Arriviamo dalla Grande Città. Abbiamo viaggiato

Arriviamo dalla Grande Città. Abbiamo
viaggiato tutta la notte. Nostra Madre
ha gli occhi arrossati. Porta una grossa
scatola di cartone, e noi due una piccola
valigia a testa con i nostri vestiti,
più il grosso dizionario di nostro Padre,
che ci passiamo quando abbiamo
le braccia stanche.
Trilogia della Città di K.,
Agota Kristof
COMUNI D’ITALIA
editoriale
1/2016
Emergenze, contingenze e…
stabilità: quando gli istituti
non fanno seguito al significato
delle parole
Non è un periodo certamente facile questo: forse troppe novità normative affollano la scrivania degli operatori e di chi faticosamente deve far funzionare
una macchina – quella dell’ente locale – assai spesso martoriata da tagli, vincoli e interventi più o meno mirati. E ancora numerosissime se ne annunciano all’orizzonte (i decreti attuativi della legge 124/2015), come abbiamo avuto
modo di sottolineare in precedenti numeri di questa Rivista. Vero è che le risorse, umane e finanziarie, vengono a latitare, così come è vero che a fronte
delle carenze finanziarie, tra le novità che maggiormente interessano i comuni si sono verificate alcune emergenze che sicuramente interessano il territorio e la competenza degli enti locali.
Ovviamente le novità normative dovute alle emergenze si sommano, al contemporaneo persistere di vecchie regole, cercando di farvi fronte.
Tra le prime ci sono senz’altro le emergenze che, purtroppo, accompagnano
quotidianamente le cronache del nostro Paese: quella inerente i rifiuti, quella che riguarda l’inquinamento atmosferico delle grandi città, e, in fondo, e da
ultimo, anche quella inerente i mo­di di esercizio di libertà generalmente riconosciute nel mondo occidentale: ovverosia ai limiti che le libertà dell’individuo
possono sopportare in relazione all’esigenza di tu­tela della sicurezza e dell’ordine pubblico, l’esercizio del culto e della libertà di riunione in genere di persone di varie etnie, nazio­nalità, credo, fino all’esposizione di simboli religio­si nei
luoghi pubblici.
Di regola, si è indotti a ricollegare l’esercizio dei poteri emergenziali ad un potere più o meno ampio di ordinanza del Sindaco, nella duplice veste di Ufficiale di Governo o di Capo dell’amministrazione comunale, e a situazioni caratterizzate da contingibilità ed urgenza. Siffatto collegamento sorge spontaneo
in ragione dei chiari riferimenti normativi: com’è noto, l’art. 54, comma 2, t.u.
ridisciplina la materia già regolata dagli artt. 153 t.u. 4 febbraio 1915, n. 148 e
32 l. 23 dicembre 1978, n. 833, nonché dall’art. 38, comma 2, l. 142/1990. Il
testo si caratterizza per aver recepito, addirittura sul piano letterale, il consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale (Corte Cost.,
2 luglio 1956, n. 8 e 27 maggio 1961, n. 26), in base a cui “le ordinanze di necessità ed urgenza debbono avere efficacia strettamente limitata nel tempo’’.
La pronuncia della Corte costituzionale n. 115/2011 ha avuto il pregio di ribadire questo indirizzo interpretativo, espungendo dal testo della norma- modificata come noto nel 2008 con la riforma e i nuovi poteri conferiti ai c.d. sin-
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daci sceriffi- la parte in cui comprende la locuzione « anche », prima delle parole «contingibili ed urgenti», sul presupposto che la norma censurata, non limitando i poteri di ordinanza dei sindaci ai casi contingibili ed urgenti, violasse la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost.
Un siffatto requisito, che non riguarda soltanto la temporaneità delle ordinanze (sul fatto che queste non possono rivestire carattere di continuità e stabilità v. Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 1991, n. 700), va riferito peraltro anche alla condizione di fatto in cui i provvedimenti operano, di indole accidentale e
straordinaria, tale che non può essere soddisfatta attraverso i comuni poteri,
ovvero la contingibilità. È stato anzi sottolineato come la “contingibilità” non
costituisca un presupposto per il legittimo esercizio del potere, ma una caratteristica del relativo provvedimento, vale a dire l’essere legato a circostanze
contingenti (cfr. Cons. Giust. Amm., 28 agosto 1986, n. 129).
Assai spesso, tuttavia, lo strumento delle ordinanze viene usata, tuttavia, anche
per situazioni non inerenti all’insorgere di situazioni emergenziali e provvisorie.
Le riflessioni che sono contenute negli articoli di Massimiliano Alesio sottolineano che esiste infatti un’isolata fattispecie, in cui le ordinanze sindacali non
trovano il loro fondamento giustificativo nelle or indicate situazioni e che non
viene affatto risolto dalla normativa contenuta nel testo unico, nemmeno nella versione recentemente revisionata ad opera del d.lgs. 10 agosto 2014, n.
126 . Si tratta dell’articolo 192 del d.lgs. n. 152/2006, maggiormente noto come Codice dell’ambiente, il quale, in tema di divieto di abbandono di rifiuti, ai
commi 1 e 2 stabilisce che “L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul
suolo e nel suolo sono vietati. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee”.
In buona sostanza, la disposizione normativa proibisce, in primo luogo, la condotta di abbandono e di deposito “incontrollato” di rifiuti sul suolo e nel suolo. L’aggettivo “incontrollato” viene intenzionalmente evidenziato attraverso
le parentesi, in quanto costituisce il primario elemento di radicamento della
competenza del Sindaco. Ora, nel successivo comma 3, viene stabilito che
“chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello
stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni
a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”. La disposizione normativa conferisce al Sindaco, e non ad altri, il potere e la competenza ad emettere l’ordinanza per il rispetto delle condotte vietate e ciò, pure in assenza di situazioni emergenziali e contingibili. Il
quesito, che si affaccia anche nello specifico contributo di Pierobon in tema di
inquinamento atmosferico (e quindi di situazione sicuramente emergenziale),
richiede la valutazione di alcuni fattori quali la competenza sindacale rispetto
a quella dirigenziale, facendo ricorso a diversi elementi, anche astrattamente condivisibili, quale quello del criterio di specialità (disciplina speciale, quale
quella del Codice dell’ambiente, prevalente su quella generale) e quello cro-
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editoriale
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nologico (la disposizione del Codice dell’ambiente è temporalmente successiva). C’è tuttavia da chiedersi il reale motivo per cui il Legislatore del 2006 ha
attribuito tale potere al Sindaco, dal momento che a tale domanda non viene
data risposta nemmeno nella più recente giurisprudenza, (Consiglio di Stato,
sez. V, 11 gennaio 2016, n. 57).
Il contributo di Alesio intende fornire una risposta in merito, ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività o di definitività, con l’unico reale scopo di sollecitare una riflessione. A tal riguardo, è indispensabile precisare la natura ed
il ruolo delle ordinanze contingibili ed urgenti, quale strumento primario di intervento e di azione del Sindaco nell’ambito locale, a fronte di situazioni emergenziali. Il problema, per la verità, si pone anche a riguardo di altre vicende,
quali l’uso del velo islamico femminile nelle sue diverse forme, di cui si occupa, in un’ottica di spessore maggiormente generale, lo studio di Francesco
Vergine che affronta il delicatissimo tema – senz’altro più ampio – del rapporto con le libertà costituzionalmente garantite, in specifico riferimento alla collocazione sul territorio di luoghi di culto autorizzati quali moschee, e dell’uso
di luoghi di ritrovo di associazioni islamiche.
Ma, ovviamente, in attesa della prevista ondata di decreti attuativi della legge Madia, tra le novità di rilievo per l’attività degli enti locali ci sono quelle
contenute nella legge di stabilità per il 2016, legge 208 del 23 dicembre 2015
pubblicata in G.U. del 30 di­cembre, supplemento ordinario n. 302: essa, ad
esempio, intro­duce non poche modifiche in tema di appalti – come ci sottolinea il notevole studio di Stefano Usai – che incidono in modo significativo sul
c.d. obbligo di centralizzazione dei procedimen­ti di gara per i comuni non capoluogo di provin­cia, sulle stesse modalità di acquisto delle forni­ture e servizi in ambito sotto soglia comunitario ed in relazione agli obblighi di adesione
alle con­venzioni per l’acquisto delle particolari categorie merceologiche individuate nel comma 7, articolo 1, della legge 135/2012.
Notevoli sono anche, per restare a quelle di mag­gior rilievo, le disposizioni in
tema di program­mazione del fabbisogno di beni e servizi con l’in­troduzione di
una nuova previsione che impone – per certe soglie – l’obbligo di redigere un
pro­gramma di acquisti a pena di grave responsabi­lità per i dirigenti/responsabili di servizio che, in ambito, hanno compiti propulsivi/istruttori.
Ricette sempre uguali per il lavoro pubblico e gli enti locali, anche se influenzate dalla “grana” della ri­collocazione dei dipendenti in esubero di province
e città metropolitane, sono invece quelle date dalla legge 28 dicembre 2015,
n. 208, che mantiene – come sottolinea il contributo di Daniele Campalto –
il personale pubblico al di qua del guado, nell’attesa di riforme sempre an­
nunciate e mai in atto. In realtà, la legge di sta­bilità 2016, con i suoi 999 commi dell’articolo uni­co, esito ormai consueto del maxiemendamento governativo, lungi dal modificare in modo significativo l’impianto complessivo, ormai
mol­to, troppo, complicato, dell’ordinamento del lavoro pubblico, rispolvera,
come ricorda Luigi Oliveri nel suo accuratissimo contributo – addirittura istituti che sembra­vano abbandonati, come l’obbligo di ridurre i fondi decentrati del personale, imposto dal “famigera­to” articolo 9, comma 2-bis, del d.l.
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78/2010, con­vertito in legge 122/2010, ripristinato in spolvero dall’articolo 1,
comma 236, della legge 208/2015.
Conclude il numero, oltre a uno studio – ad opera di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella – sulla Strategia Nazionale per le Aree Interne, destinata ai comuni italiani ca­ratterizzati da difficoltà di accesso ai servizi fondamentali, quali l’istruzione, la mobilità e le cure ospedaliere, contemplata dal nuovo ciclo di
programmazione comunitaria 2014-2020, un prezioso e innovativo contributo operativo predisposto da Marzia Alban sulle tematiche inerenti il rafforzamento dell’acquisizione centralizzata di beni e servizi, contemplato dai commi
da 494 a 512 della legge di stabilità: a corredo cioè dell’approfondimento teorico pratico di Stefano Usai, la rubrica accompagna il lettore con un formulario
operativo che propone tre schemi per l’affidamento a seconda si proceda autonomamente, nel Mepa o tramite convenzione Consip.
A ulteriore ausilio, vi è infine la consueta indispensabile raccolta di giurisprudenza sul tema delle ordinanze contingibili e urgenti ad opera di Francesca Palazzi.
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COMUNI D’ITALIA
sommario
1/2016
Rivista bimestrale di approfondimento giuridico sugli enti locali
DIRETTORE SCIENTIFICO
Tiziano Tessaro
Editoriale
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di Tiziano Tessaro
DIRETTORE RESPONSABILE
Manlio Maggioli
COMITATO SCIENTIFICO
Massimiliano Alesio, Giovanni Balsamo, Daniele
Campalto, Roberto Camporesi, Riccardo Carpino,
Caterina Cittadino, Eva Contino, Carla Franchini,
Vittorio Galatro, Luigi Lovecchio, Maurizio Lucca,
Leopoldo Mazzarolli, Fabio Melilli, Paola Menta,
Paola Minetti, Alberto Mingarelli, Paola Morigi,
Maria Giuliana Murianni, Riccardo Nobile, Luigi
Oliveri, Francesca Palazzi, Alessandro Petrillo,
Alberto Pierobon, Cinzia Renna, Carlo Saffioti, Agostino Tabarrini, Tiziano Tessaro, Walter
Tortorella, Francesco Tramontana, Fabio Trojani,
Luciano Vandelli, Francesco Verbaro
Focus Legge di Stabilità
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REGISTRAZIONE
Presso il Tribunale di Rimini il 15 marzo 1967 al n. 25
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è possibile consultare in anteprima i fascicoli in
corso di stampa.
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Le innovazioni in tema di acquisti
nella legge di stabilità
di Stefano Usai
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COORDINAMENTO REDAZIONALE
Maria Letizia Fabbri
PROGETTO GRAFICO
Alice Allegra
Emergenze, contingenze e… stabilità: quando gli
istituti non fanno seguito al significato delle parole
Legge di stabilità 2016 e personale PA: ancora
al di qua del guado
di Daniele Campalto
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Ricette sempre uguali per il lavoro pubblico
e gli enti locali
di Luigi Oliveri
Speciale: potere di ordinanza
del sindaco
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Il potere di ordinanza del Sindaco oltre
i provvedimenti contingibili ed urgenti
di Massimiliano Alesio
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
MARZIA ALBAN
Funzionario del Comune
di Selvazzano Dentro (PD)
FRANCESCA PALAZZI
Dottore di ricerca in Diritto pubblico
presso l’Università di Bologna
MASSIMILIANO ALESIO
Avvocato e segretario di Enti Locali
ALBERTO PIEROBON
Esperto in rifiuti e servizi pubblici
locali
DANIELE CAMPALTO
Segretario generale di Ente locale
e manager di rete
GIORGIA MARINUZZI
Fondazione Ifel - Istituto per la
Finanza e l’Economia locale
LUIGI OLIVERI
Dirigente - Area Servizi alla persona
e alla comunità, Provincia di Verona
TIZIANO TESSARO
Magistrato presso la Corte dei conti,
sezione Veneto
WALTER TORTORELLA
Fondazione Ifel - Istituto
per la Finanza e l’Economia locale
STEFANO USAI
Vicesegretario del Comune
di Terralba (OR)
COMUNI D’ITALIA
sommario
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Libertà religiosa e tutela della sicurezza pubblica
in Europa ed in Italia
di Francesco Vergine
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Le ordinanze ambientali (smog): cenni
di Alberto Pierobon
Formulario
55
Acquisti autonomi, acquisti nel Mepa, acquisti
tramite convenzione Consip
di Marzia Alban
I numeri dei Comuni
65
I comuni di aree interne: il target territoriale
di una strategia nazionale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
Rassegna tecnica
a cura di Francesca Palazzi
75 dalla Gazzetta Ufficiale
78giurisprudenza
97 circolari & pareri
106quesiti
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Rassegna di giurisprudenza
Ordinanze contingibili e urgenti: una casistica
giurisprudenziale
a cura di Francesca Palazzi
www.periodicimaggioli.it
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Amministrazione e Management
NEWS
NOVITÀ
Contiene lo schema del nuovo Regolamento comunale
sul procedimento amministrativo anche in versione
web compilabile e personalizzabile
di Marzia Alban
La Legge n. 124/2015 la cosidetta riforma Madia, dà una decisa
accelerazione dalle riforme, con l’intenzione in particolare di
operare uno svecchiamento della Pubblica Amministrazione.
Diverse le metodologie usate e le sfaccettature della riforma,
stante l’eterogeneità delle materie trattate. Sono tanti gli spunti
che la Legge n. 124/2015 vuole offrire, alcuni appena accennati,
altri più immediati. Accanto a disposizioni precettive, leggiamo infatti
espressioni e intenzioni (digital first) che attendono una concreta
attuazione nei prossimi mesi.
Si intravede, al fine, un disegno compiuto, da leggersi peraltro
in modo coordinato con le altre riforme in itinere, che mira
alla profonda revisione della macchina organizzativa pubblica.
Tra gli interventi di maggiore impatto, vi è certamente
quello sulla disciplina dell’azione amministrativa.
I primi sette articoli della norma, contengono, infatti, modifiche
particolarmente incisive della legge sul procedimento
amministrativo (Legge 241/90), con l’immediata e operante
rivisitazione dell’autotutela e l’introduzione del nuovo silenzio
assenso tra le PA, e con alcuni istituti affidati invece
alla normativa delegata, tra cui spiccano la conferenza
di servizi, l’accesso ai documenti amministrativi e la riscrittura
della disciplina del termine.
Questo testo si offre pertanto di fornire una lettura ragionata
delle nuove norme, coordinata con il contesto trattato, collegando
cioè l’analisi delle nuove disposizioni alla indispensabile disamina
degli istituti del procedimento amministrativo su cui va a intervenire,
così come risultanti dalla incessante produzione giurisprudenziale
intervenuta dalla emanazione della Legge 241/1990 ad oggi.
L’intento degli Autori è quello di analizzare la nuova disciplina
dell’azione amministrativa offrendo una chiave di lettura critica
di quello che sarà il volto della pubblica amministrazione per effetto
delle nuove regole.
Ottobre 2015 - pp. 328 - F.to 17x24 - Codice 88-916-1387-5 - € 48,00
Tiziano Tessaro,
Magistrato della Corte dei Conti. Direttore della rivista on-line
www.lagazzettadeglientilocali.it e del bimestrale Comuni d’Italia,
entrambi Maggioli Editore.
Stefania Piovesan,
Avvocato Cassazionista specializzato in diritto amministrativo.
Visita la pagina www.maggiolieditore.it o contatta il nostro Servizio Clienti per conoscere la libreria più vicina.
Tel 0541 628242 - Fax 0541 622595 I Posta: Maggioli Spa presso c.p.o. Rimini - 47921 - (RN) I [email protected]
COMUNI D’ITALIA
Focus legge di stabilità
acquisti
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Le innovazioni
in tema di acquisti
nella legge di stabilità
di Stefano Usai
La legge di stabilità per il 2016 – legge 208 del 23 dicembre 2015 pubblicata in G.U. del 30 dicembre, supplemento ordinario n. 302 – introduce non poche modifiche in tema di appalti. Modifiche, come si vedrà
nel prosieguo – focalizzando l’analisi sulle modifiche
di interesse dei comuni – che incidono in modo significativo sul c.d. obbligo di centralizzazione dei procedimenti di gara per i comuni non capoluogo di provincia, sulle stesse modalità di acquisto delle forniture e
servizi in ambito sottosoglia comunitario ed in relazione agli obblighi di adesione alle convenzioni per l’acquisto delle particolari categorie merceologiche individuate nel comma 7, articolo 1, della legge 135/2012.
Notevoli sono anche, per restare a quelle di maggior
rilievo, le disposizioni in tema di programmazione del
fabbisogno di beni e servizi con l’introduzione di una
nuova previsione che impone – per certe soglie – l’obbligo di redigere un programma di acquisti a pena di
grave responsabilità per i dirigenti/responsabili di servizio che, in ambito, hanno compiti propulsivi/istruttori.
Nel prosieguo si cercherà di porre l’attenzione sulle novità con considerazioni anche di tipo pratico/operativo.
La centralizzazione dei procedimenti di gara
e la soglia dei 40 mila euro
Una delle modifiche di maggior rilievo, a lungo richiesta dall’ANCI in rappresentanza delle istanza soprattutto dei piccoli comuni, è quella contenuta nel com-
ma 501, articolo 1, della legge di stabilità. La norma in
parola, modificando l’articolo 23-ter del decreto-legge 90/2014 come modificato dalla legge di conversione 114/2014 ha l’effetto di estendere ad ogni comune non capoluogo di provincia, prescindendo pertanto dalla dimensione abitativa, l’esenzione dall’obbligo
di centralizzare i procedimenti di gara fino alla soglia
dei 40 mila euro.
Sono note le questioni relative alla centralizzazione delle procedure di acquisto – in vigore dal 1° novembre
2015 – così come declinate al comma 3-bis dell’articolo 33 del codice dei contratti.
Ai sensi della disposizione in parola, “i comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori,
beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui
all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei
competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo
ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da
altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i comuni istituiti
a seguito di fusione l’obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione”.
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Focus legge di stabilità
acquisti
Semplificando, per ciò che in questa sede interessa
(1), i comuni non capoluogo di provincia a far data dal
1° novembre 2015 hanno l’obbligo di accorpare i procedimenti di acquisto secondo le forme giuridiche indicate dalla disposizione (unione dei comuni, associazione con ente capofila, provincia o uffici provinciali) con
l’alternativa di rivolgersi ai soggetti aggregatori (Consip o centrali di committenza qualificati dall’ANAC). In
caso di inadempimento, come bene sottolinea la norma, l’ANAC non potrà rilasciare il codice identificativo di gara (CIG) al RUP con conseguente nullità dell’eventuale contratto stipulato.
Aspetto quest’ultimo non irrilevante se si considera
che il RUP all’atto delle richiesta del codice identificativo deve certificare – con responsabilità personale –
se l’ente abbia o meno rispettato le disposizione in argomento (e quindi il soggetto agisce come responsabile del centro in cui sono state aggregate le procedure)
o se – trattandosi di comune in regione a statuto speciale – la regione si sia avvalsa della clausola di salvaguardia di cui all’articolo 50-bis della legge 89/2014.
L’obbligo della centralizzazione ha subito una prima
deroga – per acquisti fino alla soglia dei 40 mila euro
di tipo, si potrebbe dire selettivo perché inizialmente
consentita ai soli comuni non capoluogo di provincia
con più di 10 mila abitanti.
In sostanza, fino dal 1° novembre al 31 dicembre 2015,
gli acquisti di beni, servizi e lavori nei comuni si strutturava secondo regimi giuridici differenti.
In particolare, i comuni capoluogo di provincia, non
avendo obblighi di centralizzazione potevano (e possono) procedere con le acquisizioni secondo la totale autonomia.
I comuni non capoluogo di provincia con una popolazione sopra i 10 mila abitanti, subivano (e subiscono)
l’obbligo della centralizzazione ma solo per importi superiori ai 40 mila euro.
Da questa prerogativa, almeno fino al 31 dicembre
2015, risultavano esclusi i comuni di soglia abitativa fino ai 10 mila abitanti i quali dal 1° novembre risultavano
obbligati a centralizzare ogni procedimento di acquisto
a prescindere dall’importo, fatta salva – evidentemente, così come per ogni comune – la possibilità di procedere attraverso la Consip o altri soggetti aggregatori.
Il differente regime normativo è stato censurato
(1) Per approfondimenti sulle tematiche poste dalla legge di
stabilità e più in generale sugli aspetti operativi imposti dall’obbligo della centralizzazione delle procedure di acquisto, cfr. S.
Usai, La stazione appaltante unica, Maggioli, 2016.
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COMUNI D’ITALIA
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dall’ANCI soprattutto in relazione alle problematiche
poste per i c.d. micro acquisiti quali piccole manutenzioni, piccoli acquisti e similari a cui non si poteva far
fronte con le spese di economato.
In particolare, si è evidenziato, ed a ragione, che il ricorso alla stazione appaltante unica – costituita secondo le forme giuridiche di cui al comma 3-bis dell’art.
33 del codice – non consentiva di procedere agli acquisti con quella speditezza e tempestività necessari
per soddisfare le esigenze sottese.
Tale disparità, a far data dal 1° gennaio 2016 è appunto venuta meno per effetto delle modifiche apportate
dalla legge di stabilità con il comma 501 che incide,
in modo si potrebbe dire nevralgico, direttamente sul
comma 3, del d.l. 66/2014 come convertito con legge
89/2014 (c.d. terza spending review) abrogando la deroga prevista solo per i comuni non capoluogo con più
di 10 mila abitanti con conseguente estensione della
fascia esente ad ogni comune non capoluogo a prescindere, come si diceva, dalla dimensione abitativa.
In specie, il comma della legge di stabilità puntualizza che “all’articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, sono apportate
le seguenti modificazioni:
a) sono premesse le seguenti parole: «Fermi restando
l’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999,
n. 488, l’articolo 1, comma 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e l’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66,»;
b) le parole: «con popolazione superiore a 10.000 abitanti» sono soppresse”.
Le modifiche, pertanto, hanno modificato il comma
3, art. 23-ter, della legge 114/2014 e l’attuale formulazione è la seguente: “3. Fermi restando l’articolo 26,
comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, l’articolo 1, comma 450, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, e l’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 24
aprile 2014, n. 66, i comuni possono procedere autonomamente per gli acquisti di beni, servizi e lavori di
valore inferiore a 40.000 euro”.
La norma, considerate le modifiche della legge di stabilita, premette pertanto tutta una serie di riferimenti
normativi relativi alla spending review ed in particolare l’art. 26, comma 3, della legge 488/1999 in tema di
procedure di adesione alle convenzioni dei soggetti aggregatori (Consip e centrali regionali qualificate dall’ANAC) che – per gli enti locali – almeno fino alla soglia
dei 40 mila euro non può ritenersi obbligatoria a condizione che a base d’asta vengano poste le condizio-
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ni tecnico/economiche declinate nella convenzione.
Viene richiamato l’art. 1, comma 450 della legge finanziaria per il 2007 relativa all’obbligo – in ambito sottosoglia
comunitario (con l’eccezione – di cui si dirà – fino ai mille euro) di procedere con gli acquisti – per gli enti locali
– attraverso una delle forme di mercato elettronico (non
necessariamente il MEPA di Consip) ai sensi dell’articolo 328 del regolamento attuativo del codice dei contratti.
Infine, viene richiamato il comma 3, art. 9, del d.l.
66/2014 come convertito con l. 89/2014.
La prescrizione rinvia ad un decreto ministeriale che individua beni e soglie per cui si rende obbligatorio il ricorso a Consip o ad altri soggetti aggregatori, testualmente la disposizione prevede che “con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con
il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi, d’intesa con la Conferenza unificata, sentita l’Autorità nazionale anticorruzione, entro il 31 dicembre di
ogni anno, sulla base di analisi del Tavolo dei soggetti
aggregatori e in ragione delle risorse messe a disposizione (…), sono individuate le categorie di beni e di
servizi nonché le soglie al superamento delle quali le
amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie,
nonché le regioni, gli enti regionali, gli enti locali di cui
all’articolo 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267, nonché loro consorzi e associazioni, e gli enti del
servizio sanitario nazionale ricorrono a Consip S.p.A.
o agli altri soggetti aggregatori (…) per lo svolgimento delle relative procedure. Per le categorie di beni e
servizi individuate dal decreto di cui al periodo precedente, l’Autorità nazionale anticorruzione non rilascia
il codice identificativo gara (CIG) alle stazioni appaltanti che, in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma, non ricorrano a Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore. Con il decreto di cui al presente comma sono, altresì, individuate le relative modalità di attuazione”.
Il senso di acquisto autonomo, ovviamente, viene precisato dal legislatore – con i richiami in premessa del
comma – per rammentare che l’inciso non autorizza certo le stazioni appaltanti a deroghe ai principi introdotti con la spendig review ed in particolare
l’obbligo – nel sotto soglia comunitario (dal 1° gennaio 2016 fino a 209 mila euro) – di procedere attraverso forme di mercato elettronico o, per i soggetti obbligati, direttamente con il MEPA.
Rimane ferma una questione, puramente teorica che
potrebbe essere risolta con il nuovo codice dei con-
Focus legge di stabilità
acquisti
tratti, relativa al fatto che i riferimenti sostanziali relativi alla centralizzazione delle procedure sono collocati al comma 3-bis dell’articolo 33 del codice e la specifica esenzione in un testo diverso (legge 114/2014).
Distonie, queste, che complicano l’attività del RUP che
per poter operare deve necessariamente avere a mente i vari collegamenti (tacendo poi degli innumerevoli
collegamenti normativi determinati dai vari innesti e dai
richiami continui ad altre norme collocate in altre leggi.
Gli acquisti svincolati dal mercato elettronico
Il comma 502 introduce una novità rispetto all’obbligo delle pubbliche amministrazioni – previsto nella prima delle spending review (art. 7 della legge 94/2012)
– ovvero l’obbligo, per le acquisizioni di beni e servizi in
ambito sottosoglia comunitaria (per il 2016, per le amministrazioni diverse da quelle “statali”, fino a 209 mila euro) , di rivolgersi al mercato elettronico di Consip
o – per gli enti locali (e quindi anche i comuni) – ad una
delle forme di mercato elettronico così come previsto
dall’articolo 328 del regolamento attutivo del codice dei
contratti (d.P.R. 207/2010).
È abbastanza noto – anche in seguito a precisazioni intervenute grazie a pareri forniti dalle varie sezioni regionali della Corte dei conti – che l’obbligo dell’acquisto attraverso il mercato elettronico, in ambito sottosoglia, è inderogabile salvo eccezioni di
tipo oggettivo quali la carenza del prodotto/servizio da acquistare oppure l’oggettiva inadeguatezza del prodotto/servizio rispetto alle esigenze della stazione appaltante.
Pertanto, contrariamente anche a qualche riflessione –
assolutamente non condivisibile (in qualche occasione
sostenuta anche dall’ANAC) – il RUP non può procedere ad una acquisto “tradizionale” fuori mercato elettronico nel caso in cui il prodotto, presente nella vetrina
virtuale, possa essere acquisito ad un prezzo inferiore.
In sostanza, il dato economico non costituisce un elemento oggettivo che consenta la deroga all’obbligo di
acquisire attraverso il mercato elettronico disponendo
il punto ordinante della stazione appaltante della possibilità di chiedere offerte migliorative attraverso l’invio di
specifiche RDO (richieste di offerta “telematiche” interagendo con gli appaltatori presenti nel mercato elettronico) oppure, come anche si legge nel sito della Consip,
potendo il punto istruttore (il RUP nelle procedure telematiche) invitare l’appaltatore ad aderire ed inserire le
proprie offerte nella vetrina telematica.
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Focus legge di stabilità
acquisti
Il panorama sintetizzato risulta ora modificato dalla previsione di una soglia libera dai vincoli appena descritti – per importi inferiori a mille euro (valido anche
per il servizio sanitario) – per cui il RUP delle pubbliche amministrazioni non ha più l’obbligo di escutere il
MEPA o (nel caso di enti locali) forme di mercato elettronico (ad esempio del soggetto aggregatore regionale) ma può avviare un procedimento “tradizionale”
extra mercato virtuale.
Il comma che introduce la soglia esente è il 502, articolo 1 della legge di stabilità secondo cui “All’articolo
1, comma 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) le parole: «Dal 1º luglio 2007,» sono soppresse;
b) al primo periodo, dopo le parole: «per gli acquisti di beni e servizi» sono inserite le seguenti: «di importo pari
o superiore a 1.000 euro e»;
c) al secondo periodo, dopo le parole: «per gli acquisti di
beni e servizi di importo » sono inserite le seguenti: «pari o superiore a 1.000 euro e»”.
Proprio l’individuazione di una soglia esente dall’obbligo di
ricorrere ad acquisti telematici conferma che la previsione dell’obbligo – in ambito sottosoglia – dovesse (e deve)
essere ritenuto come inderogabile e non disponibile per il
RUP al di là delle eccezioni predette ovvero la carenza del
prodotto servizio o l’inadeguatezza rispetto alle esigenze
della stazione appaltante.
Sotto il profilo operativo appare interessante soffermarsi sulle operazioni cui è tenuto il RUP nel caso in cui – effettuati i controlli nei mercati elettronici (e, se compatibili
eco l’acquisto, anche quelle delle convenzioni) – il prodotto/servizio risulti assente o inadeguato.
All’atto dell’adozione della determinazione a contrattare –
che avvia il procedimento di acquisto – il responsabile del
procedimento di spesa dovrà adeguatamente certificare di aver compiuto le debite indagini ed indicare il conseguente esito.
Evidenziazione che vale come motivazione che abilita l’acquisto extra mercato elettronico. Quanto annotato vale in
specie per i comuni e quindi soprattutto in relazione ai
cc.dd. controlli interni svolti in fase successiva dal segretario comunale.
Diversa, evidentemente, è a far data dal 1° gennaio la procedura sugli acquisti per importi inferiori ai
mille euro ora affrancati dall’obbligo della procedura “virtuale”.
Nel caso di specie, il RUP non ha più l’obbligo di escutere
le forme di mercato elettronico potendo agire direttamente – con la determinazione a contrattare con cui viene assunta la prenotazione di impegno di spesa – fuori mercato.
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È altresì vero che come buona prassi di azione amministrativa, il RUP potrebbe determinarsi autonomamente a
procedere comunque alla previa escussione del mercato elettronico.
Inoltre, la previa escussione del mercato, non più obbligatoria grazie alla modifiche intervenuta con la legge di stabilità, potrebbe anche essere declinata in una specifica direttiva o del responsabile del servizio o direttamente dal segretario o dalla stessa giunta in modo da
procedimentalizzare gli acquisti di minore importo.
Ovviamente, le previsioni in parola andranno contestualizzate con i nuovi obblighi in tema di programmazione degli
acquisti di beni e servizi di cui si dirà più avanti.
Le modiche in tema di programmazione degli acquisti di beni e servizi
Il comma 505 della legge di stabilità introduce una disciplina specifica in tema di programmazione obbligatoria degli acquisti di beni e servizi aggiuntiva (e
non più abrogativa come prevista nelle prime bozze della legge di stabilità) rispetto a quella prevista nell’art.
271 del regolamento attuativo del codice dei contratti (d.P.R. 207/2010).
La programmazione obbligatoria riguarda solamente
gli enti che hanno un “volume” di acquisto superiore al milione di euro, mentre gli enti con spese inferiori rimangono soggetti ad una programmazione solo facoltativa.
È interessante, oltre che dar conto della nuova disposizione – destinata pertanto a restare fuori dal corpus
normativo codice-regolamento e quindi con necessità
di concreto recepimento nel nuovo codice dei contratti –, anche esaminare le differenze sostanziali rispetto
alla programmazione facoltativa considerato che, per
certi versi, proprio quest’ultima appare più rigorosa rispetto alla programmazione obbligatoria.
Il primo periodo del comma 505 puntualizza che “al fine di favorire la trasparenza, l’efficienza e la funzionalità dell’azione amministrativa, le amministrazioni pubbliche approvano, entro il mese di ottobre di ciascun
anno, il programma biennale e suoi aggiornamenti annuali degli acquisti di beni e di servizi“di importo unitario stimato superiore a 1 milione di euro”.
Mentre, nelle prime redazioni della legge, il milione di
euro sembrava riferita alla programmazione biennale
complessiva.
Il legislatore pertanto collega l’obbligo a precise esigenze di trasparenza ed efficienza negli acquisti pre-
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cisando, poi come si vedrà più avanti, precise sanzioni per i dirigenti/responsabili inadempienti.
Il programma pertanto, in primo luogo deve essere
biennale con delle appendici esecutive/operative annuali che – come precisa il terzo periodo del comma
in commento devono indicare “le risorse finanziarie relative a ciascun fabbisogno quantitativo degli acquisti
per l’anno di riferimento”.
Del programma biennale, il legislatore precisa anche
il contenuto minimo – secondo periodo del comma in
esame – in cui si puntualizza che “il programma biennale, predisposto sulla base dei fabbisogni di beni e
servizi, indica le prestazioni oggetto dell’acquisizione,
la quantità, ove disponibile, il numero di riferimento della nomenclatura, le relative tempistiche”.
Una serie di precisazioni, pertanto, che avvicinano questa programmazione a quella ben collaudata dei lavori pubblici (peraltro triennale).
Il comma prevede, inoltre, precisi obblighi di comunicazione – come il programma dei lavori pubblici –
del programma biennale e degli aggiornamenti (quarto periodo), in particolare la programmazione deve essere comunicata “alle strutture e agli uffici preposti al
controllo di gestione, nonché pubblicati sul profilo del
committente dell’amministrazione e sul sito informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture presso l’Autorità nazionale anticorruzione”.
La violazione delle di queste prescrizioni – recita
il quinto periodo del comma – “è valutabile ai fini
della responsabilità amministrativa e disciplinare dei
dirigenti, nonché ai fini dell’attribuzione del trattamento
accessorio collegato alla performance”.
Su quest’ultimo periodo, a sommesso avviso, occorre soffermarsi. La norma, correttamente, richiama in
causa direttamente i dirigenti/responsabili pure in relazione ad un atto che – trattandosi di programmazione – è di diretta competenza (quanto all’approvazione),
se si parla di comuni, del consiglio comunale.
Il comma richiama pertanto quel compito istruttorio/
propositivo che connatura ogni funzione del burocrate.
L’avvio della redazione del programma pertanto, non
può che competere ai responsabili di servizio ed in particolare, (nel caso di insistenza dell’ufficio dell’economo), l’ufficio competente agli acquisiti o, in caso, di acquisti “diffusi” all’interno dell’ente dei vari responsabili.
Appare un’ovvietà evidenziare che la redazione del programma deve essere seguita da un unico responsabile
o un unico RUP che cura dapprima una analisi storica
sul volume degli acquisti avvalendosi, evidentemen-
Focus legge di stabilità
acquisti
te, dei vari uffici provvedendo poi anche ad inoltrare
specifiche richieste sugli acquisti da programmare e
da inserire nel documento che poi dovrà essere integrato nel DUP (il documento unico di programmazione
che sostituisce la relazione previsionale e programmatica accorpando, sostanzialmente, tutti i tradizionali allegati al bilancio – e riguardo al quale andranno anche
corrette le date di presentazione considerato che il
DUP, a regime, deve esser presentato in consiglio entro il 31 luglio mentre il programma sui beni e servizi
deve essere approvato entro ottobre).
Pertanto, la sanzione colpisce, a parere di chi scrive, proprio l’eventuale inerzia dei responsabili anche ai fini della produttività.
Prescrizione di particolare significato anche alla luce
della disposizione espressa nel sesto periodo secondo cui “le acquisizioni non comprese nel programma
e nei suoi aggiornamenti non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni”.
Uno scenario, tutto sommato, facile da ipotizzare riguarda il caso in cui il programma non sia stato redatto – per inerzia dei responsabili – e si sia proceduto
comunque a degli acquisti.
Si tratta di capire poi in termini di responsabilità cosa
ciò possa comportare.
Naturalmente, il divieto implica delle eccezioni ed infatti (settimo periodo) “sono fatte salve le acquisizioni imposte da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le acquisizioni dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari”.
La norma inoltre prevede (ottavo periodo) che “le amministrazioni pubbliche trasmettono i dati di programmazione di cui ai periodi precedenti al Tavolo tecnico
dei soggetti di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che li utilizza ai fini dello svolgimento dei compiti e delle attività
ad esso attribuiti.
A cui si aggiunge, (nono periodo), secondo un primo
emendamento apportato in fase di redazione definitiva, l’obbligo per cui al tavolo tecnico dei soggetti aggregatori – di cui al d.l. 66/2014 – devono essere trasmessi “nel loro testo integrale tutti i contratti stipulati in esecuzione del programma biennale e suoi aggiornamenti, fatta salva la tutela delle informazioni riservate di proprietà del committente o del fornitore di
beni e servizi”.
Tale obbligo si applica anche ai contratti già stipulati – ed
in corso – ante entrata in vigore della norma.
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Focus legge di stabilità
acquisti
La programmazione facoltativa
La disposizione contenuta nel comma 505 – come si evidenziava – introduce un doppio binario giuridico ed occorre distinguere tra programmazione facoltativa (disciplinata
nell’art. 271 del regolamento attuativo del codice che non
viene più abrogato come previsto nelle prime bozze della legge di stabilità) e la programmazione obbligatoria con
responsabilità precise in carico ai dirigenti.
La novità di rilievo, appunto, è che l’art. 271 del d.P.R.
207/2010, che prevede la facoltà di redigere un programma di acquisiti di beni e servizi, non viene più abrogato ma
rimane come norma di principio per chi non ha un volume
di acquisto superiore al milione di euro.
Per tutti questi enti la norma continua pertanto a ribadire
una facoltà di redazione del programma.
