri di sicurezza dell’uno e dell’altro tipo (ben scolpite dalla stessa Adunanza Plenaria) escludono, invero, che la regola della necessaria indicazione da parte delle concorrenti degli oneri aziendali, i quali sono appunto loro individualmente propri, possa essere estesa anche agli oneri c.d. esterni, giacché la definizione di questi ultimi compete appunto, per converso, alla sola Amministrazione, chiamata a fissarli a monte della procedura, e su di essi le concorrenti non dispongono di alcun potere dispositivo, sicché anche una loro eventuale indicazione sul punto sarebbe solo pedissequamente riproduttiva di quella posta a base della procedura. L’art. 86, comma 3-bis, d.lgs. n. 163/2006, dove stabilisce che il “costo relativo alla sicurezza” debba essere “specificamente indicato”, si rivolge al tempo stesso, infatti: per gli oneri c.d. esterni, alla Stazione appaltante, che chiama appunto a provvedere a siffatta indicazione in occasione della predisposizione della gara d’appalto; per gli oneri c.d. interni, alle singole concorrenti in sede di offerta. 86 CONSIGLIO DI STATO SEZ. III sentenza 21 ottobre 2015, n. 4810 Cottimo fiduciario 1. Contratti della p.a. – appalti – lavori, servizi e forniture in economia – procedura di cottimo fiduciario per un importo sotto soglia comunitaria – mancata dichiarazione sugli oneri di sicurezza ambientale da parte dell’aggiudicataria – irrilevanza 2. Contratti della p.a. – appalti – lavori, servizi e forniture in economia – procedura di cottimo fiduciario per un importo sotto soglia comunitaria – principio di rotazione – valenza precettiva assoluta – va esclusa 1. Nelle procedure di cottimo fiduciario per un importo sotto soglia comunitaria, vige il principio il semplificazione dettato dall’art. 125, comma 9, d.lgs. n. 163 del 2006. Invero, il cottimo fiduciario non è una vera e propria gara, ma una trattativa privata, ossia una scelta altamente discrezionale che è temperata soltanto dal rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialità da attuare attraverso la rotazione tra le ditte da consultare e con le quali negoziare le condizioni dell’appalto e nel rispetto di requisiti minimi di concorrenzialità, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove possibile (Cons. Stato, sez. V, 16.1.2015, n. 65; sez. III, 12.9.2014, n. 4661). Non trovano, invece, applicazione le rigide regole dettate per gli appalti sopra soglia; pertanto, nonostante lo scopo altamente sociale che la norma si propone, è fortemente discutibile che possa trovare rigida applicazione l’obbligo discendente dall’art. 87, comma 4, del codice dei contratti pubblici, che concerne la dichiarazione specifica degli oneri sostenuti per la sicurezza aziendale, quantomeno nel senso di imporre una tale dichiarazione a pena di esclusione. È preferibile ritenere che la regola, così come intesa dalla giurisprudenza formatasi in materia di appalti sopra soglia comunitaria, possa eccezionalmente applicarsi ai suddetti affidamenti quando, in considerazione di particolari e specifiche esigenze, la lettera d’invito contempla espressamente un richiamo in tal senso, specificando la conseguente esclusione dalla procedura per la mancata dichiarazione. Nulla prevede, però, nel caso in esame la lettera d’invito, né il capitolato speciale, salvo quanto specifica la stazione appaltante per i costi da interferenza quantificati nel Duvri, che non attengono però allo specifico costo della sicurezza interno all’organizzazione aziendale. Deve ritenersi pertanto legittima la decisione della stazione appaltante di non escludere dalla gara l’aggiudicataria nonostante non avesse specificato i costi imputabili alla sicurezza aziendale. 2. La rotazione, di cui all’art. 125, comma 9, del codice dei contratti pubblici, considerato il carattere negoziale dell’affidamento dei lavori e servizi in economia mediante cottimo fiduciario, ha lo scopo precipuo di evitare che il carattere discrezionale della scelta si traduca in uno strumento di favoritismo e che il criterio debba essere attuato mediante l’affidamento, preferibilmente e ove possibile, a soggetti diversi da quelli che in passato abbiano svolto il servizio. Pertanto, ove sia seguito un procedimento sostanzialmente concorrenziale per l’individuazione del contraente, con invito a partecipare alla gara rivolto a più imprese (nella specie, tre ditte) ivi compresa l’affidataria uscente, e risultino rispettati sia il principio di trasparenza che quello di imparzialità nella valutazione delle offerte, può dirsi tendenzialmente attuato il principio di rotazione, che non ha una valenza precettiva assoluta, per le stazioni appaltanti, nel senso di vietare, sempre e comunque, l’aggiudicazione all’affidatario del servizio uscente. Se questa fosse stata la volontà del legislatore, sarebbe stato espresso il divieto in tal senso in modo assoluto. Pertanto, un’episodica mancata applicazione del criterio non vale ex se ad inficiare gli esiti di una gara già espletata, una volta che questa si sia conclusa con l’aggiudicazione in favore di un soggetto già in precedenza invitato a simili selezioni, tanto più quando sia comprovato, come nel caso di specie, che la gara sia stata effettivamente competitiva e si sia conclusa con l’individuazione dell’offerta più vantaggiosa per la stazione appaltante (Cons. Stato, sez. VI, 28.12.2011, n. 6906). EDILIZIA E URBANISTICA CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI sentenza 4 gennaio 2016, n. 10 Interventi edilizi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 1. Edilizia e urbanistica – muretto di cinta posto sul confine e avente funzione di separazione e difesa dei distinti lotti di proprietà – mancata acquisizione del permesso di costruire – ordine di demolizione – illegittimità 2. Edilizia e urbanistica – muri di cinta e cancellate – soggezione al regime della Scia ove non superino la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia – fattispecie 1. È illegittimo l’ordine di demolizione di un muretto divisorio in cemento armato posto su di un lato di un lotto di terreno realizzato senza la previa acquisizione del permesso di costruire, considerato che più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie (es. Cons. Stato, sez. VI, 4.7.2014, n. 3408). Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della legge n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, sez. IV, 3.5.2011, n. 2621). 2. In linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della Dia (in seguito: Scia) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo ‑ invece ‑ il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia. Nel caso di specie, l’impatto sortito dal muro divisorio di cui si tratta sul piano urbanistico-edilizio risulta di scarsa incidenza sole che si consideri che ‑ come emerge dal materiale fotografico acquisito ‑ lo stesso manufatto supera di poco (al di là della sua maggiore o minore percezione visiva a seconda del versante prospettico) il piano di campagna; e che l’effettiva funzione divisoria dei distinti lotti di proprietà è in concreto assicurata da una rete metallica infissa sul predetto muro. Nel caso in esame, pertanto, il manufatto non rappresenta un’opera comportante un’apprezzabile trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio: tanto più se si considera che il giudizio è necessariamente relazionale rispetto al concreto contesto e che, nella specie, queste opere sono state realizzate contestualmente ed in funzione complementare a quelle di urbanizzazione di una vasto comparto a destinazione artigianale-industriale. La rilevanza di cui si verte, ai fini della rammentata capacità trasformativa, va invero considerata in modo proporzionale: cioè dopo essere stata rapportata non alla consistenza in assoluto dell’innovazione, bensì alla condizione del contesto in cui è inserita. Sicché un manufatto di minimo impatto che in un certo contesto può risultare necessitante del massimo titolo edilizio, può non risultarlo altrove. E non vi è dubbio che un contesto come quello di un comparto a destinazione artigianale-industriale attenuti il rilievo di fatto che avrebbe la medesima opera in un contesto abitativo. Da quanto sopra consegue che il muro divisorio di che trattasi, in quanto assoggettato a semplice Dia (ora Scia), non era passibile di ordinanza di demolizione, atteso che per le opere sottoposte a Dia la sanzione applicabile è unicamente la sanzione pecuniaria (cfr. art. 37 t.u. cit., che fa salve le ipotesi, qui non ricorrenti, degli interventi eseguiti su beni culturali ovvero in zona tipizzata come “A” dallo strumento urbanistico). ELETTORALE CONSIGLIO DI STATO SEZ. V sentenza 6 novembre 2015, n. 5069 Effetti della partecipazione alle elezioni di un candidato versante in condizione di incandidabilità 1. Giustizia amministrativa – riti speciali – contenzioso in materia elettorale – amministrative comunali – parti necessarie – prefettura – estromissione dal giudizio 2. Giustizia amministrativa – riti speciali – contenzioso in materia elettorale – tutela anticipata – art. 129 c.p.a. – ambito di applicazione – atti di ammissione di candidati – esclusione 3. Giustizia amministrativa – riti speciali – contenzioso in materia elettorale – amministrative comunali – candidato sindaco in condizione di incandidabilità – partecipazione alle elezioni – effetti sulla lista collegata 4. Giustizia amministrativa – riti speciali – contenzioso in materia elettorale – amministrative comunali – candidato sindaco in condizione di incandidabilità – partecipazione alle elezioni – effetti sulle elezioni 1. L’art. 130, comma 3, del c.p.a. stabilisce che il ricorso relativo alle operazioni elettorali riguardanti le consultazioni amministrative debba essere notificato “all’ente della cui elezione si tratta”, oltre che alle altre parti che vi abbiano interesse. Con questa disposizione, individuando quale unica parte pubblica necessaria (diversamente da quanto disposto dall’art. 129) l’ente locale interessato dalle elezioni, cui vanno imputati i risultati elettorali, si è quindi recepita la consolidata posizione giurisprudenziale che esclude che siano annoverabili tra le parti necessarie del relativo contenzioso anche gli uffici elettorali (i quali esauriscono la loro funzione con la proclamazione degli eletti) e, più ampiamente, l’amministrazione statale (Cons. Stato, sez. V, 12.2.2008, n. 496; 3.2.1999, n. 215). La giurisprudenza, invero, è tuttora univoca nel senso che nei giudizi elettorali dinanzi al giudice amministrativo l’individuazione della p.a. cui compete la qualità di parte vada effettuata non già in base al criterio dell’imputazione formale degli atti contestati, bensì secondo quello dell’imputazione dei risultati della consultazione, con la conseguenza che rispetto alle elezioni comunali parte necessaria è il comune, e non già l’amministrazione statale cui appartengono gli organi preposti alle operazioni. La legittimazione passiva è riconducibile, pertanto, solo all’ente locale interessato, il quale si appropria del risultato elettorale e vede riverberarsi su di sé gli effetti dell’annullamento o della conferma della proclamazione degli eletti (sez. V, 2.3.2009, n. 1159; 23.7.2010, n. 4851; 4.8.2010, n. 5183; 26.9.2013, n. 4762; 16.6.2014, n. 3033). La Prefettura va dunque estromessa dal giudizio avente ad oggetto la consultazione elettorale per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale. 87 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 2. Il nuovo art. 129 c.p.a. non può essere interpretato nel senso che tra i provvedimenti lesivi del “diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale” vadano inclusi anche gli atti di ammissione di candidati o liste differenti da quelle del ricorrente. Ne consegue che è ammissibile il ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 130 c.p.a., contro l’ammissione di un’altra lista e l’esito finale delle elezioni. 3. Effetto minimo inevitabile della partecipazione alle elezioni di un candidato sindaco versante in condizione di incandidabilità è quello del disconoscimento alla corrispondente lista dei seggi consiliari che le fossero stati assegnati. L’art. 71 d.lgs. 267/2000 sancisce, infatti, un intimo legame tra le candidature alla carica di sindaco e le liste collegatevi, stabilendo in particolare: che con la lista dei candidati al consiglio comunale deve essere presentato anche un candidato alla carica di sindaco; che, correlativamente, ciascuna candidatura alla carica sindacale è collegata a una lista di candidati a seggi consiliari; che, infine, a ciascuna lista s’intendono attribuiti tanti voti quanti sono quelli conseguiti dal candidato alla carica di sindaco collegato alla lista medesima (commi 2, 3 e 7 art. cit.). Al cospetto di questa disciplina, nel cui contesto l’indicazione del candidato sindaco costituisce, quindi, un elemento essenziale della valida presentazione della lista (cfr. sez. V, 2.5.2002, n. 2333; 13.9.1999, n. 1052), deve ritenersi che la partecipazione alle elezioni di un candidato sindaco incandidabile, oltre a essere ex se nulla, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 235/2012, infici anche il risultato della lista che in tale candidatura si riconosceva e ad essa si era collegata. Poiché invero, con la lista dei candidati al consiglio deve essere presentato anche un candidato alla carica di sindaco, la nullità di questa seconda candidatura non può rimanere circoscritta alla medesima, ma si comunica necessariamente alla lista che la presupponeva (e che a causa della sua nullità ne risulta in definitiva carente), inficiandone il risultato elettorale. Del resto, giusta il comma 7 dell’art. 71 cit., i voti che s’intendono attribuiti a ciascuna lista sono essenzialmente quelli conseguiti dal suo candidato per la carica sindacale. L’invalidazione del risultato dell’intera lista interessata costituisce, inoltre, una coerente proiezione dell’incandidabilità del candidato sindaco da essa sostenuto, nonché della ratio della norma che sancisce la detta 88 misura. Laddove una conclusione opposta tradirebbe tale ratio, in quanto permetterebbe alla lista collegata al sindaco, pur incandidabile, di tesaurizzarne il risultato elettorale, sia pure ai limitati fini della distribuzione dei seggi consiliari. 4. In caso di illegittima ammissione alle elezioni di una lista collegata ad un candidato sindaco in condizioni di incandidabilità consegue la necessità, in casi simili, di soppesare l’influenza invalidante del vizio emerso sulle operazioni elettorali alla luce dei dati disponibili. Segnatamente, l’effetto perturbante dell’illegittima ammissione alle elezioni va verificato alla luce del rapporto esistente tra l’entità dei voti ottenuti dalla lista illegittimamente ammessa, da un lato, e lo scarto di voti registrato tra i due candidati più votati per la carica di vertice dell’ente, dall’altro. E un effetto integralmente invalidante deve essere riconosciuto, in concreto, allorché i suffragi raccolti dalla lista indebitamente ammessa superino largamente l’anzidetto scarto differenziale, sì da presentarsi come suscettibili di alterare in maniera significativa il risultato complessivo della consultazione (per questa impostazione cfr., tra le altre, sez. V, 31.3.2012, n. 1889; 20.3.2006, n. 1437; 18.6.2001, n. 3212 ; 7 marzo 2001, n.1343; 10 maggio 1999, n. 535). Orbene, nel caso di specie, risulta comprovato che l’incidenza sull’esito elettorale della partecipazione al voto della lista collegata al candidato sindaco versante in condizione di incandidabilità è risultata tale da poter alterare in misura rilevante la posizione conseguita dalle altre forze politiche, e ribaltare, in definitiva, il risultato della consultazione. Non resta quindi che convenire sulla complessiva turbativa suscitata dall’illegittima ammissione della lista collegata al candidato sindaco più volte menzionato, in assenza della quale s’impone il fondato sospetto che l’esito della consultazione sarebbe potuto essere diverso. Va pertanto disposto l’annullamento integrale delle elezioni. FINANZA LOCALE TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. III sentenza 5 gennaio 2016, n. 9 Controversia sull’onere economico relativo al servizio di assistenza studenti disabili Competenza e giurisdizione – servizio di assistenza ad personam degli studenti disabili frequentanti le scuole secondarie di secondo grado – oneri economici – assunzione in via autonoma da parte del comune – ricorso per l’accertamento della spettanza dell’onere economico in capo alla provincia – inammissibilità – per difetto di giurisdizione del g.a. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla controversia concernente la spettanza degli oneri economici relativi al servizio di assistenza ad personam degli studenti disabili frequentanti le scuole secondarie di secondo grado (sentenze 11 luglio 2013, n. 1804, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza della sez. V, 3.2.2015, n. 498; 20.2.2015, n. 520; 27.2.2015, nn. 581 e 583; 8.7.2015, n. 1584). Invero l’assunzione in via autonoma da parte del Comune di un servizio spettante invece alla provincia, sostenendone le spese, senza alcun previo accordo contrattuale o negoziale tra le parti, può dare origine in sede giurisdizionale soltanto a un’azione di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c. che richiede, infatti, come elementi integrativi della fattispecie, una diminuzione patrimoniale di una parte (il comune che ha gestito il servizio), cui fa riscontro un arricchimento dell’altra (la provincia che non lo ha assunto) che risulta privo di giusta causa (poiché si ipotizza che sia la provincia ad avere la relativa competenza e non il comune). La correttezza di una tale qualificazione appare evidente alla luce dei presupposti posti a fondamento delle domande, con la conseguenza che non può ritenersi appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo, neppure nella materia dei pubblici servizi, e rientra dunque in quella del giudice ordinario, la controversia avente ad oggetto l’azione di indebito arricchimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7.6.2013, n. 3133). Peraltro, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato che la giurisdizione sulle azioni di indebito arricchimento spetta al giudice ordinario, trattandosi di istituto civilistico che dà luogo a situazioni di diritto soggettivo perfetto anche quando parte sia una p.a., salvo il limite interno del divieto di annullamento e di modificazione dei provvedimenti amministrativi (cfr. Cass. civ., Sez. un., 18.11.2010, n. 23284). Pertanto, considerato che la COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 domanda riguarda una pretesa che, come affermato anche dal giudice della giurisdizione, ha natura di diritto soggettivo (Sez. un., appena citate, 18.11.2010, n. 23284), direttamente discendente dalla legge, la giurisdizione in subiecta materia appartiene all’autorità giudiziaria ordinaria. Lo stesso deve ritenersi con riguardo alle note della provincia di diniego di rimborso, atteso che tali note, in quanto afferenti ad un diritto soggettivo, come appena precisato, non possono qualificarsi come atti autoritativi, bensì come meri atti paritetici, che non incidono, dunque, su interessi legittimi, non potendosi quindi radicare la giurisdizione del giudice adito. TAR LAZIO ROMA SEZ. II-BIS sentenza 21 dicembre 2015, n. 14322 Silenzio sulla richiesta di riconoscimento di debiti fuori bilancio Enti locali – ordinamento finanziario e contabile – debiti fuori bilancio – richiesta di riconoscimento – silenzio del comune – illegittimità – ragioni Il riconoscimento del debito fuori bilancio è diretto esclusivamente a sanare irregolarità di tipo contabile, rispondendo all’interesse pubblico alla regolarità della gestione finanziaria dell’ente, ma non può in alcun modo sopperire alla mancanza di una obbligazione validamente sorta: al contrario, è il diritto, quando controverso oggetto di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria, a costituire il presupposto per l’iscrizione fuori bilancio (così, ad es., Cons. Stato, sez. V, 29.12.2009, n. 8953); il riconoscimento medesimo costituisce un procedimento comunque dovuto, come si desume dall’art. 194 del t.u. approvato con d.lgs. n. 267 del 2000, il cui esito non è peraltro vincolato e al quale l’amministrazione non può pertanto sottrarsi attraverso una semplice e immotivata comunicazione di un qualunque ufficio, essendo invece necessario un procedimento ad hoc (così, puntualmente, la sentenza di Cons. Stato, sez. V, 27.12.2013, n. 6269), la cui proposta va formulata al responsabile del servizio competente per materia che dovrà accertare l’eventuale, effettiva utilità che l’ente ha tratto dalla prestazione altrui. Va dunque accertata l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dal comune sulle istanze con le quali è stato avviato il procedimento per il riconoscimento di due debiti fuori bilancio ai sensi degli artt. 191-193-194 t.u.e.l. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA TAR CALABRIA REGGIO CALABRIA sentenza 26 gennaio 2016, n. 76 Inosservanza del termine di conclusione del procedimento: quale responsabilità per la p.a.? Giustizia amministrativa – Termine di conclusione del procedimento – Ex art. 2 legge 241/1990 – Inosservanza – responsabilità della p.a. – Natura giuridica – Individuazione – Fattispecie La responsabilità da ritardo ex art. 2-bis, legge 7.8.1990, n. 241, dev’essere ricondotta, relativamente all’identificazione dei suoi elementi costituitivi, nell’alveo proprio dell’art. 2043 c.c.; conseguentemente, il danno da ritardo risarcibile, non può essere presunto juris et de jure, quale effetto del semplice scorrere del tempo, ma è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), richiesti dalla menzionata norma codicistica; la domanda di risarcimento del danno da ritardo, azionata ex art. 2043, può pertanto essere accolta dal giudice, solo se l’istante ‑ su cui, ex art. 2697 c.c., incombe l’onere di provare gli elementi costitutivi della fattispecie illecita ‑ dimostri, tra l’altro, che la mancata adozione del provvedimento dovuto, ha provocato nel suo patrimonio pregiudizi che non si sarebbero verificati ove l’atto fosse stato tempestivamente emanato (in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 12.11.2015, n. 5143; ancora, Cons. Stato, sez. IV, 18.11.2014, n. 5663 e 10.6.2014, n. 2964). Nel caso di specie, in cui l’amministrazione si è pronunciata tardivamente rispetto all’ordinario termine di legge di conclusione del procedimento, attivato dai ricorrenti per l’assegnazione di un alloggio popolare, non è stata fornita prova alcuna né dell’elemento soggettivo né, tanto più, del pregiudizio subito, laddove parte ricorrente formula la propria richiesta risarcitoria sulla base di un mero e del tutto generico riferimento ai “gravissimi pregiudizi che non verranno compiutamente ristorati dall’ottenimento delle formulate richieste”. Il ricorso, pertanto, è manifestamente infondato per assoluta mancanza di prova dei su menzionati elementi costitutivi dell’illecito. INFILTRAZIONI MAFIOSE CONSIGLIO DI STATO SEZ. III sentenza 25 gennaio 2016, n. 256 Scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose 1. Enti locali – consiglio comunale – scioglimento – ex art. 143 t.u.e.l. – ratio – individuazione 2. Enti locali – consiglio comunale – scioglimento – ex art. 143 t.u.e.l. – legittimità – fattispecie 1. Anche alla luce delle modifiche introdotte al testo originario dell’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000, non è venuta meno la ratio sottesa alla disposizione di offrire uno strumento di tutela avanzata in particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo. Ciò nell’evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguità – e dunque di condizionamento – fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con immediatezza che l’amministrazione dell’ente locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 3998 del 9.7.2012). Resta, quindi, ferma la connotazione dell’istituto nel vigente sistema normativo, quale “misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza straordinaria” (in termini, Corte costituzionale n. 103 del 19.3.1993, nell’escludere profili di incostituzionalità del previgente art. 15-bis della legge 19.3.1990, n. 55). In particolare la qualificazione della concretezza, univocità e rilevanza dei fatti accertati va riferita non atomisticamente e partitamente ad ogni singolo elemento, accadimento, circostanza cui l’istruttoria compiuta abbia ricondotto la sussistenza dei presupposti di cui dall’art. 143 del 89 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 d.lgs. n. 267 del 2000 e successive modificazioni, ma ad una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti, che nel loro complesso siano riferibili a fatti di cui è stato accertato l’accadimento storico (requisito di concretezza); che in base al prudente apprezzamento dell’ amministrazione esprimano, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell’ente che la norma ha inteso prevenire (requisito dell’ univocità) e siano pertanto “rilevanti” agli effetti predetti. Deve poi aggiungersi che stante l’ampia sfera di discrezionalità di cui l’amministrazione dispone in sede di valutazione dei fenomeni connessi all’ordine pubblico ed in particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, con ogni effetto sulla graduazione delle misure repressive e di prevenzione – il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come estrinseco, e cioè nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, della ragionevolezza del momento valutativo, della congruità e proporzionalità al fine perseguito. 2. È legittimo il decreto di scioglimento del consiglio comunale, ex art. 143 d.lgs. n. 267 del 2000, che trae fondamento da un pluralità di elementi che, nel loro complesso, rendono significativi ed attendibili i presupposti che hanno condotto alla misura dissolutoria dell’organo rappresentativo della comunità locale, pervenendo a un giudizio finale che si sottrae ad evidenti sintomi di eccesso di potere nei profili anzidetti. Non può, invero, accedersi all’ordine argomentativo teso ad escludere l’esistenza di elementi significativi di un contesto criminale di riferimento, ove si consideri la permanenza del collegamento territoriale di un pluripregiudicato (elemento cardine di un’ organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti), tanto da essere vittima di omicidio nello stesso comune, e la contiguità con tale pluripregiudicato di altre figure criminali (tutte nominativamente indicate nella relazione del prefetto), in diverse occasioni in rapporto e contatto con gli amministratori locali. La stessa nozione difrequentazione e contiguità con appartenenti alla criminalità organizzata non va relegata in un quadro di occasionalità e saltuarietà riferita a ciascun soggetto attenzionato. L’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000 prende, invero, a riferimento nel suo complesso la condizione 90 in cui è posto l’organo consiliare a causa di situazioni di parentela, frequentazioni o contiguità con soggetti con pregiudizi penali che, per sommatoria, vengono ad assumere un ruolo determinante nella formazione della volontà dell’organo elettivo. Non inficia le conclusioni cui è pervenuta l’amministrazione la circostanza che taluni dei rilievi mossi alla gestione amministrativa del comune possano essere considerati secondari e irrilevanti agli effetti del condizionamento esterno del consiglio comunale, in presenza di altri che, nel loro insieme, integrano i presupposti per l’adozione della misura dissolutoria. La valutazione delle acquisizioni in ordine a collusioni e condizionamenti non può essere, infatti, effettuata estrapolando singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l’esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo sull’operato consiliare. In presenza di un fenomeno di criminalità organizzata notoriamente diffuso nel territorio in questione, gli elementi posti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti, vanno considerati nel loro insieme, giacché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per la misura di cui si tratta. CONSIGLIO DI STATO SEZ. III sentenza 20 gennaio 2016, n. 197 Scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose 1. Enti locali – consiglio comunale – scioglimento per condizionamenti di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. – provvedimento di tipo preventivo 2. Enti locali – consiglio comunale – scioglimento per condizionamenti di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. – legittimità – fattispecie 3. Enti locali – consiglio comunale – scioglimento per condizionamenti di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. – comunicazione di avvio del procedimento – necessità – va esclusa 1. Lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell’art. 143 del t.u.e.l. (d.lgs. 267/2000), non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, per l’emanazione del relativo provvedimento di scioglimento, è sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato (Cons. Stato, sez. III, 3.11.2015, n. 5023). L’art. 143, comma 1, nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, della l. 94/2009, richiede che detta situazione sia resa significativa da elementi “concreti, univoci e rilevanti», che assumano valenza tale da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”, aspetto, quest’ultimo, che riveste carattere essenziale per l’adozione della misura di scioglimento dell’organo rappresentativo della comunità locale. Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono, quindi, caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore della legge 9/2009 non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di Governo garantita dalla Costituzione (Cons. Stato, sez. III, 19.10.2015, n. 4792). Le vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale, devono essere però considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso. Assumono pertanto rilievo anche situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione o di una pericolosa contiguità degli amministratori locali alla COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 28.9.2015, n. 4529). 2. È legittimo il decreto di scioglimento del consiglio comunale nel caso in cui risulti indubbio e acclarato l’impegno profuso da un locale boss a sostegno della cugina di primo grado, poi eletta addirittura presidente del consiglio comunale, e laddove emerga dalle intercettazioni, alle quali si fa riferimento nella relazione prefettizia, una velata ma comprensibile allusione alla pratica del “voto di scambio” – procacciamento di voti in cambio di denaro – al quale fare ricorso, evidentemente per una inveterata prassi rinnovatasi, purtroppo, pure in quel caso, in vista delle imminenti elezioni comunali. Tali gravissime interferenze della mafia sulle elezioni dell’attuale consiglio comunale, che ne viziano manifestamente e irrimediabilmente la legittimità, sono rese evidenti anche dal contenuto, non equivoco, di ulteriori intercettazioni. Nel caso di specie, poi, l’esistenza di questo penetrante e, comunque, condizionante sistema è corroborata non solo dal contenuto delle intercettazioni, tutte costituenti elementi concreti, precisi, rilevanti, ma anche da quanto riferito dal personale del Comando Stazione Carabinieri, come ricorda la relazione prefettizia, in occasione della tornata elettorale e, cioè, che in quell’occasione alcuni esponenti della mafia locali venivano visti sostare, sia nei giorni destinati alle consultazioni elettorali che in quelli successivi dedicati allo scrutinio delle schede, all’ingresso degli edifici preposti alle consultazioni o, addirittura, introducendosi nei locali adibiti ai seggi. Questo dimostra già di per sé solo a sufficienza, sulla base di elementi concreti, univoci e rilevanti e, quindi, sulla base di un giudizio prognostico di verosimiglianza fondato attendibilmente sulla logica del”più probabile che non” applicabile anche allo scioglimento del consiglio comunale, che ha funzione anticipatoria e non sanzionatoria, che l’elezione dell’attuale consiglio comunale sia stata geneticamente viziata dal condizionamento della locale mafia, con pesanti interferenze sulla libera espressione del voto popolare. Tali interferenze, del resto, non hanno condizionato solo le elezioni del consiglio comunale, essendo impensabile e inspiegabile, ovviamente, un disinteressamento della mafia dopo di esse, ma la successiva vita dell’amministrazione neoeletta, chiamata a pagare un pesante debito elettorale al “sistema” orchestrato dalla mafia per agevolarne l’ascesa politica al governo del comune. 3. Il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per condizionamento dalla criminalità organizzata non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di attività di natura preventiva e cautelare, per la quale non vi è necessità di partecipazione, anche per il tipo di interessi coinvolti che non concernono, se non indirettamente, persone, ma la complessiva rappresentazione operativa dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale. Rileva, quindi, il carattere straordinario della misura che, nell’ipotesi di una concreta minaccia ai beni primari appartenenti a tutta la collettività, quali quelli rappresentati dall’ordine e dalla sicurezza pubblica, che lo scioglimento di cui all’art. 143 del d.lgs. 267/2000, è volto a tutelare, giustifica una immediata reazione dell’ordinamento, mediante un intervento rapido e deciso (v., inter alias, Cons. Stato, sez. V, 20.10.2005, n. 5878; Cons. Stato, sez. V, 4.10.2007, n. 5146; Cons. Stato, sez. III, 14.2.2014, n. 727). In altre parole, nel vigente sistema normativo, lo scioglimento dell’organo elettivo – che, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, ha non finalità repressive nei confronti di singoli, bensì di salvaguardia dell’amministrazione pubblica (Cons. Stato, sez. VI, 13.5.2010, n. 2957) – si connota quale“misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza straordinaria” (Corte cost., 19.3.1993, n. 103; Cons. Stato, sez. VI, 10.3.2011, n. 1547). La stessa natura dell’atto di scioglimento dà, quindi, ragione dell’esistenza, oltre che della gravità, dell’urgenza del provvedere, alla quale non può non correlarsi l’affievolimento dell’esigenza di salvaguardare in capo ai destinatari, nell’avvio dell’iter del procedimento di scioglimento, le garanzie partecipative e del contraddittorio assicurate dalla comunicazione di avvio del procedimento. Occorre pertanto ribadire, anche in questa sede, che per l’attività amministrativa in questione, stante la sua ratio di straordinarietà, non trova applicazione l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento previsto in via generale dall’art. 7 della l. 241/1990 (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 13.3.2007, n. 2222; Cons. Stato, sez. VI, 28.10.2009, n. 6657; Cons. Stato, sez. III, 14.2.2014, n. 727). PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III sentenza 20 gennaio 2016, n. 197 Scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose 1. Enti locali – consiglio comunale – scioglimento per condizionamenti di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. – provvedimento di tipo preventivo 2. Enti locali – consiglio comunale – scioglimento per condizionamenti di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. – legittimità – fattispecie 3. Enti locali – consiglio comunale – scioglimento per condizionamenti di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. – comunicazione di avvio del procedimento – necessità – va esclusa 1. Lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell’art. 143 del t.u.e.l. (d.lgs. 267/2000), non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, per l’emanazione del relativo provvedimento di scioglimento, è sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato (Cons. Stato, sez. III, 3.11.2015, n. 5023). L’art. 143, comma 1, nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, della l. 94/2009, richiede che detta situazione sia resa significativa da elementi “concreti, univoci e rilevanti», che assumano valenza tale da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”, aspetto, quest’ultimo, che riveste carattere essenziale per l’adozione della misura di scioglimento dell’organo rappresentativo della comunità locale. Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono, quindi, caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato 91 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 accertamento nella loro realtà storica; per univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore della legge 9/2009 non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di Governo garantita dalla Costituzione (Cons. Stato, sez. III, 19.10.2015, n. 4792). Le vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale, devono essere però considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso. Assumono pertanto rilievo anche situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione o di una pericolosa contiguità degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 28.9.2015, n. 4529). 2. È legittimo il decreto di scioglimento del consiglio comunale nel caso in cui risulti indubbio e acclarato l’impegno profuso da un locale boss a sostegno della cugina di primo grado, poi eletta addirittura presidente del consiglio comunale, e laddove emerga dalle intercettazioni, alle quali si fa riferimento nella relazione prefettizia, una velata ma comprensibile allusione alla pratica del “voto di scambio” – procacciamento di voti in cambio di denaro – al quale fare ricorso, evidentemente per una inveterata prassi rinnovatasi, purtroppo, pure in quel caso, in vista delle imminenti elezioni comunali. Tali gravissime interferenze della mafia sulle 92 elezioni dell’attuale consiglio comunale, che ne viziano manifestamente e irrimediabilmente la legittimità, sono rese evidenti anche dal contenuto, non equivoco, di ulteriori intercettazioni. Nel caso di specie, poi, l’esistenza di questo penetrante e, comunque, condizionante sistema è corroborata non solo dal contenuto delle intercettazioni, tutte costituenti elementi concreti, precisi, rilevanti, ma anche da quanto riferito dal personale del Comando Stazione Carabinieri, come ricorda la relazione prefettizia, in occasione della tornata elettorale e, cioè, che in quell’occasione alcuni esponenti della mafia locali venivano visti sostare, sia nei giorni destinati alle consultazioni elettorali che in quelli successivi dedicati allo scrutinio delle schede, all’ingresso degli edifici preposti alle consultazioni o, addirittura, introducendosi nei locali adibiti ai seggi. Questo dimostra già di per sé solo a sufficienza, sulla base di elementi concreti, univoci e rilevanti e, quindi, sulla base di un giudizio prognostico di verosimiglianza fondato attendibilmente sulla logica del”più probabile che non” applicabile anche allo scioglimento del consiglio comunale, che ha funzione anticipatoria e non sanzionatoria, che l’elezione dell’attuale consiglio comunale sia stata geneticamente viziata dal condizionamento della locale mafia, con pesanti interferenze sulla libera espressione del voto popolare. Tali interferenze, del resto, non hanno condizionato solo le elezioni del consiglio comunale, essendo impensabile e inspiegabile, ovviamente, un disinteressamento della mafia dopo di esse, ma la successiva vita dell’amministrazione neoeletta, chiamata a pagare un pesante debito elettorale al “sistema” orchestrato dalla mafia per agevolarne l’ascesa politica al governo del comune. 3. Il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per condizionamento dalla criminalità organizzata non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di attività di natura preventiva e cautelare, per la quale non vi è necessità di partecipazione, anche per il tipo di interessi coinvolti che non concernono, se non indirettamente, persone, ma la complessiva rappresentazione operativa dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale. Rileva, quindi, il carattere straordinario della misura che, nell’ipotesi di una concreta minaccia ai beni primari appartenenti a tutta la collettività, quali quelli rappresentati dall’ordine e dalla sicurezza pubblica, che lo scioglimento di cui all’art. 143 del d.lgs. 267/2000, è volto a tutelare, giustifica una immediata reazione dell’ordinamento, mediante un intervento rapido e deciso (v., inter alias, Cons. Stato, sez. V, 20.10.2005, n. 5878; Cons. Stato, sez. V, 4.10.2007, n. 5146; Cons. Stato, sez. III, 14.2.2014, n. 727). In altre parole, nel vigente sistema normativo, lo scioglimento dell’organo elettivo – che, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, ha non finalità repressive nei confronti di singoli, bensì di salvaguardia dell’amministrazione pubblica (Cons. Stato, sez. VI, 13.5.2010, n. 2957) – si connota quale“misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza straordinaria” (Corte cost., 19.3.1993, n. 103; Cons. Stato, sez. VI, 10.3.2011, n. 1547). La stessa natura dell’atto di scioglimento dà, quindi, ragione dell’esistenza, oltre che della gravità, dell’urgenza del provvedere, alla quale non può non correlarsi l’affievolimento dell’esigenza di salvaguardare in capo ai destinatari, nell’avvio dell’iter del procedimento di scioglimento, le garanzie partecipative e del contraddittorio assicurate dalla comunicazione di avvio del procedimento. Occorre pertanto ribadire, anche in questa sede, che per l’attività amministrativa in questione, stante la sua ratio di straordinarietà, non trova applicazione l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento previsto in via generale dall’art. 7 della l. 241/1990 (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 13.3.2007, n. 2222; Cons. Stato, sez. VI, 28.10.2009, n. 6657; Cons. Stato, sez. III, 14.2.2014, n. 727). TAR LIGURIA SEZ. II sentenza 8 gennaio 2016, n. 4 Presupposti per il risarcimento del danno da ritardo 1. Procedimento amministrativo – risarcimento del danno da ritardo – previo accertamento del silenzio inadempimento della p.a. – necessità 2. Procedimento amministrativo – risarcimento del danno da ritardo – presupposti – violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo – insufficienza COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 1. Il risarcimento dei danni per il ritardo dell’amministrazione nell’adozione di un provvedimento dovuto può essere richiesto esclusivamente nelle ipotesi in cui sia stato previamente accertato e dichiarato dal giudice il silenzio inadempimento dell’amministrazione (TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 5.6.2015, n. 1316). 2. In tema di presupposti per il risarcimento del danno da ritardo, al fine del necessario accertamento della colposità dell’inerzia la cui dimostrazione incombe sul danneggiato, non è sufficiente la sola violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo, poiché tale violazione di per sé non dimostra l’imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità della fattispecie o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all’amministrazione escludere la sussistenza della colpa. Il comportamento dell’amministrazione, inoltre, deve essere valutato unitamente alla condotta dell’istante, il quale riveste il ruolo di parte essenziale e attiva del procedimento e in tale veste dispone di poteri idonei a incidere sulla tempistica e sull’esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giustiziali riconosciutigli dall’ordinamento giuridico, tra cui il rito del silenzio che deve essere attivato con tempestività rilevando altrimenti, ai fini dell’art. 1227 c.c. (art. 30 c.p.a.) in ordine all’accertamento della spettanza del risarcimento nonché alla quantificazione del danno risarcibile (TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 26.5.2015, n. 1243). In sostanza la previsione di cui all’art. 30 c.p.a. deve ritenersi valevole anche per la responsabilità da ritardo della pubblica amministrazione. Ne consegue che per ottenere il risarcimento del danno da ritardo occorre una iniziativa del danneggiato volata a fare risaltare l’inerzia dell’amministrazione. Tale ordine di idee è conforme ai principi solidaristici che informano l’ordinamento e che impongono di attivarsi nel limite di un apprezzabile sacrificio al fine di evitare che la situazione produttiva del danno si aggravi con il passare del tempo. Detto in altre parole non è lecito che l’asserito danneggiato rimanga inerte per poi giovarsi dell’inerzia della p.a. a fini risarcitori. Occorre, invece, affinchè il danno possa essere risarcibile un’iniziativa del danneggiato che metta in mora l’amministrazione e ciò soprattutto quando come nel caso di specie fa difetto una espressa previsione di un termine finale. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI sentenza 28 dicembre 2015, n. 5844 Preavviso di rigetto: il caso dell’autorizzazione paesaggistica 1. Procedimento amministrativo – autorizzazione paesaggistica – art. 146, comma 8, d.lgs. n. 42 del 2004 e art. 10-bislegge 241/1990 – rapporti – individuazione 2. Procedimento amministrativo – autorizzazione paesaggistica – parere negativo reso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici – ai sensi dell’art. 146, comma 8, d.lgs. 42/2004, nel testo vigente dal 24 aprile 2008 al 12 luglio 2011 – preavviso di rigetto – necessità – va esclusa 1. In base a quanto dispone l’art. 146, comma 8, del t. u. n. 42 del 2004, nel testo vigente dal 24 aprile 2008 al 12 luglio 2011, vale a dire all’epoca dell’adozione del parere negativo di compatibilità paesaggistica impugnato, norma speciale rispetto all’art. 10-bis della legge 241/1990, l’obbligo di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza gravava in capo alla sola regione (o all’ente sub delegato), prima di adottare il provvedimento definitivo di diniego. Nel caso in esame non si era giunti alla fase del procedimento in cui il comune, acquisito il parere negativo della soprintendenza, e prima di adottare il provvedimento finale di diniego, era tenuto a comunicare all’interessato le ragioni della decisione che era in procinto di assumere, considerato che il ricorrente aveva deciso d’impugnare in via immediata e diretta il parere negativo della soprintendenza: pertanto né il comune, che non aveva ancora emesso il provvedimento finale di diniego, e neppure la Soprintendenza, che non era tenuta a farlo, dovevano comunicare i motivi ostativi ai sensi del citato art. 10-bis. 2. Sul carattere di norma speciale dell’art. 146, comma 8, del t. u. n. 42 del 2004, rispetto alla norma generale di cui all’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, va rammentato che per Cons. Stato, sez. VI, n. 1729 del 2014, qui condivisa,”il parere reso al comune ai fini paesaggistici dall’Amministrazione preposta alla tutela dello specifico interesse non è soggetto all’obbligo di comunicazione preventiva del preavviso di rigetto di cui al citato art. 10 -bis, in quanto costituisce esercizio, entro un termine decadenziale, di un potere che intercorre tra autorità pubbliche (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. VI, 21.9.2011, n. 5293; sez. VI, 20.12.2011, n. 6725; sez. VI, 2.2.2012, n. 576, sez. VI, 9.7.2013, n. 3616)”. Ciò non è incompatibile con la qualificazione del parere -vincolante- come idoneo a incidere in via autonoma e immediata nella sfera giuridica dell’interessato, e a condizionare l’esito del procedimento, e quindi con l’impugnabilità ex se del parere medesimo quale presupposto autonomo della successiva decisione finale negativa. Del resto, il parere vincolante della soprintendenza sembra avere natura di decisione preliminare, come tale impugnabile in via immediata e diretta, fermo restando che la decisione finale è della regione o dell’ente sub delegato. In questa situazione, considerando impugnabile in via immediata ed ex se il parere dell’organo statale periferico, avuto riguardo alla disciplina vigente nel 2010 sarebbe parso illogico, oltre che violativo di princìpi di semplificazione procedimentale, considerare obbligatorio un contraddittorio per così dire “anticipato”, sotto forma di comunicazione dei motivi ostativiex art. 10-bis con riferimento al parere dell’organo statale periferico, in presenza di una comunicazione ex art. 10-bisobbligatoria riferita alla successiva decisione finale dell’ente sub delegato. PUBBLICO IMPIEGO CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III sentenza 20 gennaio 2016, n. 192 Incompatibilità dei componenti delle commissioni di concorso Concorsi pubblici – commissione esaminatrice – componenti – obbligo di astensione – cause di incompatibilità previste dall’art. 51 c.p.c. – estensione analogica – possibilità – va esclusa Nelle procedure concorsuali i componenti delle commissioni esaminatrici hanno l’obbligo di astenersi solo se ricorre una delle condizioni tassativamente indicate dall’art. 51 c.p.c., senza che le cause di incompatibilità previste dalla stessa disposizione possano essere oggetto di estensione analogica. In particolare si è affermato che l’appartenenza allo 93 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 stesso ufficio del candidato e il legame di subordinazione o di collaborazione tra i componenti della commissione e il candidato non rientrano nelle ipotesi di astensione di cui all’art. 51 c.p.c. (Consiglio di Stato, sez. V, n. 5618 del 17 novembre 2014, sez. VI, n. 4858 del 27.11.2012). Si è anche precisato che i rapporti personali di colleganza e/o collaborazione tra alcuni componenti della commissione e determinati candidati ammessi alla prova orale non sono sufficienti a configurare un vizio della composizione della commissione stessa, non potendo le cause di incompatibilità previste dalla predetta norma (tra le quali non rientra l’appartenenza allo stesso ufficio e il rapporto di colleganza), essere oggetto di estensione analogica in assenza di ulteriori e specifici indicatori di una situazione di particolare intensità e sistematicità, tale da dar luogo ad un vero e proprio sodalizio professionale (Cons. Stato, sez. VI, n. 4789 del 23.9.2014). Con la conseguenza che la conoscenza che alcuno dei membri di una commissione di concorso abbia di un candidato, ove non ricada nelle suddette fattispecie tipiche, non implica di per sé la violazione delle regole dell’imparzialità e nemmeno il sospetto della violazione di tali regole (Cons. Stato, sez. V, n. 5618 del 17.11.2014 cit.). Nella fattispecie, il rapporto di lavoro fra il presidente della commissione, direttore del Dipartimento Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane della AUSL e alcune candidate, addette allo stesso Dipartimento, pur caratterizzato da una certa intensità non possono ritenersi comunque sufficienti a configurare un vero e proprio sodalizio professionale o a determinare una comunanza di interessi economici o di vita di tale intensità da rendere necessaria l’astensione dalla partecipazione alla commissione di concorso, ai sensi dell’art. 51 del c.p.c. TAR PUGLIA, BARI, SEZ. III sentenza 14 gennaio 2016, n. 30 Rapporto tra mobilità volontaria riservata al personale in sovrannumero degli enti di area vasta e scorrimento di graduatoria Concorsi pubblici – avviso di mobilità esterna riservata al personale di ruolo dichiarato in sovrannumero degli enti di area vasta per la copertura 94 di un posto di Agente di Polizia Municipale – ex art. 30 d.lgs. 165/2001 – in luogo dello scorrimento di graduatoria ancora valida del concorso pubblico per l’assunzione di n. 2 Agenti di Polizia Municipale – illegittimità – ragioni È illegittimo l’avviso di mobilità esterna, ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. 165/2001, riservata al personale di ruolo dichiarato in sovrannumero degli enti di area vasta, per la copertura di un posto di Agente di Polizia Municipale, cat. C1, in luogo dello scorrimento della graduatoria, ancora valida ed efficace, del concorso pubblico indetto dal medesimo comune per l’assunzione con contratto a tempo indeterminato di n. 2 Agenti di Polizia Municipale, Cat. C1. Il comma 2 bis dell’articolo 30, d.lgs. 165/2001 e s.m.i. sancisce il principio del previo esperimento di mobilità rispetto all’espletamento di procedure concorsuali per il reclutamento di nuovo personale. La giurisprudenza ha già da tempo chiarito la portata di tale previsione stabilendo che, nel caso di scorrimento di una graduatoria di concorso valida ed efficace, non è legittimo determinarsi al reclutamento di personale avviando, ex novo, procedura di mobilità volontaria ex art. 30, d.lgs. 165/2001, in quanto la prevalenza della mobilità esterna è prevista dal legislatore solo rispetto a nuove procedure concorsuali. È stato, infatti, osservato che “La mobilità esterna, come detto, non comporta alcun risparmio di spesa, attesa la maggior spesa per la nuova procedura, mentre sotto gli altri aspetti (migliore razionalità dell’organizzazione pubblica e della funzionalità dei suoi uffici), le due procedure di assunzione si equivalgono, attesa la garanzia di professionalità o già formate in ambito amministrativo per il personale in mobilità o accertata a mezzo regolare concorso per gli idonei”. Si è perciò stabilito che “la modalità di assunzione per scorrimento della graduatoria di concorso già espletato è estranea alla fattispecie delineata dal comma 2-bis dell’art. 30”. (Cons Stato, sez. V, 12.7.2015, n. 4329). Ne deriva che l’articolo 30 del d.lgs. 165/2001 deve ritenersi non operante nel caso in cui sia possibile coprire il posto resosi vacante attingendo, mediante scorrimento, dalla graduatoria relativa a concorso pubblico. TAR PUGLIA, BARI, SEZ. II sentenza 5 gennaio 2016, n. 4 Indizione di nuovi concorsi in luogo dello scorrimento di graduatorie valide ed efficaci Pubblico impiego – avviso pubblico per la selezione di dirigenti con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato – in luogo dello scorrimento di graduatoria valida ed efficacia – legittimità – fattispecie Sono legittimi gli atti della procedura concorsuale per la selezione di n. 4 dirigenti a tempo determinato – trattasi, più precisamente, degli incarichi di direzione dell’Ufficio Affari e Studi Giuridici e Legislativi e dell’Ufficio Assemblea ed Assistenza agli Organi, incardinati presso il Consiglio regionale; dell’incarico di direttore della struttura di supporto al Comitato regionale per le comunicazioni (Co.Re.Com.); infine, dell’incarico di Direzione dell’Ufficio Politiche Giovanili e Legalità, incardinato presso il Servizio Politiche giovanili e cittadinanza sociale dell’Area Politiche per lo sviluppo economico, lavoro ed innovazione – adottati dall’amministrazione regionale, in luogo dello scorrimento della graduatoria, ancora valida ed efficace, degli idonei al concorso per dirigenti per l’Area legislativa e amministrativa, considerato che la diversità delle specifiche competenze richieste in capo ai candidati per la partecipazione agli avvisi in contestazione rispetto ai requisiti previsti a suo tempo per la procedura cui parteciparono i ricorrenti impedisce di ravvisare omogeneità tra le posizioni dirigenziali in questione. Invero, l’obbligo di attingere dalla graduatoria ancora valida ed efficace può sussistere solo laddove si tratti di ricoprire posti della stessa categoria professionale oggetto della selezione cui si è partecipato, presupponendo l’omogeneità delle competenze e della qualificazione professionale, circostanza non presente nella specie (in termini, anche la più recente sentenza di questa Sezione n. 1326/2015, pronunziata con riferimento ad un caso speculare). CORTE COSTITUZIONALE sentenza 22 dicembre 2015, n. 272 Assunzioni – Enti che violano la normativa sui pagamenti – Divieto – Illegittimità COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 In riferimento agli artt. 3, 97, comma 2, e 117, comma 4, della Costituzione, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 2 del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 23 giugno 2014, n. 89, il quale stabilisce che le amministrazioni pubbliche, esclusi gli enti del Servizio sanitario nazionale ma comprese le regioni, che “registrano tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, rispetto a quanto disposto dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nell’anno successivo a quello di riferimento non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo”. TAR LAZIO, ROMA, SEZ. II-TER sentenza 9 dicembre 2015, n. 13753 Rimborso delle spese legali relative a giudizi di responsabilità contabile 1. Pubblico impiego – dipendenti pubblici – rimborso delle spese legali sostenute in relazione a giudizi di responsabilità contabile – in caso di proscioglimento dell’incolpato – quantificazione – ex art. 10-bis, comma 10, d.l. 203/2005 – criterio 2. Pubblico impiego – dipendenti pubblici – rimborso delle spese legali sostenute in relazione a giudizi di responsabilità contabile – in caso di proscioglimento dell’incolpato – parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato – finalità 1. In base all’art. 10-bis, comma 10, del d.l. 203/2005, successivamente modificato dall’art. 17, comma 30-quinques, del d.l. 1.7.2009, n. 78, convertito nella legge 3.8.2009, n. 102, il quale ha previsto che: “10. Le disposizioni dell’articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 91 del codice di procedura civile, non può disporre la compensazione del giudizio e liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza.”, la sentenza di proscioglimento nel merito costituisce il presupposto di un credito che è attribuito dalla legge e che il giudice contabile, per i giudizi di sua competenza, è deputato a quantificare, salva comunque la definitiva determinazione del suo ammontare da compiere, su parere dell’Avvocatura dello Stato, con provvedimento dell’amministrazione di appartenenza. (cfr. ancora: Cass., civ. Sez. unite, 24.3.2010, n. 6996). L’autonomia del rapporto tra amministrazione e proprio dipendente, avente ad oggetto il diritto al rimborso delle spese legali rispetto al giudizio contabile da un lato, unitamente al correlato dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali a favore del proprio difensore in base alle tariffe forensi, a prescindere da quale sia l’importo liquidato in sentenza, comporta – come ineludibile conseguenza – che il rimborso dovuto dalla amministrazione al proprio dipendente possa prescindere dalla liquidazione effettuata in sentenza dal giudice contabile o dalla eventuale compensazione delle spese in quella sede disposta, e che esso vada invece determinato sulla base del parere di congruità espresso dall’Avvocatura dello Stato. A queste conclusioni si deve giungere anche in ragione di un’ulteriore argomentazione. Come si è visto, il legislatore ha introdotto il divieto per il giudice contabile di disporre la compensazione delle spese in caso di proscioglimento dell’incolpato. Qualora un tale divieto venisse violato, tuttavia, non potrebbe certo negarsi il diritto del ricorrente ad ottenere un congruo rimborso spese, sulla base del parere di congruità espresso dall’avvocatura. Se questo è vero, nemmeno può dunque negarsi il diritto del pubblico dipendente ad ottenere un congruo rimborso spese nel caso in cui il giudice contabile, anziché disporre la compensazione, abbia liquidato le spese legali, ma in misura simbolica o comunque inferiore a quanto effettivamente dovuto dall’assistito al proprio difensore. In caso contrario, infatti, il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato, in questo secondo caso, verrebbe ad essere completamente pretermesso. 2. Nei giudizi di responsabilità contabile, in caso di proscioglimento dell’incolpato, l’amministrazione è tenuta al rimborso delle spese legali sostenute, previa acquisizione di un parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato, il quale, senza essere in alcun modo vincolato dalla liquidazione delle spese effettuata dal giudice contabile, verifichi le necessità difensive dell’assistito in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio, nonché la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V sentenza 12 novembre 2015, n. 5183 Criteri per la liquidazione dei diritti di rogito spettanti ai segretari comunali Enti locali – segretario comunale – diritti di rogito – quantificazione – limitazione massima ad un terzo dello “stipendio in godimento” – art. 41, comma 4, legge 11.7.1980, n 312 – significato Ai fini della liquidazione dei diritti di rogito spettanti ai segretari comunali, che l’art. 41, comma 4, della legge 11.7.1980, n 312 quantifica in misura pari al 75 per cento e fino ad un massimo di un terzo dello “stipendio in godimento”, non può prescindersi dal periodo di effettivo servizio svolto dal soggetto interessato alla percezione del compenso in parola, come peraltro chiarito anche da questo Consiglio (cfr. sez. IV, 9.11.1989, n. 773). Infatti, i diritti di rogito hanno una funzione di remunerazione di una particolare attività alla quale è correlata una responsabilità di ordine speciale e sorgono con l’effettiva estrinsecazione della funzione di rogante la quale, ancorché di carattere obbligatorio, eccede l’ambito delle attribuzioni di lavoro normalmente riconducibili al pubblico impiego. A fronte dì tale funzione, quindi, il legislatore ha previsto un compenso ulteriore, ragguagliandolo ad un terzo della retribuzione annua maturata dall’interessato, retribuzione, quindi, che deve essere effettivamente maturata e non riferita allo stipendio tabellare astrattamente percepibile dal soggetto rogante. Peraltro, anche l’analisi letterale della disposizione induce alle medesime conclusioni; infatti lo “stipendio in godimento” di cui al citato 95 COMUNI D’ITALIA giurisprudenza 1/2016 art. 41 non può essere inteso come retribuzione spettante in astratto, atteso che in tanto esso è goduto in quanto è maturato a seguito ed in virtù della prestazione di servizio effettivamente svolta. Per contro, l’opposta interpretazione non poggia su argomenti letterali, poiché l’espressione “stipendio in godimento” usata nel terzo comma dell’art. 41 della legge n. 312 del 1980, non reca elementi per ritenere che essa si riferisca inequivocabilmente alla retribuzione su base annua. Tale disposizione va intesa, tenendo soprattutto conto del particolare contesto in cui essa è inserita, nel modo più conforme al principio di buon andamento della p.a. di cui all’art. 97, comma 1, Cost. ed ai principi di sana gestione finanziaria. Sotto questo aspetto, l’entità dell’onere finanziario dell’ente locale nella corresponsione al segretario rogante dei diritti de quibus non può essere equiparata a seconda della permanenza di uno stesso dipendente nella sede ed in quelle funzioni da cui deriva la maturazione del compenso accessorio per un periodo inferiore all’anno solare, piuttosto che per l’intero anno; anzi, proprio il principio indicato nell’art. 36, comma 1, Cost., secondo cui il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, risulta in contrasto con l’interpretazione accolta in primo grado. Infine, si deve osservare che l’orientamento che qui si condivide è conforme al principio generale, peraltro da ritenersi non innovativo rispetto al sistema antecedente, espresso all’art. 7, comma 5, della disciplina sul pubblico impiego (all’epoca del d.lgs. n. 29 del 1993, oggi ex d.lgs. n. 165 del 2001), secondo cui le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V sentenza 6 novembre 2015, n. 5078 Procedure di mobilità e scorrimento di graduatorie 1. Pubblico impiego – modalità di assunzione – scorrimento di graduatorie e nuovo concorso – rapporti – individuazione 2. Pubblico impiego – modalità di assunzione – formazione e utiliz- 96 zo di graduatoria ricavata da procedura di mobilità volontaria per la copertura di posizione dirigenziale – successivo scorrimento della vigente graduatoria del concorso pubblico per esami per la copertura di tale posizione lavorativa – ulteriore successiva assunzione attraverso “reviviscenza” dei risultati della procedura di mobilità volontaria – illegittimità 1. “Posto che in tema di copertura di posti nel pubblico impiego la decisione di «scorrimento» della graduatoria non può essere collocata su un piano diverso e contrapposto rispetto alla determinazione di indizione di un nuovo concorso, tenendo presente che entrambi gli atti si pongono in rapporto di diretta derivazione dai principi dell’art. 97 Cost., e quindi devono essere sottoposti alla medesima disciplina anche in relazione all’ampiezza dell’obbligo di motivazione, va precisato che si è oramai realizzata la sostanziale inversione del rapporto tra l’opzione per un nuovo concorso e la decisione di scorrimento della graduatoria preesistente ed efficace, in quanto quest’ultima modalità di reclutamento rappresenta oggi la regola generale, mentre l’indizione del nuovo concorso costituisce l’eccezione e richiede un’apposita e approfondita motivazione, che dia conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico” (Cons. Stato, ad. plen., 28.7.2011, n. 14). 2. È illegittimo il provvedimento di assunzione conseguente alla riapertura della graduatoria ricavata da un procedimento di mobilità volontaria per la copertura di un posto di dirigente e ciò dopo aver proceduto alla formazione e all’utilizzo della graduatoria di mobilità ed al successivo scorrimento della tuttora vigente graduatoria del concorso pubblico per esami per la copertura di tale posizione lavorativa. Vero è che la lettura del dato testuale dell’art. 30 ed il confronto con quello dell’art. 34-bis in parola conduce all’interpretazione secondo cui le amministrazioni pubbliche “sono tenute” ad utilizzare la procedura della mobilità d’ufficio prima di avviare le altre procedure di assunzione di personale e le eventuali assunzioni ef- fettuate in violazione di tale previsione “sono nulle di diritto”. L’art. 30 d.lgs. 165/2001 dispone poi che: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro...” e che “sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale”. Quindi, mentre nel primo caso la nullità scatta in caso di violazione della disciplina, nel secondo è l’elusione del principio del previo esperimento di mobilità, che determina la patologia dell’atto, dal ché si evince come in capo all’amministrazione regionale residui un potere discrezionale, che deve essere orientato al rispetto del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale. Ma le previsioni di cui all’art. 34-bis citato nello strutturare il procedimento di mobilità, non permettono la formazione di sorta di graduatorie sul modello di quelle concorsuali, per cui esse non possono essere considerate efficaci negli anni seguenti al pari di queste ultime, ma si esauriscono al momento delle specifiche assunzioni cui sono finalizzate: infatti, come si è visto, la regola generale delle assunzioni rimane sempre quella di tipo concorsuale dello scorrimento delle graduatorie che viene derogata solo nella fase preliminare mediante le procedure di mobilità tanto è che il comma 4 dell’art. 34bis stabilisce che “Le amministrazioni, decorsi due mesi dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1 da parte del Dipartimento della funzione pubblica [...] ossia dal bando per la mobilità, possono procedere all’avvio della procedura concorsuale per le posizioni per le quali non sia intervenuta l’assegnazione di personale ai sensi del comma 2”, vale a dire il provvedimento di assegnazione che definisce la mobilità medesima. Ne discende la correttezza della tesi dell’appellante (utilmente collocata nella graduatoria di idonei al concorso pubblico per la copertura di posti dirigenziali), secondo cui non poteva ammettersi un’improvvisa e contraddittoria obliterazione dello scorrimento delle graduatorie in luogo di una reviviscenza dei risultati delle procedure di mobilità non prevista dal legislatore. COMUNI D’ITALIA circolari & pareri 1/2016 circolari & pareri MINISTERO DELL’INTERNO Parere 18 dicembre 2015 MINISTERO DELL’INTERNO Parere 14 dicembre 2015 Prestazioni di lavoro straordinario oltre il limite massimo Incarico di collaborazione ad un ex dipendente collocato in quiescenza Un segretario di un Comune ha chiesto di conoscere se sia possibile autorizzare il dipendente, nominato segretario della Sottocommissione elettorale Circondariale, allo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario oltre il limite massimo individuale previsto dall’art. 14, comma 4, del CCNL 1.4.1999, tenuto conto che la relativa spesa viene suddivisa tra i comuni facenti parte dell’ambito circondariale. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “il citato art. 14, comma 4, fissa il limite massimo individuale annuale per le prestazioni di lavoro in 180 ore. Una deroga a tale tetto individuale è stabilita dall’art. 38, comma 3, del CCNL 14.9.2000. Detto articolo prevede che per esigenze eccezionali ed in relazione alla sola attività di diretta collaborazione con gli organi istituzionali, la contrattazione integrativa può superare la quantità massima prevista, tale possibilità è limitata ad un numero massimo di dipendenti non superiore al 2% dell’organico. Stante le richiamate disposizioni non sembra, pertanto, possibile derogare, al di fuori dell’ipotesi di cui al citato art. 38, al limite massimo annuale di 180 ore, non rinvenendosi, peraltro, per il caso di specie un’apposita norma derogatoria. Ad ogni buon conto, si rammenta che, codesto Comune, anche per la fattispecie in esame, dovrà avere cura di osservare il principio generale, valevole per i pubblici dipendenti, secondo cui una stessa prestazione non può essere compensata con più forme remunerative”. Un Commissario ha chiesto un parere in merito alla possibilità di conferire, ai sensi dell’art. 5, comma 9, del dl 95/2012, come modificato dall’art. 17, comma 3, della legge 124/2015, un incarico di collaborazione ad un ex dipendente collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età al fine di supportare l’attuale responsabile dell’area pianificazione e territorio. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “dall’esame della documentazione trasmessa si evincono due discordanze tra la bozza di disciplinare e quella della delibera, relativamente alla durata dell’incarico (nel disciplinare tre mesi e nella delibera sei mesi) ed ai compiti da affidare (nel disciplinare affiancamento, nella delibera il richiamo alla circolare n. 4/2015 sembrerebbe intendere ulteriori finalità). Ciò posto, si rileva che il novellato art. 5, comma 9, prevede espressamente il divieto per le pubbliche amministrazioni di conferire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati e pubblici collocati in quiescenza nonché incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle predette amministrazioni e società da esse controllate. Lo stesso comma 9 dispone che i predetti incarichi, cariche e collaborazioni sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore ad un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Le disposizioni in vigore, pertanto, vietano il conferimento degli incarichi specificamente indicati nella predetta normativa a soggetti pubblici o privati collocati in pensione, eccezion fatta per quelli a titolo gratuito. La norma, essendo limitativa, deve essere oggetto di stretta interpretazione, così come rilevato dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione con circolari nn. 6/2014 e 4/2015, richiamate anche da codesto Commissario. In particolare, in dette circolari, relativamente agli incarichi direttivi, viene evidenziato che gli stessi possono essere conferiti anche oltre il limite dei 65 anni, purché a titolo gratuito e per una durata non superiore ad un anno”. MINISTERO DELL’INTERNO Parere 10 dicembre 2015 Legittimità di una delibera di consiglio comunale È stato posto un quesito in ordine alla legittimità di una delibera di consiglio comunale adottata con il voto espresso anche dal vice sindaco dell’ente. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “come noto, il Consiglio di Stato, con parere n. 94/96 del 21.2.1996, ha escluso che nel novero dei poteri vicari del vice sindaco rientri l’esercizio delle funzioni di componente del consiglio con diritto di voto. Considerato che la deliberazione consiliare in questione sarebbe stata approvata anche senza computare il voto espresso dal vice sindaco, si è chiesto se tale delibera sia inficiata da vizi di legittimità e se sia opportuno provvedere al ritiro della stessa. Al riguardo, appare utile richiamare quanto osservato dal Consiglio di Stato, V Sezione, con sentenza n. 1564 del 2005, con riferimento alla circostanza che la delibera adottata sopravviva alla cosiddetta “prova di resistenza”. Nella citata 97 COMUNI D’ITALIA circolari & pareri 1/2016 pronuncia si legge che una giusta composizione tra l’esigenza di reintegrare la legittimità violata nel corso delle operazioni di voto e quella di salvaguardare la volontà espressa dall’organo deliberante non consente di pronunciare l’annullamento degli atti impugnati e dei voti così espressi, se la loro illegittimità non influisca in concreto sull’esito della deliberazione. Circa il superamento della “prova di resistenza”, va soggiunto che la stessa sia del tutto irrilevante quando la controversia sia riferita alla violazione degli obblighi di astensione gravanti sugli amministratori locali ai sensi della vigente normativa in materia (cfr Consiglio di Stato sez. IV 20 dicembre 2013 n. 6177). Tanto premesso, potrebbe farsi ricorso all’istituto della convalida amministrativa; nella ipotesi di un atto annullabile, la pubblica amministrazione, in virtù del principio di conservazione degli atti giuridici, può decidere di mantenerlo in vita, rimuovendo i vizi che lo inficiano attraverso l’espressione di una manifestazione di volontà finalizzata ad eliminare il vizio ravvisato. La convalida si sostanzia in una nuova ed autonoma manifestazione di volontà che, collegandosi all’atto originario, ne mantiene gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato. Come noto, la legge n. 15 del 2005 ha modificato la legge n. 241 del 1990 introducendo l’art. 21 nonies che, al comma 2, prevede la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di pubblico interesse ed entro un termine ragionevole”. MINISTERO DELL’INTERNO Parere 10 dicembre 2015 Numero consiglieri per i comuni con popolazione inferiore a 3000 abitanti e simbolo della lista È stato chiesto da un consigliere comunale se, a decorrere dalle elezioni del 2015, il consiglio di un comune con popolazione inferiore a 3000 abitanti debba essere composto da dieci consiglieri e se possa essere riutilizzato il simbolo della lista già utilizzato per le elezioni del 2011. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “con riferimento al 98 primo dei quesiti, si osserva che, ai sensi dell’art. 3 dello statuto speciale della Regione Sardegna, l’ordinamento degli enti locali rientra nella competenza della legislazione regionale nel rispetto della Costituzione, dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. Come noto, la disciplina prevista dalla legge n. 56/2014 in materia di città metropolitane è qualificata dall’art. 1, comma 5, della stessa legge come normativa recante principi di “grande riforma economica e sociale” ed, ai sensi del successivo comma 145, è disposto che la Regione Sardegna adegui il proprio ordinamento interno a tali principi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della medesima legge. Tuttavia, non risulta che la Regione abbia provveduto ad un riordino complessivo del proprio ordinamento degli enti locali. Per quanto riguarda il numero dei consiglieri, occorre fare riferimento alla l.r. n. 4 del 2012, modificata dalla l.r. n. 7 del 2015. Pertanto, nelle more di un futuro riordino della materia, la normativa attualmente vigente prevede che il consiglio comunale dei comuni con popolazione compresa tra 1000 e 5000 abitanti sia composto da dodici membri. In merito al secondo quesito formulato, non si ravvisano preclusioni al riutilizzo, da parte della formazione politica interessata alle prossime elezioni comunali, del medesimo contrassegno di lista presentato (e presumibilmente ammesso) in occasione delle elezioni tenutesi nello stesso comune nel 2011. Per completezza, si richiamano le disposizioni contenute nell’art. 30 del d.P.R. n. 570/60 che al primo comma, lettera b) (per i comuni sino a 15.000 abitanti) e nell’art. 33, primo comma, lett. b) (per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti), da cui si evincono i criteri di ammissione dei contrassegni di lista, con riferimento, tra l’altro, al divieto di presentazione di contrassegni identici o comunque confondibili con quelli presentati precedentemente per la stessa consultazione o con quelli notoriamente usati da altri partiti o raggruppamenti politici”. MINISTERO DELL’INTERNO Parere 1 dicembre 2015 Richiesta di istituzione di una commissione antimafia comunale È stato chiesto il parere in ordine alla questione rappresentata dal Sindaco di un comune circa la richiesta di intraprendere ogni iniziativa per l’istituzione di una commissione consiliare antimafia. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “si osserva, in linea generale, che l’articolo 38, comma 6, del decreto legislativo n. 267/00 prevede la possibilità per il consiglio di avvalersi di commissioni costituite nel proprio seno con criterio proporzionale. Tale disposizione ne demanda la previsione allo statuto e rinvia al regolamento i poteri e la disciplina dell’organizzazione e le forme di pubblicità dei lavori. Il successivo articolo 44, comma 2, dà, altresì, facoltà al consiglio comunale di “istituire al proprio interno commissioni di indagine sull’attività dell’amministrazione” precisando che “i poteri, la composizione ed il funzionamento delle suddette commissioni sono disciplinati dallo statuto e dal regolamento consiliare”. Le Commissioni, dunque, nell’ambito del vigente ordinamento degli enti locali costituiscono forme di articolazione interna del consiglio, e si configurano come un contenuto facoltativo dello statuto dell’ente locale, demandando al regolamento la determinazione dei relativi poteri, l’organizzazione e le forme di pubblicità dei lavori. Premesso, pertanto, che tutte le commissioni consiliari operano ordinariamente nell’ambito delle competenze dei consigli, come disciplinate dall’articolo 42 del T.U.O.E.L., anche la commissione comunale in oggetto per potere essere concretamente istituita deve trovare apposita previsione nello statuto comunale, in virtù delle richiamate disposizioni. Per completezza si osserva, altresì, che la partecipazione degli enti locali alle attività di prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata è prevista anche dalla legge della Regione Puglia n. 12 del 23/03/2015, che all’art. 5 rubricato “Interventi per la promozione di politiche locali per la legalità e il contrasto al crimine organizzato” al comma 1, dispone che “la Regione Puglia promuove il ruolo degli COMUNI D’ITALIA circolari & pareri 1/2016 enti locali nel perseguimento degli obiettivi della presente legge e adotta specifiche iniziative per valorizzare e diffondere le migliori politiche locali per la trasparenza, la legalità e il contrasto al crimine organizzato”. Al comma 4 prevede, inoltre, la promozione di specifiche azioni formative rivolte ad amministratori e dipendenti degli enti locali sui temi della prevenzione e del contrasto civile alle infiltrazioni della criminalità organizzata, del riuso sociale dei beni confiscati, della diffusione della cultura della legalità. Ciò posto, la commissione in parola potrebbe esercitare la facoltà di proposta nell’ambito delle funzioni di supporto ed ausilio del consiglio. L’eventuale funzione di accertamento di potenziali discrasie amministrative deve, invece, essere ricondotta nei compiti specifici della commissione di indagine sull’attività dell’amministrazione come prevista dal richiamato articolo 44 del decreto legislativo n. 267/00. Restano, comunque, ferme le competenze degli organi di controllo interno dell’amministrazione, rispetto all’attività degli uffici, che non possono essere surrogate dalla eventuale attività di indagine della commissione consiliare”. MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO Risoluzione n. 224850 del 5 novembre 2015 Commercio su aree pubbliche Un Comune chiede se la partecipazione alle spunte giornaliere dei posteggi temporaneamente non occupati dal titolare della concessione nei mercati o nelle fiere, possa essere valutato ai fini dell’assegnazione dei posteggi nei bandi che dovranno essere emanati dopo l’Intesa del 5 luglio 2012. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “la citata Intesa stabilisce i criteri di priorità da applicare a tutte le procedure di selezione per l’assegnazione dei posteggi su area pubblica. Nello specifico, i criteri di cui al punto 2, come già precisato dalla scrivente con nota del 16-1-2014, n. 6591, dovranno applicarsi sia alle procedure di selezione per il rinnovo delle concessioni una volta esauritasi, nel 2017, la fase transitoria (e, quindi, in occasione dei bandi che dovranno essere emanati nel periodo di prima applicazione che, si rammenta, ha inizio alla fine dei periodi di proroga di cui alle lettere b) e c) del punto 8 dell’Intesa), sia alle procedure di selezione in caso di mercati di nuova istituzione, sia in caso di assegnazione di posteggi di nuova istituzione in mercati già esistenti, nonché in caso di posteggi divenuti liberi e situati in mercati già istituiti. Per effetto di quanto sopra, quindi, le procedure di selezione possono riguardare fattispecie diverse. Ove non riguardino posteggi in nuovi mercati o posteggi divenuti liberi, ai sensi dell’Intesa, come indicato nella citata nota n. 6591, alla scadenza dei periodi di proroga indicati al punto 8 della medesima (ovvero il 7 maggio 2017 e il 6 luglio 2017), infatti, per effetto del richiamo al periodo di “prima applicazione” di cui alla lettera a) del punto 2, deve essere individuata una ulteriore fase transitoria, la cui durata deve essere stabilita dal Comune. Nel corso di tale periodo transitorio individuato, alle procedure ad evidenza pubblica relative alle concessioni di posteggio nei mercati che sono state oggetto di proroga per effetto delle disposizioni transitorie di cui al punto 8, e che, scadute le proroghe devono essere oggetto di riassegnazione, si applica, in ogni caso, il criterio dell’anzianità di esercizio dell’impresa nel posteggio al quale si riferisce la selezione che, ai sensi del punto 2 lettera a) dell’Intesa, può avere una specifica valutazione nel limite massimo del 40% del punteggio complessivo. Ove, invece, la procedura di selezione riguardi posteggi divenuti liberi, ovvero quei posteggi sui quali non ci sia alcun prestatore uscente, ovvero posteggi in mercati di nuova istituzione, non sussistendo una professionalità acquisita nel posteggio da valorizzare, la scrivente, con la citata nota n. 6591, ha precisato che i criteri da applicare ai fini dell’assegnazione di tali posteggi debbano essere quelli del punto 4 dell’Intesa, combinati, però, con quelli a regime di cui al punto 2 della medesima. Fermo quanto sopra, con specifico riferimento al contenuto del quesito relativo alle spunte, si osserva quanto segue. In materia di assegnazione giornaliera di posteggi temporaneamente non occupati dal titolare della concessione, l’articolo 28, comma 11, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, dispone che: “I posteggi, temporaneamente non occupati dai titolari della relativa concessione in un mercato, sono assegnati giornalmente, durante il periodo di non utilizzazione da parte del titolare, ai soggetti legittimati ad esercitare il commercio sulle aree pubbliche, che vantino il più alto numero di presenze nel mercato di cui trattasi”. L’articolo 27, recante le definizioni, al comma 1, lettera f), precisa che per presenze in un mercato si intende “il numero delle volte che l’operatore si è presentato in tale mercato prescindendo dal fatto che vi abbia potuto o meno svolgere l’attività”. Il richiamato articolo 28, comma 11, richiede, ai fini della partecipazione alle spunte, che il soggetto sia legittimato all’esercizio sulle aree pubbliche. Pertanto, chiunque sia in possesso di una qualunque autorizzazione all’esercizio del commercio su area pubblica, ovvero sia di tipo a) che di tipo b), ha titolo per essere incluso nella graduatoria degli spuntisti, fermo restando che soltanto il più alto numero di presenze nel mercato (per tale intendendo le volte in cui si è presentato a prescindere dall’avere ottenuto l’occupazione temporanea del posteggio) costituisce punteggio per occupare i primi posti in graduatoria e che al di fuori delle presenze non possono essere inclusi o previsti altri elementi per costituire precedenze e/o preferenze ai fini previsti. La richiamata norma non prescrive che l’autorizzazione debba essere idonea per l’esercizio del commercio nell’ambito della medesima Regione, limitandosi a prescrivere che i soggetti siano legittimati ad esercitare il commercio su aree pubbliche. Conseguentemente possono essere inclusi nelle graduatorie degli spuntisti anche i soggetti in possesso di autorizzazioni rilasciate da Comuni di altre Regioni abilitanti all’esercizio del commercio su aree pubbliche. Fermo quanto sopra, si evidenzia che la fattispecie dell’occupazione di posteggi temporaneamente non occupati è stata poi richiamata nell’Intesa del 5 luglio 99 COMUNI D’ITALIA circolari & pareri 1/2016 2012, che al punto 6 richiama quanto già espressamente previsto dal citato comma 11, ovvero che: “Ai fini dell’assegnazione transitoria dei posteggi temporaneamente non occupati dal titolare della concessione nel mercato (...), resta ferma l’applicazione del criterio del maggior numero di presenze, per tali intendendo le volte che il soggetto ha partecipato alle spunte, indipendentemente dall’effettivo utilizzo del posteggio temporaneamente non occupato. Il numero delle presenze maturate è comprovato dalla documentazione acquisita presso il Comune competente”. Trattasi, evidentemente, di un mero richiamo all’applicabilità del criterio del maggior numero di presenze, come definite dal citato decreto legislativo n.114, ai fini delle spunte. I criteri esplicitati al punto 2 dell’Intesa, invece, sono applicabili alle procedure ad evidenza pubblica che hanno per oggetto le assegnazioni delle concessioni, la cui durata, ai sensi del punto 1 della citata Intesa, non può essere inferiore ai nove anni, né, nel caso siano prescritti o comunque necessari rilevant i investiment i materiali, superiore ai dodici anni. In tale caso ci si riferisce ai seguenti criteri di priorità: a) maggiore professionalità acquisita, anche in modo discontinuo, nell’esercizio del commercio sulle aree pubbliche, riferita all’anzianità di esercizio dell’impresa, ivi compresa quella acquisita nel posteggio al quale si riferisce la selezione, che in sede di prima applicazione può avere una specifica valutazione nel limite del 40% del punteggio complessivo. Tale anzianità è comprovata dall’iscrizione quale impresa attiva nel Registro delle Imprese, riferita nel suo complesso al soggetto titolare dell’impresa al momento della partecipazione alla selezione, cumulata con quella del titolare al quale è eventualmente subentrato nella titolarità del posteggio medesimo; b) nel caso di procedure di selezione per la concessione di posteggi dislocati nei centri storici o in aree aventi valore storico, archeologico, artistico e ambientale, sono da considerare comunque prioritari anche l’assunzione dell’impegno da parte del soggetto candidato a rendere compatibile il servizio commerciale con la funzione e la tutela territoriale e 100 a rispettare le eventuali condizio ni partico lari, ivi comprese quelle correlate alla tipologia dei prodotti offerti in vendita ed alle caratteristiche della struttura utilizzata; c) la presentazione di apposita documentazione attestante la regolarità della posizione dell’impresa ai fini previdenziali, contributivi e fiscali, qualora la legge regionale o provinciale non preveda la presentazione del DURC o del certificato di regolarità contributiva come requisito obbligatorio. Appare evidente che i sopra richiamati criteri intendono dare rilievo, ai fini della partecipazione alle procedure di selezione, ai requisiti di professionalità ricavabili dall’iscrizione al Registro Imprese, ma anche, ai fini delle selezioni nel periodo di prima applicazione - ossia dopo il 7 maggio 2017 per le concessioni scadute dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010 e prorogate fino alla data dell’Intesa e dopo il 6 luglio 2017 per le concessioni di posteggio che sono scadute o che scadranno nel periodo compreso fra la data dell’Intesa ed i cinque anni successivi - alla specifica professionalità acquisita nel posteggio al quale si riferisce la selezione, che in tale periodo può avere una specifica valutazione nel limite massimo del 40% del punteggio complessivo (detta percentuale può pertanto essere individuata anche con un limite inferiore al 40%). Considerato tutto quanto sopra espresso, sia nel caso in cui la richiesta di parere di codesto Comune si riferisca ai bandi di selezione per il rinnovo delle concessioni una volta esauritasi nel 2017 la fase transitoria e pertanto nel successivo periodo di prima applicazione, sia nel caso in cui si riferisca ai posteggi divenuti liberi in mercati già esistenti, qualora la partecipazione alle spunte giornaliere si sia concretizzata in una effettiva occupazione, seppur temporanea e giornaliera, del posteggio la cui concessione è messa a bando, ad avviso della scrivente codesto Comune può considerare il soggetto che ne ha usufruito in possesso di una quota di professionalità riferibile a quel posteggio e, quindi, valutarla ai fini del computo di quella percentuale di punteggio (massimo 40%), assegnabile in relazione alla presenza nel posteggio. MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO Risoluzione 10 novembre 2015, n. 228497 Rilascio autorizzazioni temporanee su area pubblica in occasione del carnevale Una Regione chiede riscontro relativamente alla problematica insorta con un comune con riferimento ai contenuti del bando per il rilascio di autorizzazioni temporanee su area pubblica in occasione del carnevale. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “la scelta effettuata dal Comune, ovvero quella di abbinare, al criterio della professionalità, il criterio “della possibile offerta economica in rialzo su una quota di canone area sosta a base d’asta” , verificata, ovviamente, la regolarità contributivo/fiscale, presenterebbe delle evidenti criticità, venendo a mancare il rispetto dei principi generali dell’ordinamento vigenti nella materia di riferimento. Trattasi, nello specifico, dei principi della Direttiva Servizi 2006/123/CE e conseguentemente dei criteri dell’Intesa sancita in sede di Conferenza Unificata del 5 luglio 2012 e nel successivo Documento Unitario delle Regioni e Province Autonome del 24 gennaio 2013. In considerazione della tipologia di manifestazione in discorso, evidenzia che il Comune avrebbe dovuto utilizzare, oltre al criterio della maggiore professionalità, anche i criteri correlati alla qualità dell’offerta, alla tipologia del servizio fornito e alla prestazione di progetti innovativi, anche relativi a caratteristiche di compatibilità architettonica, non anche, invece, il criterio dell’offerta economica quale criterio per ottenere maggior punteggio ai fini dell’assegnazione, ritenuto, pertanto, illegittimo. Al riguardo, la scrivente Direzione rappresenta quanto segue. Si richiama, in via preliminare, il punto 2 dell’Intesa del 5 luglio 2012, il quale prevede che in caso di pluralità di domande concorrenti sono individuati i seguenti criteri di priorità: a) maggiore professionalità acquisita, anche in modo discontinuo, nell’esercizio del commercio sulle aree pubbliche, riferita all’anzianità di esercizio dell’impresa, ivi compresa quella acquisita nel posteggio al quale si riferisce la selezione, che in sede di prima applicazione può COMUNI D’ITALIA circolari & pareri 1/2016 avere una specifica valutazione nel limite del 40% del punteggio complessivo. Tale anzianità è comprovata dall’iscrizione quale impresa attiva nel Registro delle Imprese, riferita nel suo complesso al soggetto titolare dell’impresa al momento della partecipazione alla selezione, cumulata con quella del titolare al quale è eventualmente subentrato nella titolarità del posteggio medesimo; b) nel caso di procedure di selezione per la concessione di posteggi dislocati nei centri storici o in aree aventi valore storico, archeologico, artistico e ambientale, sono da considerare comunque prioritari anche l’assunzione dell’impegno da parte del soggetto candidato a rendere compatibile il servizio commerciale con la funzione e la tutela territoriale e a rispettare le eventuali condizioni particolari, ivi comprese quelle correlate alla tipologia dei prodotti offerti in vendita ed alle caratteristiche della struttura utilizzata; c) la presentazione di apposita documentazione attestante la regolarità della posizione dell’impresa ai fini previdenziali, contributivi e fiscali, qualora la legge regionale o provinciale non preveda la presentazione del DURC o del certificato di regolarità contributiva come requisito obbligatorio. Fermo quanto sopra, il Comune può applicare l’Intesa stabilendo autonomamente la durata e le modalità di valutazione dei criteri e dei punteggi da assegnare in caso di pluralità di domande concorrenti, nei limiti delle proprie competenze e comunque nel rispetto del quadro normativo e dei principi delineati dalle disposizioni statali. La scelta effettuata relativa alla possibile offerta economica in rialzo su una quota di canone su base d’asta, ovvero l’offerta economica più elevata, appare del tutto discriminante nei confronti di quei soggetti con minori capacità finanziarie e non in linea, soprattutto, con i principi sanciti dalla Direttiva Servizi, come codesta Regione ha avuto modo di sottolineare ampiamente. In tal modo, peraltro, si alterano le dinamiche concorrenziali in quanto la condizione per competere è dettata in primo luogo dalle capacità finanziarie dei concorrenti, il che determina anche il rischio di applicare una procedura che comporta disparità di trattamento. Si osserva, infine, che la circostanza che nel caso di specie trattasi di autorizzazioni temporanee che, a detta del Comune “vivono unicamente per il periodo di durata della manifestazione” non giustifica modifiche della disciplina applicabile. Trattasi, infatti, di posteggi assegnati in occasione di una manifestazione inquadrabile, ai sensi della disciplina vigente, quale “fiera”. L’articolo 27, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 114 del 1998, infatti, definisce la fiera quale “manifestazione caratterizzata dall’afflusso, nei giorni stabiliti sulle aree pubbliche o private delle quali il comune abbia la disponibilià, di operatori autorizzati ad esercitare il commercio su aree pubbliche, in occasione di particolari ricorrenze, eventi o festività” e tale è il caso di una manifestazione correlata con la ricorrenza del Carnevale. Si conclude, pertanto, richiamando quanto previsto, nel caso di concessioni di posteggio nelle fiere, dalla citata Intesa. La lettera c) delle disposizioni transitorie di cui al punto 8 dell’Intesa stabilisce che, al fine di evitare disparità di trattamento tra gli operatori su area pubblica, per un periodo di ammortamento di sette anni decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ovvero fino al 7 maggio 2017, ai soggetti esercenti nei posteggi delle fiere si applica “ la limitazione di cui al punto 3, relativa all’applicazione del criterio prioritario del maggior numero di presenze” nella fiera, al fine di consentire ai medesimi operatori l’ammortamento degli investimenti sostenuti ai fini delle precedenti partecipazioni. Il punto 3, dell’Intesa, richiamato alla lettera c) del punto 8, che indica le modalità di assegnazione dei posteggi nelle fiere non di nuova istituzione, dispone: “Nel caso delle fiere i cui posteggi sono assegnati mediante procedure di selezione a cadenza prestabilita per il periodo corrispondente alla durata della manifestazione, tenuto conto delle specifiche caratteristiche di dette manifestazioni e delle modalità con le quali sono svolte, nonché dalla circostanza che prevalentemente, essendo correlate a specifiche tradizioni, sono caratterizzate dall’offerta di peculiari merceologie di prodotto, il criterio di priorità dell’esperienza connessa al maggior numero di presenze pregresse nella medesima fiera resta applicabile limitatamente ad un numero di volte tale che per ciascun concessionario non sia superato il periodo di ammortamento degli investimenti di cui al punto 1. Decorso detto periodo, alle procedure di selezione per la concessione del posteggio in questione si applicano comunque i criteri prioritari stabiliti al punto 2, ai fini della decorrenza per il soggetto selezionato di un nuovo limitato periodo di priorità collegato al numero delle presenze pregresse”. In conseguenza di quanto richiamato, l’eventuale procedura pubblica ai fini dell’assegnazione dei posteggi in una fiera effettuata dopo la data dell’Intesa e per tutto il periodo di ammortamento di sette anni indicato alla predetta lettera c) del punto 8, ossia fino al 7 maggio 2017, non può non tenere conto di quanto previsto alla medesima lettera c), ossia la necessità di applicare il criterio prioritario del maggior numero di presenze nella medesima fiera. Quanto sopra vale, quindi, per tutte le fiere che si svolgeranno prima della data del 7 maggio 2017; nel caso delle fiere che si svolgeranno dopo tale data, invece, la relativa procedura pubblica deve tenere conto dell’applicazione di quanto precisato al punto 3 dell’Intesa, il quale, richiamata la necessità dell’applicazione del criterio di priorità dell’esperienza connessa al maggior numero di presenze pregresse nella medesima fiera, stabilisce l’applicabilità, nel caso di procedure pubbliche per l’assegnazione dei posteggi nelle fiere, dei criteri prioritari di cui al punto 2 dell’Intesa”. MINISTERO DELL’INTERNO Parere 24 novembre 2015 Mancata nomina del vicesindaco Alcuni consiglieri comunali segnalano la persistente mancata nomina del vice sindaco da parte del sindaco in carica. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “l’art. 46 del decreto legislativo n. 267/00, al comma 2 prevede che il sindaco nomina i componenti della Giunta, tra cui un vicesindaco e ne dà comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva all’elezione. Come rilevato dagli esponenti, la nomina del vice sindaco, anche secondo quanto indicato nella circolare ministeriale n. 101 COMUNI D’ITALIA circolari & pareri 1/2016 2379 del 16.02.2012, è indispensabile per l’esercizio delle indefettibili funzioni sostitutive del sindaco impedito o assente. Nel caso in specie, occorre comunque evidenziare che l’articolo 11 dello Statuto del Comune stabilisce che “il Sindaco designa il Vice Sindaco. In mancanza, i poteri di supplenza sono svolti dall’Assessore più anziano di età”. L’unica interpretazione che possa fornirsi alla citata norma statutaria, alla luce dell’articolo 53, comma 2 del d. lgs. n. 267/2000 che prevede la sostituzione del sindaco, nei casi ivi indicati (tra cui l’assenza o l’impedimento temporaneo) da parte del solo vicesindaco, è quella secondo la quale, in mancanza di designazione è vicesindaco di diritto l’assessore più anziano, non essendo ammissibili ulteriori figure istituzionali che lo possano sostituire nelle proprie competenze quale organo monocratico ovvero quale capo della giunta. Pertanto, ferma restando l’assoluta necessità di ottemperare al disposto di legge che richiede l’esplicita designazione del Vicesindaco da parte del Sindaco, la citata norma statutaria fornisce, nelle more, il necessario strumento per l’individuazione della figura vicaria del sindaco”. MINISTERO DELL’INTERNO Parere 24 novembre 2015 Ordine di trattazione degli argomenti sottoposti all’esame del consiglio comunale Il Presidente del consiglio di un comune ha chiesto un parere in ordine alla correttezza del diniego dallo stesso opposto alla richiesta, formulata da un gruppo consiliare, di invertire l’o.d.g. di una seduta di consiglio, al fine di posporre l’esame degli atti di sindacato ispettivo. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che: “si premette che l’ordinamento degli enti locali, ai sensi dell’art. 14 dello Statuto della Regione Sicilia, rientra tra le materie di competenza esclusiva della legislazione regionale e che l’art. 16 dello stesso ne demanda all’Assemblea regionale l’ordinamento amministrativo. Ciò posto, dall’esame dell’art. 55, comma 1, regolamento del consiglio comunale si evince che “la trattazione delle interrogazioni avviene nella parte iniziale della seduta secondo l’ordine cronologico di 102 presentazione”. Ai sensi del combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 25 della stessa fonte regolamentare è previsto che il presidente del consiglio possa modificare l’ordine di trattazione degli argomenti inseriti all’o.d.g anche su proposta di un gruppo consiliare e che, in caso di opposizione, la richiesta debba essere messa ai voti ed eventualmente accolta a maggioranza dei votanti. Considerato il quadro normativo sopra delineato, apparirebbe corretto il diniego opposto dal presidente del consiglio alla richiesta, formulata da un gruppo consiliare, di voler posporre la trattazione delle interrogazioni. Ciò in quanto il regolamento del consiglio comunale prevede espressamente che la trattazione dei suddetti atti di sindacato ispettivo debba avvenire “nella parte iniziale della seduta”. Pertanto, agli atti in questione non può essere applicata la disciplina sulla modifica dell’ordine di trattazione degli oggetti dell’o.d.g. prevista in generale dai commi 3 e 4 dell’art. 25 del regolamento del consiglio comunale”. MINISTERO DELL’INTERNO Parere 24 novembre 2015 Gruppi e commissioni consiliari In relazione alla segnalazione del Presidente di un Consiglio comunale, è stato chiesto un parere in merito alla costituzione dei gruppi consiliari, ed in particolare circa la legittimità della diffida operata dai presentatori di una lista civica nei confronti di due dei tre consiglieri eletti nell’ambito della medesima lista, ad utilizzare le corrispondenti prerogative. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “in linea generale, l’esistenza dei gruppi consiliari non è espressamente prevista dalla legge, ma si desume implicitamente da quelle disposizioni normative che contemplano diritti e prerogative in capo ai gruppi o ai capigruppo (art. 38, comma 3, art. 39, comma 4 e art. 125 del decreto legislativo n. 267/00). La materia deve, comunque, essere regolata da apposite norme statutarie e regolamentari, adottate dai singoli enti locali nell’ambito dell’autonomia organizzativa dei consigli, riconosciuta dall’art. 38 del citato T.U.O.E.L.. I mutamenti che possono sopravvenire all’interno delle forze politiche presenti in consiglio comunale per effetto di dissociazioni dall’originario gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari, ovvero l’adesione a diversi gruppi esistenti, sono ammissibili. Tuttavia, sono i singoli enti locali, nell’ambito della propria potestà di organizzazione, i titolari della competenza a dettare norme, statutarie e regolamentari, nella materia. Va da sé che i mutamenti in parola modificano i rapporti tra le forze politiche presenti in consiglio, incidendo sul numero dei gruppi ovvero sulla consistenza numerica degli stessi, e ciò non può non influire sulla composizione delle commissioni consiliari che deve, pertanto, adeguarsi ai nuovi assetti. Del resto, la possibilità di transitare da un gruppo ad altro, o di costituire nuovi gruppi non potrebbe non essere finalizzata alla formazione delle commissioni consiliari, che, come è noto, non sono componenti indispensabili della struttura organizzativa, bensì organi strumentali dei consigli, alle quali, una volta istituite deve partecipare almeno un rappresentante di ciascun gruppo. Nella fattispecie segnalata si osserva che lo statuto comunale all’articolo 20, prevedendo la facoltà di istituire le commissioni consiliari, dispone l’obbligo del rispetto del criterio proporzionale, assicurando, correttamente, la presenza di almeno un rappresentante per ogni gruppo. Il vigente regolamento all’articolo 8 disciplina i gruppi prevedendo che i consiglieri eletti nella medesima lista formano, di regola, un gruppo consiliare, anche unipersonale. I nuovi gruppi sono ammessi solo se costituiti da almeno due consiglieri, mentre il consigliere che nel corso del mandato rimanga da solo nel gruppo precostituito, mantiene le prerogative (comma 2). Nell’ambito della suddetta fonte regolamentare non si rinvengono, invece, specifiche disposizioni che prevedano l’ipotesi della espulsione di un consigliere dal proprio gruppo di appartenenza originario, fatta salva, piuttosto, la previsione di cui al comma 5 di potersi distaccare dal gruppo originario. Ciò posto, si evidenzia che il rapporto tra il candidato eletto ed il partito di appartenenza “…non esercita influenza COMUNI D’ITALIA circolari & pareri 1/2016 giuridicamente rilevabile, attesa la mancanza di rapporto di mandato e la assoluta autonomia politica dei rappresentanti del consiglio comunale e degli organi collegiali in generale rispetto alla lista o partito che li ha candidati.” (Tar Puglia, sez. di Bari sentenza n. 506/ 2005). Peraltro, con la stessa sentenza il TAR Puglia ha affermato che nel nostro sistema legislativo la “lista” è lo strumento a disposizione dei cittadini per presentare all’elettorato i propri candidati ed esaurisce la sua funzione giuridica al momento delle elezioni che si concludono con la proclamazione degli eletti, atto anteriore e del tutto autonomo rispetto alla convalida. Ne consegue che all’interno del consiglio i gruppi non sono configurabili quali organi dei partiti e, pertanto, non sembra sussistere in capo a questi ultimi una potestà direttamente vincolante sia per un membro del gruppo di riferimento, sia per gli organi assembleari dell’ente. Il T.A.R. per il Lazio con sentenza n. 16240/2004 ha precisato che i gruppi consiliari rappresentano, per un verso, la proiezione dei partiti all’interno delle assemblee, e, per altro verso, costituiscono parte dell’ordinamento assembleare, in quanto articolazioni interne di un organo istituzionale. Nella suddetta pronuncia, si stabilisce che “è dunque possibile distinguere due piani di attività dei gruppi: uno, più strettamente politico, che concerne il rapporto del singolo gruppo con il partito politico di riferimento, l’altro, gravitante nell’ambito pubblicistico, in relazione al quale i gruppi costituiscono strumenti necessari per lo svolgimento delle funzioni proprie degli organi assembleari, contribuendo ad assicurare l’elaborazione di proposte e il confronto dialettico tra le diverse posizioni politiche e programmatiche (cfr. Cass. civ, SS.UU., 19 febbraio 2004, n. 3335; C.S., IV, 2 ottobre 1992, n. 932; Corte Cost. 12 aprile 1990, n. 187).” Pertanto, qualora come nel caso di specie non sussistano disposizioni regolamentari che disciplinino i rapporti tra il partito (o lista) di riferimento dei consiglieri e i gruppi costituiti, non appare possibile alcuna interferenza dei primi nei riguardi dei secondi. Spetta, infatti, al consiglio comunale la valutazione dell’opportunità di indicare, con apposite norme regolamentari, anche le ipotesi in argomento, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei gruppi e l’ordinato svolgimento delle funzioni proprie dell’assemblea consiliare”. di lavoro, essendo sufficiente un atto di consenso dell’amministra-zione di provenienza (sez. regionale Lombardia n. 3 del 22.1.2009)”. MINISTERO DELL’INTERNO Parere 20 novembre 2015 MINISTERO DELL’INTERNO Parere 19 ottobre 2015 Rapporti di lavoro a tempo parziale Costituzione dei Gruppi consiliari Un ente ha chiesto di conoscere se sia possibile estendere la portata applicativa della disciplina contenuta nell’art. 1, comma 557, della legge 311/2004 anche ai rapporti di lavoro a tempo parziale. Inoltre è stato chiesto se l’utilizzo del dipendente ai sensi della predetta normativa necessiti di un aspecifica regolamentazione del rapporto. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “com’è noto, il citato art. 1, comma 557, dispone che: “I comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali purché autorizzati dall’amministrazione di provenienza”. Tale disciplina, per espressa previsione normativa risulta applicabile ai soli comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti ed agli altri enti indicati dalla norma, e si configura come normativa speciale, che introduce una eccezione al principio di esclusività della prestazione lavorativa del dipendente di una pubblica amministrazione espresso dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, consentendo l’utilizzazione di personale dipendente a tempo pieno di altre amministrazioni locali. Relativamente ai dipendenti con rapporto di lavoro part-time, si osserva che non ricorre l’ipotesi di cui alla citata normativa, in quanto per gli stessi esiste già la possibilità di svolgere un’altra attività lavorativa subordinata o autonoma, purché la prestazione lavorativa non sia superiore al 50% di quella a tempo pieno. Relativamente all’ulteriore questione si fa presente che secondo l’orientamento della giurisprudenza contabile, poichè la formula organizzativa introdotta dal citato art. 1 comma 557, legge n. 311/2004 è assimilabile al comando, non risulta necessaria la sottoscrizione di un nuovo contratto Una Prefettura, in relazione ad un quesito formulato da un comune ha chiesto un parere in ordine alla costituzione dei gruppi consiliari presso il predetto Ente. In particolare, è stato chiesto se uno dei candidati alla carica di sindaco non eletto, possa essere capogruppo di quattro liste non rappresentate già facenti parte delle sei liste allo stesso collegate. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “la disciplina della materia relativa alla costituzione dei gruppi consiliari è demandata allo statuto e al regolamento del consiglio, nell’esercizio della propria autonomia funzionale ed organizzativa riconosciuta in particolare dall’art. 38, comma 3, del decreto legislativo n. 267/2000. Pertanto le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari dovrebbero essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l’ente locale si è dotato, competendo al consiglio comunale l’eventuale interpretazione autentica delle predette norme. Inoltre l’attività interpretativa non può essere disgiunta dall’osservanza dei principi di buona amministrazione, né possono essere utilizzate a sostegno di tale attività, massime giurisprudenziali che non si adattino perfettamente alla fattispecie esaminata. Ciò premesso, si rileva che le norme statutarie e regolamentari del Comune in parola forniscono una articolata disciplina della materia dei gruppi. L’art. 18 dello statuto, al comma 1, prevede che per la costituzione del gruppo è necessaria l’adesione di almeno due consiglieri, tranne che trattasi di un unico consigliere eletto in rappresentanza di una lista. Il regolamento, all’articolo 15, comma 2, ribadisce che ciascun gruppo è costituito da almeno due consiglieri, e, “nel caso che una lista presentata alle elezioni abbia avuto un solo consigliere, a questi sono 103 COMUNI D’ITALIA circolari & pareri 1/2016 riconosciute le prerogative e la rappresentanza spettanti ad un gruppo consiliare”. Il successivo comma 4 stabilisce, ancora che “con l’eccezione del Gruppo misto, i Gruppi consiliari possono cambiare la propria denominazione nel corso della tornata amministrativa”. L’art. 16 del regolamento prevede la possibilità della costituzione di 2 gruppi misti (di maggioranza e di minoranza) sulla base di quanto disposto dallo statuto e dall’articolo 15 dello stesso regolamento, il quale, come detto, richiede la presenza di almeno due consiglieri. Nel caso specifico, si osserva che l’articolo 73 del decreto legislativo n. 267/00 che disciplina l’elezione del consiglio nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, al comma 11, prevede, dopo il riparto dei seggi tra le varie liste, che il primo seggio venga assegnato al candidato sindaco non eletto, e, in caso di collegamento tra più liste, tale seggio si detrae dai seggi complessivamente attribuiti al gruppo di liste collegate. In proposito, occorre osservare, così come sostenuto dal C.d.S. con sentenza della V Sezione, 12 dicembre 2003, n. 8208, che la normativa sopra citata “impone palesemente di dedurre in via prioritaria il seggio controverso da quelli riservati alla coalizione di riferimento, e non da quelli spettanti alla lista che lo ha presentato, e di procedere, poi all’assegnazione di quelli rimasti mediante l’individuazione dei quozienti più alti conseguiti dai candidati dalle liste collegate”. Il predetto principio è confermato da giurisprudenza più recente (v. T.A.R. Campania – Sez. I, n. 2124/2013 del 22 aprile 2013) la quale ha affermato che l’interessato “è stato proclamato eletto non già quale candidato al consiglio comunale (di una lista) ma quale candidato sindaco uscito sconfitto dalla competizione, del più vasto schieramento composto da quattro liste... in conformità al già citato art. 73, comma 11”. Il candidato sindaco non eletto fa parte, quindi, del consiglio non come esponente di una lista, ma in qualità di maggior rappresentante della coalizione nella sua interezza. Nel caso di specie, il primo seggio attribuito al complesso di liste collegate, compete, pertanto, al candidato sindaco non eletto. 104 Tuttavia, considerato che il regolamento consente la costituzione dei gruppi unipersonali esclusivamente nei riguardi delle liste che hanno avuto eletto un consigliere (art. 15, comma 2), si ritiene che il candidato sindaco non eletto possa costituire tale gruppo unipersonale solo qualora il seggio ad esso assegnato in base al meccanismo della prededuzione sia stato ceduto da una delle liste della coalizione che attualmente non esprime alcun consigliere. Ciò alla luce anche della citata sentenza del TAR Campania, che ammette la potenziale surroga del candidato sindaco non eletto, nei riguardi della lista collegata che abbia ottenuto il quoziente più alto in ordine decrescente. In ogni caso, si ritiene che non possano costituirsi gruppi di liste che non esprimono consiglieri, fatta salva la facoltà, in presenza dei relativi presupposti, di modificare la denominazione del gruppo già costituito, come previsto dall’art. 15, comma 4 del regolamento”. MINISTERO DELL’INTERNO Parere 19 ottobre 2015 Dimissioni consiglieri È stato richiesto il parere di questo Dipartimento in ordine alla situazione di un comune il quale ha rinnovato i propri organi a seguito delle elezioni amministrative del maggio 2014 ed in esito alle quali sono stati eletti, oltre al sindaco, dodici consiglieri. Nel corso della consiliatura hanno rassegnato le dimissioni quattro consiglieri che sono stati surrogati con apposite delibere adottate, in seconda convocazione, con la presenza di quattro consiglieri. Per quanto concerne il quorum necessario al fine della validità delle sedute, il segretario comunale ha reso parere favorevole in quanto l’art. 273, comma 6, del decreto legislativo n. 267/00 detta una disciplina transitoria che legittima l’applicazione dell’art.127 del T.U. n.148/1915, fino all’adeguamento della normativa locale ai criteri indicati dal citato decreto legislativo n. 267/00. Da quanto emerge dall’esame della documentazione in possesso, il comune non ha adottato una disciplina regolamentare concernente il quorum per le sedute di seconda convocazione. Avverso le citate deliberazioni di surroga è stato proposto ricorso al T.A.R. e, nelle more della pronuncia del giudice amministrativo, il Consiglio di Stato, nella seduta del 30 luglio 2015, ha sospeso l’efficacia degli atti impugnati accogliendo la relativa richiesta di sospensiva. Precedentemente a tale pronuncia si erano dimessi altri due consiglieri, uno nell’aprile e l’altro nel luglio u.s. e, poiché il consigliere dimessosi ad aprile non è più surrogabile per assenza di ulteriori candidati nella medesima lista, da alcuni consiglieri è stata formulata istanza ai sensi dell’art. 141, comma 1, lett. b) n. 4 del T.U.O.E.L.. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “si condivide l’avviso di non ritenere sussistenti i presupposti giustificativi per l’applicazione del richiamato art. 141 in quanto il consiglio è tenuto a provvedere alla surroga del consigliere dimessosi lo scorso luglio, ai sensi degli artt. 38, comma 8, e 45, comma 1, attribuendo il seggio al candidato che, nella medesima lista, segue immediatamente l’ultimo eletto. Da quanto si evince nella nota in questione, infatti, solamente uno dei due consiglieri dimessosi successivamente non sarebbe surrogabile per mancanza di ulteriori candidati nella medesima lista. Si soggiunge, inoltre, che le norme citate impongono al Consiglio l’obbligo di procedere alla surroga, configurando, quindi, la relativa attività come vincolata e non facoltativa. Peraltro, come segnalato dal Segretario dell’ente, lo statuto del comune, approvato con delibera n. 55 del 1999, prevede la presenza della metà dei consiglieri per la validità delle sedute. Pertanto, il consiglio, potendo funzionare anche con la presenza di sei consiglieri, dovrà procedere alla surroga del consigliere, elevando a sette il numero dei propri componenti. Infine, anche qualora dovesse intervenire l’annullamento delle delibere consiliari da parte del TAR adito, i medesimi atti potranno essere comunque adottati nuovamente rispettando gli eventuali criteri dettati dal giudice amministrativo con riferimento al quorum necessario al fine della validità della seduta”. COMUNI D’ITALIA quesiti 1/2016 quesiti BILANCIO L’IMPOSTA DI SOGGIORNO a cura di Anci Risponde Quesito Legge n. 208/2015 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) – art.1 – comma 26. Al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica, per l’anno 2016 è sospesa l’efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l’anno 2015. Sono fatte salve, per il settore sanitario, le disposizioni di cui all’articolo 1,comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e all’articolo 2,commi 79, 80, 83 e 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nonche’ la possibilità di effettuare manovre fiscali incrementative ai fini dell’accesso alle anticipazioni di liquidità di cui agli articoli 2e 3 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti. La sospensione di cui al primo periodo non si applica alla tassa sui rifiuti (TARI) di cui all’articolo 1, comma639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ne’ per gli enti locali che deliberano il predissesto, ai sensi dell’articolo 243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o il dissesto, ai sensi degli articoli 246 e seguenti del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Si chiede di chiarire se tale sospensione sia riferita esclusivamente alla IUC quale tributo locale, ovvero ad aumenti di altre imposte non rientranti fra i tributi locali in senso stretto, ancorché previsti da deliberazioni assunte antecedentemente alla approvazione della legge 208/2015 e già in vigore al 1.12.2015 – in particolare l’imposta di soggiorno. Risposta Come si evince anche dalla Nota di commento alla legge di stabilità per il 2016 elaborata dall’IFEL per conto dell’Anci (si veda a pagina 20 del documento rinvenibile sul sito), il comma 26 dell’articolo 1 della legge di stabilità per il 2016, prevede il blocco degli aumenti dei tributi e delle addizionali per il 2016, rispetto a quelli deliberati per il 2015. Pertanto, si ritiene che il blocco riguardi anche l’imposta di soggiorno; nel senso che non è possibile introdurla con effetto nel 2016 e non è nemmeno possibile apportare degli incrementi alle aliquote già in vigore nel 2015. EDILIZIA E URBANISTICA UNITÀ COLLABENTI E RICORSO Quesito Un contribuente possiede due unità collabenti nel centro abitato e per le quali non paga imposta ICI/IMU. Sono stati fatti accertamenti ICI sul valore dell’area edificabile su cui insistono. Per l’anno 2003 ha fatto ricorso in CTP e il ricorso è stato rigettato. È corretto continuare con gli accertamenti? Risposta In primo luogo è necessario inquadrare il concetto di fabbricato ai fini ICI e IMU che, come noto, è sostanzialmente lo stesso per l’identità di base imponibile. Entrambe poggiano sull’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 504/1992 “per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbani…” . Ai sensi dell’art. 2 del d.m. 28 del 2 gennaio 1998 l’unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero un’area che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale”. Da queste parole se ne deduce che, ai fini catastali il fabbricato necessita di una potenzialità reddituale che si traduce nell’attribuzione di una rendita catastale. Le unità collabenti F2 fanno parte delle categorie catastali fittizie per le quali non è obbligatoria la denuncia catastale in quanto non suscettibili di autonoma capacità reddituale, anche se spesso vengono iscritte per consentire l’identificazione catastale precisa all’interno di operazioni immobiliari. Sulla scorta di questi elementi le unità collabenti non sono assimilabili alle unità immobiliari intese come FABBRICATO con rendita ai fini ICI/IMU, in quanto non sono catastalmente fabbricati. Ai fini ICI/IMU è dunque necessario spostare il ragionamento sulla capacità edificatoria. Ai fini urbanistici è sempre possibile il recupero dei fabbricati, anche se in zone agricole. Sostanzialmente, possedere un fabbricato al quale le norme urbanistiche attribuiscono una superficie recuperabile equivale al possesso di un terreno edificabile. Il recupero dell’ICI/IMU sul collabente va declinato come area edificabile in quanto il cosiddetto fabbricato fatiscente non rientra nella nozione di fabbricato ai fini catastali e fiscali ma è dotato di capacità edificatoria valutabile come area ai sensi dell’art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 504/1992 sulla base del valore venale in funzione della capacità edificatoria ammessa dalle norme urbanistiche. Una sentenza interessante sul 105 COMUNI D’ITALIA quesiti 1/2016 trattamento fiscale del terreno agricolo su cui insistono fabbricati rurali è la Corte di Cassazione n. 5166/2013. Recentemente si è espressa sul tema la CTR di Firenze con le sentenze 26 e 27 del 9 gennaio 2015 relative ad un accertamenti a società immobiliare sulla base del valore dell’area degli immobili collabenti. Nel caso prospettato il comune agisce con una sicurezza rafforzata da una sentenza a proprio favore, a nulla rilevando le ripetute obiezioni del contribuente che semmai dovrà promuovere nuovamebte nelle sedi competenti. PERSONALE ASSENZE PER MALATTIE Quesito Un dipendente ha reso regolarmente la prestazione lavorativa dovuta per tutto l’orario previsto in relazione ad una determinata giornata. Successivamente, dopo aver timbrato l’uscita, si è recato dal proprio medico che ha certificato, secondo le vigenti disposizioni legislative, una malattia con una prognosi di 5 giorni a decorrere, come data di inizio della patologia, dal giorno stesso in cui il dipendente aveva comunque lavorato, prima di recarsi allo studio medico. Quale disciplina si deve applicare? Il dipendente ha diritto al recupero dell’intera giornata lavorativa che risulta coperta dal certificato di malattia? Risposta Relativamente alla particolare problematica esposta si ritiene utile precisare quanto segue: a) in ordine al valore della certificazione rilasciata dal medico competente in occasione di malattia insorta in una giornata nell’ambito della quale il lavoratore, al mattino, ha già reso, regolarmente ed integralmente, la propria prestazione lavorativa, si rinvia alle indicazioni ricavabili dalla sentenza della Cassazione civile, sez. lav., 6.2.1988, n. 1290, secondo “… salva una contraria ed espressa indicazione, la prognosi della malattia diagnosticata non può non comprendere il giorno di rilascio della certificazione, essendo in contrario irrilevante che nello stesso giorno il lavoratore abbia eseguito la normale prestazione lavorativa …”; 106 b) poiché il CCNL del Comparto Regioni-Autonomie Locali, non contiene alcuna “contraria ed espressa indicazione” il certificato medico copre la mancata prestazione lavorativa (senza alcun recupero delle ore non lavorate) in quei casi in cui il dipendente abbia lavorato solo per una parte della ordinaria giornata lavorativa; in tale ipotesi, la prognosi si conta comunque dal giorno del rilascio, senza che il dipendente possa pretendere di recuperare a sua volta le ore lavorate; c) alla luce delle medesime indicazioni sopra riportate della Cassazione, nel caso concreto, invece, se il dipendente ha già reso effettivamente la propria prestazione lavorativa, essendo la malattia insorta e certificata successivamente, non vi è alcuna mancata prestazione lavorativa da coprire con il certificato medico; pertanto, non si comprende che cosa lo stesso debba recuperare, essendo stato in quel giorno regolarmente in servizio; d) infatti, non sembra possibile considerare il dipendente in malattia il giorno in cui lo stesso ha già terminato gli obblighi di lavoro nei confronti dell’amministrazione; si ritiene, pertanto, che in questa fattispecie, la data di emissione del certificato e la prognosi avranno decorrenza lo stesso giorno (sentenza della Cassazione n.1290 del 6.2.1988), ma il datore di lavoro pubblico considererà l’assenza del dipendente per malattia dal giorno effettivo di assenza dal servizio; e) proprio perché il dipendente ha reso regolarmente la propria prestazione lavorativa , e quindi, non vi è stata alcuna effettiva assenza per malattia nel giorno in questione, si ritiene anche che non vi siano i presupposti per l’applicazione delle previsioni dell’art.71 del d.l. n. 112/2008. FRUIZIONE FERIE PERSONALE COMANDATO Quesito Un dipendente rientra da un periodo di comando presso altra amministrazione con un certo numero di giorni di ferie maturati e non fruiti presso l’ente utilizzatore. Tale giorni possono essere fruiti presso l’ente di appartenenza, dopo il rientro? L’ente di appartenenza può chiederne il rimborso a quello utilizzatore, trattandosi di giorni di ferie maturati e non goduti presso quest’ultimo? Risposta Su tale problematica, si ritiene utile precisare che: a) secondo le regole generali, il personale in comando, e per tutta la durata dello stesso, diventa dipendente, in senso funzionale e a tutti gli effetti dell’ente nel quale presta effettivamente servizio. Con il comando, infatti, non si determina l’estinzione del precedente rapporto di lavoro, ma si ha solo il cambiamento della sede della prestazione lavorativa (presso un nuovo datore di lavoro utilizzatore); b) pertanto, nel caso di cessazione del comando, con il conseguente rientro presso l’ente di appartenenza, stante la continuità del rapporto, il dipendente conserva comunque il diritto a fruire presso quest’ultimo le ferie comunque maturate e non fruite presso l’ente utilizzatore; a) non risulta, infatti, l’esistenza di disposizioni legali e/o contrattuali che facciano divieto al dipendente di fruire presso l’ente di appartenenza le ferie maturate e non godute presso l’ente utilizzatore; b) certamente, in questa ipotesi, l’ente di appartenenza potrebbe trovarsi a fronteggiare costi ulteriori e aggiuntivi (sia sotto il profilo dell’eventuale monetizzazione delle ferie al momento in cui si determina la effettiva cessazione del rapporto di lavoro, ove questa sia ancora possibile ai sensi delle previsioni dell’art. 5, comma 8, della legge 135/2012, anche alla luce delle indicazioni fornite dal Dipartimento della Funzione Pubblica con le note n. 32937 del 6.8.2012 e n. 40033 dell’8.10.2012); sia, indirettamente, come costi organizzativi, nel caso in cui consenta la fruizione delle precedenti ferie, dopo il ritorno del lavoratore nella propria organizzazione; c) tuttavia, nella vigente disciplina contrattuale del Comparto Regioni-Autonomie Locali manca una disciplina specifica in materia di comando di personale; COMUNI D’ITALIA quesiti 1/2016 d) ugualmente, nell’ambito della generale regolamentazione dell’istituto, mancano indicazioni specifiche in materia di ferie del personale comandato, che consentano la soluzione prospettata; e) un eventuale punto di riferimento, pertanto, potrebbe essere rappresentato dall’art. 70, comma 12, del d.lgs. 165/2001 secondo il quale l’ente che utilizza il lavoratore deve rimborsare all’amministrazione di appartenenza del lavoratore gli oneri relativi al trattamento fondamentale. f) pertanto, si tratta di verificare se nell’ambito della generale previsione del citato art.70, comma 11, del d.lgs.n.165/2001 possa farsi rientrare anche la particolare soluzione da voi prospettata; g) trattandosi, tuttavia, di una problematica afferente alla definizione dell’esatta portata applicativa di norme legge (il citato art. 70 del d.lgs. 165/2001), la stessa dovrà essere sottoposta al Dipartimento della Funzione Pubblica, istituzionalmente competente per l’interpretazione delle norme di legge concernenti il rapporto di lavoro pubblico. POLIZIA LOCALE LE ASSUNZIONI DI VIGILI STAGIONALI a cura di Anci Risponde Quesito Il piano assunzionale 2016 di questo Ente, approvato nel novembre 2015, prevede l’assunzione a tempo determinato e per esigenze stagionali non superiori a mesi cinque l’assunzione a tempo pieno di n. 05 unità di “Agente di P.M.”. Evidenziando che la relativa spesa risulta ampiamente contenuta nei limiti finanziari previsti dalla normativa specifica e che il reclutamento delle unità previste avverrà tramite concorso pubblico per esami, non risultando graduatorie a tempo indeterminato per tale qualifica detenute da questo Ente e dagli altri enti litoranei turistici viciniori, si chiede se, alla luce delle attuali disposizioni emanate con la legge finanziaria 2016 in tema di assunzioni, questo Ente possa procedere ad indire il relativo concorso ed assumere i candidati risultati vincitori. Risposta La legge finanziaria 2016 non ha apportato modifiche in tema di assunzioni a tempo determinato di agenti di P.M. e relativi vincoli di spesa. Continuano pertanto a trovare applicazione - oltre ai vincoli di spesa di cui all’art. 9, comma 28 del d.l. 78/2010 e s.m.i.- le disposizioni di cui all’art. 5, comma 6 del d.l. 78/2015 (Legge 125/2015) che pongono il divieto agli enti locali, a pena di nullità delle relative assunzioni, di reclutare personale con qualsivoglia tipologia contrattuale - sia a tempo indeterminato che a tempo determinato - per lo svolgimento di funzioni di polizia locale, fatta eccezione “per le assunzioni di personale a tempo determinato per lo svolgimento di funzioni di polizia locale, esclusivamente per esigenze di carattere strettamente stagionale e comunque per periodi non superiori a cinque mesi nell’anno solare, non prorogabili”. TRIBUTI IMU: FUSIONE DI DUE IMMOBILI COLLEGATI ADIBITI AD ABITAZIONE PRIONCIPALE Quesito Premesso che l’art. 13 d.l. 201/2011 dispone ai fini IMU che l’abitazione principale è costituita dall’unica unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto; che la circolare n. 3/2012 del Dipartimento delle Finanze ribadisce che l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in catasto, come ci si deve comportare nel caso di coniugi con ugual quota di proprietà ma con diritti diversi che impediscono la fusione di due immobili, di fatto collegati, adibiti ad abitazione principale, con specifica annotazione catastale: “porzione U.I.U. unità di fatto con quella del foglio (...) rendita attribuita ai soli fini fiscali”? Risposta Nel caso descritto l’annotazione catastale “porzione U.I.U. unità di fatto con quella del foglio” viene utilizzata per superare l’ostacolo giuridico della titolarità dei diritti che impedisce di unire le unità e consentire di trattare come unica la medesima unità, ai fini fiscali. Sostanzialmente, questa è la strada per trattare l’unità ai fini Imu come unica in quanto è il sistema catastale a simulare una sorta di finzione giuridica per rendere unica l’unità. Si conferma pertanto la possibilità di applicare il trattamento previsto per l’abitazione principale. 107 Edicola Maggioli Tutte le Riviste Maggioli Editore a portata di Tablet Tutte le Riviste Maggioli Editore da oggi sono disponibili anche in versione edicola per tutti i tablet, in una nuova e ricca applicazione: Edicola Maggioli. Scarica la App su: L’applicazione è gratuita e consente di visionare sul proprio dispositivo l’intero catalogo on-line dei Periodici Maggioli Editore organizzati per Aree d’interesse. Scopri l’universo Mobile di Maggioli Editore, visita il sito www.mobileapp.maggioli.it RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA 1/2016 a cura di Francesca Palazzi Ordinanze contingibili e urgenti: una casistica giurisprudenziale Il ricorso da parte dei Sindaci allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente, disciplinato dall’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, appare piuttosto frequente nella prassi applicativa ma, molto spesso, tali provvedimenti non superano il vaglio di legittimità, come si evince dall’ampia casistica giurisprudenziale che si propone in questo numero della Rivista. TAR EMILIA ROMAGNA BOLOGNA SEZ. II sentenza 8 febbraio 2016, n. 157 1. Enti locali – sindaco – ordinanza di sgombero di un intero fabbricato a tutela dell’incolumità pubblica – ex art. 54, comma 4, d.lgs. 267/2000 – legittimità – ragioni 2. Enti locali – sindaco – ordinanze contingibili e urgenti – comunicazione di avvio del procedimento – necessità – va esclusa 1. È legittima l’ordinanza, adottata ai sensi dell’art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, con la quale il Sindaco, preso atto della perdurante situazione di grave degrado di un fabbricato, tale da non garantire le condizioni di sicurezza dello stesso, nonché dei numerosi arresti eseguiti nel condominio per gravi reati (spaccio di sostanze stupefacenti, violazioni della legge sull’immigrazione, rapina, incendio doloso, danneggiamenti al patrimonio pubblico e privato, lesioni personali, rissa, ricettazione, abusi di carattere urbanistico/edilizio, furti di energia elettrica), a tutela dell’incolumità pubblica, ha dichiarato immediatamente inagibile ed inutilizzabile l’intero stabile e ne ha ordinato lo sgombero. Invero è pacifico che la situazione di degrado e di pericolo, non risolta con gli strumenti ordinari e dunque degenerata, necessitasse di intervento urgente a tutela della pubblica incolumità, ivi compresa quella della stessa ricorrente, la cui permanenza all’interno del fabbricato la avrebbe esposta ad un serio pericolo. Come ricavabile dall’art. 54 comma 4, t.u. n. 267 del 2000 in materia di ordinanze contingibili e urgenti, la tutela della pubblica incolumità si realizza non solo attraverso l’eliminazione dei pericoli che la minacciano, ma anche attra- verso l’adozione delle opportune misure di prevenzione (TAR Lazio, Roma, sez. II, 2.12.2014, n. 12136). La circostanza che la vicenda fosse già nota all’amministrazione non ha ex se rilevanza sull›esistenza o meno del pericolo di danno, sia in relazione al suo aspetto ontologico, sia in rapporto alle vicende della situazione stessa, siano esse di aggravamento o comunque di modifica. Infatti, l›assoluta imprevedibilità della situazione da affrontare non può considerarsi un presupposto indefettibile per l›adozione delle ordinanze extra ordinem ex art. 54 comma 4, t.u. enti locali. Tali ordinanze, invero, possono essere adottate per fronteggiare situazioni impreviste e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (Cons. Stato, sez. IV, 12.6.2014, n. 3001). È pacifico, inoltre, che la competenza ad adottare simili ordinanze è riservata dalla legge al Sindaco il quale, nel caso di specie, ha firmato l’ordinanza ed ha ampiamente motivato le ragioni di una decisione così estrema. 2. La natura delle ordinanze contingibili e urgenti esclude che siano necessarie formalità preventive quali la comunicazione di avvio del procedimento o una preventiva diffida. In materia di emanazione di un’ordinanza contingibile ed urgente, invero, non si applicano le norme procedimentali a presidio della partecipazione del privato, ai sensi dell’art. 7 della legge 241/1990, in quanto incompatibili con l’urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, aggravantesi con il trascorrere del tempo: di fatto, la comunicazione di avvio del procedimento nelle ordinanze contingibili e urgenti del sindaco non può che essere di pregiudizio per l’urgenza di provvedere (TAR Puglia, Bari, sez. III, 23.4.2015, n. 646). TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. II sentenza 29 gennaio 2016, n. 200 Enti locali – sindaco – ordine di ripristino del passaggio pubblico su un sentiero mediante rimozione della recinzione – ordinanza contingibile e urgente – ex art. 54 t.u.e.l. – illegittimità È illegittima l’ordinanza con la quale il sindaco, ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. 18.8.2000, n. 267, ha ordinato il ripristino del passaggio pubblico su un sentiero, mediante rimozione del tratto di recinzione posto sul tracciato del passaggio stesso nel termine di trenta giorni dalla notifica dell›ordinanza. Secondo la giurisprudenza, il potere sindacale di emettere ordinanze contingibili e urgenti presuppone necessariamente situazioni, non tipizzate dalla legge, di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione; e ciò in quanto solo in presenza di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale. Nel caso specifico, è stato emesso un provvedimento contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 54 citato per far fronte ad una situazione che poteva essere affrontata mediante l’utilizzo dei poteri ordinari, conferiti ai comuni in materia di repressione degli abusi edilizi. Inoltre, il provvedimento impugnato non indica assolutamente le ragioni per le quali la chiusura del sentiero possa minacciare i primari interessi dell’incolumità pubblica e dell’ordine pubblica. 