Le due disposizioni, e quindi gli adempimenti a cui sono tenute le stazioni appaltanti – a seconda della circostanza che
la programmazione si atteggi come obbligo o come facoltà –, appaiono sostanzialmente diverse e la programmazione facoltativa sembra presentare una disciplina addirittura
– in certi casi – anche più rigorosa rispetto alla nuova pre-
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scrizione. Appare opportuno, pertanto, mettere a confronto almeno una parte delle diverse disposizioni per meglio
evidenziarne le differenze.
Come si evidenziava, la disposizione della legge di stabilità
introduce una disciplina differente rispetto a quella contenuta nel regolamento attuativo (d.P.R. 207/2010) con non
poche distonie che, probabilmente, verranno eliminate in
fase di redazione del nuovo codice. Una prima sostanziale differenza si può già leggere nei commi iniziali delle norme che si riportano a confronto in tabella 1.
A sinistra la norma del regolamento attuativo (art. 271,
d.P.R. 207/2010, Programmazione dell’attività contrattuale per l’acquisizione di beni e servizi) che riguarderà
i soli enti che hanno facoltà di predisporre il programma
che, a differenza del testo licenziato dal Senato non viene più abrogata.
In questo senso, l’ultimo periodo del comma 505, art. 1,
della legge di stabilità dispone che rimane “fermo quanto
previsto dall’articolo 271 del regolamento di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, limitatamente agli acquisti di beni e servizi di importo unitario stimato inferiore a 1 milione di euro”.
Tabella 1
Art. 271, d.P.R. 207/2010 (regolamento)
Art. 1, comma 505, l. 208/2015 (legge di stabilità)
1. Ciascuna amministrazione aggiudicatrice può approvare ogni anno
un programma annuale per l’acquisizione di beni e servizi relativo all’esercizio successivo. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di
cui all’articolo 128, commi 2,ultimo periodo, 9, 10 e 11, del codice e all’articolo 13,commi 3, secondo e terzo periodo, e 4, del presente regolamento.
505. Al fine di favorire la trasparenza, l’efficienza e la funzionalità dell’azione amministrativa, le amministrazioni pubbliche
approvano, entro il mese di ottobre di ciascun anno, il programma biennale e suoi aggiornamenti annuali degli acquisti di beni e
di servizi di importo unitario stimato superiore a 1 milione di euro.
2. Il programma è predisposto nel rispetto dei principi generali di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa, in conformità
delle disposizioni del codice e sulla base del fabbisogno di beni
e servizi definito dall’amministrazione aggiudicatrice tenendo conto dell’ordinamento della stessa e della normativa di settore ove vigente.
(4° periodo) Il programma biennale e gli aggiornamenti sono comunicati
alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, nonché
pubblicati sul profilo del committente dell’amministrazione e sul sito informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture presso l’Autorità nazionale anticorruzione.
Nel caso in cui la programmazione, pertanto, sia solo facoltativa la disciplina applicabile si può desumere
da una serie di norme che sono relative alla programmazione dei lavori pubblici (programmazione, come
noto, obbligatoria).
In questo senso, il primo comma dell’art. 271 del regolamento attuativo richiama rispettivamente l’art.
128 del codice e l’art. 13 del regolamento attuativo,
in particolare:
a) Art. 128 codice “Programmazione dei lavori pubblici”:
- Art. 128, comma 2, ultimo periodo (vengono
espunti i riferimenti relativi ai lavori pubblici);
- Art. 128, commi 9, 10, 11 (vengono espunti i riferimenti relativi ai lavori pubblici);
b) Art. 13 del regolamento attuativo “Programma triennale ed elenchi annuali”:
- Art. 13, comma 3, secondo e terzo periodo;
- Art. 13, comma 4 (depurato dai riferimenti ai lavori).
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COMUNI D’ITALIA
Focus legge di stabilità
acquisti
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Tabella 2
Art. 128 del codice “Programmazione dei lavori pubblici”
Testo della norma
Commento
Art. 128, comma 2,
ultimo periodo
(vengono espunti
i riferimenti relativi
ai lavori pubblici)
“Lo schema di programma (…) sono resi pubblici, prima della loro approvazione, mediante affissione nella sede delle amministrazioni aggiudicatrici per almeno sessanta giorni consecutivi ed eventualmente mediante pubblicazione sul profilo di committente della stazione
appaltante”.
Art. 128, commi 9, 10, 11
(vengono espunti
i riferimenti relativi
ai lavori pubblici)
“9. L'elenco annuale predisposto dalle amministrazioni aggiudicatrici
deve essere approvato unitamente al bilancio preventivo, di cui costituisce parte integrante, e deve contenere l'indicazione dei mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contributi o risorse dello Stato, delle regioni a statuto ordinario o di altri enti pubblici, già stanziati nei rispettivi stati di previsione o bilanci, nonché acquisibili ai sensi dell'articolo 3 del decretolegge 31 ottobre 1990, n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge
22 dicembre 1990, n. 403, e successive modificazioni. Un (…) (n.d.a.: al
posto di lavoro un acquisto) non inserito nell'elenco annuale può essere
realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco, fatta eccezione per le risorse resesi disponibili a seguito di ribassi d'asta o di economie. Agli enti locali si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267”.
Naturalmente il riferimento alla metodologia di approvazione – circostanza che riguarda anche il piano delle opere pubbliche, dovrà tener conto – per gli enti locali – della
contabilità armonizzata e pertanto della circostanza che le
programmazioni tanto la prima quanto quella degli acquisti di beni e servizi dovranno essere inseriti nel DUP (documento unico della programmazione) che sostituisce la relazione previsionale e programmatica e che dovrà essere
approvato dal Consiglio come atto specifico (e non come
allegati al bilancio).
Per effetto di quanto tutti i termini previsti attualmente per l’approvazione sia del primo quanto il programma
degli acquisti di beni e servizi dovranno essere conciliati con i termini di presentazione/approvazione del DUP
prevista – dal 2016 (e quindi per il bilancio del 2017) –
al 31 luglio.
“10. (…) (n.d.a.: Gli acquisti di beni e servizi) non ricompresi nell'elenco annuale o non ricadenti nelle ipotesi di cui al comma 5, secondo periodo, non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni”.
Il comma 5 da riferirsi in questo caso a beni e servizi statuisce che “Le amministrazioni aggiudicatrici nel dare attuazione ai lavori previsti dal programma triennale devono rispettare le priorità ivi indicate. Sono fatti salvi gli interventi imposti da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le modifiche dipendenti da sopravvenute disposizioni
di legge o regolamentari ovvero da altri atti amministrativi adottati a livello statale o regionale”.
“11. Le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute ad adottare il
programma (…) sulla base degli schemi tipo, che sono definiti con
decreto del Ministro delle infrastrutture; i programmi (…) sono
pubblicati sul sito informatico del Ministero delle infrastrutture di
cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 6 aprile 2001, n. 20 e
per estremi sul sito informatico presso l'Osservatorio”.
Anche per la programmazione obbligatoria sono sostanzialmente previsti obblighi di già previsti per la
programmazione facoltativa. Per la prima anche la
pubblicazione sul sito come emerge dal 4° periodo secondo cui “Il programma biennale e gli aggiornamenti sono:
- comunicati alle strutture e agli uffici preposti al
controllo di gestione;
- nonché pubblicati sul profilo del committente
dell’amministrazione;
- e (n.d.a.: pubblicati) sul sito informatico presso
l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture presso l’Autorità nazionale anticorruzione”.
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Focus legge di stabilità
acquisti
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Art. 13 del d.P.R. 207/2010 “Programma triennale ed elenchi annuali”
Art. 13, comma 3,
secondo
e terzo periodo
“La proposta di aggiornamento è fatta anche in ordine alle esigenze prospettate dai responsabili del procedimento dei
singoli interventi. Le Amministrazioni dello Stato procedono all’aggiornamento definitivo del programma entro novanta giorni dall’approvazione della legge di bilancio da parte del Parlamento”.
Art. 13, comma 4
“Sulla base dell'aggiornamento di cui al comma 3 è redatto, entro la stessa data, l'elenco dei (…) (n.d.a.: degli acquisti) da avviare nell'anno successivo, con l’indicazione del (…) (n.d.a.: del CIG in luogo del CUP che riguarda solo gli investimenti), previamente richiesto dai soggetti competenti per ciascun (…) (n.d.a.: acquisto)”.
(depurato dai riferimenti ai
lavori)
Non può non rilevarsi che, nel caso di programmazione facoltativa, l’ente dispone di riferimenti certi
che vengono attinti dalla programmazione dei lavori pubblici mentre nel caso di programmazione obbligatoria – e ciò è un paradosso – non insistono riferimenti normativi certi oltre al comma della legge di stabilità.
Infatti, in questa – primo periodo – si legge solamente che “al fine di favorire la trasparenza, l’efficienza e la
funzionalità dell’azione amministrativa, le amministrazio-
ni pubbliche approvano, entro il mese di ottobre di ciascun anno, il programma biennale e suoi aggiornamenti
annuali degli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato superiore a 1 milione di euro.
Una maggiore semplificazione nel caso in cui la programmazione sia facoltativa, invece, emerge dalla profonda differenza tra il comma 3 dell’art. 271 del regolamento attuativo (Programmazione dell’attività contrattuale per l’acquisizione di beni e servizi) e il comma 505, art. 1 della legge di stabilità (v. tabella 3).
Tabella 3
Art. 271, d.P.R. 207/2010
l. 208/2015 (legge di stabilità), art. 1, comma 505
3. Il programma individua l’oggetto, l’importo presunto e la relativa forma di finanziamento. Con riferimento a ciascuna iniziativa in cui
si articola il programma annuale, l’amministrazione provvede, nel corso dell’esercizio, alla verifica della fattibilità tecnica, economica ed amministrativa.
(secondo periodo) Il programma biennale, predisposto sulla base dei fabbisogni di beni e servizi, indica le prestazioni oggetto dell’acquisizione, la
quantità, ove disponibile, il numero di riferimento della nomenclatura, le relative tempistiche.
(terzo periodo) L’aggiornamento annuale indica le risorse finanziarie relative a
ciascun fabbisogno quantitativo degli acquisti per l’anno di riferimento.
(quinto periodo) La violazione delle previsioni di cui ai precedenti periodi è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti,
nonché ai fini dell’attribuzione del trattamento accessorio collegato alla performance.
Come si può notare, nel caso della programmazione obbligatoria occorrerà indicare anche il numero di riferimento
dagli allegati del codice e, soprattutto, la tempistica. Dato,
quest’ultimo non richiesto per la programmazione facoltativa. Nella programmazione obbligatoria le appendici annuali
devono indicare i riferimenti relativi alla copertura finanziaria.
Nella programmazione facoltativa è prevista una verifica di
fattibilità che, evidentemente, riguarderà anche la programmazione obbligatoria.
Di rilievo, ed appare coerente con la programmazione obbligatoria è il riferimento alla responsabilità dei dirigenti di
cui si è già detto sopra. Sostanzialmente uguali sono le disposizioni relative ad acquisti di beni e servizi non compresi nel programma.
Tabella 4
Art. 271, d.P.R. 207/2010
L. 208/2015 (legge di stabilità), art. 1, comma 505
4. Qualora l’amministrazione aggiudicatrice abbia predisposto il
programma di cui al presente articolo, rimane salva la possibilità di avviare procedimenti per l’acquisizione di beni e
servizi non previsti in caso di urgenza risultante da eventi imprevisti o imprevedibili in sede di programmazione.
(sesto periodo) Le acquisizioni non comprese nel programma e nei suoi aggiornamenti non
possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni.
(settimo periodo) Sono fatte salve le acquisizioni imposte da eventi imprevedibili o
calamitosi, nonché le acquisizioni dipendenti da sopravvenute disposizioni
di legge o regolamentari.
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Focus legge di stabilità
acquisti
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Infine, l’articolo 271 ha una norma di chiusura assente nella nuova disposizione che riguarda le amministrazioni “legate” al bilancio statale. Tale riferimento manca perché per la programmazione obbligatoria il legislatore ha previsto una esplicita scadenza (nel mese di ottobre) che,come detto, dovrà essere coordinata con le
scadenze del DUP.
Il rafforzamento dell’obbligo di adesione alle convenzioni per particolari categorie merceologiche
Un rafforzamento degli obblighi di adesione alle convenzioni di Consip o delle centrali di committenza regionali emerge chiaramente dal comma 494, articolo 1, della legge di stabilità.
Il comma incide su altra norma cardine del sistema
spending review (in particolare della seconda spending
ovvero la legge 135/2012) e riguarda gli acquisti di particolari categorie merceologiche (telefonia fissa e telefonia mobile e del 3 per cento per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia
elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento) modificando il terzo ed il quarto periodo del comma in argomento.
Il testo del comma della legge di stabilità è il seguente: “All’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge
7 agosto 2012, n. 135, il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: «È fatta salva la possibilità di
procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie mer-
ceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a
condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori almeno del 10 per cento per le categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile e del 3 per
cento per le categorie merceologiche carburanti extrarete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai migliori corrispettivi
indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali. Tutti i contratti stipulati ai sensi del precedente periodo devono essere trasmessi all’Autorità
nazionale anticorruzione. In tali casi i contratti dovranno comunque essere sottoposti a condizione risolutiva
con possibilità per il contraente di adeguamento ai migliori corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità
di convenzioni Consip e delle centrali di committenza
regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento rispetto ai contratti già stipulati. Al fine di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
attraverso una razionalizzazione delle spese delle pubbliche amministrazioni riguardanti le categorie merceologiche di cui al primo periodo del presente comma,
in via sperimentale, dal 1º gennaio 2017 al 31 dicembre 2019 non si applicano le disposizioni di cui al terzo periodo del presente comma»”.
Pertanto, dalla tabella 5 emerge chiaramente la sostanza delle modifiche volute dal legislatore della legge di stabilità.
Tabella 5
L. 135/2012, comma 7, periodi 3 e 4:
periodi abrogati dalla legge di stabilità
L. 135/2012, comma 7:
nuovi periodi innestati dalla legge di stabilità
È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti,
nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori
delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni
e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e
dalle centrali di committenza regionali. In tali casi i contratti dovranno comunque essere sottoposti a condizione
risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai predetti corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico.
È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie merceologiche,
anche al di fuori delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori almeno del 10 per cento per le categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile e del 3 per cento per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai migliori corrispettivi
indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip SpA e dalle centrali di committenza regionali. Tutti i contratti stipulati ai sensi del precedente periodo devono essere trasmessi all’Autorità nazionale anticorruzione. In tali casi i contratti dovranno comunque
essere sottoposti a condizione risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai migliori corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di
committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento rispetto ai contratti già stipulati. Al fine di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso una razionalizzazione delle spese delle pubbliche amministrazioni riguardanti le categorie merceologiche di cui al primo periodo del presente comma, in via sperimentale, dal 1º gennaio 2017 al 31 dicembre 2019 non si applicano le
disposizioni di cui al terzo periodo del presente comma.
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Focus legge di stabilità
acquisti
Si possono facilmente notare le sostanziali differenze.
Rispetto alla pregressa disposizione – in cui pure risultava consentita la procedura di evidenza pubblica in luogo dell’adesione alla convenzione – l’attuale legislatore ammette la deroga all’adesione ma a condizione che
vengano raggiunti specifici obiettivi di risparmio rispetto ai prezzi delle convenzioni.
Nella stesura definitiva della legge gli obiettivi di risparmio sono del 10% per le “categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile” e del 3% “per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento” rispetto ai prezzi risultanti dalle convenzioni Consip o dalle convenzioni delle centrali di committenza regionali.
La procedura alternativa all’adesione – e quindi o attraverso il sistema dei rilanci per le convenzioni delle centrali o attraverso un vera e propria gara – inoltre non solo deve raggiungere uno specifico obiettivo di contenimento ma il relativo contratto dovrà essere trasmesso all’ANAC.
In coerenza con l’intento del rafforzamento, lo stesso
legislatore ha previsto però un’applicazione delle prerogative appena rammentate solamente in via sperimentale per il 2016, norma che verrà infatti disapplicata
per il triennio 2017-2019 evidentemente per verificare
gli effetti di questa (pur contingentata) liberalizzazione.
In ogni caso, gli eventuali contratti dovranno comunque
riportare la “condizione risolutiva con possibilità per il
contraente di adeguamento ai migliori corrispettivi nel
caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip
e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento rispetto ai contratti già stipulati”.
Altre disposizioni di interesse per i comuni
Piuttosto rilevante è l’apertura, contenuta nel comma
504, articolo 1 della legge di stabilità, degli strumenti a
disposizione di Consip alle manutenzione per le quali
pertanto si imporrà la previa indagine – per importi al di
sopra dei mille euro – nella vetrina elettronica.
Viene perfezionato il sistema dell’adesione alle convenzioni Consip di cui all’articolo 26 della legge 488/1999
con la prescrizione – comma 507 – che con decreto il
“Ministro dell’economia e delle finanze definisce, (…),
sentita l’Autorità nazionale anticorruzione, tenendo conto degli aspetti maggiormente incidenti sul prezzo della
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COMUNI D’ITALIA
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prestazione nonché degli aspetti qualificanti ai fini del
soddisfacimento della domanda pubblica, le caratteristiche essenziali delle prestazioni principali che saranno oggetto delle convenzioni stipulate da Consip SpA ai
sensi dell’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n.
488. Conseguentemente all’attivazione delle convenzioni di cui al periodo precedente, sono pubblicati nel sito
istituzionale del Ministero dell’economia e delle finanze e nel portale degli acquisti in rete i valori delle caratteristiche essenziali e i relativi prezzi, che costituiscono
i parametri di prezzo-qualità di cui all’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488”.
Inoltre, (comma 508) “nei casi di indisponibilità della
convenzione stipulata da Consip SpA ai sensi dell’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, ed in
mancanza dei prezzi di riferimento forniti dall’Autorità
nazionale anticorruzione ai sensi dell’articolo 9, comma 7, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89,
la predetta Autorità, sentito il Ministero dell’economia
e delle finanze, individua, con proprio provvedimento,
le modalità per l’elaborazione adeguativa dei prezzi della precedente edizione della convenzione stipulata da
Consip SpA. I prezzi forniti dall’Autorità ai sensi del periodo precedente costituiscono prezzo massimo di aggiudicazione per il periodo temporale indicato dall’Autorità medesima”.
Interessante, non per i comuni, il comma 510 che evidenzia che “le amministrazioni pubbliche obbligate ad
approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stipulate da Consip SpA, ovvero dalle centrali di committenza regionali, possono procedere ad acquisti autonomi
esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specificamente motivata resa dall’organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio della Corte dei conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione per mancanza di
caratteristiche essenziali”.
Il riferimento, pertanto riguarda in particolare le amministrazioni statali e le ASL.
Il problema non sfiora i comuni non capoluogo considerato che nel caso in cui operino in alternativa alla centralizzazione sono si obbligati ad aderire a queste convenzioni (mentre per i comuni capoluogo insiste solo una facoltà che riguarderà anche le centrali costituite dai comuni non capoluogo) ma, nel caso in cui queste non siano disponibile non potranno che procedere attraverso la centrale unica costituita (o a cui dovranno aderire).
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Differente è la questione per gli acquisti di beni e servizi informatici e di connettività (comma 512) – che
riguarda anche i comuni – secondo cui “al fine di garantire l’ottimizzazione e la razionalizzazione degli acquisti
(…), fermi restando gli obblighi di acquisizione centralizzata previsti per i beni e servizi dalla normativa vigente,
le amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica
(ISTAT) ai sensi dell’articolo 1 della legge 31 dicembre
2009, n. 196, provvedono ai propri approvvigionamenti
esclusivamente tramite Consip SpA o i soggetti aggregatori, ivi comprese le centrali di committenza regionali,
per i beni e i servizi disponibili presso gli stessi soggetti”.
I commi 516 e 517 precisano che “le amministrazioni e le società” obbligate ai sensi del comma appena citato “possono procedere ad approvvigionamenti
al di fuori delle modalità di cui ai commi 512 e 514 (2)
esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione
motivata dell’organo di vertice amministrativo, qualora
Focus legge di stabilità
acquisti
il bene o il servizio non sia disponibile o idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione ovvero in casi di necessità ed urgenza comunque funzionali ad assicurare la continuità della gestione amministrativa.
Gli approvvigionamenti effettuati ai sensi del presente comma sono comunicati all’Autorità nazionale anticorruzione e all’Agid”.
Le violazioni, evidentemente, (comma 517) rilevano ai
fini della responsabilità per danno erariale e della responsabilità disciplinare del dirigente/responsabile del
servizio interessato.
Inoltre, si cerca di assicurare la piena funzionalità dei
soggetti aggregatori (centrali di committenza qualificati
dall’ANAC) – ai sensi della parte finale del comma 512 –
consentendo alle regioni di “assumere personale strettamente necessario (…), in deroga ai vincoli assunzionali
previsti dalla normativa vigente, nei limiti del finanziamento derivante dal Fondo di cui al comma 9 del medesimo
articolo 9 del decreto-legge n. 66 del 2014”.
(2) Il comma 514 dispone che “Ai fini di cui al comma 512,
Consip SpA o il soggetto aggregatore interessato sentita l’Agid
per l’acquisizione dei beni e servizi strategici indicati nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione
di cui al comma 513, programma gli acquisti di beni e servizi
informatici e di connettività, in coerenza con la domanda aggregata di cui al predetto Piano. Agid, Consip SpA e i soggetti
aggregatori, sulla base di analisi delle informazioni in loro possesso relative ai contratti di acquisto di beni e servizi in materia
informatica, propongono alle amministrazioni e alle società di
cui al comma 512 iniziative e misure, anche organizzative e di
processo, volte al contenimento della spesa. Consip SpA e
gli altri soggetti aggregatori promuovono l’aggregazione della
domanda funzionale all’utilizzo degli strumenti messi a disposizione delle pubbliche amministrazioni su base nazionale, regionale o comune a più amministrazioni”..
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COMUNI D’ITALIA
Focus legge di stabilità
personale
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Legge di stabilità 2016
e personale PA: ancora
al di qua del guado
di Daniele Campalto
La legge 28 dicembre 2015, n. 208, la legge di stabilità
2016, con i suoi 999 commi dell’articolo unico, esito ormai consueto del maxiemendamento governativo, mantiene il personale pubblico al di qua del guado, nell’attesa di riforme sempre annunciate e mai in atto.
Ad esempio, l’atteso passaggio ai fabbisogni standard,
prefigurato dalla legge 42/2009 e poi dal d.lgs. 216/2010,
che ora si arricchisce di una nuova Commissione tecnica (commi 29-34 della legge 208/2015, d’ora in poi soltanto con riferimento ai commi) a rimpiazzo di altra precedente Commissione tecnica paritetica prevista dalla
legge sul federalismo fiscale. Che sia la mossa decisiva
per l’avvicinamento alla terra promessa, cioè l’effettivo
avvio del sistema, è lecito dubitarne.
Fatto sta che in mancanza di un sistema di contabilizzazione e programmazione che prescinda dai fabbisogni
storici, si rimane ancorati a una disciplina vincolistica finalizzata a contenere, o meglio a comprimere la spesa,
rendendo impossibili operazioni meno che occasionali in
materia di personale pubblico.
Peraltro gli estensori del testo del maxiemendamento
non si sono dati la briga, con riferimento al personale delle pubbliche amministrazioni, di ordinare le disposizioni
in maniera sistematica, così che si scoprono disseminate in maniera apparentemente casuale nel vasto territorio dell’articolo unico. Ciò che induce il sospetto dell’assenza di un approccio coerente e organico.
Da un pur faticoso sguardo d’insieme se ne ritrae comunque una impostazione prevalentemente negativa,
volta a limitare, a comprimere, a impedire. In continuità
dunque con i provvedimenti degli ultimi cinque anni, im-
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prontati dalla crisi finanziaria che continua a proiettare la
sua ombra sulla pubblica amministrazione.
Senza contare che resta ancora da sciogliere il nodo della ricollocazione del personale soprannumerario degli enti di area vasta, frutto della disastrosa riforma delle province (l. 56/2014), sui cui si è incentrata la precedente
manovra (la legge 190/2014, legge di stabilità 2015) e
che ha causato un sostanziale blocco delle assunzioni
che ancora perdura.
A distanza di un anno, la legge di stabilità 2016 è costretta a metterci più di una pezza, prima di tutto con la
previsione della tempestiva nomina di un commissario
straordinario per dare attuazione alle disposizioni della legge 56/2014 nelle regioni morose o ritardatarie, ai
fini del trasferimento del personale e delle relative risorse per le funzioni non fondamentali delle province.
In particolare il commissario avrà il compito di completare entro il 30 giugno 2016 il trasferimento del personale operando “nei limiti della capacità di assunzione e
delle relative risorse finanziarie della regione ovvero della capacità di assunzione e delle relative risorse finanziarie dei comuni che insistono nel territorio della provincia o città metropolitana interessata” (comma 766).
Per favorire il completamento della ricollocazione del
personale soprannumerario inoltre la l. 208/2015 (comma 760) provvede a prorogare la sospensione, già stabilità dal d.l. 78/2015 con riferimento al solo 2014, per
gli enti locali delle sanzioni previste non solo per il mancato rispetto dei tempi medi dei pagamenti, ma anche
del patto di stabilità e del termine della relativa certificazione, e cioè il divieto di procedere ad assunzioni di
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personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia
contrattuale.
La legge di stabilità 2016 inoltre pone fine alla indecorosa giostra del personale della polizia provinciale: inizialmente destinato, stando alle circolari ministeriali, a confluire nell’ambito di riformati corpi di polizia; quindi indirizzato dal d.l. 78/2015 agli enti locali in deroga ai vincoli in
materia di assunzioni e di spesa di personale; ora infine,
prendendo atto che la maggioranza delle regioni ha conservato le funzioni di polizia amministrativa locale in capo
alle province e alle città metropolitane, concedendo agli
enti di area vasta la possibilità di incrementare le proprie
dotazioni in modo da non dover computare il personale
della polizia provinciale tra gli eccedentari (comma 770).
Che il legislatore abbia fretta di archiviare la vicenda della
riforma delle province, frettolosa e mal concepita sull’onda di impulsi superficiali e demagogici e gestita in maniera poco meno che dilettantesca, lo testimoniano anche
le inevitabili disposizioni di rifinanziamento delle funzioni
fondamentali (comma 754) e di copertura del trattamento economico del personale soprannumerario non ancora ricollocato (comma 764), nonché la previsione dell’assorbimento di ulteriori 1.000 unità di tale personale da
parte del Ministero della Giustizia “al fine di supportare il processo di digitalizzazione in corso presso gli uffici giudiziari” e per dare compiuta attuazione al trasferimento al Ministero degli uffici giudiziari in precedenza
decentrati (comma 771).
Infine, il preannuncio della prossima fine del regime speciale dettato dalla legge 190/2014, e poi modificato dal
d.l. 78/2015, tutto rivolto alla soluzione del problema del
personale soprannumerario degli enti di area vasta: le “ordinarie facoltà di assunzione previste dalla normativa vigente sono ripristinate nel momento in cui nel corrispondente ambito regionale è stato ricollocato il personale interessato alla relativa mobilità” (comma 234), reso noto con apposito annuncio sul portale nazionale “Mobilita.gov”, che avrà infine trovato una immediata e concreta ragion d’essere.
La disposizione in questione rintuzza infine l’approccio rigoristico della Corte dei Conti, sezione delle autonomie,
che a partire dalla deliberazione n. 19 del 4 giugno 2015
aveva orientato la propria interpretazione delle disposizioni della l. 190/2014 intorno al fine primario della “completa ricollocazione del personale soprannumerario senza
alcuna limitazione geografica”, negando cioè la possibilità di disapplicazioni parziali, a livello provinciale o regionale: approccio che ora contrasta con l’evidente ansia di
rimozione del problema, che il legislatore non nasconde.
Tuttavia, la preannunciata fine del regime speciale mi-
Focus legge di stabilità
personale
rato alla ricollocazione del personale soprannumerario
degli enti di area vasta suona come una ironia beffarda.
Infatti, le ripristinate “ordinarie facoltà di assunzione” si
traducono nella legge di stabilità 2016 nel ritorno – per
i comuni già soggetti al patto di stabilità (disapplicato a
partire dal 2016) – al noto meccanismo della limitazione
del turn over, e in particolare per il triennio 2016-2018
autorizzando per ciascun anno assunzioni a tempo indeterminato (ma si badi bene, limitatamente al personale non dirigenziale, esclusa la dirigenza) per una spesa non superiore al 25% di quella relativa al medesimo
personale cessato nell’anno precedente (comma 229),
fatta eccezione naturalmente per le procedure di ricollocazione del personale provinciale soprannumerario.
Addirittura, lo stesso comma disapplica per gli anni 2017
e 2018 le più favorevoli percentuali previste dal comma
5-quater dell’art. 3 del d.l. 90/2014 per gli enti la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente è
pari o inferiore al 25% (cioè a partire dal 2015 il 100%
del turnover, peraltro funzionale anche nel 2016 all’operazione di assorbimento del personale soprannumerario
degli enti di area vasta).
Va un po’ meglio per i comuni che già non erano soggetti al patto di stabilità, i quali possono continuare ad
assicurare interamente il turn over, nonché per i comuni
sorti a seguito di fusione e per le unioni di comuni, che
possono procedere ad assunzioni di personale a tempo
indeterminato nel limite del 100% della spesa relativa al
personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente (comma 229).
Si prosegue dunque sul medesimo tracciato delle politiche di riduzione del personale pubblico, quello che ha
portato ad esempio, secondo i dati dell’osservatorio del
MEF sul conto annuale, a una riduzione nel periodo 20072013 da 516.000 a 484.000 unità entro il solo ambito delle regioni e delle autonomie locali, e prima ancora di verificare gli effetti della riforma delle province.
E come detto va ancora peggio per il personale dirigenziale, escluso dal computo per il calcolo delle facoltà assunzionali: per quest’ultimo è stabilito nientemeno che il
blocco delle assunzioni e degli incarichi (comma 219) in
funzione del completamento del processo di ricollocazione del personale dirigenziale degli enti di area vasta eventualmente in soprannumero e soprattutto in attesa dei
decreti attuativi della legge 124/2015, cioè la cosiddetta
“Riforma Madia”, con riferimento alla dirigenza pubblica.
In particolare il comma 219 in questione stabilisce la
“indisponibilità” dei posti dirigenziali (in dotazione organica) vacanti alla data del 15 ottobre 2015 e la risoluzione automatica degli incarichi conferiti dopo quella
21
Focus legge di stabilità
personale
data, tenendo conto di eventuale personale in posizione di studio, in comando o in aspettativa o senza incarico e fatti salvi gli incarichi conseguenti a procedure di
copertura iniziate anteriormente.
Dunque fino a nuovo ordine i posti dirigenziali vacanti alla data del 15 ottobre 2015 possono essere coperti soltanto ad interim o, auspica il legislatore, magari pure eliminati: infatti chiede a regioni e enti locali di provvedere alla ricognizione delle proprie dotazioni organiche dirigenziali e al riordino delle competenze degli uffici apicali “eliminando eventuali duplicazioni” (comma 221). Soltanto le province e le città metropolitane sono esonerate dal blocco, e soltanto per il presidio delle funzioni fondamentali (comma 224).
Anzi, allo scopo di favorire una maggiore flessibilità degli
incarichi dirigenziali, e dunque una loro possibile “razionalizzazione”, la legge di stabilità 2016 giunge perfino a rimuovere il vincolo di esclusività per i dirigenti della polizia municipale e anche dell’avvocatura civica, che potranno d’ora in poi sovraintendere a funzioni più ampie di quelle finora ricoperte in via esclusiva; e sempre in funzione
della flessibilità, a prendere atto che il principio della rotazione degli incarichi dirigenziali, stabilito dall’art. 1, comma 5, della legge 190/2012 ai fini della prevenzione della corruzione, non può essere applicato in strutture di dimensioni troppo limitate senza produrre diseconomie organizzative (ancora il comma 224). Infine viene ribadita e
rafforzata, a mo’ di incentivo alla “razionalizzazione” della
dotazione organica della dirigenza, la facoltà già prevista
dall’art. 4, comma 2, del d.l. 16/2014 per gli enti che non
avessero rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa, di evitare il recupero delle somme compensandole con gli effettivi risparmi derivanti dalla riduzione delle figure apicali (comma 226).
Dulcis in fundo, si fa per dire, di nuovo il blocco del fondo delle risorse decentrate.
Non si è fatto neppure in tempo a prendere atto finalmente della riapertura della fase negoziale per i nuovi CCNL
per il triennio 2016-2018, riapertura obbligata a seguito della sentenza della Corte costituzionale 178/2015: la
legge di stabilità 2016 mette a disposizione per i nuovi
CCNL per le amministrazioni dello stato risorse presso-
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COMUNI D’ITALIA
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ché simboliche (comma 466) che formeranno ovviamente il parametro di riferimento anche per la determinazione degli oneri contrattuali per le altre pubbliche amministrazioni (comma 469).
Ma perché non ci siano dubbi che il legislatore non intende consentire l’innesco di rinnovate dinamiche salariali che facciano leva sull’incremento dei fondi delle risorse decentrate (anche se col bizzarro pretesto di attendere l’adozione dei decreti legislativi attuativi della Riforma Madia ai fini dell’omogeneizzazione del trattamento economico della dirigenza) la legge di stabilità 2016
torna all’antico, cioè sostanzialmente alla originaria versione del comma 2 bis dell’art. 9 del d.l. 78/2010 prima
delle modifiche apportate dalla legge di stabilità 2014.
Il comma 236 infatti stabilisce che dal 2016 “l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente
al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale… non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 ed è comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio”. Con una sola differenza rispetto alla formulazione del comma 2-bis dell’art. 9 del
d.l. 78/2010: che si può tener conto “del personale assumibile ai sensi della normativa vigente”. Ciò che questo significhi nelle intenzioni del legislatore, è però difficile ipotizzare senza mettere radicalmente in discussione il meccanismo di computo sin qui faticosamente costruito (cioè computando solo l’organico effettivo e non
anche quello potenziale).
A margine, fa ora l’effetto di una beffa l’ultimo periodo del comma 2-bis dell’art. 9 del d.l. 78/2010, in base al quale a decorrere dal gennaio 2015 sono state
consolidate le riduzioni delle risorse destinate al trattamento economico accessorio, e che lasciava intendere che si sarebbe quindi tornati a una dinamica normale del fondo.
Anche in questo caso, come in quello del ritorno al turn
over ridotto, e più in generale per l’impostazione di piccolo cabotaggio, la legge di stabilità 2016 delude l’aspettativa, che pure era parsa credibile, del passaggio a una
nuova fase per il personale pubblico, da oltre un quinquennio imprigionato nel cono d’ombra della crisi.
COMUNI D’ITALIA
Focus legge di stabilità
lavoro pubblico
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Ricette sempre uguali
per il lavoro pubblico
e gli enti locali
di Luigi Oliveri
Ricette sempre uguali per il lavoro pubblico e gli enti locali, anche se influenzate dalla grana della ricollocazione dei
dipendenti in esubero di province e città metropolitane.
La legge 208/2015, lungi dal modificare in modo significativo l’impianto complessivo, ormai molto, troppo, complicato, dell’ordinamento del lavoro pubblico, rispolvera
addirittura istituti che sembravano abbandonati, come
l’obbligo di ridurre i fondi decentrati del personale, imposto dal “famigerato” articolo 9, comma 2-bis, del d.l.
78/2010, convertito in legge 122/2010, ripristinato in spolvero dall’articolo 1, comma 236, della legge 208/2015.
Le ragioni di tutto questo sono note e chiare. La spesa
del personale pubblico è l’unico aggregato in costante discesa, grazie appunto a misure come il blocco della contrattazione ed i tetti rigidi alla contrattazione e, adesso, si
aggira intorno ai 152 miliardi, quando solo 8 anni fa era di
circa 173 miliardi. Occorre insistere, perché tutte gli altri
aggregati della spesa pubblica aumentano e perché, a causa della contrazione del Pil, il rapporto tra spesa di personale e Pil rimane costante, nonostante la seconda, come
visto, si riduca anche sensibilmente nel medio periodo.
Dirigenti
La legge 208/2015 non poteva mancare di creare problemi interpretativi, per la verità nel caso di specie, facilmente risolvibili perché oggettivamente di poca fondatezza.
A creare il “caso” è il comma 219 della legge, cui si af-
fida il compito di recuperare, almeno in parte, dalla spesa del personale il finanziamento delle scarsissime risorse da finalizzare al rinnovo contrattuale (circa 300 milioni per i comparti dello Stato; altrettanto si stabilirà, probabilmente, per regioni enti locali).
Il comma 219 dispone che “nelle more dell’adozione dei
decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della
legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell’attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni, sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, e successive modificazioni, come rideterminati
in applicazione dell’articolo 2 del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, vacanti alla data del 15 ottobre 2015, tenendo comunque conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o
con incarico di studio e del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa”.
Tradotto in termini più semplici: non si potranno coprire i posti vacanti di qualifica dirigenziale delle dotazioni
organiche delle amministrazioni statali, come già ridotto a seguito della spending review targata Monti, fino a
quando non entreranno in vigore i decreti legislativi attuativi della riforma Madia della p.a. Tuttavia, resteranno
disponibili, i posti per assorbire i dirigenti privi di incarico
o con incarichi di studio o in comando.
Questo comma va letto in combinazione col successi-
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Focus legge di stabilità
lavoro pubblico
vo 224: “Resta escluso dalle disposizioni di cui al comma 118 il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, delle città metropolitane e
delle province adibito all’esercizio di funzioni fondamentali, degli uffici giudiziari e dell’amministrazione della giustizia, dell’area medica e veterinaria e del ruolo sanitario
del Servizio sanitario nazionale. É escluso altresì il personale delle Agenzie di cui al decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 157”.
Quindi, non c’è il congelamento delle assunzioni delle
qualifiche dirigenziali:
a) per il personale non contrattualizzato;
b) per il personale di province e città metropolitane appartenente alle funzioni fondamentali;
c) per il personale
1. degli uffici giudiziari e dell’amministrazione giudiziaria
2. dell’area medica e veterinaria e dei ruoli del Ssn;
d) per il personale delle Agenzie fiscali.
Sarebbe, però, interessante sapere dal Legislatore a cosa serva la precisazione riferita a province e città metropolitane, visto che a tali enti rimane totalmente ed inviolabilmente vietato di effettuare assunzioni a tempo indeterminato, di dirigenti come di personale di qualsiasi altra qualifica.
Sempre restando sulla questione della dirigenza e della
razionalizzazione della spesa, con connessa riduzione dei
ruoli, il comma 220 rinvia ad un “decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 31 gennaio 2016, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze” il compito di effettuare “la ricognizione delle dotazioni organiche dirigenziali delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie, degli enti pubblici non
economici, degli enti di ricerca, nonché degli enti pubblici di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.
Si tratta, in effetti, di un adempimento estremamente
importante soprattutto in vista della riforma della dirigenza disegnata dall’articolo 11 della legge 124/2015, allo scopo di comprendere quali posti risultino disponibili, visto che è necessario capire che margini di flessibilità vi saranno ai fini della revisione degli incarichi e della
copertura dei posti vacanti. Specie perché tale copertura avverrà in tempi estremamente lunghi: infatti il sistema del corso-concorso e dei concorsi previsto dalla legge 124/2015 richiede un periodo di tre anni prima di consolidare nei ruoli i nuovi dirigenti.
Anche regioni ed enti locali sono chiamati, dal comma
221, ad effettuare la “ricognizione delle proprie dotazioni
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organiche dirigenziali secondo i rispettivi ordinamenti”,
nonché il “riordino delle competenze degli uffici dirigenziali, eliminando eventuali duplicazioni”. Ovviamente, si
tratta di adempimenti di particolare rilievo per le grandi
città e le regioni, enti nei quali è più facile riscontrare casi eventuali di duplicazioni, rispetto a comuni di dimensioni maggiormente contenute ove le dotazioni organiche dirigenziali risultano molto più ristrette.
A proposito di regioni ed enti locali, tornando al problema
interpretativo riguardante il comma 219, secondo parte
della dottrina (1) il comma 219 non si applicherebbe alla
dirigenza locale e regionale.
A suffragare la teoria secondo la quale il comma 219 limiterebbe la propria portata applicativa alle sole amministrazioni dello Stato vi sarebbero due ordini di ragioni.
Un primo, si riferisce ad un’interpretazione letterale. Il
comma, infatti:
a) dispone che “sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia”; ma, la distinzione della dirigenza in prima e seconda fascia non esiste nel
comparto regioni-enti locali;
b) l’indisponibilità riguarda i posti dirigenziali della dotazione organica “come rideterminati in applicazione dell’articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.
135, e successive modificazioni”; ma, l’obbligo di rideterminazione previsto dall’articolo 2 della manovra
Monti riguardava esclusivamente le amministrazioni
dello Stato.
Da qui, dunque, il fronte interpretativo teso a ritenere l’inapplicabilità del comma 219 agli enti locali ritiene di rinvenire la dimostrazione certa della propria teoria.
Tuttavia, questa motivazione di ordine letterale non pare
assolutamente poter costituire la base convincente per
escludere gli enti locali dall’obbligo di rendere indisponibile i posti della dotazione organica.
È proprio l’interpretazione letterale che non lo consente, perché il comma 219 impone di rendere indisponibili
i posti dirigenziali delle dotazioni organiche, vacanti alla
data del 15 ottobre 2015 “delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”. Il
comma si riferisce in modo evidentissimo a tutte le am-
(1) Cfr. P. Monea , M. Mordenti, Organici congelati e turn over
dei dirigenti, agli enti locali serve un’esclusione esplicita, in “Il
Quotidiano degli enti locali”, Il Sole24Ore, 13 gennaio 2015.
Contra, R. Nobile, Nuove indicazioni in materia di assunzioni di
dirigenti negli enti locali e legge di stabilità per il 2016, in “La
gazzetta degli enti locali”, Maggioli, 15 gennaio 2015.
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ministrazioni pubbliche elencate nell’articolo 1, comma
2 (2), del d.lgs. 165/2001, tra le quali sono compresi regioni ed enti locali. Non c’è esclusione alcuna. Al contrario, come visto prima, la legge 208/2015 si premura di
escludere espressamente dall’obbligo di rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione organica, limitatamente al personale non contrattualizzato, al personale di
province e città metropolitane appartenente alle funzioni fondamentali (anche se province e città metropolitane non possono assumere nessun dipendenti), al personale personale degli uffici giudiziari e dell’amministrazione giudiziaria, al personale dell’area medica e veterinaria
e dei ruoli del SSN e al personale delle Agenzie fiscali.
Poiché la legge 208/2015 ha indicato in modo estremamente chiaro gli ambiti ai quali non si estende l’applicazione dell’obbligo di rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione organica, con un’elencazione tassativa e in questa elencazione non sono presenti i dirigenti degli enti locali, proprio l’interpretazione letterale, che
non si limiti a soli piccoli stralci del comma 219, dimostra che esso comma si applichi necessariamente anche agli enti locali.
Il riferimento alla rideterminazione dei posti imposto alle
sole amministrazioni statali dall’articolo 2 del d.l. 95/2012,
è solo un accidente della norma, inserito per indicare
che le amministrazioni soggette al citato articolo 2 del
d.l. 95/2012 debbono, ovviamente, rendere indisponibili i posti vacanti al 15 ottobre 2015, tenendo conto del riordino posto in essere e nulla più. Tale inciso della norma non vale certo ad escludere dall’obbligo le amministrazioni che non fossero state obbligate a riordinare i
posti dirigenziali.
Tra l’altro, non è da dimenticare che il citato d.l. 95/2012
aveva previsto anche in capo agli enti locali la rideterminazione delle dotazioni organiche, per effetto dell’arti-
(2) Se ne riporta il testo: “Per amministrazioni pubbliche si
intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi
gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni
educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad
ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni,
le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le
istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari,
le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura
e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici
nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende
e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
(ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio
1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di
settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano
ad applicarsi anche al CONI”.
Focus legge di stabilità
lavoro pubblico
colo 12, comma 8(3). È un ulteriore accidente che, poi,
non sia stato dato seguito alle previsioni di tale norma.
È per questa ragione che il comma 219 prende in considerazione in modo espresso solo l’adempimento all’articolo 2 del d.l. 95/2012.
Che, sul piano letterale, l’inciso riferito a tale norma sia
solo un elemento accidentale, dunque non essenziale,
lo dimostra la circostanza che cancellando le parole “come rideterminati in applicazione dell’articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni” la norma né perde di significato, né cambia
la sua portata: anche se il legislatore non avesse introdotto questo inciso, è perfettamente evidente che possono essere resi indisponibili solo i posti dirigenziali delle dotazioni organiche come rideterminati.
Un secondo ordine di argomentazioni si fonda sull’autonomia costituzionalmente garantita delle autonomie locali. Dunque, sulla base di una interpretazione “costituzionalmente orientata”, il comma 219 non sarebbe applicabile alle regioni e agli enti locali, dal momento che ai
sensi dell’articolo 117, comma 6 della Costituzione,detti
enti hanno potestà regolamentare “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.
Si tratta di un’argomentazione piuttosto debole, per risultare persuasiva e convincente.
Si rispolvera un tema ormai chiarito molte volte dalla Corte costituzionale: la potestà organizzativa di regioni ed enti locali, si svolge mediante i regolamenti, norme subordinate alla legge, che, per altro, non possono intaccare
la potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Nel caso di specie, la legge 208/2015 appartiene con
(3) Se ne riporta il testo: “Fermi restando i vincoli assunzionali di
cui all’articolo 76, del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito
con legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni ed
integrazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012 d’intesa con
Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i
parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni
organiche degli enti locali, tenendo prioritariamente conto del
rapporto tra dipendenti e popolazione residente. A tal fine è
determinata la media nazionale del personale in servizio presso
gli enti, considerando anche le unità di personale in servizio
presso le società di cui all’articolo 76, comma 7, terzo periodo,
del citato decreto-legge n. 112 del 2008. A decorrere dalla data
di efficacia del decreto gli enti che risultino collocati ad un livello
superiore del 20 per cento rispetto alla media non possono
effettuare assunzioni a qualsiasi titolo; gli enti che risultino
collocati ad un livello superiore del 40 per cento rispetto alla
media applicano le misure di gestione delle eventuali situazioni
di soprannumero di cui all’articolo 2, comma 11, e seguenti”.
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Focus legge di stabilità
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ogni evidenza alla materia trasversale del coordinamento della finanza pubblica, spettante in via esclusiva alla potestà dello Stato, ai sensi dell’articolo 119,
comma 2, della Costituzione. Dunque, né i regolamenti possono derogare alla legge, né si può immaginare
che lo Stato non disponga del potere di esercitare il
coordinamento della finanza pubblica, imponendo vincoli di spesa come quelli oggetti del comma 219, che
congela la possibilità di assumere, con alcune eccezioni, dirigenti pubblici, proprio allo scopo di conseguire effetti di risparmio, coinvolgendo pienamente anche gli enti locali.
Nessun vulnus all’autonomia costituzionale di regioni ed
enti locali pare derivare dal comma 219 anche per altre
ragioni. In primo luogo, il comma 219 non è una disposizione a regime, ma solo transitoria: opera, come essa
stessa dispone, solo “nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell’attuazione dei commi
422, 423, 424 e 425 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni”.
Dunque, l’indisponibilità è solo temporanea. Ed ha un fine ulteriore all’attuazione dei principi di coordinamento
della finanza pubblica: preparare il terreno all’attuazione
della riforma della dirigenza pubblica disposta dalla legge 124/2015, all’evidente scopo di non incrementare il
numero dei dirigenti, mentre è ancora in corso la ricognizione corretta dei posti disponibili, in vista della creazione del “mercato” della dirigenza previsto dall’articolo 11
della legge Madia, che impone al suo avvio coerenza tra
i posti disponibili e i dirigenti incaricati, per evitare che
vi possa essere un esubero dei secondi, rispetto ai primi, tale da inchiodare il sistema prima ancora che parta.
Ricordando che l’articolo 11 della legge 124/2015 riordina la dirigenza in un ruolo unico, in realtà composto di
tre ruoli tra di loro, però, perfettamente interscambiabili,
quello dei dirigenti statali, quello dei dirigenti regionali e
quello dei dirigenti degli enti locali, è del tutto irrazionale immaginare che le sole amministrazioni statali debbano rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione
organica, ai fini dell’attuazione della legge.
Trattandosi, in questo caso, di una normativa direttamente incidente sui rapporti di lavoro, lo Stato dispone di integrale ed esclusiva potestà legislativa, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera g) ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali,
nonché, soprattutto, nella lettera l) in tema di ordinamento civile (e connessa formazione dei rapporti di lavoro).
Pertanto, l’articolo 1, comma 219, della legge 208/2015
non incide negativamente in alcun modo l’autonomia co-
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stituzionalmente garantita di regioni ed enti locali e, dunque, non si può che confermarne la sua completa applicazione anche a detti enti.
D’altra parte, la conferma che gli enti locali debbono rendere indisponibili i posti vacanti dirigenziali è data dal
successivo comma 224, che elenca categorie di personale escluso dal divieto del comma 219 (tra cui il personale non contrattualizzato), specificando che sono da
escludere i dipendenti delle città metropolitane e delle
province adibito all’esercizio di funzioni fondamentali.
Se gli enti locali non fossero coinvolti nel divieto di cui
al comma 219 tale precisazione non sarebbe stata necessaria. Pertanto, comuni e aree vaste non potranno
effettuare assunzioni ai sensi dell’articolo 110, comma
1, del d.lgs 267/2000, in quanto si tratta di contratti a
termine entro la dotazione. Si può ritenere, invece, applicabile il comma 2 dell’articolo 110
Finché non si saranno avverate le condizioni indicate
prima, il comma 219 impedisce di coprire i posti della
dotazione organica, e, dunque, impedisce non solo le
assunzioni a tempo indeterminato, ma anche quelle a
tempo determinato, disciplinate dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 e dall’articolo 110, comma 1,
del d.lgs 267/2000.
Infatti gli incarichi dirigenziali “a contratto”, cioè a tempo determinato, disciplinati da tali disposizioni sono finalizzati a coprire posti dotazionali. Sicché, se i posti
vacanti sono resi indisponibili, questo vale tanto per la
copertura a tempo indeterminato, quanto per gli incarichi a contratto.
La tagliola è particolarmente forte, tanto che gli incarichi dirigenziali conferiti a copertura dei posti da rendere
indisponibili dopo il 15 ottobre 2015 e fino all’1.1.2016
cessano di diritto alla data dell’1.1.2016, con risoluzione dei relativi contratti.
Ai sensi del penultimo periodo del comma 219, “sono fatti salvi i casi per i quali, alla data del 15 ottobre
2015, sia stato avviato il procedimento per il conferimento dell’incarico e, anche dopo la data di entrata in
vigore della presente legge, quelli concernenti i posti
dirigenziali in enti pubblici nazionali o strutture organizzative istituiti dopo il 31 dicembre 2011, i posti dirigenziali specificamente previsti dalla legge o appartenenti a strutture organizzative oggetto di riordino negli anni 2014 e 2015 con riduzione del numero dei posti e,
comunque, gli incarichi conferiti a dirigenti assunti per
concorso pubblico bandito prima della data di entrata in
vigore della presente legge o da espletare a norma del
comma 216, oppure in applicazione delle procedure di
mobilità previste dalla legge”.
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Avvocati e comandanti polizia municipale
Il comma 221si segnala per la soluzione che pone al
problema sollevato da un indirizzo della giurisprudenza amministrativa eccessivamente formalista, secondo
il quale l’avvocatura dei comuni ed i comandanti della
polizia locale non solo non possano essere inserite in
strutture dirigenziali più ampie, ma, soprattutto, possano svolgere esclusivamente detti incarichi, senza commistioni. Il che crea comprensibili problemi organizzativi esattamente ai comuni di dimensioni medio piccole.
Il comma risolve il problema, stabilendo che “Allo scopo di garantire la maggior flessibilità della figura dirigenziale nonché il corretto funzionamento degli uffici,
il conferimento degli incarichi dirigenziali può essere attribuito senza alcun vincolo di esclusività anche al dirigente dell’avvocatura civica e della polizia municipale”.
Quindi, queste figure dirigenziali potranno essere al vertice di strutture organizzative “miste”. Sembra abbastanza
evidente che il richiamo alla “flessibilità” delle figure dirigenziali contenute nel comma 221 sia un’ulteriore risposta
al tema posto in merito al comma 219: gli enti locali possono e debbono fare fronte all’impossibilità di assumere
nuove figure dirigenziali, mediante il riordino degli incarichi esistenti, valorizzando le figure in servizio.
Rotazione dei dirigenti negli enti locali
Ma, l’esiguità della dotazione organica dirigenziale degli
enti di minori dimensioni pone anche il problema, in verità irrisolvibile, della loro rotazione. Anche in questo caso, il comma 221 della legge 20/2015 sacrifica la forma
e le velleità della normativa anticorruzione alla sostanza:
“Per la medesima finalità, non trovano applicazione le
disposizioni adottate ai sensi dell’articolo 1, comma 5,
della legge 6 novembre 2012, n. 190, ove la dimensione dell’ente risulti incompatibile con la rotazione dell’incarico dirigenziale”.
Il legislatore, dunque, prende con ritardo atto che la rotazione è uno strumento importante, ma sostanzialmente
velleitario, laddove i numeri non la permettano.
Fondi contrattuali illegittimamente costituiti
Il successivo comma direttamente rilevante per gli enti
locali è il 226, che introduce un’intersecazione di difficile comprensione (e probabilmente scarsa utilità), con le
Focus legge di stabilità
lavoro pubblico
disposizioni del “salva Roma” a proposito dei rimedi apprestati alla costituzione e/o distribuzione del salario accessorio affetta da vizi di legittimità.
Il comma prevede che “Le regioni e gli enti locali che
hanno conseguito gli obiettivi di finanza, pubblica possono compensare le somme da recuperare di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4(4) del decreto-
(4) Se ne riporta il testo: “1. Le regioni e gli enti locali che
non hanno rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione
collettiva integrativa sono obbligati a recuperare integralmente,
a valere sulle risorse finanziarie a questa destinate,
rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale,
le somme indebitamente erogate mediante il graduale
riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un
numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si
è verificato il superamento di tali vincoli. Nei predetti casi, le
regioni ((adottano)) misure di contenimento della spesa per il
personale, ulteriori rispetto a quelle già previste dalla vigente
normativa, mediante l’attuazione di piani di riorganizzazione
finalizzati alla razionalizzazione e allo snellimento delle strutture
burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di
uffici con la contestuale riduzione delle dotazioni organiche del
personale dirigenziale in misura non inferiore al 20 per cento
e della spesa complessiva del personale non dirigenziale ((in
misura)) non inferiore al 10 per cento. Gli enti locali adottano
le misure di razionalizzazione organizzativa garantendo in ogni
caso la riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri
definiti dal decreto di cui all’articolo 263, comma 2, del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Al fine di conseguire
l’effettivo contenimento della spesa, alle unità di personale
eventualmente risultanti in soprannumero all’esito dei predetti
piani obbligatori di riorganizzazione si applicano le disposizioni
previste dall’articolo 2, commi 11 e 12, del decreto-legge 6
luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge
7 agosto 2012, n. 135, nei limiti temporali della vigenza della
predetta norma. Le cessazioni dal servizio conseguenti alle
misure di cui al precedente periodo non possono essere
calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare
delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il
numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del
turn over. Le Regioni e gli enti locali trasmettono ((entro il 31
maggio di ciascun anno)) alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero
dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria
generale dello Stato e al Ministero dell’interno - Dipartimento
per gli affari interni e territoriali, ai fini del relativo monitoraggio,
una relazione illustrativa ed una relazione tecnico-finanziaria
che, con riferimento al mancato rispetto dei vincoli finanziari,
dia conto dell’adozione dei piani obbligatori di riorganizzazione
e delle specifiche misure previste dai medesimi per il
contenimento della spesa per il personale ((ovvero delle
misure di cui al terzo periodo)).
2. Le regioni e gli enti locali che hanno rispettato il patto di
stabilità interno possono compensare le somme da recuperare
di cui al primo periodo del comma 1, anche attraverso l’utilizzo dei
risparmi effettivamente derivanti dalle misure di razionalizzazione
organizzativa di cui al secondo e terzo periodo del comma 1
nonché di quelli derivanti dall’attuazione dell’articolo 16, commi
4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
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Focus legge di stabilità
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legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito, con modificazioni,
dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, anche attraverso l’utilizzo dei risparmi effettivamente derivanti dalle misure di
razionalizzazione organizzativa adottate ai sensi del comma 221, certificati dall’organo di revisione, comprensivi di quelli derivanti dall’applicazione del comma 228”.
La disposizione è molto simile a quanto già previsto appunto dall’articolo 4 del “decreto salva Roma”. Esso, infatti, già consente di utilizzare i risparmi derivanti dalla razionalizzazione delle dotazioni organiche dirigenziali
(estendendo agli enti locali misure che il d.l. 95/2012 indica alle amministrazioni statali). Dunque, il riordino della dirigenza come derivante dall’attuazione del comma
221 del ddl di stabilità appare palpabilmente di scarsissima utilità, perché già insito nelle previsioni normative già vigenti.
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
((3. Fermo restando l’obbligo di recupero previsto dai commi
1 e 2, non si applicano le disposizioni di cui al quinto periodo
del comma 3-quinquies dell’articolo 40 del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, agli atti di costituzione e di utilizzo dei
fondi, comunque costituiti, per la contrattazione decentrata
adottati anteriormente ai termini di adeguamento previsti
dall’articolo 65 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.
150, e successive modificazioni, che non abbiano comportato
il riconoscimento giudiziale della responsabilità erariale,
adottati dalle regioni e dagli enti locali che hanno rispettato
il patto di stabilità interno, la vigente disciplina in materia di
spese e assunzione di personale, nonché le disposizioni di cui
all’articolo 9, commi 1, 2-bis, 21 e 28, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni)).
((3-bis. Al fine di prevenire l’insorgere di contenziosi a carico
delle amministrazioni coinvolte, le regioni e gli enti locali che, nel
periodo 2010-2013, hanno attivato, anche attraverso l’utilizzo
dei propri organismi partecipati, anche superando i vincoli
previsti dalla normativa vigente in materia di contenimento
complessivo della spesa di personale limitatamente alla
parte di spesa coperta dai finanziamenti regionali, iniziative di
politica attiva del lavoro finalizzate alla creazione di soluzioni
occupazionali a tempo determinato dei lavoratori di cui
all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio
2000, n. 81, e all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo
7 agosto 1997, n. 280, possono, limitatamente al medesimo
periodo, provvedere al pagamento delle competenze
retributive maturate, nel rispetto del patto di stabilità interno e
nei limiti delle disponibilità finanziarie, garantendo comunque la
salvaguardia degli equilibri di bilancio, senza che cio’ determini
l’applicazione delle sanzioni previste dalla legislazione vigente.
3-ter. Le disposizioni di cui al comma 3-bis sono limitate ai soli
aspetti retributivi e non possono in alcun modo comportare
il consolidamento delle posizioni lavorative acquisite in
violazione dei vincoli di finanza pubblica.
3-quater. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 4, comma
8, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e dall’articolo
1, comma 209, della legge 27 dicembre 2013, n. 147))”.
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Non appare, poi, chiaro quali sarebbero i risparmi utilizzabili per attutire gli effetti del taglio alle risorse decentrate allo scopo di sanarne i vizi, scaturenti dall’applicazione del comma 228.
È opportuno riportare, allora, il testo di tale comma
228: “Le amministrazioni di cui all’articolo 3, comma
5, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito,
con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114,
e successive modificazioni, possono procedere, per gli
anni 2016, 2017 e 2018, ad assunzioni di personale a
tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per
ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25 per
cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente. In relazione a quanto previsto
dal primo periodo del presente comma, al solo fine di
definire il processo di mobilità del personale degli enti
di area vasta destinato a funzioni non fondamentali, come individuato dall’articolo 1, comma 421, della legge
n. 190 del 2014, restano ferme le percentuali stabilite
dall’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno
2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge
11 agosto 2014, n. 114. Il comma 5-quater dell’articolo
3 del decreto-legge 24 giugno 2014, n, 90, convertito,
con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114,
è disapplicato con riferimento agli anni 2017 e 2018”.
Anche una lettura poco attenta di tale comma, in realtà molto involuto e complesso, rivela che esso non serve allo scopo di reperire i finanziamenti a compensazione delle maggiori spese derivanti da fondi contrattuale
illecitamente costituiti o le cui risorse siano state illecitamente distribuite.
Dal comma 228 non deriva alcun risparmio. Esso, contiene nel 25% della spesa del personale cessato l’anno
precedente il limite al turn over. Ma, questa disposizione non determina una minore spesa rispetto ad un flusso precedentemente autorizzato, perché, al contrario, limita proprio lo stanziamento e, dunque, il flusso stesso della spesa. Gli enti, insomma, non sono autorizzati
a far proprie le risorse del 75% del costo delle assunzioni, per finanziare così spese mediante il bilancio. Semplicemente, potranno stanziare per il personale meno di
quanto sarebbe concesso se il turn-over non incontrasse i limiti imposti dalla legge.
Talmente il comma 226 serve a poco, che, come è noto,
non è di aiuto alcuno per dare soluzione al problema del
comune di Roma, ove le ispezioni della Ragioneria generale dello Stato hanno rilevato esattamente quei vizi di
utilizzo e costituzione del fondo, che hanno dato origine
all’articolo 4 del d.l. 16/2014, non a caso noto come “sal-
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va Roma”. I fatti, com’era facile pronosticare(5), hanno dimostrato che la norma non ha salvato alcunché, in quanto
insufficiente a determinare una reale chiusura dei problemi
derivanti dall’applicazione della contrattazione collettiva.
Tanto è vero che già si parla di modifiche al comma 226,
allo scopo di renderlo davvero efficace per risolvere le
questioni legate all’applicazione delle complesse e convulse regole sulla contrattazione collettiva.
Tetto alle assunzioni
Andiamo ad esaminare, adesso, proprio il già visto comma
228 (il 227 si riferisce alle amministrazioni dello Stato) e le
regole nuove, ma vecchie, relative ai limiti alle assunzioni.
Il comma contiene una serie di precetti:
1. un giro di vite al tetto al turnover, che viene drasticamente abbassato per tutti gli anni 2016, 2017 e 2018
al solo 25% della spesa del personale non avente
qualifica dirigenziale (le assunzioni dei dirigenti sono
sostanzialmente bloccate, come visto sopra) cessato l’anno precedente. Il tutto, contraddicendo la flessibilizzazione delle assunzioni e la “staffetta generazionale” di cui si era tanto parlato (a sproposito) nel
2014, a seguito dell’approvazione del d.l. 90/2014;
2. la conferma del regime di congelamento delle assunzioni disposto dall’articolo 1, comma 424, della legge
190/2014, per agevolare la ricollocazione del personale provinciale in sovrannumero con:
a. la precisazione che nel 2016, ultimo anno di applicazione del regime straordinario di cui al citato articolo 1, comma 424, resta ferma la percentuale
dell’80% della spesa del personale cessato l’anno
precedente;
3. la disapplicazione, per i soli anni 2017 e 2018, del “bonus” concesso agli enti virtuosi dall’articolo 3, comma
5-quater, del d.l. 90/2014, a mente del quale agli enti locali la cui incidenza delle spese di personale sulla
spesa corrente è pari o inferiore al 25 per cento, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato entro il 100% del turnover.
Il comma 228, come si nota, non brilla assolutamente
per chiarezza e sistematicità e sarà fonte certa di intoppi operativi ed interpretativi.
Si può, però, affermare che, fino a quando non si sarà
(5) L. Oliveri, Contratti decentrati. La lezione del “caso”Roma”
in “La Settimana degli enti locali”, ed. Maggioli, n. 18/2014 e
Sanatoria dei contratti decentrati: occorre correggere il tiro, in
www.leggioggi.it, Maggioli.
Focus legge di stabilità
lavoro pubblico
concluso il processo di ricollocazione dei poco meno di
2.000 dipendenti provinciali ancora in sovrannumero, nel
2016 gli enti locali avranno ancora in sostanza la possibilità di destinare a tali ricollocazioni il 100 della spesa delle cessazioni avvenute nel 2016, detratte (se vi sono) le
spese per assunzioni di vincitori di concorsi appartenenti
a graduatorie vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015.
C’è da ricordare che laddove a livello regionale tutti i dipendenti in sovrannumero siano stati ricollocati, il Dipartimento della funzione pubblica potrà sbloccare le assunzioni per i comuni del territorio di quelle regioni, come
prevede il comma 234 della legge 208/2015.
Di fatto, dunque, la conferma della percentuale del turn
over all’80% del costo del personale cessato l’anno precedente (2015), ai fini della ricollocazione dei dipendenti
provinciali in sovrannumero, non serve assolutamente a
nulla, visto che si mantiene ferma la possibilità di utilizzare il 100% del turn over.
Invece, le assunzioni non riferite al personale delle province in sovrannumero potranno essere finanziate:
a) con le risorse del triennio 2012-2014 non spese (ma,
in realtà le risorse del 2014 dovrebbero essere state
erose dalle esigenze di ricollocazione del personale
provinciale del 2015…);
b) con il 25% della spesa del personale cessato, che finanzia nella sostanza le assunzioni ammesse dal combinato disposto della deliberazione della Sezione Autonomie della Corte dei conti 19/2015 e dell’articolo
4 del d.l. 78/2015: di fatto, le figure da adibire ai servizi sociali e dell’istruzione, caratterizzati da profili infungibili o titoli di studio del tutto peculiari (educatori
asili nido e assistenti sociali).
Se nel 2016 si chiuderà la vicenda della ricollocazione dei
sovrannumerari, allora si ripristineranno le vecchie regole: niente più congelamento delle assunzioni, ma il limite sarà quello del 25% della spesa del personale cessato nel 2015; probabilmente sarà utilizzabile, però, l’incentivo per gli enti virtuosi, previsto dall’articolo 3, comma
5-quater, del d.l. 90/2014, ma per l’ultima volta, visto che
non sarà applicabile negli anni 2017 e 2018.
È da ribadire che il comma 228 autorizza le amministrazioni
locali ad effettuare “assunzioni di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale”. Tale comma, quindi,
appare un’ulteriore dimostrazione che il comma 219 impedisca l’assunzione di dirigenti anche agli enti locali, in conseguenza dell’indisponibilità dei posti vacanti al 15 ottobre
2015 della dotazione organica dirigenziale. Tuttavia, il comma 228 estende a un triennio l’operatività di un blocco che,
invece, per il comma 219 è molto più limitato nel tempo. Occorrerà un coordinamento tra le due disposizioni.
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Focus legge di stabilità
lavoro pubblico
Blocco contratti decentrati
Il comma 236, di fatto, ripristina sia pure in forme leggermente diverse, le famigerate disposizioni dell’articolo 9, commi 1 e 2-bis, del d.l. 78/2010, reintroducendo il blocco della contrattazione decentrata: “Nelle
more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli
articoli 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, con
particolare riferimento all’omogeneizzazione del trattamento economico fondamentale e accessorio della dirigenza, tenuto conto delle esigenze di finanza pubblica, a decorrere dal 1° gennaio 2016 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di
cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, non
può superare il corrispondente importo determinato per
l’anno 2015 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale
in servizio, tenendo conto del personale assumibile ai
sensi della normativa vigente”.
Per quanto la norma non sia destinata a durare a lungo,
in quanto l’attuazione della riforma Madia della p.a. dovrebbe farne cessare l’efficacia, per un tempo difficilmente inferiore all’anno 2016 sortirà effetti già noti e visti:
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COMUNI D’ITALIA
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a) fissare un tetto all’ammontare complessivo delle risorse decentrate, che non sarà più quello del 2010,
bensì quello del 2015, oltre il quale non sarà possibile spingersi;
b) ridurre detto ammontare in proporzione alla cessazione del personale in servizio.
C’è, però, una new entry (perché il passato si ripete,
ma mai, in effetti, esattamente uguale, bensì sempre
entropizzato da vizi deformanti): la necessità di tenere
conto “del personale assumbile ai sensi della normativa vigente”. Si tratta di una fantastica espressione che
nemmeno la Sibilla cumana sarebbe riuscita a rendere
più criptica. Così, nel 2016 ci sarà occasione non solo
di rispolverare i conteggi più assurdi e ovviamente mai
dettati dal legislatore su come computare i tagli da apportare ai fondi decentrati per effetto delle cessazioni, ma anche di scervellarsi per capire cosa mai significhi effettuare quei tagli, ma tenendo conto del personale assumibile: cioè, tagliarli solo se non sia assunto
il personale assumibile? O solo fino per il periodo nel
quale detto personale non sia assunto?
Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, Aran,
Funzione Pubblica e Ragioneria generale dello stato possono essere contenti: scaldino i motori: il 2016 sarà occasione per rendere ancora più caotico l’ordinamento con pareri
che, come sempre, diranno tutto ed il suo esatto contrario.
COMUNI D’ITALIA
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Speciale: potere di ordinanza del sindaco
quadro generale
Il potere di ordinanza
del Sindaco oltre
i provvedimenti contingibili
ed urgenti
di Massimiliano Alesio
Di regola, si è indotti a collegare l’esercizio del potere di
ordinanza del Sindaco, nella duplice veste di Ufficiale di
Governo o di Capo dell’amministrazione comunale, a situazioni caratterizzate da contingibilità ed urgenza. Siffatto collegamento sorge spontaneo in ragione dei chiari riferimenti normativi, che dopo brevemente esamineremo
(1). Disposizioni normative, che espressamente radicano il
potere di ordinanza del Sindaco in relazione all’insorgere di
situazioni emergenziali e provvisorie. Tuttavia, esiste un’isolata fattispecie, in cui le ordinanze sindacali non trovano il loro fondamento giustificativo nelle or indicate situazioni. Si tratta dell’articolo 192 del d.lgs. n. 152/2006(2),
maggiormente noto come Codice dell’ambiente, il quale, in tema di divieto di abbandono di rifiuti, ai commi 1° e
2° stabilisce quanto segue: “L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo
stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee”. In buona sostanza, la disposizione normativa proibisce, in primo luogo, la condotta di abbandono e di de-
posito “incontrollato” di rifiuti sul suolo e nel suolo. L’aggettivo “incontrollato” viene intenzionalmente evidenziato attraverso le parentesi, in quanto, come vedremo in seguito, costituisce il primario elemento di radicamento della competenza del Sindaco. Ora, nel successivo comma
3, viene stabilito che (3) “chiunque viola i divieti di cui ai
commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, (...)
Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti
obbligati ed al recupero delle somme anticipate”. Eccoci al punto importante: la disposizione normativa conferisce al Sindaco, e non ad altri (4), il potere e la competenza ad emettere l’ordinanza per il rispetto delle condotte
vietate. Ciò, pure in assenza di situazioni emergenziali e
contingibili. Perché? Perché viene prevista la competenza sindacale pur in assenza delle predette situazioni? Invero, la dottrina e, soprattutto la giurisprudenza, si sono
interrogate in merito, non fornendo una piena risposta al-
(1) Il riferimento è agli articoli 54, comma 4 e 50, comma 5, del
d.lgs. n. 267/2000.
(2) Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale” (G.U. n. 88 del 14 aprile 2006).
(3) Fatta salva l’applicazione della sanzioni previste dagli articoli 255 e 256 del Codice dell’ambiente.
(4) Dirigente o Responsabile d’area titolare di posizione organizzativa.
1. Premessa
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Speciale: potere di ordinanza del sindaco
quadro generale
la domanda. Infatti, hanno giustificato la competenza sindacale rispetto a quella dirigenziale (5), facendo ricorso a
diversi elementi, anche condivisibili, quale quello del criterio di specialità (disciplina speciale, quale quella del Codice dell’ambiente, prevalente su quella generale) e quello cronologico (la disposizione del Codice dell’ambiente è
temporalmente successiva) (6). Tuttavia, non hanno fornito risposta alla domanda principale: perché il Legislatore del 2006 ha attribuito tale potere al Sindaco? Perché
ha fatto tale scelta e non quella diversa di conferire il potere al dirigente? Anche nella più recente giurisprudenza,
a tale domanda non viene data risposta (7).
Il presente contributo intende tentare di fornire una risposta in merito, ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività o di definitività, con l’unico reale scopo di sollecitare
una riflessione. A tal riguardo, è indispensabile precisare
la natura ed il ruolo delle ordinanze contingibili ed urgenti,
quale strumento primario di intervento e di azione del Sindaco nell’ambito locale, a fronte di situazioni emergenziali.
2. Le ordinanze contingibili ed urgenti: natura giuridica ed inquadramento costituzionale
L’inserimento delle ordinanze contingibili ed urgenti nel novero delle fonti di diritto, in forza della loro vis derogatoria
rispetto alla legge e dei precetti generali ed astratti in essi contenuti, è andato progressivamente svalutandosi, tramontando l’idea della loro natura normativa (8). Tale tipologia di provvedimento, proprio in relazione alla contingibilità, cui è portato a far fronte, appare incapace di innovare
stabilmente l’ordinamento, provvedendo a sovrastare, sospendere o invalidare l’applicazione di precetti normativi
(5) Competenza, che dovrebbe imporsi in base all’articolo 107,
comma 5, del d.lgs. n. 267/2000.
(6) Giova precisare ed anticipare che l’orientamento maggioritario della giurisprudenza conferisce il potere di ordinanza
in questione al Sindaco. Tuttavia, sussiste, seppur temporalmente risalente, un contrario orientamento.
(7) Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2016, n. 57, si limita
a ribadire la competenza del Sindaco sulla base dei richiamati
criteri di specialità e cronologico.
(8) Giova ricordare che, nel linguaggio giuridico, il termine ordinanza indicava, in passato, atti di diversa natura ed efficacia
ed aveva un significato generico ed imprecisato. Con questa
categoria di atti, si tendevano a designare alcuni atti del sovrano, soprattutto di natura normativa, atti imperativi dello Stato
diversi dalla legge e dalla sentenza, atti del Governo con valore
di legge, atti normativi di secondo grado, atti amministrativi
generali, atti emanati sul presupposto della necessità e dell’urgenza. In tal senso: M. A imonetto, Le ordinanze del Sindaco e
dei dirigenti comunali, Rimini, 1999.
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COMUNI D’ITALIA
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per un limitatissimo periodo temporale, quale è appunto
l’attualità della contingenza che l’ha determinata. Proprio
in riferimento a quest’ultima caratteristica, occorre tener
conto di una risalente, ma fortemente significativa presa
di posizione della Corte costituzionale. Precisamente, il
giudice delle leggi, attraverso la sentenza n. 4/1977, negando la natura normativa delle ordinanze d’urgenza, ne
sottolineava invece una mera natura provvedimentale in
relazione alla loro incapacità di modificare in maniera stabile ed irreversibile l’assetto normativo. In particolare, la
Corte ha evidenziato che “le ordinanze contingibili ed urgenti, anche se e quando normative, non sono certamente ricomprese tra le fonti del nostro ordinamento giuridico; non innovano al diritto oggettivo; né, tanto meno, sono
equiparabili ad atti con forza di legge, per il sol fatto di essere eccezionalmente autorizzate a provvedere in deroga
alla legge. Tali ordinanze, sia che si rivolgano a destinatari
determinati, prescrivendo loro un comportamento puntuale, sia che dispongano per una generalità di soggetti e per
una serie di casi possibili, ma sempre entro i limiti, anche
temporali, della concreta situazione di fatto che si tratta di
fronteggiare, sono provvedimenti amministrativi, soggetti, come ogni altro, ai controlli giurisdizionali esperibili nei
confronti di tutti gli atti amministrativi”. A sostegno del carattere non normativo delle ordinanze, parte della dottrina
ha sostenuto che la qualificazione in termini amministrativi delle ordinanze contingibili ed urgenti ha consentito di
portare l’attenzione del sindacato del giudice amministrativo, non solo sugli elementi di fatto, su cui si fonda il potere di ordinanza, ma soprattutto sul rapporto tra questi
elementi e la deroga alle norme legislative, insieme con
la congruità della relativa motivazione(9). I sostenitori di
tale orientamento fanno leva su di una duplice considerazione: a) anche in caso di connotazione generale delle misure adottate, la temporaneità delle statuizioni, destinate
a cadere con il venir meno della situazione legittimante,
è incompatibile con il carattere normativo; b) occorre tener conto che la capacità di questa categoria di ordinanze
di innovare il diritto vigente determina non tanto un effetto abrogativo, quanto piuttosto un effetto derogatorio rispetto alla legislazione ordinaria, sospendendone soltanto l’applicazione per il tempo strettamente necessario per
affrontare la situazione di pericolo, tanto che venute meno
le condizioni, che ne avevano indotto l’adozione, le disposizioni derogate tornano a produrre effetti. Invero, secondo altro orientamento (c.d. orientamento intermedio fra i
due contrapposti indirizzi: quello che propugna la natura
(9) In tal senso: Sorrentino F., Le fonti del diritto amministrativo, Padova, 2004.
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amministrativa e quello che propugna, invece, la natura
normativa), le ordinanze contingibili ed urgenti presentano un carattere generalmente amministrativo ed eccezionalmente normativo, potendo contenere precetti generali ed astrattamente idonei ad innovare, sia pure entro un
limitato periodo di tempo, l’ordinamento giuridico. In tal
senso, è stato affermato che “negli ordinamenti contemporanei, gli atti normativi sono tutti nominati e definiti dalle norme sulla normazione e fra essi non si includono le
ordinanze d’urgenza”(10). Ad ogni modo, pur nelle differenti visioni, appare ben chiaro che l’emanazione delle ordinanze di urgenza costituisce un potere eccezionale, attraverso il cui esercizio la pubblica amministrazione incide gravemente nella sfera giuridica dei cittadini, anche al
di là di ciò che dispone la legge. Pertanto, siffatto potere
può essere esercitato solo da quegli organi, a cui l’ordinamento giuridico tassativamente lo attribuisce.
Per quanto riguarda l’inquadramento costituzionale, si è
già evidenziato che il Giudice delle leggi (11) ha affermato la natura generalmente amministrativa delle ordinanze
e solo eccezionalmente normativa, ove contengano precetti generali ed astratti. Occorre, però, chiarire che, per
valenza normativa-derogatoria, si intende solo un effetto
di sospensione della normativa vigente, non certo un effetto di abrogazione. Invero, qualche anno prima, la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 8 del 2.7.1956, ha individuato i criteri, ai quali devono attenersi tali ordinanze: a)
efficacia temporale limitata al permanere della situazione
di necessità; b) adeguata motivazione; c) efficace pubblicazione, nei casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale; d) conformità ai principi generali dell’ordinamento giuridico e, primariamente, ai principi costituzionali; e) non operatività in materie coperte da riserva
assoluta di legge. Particolarmente importante, ad avviso
del Giudice delle leggi, è la conformità ai principi generali dell’ordinamento giuridico. Così, nel giudicare sulla conformità alla Costituzione della norma, di cui all’articolo 2
del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (12), che
attribuisce un generale potere di deroga all’Autorità amministrativa (13), la Corte costituzionale, con una sentenza interpretativa di accoglimento, ha dichiarato illegittima
la norma, nei limiti in cui attribuisce ai prefetti il potere di
emettere ordinanze, senza il rispetto dei principi dell’ordi-
(10) Lo Torto A., Le ordinanze necessitate e la potestà di deroga, in I TAR, 1990, vol. II, 137.