1 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA TAR CALABRIA REGGIO CALABRIA sentenza 26 gennaio 2016, n. 82 Ordinanza contingibile e urgente in materia di inquinamento elettromagnetico 1. Enti locali – provvedimenti contingibili e urgenti – ex artt. 50, comma 5, e 54, comma 4, d.lgs. 267/2000 – presupposti – termine finale di efficacia – necessità 2. Enti locali – sindaco – ordinanza ex artt. 50, comma 5, e 54, comma 4, d.lgs. 267/2000 – divieto di installazione nel centro urbano cittadino di nuove antenne di telefonia mobile fino all’emanazione del Piano Strutturale Associato – illegittimità – ragioni 1. L’adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 50, comma 5, e 54, comma 4, d.lgs. 267/2000, deve trovare fondamento nei presupposti dell’urgenza (indifferibilità dell’atto) e della contingibilità (straordinarietà ed imprevedibilità dell’evento), potendo essere emanati solo a fronte di situazioni impreviste e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 3.6.2013, n. 3024; Cons. Stato, sez. V, 23.9.2015, n. 4466). Peraltro, tali provvedimenti devono contenere una esaustiva motivazione circa la concreta sussistenza dei presupposti previsti dalla legge nonché l’indicazione di un termine finale, non essendo configurabili effetti di durata indefinita, in quanto un’efficacia sine die contrasterebbe con il carattere eccezionale e temporaneo loro proprio. 2. È illegittima l’ordinanza sindacale, emanata ai sensi degli artt. 50, comma 5, e 54, comma 4, d.lgs. 267/2000, che vieta l’installazione nel centro urbano cittadino “sia in via provvisoria che in via definitiva, di nuove antenne di telefonia mobile fino all’emanazione del Piano Strutturale Associato che prevede nel suo regolamento edilizio e urbanistico le linee normative relative all’installazione di nuove antenne necessarie per la telefonia mobile”. Il provvedimento in esame risulta laconicamente motivato, non prevede alcun termine finale di efficacia e soprattutto si palesa, in difetto degli stessi presupposti dell’improcrastinabilità ed urgenza, illegittimamente “sostitutivo” del regolamento comunale, fonte secondaria cui dovrebbe essere de- 2 mandata in via ordinaria la disciplina delle autorizzazioni all’installazione degli impianti di telefonia, di cui il comune risulta, allo stato, privo. TAR CAMPANIA NAPOLI SEZ. V sentenza 16 dicembre 2015, n. 5257 1. Enti locali – sindaco – ordinanza contingibili e urgenti – presupposti – individuazione 2. Enti locali – sindaco – ordinanza per il ripristino di condizioni igienicosanitarie adeguate alla collocazione di animali – illegittimità fattispecie 1. Le ordinanze di necessità e urgenza sono statuizioni straordinarie adottate nei casi espressamente previsti dalla legge, espressione di un potere amministrativo extra ordinem, al fine di fronteggiare situazioni di urgente necessità laddove all’uopo si rivelino inutili gli strumenti ordinari posti a disposizione dal legislatore. Il principio costituzionale di legalità, che ispira l’intera azione amministrativa, impone la necessità di una previsione legislativa espressa al fine di consentire alla p.a. il legittimo esercizio del potere di ordinanza. Pertanto l’adozione di un’ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un’istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l’emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell’accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l’urgenza come assoluta necessità. 2. È illegittima l’ordinanza con la quale il sindaco, a seguito di una ispezione da parte dell’Asl su un fondo di proprietà privata dalla quale emergeva che erano ivi collocati “dodici cani di varia taglia, età e sesso, detenuti in parte liberi e in parte rinchiusi in recinti, tutti sprovvisti di microchip, in sufficiente stato di salute ma lo stato igienico sanitario dei luoghi risultava carente per la presenza di manufatti e materiali non compatibile con la presenza degli animali”, ordinava la riduzione del numero di cani nel fondo, oggetto di accertamento, ad un nu- mero massimo di sette, tutti maschi o tutti femmine, di effettuare la pulizia straordinaria dei luoghi, ripristinare le recinzioni per gli animali e a notificare al Servizio Veterinario il luogo o il canile ove saranno spostati gli altri animali. Nel caso di specie, difettano i requisiti di accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione alla quale le ordinanze dovrebbero far fronte, in quanto la situazione denunciata perdura da diversi anni e si inserisce, senza picchi di urgente impellenza di intervento, in una consolidata e duratura stratificazione relazionale. Le ordinanze in questione sono state emanate per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, al fine di regolare un assetto stabilizzato d’interessi. La particolarità della situazione dedotta nelle ordinanze sarebbe stata quindi rimediabile attraverso gli strumenti ordinari. In ogni caso, non si può escludere che in presenza di una eventuale situazione irregolare di collocazione degli animali, l’amministrazione possa intervenire. In particolare, il sindaco sarebbe potuto intervenire utilizzando i poteri ordinari e tipici d’ufficiale sanitario concessigli dall’ordinamento ovvero attraverso l’esercizio di poteri gestionali connessi a profili di tutela della salute e del territorio demandati ai competenti uffici amministrativi. TAR SICILIA PALERMO SEZ. III sentenza 16 novembre 2015, n. 2923 1. Enti locali – sindaco – ordinanza contingibile e urgente sulla “movida” locale – reiterato esercizio del potere di ordinanza – illegittimità – fattispecie 2. Enti locali – sindaco – ordinanza contingibile e urgente – disposizioni di carattere generale che trovano la loro sede naturale all’interno di un regolamento comunale – legittimità – condizioni 1. È illegittima l’ordinanza con la quale il sindaco è intervenuto a regolamentare in via interinale - in attesa della approvazione da parte del consiglio comunale del “Regolamento sullo sviluppo sostenibile al fine della convivenza tra le funzioni residenziali e le attività di esercizio pubblico e svago” – l’attività di intrattenimento musicale nelle aree esterne di rispettiva pertinenza dei singoli esercizi e di vendita di bevande, e ciò per finalità di tutela della quiete e sicu- RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA rezza urbana, della salute e incolumità pubblica, prevenendo gli abusi cui la suddetta attività commerciale può causare con gravi ripercussioni sulla vita dei cittadini; ordinanza, la cui efficacia veniva poi ulteriormente prorogata, una volta preso atto della ulteriore mancata approvazione del detto regolamento da parte del consiglio comunale. Risulta palese, nel caso di specie, il reiterato esercizio, da parte del sindaco, del potere contingibile ed urgente che la legge, viceversa, impone sia esercitato in via d’urgenza e con effetti concretamente temporanei. Sull’istituto del potere in argomento, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che è certamente nel potere del sindaco emanare ordinanze extra ordinem allorché si verifichino situazioni eccezionali, impreviste ed imprevedibili come tali autonomamente idonee a ledere o mettere in pericolo l’incolumità dei cittadini e la sicurezza pubblica (ivi compreso l’inquinamento acustico, o atmosferico, o ambientale), ma deve intendersi fermo il doverepotere del comune di tutelare e garantire la sicurezza urbana individuando, al fine, le misure più idonee ed adeguate; potere che si manifesta, in via «ordinaria”, attraverso l’esercizio della potestà regolamentare che spetta interamente ed esclusivamente all’organo consiliare (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 5287 del 27.10.2014). È pur vero che, in linea di principio, il presupposto per l’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente, ai sensi dell’art. 50 t.u. 18.8.2000, n. 267, è la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica, l’ordine pubblico e l’igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4968 del 19.9.2012; id. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 3007 del 31.5.2013); ma, come opportunamente precisato dal C.G.A., con sent. n. 508 del 29.5.2013, la considerazione della necessità di tutelare il bene della salute e della pubblica incolumità, può e deve orientare le scelte discrezionali della pubblica amministrazione nel rispetto degli altri canoni fondamentali che governano l’azione amministrativa, tra i quali il principio di legalità e quello di proporzionalità, dovendo detta tutela essere assicurata all’interno dei normali procedimenti normativi e amministrativi e attraverso l’adozione di provvedimenti, tipici e nominati. Il che sta a significare che la pur legittima regolazio- ne extra ordinem di certe situazioni non può, dopo un certo limite temporale o una abusata reiterazione, sostituirsi, di fatto, alla regolazione «ordinaria” degli interessi di volta in volta considerati. 2. Legittimamente un’ordinanza sindacale interviene con disposizioni di carattere generale − che peraltro dovrebbero trovare la loro sede naturale all’interno di un regolamento comunale − purché la disciplina dell’ordinanza svolga un ruolo “suppletivo provvisorio”; con la conseguenza che, se gli organi competenti (nello specifico, il consiglio comunale) non intervengono entro un termine ragionevole, la disciplina dell’ordinanza diventa cedevole nel tempo, in quanto l’accertamento di una situazione di disagio collettivo (in quella fattispecie ex d.m. 5.8.2008 in tema di incolumità pubblica e sicurezza urbana) ha una stabilità inversamente proporzionale alla rapidità di intervento riconosciuta al sindaco (TAR Brescia con sent. n. 284 del 22.3.2013). TAR LAZIO ROMA SEZ. II BIS sentenza 10 novembre 2015, n. 12694 Enti locali – sindaco – ordinanza contingibile e urgente – ex art. 54, comma 2, d.lgs. 267/2000 – per la tutela della salute dei cittadini contro le emissioni elettromagnetiche – illegittimità – fattispecie È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente adottata ai sensi dell’art. 54, comma 2, t.u.e.l., con la quale il sindaco ordina al gestore della rete elettrica di interrompere le emissioni elettromagnetiche propaganti dall’elettrodotto negli insediamenti residenziali e in un parco pubblico, ove necessario attraverso la rimozione dei tralicci ed il ripristino del precedente tracciato, sul presupposto che una parte del parco giochi per fanciulli ricadrebbe nella fascia di rispetto dell’elettrodotto, con asserito danno almeno probabile per la salute. Emerge con evidenza, nel caso di specie, che è del tutto assente il presupposto a base dell’assunzione del provvedimento d’urgenza impugnato, ovvero la situazione di pericolo sanitario a carico dei cittadini; infatti a conforto di tale affermazione si rileva che: lo sconfinamento dal valore di qualità non è mai stato riscontrato; in ogni caso l’obiettivo di qualità di 3 microtesla ha solo una funzione di minimizzazione dell’esposizione, operando dunque su un piano di rilevanza ambienta- le e /o paesaggistico e non sanitario (in tal senso cfr. Cons. Stato n. 6057 del 2014, cui si rinvia per il dettaglio in riferimento, tra l’altro, alla dubbia esistenza di un serio e attuale pericolo per la salute collettiva addirittura nel caso del superamento dei valori soglia di attenzione). L’adozione dei provvedimenti di natura contingibile e urgente è legata ai presupposti dell’urgenza, ovvero dell’indifferibilità dell’atto, della contingibilità, ossia della straordinarietà ed imprevedibilità dell’evento, e della temporaneità: tutti questi presupposti non risultano rispettati nel caso che occupa (v., ancora, cit. decisione Cons. Stato, n. 6057 del 2014). Peraltro, non può trascurarsi che la giurisprudenza ha precisato che quando viene adottata un’ordinanza «contingibile ed urgente», per fronteggiare emergenze verificatesi in ambito locale di natura sanitaria, igienica o ambientale, è richiesto sotto il profilo della legittimità formale, una motivazione illustrativa della concreta sussistenza dei presupposti previsti dalla legge (Cass., 30.7.2014, n. 33779). TAR LIGURIA SEZ. II sentenza 5 novembre 2015, n. 875 Enti locali – sindaco – ordinanze contingibili e urgenti – società affidataria della realizzazione e della gestione dell’impianto di depurazione – gestione provvisoria dell’impianto alle condizioni originariamente previste nel contratto di appalto – mancata stipula del contratto di gestione – ordinanza con cui si ordina di proseguire la gestione dell’impianto di depurazione – illegittimità È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente con cui è stato ordinato alla società di costruzioni affidataria del contratto di appalto per la realizzazione dell’impianto di depurazione della città, nonché della gestione quinquennale dell’impianto una volta realizzato, di proseguire la gestione dell’impianto, nonostante la mancata stipula del contratto di gestione, che l’amministrazione comunale pretendeva venisse stipulato alle condizioni previste dal contratto d’appalto mentre la ricorrente riteneva che, a ragione del lungo lasso di tempo trascorso e della sostanziale modifica del sistema di depurazione, fosse necessaria una riparametrazione dei prezzi, e nonostante il contenzioso che ne era conseguito, finalizzato a costringere il comune a prendere in consegna l’impianto così li- 3 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA berando la società affidataria del contratto di appalto dagli oneri di gestione dell’impianto. Difetta nella specie la contingibilità ed urgenza che costituiscono i presupposti per l’esercizio del potere extra ordinem previsto dall’art. 54 d.lgs. 267/2000. L›adozione di un›ordinanza sindacale contingibile e urgente, infatti, presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un›istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l›emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell›accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l›urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile (Cons. Stato, sez. III, 29.5.2015, n. 2697). Nella specie difettano i requisiti di accidentalità imprescindibilità ed eccezionalità della situazione alla quale l’ordinanza dovrebbe fare fronte in quanto la situazione potenzialmente pericolosa, l’arrestarsi dell’impianto di depurazione, costituisce in realtà la conseguenza prevista e per certi versi inevitabile e nient’affatto eccezionale dello sviluppo della vicenda contrattuale prima e giudiziaria di poi. Addirittura la stessa potrebbe essere imputabile all’amministrazione nella misura in cui ha omesso di coltivare la soluzione dell’accertamento tecnico con funzione conciliativa che era stata pure oggetto di accordi con la ricorrente. L’ordinanza impugnata in principalità è stata assunta con lo scopo di costringere la ricorrente a continuare la gestione dell’impianto alle originarie condizioni di cui al contratto di appalto. Tutte le pur meritevoli considerazioni svolte dall’amministrazione non danno conto della ragione per la quale ad oltre una anno e mezzo dalla scadenza della gestione transitoria annuale dell’impianto l’amministrazione non sia stata in grado di assumerne la gestione. TAR TOSCANA SEZ. III sentenza 27 ottobre 2015, n. 1457 Enti locali – sindaco – ordinanza contingibile e urgente – ex art. 54, 4 comma 4, d.lgs. 267/2000 – area dichiarata inagibile – ordine di ripristino delle condizioni di sicurezza – destinatario – curatela fallimentare – illegittimità – ragioni È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente emessa dal sindaco, ai sensi dell’art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, con la quale viene ingiunto alla curatela fallimentare di ripristinare le condizioni di sicurezza nell’area, dichiarata inagibile, facente parte del complesso edilizio posto all›interno di un parco, ponendo in essere le opere a ciò necessarie, pena denuncia all’autorità giudiziaria. Al riguardo, va rilevato che il curatore fallimentare non è correttamente individuato come soggetto passivo dei sopra indicati obblighi di facere, dal momento che a tale organo della procedura fallimentare sono solo attribuiti poteri di disporre dei beni fallimentari in vista delle finalità proprie della procedura concorsuale, senza che ciò comporti l’attribuzione allo stesso del dovere di adottare comportamenti attivi come richiesti dall’ordinanza impugnata, poiché il curatore fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito, salvo quanto può essere più specificamente connesso all’eventuale esercizio provvisorio dell’impresa (sul tema cfr. le sentenze del TAR Toscana, sez. II, in materia di ordinanze di bonifica rivolte al curatore fallimentare: da ultimo sentenze n. 118/2014 e 786/2015). TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. III sentenza 2 settembre 2015, n. 1920 Enti locali – inquinamento acustico prodotto da una stazione ferroviaria – ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco per l’abbattimento del rumore – illegittimità È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente con la quale il Sindaco ha ordinato alla società di gestione della rete ferroviaria il divieto assoluto di svolgere le attività di preparazione di attivazione dei treni e di annuncio con l’ausilio di altoparlanti nella fascia oraria notturna dalle ore 22.00 alle ore 06.00 fino alla predisposizione di un piano di contenimento e abbattimento del rumore ai sensi del disposto dell’art. 10, comma 5, della legge 447/1995 per la risoluzione delle emissioni oltre i limiti, e di mantenere in termini ristrettissimi i tempi di preaccensione delle motrici al fine di ridurre al minimo l’impatto esistente delle sorgenti sonore nelle more dei provvedimenti definitivi. La materia delle emissioni acustiche prodotte nello svolgimento di servizi pubblici essenziali, ed in particolare di quello ferroviario, è disciplinata da una legislazione speciale che la sottrae dal regime ordinario, concernendo particolari interessi di rilievo nazionale che necessitano di una disciplina settoriale ed unitaria. In virtù di tale particolare rilevanza della materia, spetta allo Stato e non agli enti locali sia la competenza in ordine all’emanazione delle direttive (piani pluriennali di abbattimento delle emissioni sonore prodotte dalle infr astr u t ture d ei ser v izi p u b b lic i essenziali, quindi anche quelle ferroviarie) sia il controllo sul rispetto dell’attuazione delle stesse, per tutelare la continuità e l’efficienza delle infrastrutture dei servizi pubblici essenziali. In tema di inquinamento acustico, l’art. 9 della legge 26.10.1995, n. 447 prevede espressamente la possibilità di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in caso ricorrano “eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente”, ma riserva il potere di ordinanza alle autorità rispettivamente indicate, secondo le competenze di ciascuno, individuando, tuttavia, il Presidente del Consiglio dei Ministri “nel caso di servizi pubblici essenziali”, all’evidente scopo di uniformare l’azione amministrativa applicata alle enucleate peculiari fattispecie ove incidenti su servizi pubblici essenziali (cfr. in tal senso TAR Torino, sez. I, 10.1.2014, n. 50; TAR Milano, sez. III, 27.3.2014, n. 818; TAR L’Aquila, sez. I, 10.1.2013, n. 8; TAR Perugia 22.12.2011, n. 411 e 11.11.2008, n. 722; TAR Firenze, sez. II, 15.3.2002, n. 494; Cons. Stato, sez. V, 9.2.2001, n. 508; TAR Trieste 25.8.1998, n. 1008). È stato evidenziato che in base alla normativa sopra ricordata il legislatore ha voluto devolvere allo Stato la disciplina delle emissioni ed immissioni sonore prodotte nello svolgimento di servizi pubblici essenziali e in particolare quello ferroviario, nel quale rientra l’attività di uno scalo ferroviario, con la conseguenza che le emissioni ed immissioni sonore prodotte da quest’ultima attività non possono essere disciplinate dagli enti locali. RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA TAR PUGLIA BARI SEZ. III sentenza 29 luglio 2015, n. 1139 Enti locali – sindaco – ordinanza a tutela della libera e gratuita fruizione di area demaniale – illegittimità – fattispecie È illegittima l’ordinanza con la quale il sindaco ha ordinato di lasciare aperto il varco pedonale presente sul cancello di ingresso ad un condominio, all’interno del quale sussistono aree acquisite al patrimonio del comune, nonché la rimozione dei lucchetti apposti ai tre cancelli siti all›interno del condominio che impediscono la libera e gratuita fruizione dell’area demaniale, considerato che difettano, nel corpo della motivazione, riferimenti specifici e immediati a pericoli per la sicurezza o la salute pubblica. Tali requisiti non solo non sono indicati nella parte motiva, ma, per quanto è dato verificare in base all’oggetto dell’ordinanza ed ai beni giuridici che essa intende tutelare, neppure sussistono o sono desumibili in modo implicito. In altre parole, l’ordinanza, mirando a garantire l’accesso a beni demaniali da parte della collettività, non può essere considerata funzionale a garantire esigenze preminenti di sicurezza o di salute pubblica. Se ne deve concludere, pertanto, che essa è stata adottata in violazione della normativa di settore che presiede all’esercizio del potere di ordinanza contingibile ed urgente. Tanto non vale a significare che l’ente territoriale abbia inteso tutelare beni giuridici che non meritano di essere garantiti, ma che lo strumento normativo scelto per raggiungere tale finalità, non sia quello adeguato e rispettoso del principio di legalità. In altri termini, deve farsi ricorso all’utilizzo degli ordinari provvedimenti tipici a tutela del demanio pubblico. TAR VENETO SEZ. III sentenza 15 luglio 2015, n. 801 Enti locali – divieto di dimora presso qualsiasi struttura di accoglienza per persone prive di regolare documento di identità e di regolare certificato medico, nonché obbligo, da parte dei soggetti privi di regolare permesso di soggiorno ovvero di tessera sanitaria ed individuati nel corso di accertamenti da parte della polizia locale, di sottoporsi entro tre giorni a visite mediche presso le competenti Ulss – ordinanza del sindaco – illegittimità È illegittima l’ordinanza del sindaco che prescrive il divieto di dimora, anche occasionale, presso qualsiasi struttura di accoglienza, per persone prive di regolare documento di identità e di regolare certificato medico, nonché l’obbligo, da parte dei soggetti privi di regolare permesso di soggiorno ovvero di tessera sanitaria ed individuati nel corso di accertamenti da parte della Polizia Locale, di sottoporsi entro tre giorni a visite mediche presso le competenti Ulss al fine di verificare le condizioni sanitarie soprattutto in relazione all’eventuale presenza di malattie infettive, quali, per esempio tubercolosi, Ebola, scabbia, epatite. Premesso che il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, e in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale (Cons. Stato, sez. V, 25.5.2012, n. 3077), la costante giurisprudenza afferma che la contingibilità deve essere intesa come “impossibilità di fronteggiare l’emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell’accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi» e l’urgenza come «l’assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile” (Cons. Stato, sez. IV, 21.11.1994, n. 926). Nel merito va allora riaffermato il principio secondo il quale il potere sindacale di cui agli articoli 50 e 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000 trova il suo fondamento nell’esistenza di una emergenza sanitaria, la quale deve essere puntualmente dimostrata, anche in ordine alla limitazione territoriale tale da diversificare la posizione del cittadino residente nel comune, le cui peculiarità siano tali da giustificare l’adozione di misure straordinarie. E ciò in particolare quando difettino accurati ed efficaci controlli sanitari da parte delle altre autorità preposte, non risultando tuttavia sufficiente una sorta di funzione sussidiaria a legittimare l’adozione di provvedimenti del tipo di quello adottato. E sotto tale profilo il provvedimento impugnato è incapace di dimostrare questa posizione differenziata del comune in ordine al tasso di rischio cui si espone la popolazione locale, non essendo idonei i pochi casi rilevati di scabbia o di epatite C a giustificare quella particolare gravità sola legittimante l’ordinanza contingibile e urgente, mentre quanto al virus Ebola, dal nome dell’affluente del Congo ove negli anni 70 fu individuato, anche nella variante Marburg, dal nome della località tedesca nella quale erano state introdotte scimmie provenienti dalle zone africane fonte del contagio, il protocollo per la gestione della malattia redatto dall’unità locale socio sanitaria escludeva la sussistenza di un’emergenza sanitaria. Dunque dall’inesistenza di una emergenza sanitaria di carattere locale che giustifichi l’esercizio, pur sempre ammissibile nella sussistenza dei giusti presupposti, del potere di ordinanza, deriva l’accoglimento del primo motivo di ricorso, non spettando al sindaco l’adozione di misure a carattere esclusivamente locale, del secondo motivo, non esistendo alcuna situazione emergenziale, del terzo collegato motivo, non essendo stata effettuata una istruttoria adeguata al fine di evidenziare tale condizione, del quarto motivo, non essendo la misura che richiede una semplice certificazione medica idonea a contrastare l’eventuale emergere di una epidemia laddove le analisi non siano quelle specifiche atte all’individuazione della patologia, del quinto motivo, posto che effettivamente il provvedimento impugnato è rivolto nei confronti di categorie di soggetti che non sono nelle condizioni di poter adempiere tempestivamente agli ordini imposti, essendo privi di documenti di riconoscimento non per causa loro ma per la particolare condizione rivestita. CONSIGLIO DI STATO SEZ. III sentenza 14 maggio 2015, n. 2462 Enti locali – sindaco – ordinanza contingibile e urgente per la rimozione di un ordigno bellico inesploso – attribuzione delle spese di rimozione ai proprietari del fondo – illegittimità È illegittima l’ordinanza con la quale il comune ha ordinato ai proprietari del fondo ove era stato rinvenuto un ordigno bellico inesploso di provvedere alle operazioni di rimozione immediata dell’ordigno, nella parte in cui pone a carico dei medesimi 5 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA proprietari i relativi oneri economici. Mai la giurisprudenza ha inteso affermare che, sempre e comunque, gravi sul proprietario l’onere anche economico di rimuovere la situazione di pericolo creatasi sul suo bene, anche quando egli non sia stato causa del pericolo. Ora tale principio generale, inteso nella sua esatta portata e affermato da questo Consiglio in relazione all’omesso smaltimento dei rifiuti, vale a fortiori per la rimozione di un ordigno bellico inesploso, soprattutto dopo l’intervenuta abrogazione dell’art. 7, comma 3, del d.lgs. lgt. 320/1946, ora abrogato, il quale prevedeva, in relazione alla bonifica dei campi minati, che per i lavori eseguiti e debitamente collaudati fosse corrisposto dallo Stato un concorso pari alla metà della spesa. In assenza ormai di una disciplina speciale come quella dell’abrogato art. 7, comma 3, del d.lgs. lgt. 320/1946, il fortuito ritrovamento, in un fondo, di un ordigno, risalente al secondo conflitto mondiale, costituisce per il proprietario un evento avente le caratteristiche di inevitabilità e di imprevedibilità tali da escluderne, salva la prova contraria da parte dell’Amministrazione, la responsabilità quale custode e, quindi, l’obbligo conseguente di pagare le spese della sua rimozione, spese che non è legittimo porre a suo carico, ai sensi dell’art. 54, comma 7, del d.lgs. 267/2000, nemmeno quando tale evento costituisca un pericolo per la pubblica incolumità, pericolo da lui non creato né previsto né, si aggiunga, da lui evitabile o rimuovibile, competendo al Ministero della difesa, attraverso personale specializzato delle Forze Armate, con le risorse finanziarie, umane e strumentali previste dalla legislazione vigente, provvedere a rimuoverlo, ai sensi di quanto ora prevede l’art. 22, comma 1, lett. c-bis), del d.lgs. 66/2010. TAR PUGLIA LECCE SEZ. II sentenza 29 aprile 2015, n. 1406 Enti locali – ordinanze contingibili e urgenti – ordinanza per l’immediato ripristino del servizio di fornitura di energia elettrica presso le palazzine Iacp – illegittimità – fattispecie È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente con la quale il vice-Sindaco del Comune ordinava alla società erogatrice del servizio di fornitura di energia elettrica 6 l’immediato ripristino del servizio in parola presso le palazzine Iacp, interrotto - dopo vari inutili solleciti - in ragione della inadempienza da parte di tali condomini rispetto al pagamento delle ‘bollette’, considerato che tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili e urgenti vi è la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento (“il carattere della contingibilità esprime difatti l’urgente necessità di provvedere con efficacia e immediatezza in casi di pericolo attuale o imminente e a ciò è correlato necessariamente il carattere della provvisorietà, che implica che le misure previste devono avere efficacia temporalmente limitata. Infatti solo in via temporanea può essere consentito l’uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti e interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge. Il limite temporale di tali provvedimenti deve essere adeguato al rischio da fronteggiare, nel senso che deve essere rapportato al tempo necessario per fronteggiarlo, attraverso gli strumenti ordinari, che devono essere attivati nel più breve tempo possibile, e non in attesa che venga risolto il problema generale da cui il rischio è scaturito, in tempi del tutto incerti; così, TAR Campania, Salerno, sez. II, 20.5.2014, n. 942; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 2.12.2013, n. 2339; TAR Liguria, sez. I, 17.10.2013, n. 1215; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 25.6.2013, n. 709)” (TAR Lecce, sez. II, ord. n. 568 del 31.10.2014; v. anche TAR Puglia, Bari, sez. III, 19.3.2014, n. 359, per il quale “Il ricorso risulta […] fondato con riguardo alla rilevata mancanza di un termine finale all’obbligo imposto […]. Invero, la possibilità di ricorrere allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto e attuale, che impone di provvedere in via d’urgenza con strumenti ‘extra ordinem’ per porre rimedio a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l’incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento (cfr., fra le altre, TAR Piemonte, sez. I, 21.12.2012, n. 1382; TAR Puglia, sez. II, 5.6.2012, n. 1099; Cons. Stato, sez. V, 25.5.2012, n. 3077; TAR Calabria, sez. I, 9.3.2012, n. 245).» TAR PUGLIA LECCE SEZ. II sentenza 29 aprile 2015, n. 1411 Enti locali – ordinanze contingibili e urgenti – acqua fuoriuscente da un pozzo privato – sversamento sulla pubblica via – segnalazioni di episodi di lesioni fisiche subite a causa di cadute al suolo per via delle condizioni del manto stradale a valle del pozzo – ordine al proprietario del fondo sul quale insiste il pozzo di attivarsi immediatamente (entro 5 giorni) per l’eliminazione della situazione di pericolo per la pubblica e privata incolumità – legittimità – ragioni È legittima l’ordinanza contingibile e urgente con la quale il comune – accertata la presenza copiosa di acqua fuoriuscente da un pozzo privato e precisato che tra le segnalazioni pervenute alcune riguardano episodi di lesioni fisiche subite a causa di cadute al suolo per via delle condizioni del manto stradale a valle del pozzo, reso estremamente scivoloso per la presenza copiosa dell’acqua che fuoriesce dal citato pozzo privato mentre altre riguardano il precario stato igienico-sanitario della zona in argomento causato dal ristagno delle stesse acque – ha ordinato al proprietario del fondo sul quale insiste il pozzo che sversa acqua sulla pubblica via di attivarsi immediatamente per l’eliminazione della situazione di pericolo per la pubblica e privata incolumità entro il termine di 5 giorni dalla notifica dell’ordinanza. Indipendentemente dal fatto che si fossero già verificati episodi di sversamento di acque dal pozzo di proprietà del ricorrente, non c’è dubbio che le segnalazioni di cittadini, pervenute al comune, hanno fatto luce su una situazione di allarme per l’incolumità pubblica e anche per l’igiene della zona, manifestatesi con caratteristiche di non governabilità con rimedi di tipo ordinario. Il fenomeno in questione è stato quindi legittimamente gestito con un provvedimento avente le caratteristiche dell’ordinanza contingibile e urgente, atteso che il suo riproporsi a distanza di circa quattro anni dalla precedente criticità ambientale, costituisce la riprova della sua singolarità e della sua non prevedibilità. Quanto al fatto che il provvedimento violi il principio di proporzionalità a causa dell’esiguità del termine concesso al ricorrente per provvedere 5 giorni dalla data di ricevimento della ordinanza sindacale si osser- RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA va che, in realtà, l’oggetto dell’ordinanza va, più propriamente, individuato nell’“attivarsi immediatamente per l’eliminazione della situazione di pericolo per la pubblica e privata incolumità”. Questo però non significa che si debba dare corso alla realizzazione, in 5 giorni, di opere provvisionali o di altra natura atte a scongiurare il ripetersi dei fenomeni di allagamento; semplicemente, appare ragionevole che il Corrente formuli una proposta operativa che, però, richiede inevitabilmente la cooperazione tra privato e amministrazione. TAR TOSCANA SEZ. I sentenza 13 aprile 2015, n. 576 Enti locali – sindaco – ordinanze contingibili e urgenti – ex art. 54 t.u.e.l. e art. 2 d.m. 5.8.2008 – divieto di sosta permanente delle vetture autocaravan sulle vie e piazze cittadine al di fuori degli spazi appositamente autorizzati – illegittimità – fattispecie È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente che – in base all’art. 54 del d.lgs. 267/2000 e all’art. 2 del d.m. 5.8.2008 – preclude sia l’occupazione continuativa delle aree di circolazione da parte di autocaravan, veicoli furgonati, roulottes e autoveicoli utilizzati come luogo di dimora, bivacco o accampamento, sia la permanenza a bordo degli autocaravan, dei veicoli furgonati e delle roulottes lasciati in sosta lungo le aree stesse, sulla base del presupposto che numerose aree pubbliche destinate alla sosta dei veicoli sono occupate da mezzi di trasporto utilizzati come luogo di dimora o di accampamento e richiama rapporti della polizia locale e segnalazioni attestanti l’abbandono di rifiuti in dette aree e la turbativa che ne deriverebbe alla sicurezza pubblica ed all’ordinato vivere civile. Orbene, le norme poste a fondamento dell’ordinanza impugnata richiedono la sussistenza di una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica, debitamente motivata a seguito di approfondita istruttoria, essendo necessaria la documentata necessità e urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici perseguiti (TAR Piemonte, sez. I, 9.1.2015, n. 46) e dovendo comunque rilevare accadimenti non fronteggiabili con gli altri strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento. Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili e urgenti vi è, inoltre, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento: il carattere della contingibilità esprime l’urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente ed a ciò è correlata la natura necessariamente provvisoria, temporalmente limitata, di siffatti provvedimenti (Cons. Stato, sez. III, 5.10.2011, n. 5471; TAR Toscana, sez. I, 20.1.2009, n. 53). In tale contesto il potere di ordinanza presuppone che la sussistenza di situazioni non tipizzate dalla legge sia suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, giustificante l’eccezionalità del potere c. d. extra ordinem esercitato (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 25.6.2013, n. 709): solo in ragione di un’adeguata istruttoria e di un’esauriente motivazione si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale (Cons. Stato, sez. V, 25.5.2012, n. 3077). Al contrario, l’ordinanza adottata dal comune ha efficacia indeterminata nel tempo, alla stregua di un provvedimento disciplinante la sosta o la circolazione ai sensi del codice della strada, e non dà contezza degli atti istruttori che documenterebbero la situazione cui si è ritenuto di porre rimedio. Invero, l’atto impugnato fa un generico richiamo a rapporti della polizia locale ed a segnalazioni, senza indicarne gli estremi e le circostanze di tempo e luogo alle quali essi si riferirebbero: in tal modo non risulta fornita l’imprescindibile dimostrazione della sussistenza degli eccezionali presupposti di gravità ed urgenza propri dell’ordinanza contingibile e urgente (TAR Toscana, sez. I, 20.1.2009, n. 53). Le stesse considerazioni valgono per la finalità, evidenziata nel provvedimento impugnato, della salvaguardia dell’igiene pubblica, mancando il supporto di un determinato accertamento di problematiche di emergenza sanitaria, in assenza del quale la sola sussistenza di una situazione di precarietà igienica (oggetto peraltro di affermazione apodittica del Comune) deve essere risolta con i mezzi ordinari (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 6.4.2010, n. 981). Inoltre, relativamente a quest’ultimo aspetto la normativa di riferimento è data dall’art. 50, comma 5, del d.lgs. 267/2000, e non dall’art. 54 richiamato dall’amministrazione. Sotto altro profilo, la contestata ordinanza assume a parametro normativo di raffron- to l’art. 2 del d.m. 5.8.2008, che definisce l’area di intervento a tutela della sicurezza urbana. Ebbene, occorre considerare che il suddetto decreto ministeriale ha ad oggetto esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati ed esclude dal proprio ambito di applicazione la polizia amministrativa locale, con la conseguenza che i poteri esercitabili dal Sindaco, ai sensi dei commi 1 e 4 dell’art. 54 del d.lgs. 267/2000, non possono che essere quelli finalizzati alla prevenzione e repressione dei reati (si veda l’articolata pronuncia della Corte costituzionale n. 196 del 1.7.2009). TAR PUGLIA LECCE SEZ. II sentenza 5 febbraio 2015, n. 486 Enti locali – sindaco – ordinanza contingibile e urgente – per la prosecuzione della gestione del servizio di igiene urbana – nelle more dell’avvio del servizio da parte del nuovo soggetto gestore – legittimità È legittima l’ordinanza contingibile e urgente con la quale il Sindaco ha ordinato alla società affidataria del servizio di igiene urbana la prosecuzione della gestione, per la durata di 53 giorni, agli stessi patti e condizioni previsti negli atti negoziali vigenti, nelle more dell›avvio del servizio da parte del nuovo soggetto gestore; deve infatti ritenersi non illegittimo il ricorso all›istituto della ordinanza contingibile ed urgente per lo svolgimento del servizio in essere, in quanto la situazione di pericolo per la salute pubblica e l›ambiente connessa alla gestione dei rifiuti, non fronteggiabile adeguatamente con le ordinarie misure, legittimava comunque il sindaco all›esercizio dei poteri extra ordinem riconosciutigli dall›ordinamento giuridico (art. 50 del d.lgs. 18.8.2000, n. 267). Del resto, le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti prescindono dall’imputabilità all’amministrazione o a terzi ovvero a fatti naturali delle cause che hanno generato la situazione di pericolo: pertanto, di fronte all’urgenza di provvedere, non rileva affatto chi o cosa abbia determinato la situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere (Cons. Stato, sez. V, 9.11.1998 n. 1585; TAR Campania, Napoli, sez. I, 27.3.2000, n. 813). La richiesta di corresponsione di un maggior corrispet- 7 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA tivo non può essere accolta, non essendo accompagnata dall’indicazione di elementi di prova che possano giustificare un incremento significativo del corrispettivo richiesto. Se è vero che in materia di provvedimenti contingibili e urgenti deve essere arrecato al privato destinatario dell’ordinanza il minor sacrificio possibile con il correlativo obbligo di non imporre, attraverso il ricorso ai poteri extra ordinem, corrispettivi ancorati a valori risalenti nel tempo e non preceduti dalla previa verifica della loro idoneità a remunerare con carattere di effettività il servizio reso, pur tuttavia il soggetto che ritiene la non remuneratività del servizio deve fornire un principio di prova in ordine agli elementi costitutivi del maggior prezzo richiesto anche con concreti riferimenti ai valori del mercato in relazione alla effettive prestazioni eseguite. TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. IV sentenza 9 gennaio 2015, n. 29 1. Enti locali – sindaco – ordinanze contingibili e urgenti – ex art. 54 d.lgs. 267/2000 – presupposti – individuazione 2. Enti locali – sindaco – ordinanza contingibile e urgente – riduzione di 2 ore dell’orario di apertura serale di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande – per rimuovere situazioni di pregiudizio per la quiete pubblica – illegittimità – ragioni 1. Le ordinanze d’urgenza, di cui all’art. 54 t.u.e.l., sono adottabili solo quando si tratti di affrontare situazioni, di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico, requisiti che, pertanto, non ricorrono quando il comune può adottare rimedi di carattere ordinario. Il potere esercitabile dal Sindaco ai sensi dell’art. 54 d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone “una situazione di pericolo effettivo, da esternare con congrua motivazione, che non possa essere affrontata con nessun altro tipo di provvedimento, e tale da risolversi in una situazione comunque temporanea”, con la precisazione che 8 l’esistenza di una fattispecie eccezionale ed imprevista, costituente concreta minaccia per la pubblica incolumità, deve emergere da un preventivo accertamento, “che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24. 3.2006, n. 1537; Cons. Stato, sez. VI, 5.9.2005, n. 4525; Cons. Stato, sez. V, 11.12. 2007, n. 6366). I presupposti di questa categoria di atti “sono da rinvenire, da un lato, nella necessità, intesa come situazione di fatto, che rende indispensabile derogare agli ordinari mezzi offerti dalla legislazione, tenuto conto delle presumibili serie probabilità di pericolo nei confronti dello specifico interesse pubblico da salvaguardare e, dall’altro, nell’urgenza, consistente nella materiale impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di danno a breve distanza di tempo (ex plurimis, TAR Lazio, Roma, sez. II, 14.2.2007, n. 1352). In sintesi, “secondo consolidata giurisprudenza, l’esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti è condizionato all›esistenza dei seguenti presupposti: 1) necessità di intervenire nella materia interessata dal provvedimento; 2) attualità o imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; 3) preventivo accertamento da parte di organi competenti della situazione di pericolo e di danno; 4) mancanza di strumenti alternativi previsti dall›ordinamento, stante il carattere «extra ordinem» del potere esercitato 5) durata temporalmente limitata dei provvedimenti medesimi (cfr. tra le tante TAR Lazio, Roma, sez. III, 15.9.2006, n. 8614). 2. È illegittima l’ordinanza, espressamente adottata ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. 2000 n. 267, con la quale il Sindaco disponeva la riduzione di 2 ore dell’orario di apertura serale di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, anticipando alle ore 24.00 la chiusura del locale, sulla base di alcuni rapporti della polizia locale redatti in esito a sopralluoghi effettuati nel corso di dieci mesi, in conseguenza di reclami presentati da alcuni cittadini; rap- porti dai quali emergono violazioni di vario genere nella gestione del locale, in ragione sia dello svolgimento di attività ulteriori rispetto a quelle autorizzate, sia del mancato rispetto di talune prescrizioni imposte con l’autorizzazione rilasciata alla società per la somministrazione di alimenti e bevande. Inoltre, si riferisce che in alcune occasioni gli operanti avrebbero accertato sia schiamazzi e rumori provenienti da uno spazio verde sito nelle vicinanze del locale, sia la presenza in tale zona di persone in stato di alterazione alcolica, sia, infine, la presenza di soggetti dediti all’acquisto e al consumo di sostanze stupefacenti “leggere”. Nel caso di specie, la situazione di fatto posta a fondamento dell’atto impugnato non palesa l’esistenza di una fattispecie di urgenza. In particolare, la riduzione dell’orario di apertura opera rispetto ad una situazione di fatto consolidatasi da tempo, non caratterizzata da un repentino e imprevedibile aggravamento – di cui infatti non si fa menzione nell’atto impugnato – e da molti mesi a conoscenza dell’amministrazione, la quale, pertanto, poteva utilizzare gli ordinari strumenti amministrativi, sicché il provvedimento d’urgenza risulta privo del proprio essenziale presupposto. Sotto altro profilo, va osservato come l’oggettiva inesistenza di una situazione di urgenza di provvedere rende palese, stante l’ampia discrezionalità sottesa all’atto gravato, la violazione dell’art. 7 della legge 241/1990, poiché il provvedimento non è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, come condivisibilmente contestato dalla ricorrente. Sempre rispetto ai presupposti di adozione dell’atto, va rilevato che esso non reca una disciplina temporalmente limitata della fattispecie, destinata cioè a fronteggiare una condizione di urgente necessità, perché non pone alcun limite temporale alla riduzione dell’orario di apertura. In tal modo l’amministrazione ha utilizzato uno strumento d’urgenza per modificare in modo durevole e stabile la disciplina degli orari di apertura di un determinato esercizio, in contrasto con la necessaria provvisorietà dei provvedimenti d’urgenza.