(11) Sentenza n. 4 del 4.10.1977.
(12) R.d. 18 giugno 1931 n. 773.
(13) “Il prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha la facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili
per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.
Speciale: potere di ordinanza del sindaco
quadro generale
namento giuridico (14). La Corte ha precisato, in proposito, che le ordinanze contingibili ed urgenti “non solo devono rispettare quei precetti costituzionali che siano inderogabili anche per il legislatore ordinario, ma devono mantenersi nei limiti dei principi dell’ordinamento giuridico dello Stato. I criteri atti ad assicurare il rispetto dei questi limiti devono essere fissati nella legge attributiva della potestà. L’art. 2 del testo unico delle leggi di p.s. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) è illegittimo solo in quanto attribuisce ai
prefetti il potere di adottare, in caso di urgenza o per grave necessità pubblica, provvedimenti ritenuti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, senza fissare criteri idonei ad assicurare che la discrezionalità degli indicati organi amministrativi si eserciti nel
rispetto dei limiti dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
3. Le ordinanze contingibili ed urgenti: l’indeterminatezza del contenuto quale ulteriore giustificazione della competenza sindacale
Analizzando la normativa in materia, soprattutto i già richiamati articoli 50, comma 5 e 54, comma 4 del d.lgs. n.
267/2000, appare chiaro che le ordinanze in esame esigono la presenza di puntuali presupposti di azione.
In primo luogo, la sussistenza di una situazione eccezionale, imprevedibile ed urgente, la quale costituisce un
elemento pacifico ed indiscusso delle ordinanze, fra l’altro ripetutamente confermato dalla giurisprudenza, anche recente: “Qualora si verifichino situazioni di eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e
dell’ambiente e non si possa altrimenti provvedere, il Sindaco ha il potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente”(15). Il presupposto della contingibilità indica la sussistenza di una situazione temporale ed
accidentale, la quale si ricollega strettamente all’altro requisito della residualità, inteso come impossibilità di utilizzare altri strumenti ordinari, concretamente idonei alla
tutela dell’interesse leso, o esposto a pregiudizio(16). Ul(14) Sentenza n. 26 del 27.5.1961.
(15) TAR Puglia, sez. Lecce I, 2 dicembre 2015, n. 3477.
(16) In tal senso: “Il potere del Sindaco di emanare ordinanze
contingibili ed urgenti presuppone la necessità di provvedere
con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale
e imprevedibile costituenti concreta minaccia per la pubblica
incolumità, cui sia impossibile far fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento” (TAR Lazio, sez. Roma II-bis,
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Speciale: potere di ordinanza del sindaco
quadro generale
teriore presupposto delle ordinanze contingibili ed urgenti è rappresentato dalla sussistenza di una situazione di
pericolo. La giurisprudenza è ben chiara al riguardo: “La
possibilità di ricorrere allo strumento dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un
pericolo concreto ed attuale, che impone di provvedere
in via d’urgenza con strumenti extra ordinem, per porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati
dall’ordinamento” (17).
Oltre i presupposti ora indicati, occorre tener conto di un
altro elemento indefettibile delle ordinanze contingibili ed
urgenti: l’indeterminatezza del contenuto delle medesime. Invero, tale elemento, più che porsi come requisito legittimante, si atteggia a postulato caratterizzante tali ordinanze, le quali, appunto, si contraddistinguono proprio in virtù del loro contenuto non predeterminato. Certo, tali ordinanze devono rispettare i corollari indicati dalla Corte costituzionale e, cioè i principi generali dell’ordinamento giuridico, sub specie di conformità ai precetti costituzionali, come quelli relativi a materie coperte da
riserva assoluta di legge, nonché gli altri principi generali dell’ordinamento non deducibili da norme costituzionali. La giurisprudenza, anche recente, ben richiama infatti tali obblighi: “Per quanto abilitate in via provvisoria, per
far fronte ad emergenze sanitarie o di igiene pubblica e
per finalità di prevenzione di gravi pericoli per l’incolumità pubblica, a disporre per la situazione di urgenza e necessità, senza che il contenuto del provvedimento sia predeterminato dalla legge, dovendo lo stesso adeguarsi alle circostanze concrete, le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti non possono disattendere i principi generali
dell’ordinamento, tra i quali il principio di separazione dei
poteri, che esclude l’esercizio di poteri legislativi, o di poteri spettanti ad altri organi costituzionali, ad opera di autorità amministrative”(18).
Tuttavia, al di là di tali insopprimibili obblighi, resta l’inequivoco fatto, il quale si pone come elemento fortemente
caratterizzante, che siffatte ordinanze costituiscono strumenti atipici per quanto attiene al contenuto, in quanto la
legge predetermina unicamente i presupposti per l’esercizio del potere, ma non il contenuto del medesimo. La giurisprudenza è ben chiara al riguardo: “L’atipicità, infatti, è
conseguenza della funzione dell’istituto, considerato che
le situazioni di urgenza concretamente verificabili non so-
n. 12694/2015).
(17) TAR Campania, sez. Salerno I, 13 gennaio 2016, n. 11.
(18) TAR Marche, sez. I, n. 37/2014.
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COMUNI D’ITALIA
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no prevedibili a priori e, quindi, non è possibile prevedere
il contenuto che l’ordinanza dovrà avere per fronteggiare
la situazione di urgenza”(19). Dunque, ordinanze che debbono rispettare i “supremi principi”, ma che si caratterizzano pur sempre per un contenuto non determinato. In
altri termini, tale contenuto dovrà essere “inventato”(20)
al momento dell’insorgere della situazione emergenziale,
al fine di fronteggiare la medesima. A ben vedere, la predetta situazione emergenziale funge da fonte per così dire eteronoma dell’esercizio del potere: ossia il suo accertamento, oltre che indefettibile presupposto di legittimità, ne conforma il contenuto. Le misure concretamente
individuate ed adottate devono, infatti, essere adeguate, ragionevoli e proporzionate allo stato di pericolo come previamente accertato che, ovviamente, presuppone, a monte, l’individuazione della causa generatrice. Un
potere di analisi e di accertamento della situazione contingente, certo imbrigliato dall’obbligo del rispetto dei richiamati principi, ma pur sempre “forte”, in quanto capace di dar luogo a misure ed interventi dal contenuto non
previsto dal Legislatore.
Orbene, la presenza di un siffatto forte e peculiare potere
non può che esigere che la sua attribuzione sia conferita
non ad un organo ordinario di gestione, quale il dirigente,
ma ad un organo “diverso”, un organo caratterizzato da
funzioni “politiche” e non amministrative. Un organo che
possa assumersi la responsabilità non solo amministrativa dell’ordinanza, in quanto si tratta di decidere il contenuto della medesima. Un contenuto, come già detto, non
predeterminato. Tale organo non può che essere espressione del potere politico, che, in quanto diretto al perseguimento dei fini generali, non può che assumersi la delicata responsabilità di individuare, in concreto, il preciso
contenuto del provvedimento straordinario(21).
Ed, infatti, il potere di adottare le ordinanze contingibili ed
urgenti, proprio in ragione dell’illustrata indeterminatezza
del contenuto, è conferito ad organi politici in senso lato,
come si evince dal seguente elenco:
a) Le ordinanze emanate dal Presidente del Consiglio dei
ministri o, per sua delega, dal Ministro per il coordinamento della protezione civile, nonché dal Prefetto che
opera quale loro delegato, ai sensi dell’articolo 5 della
(19) TAR Molise, sez. I, n. 104/2014.
(20) Il termine è volutamente forte ed anche esagerato, ma è
idoneo ad illustrare il concetto.
(21) “Il suum dell’atto politico, di cui all’art. 7, comma 1, d.lgs.
n. 104/2010, è dato dalla sussistenza di una libertà nel fine
che impedisce, in ragione dell’assenza del necessario parametro giuridico, l’estrinsecazione del sindacato giurisdizionale”
(Cons. Stato, sez. V, n. 6002/2012)
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legge 225/1992, per l’attuazione degli interventi conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza(22), a
seguito di calamità naturali, catastrofi o altri eventi che,
per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari(23).
b) Le ordinanze emanate, ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 833/1978 e dell’articolo 117 del d.lgs. n. 112/1998,
in caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica, dal
Ministro della salute, dal Presidente della giunta regionale o dal sindaco, con efficacia estesa, rispettivamente, all’intero territorio nazionale o parte di esso comprendente più regioni, alla regione o parte del suo territorio comprendente più comuni, al territorio comunale.
c) Le ordinanze emanate dal Prefetto, quale autorità provinciale di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 2 del
r.d. 733/1931 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), in caso di urgenza, o grave necessità pubblica,
se indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica e giammai rivolti a superare una
mera inerzia amministrativa.
Siffatta peculiarità (contenuto indeterminato - potere di ordinanza ad organi non propriamente amministrativi) è pienamente confermata in ambito locale. Infatti, come ben
noto, abbiamo:
- Le ordinanze contingibili ed urgenti, emanate dal Sindaco, quale rappresentante della comunità locale, nell’esercizio di competenza esclusiva che non può essere
delegata ad altri organi, ai sensi dell’articolo 50, com-
(22) “Le situazioni di emergenza, prese in considerazione
dall’art. 5, legge n. 225 del 1992, consentono l’esercizio di poteri
derogatori della normativa primaria solo a condizione che si tratti
di deroghe temporalmente delimitate, non anche di abrogazione
o modifica di norme vigenti, e sempre che tali poteri siano ben
definiti nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio, non
potendo in particolare il loro impiego realizzarsi senza che sia
specificato il nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e
le norme di cui si consente la temporanea sospensione” (Consiglio di Stato, sez. IV , 28 ottobre 2011 n. 5799).
(23) La giurisprudenza è ben chiara al riguardo: “Allorquando
la Presidenza del Consiglio dei Ministri ex art. 5, l. n. 225 del
1992 attribuisce poteri straordinari ad un organo governativo
(ovvero ad un organo che sia emanazione dello stesso), l’ordinanza commissariale attributiva del potere commissariale ha la
forza di apportare deroga alla legislazione ordinaria, comprensiva anche dello stesso art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000. Pertanto,
alcun dubbio può sussistere circa il persistere, alla data del 31
gennaio 2008, della competenza del Sindaco di Napoli, quale
Commissario delegato ad adottare provvedimenti contingibili
ed urgenti volti a sollecitare l’esecuzione di lavori tesi all’eliminazione di dissesti e del consequenziale stato di pericolo per la
pubblica e privata incolumità delle persone” (TAR Campania,
Napoli, sez. V, n. 3076/2009). Il Consiglio di Stato (sentenza n.
654/2011) parla di amplissima potestà discrezionale.
Speciale: potere di ordinanza del sindaco
quadro generale
ma 5°, del d.lgs. n. 267/2000, in caso di emergenze
sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale (24).
- Le ordinanze contingibili ed urgenti, emanate dal Sindaco, quale ufficiale del Governo, ai sensi dell’articolo 54 del d.lgs. 267/2000, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (25).
4. Le ordinanze comunali di rimozione
dei rifiuti abbandonati: le precisazioni
della giurisprudenza
Preso atto che l’indeterminatezza del contenuto giustifica
l’attribuzione del potere di ordinanza di urgenza al Sindaco, ritorniamo alla nostra domanda: perché il potere di ordinanza, previsto dal comma 3°, dell’articolo 192 del Codice dell’ambiente, viene attribuito al Sindaco, nonostante che non si sia in presenza di un provvedimento contingibile ed urgente?
L’abbondante contenzioso, che ha interessato la disposizione normativa ora richiamata consente di sciogliere, se
non in modo radicalmente definitivo, i seguenti nodi interpretativi.
· Obbligatorietà del contraddittorio con l’interessato. È
oramai acquisito che la previsione contenuta nella predetta disposizione (“[…] in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati […]”)
debba essere osservata a pena di illegittimità dell’ordinanza di rimozione, che conclude il relativo procedimento (26).
· Irresponsabilità del proprietario incolpevole. Oltre che
nei confronti del soggetto responsabile dell’abbando-
(24) Interessante è il seguente arresto giurisprudenziale:
“Dopo l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, il sindacato del g.a. sulle ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, ex art. 50 t.u.e.l., non è più esteso anche
al merito; l’art. 134 del codice non include, infatti, tali atti tra
quelli relativamente ai quali la cognizione è estesa anche al
merito, per cui detti provvedimenti non possono più essere
pienamente sindacati dal g.a. non solo con riferimento a tutti
gli aspetti concernenti la legittimità, ma anche ai profili relativi
alla sufficienza ed alla attendibilità delle disposte istruttorie ed
alla convenienza, opportunità ed equità delle determinazioni
adottate” (TAR Abruzzo, sez. Pescara I, n. 264/2011).
(25) Il vicesindaco, diversamente che nelle ordinanze ex art.
50, comma 5, TUEL, può emanare questo diverso tipo di ordinanze. In tal senso: TAR Calabria, sez. Catanzaro, sez. I, n.
606/2011.
(26) In tal senso: TAR Campania, sez. Napoli VI, n. 393/2014;
TAR Puglia, sez. Lecce, n. 303/2013.
35
Speciale: potere di ordinanza del sindaco
quadro generale
no, l’ordinanza di rimozione rifiuti abbandonati può essere indirizzata anche al proprietario o altro titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale
violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa. Affinché sia legittima tale estensione, il Consiglio di Stato (27) (sentenza 17 luglio 2014, n. 3786) ha affermato
che “in un quadro normativo volto a tutelare l'integrità
dell'ambiente, il comma 3 dell’art. 192 non prevede una
ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui: se vi
è un abbandono di rifiuti avente il carattere della repentinità e della irresistibilità, se avvisa dell'accaduto la pubblica autorità e pone in essere le misure esigibili per evitare il ripetersi dell'accaduto, il proprietario non può essere considerato responsabile, per il suo solo titolo di proprietario”. All’opposto, ed al di là delle ipotesi di connivenza o complicità con gli autori dell’abbandono, è prevista la responsabilità a titolo di colpa del proprietario,
che quindi legittima l’emissione di ordinanza sindacale
anche nei suoi confronti, principalmente in caso di negligenza, che si verifica anche quando, per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche, nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare la verificazione dell'abbandono dei rifiuti. Esemplificativamente, è stata ritenuta
sovente sufficiente, ai fini dell’esonero da responsabilità, la condotta del proprietario che abbia provveduto a
recintare il proprio terreno, poi fatto oggetto dell’abbandono ed abbia prontamente segnalato l’abbandono alle Autorità (28); oppure che abbia effettuato un accettabile livello di vigilanza sul fondo stesso, senza potersi
pretendere che il proprietario la eserciti in maniera costante ed ininterrotta, di giorno e di notte (29).
Discorso più complesso ed articolato deve essere condot-
(27) Cons. Stato, sez. V, n. 3786/2014.
(28) In tal senso: TAR Puglia, Lecce n. 357/2014.
(29) In tal senso: TAR Campania, Napoli, n. 1486/2013 ed anche Cons. Stato, sez. V, n. 935/2005. Significativamente, il
TAR Lombardia, Milano, ha osservato che “l’ordine di rimozione dei rifiuti presenti sul fondo può essere rivolto al proprietario solo quando ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell’illecito, per avere cioè posto in essere
un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso
o colposo, dovendosi escludere che la norma citata configuri
un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva, con conseguente illegittimità degli ordini di smaltimento dei rifiuti, ancorché
fondati su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime
di esperienza, rivolti al proprietario di un fondo in ragione della
sua mera qualità, ed in mancanza di adeguata dimostrazione
da parte dell’Amministrazione procedente, sulla base di un’istruttoria completa e di un’esauriente motivazione, dell’imputabilità soggettiva della condotta” (sentenza 29.1.2014, n.
312).
36
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to in relazione alla problematica dell'individuazione dell'organo competente all'adozione dell'ordinanza.
In giurisprudenza, negli anni precedenti, si era consolidato l’orientamento per cui “....il potere di adottare ordinanze per disporre la rimozione e l’avvio al recupero di rifiuti
abbandonati non spetta al sindaco, ma rientra nella generale competenza gestionale dei dirigenti”(30), dovendosi ricomprendere questo tipo di ordinanze nell'ambito dei
provvedimenti con rilevanza esterna, non inclusi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo politico amministrativo degli organi di governo dell'ente e non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale(31). Pertanto, si sosteneva la competenza dirigenziale, in quanto l’ordinanza di rimozione dei rifiuti, se non è caratterizzata da situazioni di pericolo, per le
quali sono giustificate misure di messa in sicurezza d’emergenza (in relazione, ad esempio, a rifiuti speciali tossici e nocivi giacenti al suolo), non rientra nella categoria
di quelle contingibili ed urgenti. Anche perché siffatta ordinanza non si presenta come un “atto a contenuto indeterminato”, nel quale vengono enunciati solo taluni elementi del potere: la competenza, il fine di interesse pubblico, i presupposti di necessità e urgenza. Tale orientamento è stato confortato, osservando che la disposizione, di cui all’articolo 192 del codice dell’ambiente, attribuisce si la competenza al Sindaco, ma occorre tener conto dei reali assetti di competenze all’interno degli enti locali. Precisamente, in virtù del principio sulla separazione
tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali, di cui
all’articolo 107 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali(32), la predetta disposizione deve essere letta alla luce del nuovo principio, per il quale spetta
ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa
quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati”(33). Ancor
più esplicitamente, si è affermato che: “La soluzione non
cambia neppure dopo l’adozione del d.lgs. 3 aprile 2006,
n. 152, il cui articolo 192, comma 3, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui all’art.
14, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 22/1997” (34).
Tuttavia, la giurisprudenza più recente afferma la competenza sindacale, in base a due precise ragioni. In primo
luogo, in base al criterio della specialità: la disposizione normativa ha inteso conferire al Sindaco un potere speciale
ed ultroneo, che travalica l’ordinario assetto delle compe-
(30) TAR Abruzzo, sez. Pescara n. 145/2006.
(31) TAR Sardegna, sez. I, n. 104 /2005.
(32) D.lgs. n. 267/2000.
(33) TAR Basilicata, sez. I, n. 457/2007.
(34) TAR Sardegna, sez. II, n. 1598/2009.
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tenze dirigenziali, disciplinato dall’articolo 107 del d.lgs. n.
267/2000. In secondo luogo, il criterio della cronologia: la
disposizione normativa in esame risale al 2006, quindi ben
sei anni dopo il decreto legislativo in materia di enti locali, emanato nel 2000. Paradigmatica è stata la seguente
pronuncia: “L’art. 192, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006,
n. 152, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art.
107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 TUEL, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre
con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed
allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2 e, in base
agli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie
normative (criterio della specialità e criterio cronologico),
prevale sul disposto dell’art. 107 , comma 5, del d.lgs. n.
267/2000”(35). Successivamente, si è puntualizzato che
l’articolo 192, comma 3, costituisce una vera norma speciale, sopravvenuta rispetto all’articolo 107, comma 5, del
d.lgs. n. 267/2000. Tale norma, in modo inequivoco, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti (36).
Attualmente, a fronte di qualche isolata pronuncia (37), la
tesi della competenza sindacale appare nettamente maggioritaria, come statuito anche recentemente: "Per la pacifica giurisprudenza di questa Sezione, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, è una disposizione speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del d.lgs.
n. 267/2000, ed attribuisce espressamente al Sindaco la
competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste
dal comma 2. La disposizione sopravvenuta prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000 " (38).
5. Le ordinanze comunali di rimozione dei rifiuti abbandonati: alla ricerca della "peculiarità" giustificante
Possiamo, ora, tentare di fornire una risposta alla domanda già precedentemente avanzata: perché il potere di ordinanza, previsto dal comma 3°, dell'articolo 192 del Codice dell'ambiente, viene attribuito al Sindaco, nonostante che non si sia in presenza di un provvedimento contingibile ed urgente?
Ecco, il percorso giuridico-concettuale da intraprendere,
al fine di esaudire l'oggetto del quesito, deve prendere le
(35) Cons. Stato, sez. V, n. 4061/2008.
(36) TAR Veneto, sez. III, n. 40/2009.
(37) TAR Calabria, sez. Catanzaro I, n. 714/2012.
(38) Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2016, n. 57.
Speciale: potere di ordinanza del sindaco
quadro generale
mosse da un dato oggettivo: l'ordinanza, espressamente
attribuita alla competenza del Sindaco, non è collegata ad
una situazione prettamente emergenziale. Infatti, la condotta di abbandono e di deposito di rifiuti, oltre che quella di immissione di rifiuti nelle acque, non determina automaticamente l'insorgere di una situazione contingibile
ed urgente. Certo, la notevole quantità di rifiuti, illegittimamente abbandonati e depositati, potrebbe cagionare una
situazione di emergenza ambientale. Tuttavia, la disposizione normativa non contempla espressamente tale ipotesi. Anzi, tale omissione induce a ritenere che la fattispecie concreta, cui intende riferirsi la disposizione normativa, sia quella di una situazione non straordinaria, caratterizzata dalla presenza di rifiuti abbandonati e depositati in
modo incontrollato, al di là delle quantità.
Preso atto dell'assenza di una situazione emergenziale,
quale presupposto fondante del potere di ordinanza, non
ci resta che analizzare il "contenuto" dell'ordinanza. In altri
termini, accertato l'abbandono ed il deposito incontrollato
di rifiuti, cosa può effettivamente ingiungere il Sindaco?
Il comma 3 ci fornisce una risposta: "Il Sindaco dispone
con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il
termine entro cui provvedere, decorso il quale procede
all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate". Ecco: il contenuto dell'ordinanza non è determinato! La disposizione normativa
non indica precise misure, ma si limita ad indicare che il
Sindaco deve ordinare le operazioni a tal fine necessarie,
cioè gli interventi, le azioni, che egli (il Sindaco) reputa
come indispensabili per tutelare l'area, soprattutto sotto
il profilo ambientale. Certo, probabilmente, il Sindaco ingiungerà interventi di rimozione, recupero o smaltimento dei rifiuti (laddove il recupero dei medesimi non fosse possibile) e, quindi, di ripristino dello stato dei luoghi.
Tuttavia, a ben vedere, all'interno delle probabili ingiunzioni di rimozione, recupero o smaltimento e ripristino,
sussiste una discrezionalità, sia tecnica che amministrativa, relativamente all'individuazione delle concrete misure. Queste non sono predeterminate e devono essere
individuate e selezionate dal Sindaco. Quindi, un contenuto possibile dell'ordinanza, seppur non integralmente
indeterminato, ma pur sempre ampio e tendenzialmente
generico. Un contenuto, che deve essere "scritto e deciso" in modo discrezionale e non ancorato a precise misure predeterminate ("operazioni necessarie").
Un contenuto non propriamente determinato, che esige
scelte ed opzioni concrete, che sembrano travalicare la
normale competenza gestionale dei dirigenti e che impone il radicamento del potere in capo ad un organo prettamente politico, oltre che anche amministrativo: il Sindaco.
37
Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
COMUNI D’ITALIA
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Libertà religiosa e tutela
della sicurezza pubblica
in Europa ed in Italia
I segni religiosi ed il divieto di burqa:
dalla legge “reale” alla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo
di Francesco Vergine
I recenti fatti di cronaca riportano in evidenza alcune questioni d’interesse generale relative alla convivenza tra
credi religiosi e ancor più al tema dei limiti della libertà di religione
Si tratta in particolare del problema relativo ai modi di
esercizio di libertà generalmente riconosciute in occidente e ai limiti che le libertà dell’individuo possono sopportare in relazione all’esigenza di tutela della sicurezza
e dell’ordine pubblico, sub specie di prevenzione e repressione dei reati.
Si pensi alla nota vicenda del velo islamico femminile nelle sue diverse forme, alla collocazione sul territorio di luoghi di culto autorizzati quali moschee, all’uso di luoghi di
ritrovo di associazioni islamiche per l’esercizio del culto
e della libertà di riunione in genere di persone di varie etnie, nazionalità, credi, fino all’esposizione di simboli religiosi nei luoghi pubblici ed in particolare il crocefisso nelle scuole e nelle aule di giustizia, per arrivare a temi che
toccano la dignità e l’integrità fisica della donna tra cui,
oltre all’obbligo del velo, le mutilazioni genitali femminili.
Parlamenti e giudici nazionali ed europei hanno dovuto
occuparsi spesso negli ultimi anni di tali vicende, onde
individuare un difficile punto di equilibrio tra diritti di liber-
38
tà e talora contrapposte esigenze imperative di interesse
generale, legate ad interessi pubblici primari.
Si consideri che il contemperamento tra diritti di libertà dell’individuo di rilievo costituzionale e beni giuridici
primari quali la sovranità e l’ordinamento repubblicano,
la vita e l’integrità fisica dei singoli, la sicurezza, spesso
appare difficile da raggiungere, specie laddove diversi
sono gli attori della trama in esame, il legislatore, i giudici nazionali ed europei, i partiti politici ed altri ancora.
Non par dubbio che ruolo centrale assumano i Parlamenti in Europa, chiamati a fissare detto equilibrio attraverso
norme che incontrano i limiti delle disposizioni costituzionali e dei principi relativi alla tutela dei diritti della persona.
Nel nostro paese ritorna periodicamente, tra altri, il tema
del velo islamico femminile nei luoghi pubblici o aperti
al pubblico in modo indifferenziato, quali uffici delle amministrazioni, scuole, ospedali, ecc., nelle diverse forme
che esso assume nelle tradizioni islamiche (1) .
(1) Il burqa è una tunica azzurra che copre tutto il corpo, compresi gli occhi ,con una griglia.
davanti solo per permettere di vedere; il niqab ha un velo che
copre il capo e il volto, lasciando solo gli occhi scoperti; il khi-
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Da ultimo la Regione Lombardia ha introdotto disposizioni che prevedono il riconoscimento totale di chi accede
agli edifici regionali, stabilendo che non potranno più accedere a questi edifici le persone che indossano burqa,
niqab, casco integrale o passamontagna.
Ruolo centrale nelle vicende relative ai modi di esercizio
di alcune libertà, tra cui quella di culto, ha svolto il giudice
delle leggi, fissando alcuni principi che ancor oggi sono
capisaldi di ogni ragionamento in materia anche in ordine
al profilo del rapporto tra lo Stato e la religione cattolica.
La Corte Costituzionale, nella famosa sentenza 12 aprile 1989, n. 203, sull’ora di religione nelle scuole, ha infatti affermato che «il principio supremo della laicità dello Stato [...] è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica».
La Corte ha precisato che «Il principio di laicità [...] implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni
ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà
di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Allo Stato « spetta [...] il compito di garantire le
condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di
tutti e, in questo ambito, della libertà di religione» (Corte Cost.sent. n. 334/1996).
Il principio supremo di laicità caratterizza «in senso pluralistico la forma del nostro Stato, entro il quale hanno
da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse» (Corte Cost., sentenza n. 508/ 2000).
Occorre allora rammentare le coordinate costituzionali in
argomento, costituite dall’art.8 Cost. secondo cui “Tutte
le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”, e hanno diritto di organizzarsi “ secondo i propri
statuti” purchè non in contrasto “con l’ordinamento giuridico italiano”. L’art. 19 Cost. stabilisce inoltre la libertà di professione della propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di propaganda e di esercizio anche in pubblico, purché “non si tratti di riti contrari al buon costume”.
L’art. 8 Cost. in particolare può essere letto congiuntamente all’art. 2 Cost., che garantisce i diritti inviolabili della persona, tra cui si può annoverare il credo religioso,
nel suo aspetto del “foro interno”, mentre l’art. 19 Cost.,
garantendone le forme di organizzazione e di espressione, concerne la libertà del “foro esterno”.
mar, un lungo velo che copre interamente i capelli, il collo e le
spalle ma non il viso; il chador, un velo nero che copre tutto il
corpo, chiuso al mento ma lascia scoperto il volto; l’al amira,
formato da due parti, una raccoglie i capelli, l’altra copre il collo; l’hijab un foulard che copre il collo e i capelli, ma non il viso,
scendendo sulle spalle e sul petto; il sitar velo supplementare che alcune donne in hijab tunica utilizzano insieme a guanti
per coprire anche le mani.
Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
Il quadro costituzionale e dei principi comunitari deve essere tratteggiato facendo poi specifico riferimento alle
norme europee in tema di libertà di culto.
Di rilievo è anzitutto nel diritto europeo l’art. 9 Convenzione europea diritti dell’uomo, CEDU, che riconosce ad
ogni persona le libertà di pensiero, di coscienza, di religione, il cui esercizio peraltro è soggetto da un lato al rispetto della legge , dall’altro alla protezione dei diritti fondamentali della persona , come espressamente disposto
al secondo comma: CEDU, art. 9, comma 2: “La libertà
di manifestare la propria religione o il proprio credo non
può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza,
la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui”.
La Corte EDU di Strasburgo ha in proposito precisato che
la limitazione all’esercizio di una libertà fondamentale è
coerente con la Convenzione a tre condizioni: 1. solo la
legge può prevedere limitazioni; 2. le norme devono risultare proporzionate allo scopo perseguito; 3. lo scopo
perseguito deve essere legittimo.
L’art. 9 CEDU in particolare garantisce sia la libertà di
religione (il c.d. “foro interno”: «Ogni persona ha diritto alla libertà [...] di religione; tale diritto include la libertà
di cambiare religione o credo»), sia le relative forme di
manifestazione , ovvero il c.d. “foro esterno”: «tale diritto include [...] la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente,
in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti», incluso il diritto di
fare proselitismo e quello di portare un abbigliamento in
conformità a precetti religiosi .
Se il foro interno si sostanzia in un diritto soggettivo assoluto e non suscettibile di alcuna restrizione, le forme
di manifestazione della libertà di religione (foro esterno)
possono invece subire delle limitazioni, alle condizioni
stabilite dall’art. 9, comma 2, CEDU sopra citato.
I limiti che il legislatore può prevedere devono quindi
essere fondati sulla prioritaria tutela di interessi generali ed imperativi: pubblica sicurezza, protezione dell’ordine, salute o a morale pubblica, protezione dei diritti e
della libertà altrui.
Occorre quindi verificare come conciliare la tutela assoluta del foro interno con la tutela relativa del foro esterno. La soluzione dipende da come viene affrontata la
questione della compatibilità dei simboli religiosi negli
spazi pubblici di una «società democratica» e, più in generale, dell’ambito da riconoscere alla libertà religiosa
e di coscienza in Europa.
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Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
La dottrina sostiene in merito che “la questione dell’ostensione dei simboli religiosi o dell’abbigliamento religiosamente caratterizzato rappresenta la punta dell’iceberg di un difficile bilanciamento fra il quantum di laicità richiesto ad uno Stato secolare e le domande sociali di inclusione delle forme di espressione delle diversità
culturali, religiose ed etniche nella sfera pubblica. In sintesi, si tratta del rapporto tra la neutralità statale e le appartenenze identitarie di tipo religioso nelle società democratiche pluraliste e multiculturali, nelle quali il problema giuridico principale consiste nel ricercare un punto di
equilibrio tra la tutela del “diritto alla diversità” e le esigenze della maggioranza”(2).
Analogo principio è richiamato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea detta anche Carta di Nizza, proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e
Commissione.
La proclamazione solenne, tuttavia, non rese la Carta
giuridicamente vincolante. L’adozione del progetto di Costituzione per l’Europa, sottoscritto nel 2004, avrebbe
conferito alla Carta un carattere vincolante. Il fallimento
del processo di ratifica ha fatto sì che la Carta rimanesse una mera dichiarazione di diritti sino all’adozione del
trattato di Lisbona.
Il 1o dicembre 2009, la Carta è diventata giuridicamente
vincolante. L’articolo 6, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea (TUE) stabilisce ora che «[l]’Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi sanciti nella Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea [...], che ha
lo stesso valore giuridico dei trattati».
La Carta, pertanto, rientra nel diritto primario dell’Unione
europea e in quanto tale funge da parametro per esaminare la validità del diritto secondario dell’UE e delle misure nazionali.
Ha quindi assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea.
Essa è dunque vincolante per le istituzioni europee e gli
Stati membri e si pone allo stesso livello di trattati e protocolli allegati.
Ai nostri fini ricordiamo allora che la Carta di Nizza riconosce ad ogni persona la libertà di pensiero, di coscienza, di
religione ed in particolare il diritto di ciascuno di manifestare
la propria convinzione anche in pubblico, attraverso le varie
forme possibili, le pratiche e l’osservanza dei riti (art. 10).
(2) Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Chambre, sentenza 1° luglio 2014, S.A.S. contro Francia, ricorso n.
43835/11 , p. 11, di Umberto G. Zingales, in federalismi.it
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È ivi precisato che i limiti all’esercizio di libertà riconosciute dalla Carta devono essere previsti dalla legge e rispettare il principio di proporzionalità. In particolare eventuali
limitazioni si ritengono proporzionate e quindi si ammettono solo in due ipotesi generali:
1. se siano necessarie per esigenze imperative di interesse generale riconosciute nell’Unione europea;
2. se poste per garantire diritti o libertà altrui (art. 52).
L’art. 52 della Carta di Nizza, sulla portata dei diritti garantiti, fissa così le condizioni delle eventuali limitazioni
all’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali e stabilisce che i diritti fondati sui trattati europei si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dagli stessi, mentre
per i diritti corrispondenti a quelli della CEDU, il significato e la portata degli uni sono uguali a quelli degli altri,
salva restando la possibilità di una protezione più estesa da parte dell’Unione europea.
Quanto al sistema delle limitazioni ai diritti e alle libertà
è opportuno rilevare che la formula utilizzata dalla Carta
si ispira alla giurisprudenza della Corte di Giustizia e, in
particolare, alla sentenza 13 aprile 2000 (Corte di Giustizia, causa C-297/97, Karlsson), dove la Corte di Lussemburgo afferma : «secondo una giurisprudenza costante, restrizioni all’esercizio di questi diritti possono essere operate (…) purchè tali restrizioni rispondano effettivamente a finalità di interesse generale perseguite dalla
Comunità e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato ed inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti».
Pare utile allora rammentare che nel dibattito attuale le
ragioni addotte per limitare l’uso del velo alle donne in
pubblico sono almeno tre: la dignità della donna e la sua
eguaglianza con l’uomo; la tutela della sicurezza pubblica; la prevenzione specifica di reati di terrorismo. Ci si
deve allora chiedere se le limitazioni siano rispondenti o
meno all’interesse generale e siano coerenti con i principi costituzionali ed europei.
Uno sguardo va dato alla realtà d’oltralpe, dove dal 2004
sono vigenti norme restrittive in materia di uso del velo
femminile islamico.
Attualmente la legislazione francese contempla due
diverse leggi, la prima del 2004, la seconda del 2010,
che toccano direttamente il tema dei simboli religiosi
e del loro uso in luoghi pubblici tra cui gli istituti scolastici, prova inconfutabile che in quel paese il tema è
da qualche decennio ormai molto sentito per varie ragioni, tra cui la massiccia presenza di immigrati di credo musulmano.
In Francia nel 2004 è stata adottata la legge sostenuta dal Presidente Chirac, che ha vietato l’ostensione dei
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simboli religiosi negli istituti scolastici (Loi n. 2004-228,
del 15 marzo 2004).
Anche il Presidente Sarkozy, eletto nel 2007, ha affrontato la tematica dell’abbigliamento religioso con particolare riguardo al burqa e al niqab, dichiarando nel 2009 al
Congresso di Versailles che il burqa non è il benvenuto sul territorio francese perché offensivo per la dignità delle donne.
Le affermazioni del Presidente erano state sostenute nel
2008 dal deputato Jacques Mayard che aveva presentato
un progetto di legge al fine di contrastare gli attacchi alla
dignità della donna nella pratica religiosa (« Proposition
de loi vivant à lutter contre les atteintes à la dignité de
la femme résultant de certaines pratiqued religieuses»).
L’anno successivo, Bernard Accoyer, Presidente dell’Assemblea Nazionale, e Gerard Larcher, Presidente del Senato, hanno presentato congiuntamente un ulteriore progetto che ha proposto di interdire abbigliamenti e accessori che celano l’identità delle donne («Proposition de loi
à interdire l’ensemble des vêtements ou accessoires permettano de pasque l’identité d’une personne»), al fine di
tutelare l’ordine pubblico e di agevolare un processo di
promozione dei tradizionali valori repubblicani.
Con particolare riferimento all’abbigliamento che nasconde il volto, il Governo ha poi costituito una Commissione parlamentare presieduta da Andrea Gerin, deputato
del partito comunista francese, che, in data 26 gennaio 2010, dopo una lunga serie di audizioni, ha presentato all’Assemblea nazionale un rapporto nel quale si qualificava il burqa come un segno di schiavitù incompatibile con i principi della Repubblica.
Tale posizione, tuttavia, non ha avuto unanimi consensi in
Francia: è stata, infatti, espressa da più parti la perplessità che lo strumento legislativo non sia sufficiente a garantire il risultato sperato. Un precedente eclatante che
alimenta tali timori è quello delle alunne della scuola francese che furono ritirate dall’istituto dai rispettivi genitori.
Secondo la maggioranza parlamentare, l’approvazione
del divieto legislativo del burqa o del niqab rappresenta
uno strumento per la difesa della laicità dello Stato, senza per questo limitare la libertà di religione degli immigrati musulmani. Tra gli argomenti utilizzati è l’affermazione
secondo cui il velo integrale sarebbe soltanto un’intollerabile umiliazione per le donne; inoltre viene rammentato che secondo i conoscitori del Corano non esisterebbero regole religiose che espressamente impongono il
velo alle donne nelle sue diverse forme conosciute (cfr.
in Italia il parere del comitato per l’islam italiano reso su
ddl di modifica l. 152/1975).
Si arriva così nel luglio 2010 all’approvazione da parte
Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
della Assemblea nazionale francese della legge che vieta il burqa (con 336 voti favorevoli ed uno contrario); il
Senato vara definitivamente il 14 settembre la legge n.
2010/1192, in vigore dall’11 aprile 2011.
Il provvedimento si applica sia nei luoghi pubblici che
in quelli aperti al pubblico e la violazione del divieto per
chi indossa il burqa comporta una sanzione pecuniaria.
A partire dai sei mesi successivi alla pubblicazione della
stessa legge, tuttavia, chi costringe qualcuno ad indossare il velo integrale potrà essere punito con la reclusione (fino ad un anno) e con il pagamento di un’ammenda di 30000 euro. Tale sanzione viene raddoppiata se la
donna è minore d’età.
Il Conseil Constitutionnel , con decisione 7 ottobre 2010,
2010-613 DC, ha ritenuto la legge conforme a Costituzione, con una riserva: proibire l’occultamento del viso in
luoghi pubblici non può comunque restringere – in contrasto con l’art. 10 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e
del cittadino del 1789 – l’esercizio della libertà di religione nei luoghi di preghiera aperti al pubblico(3).
In particolare, l’art. 1 della legge n. 2010-1192 stabilisce:
«Nul ne peut, dans l’espace public, porter une tenue destinée à dissimuler son visage».
Per “spazio pubblico” si intendono le pubbliche vie e i
luoghi aperti al pubblico o affidati ad un servizio pubblico. Il divieto non opera se l’abbigliamento che nasconde il volto è prescritto o autorizzato da disposizioni legislative o regolamentari, oppure se è giustificato da ragioni di salute o da motivi professionali ovvero se si iscrive
nel quadro di pratiche sportive, di feste o di manifestazioni artistiche o tradizionali (art. 2). Su tali aspetti, si vedano anche le circolari del Primo Ministro del 2 marzo
2011 (pubblicata nel journal officiel del 3 marzo 2011) e
del Ministro dell’interno del 31 marzo 2011.
In caso di violazione del divieto imposto dalla legge è
prevista una sanzione massima di centocinquanta euro,
oltre all’obbligo di seguire un corso di educazione civica (art. 3); una sanzione è stabilita anche per coloro che
costringono altri a nascondere il volto, puniti con un anno di detenzione ed una ammenda di trentamila euro (le
pene sono raddoppiate nel caso in cui i fatti siano compiuti a danno di minori).
In generale, i casi fondamentali in materia vedono coinvolte discipline che vietano in presenza di certe condizioni di indossare il velo in stati che hanno fatto proprio il principio di laicità in senso “negativo”. Ci si riferisce ai divieti previsti in Francia e in Turchia, posti all’at-
(3) Cfr. A. Fornerod, Les «affaires de burqa» en France, in
“Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, 1/2012, 63 e ss.
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Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
tenzione della Corte europea nei casi Leyla Sahin c. Turchia (2005) e S.a.s. c. Francia76 (2014), nonché nel caso Ahmet Arslan c. Turchia (2010), l’unico in cui la Corte europea ha ravvisato una violazione della Convenzione europea per via dell’applicazione di sanzioni penali e
restrizioni della libertà di manifestare in capo a soggetti
che indossavano indumenti religiosi (maschili).
Particolare rilievo ha avuto oltralpe la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani su alcune controversie
relative alla legislazione francese in esame.
Con la sentenza S.A.S vs France del 1° luglio 2014 la
Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che la legge francese dell’ottobre 2010,
contenente il divieto di indossare qualunque capo di abbigliamento che copra il volto, non viola la Convenzione.
La Corte riconosce che il divieto intacca sia il diritto alla
vita privata, protetto dall’art. 8 della CEDU, che la libertà religiosa, protetta dall’art. 9, ma ritiene che “la Francia ha un ampio margine di apprezzamento” (par. 155)
in quanto la restrizione imposta rientra in quelle “misure necessarie in una società democratica… per la protezione dei diritti e della libertà altrui”, che entrambi gli articoli autorizzano.
In concreto, la Corte EDU stabilisce che coprire il volto viola il “diritto altrui ad abitare uno spazio di socializzazione che facilita il vivere insieme” (par. 122). La legge francese, inoltre, soddisfa i requisiti di proporzionalità cui il margine di apprezzamento è sottoposto, prevedendo una sanzione amministrativa di lieve entità (150
euro) e un divieto limitato al volto e non ad un qualsiasi
abbigliamento religiosamente connotato o tradizionale,
quale il semplice velo, il chador o la jilaba, che risultano
in generale ammessi nello spazio pubblico (salve le restrizioni per i luoghi di lavoro statali).
La Corte EDU tuttavia chiarisce nella motivazione che
le ragioni del divieto non vanno ricercate altrove se non
nella “fraternitè”, valore fondamentale nella costituzione francese, che esprime tra l’altro la regola del diritto
a vivere insieme: “vivre ensamble” è per la Corte un diritto di ciascuno, che comporta l’obbligo di mostrare il
volto, nonostante le dissenting opinions di due dei giudici di Strasburgo.
Vengono invece escluse dal ragionamento motivazioni
quali la dignità della donna, la sua eguaglianza, la sicurezza pubblica, la laicità degli spazi pubblici nei quali trova applicazione il divieto di burqa.
La tutela della pubblica sicurezza in particolare, consentita dagli artt. 8 e 9 CEDU , postula una valutazione in
concreto, per la Corte EDU, esigendosi un rischio generalizzato che all’epoca non era ritenuto sussistere; il di-
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vieto assoluto di portare il velo integrale in pubblico è ritenuto non proporzionato se non in presenza di un contesto soggetto a rischio. Quindi si sarebbe potuto ritenere proporzionato solo un divieto negli aeroporti e nelle foto sui documenti d’identità.
In definitiva dal principio di fraternità (fraternitè) secondo la CEDU deriva la regola di mostrare il volto in pubblico (cfr. RUGGIU Ilenia, “Strasburgo conferma il divieto
francese al burqa con l’argomento del vivere insieme”,
in forum quaderni costituzionali , 2014).
Il divieto è sì una ingerenza nei diritti della ricorrente alla
libertà religiosa e alla privacy, per la Corte EDU tuttavia
esso appare necessario e proporzionato agli scopi perseguiti: preservare le condizioni del “vivre ensamble”,
elemento integrante dei diritti e delle libertà dei singoli.
Particolare attenzione deve essere poi riservata alla Turchia, paese nel quale è stato proclamato un forte principio di laicità.
Va segnalata una decisione che ha un rilievo significativo, che riguarda Merve Kavakçi, una parlamentare turca che ha tentato di entrare in Parlamento nella prima
riunione dopo la sua elezione e prestare giuramento indossando il velo islamico non integrale,bensì il chador.
La prima decisione significativa in ordine cronologico e che ha fissato i criteri di giudizio che poi saranno seguiti in modo abbastanza costante, sia pur con
qualche precisazione, dalla Corte, concerne il caso Leyla Sahin v. Turkey (Corte EDU, Leyla Sahin c.
Turchia,n.44774/98,10.11.2005).
La pronuncia trae origine dal ricorso alla Corte europea di
una studentessa turca della Facoltà di Medicina dell’Università di Istanbul contro il provvedimento adottato dalle autorità disciplinari dell’istituto, con cui le era stato interdetto l’accesso ad alcuni esami e lezioni, a causa del
suo rifiuto di togliersi il velo islamico durante il loro svolgimento.
I diritti dell’uomo ritenuti lesi secondo la studentessa sono, in particolare, tutelati
dall’art. 9 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione), nonché dagli artt. 8, 10 (Libertà di espressione) e 14
(Divieto di discriminazione) della CEDU.
La Corte europea, dando rilevanza allo specifico contesto turco, ha ritenuto le misure adottate dall’Università proporzionate allo scopo perseguito, ovvero quello di
completare il processo di laicizzazione della società turca iniziato nei primi del ’900, in un paese,quindi, dove
forte è il rischio che istanze di tipo religioso si trasformino in rivendicazioni fondamentaliste.
La Corte europea di Strasburgo considera il divieto in parola necessario in una società
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democratica (art. 9 CEDU) affermando che il divieto del velo serve ad impedire la discriminazione di quanti non professano la religione più diffusa in Turchia, ovvero islamica.
Da sottolineare anche qui che il fatto che la Corte EDU
riconosce nel complesso un ampio margine di apprezzamento agli Stati in questo ambito.
Con riguardo al tema specifico del velo islamico in Italia,
pare necessario delineare in breve il quadro normativo.
Va anzitutto ricordato che in Italia vige un obbligo generale dello straniero non comunitario di esibire, a richiesta delle autorità di polizia, alternativamente passaporto, documento di identità, permesso o carta di soggiorno: la fattispecie è sanzionata penalmente (art. 6 c. 3 d.
lgs. 25.7.1998, n. 286).
Si aggiunge che se vi è dubbio l’ordinamento pone quindi a carico dello straniero un dovere di esibizione di documenti di riconoscimento allo scopo di agevolare il compito di identificazione degli organi di polizia.
Esso assume carattere rafforzato rispetto all’analogo obbligo di identificazione gravante sul cittadino italiano, posto dall’art. 651 c.p. e che viene assolto anche mediante la sola dichiarazione verbale delle generalità, purchè
esse siano declinate al pubblico ufficiale in modo veritiero e completo.
Il testo unico delle leggi di p. s. (r.d. 18.6.1931 n. 773 art.
85) e la legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 5, comma 1,
prevedono entrambe un espresso divieto di comparire
mascherati in luogo pubblico, usando qualsiasi mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona.
In particolare il t.u.l.p.s. all’art. 85 vieta in generale di
comparire mascherati in luogo pubblico, prevedendo in
caso di violazione una sanzione amministrativa. La legge n. 152/1975, art. 5, comma 1 (c.d. legge Reale) prevede invece quale reato il fatto di comparire con “caschi
protettivi o (...) qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico od aperto al pubblico, senza giustificato motivo”.
Quest’ultimo divieto viene esteso alle manifestazioni pubbliche o aperte al pubblico, tranne che in occasione degli
eventi sportivi che richiedano l’uso di tali mezzi.
L’art. 5 legge n. 152/1975 prevede al secondo comma,
come modificato dalla legge n. 155/2005 art. 10, l’arresto da uno a due anni e l’ammenda da euro 1.000 a euro 2.000.
La norma va inquadrata nel contesto politico dell’epoca e la dottrina penalistica parlò di “reato di casco” per
definire icasticamente la fattispecie penale, che aveva
la chiara finalità di prevenire comportamenti prodromici
e preparatori di reati di violenza a connotazione politica,
specie in occasioni di riunioni pubbliche.
Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
Si tratta di un reato-mezzo, la cui ratio consiste nel divieto di condotte che impediscano o rendano specialmente difficoltoso alle forze di polizia di identificare compiutamente i partecipanti alle manifestazioni ed ai cortei,
all’epoca connotati spesso come luoghi di incidenti tra
fazioni politiche contrapposte e con la polizia stessa. La
fattispecie soddisfa l’esigenza di prevenire i reati legati
a manifestazioni politiche, ovvero agevolarne l’accertamento mediante la piena identificabilità dei soggetti attivi.
Passando alle posizioni espresse in Italia dai giudici amministrativi, si deve ricordare che molte furono le ordinanze sindacali in tema di velo islamico, ma il ‘leading
case’ è accaduto ad Azzano Decimo (Pordenone), dove
una ordinanza sindacale che vietava il velo venne annullata dalla locale Prefettura, con la motivazione che essa
creava disorientamento e confusione in un quadro normativo già per sé complesso (4).
Il sindaco aveva esercitato un potere di ordinanza contingibile ed urgente riservato al Prefetto dall’art. 2 t.u.l.p.s.,
che prevede l’adozione di atti extra ordinem dell’autorità
di p.s. in casi di urgenza o grave necessità pubblica “indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.
Secondo la Prefettura, il sindaco, inoltre, non avrebbe
informato in via preventiva il Prefetto della adozione del
provvedimento in parola, come invece è imposto dall’art.
54 testo unico enti locali (d.lgs. n. 267/2000).
Il Comune friulano ha impugnato l’atto di annullamento
dell’ordinanza sindacale emesso dalla Prefettura di Pordenone dinanzi al TAR Friuli V.G. che svolge interessanti considerazioni. Il Comune anzitutto sosteneva, a propria difesa, che il sindaco nella materia ha una competenza generale ex art. 1, TULPS, in cui rientra anche la
funzione di curare l’osservanza della legge e di interpretazione delle norme.
Con la sentenza 16.10.2006, n. 645 il TAR ha respinto il gravame del comune ed ha affermato che il Sindaco non ha una generale competenza in materia di sicurezza pubblica, né può interpretare in via autentica una
norma di legge.
Si tratta infatti di operazione che solo lo stesso legislatore può compiere, adottando a tale scopo un atto di va-
(4) Tra tante ordinanza 12 ottobre 2009, n. 15, Comune di
Drezzo. Ordinanza in materia di tutela della sicurezza urbana
e dell’incolumità pubblica; ordinanza 5.2.2009, n. 3, Comune
di Azzano Decimo. Ordinanza in materia di uso di mezzi atti
a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona; sono
seguite analoghe ordinanze dei sindaci di Varallo (Vercelli), Camerata Cornello (Bergamo), Costa Volpino (Bergamo), Treviso,
Alassio (Savona).
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Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
lore eguale alla norma interpretata. Il Tribunale ha precisato che il Prefetto aveva il potere gerarchico di annullamento dell’atto sindacale, essendo questo un atto emesso dal sindaco in qualità di ufficiale di governo ed in materia di sicurezza pubblica.
Ne derivava quindi nella specie una relazione gerarchica
che abilitava il Prefetto, quale organo periferico del governo, all’esercizio di un generale potere di annullamento per vizi di legittimità degli atti emessi nelle materie di
competenza statale esclusiva, quali l’ordine e la sicurezza pubblica (Costituzione art. 117).
La giurisprudenza riconosce in generale il potere del Prefetto di annullamento delle ordinanze sindacali illegittime, alla luce dei seguenti argomenti:
• l’atto generale in materia di pubblica sicurezza adottato dal sindaco-ufficiale di governo si iscrive in un rapporto di dipendenza dal Prefetto;
• il Prefetto è autorità provinciale di p.s. e sovrintende
alla attuazione delle direttive ministeriali nella provincia;
• egli assicura unità di indirizzo e coordinamento degli
ufficiali ed agenti di p.s. quale è in certe circostanze il
Sindaco (legge n. 121/1981, art. 13);
• questa funzione generale non può che includere anche
il potere di annullamento d’ufficio degli atti del Sindaco quale ufficiale di governo, che risultino illegittimi
o contrastanti con la menzionata unità d’indirizzo.
La ricostruzione è stata confermata dal Consiglio di Stato
che ha ritenuto legittimo l’annullamento prefettizio dell’ordinanza del sindaco che vietava di indossare il velo islamico in luogo pubblico o aperto al pubblico, ponendo un caposaldo ancora oggi costantemente richiamato in materia
(Cons. Stato, sez. VI, sentenza 19 giugno 2008, n. 3076).
Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR Friuli
V.G., affermando che il riferimento alla legge 152/1975
non è pertinente: indipendentemente dalla lettura di esso come simbolo culturale, religioso, o di altra natura, il
velo non è “un mezzo finalizzato ad impedire senza giustificato motivo il riconoscimento”. Da sottolineare che il
riferimento dell’ordinanza all’art. 85 del r.d. n. 773/1931
è errato, in quanto è evidente che il burqa non costituisce una maschera, ma un tradizionale capo di abbigliamento di alcune popolazioni, tuttora utilizzato anche con
aspetti di pratica religiosa.
Il richiamo all’art. 5 della legge n. 152/1975, che vieta l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto
a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona,in
luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato
motivo, è pertanto erroneo.
Il Consiglio di Stato valorizza invece la peculiarità del bur-
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qua, in quanto «si tratta di un utilizzo che generalmente non è diretto ad evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture».
Pur non entrando nel merito della appartenenza del burqua ai simboli religiosi o culturali, o di altra natura, ciò
basta al Consiglio di Stato per respingere l’appello del
Comune di Azzano Decimo, affermando che il burqua
non è «un mezzo finalizzato a impedire senza giustificato motivo il riconoscimento».
Pertanto, «il citato art. 5 [della legge n. 152/1975] consente nel nostro ordinamento che una persona indossi il
velo per motivi religiosi o culturali; le esigenze di pubblica sicurezza sono soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e dall’obbligo per tali persone
di sottoporsi all’identificazione e alla rimozione del velo,
ove necessario a tal fine. Resta fermo che tale interpretazione non esclude che in determinati luoghi o da parte di specifici ordinamenti possano essere previste, anche in via amministrativa, regole comportamentali diverse incompatibili con il suddetto utilizzo, purché ovviamente trovino una ragionevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze».
È stata così esclusa l’applicabilità dell’art. 85 del r.d. 18
giugno 1931, n. 773 (sul divieto di comparire mascherato in luogo pubblico), e dell’ art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 15 (che vieta l’uso di caschi protettivi, o di
qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al
pubblico, senza giustificato motivo), nei confronti di chi
indossi il burqa per motivi religiosi o culturali.
A conferma di siffatta illegittimità, depone la circolare
del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero
dell’Interno, n. 300.C/2000/3656/A/24.159 del 24 luglio
200043, indirizzata ai Questori, con cui il Capo della Polizia offre un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in materia di foto identificative da apporre sui documenti, escludendo expressis verbis la possibilità di estenderla al velo.
Quest’ultimo è considerato, infatti, parte integrante
dell’abbigliamento abituale delle donne di religione islamica; pertanto, se ne impone il rispetto in conformità al
principio costituzionale della libertà di culto e di religione,
salvo che non impedisca di rendere riconoscibili i tratti
del viso. Ne deriva che, finché il riconoscimento del volto non è impedito, il velo non pone problemi di sicurezza
e tutela dell’ordine pubblico; diversamente accade qualora il velo sia in apparenza
indossato per motivi religiosi, ma di fatto utilizzato per
impedire il riconoscimento per fini criminosi.
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Con riguardo alla tutela dei diritti fondamentali del singolo, il potere di ordinanza ex art. 54 TUEL deve rispettare i principi generali e le leggi vigenti e non può pertanto avere carattere “creativo”, salvi i casi di urgenza
e contingibilità.
Nell’affermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa in argomento, la giurisprudenza ritiene che l’ordinanza sindacale di sicurezza urbana è un tipico atto amministrativo che deve limitarsi ad introdurre misure di attuazione di norme ordinarie volte a tutelare la ordinata
convivenza civile, allorché dalla loro violazione in specifici contesti spazio-temporali ed ambientali possa derivare
grave pericolo per la sicurezza pubblica (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, sent. 6 aprile 2010, n. 981).
È necessario quindi limitare l’ambito oggettivo delle ordinanze sindacali in esame, stabilendo con chiarezza che
esse devono fondarsi su norme primarie statali o regionali, ovvero su regolamenti: su questa base normativa,
a fronte di un concreto pericolo per la sicurezza pubblica, l’ordinanza potrà recare misure di attuazione, sanzionate amministrativamente ai sensi dell’art. 7-bis d.lgs.
267/2000, TUEL.
Un esteso ed atipico potere ordinatorio del Sindaco ex
art. 54 TUEL, sganciato da una norma-base, sarebbe in
contrasto con la garanzia dei diritti fondamentali del singolo coperti dalle riserve di legge ex artt. 23, 97, 113 Costituzione. Ne deriverebbe inoltre un anomalo potere “regolamentare” del sindaco, in contrasto con la generale
competenza del consiglio comunale in materia di regolamenti, (art. 42 TUEL).
Va rilevato inoltre il pericolo che la tipologia di ordinanze
in esame si sostituisca a prescrizioni e discipline di competenza della dirigenza o riservate a statuti e regolamenti. In tal senso la giurisprudenza amministrativa citata ritiene che il potere ordinatorio sindacale, atipico ed extra
ordinem, a carattere generale ed ordinario, presenti gravi profili di violazione della Costituzione, oltreché di interna contraddizione.
Occorre poi rammentare che il principio costituzionale
della libertà di culto deve consentire anche ai non cittadini ed a coloro che professano altre religioni, diverse
da quella cattolica, di manifestare liberamente, nei limiti della legge, il proprio convincimento, anche mediante l’uso in pubblico di segni esteriori di quella fede o di
quella cultura.
Il principio è come detto sopra, sancito dalla Costituzione agli artt. 3, 8 e 19, nonchè dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 9. Esso può portare ad escludere la illiceità di tale condotta, ai sensi dell’art. 4 del-
Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
la legge n. 689/1981 e dell’art. 51 del codice penale,
che prevedono l’esercizio del diritto quale causa generale di giustificazione del fatto illecito, sia esso illecito
amministrativo, o reato.
Per quanto attiene poi alla giurisprudenza civile merita
segnalazione una recente ordinanza del Tribunale di Torino in ordine ad una azione contro la discriminazione proposta ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011, da una associazione
contro il comune di Varallo (Trib. Torino, sez. I, civ., ordin. 14.4.2014).
L’associazione studi sull’immigrazione lamentava la
violazione, da parte del Comune, dell’art. 43 d.lgs.
25.7.1998 n. 286 (relativamente alla discriminazione
avente ad oggetto l’origine etnica e le convinzioni e
pratiche religiose) e dell’art.2 d.lgs. 9.7.2003 n. 215,
emanato in attuazione della Direttiva CE n.43 del 2000
(riguardo al divieto di discriminazione rappresentato da
molestie poste in essere per motivi di origine etnica
aventi lo scopo di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo).
La violazione era realizzata tramite l’emanazione in data
19.8.2009 e 21.8.2009 delle ordinanze comunali n. 99
e n. 100 aventi ad oggetto, rispettivamente, il divieto
sanzionato in via amministrativa, di indossare il “burkini” su tutto il territorio comunale “nelle strutture finalizzate alla balneazione”, nonché il divieto “di abbigliamento che possa impedire o rendere difficoltoso il
riconoscimento della persona, quale a titolo esemplificativo caschi motociclistici al di fuori di quanto previsto dal codice della strada e qualunque altro copricapo che nasconda integralmente il volto”.
Veniva quindi disposta l’installazione, ad ogni entrata
del paese, di cartelli di metri 2 per 3 riportanti la prescrizione “su tutte le aree pubbliche è vietato l’uso di
burqa, burqini e niqab, vietata l’attività a “vu’ cumprà”
e mendicanti”.
La scritta era inserita all’interno di un simbolo indicante il divieto di sosta e corredata, sulla parte sinistra del cartello, da due immagini femminili abbigliate con il niqab ed il burqa e da un’immagine maschile, tutte con sovraimpresse due linee incrociate e l’epigrafe “NO niqab e burqa” e “NO Vu cumprà” e, sulla parte destra del cartello, da un’immagine femminile con il velo islamico e l’epigrafe “SI velo”.
Detti cartelli venivano poi rimossi e sostituti da altri
che non avevano riferimenti a figure femminili o ai veli islamici.
Il Sindaco di Varallo, dopo un richiamo, nella premessa,
anche all’art. 5, l. n. 152/1975 (divieto di uso di mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della
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persona in luogo pubblico o aperto al pubblico senza
giustificato motivo) e al d.m. 23.4.2007 del Ministero
dell’Interno (Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione), “ordina: è vietato su tutto il territorio comunale nei luoghi pubblici o aperti al pubblico l’uso di abbigliamento che possa impedire o rendere difficoltoso
il riconoscimento della persona, quale a titolo esemplificativo caschi motociclistici al di fuori di quanto previsto dal codice della strada, e qualunque altro copricapo che nasconda integralmente il volto”.
Il Tribunale di Torino stabilisce che l’ordinanza non contiene alcun accenno di discriminazione religiosa o etnica, giacchè il suo ambito di applicazione è onnicomprensivo e non discriminante come tale. Tali fatti non
appaiono discriminatori, né riguardo all’origine etnica
né alla fede religiosa, giacchè la frase, contenuta nei
cartelli, “NO AL VOLTO COPERTO, (salvo giustificati
motivi)” appare un’espressione del tutto generale e rivolta indifferenziatamente ai destinatari del messaggio
rappresentati dalla totalità dei cittadini che lo leggono.
In tale ottica, né la dimensione ridotta dell’espressione “(salvo giustificati motivi)” né la mancanza, di seguito ad essa, della frase “ivi compresi i motivi di carattere religioso” possono assumere un significato discriminatorio.
Il giudice monocratico torinese tuttavia precisa che i
cartelli originariamente esposti e poi sostituiti erano
quelli sì fortemente discriminatori affermando: “il divieto che dal cartello promanava veniva radicato tramite la focalizzazione del messaggio (tra l’altro, dai forti
contenuti anche nelle immagini figurative) soprattutto sulle minoranze femminili ed islamiche ed era reso
ancor più tagliente dall’utilizzo improprio del simbolo
del divieto di sosta (riferito a tutte le condotte vietate)
che l’art.158 del Codice della Strada prevede per i veicoli e non per gli esseri umani”.
Sul fronte dell’iniziativa legislativa, nell’attuale legislatura (XVII) risultano presentati almeno tre disegni di
legge che affrontano la problematica del velo integrale: “C1571, di iniziativa dell’on. Molteni (Lega Nord autonomie) ed altri, recante”Modifiche all’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto dell’uso di indumenti o altri oggetti che impediscano l’identificazione nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, nonché introduzione degli articoli 612-ter del codice penale e 24-bis della legge 5 febbraio 1992, n.
91, concernenti il delitto di costrizione all’occultamento del volto”;
C 467, di iniziativa dell’on Vaccaro (Pd), recante “Modifica dell’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152,
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concernente il divieto dell’uso di indumenti o altri oggetti che impediscano l’identificazione nei luoghi pubblici o aperti al pubblico”;
C 87, di iniziativa dell’on. Binetti (SCpI) e altri, recante
“Modifica dell’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n.
152, in materia di utilizzo di mezzi, anche aventi connotazione religiosa, atti a rendere irriconoscibile la persona”.
Questi disegni di legge sono stati presentati nel 2013,
ma ad oggi non risulta iniziato l’esame (2).
Negli altri paesi europei, come ricorda la stessa Corte EDU, solo il Belgio ha adottato una legge simile a
quella francese: si tratta della legge 1° giugno 2011,
entrata in vigore il 23 luglio 2011, “Loi visant à interdire le port de tout vêtement cachant totalement ou
de manière principale le visage”, che la Cour constitutionnelle (6 dicembre 2012) ha giudicato compatibile con l’art. 9 della CEDU.
In Spagna il Tribunale supremo (6 febbraio 2013, n.
693/2013) si è pronunciato in senso sfavorevole sul
divieto di accesso alle aree municipali o nei luoghi
utilizzati per i servizi pubblici disposto dai sindaci nei
confronti di coloro che indossano il velo integrale, il
passamontagna, caschi integrali o altri tipi di indumenti o accessori che impediscano l’identificazione
e la comunicazione visiva.
Per il Tribunale supremo spagnolo eventuali limitazioni ai diritti fondamentali possono essere previste solo dalla legge per scopi legittimi e solo se «necessario in una società democratica»
(Sulle problematiche del burqa in Spagna cfr. A. MOTILLA, El problema de la utilización de vestimentas religiosas en el espacio público: el asunto del «burqa»
islámico en España, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1/2012, 133 e ss.).
In Olanda il Consiglio di Stato si è espresso negativamente su alcuni progetti di legge in materia di divieto
di indossare il velo integrale in pubblico (pareri 21 settembre 2007, 6 maggio 2008, 2 dicembre 2009 e 28
novembre 2011, cfr. A. OVERBEEKE, Verso un divieto
generale del «burqa» nei Paesi Bassi, in Quaderni di
diritto e politica ecclesiastica, 1/20).
I temi evocati devono essere legati da un lato alle questioni generali del multiculturalismo nella società attuale e dall’altro alla tutela c.d. multilivello dei diritti
fondamentali della persona, che si realizza attraverso
l’articolazione di strumenti che non necessariamente
passano per le aule di giustizia.
Le coordinate ermeneutiche di diritto europeo e nazionale costituiscono principi generali che evocano poi
una traduzione in regole di condotta del singolo, atte
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Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
libertà religiosa
a contemperare diritti e libertà da un lato, ed esigenze imperative di interesse generale dall’altro, che devono essere calate in contesti sociali e culturali in rapida evoluzione.
Risulta per queste ragioni difficile ricorrere allo strumentario della legislazione di pubblica sicurezza ed al
codice penale a fronte di una giurisprudenza che non
sembra dare spazio a fattispecie incriminatrici, quantomeno nei termini in cui esse vengono richiamate da
ordinanze e regolamenti comunali o locali in genere.
In questa materia il margine di apprezzamento riservato agli Stati gioca un ruolo fondamentale: l’applicazione delle norme convenzionali, infatti, deve tener
conto delle diversità sociali e culturali dei vari paesi,
ai quali è riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo un adeguato grado di discrezionalità
sul modo in cui i diritti e le libertà garantiti dalla CEDU
trovano applicazione a livello nazionale, tenendo conto delle relative e particolari circostanze e condizioni.
Il principio ha assunto gradualmente una portata più
estesa, correlata all’esigenza dei singoli Stati di mantenere una propria specificità nelle modalità di bilanciamento fra diritti individuali e interessi pubblici (5).
Sulla “dottrina del margine di apprezzamento” si è chiarito che la discrezionalità concessa agli Stati occupa un
posto ben preciso nel sistema c.d. multilivello della tutela dei diritti umani, tenuto conto del ruolo sussidiario che la CEDU ricopre sul piano sovranazionale (6).
Ciò vale soprattutto per questioni controverse in ordine alle quali gli Stati assumono posizioni eterogenee.
Ritiene la Corte di Strasburgo, infatti, che sulle questioni
che coinvolgono i rapporti tra lo Stato e le religioni, sulle quali possono esistere forti divergenze in una società
democratica, occorre prendere atto che non è possibile
avvalersi di una concezione uniforme in Europa del significato della religione nella società: l’impatto di atti corrispondenti all’espressione pubblica di una convinzione religiosa non sono gli stessi secondo le epoche e i contesti.
Quindi la regolamentazione in materia può variare da
paese a paese in funzione delle tradizioni nazionali e
delle esigenze imposte dalla protezione dei diritti e delle libertà altrui e dall’ordine pubblico (CEDU Grande Camera, Leyla Sahin c. Turchia, sent. 10 novembre 2005).
La dottrina osserva che il margine di apprezzamento
svolge un delicato ruolo nel contenzioso portato davanti ai giudici di Strasburgo ed è spesso utilizzato per
rinviare agli Stati le decisioni in materie particolarmente controverse o complesse, specie quando si ravvisa un basso livello di consenso tra gli Stati stessi su
una specifica questione.
Tra le decisioni più note della Corte Edu sul margine di apprezzamento si richiama quella relativa al caso Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, nella quale si evidenzia che non è possibile rinvenire nelle legislazioni nazionali degli Stati membri un concetto uniforme ed europeo di morale, che invece varia nel tempo ed è diversa da luogo a luogo.
Pertanto, in ragione del loro diretto e continuo contatto con le forze vitali della società, gli Stati si trovano
in una better position rispetto ai giudici internazionali
quando si tratti di stabilire quali siano gli esatti contenuti della morale (7).
Si comprende, quindi, come sia possibile che la Corte europea, pur giudicando le controversie sulla base
dell’identico parametro offerto dall’art. 9 CEDU, abbia
un approccio differente sulla materia dei simboli religiosi, valutando caso per caso e ispirando le proprie
decisioni ad un prudente pragmatismo, nonché prendendo atto dei differenti modelli di laicità nell’esperienza contemporanea.
Si pensi a paesi come la Francia e la Turchia, che sono gli
unici due Stati del Consiglio d’Europa le cui Costituzioni
proclamano il principio di laicità dello Stato, mentre in altri contesti un simbolo religioso quale il velo islamico può
essere considerato una semplice manifestazione esteriore della propria fede religiosa.
(5) A. Madera , E.N. Marchei, Simboli religiosi «sul corpo» e ordine pubblico nel sistema giuridico turco: la sentenza «Ahmet
Arslan e altri c. Turchia» e i confini del principio di laicità, in
“Diritto e religione in Europa”, cit., p. 123.
(6) P. Tanzarella , Il margine di apprezzamento, in M. Cartabia
(a cura di), I diritti in azione: università e pluralismo dei diritti
fondamentali nelle Corti europee, cit., 145 e ss.
(7) C. Evans, Individual and Group Religious Freedom in the
European Court of Human Rights: Cracks in the Intellectual
Architecture, in Journal of Law and Religion, 26, 2010-2011,
Zingales U.G., op. cit., p. 13.
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libertà religiosa
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2008, con commento di N. Folla , L’uso del burqa non integra
reato in assenza di una previsione normativa espressa, in “Corriere del merito”, 3/2009, p. 295; V. Masarone, L’incidenza del
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Sulla tutela multilivello si veda M. Cartabia, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, 2014, www.cortecostituzionale.it.
Per un esempio di utilizzazione della dottrina del “margine di
apprezzamento” da parte della Corte Costituzionale italiana
sentenza n. 264/2012 e ordinanza n. 10 /2014.
In dottrina cfr. C. Cinelli, Corte europea dei diritti dell’uomo,
Corte costituzionale italiana e margine di apprezzamento, in
Riv. dir. int., 3/2014, p. 787 e ss.).
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Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
ordinanze ambientali
Le ordinanze ambientali
(smog): cenni
di Alberto Pierobon
1. Sintetici richiami alle ordinanze
di necessità e urgenza
Anzitutto va ricordato che il potere di ordinanza di urgenza e necessità deve rifarsi o esibire le seguenti caratteristiche, requisiti, presupposti (1):
a) deriva da una norma di legge statale (cosiddetta “attributiva” o “autorizzatoria” o “legittimante” per la pubblica amministrazione) che non ne stabilisce il contenuto (che è “indeterminato”). Essa enuncia solo taluni elementi del potere: la competenza, il fine di interesse pubblico, i presupposti di necessità e urgenza;
b) atipicità (2);
c) fine di interesse pubblico (non la causa) dell’ordinanza;
d) natura provvedimentale (3) e non legislativa;
e) accertamento da parte di organi tecnici della situazione di pericolo o di danno che si intende fronteggiare
con una discrezionalità tecnica;
f) presupposto: la necessità (reale e attuale)(4) e l’urgen-
(1) In proposito cfr. A. Pierobon, Le ordinanze di necessità e
urgenza comunali in materia ambientale: prima ricostruzione,
in questa Rivista, n. 11, 2007, p. 20 ss.
(2) Si tratta infatti di uno ius singolare.
(3) Sono atti a contenuto particolare e concreto, non generale e astratto, inoltre non è obbligatoriamente richiesta la loro
pubblicazione legale, anche se nel caso in cui il provvedimento
abbia carattere individuale, sono necessarie adeguate forme
di pubblicazione, o di comunicazione al destinatario.
(4) Si badi: la necessità non è l’autonoma fonte del diritto di
disporre con l’ordinanza, ma è solo un presupposto. In dottrina si è anche ricorsi all’analisi dell’art. 54 del codice penale e
all’art. 2045 del codice civile per riferirsi ai requisiti rinvenibili
za (improrogabile: non si può fare altrimenti!);
g) contingibilità: straordinarietà e imprevedibilità dell’evento;
h)temporaneità;
i)eccezionalità;
j) proporzionalità (e adeguatezza) tra il fine (di interesse
pubblico) e il rimedio alla situazione da fronteggiare;
k) nesso di strumentalità (ragionevole controllabile);
l) congruità ed utilità;
m) inesistenza di alternative (residualità del rimedio);
n) adeguata (e non generica) motivazione, anche per relationem;
o) deve comportare il minore possibile sacrificio dell’interesse privato (in proposito si veda la questione del
diritto soggettivo e interesse legittimo che può, nel
caso concreto, vantare il soggetto destinatario);
p) è di immediata eseguibilità ed esecutorietà;
q) è fatto divieto per l’amministrazione procedente di
perseguire interessi patrimoniali propri;
r) non si può incidere patrimonialmente nei rapporti di
obbligazione fra terzi (5);
s) si può derogare alla legislazione vigente (non certo alle norme cosiddette “imperative”), giammai contro: la
Costituzione, i principi generali dell’ordinamento (jus
non scriptum), il diritto comunitario, e osservando il
rispetto delle riserve di legge assolute e relative;
la necessità della situazione tutelata dall’intervento pubblico,
ovvero ai concetti di: a) inevitabilità; b) personalità; c) volontaria causazione; d) proporzionalità.
(5) L’ordinanza è diretta a tutelare l’interesse pubblico pregiudicato dall’evento straordinario, mentre per la tutela degli interessi privati debbono invocarsi altri strumenti (per esempio la
denuncia di danno temuto di cui all’art. 1172 c.c.).
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Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
ordinanze ambientali
t) non si devono vulnerare i poteri ordinari delle regioni
(in quanto costituzionalmente protetti) (6);
u) non definitività: con possibilità anche di ricorso gerarchico (a seconda della materia: Prefetto, Presidente della Giunta Regionale, ecc.);
v) la forma scritta ab substantiam (7);
w) sanzioni: se ricorre l’ipotesi contravvenzionale di cui
all’art.650 c.p. (norma cosiddetta “in bianco”), oppure le specifiche norme previste in materia (esempio
procedura di cui alla Legge n. 689/1981, sanzioni ex
art. 7-bis del d.lgs. n.267/2000).
Com’è noto, l’ambiente è un valore costituzionale protetto (artt. 2, 9 e 32 Cost.), è un diritto soggettivo fondamentale (8), nel quale – come da insegnamenti giurisprudenziali – ricorre il bilanciamento tra diversi altri valori costituzionali. Ed è col ricorso ai principi (costituzionali o dell’ordinamento generale) che si offrono (in presenza di lacuna legis) possibilità interpretative per innovare l’ordinamento (ferma restando la sua unità sistematica, oltre che coerenza).
Anche nelle ordinanze, occorre una qualcerta abilità
scientifica da parte di chi ne ipotizza l’adozione e poi le
formula. Oltre a rispettare e richiamare le anzidette caratteristiche, presupposti, etc. devesi adottare un procedimento logico-casistico,chiarendo quali siano i rapporti
che con l’adozione dell’ordinanza, si intendono tutelare,
avendo già soppesato e bilanciato (non come semplice
sillogismo) tutti i “valori” ivi coinvolti (9).
(6) In proposito cfr. A. Pierobon, L’emergenzialità nella gestione dei rifiuti, in qusta Rivista, n. 5, 2007.
(7) Ma, si può ipotizzare che a fronte della gravità di un fenomeno (esempio terremoto) che non tollera indugi procedimentali o decisori, un provvedimento orale, poi da “ratificare” per
iscritto.
(8) O un diritto “sociale di prestazione”, si rinvia, ancora, a A.
Pierobon, L’emergenzialità nella gestione dei rifiuti, cit., nota 6
a p. 38 et passim.
(9) Sintomatica, in tal senso è la qualificazione giuridica che
l’ordinamento appresta per determinati beni: diritti soggettivi
o interessi legittimi, dai quali discende una diversa giurisdizione e una diversa possibilità (anche di prospettiva) nel sindacare i provvedimenti della pubblica amministrazione. In altri
termini, al giudice dei diritti spetta la dichiarazione dei principi
dell’ordinamento giuridico al fine di verificare se il potere della
p.a. esista o meno; al giudice degli interessi legittimi spetta
invece la verifica della corretta utilizzazione del rimedio come
adottato dalla pubblica amministrazione, considerando il fine
di interesse pubblico indicato direttamente, o indirettamente,
dalla norma attributiva del potere. Nei diritti soggettivi gli interessi privati prevalgono sui poteri pubblici; ma vi sono anche i
poteri dell’autorità pubblica (gli interessi pubblici) che prevalgono sui privati talchè il diritto soggettivo degrada a interesse
legittimo.
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2. Emergenza smog! Che si fa?
La grancassa mediatica vieppiù ci bombarda (evidenziando, talvolta enfatizzando, talaltra sottocendo o minimizzando) con i raggiunti, intollerabili, livelli di inquinamento
atmosferico (10), tanto che si sta parlando, con sempre
maggiore preoccupazione, di una “emergenza smog”.
Questa emergenza consegue dall’inquinamento provocato, soprattutto (come livelli di concentrazione degli inquinanti nell’atmosfera) dai trasporti; dagli impianti di riscaldamento; dalla combustione di combustibili fossili
(produzione energia elettrica); dagli usi civili; dai trasporti; dai processi industriali (in particolare chimici); dall’agricoltura (allevamenti); dalla gestione dei rifiuti; dai fenomeni atmosferici; ecc. (11).
Uno studio condotto dal Centro comune di ricerca (Joint
Research Centre, JRC) e dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)(12)ha sistematicamente analizzato gli studi
disponibili sul particolato (del diametro minore di 10 e 2,5
micron, PM10 e PM2,5) e identificato le principali categorie di PM nell’aria urbana in 51 diverse città del mondo.
In media, il traffico è risultato essere la principale fonte di
inquinamento atmosferico, responsabile di un quarto delle polveri sottili nell’aria.
Insomma, le fonti dell’inquinamento atmosferico urbano
da polveri, pur con differenze significative tra varie regioni del mondo, sono:
(10) Ciò nasce da un obbligo informativo di cui all’art. 18, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 155 attuativo della direttiva 2008/50/CE del 21 maggio 2008, sulla qualità dell’aria e
ambiente, la quale disposizione prevede che le informazioni
relative ai provvedimenti adottati dagli organi competenti in
caso di superamento dei limiti di qualità dell’aria vengano diffuse anche tramite la televisione, la stampa e internet. Anche
il d.lgs. n. 195/2005 (recepimento della direttiva 2005/4/CE
concernente l’accesso del pubblico all’informazione ambientale), stabilisce che le regioni e le province autonome debbono adottare “tutti i provvedimenti necessari per informare
il pubblico in modo adeguato e tempestivo attraverso radio,
televisione, stampa, internet o qualsiasi altro opportuno mezzo di comunicazione”. In caso di superamento della soglia di
informazione o delle soglie di allarme, vanno poi trasmesse al
Ministero dell’Ambiente le informazioni circa i livelli misurati e
la durata del superamento. Il Ministero dell’ambiente comunica tali informazioni alla Commissione europea e al Ministero
della salute (vedi limiti dell’art. 19) ove le soglie siano riferite
all’ozono, ed entro tre mesi dalla data della misurazione in caso
di soglie riferite ad altri inquinanti.
(11) Si veda l’apposito capitolo (ed altri interventi correlati) il
volume collettaneo (a cura di A. Pierobon), Nuovo manuale di
diritto e di gestione dell’ambiente, Santarcangelo di Romagna,
2012.
(12) Da Le fonti dell’inquinamento atmosferico urbano, in
www.arpat.toscana.it , 14 gennaio 2016, .
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- Il traffico (25%);
- Le fonti non specificate di origine umana (22%);
- La combustione domestica (20%);
- Le polveri e sali naturali (18%);
- Le attività industriali (15% ).
Queste situazioni – quantomeno in presenza di certune
condizioni e circostanze – profilano, se non comportano,
rischi e/o pericoli per la saluta umana.
In particolare, non va sottavalutato (nella loro “invisibilità”) che le polveri (fini e ultrafini) penetrano in profondità
nell’apparato respiratorio, talvolta assorbendo ulteriori inquinanti atmosferici (metalli e altri) (13).
Solitamente questi fenomeni, causativi di cambiamenti
climatici, desertificazione, pioggie acide, etc., vengono
fronteggiati con diverse scelte di politica ambientale (come giuridicamente normata) (14).
Anzitutto con la regolamentazione delle autorizzazioni distinguendo i vari impianti civili e non. Qui la pubblica amministrazione valuta la compatibilità tra l’interesse pubblico (protezione salute e ambiente) e l’interesse dei soggetti che presentano i loro progetti causativi delle emissioni
inquinanti di cui si è accennato.
Poi sono stati stabiliti dei limiti alla qualità dell’aria, acqua,
suolo, etc.: in pratica si consente un minimun di inquinamento (15), rendendo intollerabile l’eccedente.
(13) I PM10 sono polveri inalabili che possono penetrare nel
tratto superiore dell’apparato respiratorio (dal naso alla laringe), mentre i PM2,5 sono polveri respirabili che possono
penetrare nel tratto inferiore dell’apparato respiratorio (dalla
trachea fino agli alveoli polmonari). In proposito, da diversi
lustri, le avanguardie mediche formatesi sulle problematiche
degli inceneritori e/o delle malattie da lavoro, dal cancro, ecc.,
sembrano essere state quelle più sensibili e attente alla problematica de qua.
Gli studi epidemiologici, che come sappiamo richiedono un
orizzonte lungo di analisi (20 e più anni circa) confermano queste loro risalenti preoccupazioni.
In proposito va ricordata la figura di L. Tomatis, coraggioso
scienziato, oncologo, medico e ricercatore, d’adozione triestina (che vantava brillanti esperienze in USA e in Francia) venuto
a mancare nel 2007. Basta leggere uno dei suoi libri, quale Il
fuoriuscito, Milano, 2005 per rendersi conto di che pasta fosse
fatta quella splendida persona. Noi abbiamo avuto la fortuna di
conoscerlo, purtroppo verso la fine della sua esistenza, comprendendone il preclaro equilibrio e saggezza, fuori dai molti
estremismi che alitano in questa materia, purtroppo ancora
oggi molto ideologicizzata e piegata a diversi interesse e parrocchie.
(14) In fonti di rango diverso, ma comunque finalizzate a prevenire/ridurre queste emissioni. Ad esempio si vedano: il d.lgs.
30 aprile 1992, n. 285. “Nuovo codice della strada” e il d.lgs.
3 marzo 2011, n. 24 “Attuazione della direttiva 2009/33/CE
relativa alla promozione di veicoli a ridotto impatto ambientale
e a basso consumo energetico nel trasporto su strada”.
(15) Ma i valori limite di emissione possono essere variamente
Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
ordinanze ambientali
Quale sia poi l’effetto sulla salute e sull’ambiente è un
altro discorso, si tratta infatti di una scelta di politica ambientale che equilibra – le esigenze e i valori – tra economia, società e ambiente.
In negativo stanno le sanzioni (si veda la recente introduzione degli ecoreati (16)) e (per estremizzare) le definizioni, quale quella di “danno” con i suoi rimedi, ecc.
Qui la discrezionalità viene meno, ossia è vincolata, salvo che per le sostanze che non sono state normate (17).
E pure con meccanismi economici (vedasi i cosiddetti
meccanismi o certificati Kyoto (18)), incentivi, ecobonus,
conto energia, contributi, regole tecniche di produzione e
di commercializzazione (es. auto elettriche, uso del solare, dell’idrogeno,ecc.) la quale analisi non rientra nell’economia del presente scritto.
Ora, come notato, è tornato prepotentemente alla ribalta
mediatica (talvolta esacerbata da dispute “teologiche”
sul tema più che sui fatti) il tema del cambiamento climatico, anche – sempre come accennato – per il tramite della drammatizzazione mediatica circa inondazioni,
tempeste tropicali, nevicate atipiche, gelate, desertificazioni, inversioni termiche, e così via.
Qui, come sempre accade con le emergenze (e di fronte ai dualismi,allargati “a forbice”, che impongono subitanee scelte), sembrano aprirsi non solo (obiettivamente) nuove opportunità occupazionali, ma pure occasioni,
per così dire, “affaristiche”. Infatti, le lobbies e le resistenze qui non mancano di certo, poiché – ognun se ne avvede – si vengono a toccare rilevantissimi interessi industriali (petroliferi in primis , ma non solo).
Per cui rieccoci al confronto (guerra o pace camuffata
che sia) tra gli scienziati pro/contro, tra i politici pro e concontinua a p. 59 }
tro, assieme alla loro pletorica corte di funzionari e consulenti che spesso si schierano secondo l’interesse del
momento o della cordata, ossia assumendo una posizione opportunistica, più che convintamente etica e responsabile fino in fondo (19).
espressi, secondo la disciplina che prescrive e che consente
delle facoltà: come flussi di massa annuali in rapporto al totale delle emissioni (considerando anche le emissioni diffuse?);
come media oraria della percentuale/flusso di massa di sostanza inquinante medio per ora o di quello imposto per anno
in rapporto al totale delle emissioni?
(16) Cfr. A. Pierobon, Ecoreati e attività tecnica e di consulenza,
in “L’Ufficio Tecnico”, luglio-agosto 2015.
(17) Nella parte V del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. “codice
ambientale”) artt. 267-298, sulle “Norme in materia di tutela
dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera” le polveri
totali hanno un range minimo/massimo dei valori di emissione.
(18) Sui quali, amplius, si veda l’apposito capitolo sempre in
Nuovo manuale, cit.
(19) Cfr. A Pierobon, Nuove opportunità per i tecnici, consulenti
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Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
ordinanze ambientali
Sembra, che ci si avventuri così in un territorio settario
o di appartenze, ma così non è (almeno uscendo dalla
gabbia dualistica).
Basti solamente pensare che i predetti scienziati e/o professionisti, assieme ai legali svolgono prestazioni supportanti l’attività amministrativa, come pure nell’ambito giudiziale (in veste di periti, CTU, CTP, ecc.).
Sono problemi che (in varie salse, densità, intensità, complessificazione) troviamo calati anche nella materia dell’emergenza e delle ordinanze da emettersi.
Anche qui sorge la doverosa, preliminare, domanda del
“devo? perché? come?” eziandio in presenza di situazioni nelle quali si dichiara (previa istruttoria esperita)
l’eccezionale ed urgente necessità di intervenire – immediatamente – per tutelare i beni giuridici protetti,
con una durata, entro un certo termine (contingibilità) e
con equilibri e dosaggi che vanno ricercati con sapiente ponderazione.
Tra altro, ci si dibatte tra provvedimenti a contenuto vincolato e a contenuto discrezionale, comunque sempre
da motivare e da supportare.
Difatti, ci si premura di previamente acquisire pareri e/o
indagini ad hoc, oppure delle obiettive valutazioni/accertamenti tecnici ambientali, riferite al caso, di volta in volta, all’esame.
Pervero, anche da fonte prefettizia non manca chi – pungolando una scelta in questa via crucis, paventa una responsabilità penale in caso “di inerzia degli enti preposti” (20).
Nelle emissioni le provincie possono emettere – ma
nell’ambito del solo rispetto della legge e dell’autorizzazione da esse rilasciata - ordinanze ex art. 278 codice
ambientale, mentre i Sindaci emettono le notissime ordinanze contingibili ed urgenti, ex artt. 54 (21) e 107 del
e periti (prima parte), in “L’Ufficio Tecnico”, dicembre 2015,
nonché la “parte seconda”, di imminente pubblicazione.
(20) Ad esempio il Prefetto di Venezia con nota prot. 70249
del 23 dicembre 2015 inoltrata a enti locali e altri. Ad esempio,
la Procura di Firenze recentemente aveva accusato vari amministratori pubblici (presidente regione Toscana, sindaco di
Firenze, altri assessori e sindaci) di aver disatteso la normativa
europea che pone un limite ai giorni di superamento dei valori
tollerati per la presenza di sostanze inquinanti nell’aria PM10 e
biossido di azoto) e di non aver adottato – negli anni successivi
al 2005 - misure per la tutela dei cittadini. La corte d’appello
di Firenze, come già deciso in primo grado, ha assolto questi amministratori perché il fatto non sussiste. “I consulenti
sono costati 372 mila euro – ha commentato uno dei difensori,
l’avvocato Marco Passagnoli – per un flop che a ben vedere
poteva essere individuato fin dall’inizio” F. Servatici, in “La Repubblica”, 27 novembre 2014.
(21) In particolare vedasi il comma 3 dell’art. 54: Attribuzione
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TUEL (d.lgs. 18 agosto 2000,n. 267). Siamo fuori dall’ordinaria attività amministrativa, ma si cerca di creare “appoggi” normativi non solo nei riferimenti (già esistenti)
alla normativa comunitaria (direttiva 2008/50/CE del 21
maggio 2008, sulla qualità dell’aria e ambiente) e nazionale (d.lgs. 13 agosto 2010, n. 155 (22) di attuazione della predetta direttiva (23); d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 parte
“V” aria;etc.) ma soprattutto attraverso la legislazione regionale (o delle provincie autonome) in materia, quali sono i piani regionali per la tutela e il risanamento dell’atmosfera (nelle varie denominazioni volute dalle regioni)(24).
Per cui le ordinanze, sempre rispettando e richiamandosi agli elementi e condizioni dianzi precisate, sono funzionalizzate a prevenire e ridurre i livelli di concentrazione degli inquinanti nell’atmosfera.
Sappiamo che la qualità dell’aria dipende da un sacco di cose e varia a seconda di quando viene misurata
e come e dove.
Ad esempio i risultati cambiano da periodo invernale ad
estivo, a seconda delle condizioni metereologiche attuali o attese; se si misurano con centraline mobili o stazioni fisse (eppoi la durata del monitoraggio) se nel territorio di misurazione sono presenti autostrade (pestifere sotto questo profilo di ammorbamento dell’aria) o industrie chimiche o agricoltori dediti all’abbruciamento
di ramaglie o vegetali; ed altro ancora.
del sindaco nei servizi di competenza statale. Potere del sindaco di emanare ordinanze in casi di emergenza connessi al
traffico e/o con l’inquinamento atmosferico o acustico - Adempimento previsto: ottemperanza di tali provvedimenti.
(22) Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità
dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa. Questo
decreto quadro è stato attuato con vari diversi decreti.
(23) Il cui allegato XI indica i limiti di concentrazione del PM10
in 50 microgrammi per metro cubo, non più di 35 volte l’anno,
con valore medio non superiore a 40 microgrammi per metro
cubo. Per il PM 2,5 (particolato con diametro inferiore a 2,5
micron) il limite è di 25 µg/metro cubo come media annua. Il
limite per il biossido di azoto (NO2) è di 40 µg/metro cubo, con
concentrazione media oraria di 200 non superando non più di
18 giorni l’anno.
(24) Va detto che il d.lgs. n. 155/2010 impone la zonizzazione
di tutto il territorio nazionale (art. 3) in base alla densità delle emissioni, alle caratteristiche orografiche, alle caratteristiche meteo-climatiche, al grado di urbanizzazione, ecc. Poi la
classificazione (art. 4) delle zone e la valutazione della qualità
dell’aria (art. 5) al punto che in sede di VIA o AIA le autorià
possono imporre ulteriori e/o nuove installazioni di stazioni
di misurazione (guardando ai bioindicatori e altro). Inoltre si
debbono prevedere (art. 10 e decreti recepimento) dei piani
di riduzione del rischio, prevedendo le azioni limitanti, se non
sospensive, alle attività causative delle emissioni di cui trattasi. L’art. 17 contempla i metodi e gli strumenti di misura della
qualità dell’aria e la programmazione dei controlli.
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3. Conclusioni
Non possiamo evitare di considerare che i provvedimenti di cui trattasi vengono assunti per tamponare
(limitare o sospendere), cioè provvisoriamente, alle situazioni di “sforamento” dei prefissati limiti di emissione di inquinamento atmosferico.
Insomma, si fa rientrare la vita civile e produttiva entro la “tollerabilità” di un inquinamento che si deve, in
un certo senso, subire nella logica (o rincorsa?) dello
sviluppo (progresso?) economico-sociale.
Nel patologico, cioè quando si cominciano a intravvedere (nell’invisibilità del fenomeno e nei suoi effetti striscianti, di lungo periodo) le problematiche di salute della popolazione (o di parte di essa), allora si accende la “spia” sanitaria che parimenti impone, al di
là dei limiti – e della tollerabilità – ambientali/e di cui si
è detto, una attivazione c.d. “emergenziale” .
Ma andando a un ragionamento di sostanza, cosa sembra emergere?
Forse che imporre la limitazione di circolazione ai veicoli secondo una rotazione secondo il criterio della targa alterna aiuta a risolvere il problema?
Imporre alle famiglie di tenere la temperatura dei propri impianti sotto una certa soglia risolve il problema?
E così via.
Piuttosto, e più seriamente – ognun se ne avvede –
qui servono interventi programmatici, duraturi e soprattutto seri.
Ad esempio – quale modello che rispetta la normativa adottando un approccio molto pratico – si veda il
decreto Presidente Provincia di Bolzano n. 37 del 15
settembre 2011 (regolamento sulla qualità dell’aria, attuativo della legge provinciale n. 8 del 16 marzo 2000)
che, a noi pare, contenere dei primi elementi (anche
procedurali) utili a tal fine.
Il Piano di qualità dell’aria si rifà agli obiettivi comunitari e nazionali, ma (come per altri) “può individuare
obiettivi di qualità dell’aria più restrittivi dei valori limite (nazionali e comunitari n.d.r.)” si noti “allo scopo di
preservare la migliore qualità dell’aria ambiente compatibile con le strategie di sviluppo sostenibile attraverso l’applicazione di provvedimenti che non comportino costi sproporzionati”.
Vengono poi indicate le misure (“piano di azione”) che
dapprima tutelano la popolazione, per le conseguenze a breve termine, per la salute, cosiccome generate
da inquinamento superiore a talune soglie di allarme.
Si tratta – è evidente – di provvedimenti straordinari e
contingibili per situazioni che vanno però assunti “al fi-
Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
ordinanze ambientali
ne di limitare o di sospendere le attività che contribuiscono all’insorgenza del superamento o del rischio di
superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme”. Il tutto prevedendo (come impone anche la legislazione nazionale ed europea) la diffusione delle informazioni alla popolazione, fornendo
al contempo utili indicazioni comportamentali.
Il meccanismo poi prevede che ove siano constatati
o previsti ( il che ci riporta ad una anticipazione ragionevole degli eventi sulla base di valutazioni storicoscientifiche) superamenti delle soglie di allarme (individuate) per il biossido di zolfo (SO2) o per il biossido di azoto (NO2) l’Agenzia ambientale deve informare immediatamente i sindaci territorialmente competenti e altri organismi previsti.
In tal caso (ecco la doverosità fuori da discrezionalità),
scatta il “piano di azione”: i Sindaci emanano le ordinanze di urgenza per proteggere la salute dei cittadini e per ridurre tempestivamente le emissioni degli inquinanti responsabili del superamento.
Qui le attività sindacali sono previste ex ante, anche
distinguendosi tra il periodo estivo e non - senza districarsi tra interpretazioni sofistiche e/o burocratiche
e/o scientifiche -aiutando a far rientrare la situazione
(del superamento dei limiti), altresì consentendo una
correlazione tra la sorgente delle emissioni (donde un
utile e fruttuoso incrocio, ad esempio, tra l’inventario
delle emissioni e la classificazione delle zone, ecc.),
tale da fornire agli enti pubblici (ma anche alla popolazione) ulteriori informazioni utili da considerarsi per le
previsioni future (e nei modelli).
Ecco i primi concreti germi (e spunti) per la circolarità e per la socializzazione delle informazioni per compattare le azioni in una logica sistemica e pianificatoria, piuttosto che consolatoria o di allarme.
Ad esempio, si potrà decidere (come previsto in allegato “C” al prefato decreto) di limitare la circolazione
per i veicoli dotati di certuni motori (escludendo le autovetture a gas, elettriche e ibride: il che diventa una
scelta che indirettamente incentiva l’acquisto/utilizzo
di queste diverse vetture) come pure si può imporre
di limitare l’utilizzo dei piccoli impianti a legna (stante
le emissioni di fumo atipiche: non esclusivamente in
via generalizzata colpendo tutti gli utilizzatori dei caminetti o impianti).
Insomma, a noi pare, che i comuni anche versando
in siffatte situazioni emergenziali, ovvero nel ricorrere alle ordinanze in parola, debbano essere da un lato sgravati dall’esercire una (sia consentito “eccedente”, forse sproporzionata) discrezionalità; dall’altro gli
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Speciale: potere di ordinanza del Sindaco
ordinanze ambientali
amministratori e i funzionari vanno come dire “aiutati” nella loro “doverosità” dell’azione amministrativa
che non può conseguire dalla mera paura di incorrere
in responsabilità penale.
Le scelte degli amministratori locali debbono bensì discendere dalla funzione di tutela della salute e dell’ambiente della propria collettività.
Si tratta di una azione che non può essere disgiun-
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ta dai noti (anzidetti) “valori” costituzionali e neppure evitare di aggiornarsi alla nuova visione dello sviluppo sostenibile.
Rispetto e atteggiamento che non possono giammai
adombrarsi, ma che anzi vanno decisamente promossi e coltivati, oltre che concretamente perseguiti con
una attività programmatoria piuttosto che di provvedimenti emergenziali.
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formulario
acquisti
Acquisti autonomi, acquisti
nel MEPA, acquisti tramite
convenzione Consip
di Marzia Alban
La legge di stabilità 2016 (l. 208/2015) contiene l’ennesima manovra di “razionalizzazione” dei processi di approvvigionamento di beni e servizi per le amministrazioni pubbliche, e insieme di spending review, introducendo rilevantissime modifiche ad una pluralità di disposizioni, già modificate a più riprese dai recenti interventi di spending review. Ovviamente non si tratta di “testo unico” organico sulle modalità di acquisizione di beni e servizi, ma di continue modifiche, integrazioni, soppressioni di parole, periodi o frammenti di periodi di norme precedenti. Agli operatori è lasciato il non agevole compito di ricostruire un mosaico sempre più complesso, dove le diverse tessere sono contenute in una miriade di leggi finanziarie o decreti legge anticongiunturali o di spending review. Anche le “Tabelle obblighi-facoltà” elaborate da Consip sulle procedure previste per le diverse tipologie di p.a. sono da tempo
non aggiornate: un altro sintomo dell’avvertita difficoltà di inseguire novità che si succedono ad un ritmo sempre
più frenetico e disordinato (…) una triste ordinarietà con cui purtroppo deve fare i conti chi è deputato agli acquisti.
Il solito mastodontico art. 1 della Legge Finanziaria nei commi da 494 a 512 prevedono il “Rafforzamento dell’acquisizione centralizzata di beni e servizi”. La relazione tecnica, spiega che “le norme per il rafforzamento dell’acquisizione
centralizzata sono volte a conseguire una maggiore economicità ed efficienza negli approvvigionamenti di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, garantendo risparmi di spesa tramite la riduzione dei prezzi unitari d’acquisto. I nuovi strumenti che agiscono sul lato della domanda, incluso lo sviluppo di gare aggregate, e le misure volte al
rafforzamento degli strumenti sul lato dell’offerta, offrono alle pp.aa. strumenti per effettuare riduzioni della spesa per
l’acquisto di beni e servizi nel solco già tracciato dal d.l. 66/2014. Le principali novità riguardano:
- Obbligo più stringente per gli enti locali di ricorso alle convenzioni Consip o centrali di committenza regionali per
le categorie merceologiche individuate all’art. 1, comma 7 del d.l. 95/2012 (comma 494);
- Obbligo di utilizzo per le società pubbliche controllate dallo Stato o dagli Enti locali di utilizzare il parametro di prezzo qualità delle convenzioni Consip (comma 498);
- inserimento degli enti locali tra i soggetti che oltre determinate soglie e per definite categorie di beni e servizi, si
rivolgono a soggetti aggregatori (comma 499);
- autorizzazione anche per i comuni sotto i 10.000 abitanti della possibilità di procedere autonomamente, e non
tramite CUC, per gli acquisti di valore inferiore a 40.000,00 euro (comma 501). Il limite era stato imposto dall’art.
23-ter, comma 3 del d.l. 90/2014;
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formulario
acquisti
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- previsione del limite di 1000,00 euro di importo per acquisti di beni e servizi oltre il quale vige l’obbligo del ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione (comma 502);
- Estensione dell’oggetto degli strumenti di acquisto e negoziazione messi a disposizione da Consip, anche alle attività di manutenzione (comma 504);
- Obbligo di programmazione biennnale, con aggiornamenti annuali, per gli acquisti di beni e servizi di importo stimato superiore a un milione di euro (comma 505);
- Obbligo per l’acquisizione di beni e servizi in materia di informatica e di connettività di procedere esclusivamente tramite Consip o soggetti aggregatori (comma 512).
Il formulario propone tre schemi per l’affidamento a seconda si proceda autonomamente, nel MEPA o tramite convenzione Consip.
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formulario
acquisti
Determinazione tipo di Aggiudicazione per acquisto autonomo
Determinazione del Responsabile del servizio di .............................
N. reg. part. .............................
N. reg. gen. .............................
Li .............................
Oggetto: Aggiudicazione della fornitura di ............................. - Codice C.I.G.: ............................. : .............................Impegno di spesa.
IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO
PREMESSO che si rende necessario procedere all’acquisto di .............................onde assicurare il regolare svolgimento del servizio di .............................
VISTO l’art. 125 del D.lgs. 163/2006;
Rilevato che la fornitura, per tipologia ed importo, rientra nel disposto degli artt. ................... del Regolamento per lavori, provviste e servizi da eseguirsi
in economia approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. ......... del ................... e successive modificazioni;
VISTO l’art. 1, c. 502 della L. 208/2015 (1) che indica in € 1000,00 l’importo di beni e servizi dal quale vige l’obbligo del ricorso al mercato elettronico di
cui al d.P.R. 207/2010 ;
RITENUTO, dato l’importo in questione pari a circa € 900,00 di procedere autonomamente; (2)
CONSIDERATO che si è provveduto a formulare una richiesta di offerta (3) per negoziare prezzi e condizioni migliorative e specifiche, nella quale sono state specificate le clausole essenziali del contratto, selezionando n. .........fornituri, scelti fra quelle iscritte all’Albo dei Fornitori ed altre di fiducia, le quali hanno fatto pervenire le loro offerte;
RITENUTO di aggiudicare la fornitura alla/e ditta/e risultata/e la/e migliore/i offerente/i, ovvero: ............................. come indicato nel prospetto comparativo, agli atti del Settore .............................; (4)
RITENUTA la congruità dell’offerta;
Accertato che la ditta aggiudicataria ha presentato l’autocertificazione inerente il possesso dei requisiti di natura generale di cui all’art. 38 del d.lgs.163/2006
ed il foglio patti e condizioni debitamente sottoscritti;
VISTO il Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali approvato con d.lgs. n. 267 del 18.8.2000, ed in particolare gli artt. 107 e 192;
VISTO il d.lgs. n. 163/2006 Codice Appalti, ed in particolare l’art. 125;
VISTO il Regolamento comunale per la disciplina degli acquisti in economia;
VISTA la delibera del Consiglio comunale n. ......... del.............., dichiarata immediatamente eseguibile, che ha approvato il bilancio triennale per gli anni............................. e la deliberazione di Giunta n. …., adottata in data…, dichiarata immediatamente eseguibile, con la quale è stato approvato il PEG
per l’anno.............................
VISTI gli articoli 37 del d.lgs 33/2013 ed 1, comma 32 della legge 190/2012;
VISTO il decreto sindacale n. ....... del.............................
DETERMINA
1) di affidare alla ditta “.............................” di ............................. la fornitura di quanto specificato nella premessa narrativa; (5)
(1) Il comma 502 della l. 208/2015 modifica l’art. 1, comma 450 della l. 296/2006 relativo al mercato elettronico della p.a, ponendo un limite di € 1000,00 per l’importo dei beni e servizi da acquistare per i quali vige l’obbligo del ricorso del mercato elettronico
di cui al d.P.R. 207/2010.
(2) Le amministrazioni saranno dunque libere di effettuare l’acquisto con modalità elettronica o meno per importi infra mille
euro. Così vengono semplificati gli acquisti “in economia” come disciplinati dai propri regolamenti interni, ed effettuati mediante
negoziazione diretta con i fornitori locali, emissione di buono d’ordine e gestione mediante cassa economale, o con procedure
equivalenti e comunque semplificate.
(3) Le nuove disposizioni sono fortemente a rischio elusione, perché le p.a. potrebbe essere tentata di frazionare gli acquisti pur
di rientrare nella cifra massima. Pertanto nell’applicazione della norma si dovrà tenere conto del noto principio del divieto di frazionamento artificioso, previsto dall’art. 29, comma 4 del Codice degli Appalti (“nessun affidamento può essere frazionato al fine
di escluderlo dall’osservanza delle norme che troverebbero applicazione se il frazionamento non vi fosse stato”).
(4) L’utilizzo del MEPA non è più obbligatorio fino all’importo di € 100,00, ma qualora l’Amministrazione preferisca procedere
comunque su MEPA, per ragioni di economia procedurale, potrà individuare nel Mercato Elettronico lo specifico metaprodotto
per il servizio di cui si ha necessità e procedere con un ordine diretto (ODA) ;
(5) Proprio con riguardo all’obbligo di preventiva escussione dei sistemi di e-procurement, è stata introdotta una deroga per i “microacquisti” di importo inferiore a 1.000 euro . Con tale intervento viene restituita anche l’opportuna semplificazione per gli acquisti “economali” disciplinati dai regolamenti interni delle p.a., ed effettuati mediante negoziazione diretta con i fornitori locali, emissione di buono d’ordine e gestione mediante cassa economale, o con procedure equivalenti e proporzionate alla modestissima entità della spesa.
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acquisti
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2) di impegnare allo scopo la somma complessiva di euro ..............., IVA compresa;
3) di imputare la spesa di € ..............., alla Missione............................. programma.............................Titolo............................. cap. ............... alla voce
“...............” del Bilancio .............................;
4) di dichiarare che l’obbligazione diverrà esigibile entro ............................. (indicazione della scadenza dell’obbligazione giuridica)
5) di dare atto di aver accertato preventivamente che la presente spesa è compatibile con i relativi stanziamenti di cassa e con le regole del patto di stabilità interno, ai sensi dell’art. 183, c. 8 del TUEL.
6) di disporre che il presente provvedimento venga pubblicato all’Albo Pretorio ai sensi dell’art. ........ del Regolamento comunale per la disciplina dei contratti ed, inoltre, di adempiere agli obblighi di pubblicazione sul portale dei dati previsti dagli articoli 37 del d.lgs. 33/2013 ed 1, comma 32 della legge
190/2012 il PTTI approvato con DGC n. ....... del ............................. evidenziando quanto segue: (6)
CIG
struttura proponente
oggetto
procedura di scelta del contraente
elenco operatori invitati a presentare l’offerta
aggiudicatario
importo aggiudicazione
determinazione approvazione
tempi completamento
Periodo pubblicazione
importo somme liquidate
IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO
............................................
ATTESTAZIONE ai sensi dell’art. 183 comma 7, TUEL
Importo della spesa: euro .............................
Impegno contabile: n. ...................................
Capitolo di bilancio: ......................................
Missione: ......................................................
Programma: ..................................................
Si assicura al riguardo di aver effettuato con esito positivo la valutazione di incidenza del provvedimento sull’equilibrio finanziario della gestione, dando atto altresì che dalla data odierna il suddetto provvedimento è esecutivo a norma dell’art. 183, comma 7, t.u. li ...........................
IL RESPONSABILE SERVIZI FINANZIARI
..................................................................
(6)Anche per i piccoli acquisti permane l’obbligo di trasparenza previsto dal d.l.gs 33/2013 e dalla l. 190/2012: la tabella riassume
i dati da pubblicare e da trasmettere all’ANAC entro Gennaio di ogni anno.
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acquisti
Determinazione tipo di Aggiudicazione previo esperimento di RDO sul Mercato elettronico
Determinazione del Responsabile del servizio di ............................
N. reg. part. ...............
N. reg. gen. ...............
li ...............
OGGETTO: Aggiudicazione della fornitura/del servizio di ............................. per la durata contrattuale dal.............................al ............................. - Codice
C.I.G.: ............................. : .............................Impegno di spesa.
IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO
PREMESSO che si rende opportuno/necessario provvedere in ordine alla fornitura/servizio di .............................per la durata dal.............................al........
..................... Dato atto che l’importo della suddetta fornitura risulta di valore inferiore alla soglia di rilievo comunitario;
RILEVATO che la fornitura, per tipologia ed importo, rientra nel disposto degli artt. ............................. del Regolamento per lavori, provviste e servizi da eseguirsi in economia approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. .......... del ............................. e successive modificazioni;(1)
RICHIAMATO il D. l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con l. 135 del 7 agosto 2012 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza
dei servizi ai cittadini”, che all’art 1 impone alle Pubbliche Amministrazioni l’obbligo di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. siano essi Convenzioni o offerte presenti nel MEPA (Mercato Elettronico delle Pubbliche Amministrazioni);
DATO atto che ai sensi dell’art. 26, comma 3 della legge 488/1999 le amministrazioni che procedono autonomamente negli approvvigionamenti di beni e
servizi, senza l’utilizzo delle convenzioni Consip, devono comunque rispettarne i relativi parametri di prezzo e qualità; (2)
CONSIDERATO CHE l’Ente non ha aderito alle convenzioni Consip di cui all’art. 26, comma 1, della legge 488/1999 per l’approvvigionamento in oggetto, rispettando, tuttavia, quanto disposto dall’art. 26, comma 3, della citata legge, avendo utilizzato i parametri di prezzo e qualità contemplati nelle predette
convenzioni come limite massimo, ed escludendo, conseguentemente, le offerte peggiorative sotto il profilo economico e prestazionale;(3)
DATO ATTO che la presente fornitura/servizio supera l’importo di € 1000,00 e pertanto secondo la previsione dell’art. 1, c. 502 della l. 208/2015 vige l’obbligo del ricorso al mercato elettronico di cui all’art. 328 del d.P.R. 207/2010 (4)
VISTA la determinazione n. del…….con la quale è stata indetta procedura di acquisto in economia ai sensi dell’art. 125 del Dlgs 163/2006 e del d.P.R.
207/2010;
CONSIDERATO che si è provveduto all’interno del MEPA a formulare una richiesta di offerta (RdO n. .......... del............................. per negoziare prezzi e condizioni migliorative e specifiche, nella quale sono state specificate le clausole essenziali del contratto, selezionando n. ............................. fornituri, scelti
(1) La presente determinazione tipo comprende gli importi da 1000,00 euro, fino alla soglia comunitaria. Tra le numerose novità
della Legge 208/2015, alcune erano state fortemente richieste in una prospettiva di semplificazione, specie per i piccoli enti. È
stata alla fine concessa la tanto agognata deroga per l’attività contrattuale minore di importo infra 40.000 euro, anche ai comuni
con popolazione inferiore a 10.000 abitanti (comma 501, che modifica l’art. 23-ter d.l. 90/2014 conv. l. 114/2014). Si tratta di un
condivisibile intervento, dettato dalle pressanti richieste dell’ANCI di snellimento della gestione dell’attività contrattuale minore,
ancorchè a ben vedere contraddica la finalità di rafforzamento della centralizzazione voluta dal legislatore. La deroga, va sottolineato, riguarda peraltro solo l’obbligo di centralizzazione secondo le modalità di cui all’art. 33, comma 3-bis del Codice, ma non
quello di effettuare acquisti di beni e servizi mediante il prioritario ricorso agli strumenti elettronici (MEPA, altri mercati elettronici o sistemi telematici di negoziazione), attesa la persistente vigenza dell’art. 1, comma 450, II periodo, l. 296/2006, ovvero il
ricorso ai soggetti aggregatori, come stabilito dal riformulato art. 9, comma 3, d.l. 66/2014, ora mitigato per gli acquisti di beni
e servizi pari o superiori ai 1.000,00 euro.
(2) Il comma 494 modifica il decreto 95/2012 nella parte in cui prevede la deroga all’obbligo per le p.a. di approvvigionarsi attraverso convenzioni per un elenco definito di categorie merceologiche. Tra le innovazioni più rilevanti, va segnalato che si disapplica
per il periodo dal 1 gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, la c.d. “outside option”, ovvero la possibilità per le pp.aa. di ottenere
condizioni economiche migliori rispetto alle convenzioni Consip grazie al rilancio competitivo mediante procedure autonome.
(3) OPPURE: (CONSIDERATO CHE non sono attive convenzioni Consip di cui all’art. 26, comma 1, della legge 488/1999 aventi
ad oggetto beni e/o servizi comparabili con quelli relativa alla presente procedura di approvvigionamento;).
(4) L’obbligo per le amministrazioni di procedere ad acquisti di beni e servizi esclusivamente tramite strumenti telematici (strumenti Consip, strumento telematico della centrale regionale di riferimento, altro mercato elettronico della SA) vale ora per importi tra
i 1.000 euro e la soglia comunitaria. Quindi i micro affidamenti di beni e servizi sotto i 1.000 euro, a partire dal 1° gennaio 2016, non
ricadono più nell’obbligo di approvvigionamento telematico introdotto dalla speding review del 2012.
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acquisti
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fra le imprese iscritte al Mercato elettronico, le quali hanno fatto pervenire le offerte indicate nel verbale di gara n. ............ agli atti del Settore ..............
...................................;
RITENUTO di aggiudicare la fornitura alla/e ditta/e risultata/e la/e migliore/i offerente/i, ovvero: ............................., come indicato nel prospetto comparativo e nella relazione in data............................., agli atti del Settore .............................;
RITENUTA la congruità dell’offerta;
ACCERTATO CHE le ditte partecipanti alla procedura di approvvigionamento hanno provveduto ad effettuare il versamento del contributo all’Autorità di
vigilanza;(5)
ACCERTATA l’assenza di rischi di interferenza nell’esecuzione dell’appalto; (6)
DATO ATTO che sono stati espletati con esito favorevole i controlli di cui all’art. 48, comma 2, del d.lgs n. 163/2006, concernenti il POSSESSO dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa;
ACCERTATO che la ditta aggiudicataria ha presentato l’autocertificazione inerente il possesso dei requisiti di natura generale di cui all’art. 38 del d.lgs.
163/2006 ed il foglio patti e condizioni debitamente sottoscritti; (7)
VISTO il verbale di gara n. ...................../........ agli atti del Settore .............................;
VISTO il Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali approvato con d.lgs. n. 267 del 18.8.2000, ed in particolare gli artt. 107 e 192;
VISTO il d.lgs.. 81/2008 ed, in particolare, l’art. 26 comma 6;
VISTA la determinazione dell’Autorità per la vigilanza n. 3 del 5.3.2008;
VISTO il d.lgs. n. 163/2006 Codice Appalti, ed in particolare l’art. 125;
VISTO il d.P.R. n. 207/2010 Regolamento di attuazione del Codice dei contratti con particolare riferimento all’art. 328;
VISTO l’art. 26 della legge 488/1999;
VISTO il Regolamento comunale per la disciplina dei contratti, dei lavori, servizi e forniture in economia;
VISTA la l. 123/2007, con particolare riferimento all’art. 8;
VISTA la delibera del Consiglio comunale n. ...............del............................. dichiarata immediatamente eseguibile, che ha approvato il bilancio triennale
per gli anni............................. e la deliberazione di Giunta n. ..............., adottata in data…, dichiarata immediatamente eseguibile, con la quale è stato approvato il peg per l’anno.............................
VISTI gli articoli 2, comma 3 e 17, comma 1 del d.P.R. 62/2013, Regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici a norma dell’art.
54 del d.lgs.. 30 marzo 2001, n. 165, nonché il “Codice di comportamento dei dipendenti del Comune di ............................. “approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. ......... del .................; (8)
Visti gli articoli 37 del d.lgs. 33/2013 ed 1, comma 32 della legge 190/2012;
VISTO il decreto sindacale n. ............... del.....................................
DETERMINA
1) di affidare alla ditta “.............................” di ............................. la fornitura di quanto specificato nella premessa narrativa, per la durata di.............................
;
2) di impegnare allo scopo la somma complessiva di euro ............................., IVA compresa;
3) di imputare la spesa di € ..............., alla Missione……….. programma………….Titolo............................. cap. ............................. alla voce “...............” del
Bilancio .............................
4) di dichiarare che l’obbligazione diverrà esigibile entro .............................(indicazione della scadenza dell’obbligazione giuridica)
5) di dare atto di aver accertato preventivamente che la presente spesa è compatibile con i relativi stanziamenti di cassa e con le regole del patto di stabilità interno, ai sensi dell’art. 183, comma 8 del TUEL. (9)
6) di dare atto che non sussistono costi della sicurezza per rischi da interferenza oppure di dare atto che i costi della sicurezza per rischio da interferenza sono pari a ............;
(5) Da inserire qualora il valore della fornitura sia uguale o superiore a 150.000,00 euro al netto dell’IVA
(6) OPPURE: Accertata la presenza di rischi di interferenza nell’esecuzione dell’appalto, provvedendo, conseguentemente, alla
redazione del Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), allegato quale parte integrante del presente
provvedimento. Nel documento è stato quantificato il costo per la sicurezza.
(7) Con comunicato del Presidente, l’ANAC in data 10.12.2015 ha evidenziato che Consip, in qualità di gestore del MEPA, ai sensi
dell’art. 71 del d.P.R. 445/2000, effettua controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive in ordine al possesso dei requisiti
di carattere generale, rese dagli operatori in fase di abilitazione al MEPA e rinnovate ogni sei mesi. La singola stazione appaltante
è invece tenuta a svolgere le verifiche in ordine al possesso di ordine generale esclusivamente nei confronti del soggetto aggiudicatario della singola RDO.
(8) Si ricorda che le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 estendono,
per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici a tutti i collaboratori
o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, assicurando che ne siano a conoscenza e curandone la trasmissione agli esterni.
(9) I punti 3, 4 e 5 del dispositivo assicurano l’allineamento con la contabilità armonizzata e i relativi principi introdotti dal d.lgs..
118/2011 e ss.mm.ii.
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COMUNI D’ITALIA
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acquisti
7) di dare atto che il presente provvedimento diverrà efficace, ai sensi dell’art. 11, comma 8, del d.lgs. 163/2003 all’esito dei controlli relativi ai requisiti di cui all’art. 38;
8) di disporre la consegna, al prestatore affidatario dell’appalto, mediante comunicazione dell’indirizzo url del sito del Comune ove è pubblicato e reperibile, all’interno della sezione “Amministrazione trasparente”, il “Codice di comportamento dei dipendenti del Comune di ..........”, approvato con deliberazione della Giunta comunale n. ............ del ............., in conformità a quanto disposto dal d.P.R. 16 aprile 2013 n. 62, recante principi e obblighi la cui violazione
costituisce causa di risoluzione del rapporto contrattuale con il fornitore, così come stabilito dall’art. 2, comma 3 del citato d.P.R.;
9) di disporre che il presente provvedimento venga pubblicato all’Albo Pretorio ai sensi dell’art. ............................. del Regolamento comunale per la disciplina dei contratti ed, inoltre, di adempiere agli obblighi di pubblicazione sul portale dei dati previsti dagli articoli 37 del d.lgs. 33/2013 ed 1, comma 32 della legge 190/2012 il PTTI approvato con DGC n. ............................. del ............................. evidenziando quanto segue: (10)
CIG
struttura proponente
oggetto
procedura di scelta del contraente
elenco operatori invitati a presentare l’offerta
aggiudicatario
importo aggiudicazione
determinazione approvazione
tempi completamento
Periodo pubblicazione
importo somme liquidate
IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO
............................................
ATTESTAZIONE ai sensi dell’art. 183 comma 7, t.u.
Importo della spesa: E ....................
Impegno contabile: n. .....................
Capitolo di bilancio: ........................
Missione: ........................................
Programma: ....................................
Si assicura al riguardo di aver effettuato con esito positivo la valutazione di incidenza del provvedimento sull’equilibrio finanziario della gestione, dando atto altresì che dalla data odierna il suddetto provvedimento è esecutivo a norma dell’art. 183, comma 7, t.u.e.l. li ..........................
il responsabile servizi finanziari
....................................................
(10) Il provvedimento va pubblicato secondo le norme generali e i regolamenti dell’ente, nonché secondo quanto previsto dal
d.lgs. n. 33/2013, art. 37, e la l. 190/2012 e il Piano triennale per la trasparenza e l’integrità con tutte le informazioni sintetizzate
nella tabella.
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Approvvigionamento mediante adesione a convenzione Consip
Determinazione del Responsabile del servizio di .............................
N. reg. part. .............................
N. reg. gen. .............................
Li ................................................
Oggetto: Approvvigionamento mediante adesione a convenzione Consip di .............................
IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO
PREMESSO:
- che è necessario acquisire ............................. (1);
- che la società Concessionaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze per i servizi informatici pubblici, Consip SpA, nell’ambito del programma di razionalizzazione degli acquisti nella pubblica amministrazione, ha stipulato, così come stabilito dall’art. 26 della Legge 23.12.1999, n. 488 s.m.i., una convenzione per la “.............................”;
- che la suddetta convenzione rientra nel sistema di acquisti di beni e servizi offerto a tutte le amministrazioni, attraverso l’accesso al sito internet del
ministero dell’Economia e delle Finanze;
CONSTATATO che è attiva dal ............................., con scadenza .............................. la convenzione Consip “............................. lotti .............................” per
la fornitura di .............................;
RILEVATO che la predetta convenzione, stipulata ai sensi dell’art. 26 della Legge n. 488/1999 e s.m.i., dalla Consip S.p.A., (2) per conto del Ministero dell’economia e delle finanze, con ............................. comprende la seguente documentazione:
· Capitolato Tecnico
· Condizioni generali
·Convenzione
·Corrispettivi
· Guida alla Convenzione
· Offerta Tecnica
· Referenti call center
· Relazione Tecnica
· Responsabili del servizio generale
·DVRI
RITENUTO pertanto di aderire alla convenzione e di procedere alla fornitura di cui necessita nell’ambito della predetta convenzione che risponde pienamente alle esigenze dell’amministrazione comunale;
CONSIDERATO, inoltre, che:
- l’affidamento della fornitura tramite convenzione Consip (3) consente il contenimento della spesa e dei tempi, in conformità con i principi generali dell’azione amministrativa;
(1) Il comma 494 della l. 208/2015 disciplina la fornitura a regime speciale (energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti
extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) mediante modifiche apportate al comma 7 dell’art.
1 d.l. 95/2012 conv. l.135/2012. La normativa previgente prevedeva la possibilità di effettuare acquisti autonomi tramite altre
centrali di committenza o procedure di evidenza pubblica a prezzi inferiori di quelli delle convenzioni purché i contratti fossero
sottoposti a condizione risolutiva in tal senso. Ora l’approvvigionamento al di fuori delle convenzioni Consip è possibile solo se
risulta inferiore a determinate soglie percentuali: 10% per la telefonia, 3% per le altre categorie merceologiche individuate, con
obbligo di trasmissione all’ANAC dei contratti stipulati in base a questa facoltà. Si tratta come noto di tipologie merceologiche
caratterizzate da un elevato grado di standardizzazione e rispetto alle quali si colgono i maggiori vantaggi in termini di centralizzazione, grazie alle economie di scala prodotte dall’aggregazione di volumi consistenti di forniture.
(2) In tema di convenzioni quadro, altra novità di rilievo riguarda l’estensione dell’obbligo di benchmarking (rispetto dei parametri
prezzo-qualità delle convenzioni) alle società partecipate. Il comma 498 stabilisce invero che “Le società controllate dallo Stato e dagli enti locali che siano organismi di diritto pubblico ai sensi dell’articolo 3, comma 26, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
ad eccezione di quelle che emettono strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati, utilizzano i parametri di prezzo-qualità di
cui all’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488”. Si amplia così la logica, oramai inarrestabile, di estensione ad
ulteriori soggetti pubblici dei vincoli della spending review o dell’opportunità di fare ricorso agli strumenti di acquisto centralizzati.
(3) Nella prospettiva di un ulteriore potenziamento dell’attività di Consip (peraltro prevista anche nella legge delega per l’approvazione del nuovo Codice), la legge finanziaria stabilisce che gli strumenti di acquisto e di negoziazione messi a disposizione
da Consip S.p.A. possono avere ad oggetto anche attività di manutenzione qualificabili come lavori pubblici (comma 504). Una
novità che pare presagire l’apertura anche ad altri lavori, nella prospettiva dell’obbligo di digitalizzazione di tutte le procedure di
gara entro il 1.1.2018.
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- l’adesione alla convenzione Consip esonera dall’effettuare verifiche sui requisiti della ditta fornitrice, dato che questa verifica è stata effettuata in sede di gara dalla stessa Consip, con conseguente semplificazione sotto il profilo amministrativo;
ACQUISITO il CIG derivato(4) per la presente fornitura, stimata in €.............................;
VISTO che, con deliberazione di Consiglio n. ............................. adottata in data ............................., dichiarata immediatamente eseguibile, è stato approvato il bilancio preventivo 201..................................
VISTI:
- il decreto legislativo 267/2000 e successive modifiche e integrazioni ed, in particolare, gli artt.107, 151 comma 4, 163 co. 1 e 3, 183 e 192;
- l’art. 37 del d.lgs 33 del 14 marzo 2013 e l’art. 1 comma 32 della legge 190/2012;
- l’art. 26 della legge 23.12.1999, n. 488 e s.m.i.;
- l’art. 3 della legge 13 agosto 2010 n. 136;
- la determina dell’Autorità di Vigilanza n. 4 del 7.7.2011;
- l’art. ............................. dello Statuto comunale;
- l’art. ............................ del regolamento di contabilità;
DETERMINA
1) di aderire alla convenzione Consip relativa a ............................. stipulata tra Consip spa e la ditta ............................. relativa al lotto n. .............................
2) di autorizzare la fornitura di ............................. al prezzo di ..............................(5);
3 di imputare la spesa di € ............................. alla Missione............................. programma.............................Titolo............................. cap. .............................
alla voce ............................. del Bilancio .............................
4) di dichiarare che l’obbligazione diverrà esigibile entro ............................. (indicazione della scadenza dell’obbligazione giuridica)
5) di dare atto di aver accertato preventivamente che la presente spesa è compatibile con i relativi stanziamenti di cassa e con le regole del patto di stabilità interno, ai sensi dell’art. 183, comma 8 del TUEL.
6) di autorizzare i conseguenti adempimenti esecutivi, consistenti nella predisposizione e sottoscrizione dell’ordinativo di acquisto (6);
7) di dare atto che il presente provvedimento ha efficacia immediata dal momento dell’acquisizione dell’attestazione di copertura finanziaria resa ai sensi dell’art.183, comma 7 del d.lgs. 267/2000;
8) di disporre che il presente provvedimento venga pubblicato all’Albo Pretorio ai sensi dell’art. ........ del Regolamento comunale per la disciplina dei contratti ed, inoltre, di adempiere agli obblighi di pubblicazione sul portale dei dati previsti dagli articoli 37 del d.lgs. 33/2013 ed 1, comma 32 della legge
190/2012 il PTTI approvato con DGC n. ............... del …............... evidenziando quanto segue:
(4) Al momento dell’adesione a una convenzione o accordo quadro deve essere richiesto un CIG derivato rispetto al CIG padre
acquisito dal RUP che ha gestito la gara. La funzionalità è già prevista nel sistema informatico dell’Autorità. Il tutto è confermato
dalla determinazione ANAC n. 11 del 23.9.2015, al punto 4 .
(5) Ulteriore significativa innovazione è quella recata dal comma 505 circa l’obbligo (e non più mera facoltà) di programmazione
acquisti di beni e servizi. Si prevede che “Al fine di favorire la trasparenza, l’efficienza e la funzionalità dell’azione amministrativa,
le amministrazioni pubbliche approvano, entro il mese di ottobre di ciascun anno, il programma biennale e suoi aggiornamenti
annuali degli acquisti di beni e di servizi di importo stimato superiore a 1.000.000,00 euro.” Il programma biennale, predisposto
sulla base dei fabbisogni di beni e servizi, indica le prestazioni oggetto dell’acquisizione, la quantità, ove disponibile, il numero
di riferimento della nomenclatura, le relative tempistiche. L’aggiornamento annuale indica le risorse finanziarie relative a ciascun
fabbisogno quantitativo degli acquisti per l’anno di riferimento. Il programma biennale e gli aggiornamenti sono comunicati alle
strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, nonché pubblicati sul profilo del committente dell’amministrazione e sul
sito informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture presso l’Autorità Nazionale Anti
Corruzione. Viene contestualmente abrogato l’art. 271 del Regolamento (d.P.R. 207/2010) che stabiliva una mera facoltà di
adottare strumenti programmatori per gli acquisti di beni e servizi. L’effettività del nuovo obbligo si ricollega alle sanzioni stabilite
dalla nuova disposizione: la violazione delle previsioni è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei
dirigenti, nonché ai fini dell’attribuzione del trattamento accessorio collegato alla performance. Le acquisizioni non comprese nel
programma e nei suoi aggiornamenti non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni.
Sono fatte salve le acquisizioni imposte da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le acquisizioni dipendenti da sopravvenute
disposizioni di legge o regolamentari.
(6) Alla medesima logica di rafforzamento della centralizzazione si ricollegano le disposizioni in materia di forniture e servizi in
ambito informatico (comma 512) con l’obbligo di approvvigionamento esclusivamente tramite Consip o soggetti aggregatori.
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acquisti
COMUNI D’ITALIA
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CIG
struttura proponente
oggetto
procedura di scelta del contraente
elenco operatori invitati a presentare l’offerta
aggiudicatario
importo aggiudicazione
determinazione approvazione
tempi completamento
Periodo pubblicazione
importo somme liquidate
IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO
............................................
ATTESTAZIONE ai sensi dell’art. 183 comma 7, t.u.
Importo della spesa: euro ........................................
Impegno contabile: n. ..............................................
Capitolo di bilancio: .................................................
Missione: ..................................................................
Programma................................................................
Si assicura al riguardo di aver effettuato con esito positivo la valutazione di incidenza del provvedimento sull’equilibrio finanziario della gestione, dando atto altresì che dalla data odierna il suddetto provvedimento è esecutivo a norma del t.u. sull’ordinamento degli enti locali.
li, ............................................
IL RAGIONIERE CAPO
.........................................
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IFEL - Dipartimento Studi EconomiaTerritoriale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
I comuni di aree
interne: il target
territoriale di una
strategia nazionale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
La Strategia Nazionale per le Aree Interne, in posizione di rilievo nell’Accordo di
Partenariato 2014-2020 e nel Piano Nazionale di Riforma del Governo italiano, si
rivolge a territori (più di 4.000 comuni) distanti da grandi centri di agglomerazione e di servizio e con traiettorie di sviluppo instabili, ma al contempo dotati di risorse con un grande potenziale di attrazione. La sfida è quella di invertire il processo di marginalizzazione che ha colpito queste aree, contrastando la caduta
demografica e rilanciando lo sviluppo di queste zone, grazie all’impiego di investimenti derivanti dai fondi ordinari delle Leggi di Stabilità e dai fondi comunitari
rientranti nel nuovo ciclo di programmazione europea.
Nel presente articolo si presentano gli obiettivi della Strategia e si analizzano nel
dettaglio le caratteristiche demografiche, territoriali ed economiche dei comuni target.
I NUMERI DEI COMUNI
COMUNI D’ITALIA
La Strategia Nazionale Aree Interne
Nel nuovo ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020 si inserisce la Strategia Nazionale per le Aree Interne, destinata ai comuni italiani caratterizzati da
difficoltà di accesso ai servizi fondamentali, quali l’istruzione, la mobilità e le cure ospedaliere.
Il perimetro di tali aree è stato tracciato in prima battuta dal Dipartimento per lo
Sviluppo e la Coesione economica, che ha individuato oltre 4.000 comuni che
distano più di 20 minuti di percorrenza rispetto ad un comune che riveste il ruolo di “centro di offerta” dei servizi fondamentali prima detti.
«Si tratta di aree particolarmente fragili, che hanno subito nel tempo un processo di marginalizzazione e declino demografico e le cui significative potenzialità di
ricchezza naturale, paesaggistica e di saper fare vanno recuperate e valorizzate
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I NUMERI DEI COMUNI
IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
COMUNI D’ITALIA
con politiche integrate sul lato dello sviluppo economico e su quello dell’adeguatezza dei servizi alle comunità»(1). Nello specifico stiamo parlando del 53% dei
comuni italiani, nei quali vive il 23% della popolazione italiana, pari a oltre 13,5
milioni di abitanti, residenti in una porzione del territorio che supera il 60% della
superficie nazionale. Sono territori caratterizzati da un forte spopolamento e da
una scarsa offerta di servizi, molti di questi sono territori montani, vaste aree sono soggette ad elevati livelli di rischio idrogeologico e di perdita di diversità biologica. Tuttavia sono luoghi che custodiscono un patrimonio culturale e naturalistico importante, che fanno del paesaggio la loro idea di sviluppo e crescita, che
possono ospitare un turismo a basso impatto ambientale, e che pertanto possono candidarsi a diventare sentinelle per la tutela e la valorizzazione del patrimonio ambientale che li rende unici.
Da una prospettiva nazionale, la grande estensione delle aree interne, sia in termini demografici che territoriali, rende immediatamente evidente quanto sia consistente il loro potenziale e quanto sia quindi importante il loro contributo per riprendere una traiettoria di sviluppo a livello nazionale.
L’obiettivo ultimo della Strategia Aree Interne, in quanto condizione individuata
necessaria per il suo successo, è il rafforzamento della struttura demografica dei
sistemi locali di queste aree attraverso una crescita demografica o un aumento
delle classi di popolazione in età lavorativa.
Tuttavia per il raggiungimento dell’obiettivo demografico finale, la strategia prevede il perseguimento di 5 obiettivi intermedi:
1. aumento del benessere della popolazione locale;
2. aumento della domanda locale di lavoro e dell’occupazione;
3. aumento del grado di utilizzo del capitale territoriale;
4. riduzione dei costi sociali della de-antropizzazione;
5. rafforzamento dei fattori di sviluppo locale.
Sul versante operativo, la Strategia verrà attuata in due modalità: da un lato insisterà sull’adeguamento della qualità e quantità dell’offerta dei servizi essenziali
(istruzione, sanità e mobilità) che identificano il diritto di cittadinanza, attraverso
risorse nazionali (es. Leggi di Stabilità), dall’altro si declinerà in progetti di sviluppo locale, finanziati attraverso i fondi comunitari disponibili (FESR, FSE, FEASR,
FEAMP) che si concentreranno sui fattori chiave, nascosti o da valorizzare, presenti nelle aree interne:
• tutela del territorio e comunità locali;
• valorizzazione delle risorse naturali, culturali e del turismo sostenibile;
• sistemi agro-alimentari e sviluppo locale;
• risparmio energetico e filiere locali di energia rinnovabile;
• saper fare e artigianato.
Come riportato nell’Accordo di Partenariato 2014-2020 dell’Italia per l’impiego dei
fondi strutturali e di investimento europei, adottato il 29 ottobre alla Commissione
europea a chiusura del negoziato formale, la Strategia Aree Interne potrà raggiungere il proprio obiettivo finale «valorizzando le risorse naturali e culturali come risorse
che sostengono un’elevata qualità della vita, migliorando ulteriormente l’efficienza
energetica e la produzione sostenibile di energia rinnovabile, compatibilmente con le
esigenze di conservazione del territorio, e affrontando meglio la gestione dei rischi».
(1) Accordo di Partenariato 2014-2020 dell’Italia adottato il 29 ottobre 2014.
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1/2016
I comuni di aree interne
La scelta metodologica di classificazione delle aree interne si fonda sul grado di
perifericità di tali realtà da quei comuni che si pongono come poli di offerta di
servizi essenziali(2), ossia luoghi nei quali si registra la compresenza di un’offerta completa di scuole secondarie superiori, di strutture sanitarie sedi di dipartimenti d’emergenza e accettazione (DEA) di I livello e di stazioni ferroviarie di tipo almeno “silver”, corrispondenti ad impianti medio-piccoli.
L’individuazione dei poli, secondo il criterio di capacità di offerta dei servizi essenziali, ha consentito di classificare i restanti comuni in 4 fasce in base alle distanze dai poli misurate in tempi di percorrenza: le aree di cintura, distanti meno di 20 minuti di percorrenza e quindi rientranti di diritto nei “centri” di offerta di servizi e le aree interne, suddivise al proprio interno in aree intermedie
(20’<t<40’), periferiche (40’<t<75’) ed ultraperiferiche (t>75’).
La caratterizzazione indicata in questo modo ha permesso di individuare 4.261
comuni di aree interne. Sulla base di queste scelte metodologiche, su un totale
di 8.092 comuni, il 52,7% risulta essere di aree interne, il 2,7% un polo, l’1,3%
un polo intercomunale e il 43,4% un comune di cintura (Tabella 1 e Figura 1).
Tabella 1 - La classificazione dei comuni italiani in centri ed aree interne, 2012
N. comuni
Tipologia v.a.
Centri
Aree interne
%
Polo
219
2,7%
Polo intercomunale
104
1,3%
Cintura (t<20’)
3.508
43,4%
Intermedio (20’<t<40’)
2.377
29,4%
Periferico (40’<t<75’)
Ultraperiferico (t>75’)
Totale*
1.526
18,9%
358
4,4%
8.092
100,0%
I NUMERI DEI COMUNI
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di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
COMUNI D’ITALIA
*La classificazione operata nel 2012 dal DPS si riferisce agli 8.092 comuni italiani esistenti in quell’anno. Si
segnala che al 30 gennaio 2015 i comuni italiani sono 8.047.
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012
(2) Per maggiori informazioni sulla metodologia di definizione delle aree interne, cfr. la “Nota
Metodologica per la definizione delle aree interne” disponibile sul sito http://www.dps.gov.
it/it/arint/Cosa_sono/index.html.
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I NUMERI DEI COMUNI
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di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
COMUNI D’ITALIA
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Figura 1 - La classificazione dei comuni italiani in centri ed aree interne, 2012
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012
I comuni di aree interne sono ampiamente diffusi su quasi tutto il territorio nazionale, anche se è possibile rilevarne un numero maggiore nelle regioni del centro-sud e
lungo la dorsale appenninica. I comuni ultraperiferici risultano concentrati nella parte centro-meridionale della Basilicata, lungo la costa nord-occidentale della Calabria
al confine con la Campania, in Sardegna, nell’estremità nord e a sud lungo la fascia
orientale e in alcune zone delle Alpi centrali (Figura 2).
In valore assoluto il maggior numero di comuni di aree interne, 515, si trova in Lombardia (Tabella 2) mentre la più alta percentuale di comuni di aree interne sul totale dei comuni della regione si rileva in quelle del sud. In particolare, oltre il 96% delle amministrazioni comunali della Basilicata è di aree interne. Valori superiori a quello medio nazionale (52,7%) si osservano anche nelle realtà comunali della Sardegna (84,4%), della Calabria (77,8%), della Sicilia (76,4%), del Molise (75,0%), dell’Abruzzo (70,8%) e della Puglia (56,2%). Al centro, percentuali di comuni di aree interne superiori al dato nazionale si rilevano nel Lazio (72,5%) e nell’Umbria (66,3%).
Al nord, in Trentino-Alto Adige, su un numero complessivo di 333 comuni, l’82,6%,
275, è di aree interne e dei 74 comuni della Valle d’Aosta 44 sono di aree interne (il
59,5% dei comuni della regione).
IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
COMUNI D’ITALIA
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Figura 2 - I comuni di aree interne, per grado di perifericità, 2012
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012
Tabella 2 - I comuni di aree interne in Italia, per regione, 2012
Regione
Piemonte
Numero comuni di
aree interne (a)
505
Numero comuni della
regione (b)
1.206
% comuni di aree interne (a/b)
41,9%
Valle d’Aosta
44
74
59,5%
Lombardia
515
1.544
33,4%
Trentino-Alto Adige
Veneto
275
191
333
581
82,6%
32,9%
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
86
106
218
235
39,4%
45,1%
Emilia-Romagna
Toscana
149
128
348
287
42,8%
44,6%
Umbria
61
92
66,3%
69
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Numero comuni di
aree interne (a)
Regione
COMUNI D’ITALIA
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Numero comuni della
regione (b)
% comuni di aree interne (a/b)
Marche
118
239
49,4%
Lazio
274
378
72,5%
Abruzzo
216
305
70,8%
Molise
102
136
75,0%
Campania
286
551
51,9%
Puglia
145
258
56,2%
Basilicata
126
131
96,2%
Calabria
318
409
77,8%
Sicilia
298
390
76,4%
Sardegna
318
377
84,4%
Totale
4.261
8.092
52,7%
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012
Il 70,2% dei comuni del paese con popolazione inferiore a 2.000 unità e oltre la
metà (51,4%) di quelli con un numero di abitanti compreso tra 2.000 e 4.999 residenti è di aree interne (Tabella 3). In generale all’aumentare della classe di ampiezza demografica, la percentuale di comuni di aree interne sul totale di ciascuna
classe decresce sensibilmente, fino ad azzerarsi in corrispondenza della fascia demografica più popolosa con oltre 250.000 residenti. Solo il 4,3% delle amministrazioni comunali con popolazione tra 60.000 e 249.999 residenti è di aree interne.
È evidente dunque che le aree interne siano prevalentemente piccoli comuni.
Tabella 3 - I comuni di aree interne in Italia, per classe demografica, 2012
Classe di ampiezza de- Numero comuni di Numero comuni della % comuni di aree interne (a/b)
mografica
aree interne (a)
classe demografica (b)
0 - 1.999
2.472
3.520
70,2%
2.000 - 4.999
1.109
2.156
51,4%
5.000 - 9.999
417
1.188
35,1%
10.000 - 19.999
183
709
25,8%
20.000 - 59.999
76
415
18,3%
60.000 - 249.999
4
92
4,3%
>= 250.000
0
12
0,0%
Totale
4.261
8.092
52,7%
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012
70
IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
COMUNI D’ITALIA
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Oltre 13,5 milioni di abitanti (3), il 22,8% della popolazione nazionale, risiede in
un comune di aree interne (Tabella 4). Esistono forti differenze a livello geografico. Si passa dal 74,7% della popolazione dei comuni della Basilicata che vive in
un comune di aree interne all’8,8% dei cittadini delle realtà comunali della Liguria. In generale nelle regioni del sud la percentuale di popolazione residente nei
comuni di aree interne sulla popolazione regionale è superiore al dato nazionale;
unica eccezione è rappresentata dalla Campania, in cui il 15,9% della popolazione risiede in un comune di aree interne. Al centro, oltre un terzo della popolazione umbra vive in un comune di aree interne; percentuali superiori alla media paese si osservano anche nei comuni del Lazio (24,3%). Al nord, oltre la metà dei
residenti dei comuni del Trentino-Alto Adige risiede in un comune di aree interne;
tale percentuale scende al 30,5% per ciò che concerne la popolazione dei comuni della Valle d’Aosta pur mantenendosi sopra la media nazionale.
I comuni di aree interne coprono nel complesso una superficie pari a 183.959 kmq,
pari al 61,0% della superficie totale del paese. I comuni di aree interne della Basilicata si estendono sul 92,3% della superficie complessiva dei comuni della regione. Percentuali superiori all’80% si osservano anche in Trentino-Alto Adige (89,8%)
e in Sardegna (84,5%).
Tabella 4 - La popolosità e l’estensione territoriale dei comuni di aree interne,
per regione, 2011
Popolazione residente nei comuni di aree
interne
Regione
v.a.
Superficie (kmq) dei comuni di
aree interne
% su pop. dei comuni della regione
v.a.
% su sup. dei
comuni della
regione
Piemonte
639.479
14,7%
12.520
49,3%
Valle d’Aosta
38.680
30,5%
2.337
71,6%
Lombardia
1.046.793
10,8%
11.049
46,3%
Trentino-Alto Adige
574.062
55,8%
12.221
89,8%
Veneto
892.029
18,4%
6.926
37,6%
Friuli-Venezia Giulia
167.905
13,8%
4.227
53,8%
Liguria
138.269
8,8%
2.783
51,3%
Emilia-Romagna
598.881
13,8%
9.955
44,4%
Toscana
495.636
13,5%
12.020
52,3%
Umbria
297.448
33,6%
4.947
58,5%
Marche
287.226
18,6%
4.811
51,4%
Lazio
1.336.255
24,3%
10.207
59,2%
(3) 15° Censimento della popolazione e delle abitazioni 2011, Istat.
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IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
COMUNI D’ITALIA
1/2016
Abruzzo
376.181
28,8%
7.172
66,6%
Molise
133.985
42,7%
3.308
74,5%
Campania
916.017
15,9%
8.856
65,2%
Puglia
1.180.592
29,1%
9.816
50,7%
Basilicata
431.512
74,7%
9.228
92,3%
Calabria
995.959
50,8%
11.896
78,9%
Sicilia
2.137.718
42,7%
19.330
75,2%
Sardegna
856.897
52,3%
20.350
84,5%
Totale
13.541.524
22,8%
183.959
61,0%
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS ed Istat, 2012
Osservando i principali indicatori demografici, economici ed istituzionali dei comuni di aree interne rispetto a quelli classificati come centri e alla media dei comuni del paese, si possono cogliere alcuni segnali che indicano una maggiore
sofferenza rispetto agli altri (Tabella 5).
In dieci anni, dal 2001 al 2011, la popolazione residente nei comuni di aree interne è cresciuta circa la metà (il 2,2%) rispetto ai centri (4,9%) e alla media dei
comuni italiani (4,3%). Analogamente anche la densità abitativa nei comuni di
aree interne, pari a 73,6 abitanti per kmq, è oltre cinque volte inferiore rispetto
a quella dei comuni classificati come centri (391,0 abitanti per kmq) e circa tre
volte meno di quella media dei comuni del paese (197,2 ab./kmq).
Il tasso migratorio, inteso come differenza tra iscritti e cancellati all’anagrafe ogni
1.000 abitanti, consente di avere una misura dell’attrattività dei comuni di aree
interne rispetto ai centri e alla media dei comuni italiani. In particolare, mentre
nei comuni di aree interne il tasso migratorio nel 2014 si ferma a 10,2 ogni 1.000
abitanti, nei centri il dato sale a 22,2 ogni 1.000 residenti; valore quest’ultimo
superiore al dato medio nazionale (19,5 per 1.000 abitanti).
Nei comuni di aree interne si registra una concentrazione di popolazione straniera residente più bassa rispetto ai comuni classificati come centri e alla media nazionale. Gli stranieri residenti nei comuni di aree interne rappresentano nel 2014
il 6,3% della popolazione di questi comuni, contro l’8,6% dei centri e l’8,1% della media dei comuni italiani.
Il reddito imponibile ai fini IRPEF può permettere di misurare e confrontare la ricchezza economica dei comuni di aree interne rispetto agli altri comuni. Nell’anno d’imposta 2011 l’ammontare di reddito imponibile medio per ciascun contribuente residente in un comune italiano è stato pari a 23,48mila euro. Nei centri il
reddito medio, pari a 24,36mila euro, si attesta sopra la media nazionale, mentre
nei comuni di aree interne il dato si riduce a poco oltre i 20mila euro pro capite.
Considerando l’incidenza delle imprese attive in un determinato settore economico in ogni comune rapportata al totale delle imprese attive nel comune stesso, si misura l’indice di specializzazione economica (4). Un comune può esse-
(4) Da un punto di vista analitico si è proceduto al calcolo, per ciascun comune, dei quozienti
di localizzazione (QL) dei tre settori (primario, secondario e terziario). A ciascun comune è
stata poi attribuita la specializzazione economica corrispondente al massimo valore di QL
osservato.
72
COMUNI D’ITALIA
1/2016
IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
re definito “specializzato” se tale rapporto risulta maggiore dello stesso rapporto calcolato a livello nazionale. L’analisi è stata svolta relativamente ai tre settori economici: primario (agricolo), secondario (industriale) e terziario (i servizi).
Le realtà comunali italiane, nel complesso, manifestano una vocazione imprenditoriale agricola: nel 58,9% delle amministrazioni comunali tale specializzazione è prevalente. Nei comuni di aree interne il dato si amplifica: il 72,9% di essi è specializzato nel settore primario. I comuni classificati come centri mostrano invece una minore propensione al settore agricolo con il 43,4% specializzato in tale settore.
I comuni di aree interne specializzati nel settore secondario sono meno della metà
rispetto ai centri (19,9% i primi e 44,1% i secondi). Analogamente i comuni di aree
interne specializzati nei servizi sono il 7,2% del totale, contro il 12,5% ed il 9,7% dei
centri e della media nazionale rispettivamente.
Da rilevare il dato sulla percentuale di comuni di aree interne partecipanti a forme di
gestione associata di funzioni, quali Unioni di Comuni e Comunità montane, rispetto alla media nazionale e ai comuni centri.
Poco meno di un terzo dei comuni di aree interne, il 30,6%, fa parte di un’Unione di
Comuni (ottobre 2015) e, nel 2014, oltre il 30% di una Comunità Montana (30,2%).
Nei centri tali percentuali si riducono al 27,6% e al 10,3% rispettivamente, mentre
a livello nazionale risalgono al 29,2% per quanto riguarda le Unioni di Comuni e al
20,8% per le Comunità montane.
Da rilevare il dinamismo dei comuni di aree interne per quanto riguarda l’attuazione
degli interventi finanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) nel ciclo
di programmazione 2007-2013. Infatti il 52,8% dei comuni di aree interne è attuatore di progetti FESR contro il dato medio nazionale del 45,8% e il 38,1% dei centri.
Tabella 5 I principali indicatori demografici, economici ed istituzionali relativi ai comuni di aree interne (un confronto con i centri ed il totale dei comuni italiani)
Aree interne
Centri
Totale comuni italiani
Var. % popolazione residente 2001/2011
2,2%
4,9%
4,3%
Densità abitativa (ab./kmq) 2011
73,6
391,0
197,2
Tasso migratorio (per 1.000 ab.) 2014
10,2
22,2
19,5
Incidenza degli stranieri residenti 2014
6,3%
8,6%
8,1%
Reddito imponibile IRPEF per contribuente (migliaia di eu- 20,12
ro) anno d’imposta 2011
24,36
23,48
% comuni specializzati nel primario 2013
72,9%
43,4%
58,9%
% comuni specializzati nel secondario 2013
19,9%
44,1%
31,4%
% comuni specializzati nel terziario 2013
7,2%
12,5%
9,7%
% comuni in Unioni di Comuni (ottobre) 2015
30,6%
27,6%
29,2%
% comuni in Comunità Montane 2014
30,2%
10,3%
20,8%
% comuni attuatori di progetti FESR 2007-2013 (febb.) 2015 52,8%
38,1%
45,8%
Dove non diversamente specificato, i dati si riferiscono alla data del 1° gennaio di ciascun anno.
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, Istat, Ministero dell’Economia e
delle Finanze, Infocamere, Anci, anni vari.
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IFEL - Dipartimento Studi Economia Territoriale
di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella
COMUNI D’ITALIA
1/2016
Questi i caratteri principali delle aree interne, luoghi sui quali si attiva la Strategia attraverso l’individuazione di aree progetto intese come «sistemi locali intercomunali,
ciascuno con una propria identità territoriale definita da caratteri sociali, economici,
geografici, demografici e ambientali»(5). All’area progetto, così concepita e selezionata attraverso un percorso di condivisione fra la regione e lo Stato, viene assegnato il compito di individuare una strategia di sviluppo (“strategia di area”) che costituisce sia la base per attuare gli «interventi per mezzo di un Accordo di Programma
Quadro (APQ), sia lo strumento per comunicare in modo comprensibile a tutti i cittadini dell’area i risultati attesi e le azioni intraprese per conseguirli» (6).
(5) “Linee guida per costruire una “Strategia di area-progetto”. Documento di lavoro: versione
novembre 2014”, DPS.
(6) Ib.
74
COMUNI D’ITALIA
normativa
1/2016
dalla Gazzetta Ufficiale
16 NOVEMBRE 2015 - 15 FEBBRAIO 2016
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
5 novembre 2015
Regioni a statuto ordinario - Contributi
dovuti all’ARAN per l’anno 2016
(G.U. 16 novembre 2015 n. 267)
DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO
8 ottobre 2015
Attribuzione di un contributo alle
province, per l’importo complessivo di
30 milioni di euro nell’anno 2015, per la
necessità di sopperire a specifiche straordinarie esigenze finanziarie, a valere
sulle risorse del Fondo per assicurare la
liquidità per pagamenti dei debiti certi,
liquidi ed esigibili
(G.U. 17 novembre 2015 n. 268)
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326
9 dicembre 2015 (G.U. 19 novembre 2015 n. 270)
Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio delle Regioni, delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e
dei loro organismi ed enti strumentali
DECRETO LEGISLATIVO
4 novembre 2015 n. 186
Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige
recanti modifiche e integrazioni al decreto
del Presidente della Repubblica 15 luglio
1988, n. 574, in materia di uso della lingua
tedesca e della lingua ladina nei rapporti
dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari
(G.U. 25 novembre 2015 n. 275)
DECRETO LEGGE
25 novembre 2015 n. 185 (G.U. 21 dicembre 2015 n. 296)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
1 dicembre 2015 Aggiornamento degli allegati al decreto
legislativo 23 giugno 2011, n. 118, in
materia di armonizzazione dei sistemi
contabili e degli schemi di bilancio
delle regioni, degli enti locali e dei loro
organismi
(G.U. 22 dicembre 2015 n. 297)
Misure urgenti per interventi nel territorio
DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO
9 novembre 2015 Rettifica del decreto
28 ottobre 2015, di ulteriore differimento di termini per la presentazione del
Documento unico di programmazione e
della deliberazione del bilancio di previsione 2016 degli enti locali
(G.U. 17 novembre 2015 n. 268)
LEGGE
12 novembre 2015 n. 182
Conversione in
legge, con modificazioni, del decretolegge 20 settembre 2015, n. 146, recante
misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione.
(G.U. 18 novembre 2015 n. 269)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
15 settembre 2015
Assegnazione alle regioni Abruzzo,
Basilicata, Calabria, Campania, Emilia
Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio,
Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria,
Valle d’Aosta e Veneto, di risorse
finanziarie, ai sensi dell’articolo 32-bis
del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269, convertito, con modificazioni,
(G.U. 25 novembre 2015 n. 275)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
25 novembre 2015 DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
18 novembre 2015 Modifica del decreto
21 novembre 2001 relativo alla individuazione degli Stati o territori a regime
fiscale privilegiato
Modifica della Tabella A allegata al
decreto 9 marzo 1999, di individuazione
dei comuni non metanizzati ricadenti
nella zona climatica E di cui al decreto
del Presidente della Repubblica del 26
agosto 1993, n. 412
(G.U. 30 novembre 2015 n. 279)
(G.U. 23 dicembre 2015 n. 298)
LEGGE
29 novembre 2015 n. 189 DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
16 dicembre 2015 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 2015,
n. 154, recante disposizioni urgenti in
materia economico-sociale
Criteri di ripartizione delle risorse del
Fondo per l’aggregazione degli acquisti
di beni e servizi per l’anno 2015
(G.U. 30 novembre 2015 n. 279)
(G.U. 24 dicembre 2015 n. 299)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
11 dicembre 2015 DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
18 dicembre 2015
Modifica del saggio di interesse legale
(G.U. 15 dicembre 2015 n. 291)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
Nuove modalità di trasmissione al
Ministero dell’economia e delle finanze,
dei dati rilevanti ai fini dell’addizionale
regionale all’imposta sul reddito delle
persone fisiche
(G.U. 28 dicembre 2015 n. 300)
75
COMUNI D’ITALIA
normativa
1/2016
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
21 dicembre 2015
DECRETO MINISTERO DELLE
INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
22 dicembre 2015 Approvazione del modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2016
Direttive e calendario per le limitazioni
alla circolazione stradale fuori dai centri
abitati per l’anno 2016
(G.U. 28 dicembre 2015 n. 300)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
22 dicembre 2015 Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio degli enti locali e dei loro
enti ed organismi strumentali
(G.U. 28 dicembre 2015 n. 300)
DECRETO MINISTERO DEL LAVORO E
DELLE POLITICHE SOCIALI
30 ottobre 2015 Ripartizione delle risorse finanziarie afferenti al Fondo nazionale per l’infanzia
e l’adolescenza finalizzato alla realizzazione di interventi nei comuni riservatari
di cui alla legge 28 agosto 1997, n. 285,
per l’anno 2015
(G.U. 29 dicembre 2015 n. 301)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
22 dicembre 2015 Approvazione della territorialità del
livello delle locazioni immobiliari
(S.O. 29 dicembre 2015 n. 301)
DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO
23 dicembre 2015 Modalità tecniche di emissione della
Carta d’identità elettronica
(G.U. 30 dicembre 2015 n. 302)
(G.U. 31 dicembre 2015 n. 303)
DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO
27 ottobre 2015
Condizioni e modalità per la stipula di
convenzioni e contratti per la permuta
di materiali o prestazioni tra il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del
Ministero dell’interno e soggetti pubblici
e privati
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2016)
Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2,
della legge 28 aprile 2014, n. 67
(G.U. 22 gennaio 2016 n. 17)
Deleghe al Governo per l’attuazione
delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE
e 2014/25/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 26 febbraio 2014,
sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle
procedure d’appalto degli enti erogatori
nei settori dell’acqua, dell’energia, dei
trasporti e dei servizi postali, nonche’
per il riordino della disciplina vigente
inmateria di contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture
Modalità di comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro
(G.U. 11 gennaio 2016 n. 7)
DECRETO MINISTERO DELLE
INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
22 dicembre 2015 Recepimento della direttiva della
Commissione 2014/85/UE recante
modifica della direttiva 2006/126/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio
concernente la patente di guida.
(G.U. 13 gennaio 2016 n. 9)
Legge
28 dicembre 2015 n. 221 Disposizioni
in materia ambientale per promuovere
misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse
naturali.
DECRETO MINISTERO DELL’AMBIENTE
E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL
MARE
24 dicembre 2015 (G.U. 30 dicembre 2015 n. 302)
(G.U. 21 gennaio 2016 n. 16)
76
DECRETO LEGISLATIVO
15 gennaio 2016 n. 8 DECRETO MINISTERO DEL LAVORO E
DELLE POLITICHE SOCIALI
15 dicembre 2015 Proroga di termini previsti da disposizioni legislative
DECRETO LEGGE
30 dicembre 2015 n. 210 (G.U. 22 gennaio 2016 n. 17)
LEGGE
28 gennaio 2016 n. 11 Adozione dei criteri ambientali minimi
per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione,
ristrutturazione e manutenzione di
edifici per la gestione dei cantieri della
pubblica amministrazione e criteri ambientali minimi per le forniture di ausili
per l’incontinenza
(S.O. 30 dicembre 2015 n. 302)
Disposizioni in materia di abrogazione di
reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo
2, comma 3, della legge 28 aprile 2014,
n. 67
(G.U. 4 gennaio 2016 n. 2)
(G.U. 18 gennaio 2016 n. 13)
LEGGE
28 dicembre 2015 n. 208 DECRETO LEGISLATIVO
15 gennaio 2016 n. 7
(G.U. 29 gennaio 2016 n. 23)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
14 dicembre 2015 Programmazione transitoria dei flussi
d’ingresso dei lavoratori non comunitari
nel territorio dello Stato, per l’anno
2016
(G.U. 2 febbraio 2016 n. 26)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
22 dicembre 2015 Rideterminazione
del tasso di interesse da corrispondere
sulle somme depositate nelle contabilità
speciali fruttifere degli enti ed organismi
pubblici
(G.U. 5 febbraio 2016 n. 29)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
27 gennaio 2016 Tasso di riferimento determinato per
il periodo 1° gennaio - 30 giugno 2016,
relativamente alle operazione a tasso
COMUNI D’ITALIA
normativa
1/2016
variabile, effettuate dagli enti locali ai
sensi dei decreti-legge 1° luglio 1986,
n. 318, 31 agosto 1987, n. 359 e 2 marzo
1989, n. 66, nonché della legge 11 marzo 1988, n. 67
(G.U. 5 febbraio 2016 n. 29)
DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
25 gennaio 2016 Ripartizione di spazi finanziari per
interventi nel settore delle linee metropolitane
concessioni demaniali marittime
(G.U. 9 febbraio 2016 n. 32)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
24 dicembre 2015
Individuazione delle categorie merceologiche ai sensi dell’articolo 9, comma 3
del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66,
convertito, con modificazioni, dalla legge
23 giugno 2014, n. 89, unitamente all’elenco concernente gli oneri informativi
(G.U. 9 febbraio 2016 n. 32)
(G.U. 6 febbraio 2016 n. 30)
DECRETO MINISTERO DELL’INTERNO
1 febbraio 2016 Riassegnazione delle disponibilità residue del Fondo di solidarietà comunale
2014, a favore dei comuni delle regioni a
statuto ordinario e delle regioni Siciliana
e Sardegna
(G.U. 6 febbraio 2016 n. 30)
DECRETO MINISTERO DELLE
INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
2 dicembre 2015 Aggiornamenti relativi all’anno 2016,
delle misure unitarie dei canoni per le
DECRETO LEGISLATIVO
28 gennaio 2016 n. 15
Attuazione della direttiva 2013/55/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio,
recante modifica della direttiva 2005/36/
CE, relativa al riconoscimento delle
qualifiche professionali e del regolamento (UE) n. 1024/2012, relativo alla
cooperazione amministrativa attraverso
il sistema di informazione del mercato
interno (“Regolamento IMI”)
(G.U. 9/2/2016 n. 32)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
24 dicembre 2015 Determinazione dell’ammontare massimo
del beneficio a favore dei nuclei familiari con
un numero di figli minori, pari o superiore
a quattro, in possesso di una situazione
economica corrispondente a un valore ISEE
non superiore a 8.500,00 euro annui.
(G.U. 12 febbraio 2016 n. 35)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
29 dicembre 2015 Riparto del contributo complessivo di
30 milioni di euro a favore delle città
metropolitane e delle province, per
attività di assistenza e di istruzione agli
alunni con handicap fisici o sensoriali o
in situazione di svantaggio
(G.U. 16 febbraio 2016 n. 38)
DECRETO PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA
15 febbraio 2016 Indizione del referendum popolare per
l’abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell’articolo 6 del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, come sostituito dal
comma 239 dell’articolo 1 della legge 28
dicembre 2015, n. 208, limitatamente alle
seguenti parole: «per la durata di vita utile
del giacimento, nel rispetto degli standard
di sicurezza e di salvaguardia ambientale»
(G.U. 16 febbraio 2016 n. 38)
77
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
giurisprudenza
ACCESSO AGLI ATTI
TAR TOSCANA SEZ. III
sentenza 21 gennaio 2016, n. 99
Diritto di accesso agli atti del
procedimento di sopralluogo della
polizia municipale
Diritto di accesso ai documenti amministrativi – sopralluogo della polizia municipale all’interno di abitazione privata – istanza di accesso agli
atti da parte del soggetto proprietario
– silenzio-rigetto – illegittimità – fattispecie
È illegittimo il silenzio-rigetto serbato dal
comune sull’istanza diretta ad ottenere
l’accesso agli atti e documenti amministrativi del procedimento nell’ambito del
quale funzionari della polizia municipale
hanno eseguito un sopralluogo all’interno dell’abitazione della richiedente. Nella specie paiono infatti sussistere i presupposti per l’ostensione degli atti amministrativi, alla luce degli artt. 22 e ss.
della legge n. 241 del 1990; in particolare sussiste sicuramente l’interesse diretto, concreto e attuale previsto dall’art. 22,
comma 1, lett. b), legge 241 cit., poiché
la ricorrente chiede di prendere visione
degli atti inerenti un procedimento amministrativo che ha direttamente inciso
sulle sue situazioni giuridiche soggettive sia personali che proprietarie, avendo subito un sopralluogo nella sua abitazione da parte dell’autorità amministrativa; né sembrano rinvenibili nella specie
limiti all’accesso ai sensi dell’art. 24 della
legge n. 241 del 1990; quanto alla “violazione penale” che l’amministrazione evoca nella nota depositata in giudizio essa
non pare configurare un limite all’accesso: coma la giurisprudenza amministrativa ha chiarito il segreto istruttorio penale
78
viene in considerazione con riferimento
agli atti compiuti dall’autorità amministrativa nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitele dall’ordinamento, non già quando l’amministrazione si limiti a presentare una denuncia
all’a.g. nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative (TAR Lazio, sez. II, n. 11188/2015), com’è invece
avvenuto nella specie, avendo il comune
effettuato una comunicazione di notizia
di reato con riferimento alla asserita violazione da parte della ricorrente dell’ordine dell’autorità consistente nella accertata inagibilità del suo appartamento.
TAR SICILIA PALERMO SEZ. I
sentenza 15 gennaio 2016, n. 108
Diritto di accesso alle offerte di
gara
Diritto di accesso ai documenti amministrativi – appalti – gara per l’affidamento di servizi – offerta tecnica
presentata dalla società aggiudicataria – impresa concorrente seconda
classificata – diritto di accesso – va
riconosciuto
Va riconosciuto all’impresa concorrente
seconda classificata nella procedura di
gara per l’affidamento di servizi il diritto di accedere all’offerta tecnica presentata dalla società aggiudicataria ed alle
giustificazioni dell’offerta nel suo complesso. La controversia intercetta il tema
dell’interpretazione del combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 13 del d.lgs.
163/2006 (su cui, tra gli altri, Cons. Stato,
VI, 19.10.2009, n. 6393). Risulta evidente
dalla lettura delle due disposizioni che nel
codice dei contratti l’accesso sia collegato alla sola esigenza di una difesa in giudizio con una previsione che, quindi, si presenta più restrittiva di quella contenuta
nell’art. 24, legge 241/1990, la quale contempla un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica
del richiedente, senza alcuna restrizione
alla sola dimensione processuale (in termini Cons. Stato, sez. V, 24.3.2014, n.
1446). Ciò importa un controllo, anche
da parte del giudice, in ordine alla effettiva pertinenza ed utilità della documentazione richiesta per la difesa in giudizio
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 30.12.2011, n.
6996 e 9.12.2008, n. 6121). Nel caso di
specie, gli atti richiesti – progetto tecnico integrale e giustificazioni – devono ritenersi rilevanti per la difesa processuale, nell’ottica della parte che richiede l’ostensione, posto che per buona parte il
contenzioso ancora pendente è incentrato sul giudizio di congruità dell’offerta. Si
aggiunga che il comma 5 fa riferimento
a veri e propri segreti e non a generiche
informazioni riservate proprie di ciascuna
impresa (cfr. CGA, 5.12.2007, n. 1087) e
invece le opposizioni formulate dalle parti
appaiono sommarie e astratte e non tali
da integrare una “motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente” efficacemente ostativa.
TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. III
sentenza15 gennaio 2016, n. 110
Istanze di accesso agli atti c.d.
esplorative
Diritto di accesso ai documenti amministrativi – associazione a tutela
dei diritti dei cittadini – istanza di accesso all’elenco dei contratti di servizio pubblico locale stipulati dal Comune – rifiuto – legittimità – ragioni
È legittimo il rifiuto opposto dal comune
all’istanza di accesso agli atti formulata da
una associazione a tutela dei diritti dei cittadini, al fine di prendere visione ed estrarre
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
copia dell’elenco dei contratti di servizio
pubblico locale stipulati dall’amministrazione e ricadenti nella previsione di cui all’art.
2, comma 461, della legge n. 244 del 2007,
considerato che l’oggetto dell’accesso risulta costituito da un numero indeterminato di documenti, in alcun modo individuati e per di più formati in un arco temporale
non meglio specificato; inoltre, come ammesso dalle stesse ricorrenti nella nota di
riscontro al preavviso di rigetto, non risulta
nemmeno con certezza l’esistenza presso
l’ente comunale della richiesta documentazione, ritenuta comunque “facilmente desumibile” dalle stesse istanti. Pertanto, come evidenziato dalla più recente giurisprudenza, un’istanza siffatta deve essere ritenuta del tutto generica e, conseguentemente, risulta legittimo il comportamento tenuto dall’amministrazione comunale
intimata. Difatti,“l’istanza di accesso deve avere ad oggetto una specifica documentazione in possesso dell’amministrazione indicata in modo sufficientemente
preciso e circoscritto e non può riguardare, come nella fattispecie, dati ed informazioni generiche riguardanti un complesso
non individuato di atti di cui non si conosce
neppure con certezza la consistenza, il contenuto e finanche la effettiva sussistenza,
assumendo un sostanziale carattere di natura meramente esplorativa” (Cons. Stato,
sez. IV, 12.1.2016, n. 68).
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV
sentenza 12 gennaio 2016, n. 68
Istanze di accesso agli atti c.d.
esplorative
Diritto di accesso ai documenti amministrativi – istanza eccessivamente
estesa o riferita ad atti non specificamente individuati – inammissibilità
– fattispecie
Se non può in linea di principio pretendersi che l’istante in sede di accesso agli atti indichi specifici dati (quali il numero di
protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso, deve in ogni caso rilevarsi come l’amministrazione, in detta sede, sia tenuta a produrre documenti
individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto, e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli
stessi. Ciò al fine di coniugare il diritto alla
trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio
del diritto di accesso, il buon andamento dell’amministrazione, riversando sulla
stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di
attività. Richieste generiche, infatti, sottoporrebbero l’amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa. In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v’è dubbio come l’accesso non possa costringere l’amministrazione ad attività di ricerca
ed elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non
specificamente individuati. Ne consegue
che è legittimo il diniego di accesso opposto all’istanza volta ad ottenere”tutta
la documentazione nessuna esclusa inerente l’attività svolta nel procedimento di
verifica …” circa le prospettate violazioni
del piano operazioni invernali, senza ulteriori precisazioni o specificazioni. L’oggetto dell’accesso, quindi, è costituito da un
numero indeterminato di documenti, in alcun modo individuati e per di più formati
in un arco temporale non meglio specificato. Pertanto, del tutto correttamente il
primo giudice ha ritenuto una istanza siffatta del tutto “generica” e, conseguentemente, legittimo il diniego espresso al riguardo dall’amministrazione. Invero, il fatto che si tratti nella prospettazione del ricorrente di un accesso c.d. defensionale,
volto ad acquisire documentazione utile
nella causa instaurata dinnanzi al Giudice
di Pace per il risarcimento dei danni subiti
in occasione di un evento nevoso, è circostanza recessiva rispetto all’accertata genericità dell’istanza dallo stesso presentata la quale non poteva comunque come tale essere positivamente evasa.
TAR VENETO SEZ. III
sentenza 17 dicembre 2015, n. 1335
Accesso in materia ambientale e
tutela del know how industriale
Diritto di accesso ai documenti amministrativi – accesso in materia ambientale – istanza di rilascio di copia degli
elaborati tecnico amministrativi concernenti la concessione di piccola derivazione d’acqua a uso idroelettrico,
compresi gli elaborati di progetto presentati – accesso limitato alla presa vi-
sione per esigenze di tutela del segreto
industriale – illegittimità – ragioni
È illegittimo il diniego di ostensione e copia degli elaborati tecnico amministrativi concernenti la concessione di piccola derivazione d’acqua a uso idroelettrico, ivi compresi gli elaborati di progetto
presentati, laddove il soggetto istante
abbia ottenuto una risposta limitata alla
presa visione a seguito di opposizione
al rilascio di copia semplice da parte della ditta controinteressata a tutela della
proprietà intellettuale e del know how in
essi contenuto. È pacifico che nella specie si controverta in ordine a un procedimento relativo a informazioni ambientali secondo quanto previsto dal decreto
legislativo n. 195 del 2005: orbene prevede l’articolo 3 comma 1 che l’autorità
pubblica rende disponibile secondo le disposizioni del presente decreto l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse,
prevedendo i casi di esclusione all’articolo cinque, in base al quale deve essere effettuata una valutazione ponderata
fra l’interesse pubblico all’informazione
ambientale e l’interesse tutelato dall’esclusione dall’accesso, con applicazione
restrittiva da parte dell’amministrazione,
consentendosi, se del caso, un accesso
parziale. Detto che la legittima esigenza di tutela del segreto industriale non
esime l’amministrazione da un puntuale esame delle ragioni opposte, non potendosi in altri termini l’amministrazione
limitare ad assumere come irrimediabilmente ostativo l’avviso della ditta controinteressata ai fini dell’ostensione piuttosto che dell’estrazione di copia, nel caso in esame ben si sarebbe potuto consentire un accesso parziale, escludendosi solo ed esclusivamente quelle informazioni direttamente attinenti con il segreto industriale da tutelare. Ed è in tali termini che deve essere accolta la domanda presentata, consentendosi appunto l’estrazione di copia di tutta la documentazione progettuale che non afferisca direttamente a profili involgenti il
segreto industriale, secondo una valutazione necessariamente restrittiva in ordine agli eventuali profili ostativi.
TAR MARCHE SEZ. I
sentenza 11 dicembre 2015, n. 875
Diniego di accesso alle offerte di gara
79
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
Diritto di accesso ai documenti amministrativi – contratti della p.a. –
appalti – offerte di gara – diniego di
accesso – motivazione – esigenza di
salvaguardare il “know-how industriale e commerciale” senza specificare quale tipo di segreto verrebbe
divulgato – illegittimità
È illegittimo il diniego di accesso alle offerte di gara motivato con generico riferimento all’esigenza di salvaguardare il “knowhow industriale e commerciale”, considerato che, nel caso di specie, l’esigenza di
riservatezza viene genericamente affermata dall’amministrazione richiamando le
opposizioni delle ditte controinteressate
trascritte nel provvedimento impugnato
che contengono, nella sostanza, un generico dissenso senza specificare quale tipo di segreto verrebbe divulgato e in quali
documenti sarebbe contenuto. Sul punto
va ricordato che l’amministrazione ha l’onere di rappresentare quali sono le specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale custoditi negli atti
di gara, in riferimento a precisi dati tecnici. In assenza di tale dimostrazione, l’accesso deve essere consentito. Di conseguenza, ove non sia fornita, in modo puntuale, idonea prova circa l’esistenza di un
vero e proprio segreto, non possono che
prevalere le esigenze di trasparenza della
procedura cui lo stesso concorrente (che
oggi si oppone all’accesso) si è volontariamente ed implicitamente assoggettato con la partecipazione alla gara, peraltro con la duplice garanzia offerta dall’ordinamento della limitazione, sul piano della legittimazione soggettiva attiva, dell’accessibilità dell’offerta ad esclusivo vantaggio dei soli concorrenti che abbiano partecipato alla selezione e, sul piano oggettivo, per le sole esigenze di tutela giurisdizionale (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III,
26.2.2013, n. 2106; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 15.1.2013 n. 116).
TAR CALABRIA CATANZARO SEZ. I
sentenza 19 novembre 2015, n. 1747
Diritto di accesso alle informazioni
ambientali
Diritto di accesso ai documenti amministrativi – informazioni in materia
ambientale – autorizzazioni al taglio
degli alberi in zona protetta (bosco) –
diniego di accesso – illegittimità
80
Il d.lgs. 195/2005 introduce una disciplina particolare estendendo la conoscenza delle informazioni relative all’ambiente
a chiunque ne faccia richiesta senza che
questi debba dimostrare il proprio interesse. In particolare, ai sensi degli artt.
1 e 2 del d.lgs. citato deve essere garantito il diritto all’informazione per garantire ai fini della più ampia trasparenza che
l’informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa in forma
o formati consultabili. La pubblica amministrazione è tenuta a rendere l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne
faccia richiesta senza che questi debba
dichiarare e dimostrare il proprio interesse. Nel caso di specie, l’informazione richiesta ha carattere ambientale riguardando il taglio di alberi avvenuto in zona
protetta e le ragioni a fondamento degli
atti autorizzativi, con la conseguenza che
la ricorrente Unione italiana sport per tutti (Uisp) ha diritto di accedere agli atti richiesti. È sufficiente evidenziare sul punto (Cons. Stato n. 4636/2015) che l’art.
3, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2005, ha
previsto un accesso facilitato (rispetto a
quello disciplinato dall’art. 22 della legge
n. 241 del 1990) per le informazioni ambientali, al fine di assicurare, per la rilevanza della materia, la maggiore trasparenza possibile dei relativi dati. Il regime
di pubblicità in materia ambientale ha carattere tendenzialmente integrale, sia per
ciò che concerne la legittimazione attiva,
con un ampliamento dei soggetti legittimati all’accesso, e sia per il profilo oggettivo, prevedendosi un’area di accessibilità alle informazioni ambientali svincolata dai più restrittivi presupposti dettati in
via generale dagli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990.
TAR LAZIO ROMA SEZ. III
sentenza 16 novembre 2015, n. 12977
Istanza di accesso ad atti non
impugnati entro il termine di decadenza
Diritto di accesso ai documenti amministrativi – soggetto destinatario di
un avviso di accertamento – istanza
di accesso agli atti al fine di conoscere se il dipendente dell’Agenzia delle
entrate che ha sottoscritto l’avviso
di accertamento fosse “incaricato di
funzioni dirigenziali” o rivestisse la
qualifica di “dirigente” – diniego –
motivazione – avvenuto decorso del
termine per impugnare gli atti di accertamento tributario – illegittimità
È illegittimo il diniego di accesso opposto
al soggetto destinatario di un avviso di accertamento, il quale ha presentato istanza di accesso agli atti al fine di conoscere
se il dipendente dell’Agenzia delle entrate che ha sottoscritto l’avviso di accertamento fosse “incaricato di funzioni dirigenziali” o rivestisse la qualifica di “dirigente”, adottato sul presupposto che l’istante non avrebbe un interesse diretto,
attuale e concreto all’accesso perché la
richiesta farebbe riferimento ad atti non
impugnati entro il termine di decadenza o
impugnati senza dedurre un vizio riconducibile alla legittima investitura del sottoscrittore o comunque a giudizi ormai definiti. Invero, la richiesta di accesso agli atti della pubblica amministrazione può essere proposta anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare
la proposizione del ricorso giurisdizionale, dovendosi ribadire l’autonomia dell’interesse a chiedere l’ostensione di determinati documenti rispetto a quello che
conduce, eventualmente, l’interessato,
ad agire in giudizio per la tutela di determinate posizioni giuridiche. La valutazione, da parte dell’amministrazione, circa
la sussistenza di un interesse concreto,
diretto e attuale all’accesso (che costituisce altresì requisito di ammissibilità della relativa azione) è limitata al solo giudizio estrinseco sull’esistenza di un legittimo bisogno di conoscenza in capo a chi
richiede i documenti, purché esso non sia
preordinato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato sull’azione amministrativa, espressamente vietato dall’art.
24, comma 3, della legge 241/1990 (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 30.8.2013, n. 4321
e 12.2.2013, n. 793). La legittimazione
all’accesso ai documenti amministrativi
deve, quindi, ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che i provvedimenti che si chiede di visionare abbiano prodotto o siano idonei a determinare effetti
diretti o indiretti anche nei suoi confronti. Pertanto il diritto di accesso può essere esercitato anche indipendentemente dall’esistenza di una lesione immediata della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non
emulativo, a conoscere gli atti già posti
in essere o a partecipare alla formazione
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
di quelli successivi. Nel caso in esame
sussiste un interesse concreto e attuale
all’accesso in capo al richiedente e non
può nemmeno affermarsi che l’istanza in
questione sia preordinata ad un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione; ciò in quanto il ricorrente, mediante l’esame della documentazione richiesta, si propone di verificare la correttezza del procedimento che ha condotto
all’adozione dell’avviso di accertamento
che rientra appieno nella nozione di “situazione giuridicamente tutelata” ai fini
dell’accesso, ai sensi dell’art. 22 della legge 241/1990. In senso contrario non vale
l’eccezione dell’amministrazione secondo cui sarebbe ormai decorso del termine per impugnare gli atti di accertamento
tributario innanzi alla competente Commissione tributaria, atteso che l’interessato ha prospettato la possibilità che tali
atti possano essere considerati nulli per
mancata sottoscrizione da parte del dirigente, in virtù di quanto statuito dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015, che ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni che consentivano
alle Agenzie fiscali di attribuire incarichi
dirigenziali a propri funzionari.
TAR CALABRIA CATANZARO SEZ. II
sentenza 12 novembre 2015, n. 1671
Accesso civico
1. Pubbliche amministrazioni – trasparenza – accesso civico – art. 5
d.lgs. 33/2013 – finalità 2. Pubbliche
amministrazioni – trasparenza – obblighi di pubblicazione concernenti i
componenti degli organi di indirizzo
politico – art. 14 d.lgs. 33/2013 – richiesta di accesso civico – mancato
riscontro – condanna del comune
alla pubblicazione
1. L’accesso civico consente ai cittadini e ad enti di controllare democraticamente se un’amministrazione pubblica
abbia adempiuto agli obblighi di trasparenza previsti dalla legge, segnatamente se abbia provveduto alla pubblicazione di documenti, informazioni o dati, sicché l’amministrazione destinataria dell’istanza di accesso civico, ai sensi dell’art.
5, comma 3, del citato d.lgs. n. 33 del
2013, entro trenta giorni, deve pubblicare il documento, informazione o dato richiesto sul sito istituzionale, trasmettendolo contestualmente all’istante, ovvero
comunicando a quest’ultimo il collegamento ipertestuale per l’accesso, con la
precisazione che in tale ultimo modo la
p.a. deve procedere allorché il documento, informazione o dato risulti già pubblicato nel rispetto della normativa vigente (cfr. TAR Lazio, sez. III-bis, 19.3.2014,
n. 3014).
2. A fronte di una istanza di accesso civico, rimasta senza riscontro, riguardante dati ed informazioni sottoposti ad obbligo di pubblicazione, quali sono i dati e
le informazioni concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico (art. 14,
d.lgs. 33/2013), il comune va condannato
a procedere, entro 30 (trenta) giorni dalla comunicazione e/o notificazione della
sentenza, alla pubblicazione nel sito dei
documenti, delle informazione e dei dati richiesti con la domanda di accesso civico, eccezion fatta che per la dichiarazione del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado (salvo che
non sussista autorizzazione in proposito) ed a comunicare al medesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando il relativo collegamento ipertestuale.
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI
sentenza 10 novembre 2015, n. 5111
Accesso agli atti di procedura selettiva annullata in autotutela
1. Diritto di accesso ai documenti amministrativi – art. 22 legge 241/1990 –
legittimazione all’accesso – interesse
di qualsiasi cittadino alla legalità o al
buon andamento dell’attività amministrativa – insufficienza 2. Diritto di
accesso ai documenti amministrativi
– procedura selettiva annullata in autotutela – interesse di un candidato
ad accedere ai documenti riguardanti
i giudizi espressi dall’organo di valutazione sul suo profilo – sussistenza
1. La disposizione di cui all’art. 22, comma 1, legge n. 241 del 1990 , pur riconoscendo il diritto di accesso a “chiunque vi abbia interesse”, non ha tuttavia
introdotto alcun tipo di azione popolare diretta a consentire un qualche controllo generalizzato sulla amministrazione, tant’è che ha contestualmente definito siffatto interesse come finalizzato alla”tutela” di “situazioni giuridicamente rilevanti”. Non è dubbio pertanto
che l’interesse che legittima la richiesta di accesso, oltre ad essere serio e
non emulativo, deve essere “personale
e concreto”, ossia ricollegabile alla persona dell’istante da uno specifico rapporto. In sostanza, occorre che il richiedente intenda poter supportare una situazione di cui è titolare, che l’ordinamento stima di suo meritevole di tutela. Non è sufficiente addurre il generico e indistinto interesse di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon andamento
dell’attività amministrativa. Da questo
indirizzo la giurisprudenza del Consiglio
di Stato mai si è discostata (Cons. Stato, sez. VI, 23.11.2000, n. 5930; sez. IV,
6.10.2001, n. 5291; sez. VI, 22.10.2002,
n. 5818; sez. V, 16.1.2005, n. 127; sez.
IV, 24.2.2005, n. 658; sez. VI, 10.2.2006
n. 555; sez. VI, 1.2.2007, n. 416).
2. È illegittimo il diniego di accesso, per
carenza di interesse concreto ed attuale,
ai documenti amministrativi relativi ad una
procedura selettiva annullata in autotutela, per vizio di composizione della commissione giudicatrice, ed oggetto di successiva rinnovazione. Invero, il sopravvenuto
annullamento (con conseguente giuridica
inefficacia) degli atti della procedura cui ha
partecipato l’originario ricorrente non determina per lui il venir meno di un interesse comunque diretto, concreto ed attuale ad accedere ai medesimi nella parte in
cui lo riguardano personalmente (e così è
nel caso di specie, essendo l’istanza finalizzata all’ostensione degli atti della procedura riguardanti i giudizi espressi dall’organo di valutazione sul profilo del candidato
ricorrente). Per vero, il diritto di accesso
non è esercitabile soltanto per i provvedimenti amministrativi (dotati di perdurante
efficacia giuridica), ma anche per meri atti o documenti non più idonei ad incidere
sulla sfera giuridica dei soggetti ai quali si
riferiscono, quante volte – come nella specie – chi agisce ad exibendum sia, o possa
essere, comunque titolare di una situazione giuridicamente tutelata in quanto connessa al contenuto di siffatti atti o documenti (si veda l’art. 22, comma 1, lett.b),
legge n. 241 del 1990).
ATTI AMMINISTRATIVI
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI
sentenza 10 dicembre 2015, n. 5625
Limiti temporali all’esercizio del
potere di autotutela
81
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
Atti e provvedimenti amministrativi
– concessioni edilizie in sanatoria –
annullamento in autotutela – decorsi
undici anni dal rilascio del condono
– illegittimità
È illegittimo l’annullamento, in autotutela, di “concessioni edilizie in sanatoria rilasciate oltre undici anni prima [...] per fabbricati realizzati inizialmente sin dagli anni cinquanta”. L’art. 21-nonies della legge 17.8.1990, n. 241 prevede infatti che il
provvedimento amministrativo illegittimo
può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Nella specie, manca il requisito
rappresentato dalla valutazione motivata
della posizione dei soggetti destinatari del
provvedimento. Nel caso in esame tale affidamento era particolarmente qualificato, in ragione del lungo tempo trascorso
dall’adozione delle concessioni annullate.
In particolare, risultano trascorsi tredici anni dal rilascio del condono e ventinove anni
dalla presentazione della relativa domanda. È bene anche aggiungere che il decreto-legge 12.9.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla
legge 11 novembre 2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, rappresento
da “diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione
o di attribuzione di vantaggi economici”.
Pur se tale norma non è applicabile ratione temporis, in ogni caso, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti.
APPALTI E SERVIZI
CONSIGLIO DI STATO SEZ. III
sentenza 22 gennaio 2016, n. 211
Criteri di verifica delle offerte
anomale
1. Contratti della p.a. – appalti – gara
– offerte anomale – verifica – soglia
minima di utile al di sotto della qua-
82
le l’offerta deve essere considerata
anomala – individuazione – possibilità – va esclusa 2. Contratti della
p.a. – appalti – gara – offerte anomale – verifica – ampia discrezionalità
– sindacato giurisdizionale – limiti
3.
Contratti della p.a. – appalti – gara –
offerte anomale – verifica – natura
sanzionatoria – va esclusa
1. Nella gara pubblica la valutazione di
anomalia dell’offerta va fatta considerando tutte le circostanze del caso concreto, poiché un utile all’apparenza modesto
può comportare un vantaggio significativo sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa (il mancato utilizzo dei propri fattori produttivi è comunque un costo), sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e dall’aver
portato a termine un appalto pubblico,
cosicché nelle gare pubbliche non è possibile stabilire una soglia minima di utile
al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, al di fuori dei
casi in cui il margine positivo risulta pari
a zero (Cons. Stato, sez. III, 10.11.2015,
n. 5128).
2. Il giudizio sull’anomalia è un giudizio
ampiamente discrezionale, espressione
paradigmatica di discrezionalità tecnica,
sindacabile solo in caso di manifesta e
macroscopica erroneità o irragionevolezza; il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non procedere ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e
delle singole voci, che costituirebbe un’inammissibile invasione della sfera propria
della pubblica amministrazione e tale sindacato rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto
(Cons. Stato, sez. V, 2.12.2015, n. 5450).
3. Il procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta
economica, mirando piuttosto ad accertare in concreto che l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto. Esso mira piuttosto a garantire e tutelare l’interesse pubblico concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di gara per l’effettiva
scelta del miglior contraente possibile ai
fini dell’esecuzione dell’appalto, così che
l’esclusione dalla gara dell’offerente per
l’anomalia della sua offerta è l’effetto della valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere. Un sindacato nel dettaglio sui
singoli aspetti è, dunque, precluso al giudice amministrativo, cui non è consentito procedere ad una autonoma valutazione della congruità o meno di singole voci,
non potendosi esso sostituire ad una attività valutativa rimessa, quanto alla sua
intrinseca manifestazione, unicamente
all’amministrazione procedente (Cons.
Stato, sez. VI, 14.8.2015, n. 3935; sez.
V, 22.12.2014, n. 6231).
TAR TOSCANA SEZ. II
sentenza 13 gennaio 2016 n. 11
Appalti pubblici – Requisiti generali – Lex specialis – Obbligo dichiarazione precedente risoluzione
contrattuale – Omissione – Dichiarazione falsa – Soccorso istruttorio
– Inammissibilità
Appalti pubblici – requisiti generali –
lex specialis – obbligo dichiarazione
precedente risoluzione contrattuale
– omissione – dichiarazione falsa –
soccorso istruttorio – inammissibilità
L’omessa dichiarazione della precedente
risoluzione contrattuale determina la falsità della dichiarazione resa e legittima,
di per sé sola, l’esclusione. In tal caso
non c’è spazio per il “soccorso istruttorio” perché “tale istituto può essere invocato in caso di dichiarazione incompleta, irregolare o addirittura mancante, non
già nell’ipotesi – totalmente diversa – di
una dichiarazione esistente, ma scientemente difforme dalla realtà” (così questa
Sezione si è espressa nella sentenza 31
luglio 2015 n. 1133; cfr., nel medesimo
senso, la già citata sentenza 5 dicembre
2014 n. 1990).
TAR LAZIO ROMA SEZ. II-TER
sentenza 8 gennaio 2016, n. 173
1. Appalti pubblici – Requisiti
generali – Rilevanza della lex specialis- Previsione di una dichiarazione relativa all’assenza di cause
impeditive – Pretesa incompletezza della dichiarazione, nella quale
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giurisprudenza
1/2016
non venga fatta menzione di tutti i
precedenti penali – Non potrebbe
comportare l’esclusione ope legis
dalla gara, laddove all’omissione
non corrisponda la sostanziale
carenza del requisito 2. Appalti pubblici – Verifica dell’incidenza dei reati commessi dal legale
rappresentante dell’impresa sulla
moralità professionale della stessa –
Attiene all’esercizio del potere discrezionale della Pubblica Amministrazione- Dichiarazione resa sulla scorta di
una formulazione del bando ambigua
ed equivoca- Non può determinarsi
l’esclusione dalla gara per l’incompletezza della dichiarazione resa 1. Secondo un primo orientamento, la
mancata dichiarazione dei requisiti di
partecipazione (con particolare riguardo
a quello, che viene qui in considerazione,
dell’assenza di condanne penali) sarebbe
in grado di determinare ex se l’esclusione dalla gara, a prescindere dalla verifica
in concreto delle sussistenza dei requisiti necessari, con la conseguenza che l’omessa dichiarazione delle sentenze di condanna comporterebbe sempre la non veridicità della dichiarazione, determinando
l’esclusione dell’impresa (Cons. stato, sez.
IV, 1 aprile 2011, n. 2068).
Una diversa impostazione, che si contrappone al citato
orientamento, attribuisce rilievo centrale
al dettato della lex specialis, distinguendo i casi in cui essa richiede di dichiarare tutte le condanne riportate da quelli in
cui è genericamente prevista una dichiarazione relativa all’assenza di cause impeditive: nel secondo caso (dichiarazione
sull’assenza di cause impeditive), la pretesa incompletezza della dichiarazione, nella quale non venga fatta menzione di tutti i precedenti penali, non potrebbe comportare l’esclusione ope legis dalla gara,
laddove all’omissione non corrisponda la
sostanziale carenza del requisito (Cons.
Stato, sez. V, 23 marzo 2011, n. 1795).
In
questa ottica, è stato anche precisato che
il concorrente potrebbe omettere di fare
menzione dei precedenti penali che non
ritiene idonei a comprometterne, secondo l’idquod plerumque accidit, la moralità professionale, cosicché non potrebbe
in ogni caso essere qualificata come falsa una dichiarazione fondata su una valutazione di carattere soggettivo (Cons.
Stato, sez. V, 19 giugno 2009, n. 4082).
Il
Collegio condivide questo secondo orientamento, meno rigoroso e formalistico, incline al favor partecipationis ed in sintonia
anche con la ratio sottesa ai più recenti interventi del Legislatore in materia di
appalti pubblici.
Applicando le suesposte
coordinate al caso di specie, ne consegue che l’omessa dichiarazione della condanna penale da parte dell’amministratore unico della società aggiudicataria (per
reato di guida in stato di ebbrezza) avrebbe potuto essere sanzionata con l’esclusione dalla gara solo in presenza di un obbligo stringente imposto dal bando; diversamente, infatti, il concorrente poteva ritenersi esonerato dal dichiarare l’esistenza di condanne per infrazioni penalmente
rilevanti, ma di lieve entità (Cons. Stato,
sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1799).
2. Il Collegio non ignora il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in materia di cause di esclusione dalle
gare per reati incidenti sulla moralità professionale, la verifica dell’incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante
dell’impresa sulla moralità professionale
della stessa attiene all’esercizio del potere discrezionale della p.a. e deve essere
valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato,
non potendo la stessa concorrente valutare da sé quali reati siano rilevanti ai fini della dichiarazione da rendere, ciò implicando un giudizio inevitabilmente soggettivo, inconciliabile con la finalità della
norma (Consiglio Stato sez. V, 12 aprile
2007, n. 1723; Consiglio di Stato, sez. V,
06 marzo 2013, n. 1378). Tuttavia – aderendo sul punto all’orientamento meno rigoroso e formalistico (v. anche C.d.S., sez.
III, sent. 507/2014) – allorché la dichiarazione sia resa sulla scorta di una formulazione del bando ambigua ed equivoca
(come nella fattispecie) ed il concorrente incorra in errore indotto dalla formulazione stessa del bando, non può determinarsi l’esclusione dalla gara per l’incompletezza della dichiarazione resa (C.d.S.,
sez. V, 26.1.2011, n. 550, Consiglio di Stato, sez. VI, 01/02/2013, n. 634).
Nel caso
di specie, peraltro, il bando non conteneva
al riguardo una espressa comminatoria di
esclusione, tale non potendosi considerare quella in calce al punto A.1 del disciplinare, che, laddove prevede che “tutte le
suddette dichiarazioni vanno rese dall’operatore economico concorrente ...”, rende
applicabile l’esclusione stessa in caso di
assenza della dichiarazione e non in ipotesi di dichiarazione negativa od incompleta.
La disposta esclusione avrebbe potuto, pertanto, essere disposta soltanto là
dove fosse stata effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito in questione; vale a dire, non per l’insussistente ipotesi di omessa o falsa dichiarazione, bensì soltanto dopo che l’Amministrazione,
in sede di verifica dei requisiti soggettivi,
avesse accertato l’esistenza di condanne
penali, per la presenza di gravi reati incidenti sulla moralità professionale; previo,
cioè, un giudizio valutativo della Stazione
appaltante circa la gravità dei reati emersi
e circa la loro incidenza sulla moralità professionale: giudizio, questo, ch’è del tutto mancato nel caso in questione. Il Collegio, aderendo all’orientamento più volte citato, ritiene che il rigore formalistico
(per cui una dichiarazione inaffidabile, perché incompleta, sarebbe di per sé lesiva
degli interessi considerati dal Legislatore,
a prescindere dal fatto che l’impresa meriti o meno, nella sostanza, di partecipare alla gara) debba cedere, come si è sopra chiarito, in presenza di una scusabilità
dell’errore riconducibile a formulazioni degli atti di gara che possono indurre dubbi
interpretativi, tanto più che vige oggi la regola della tassatività delle cause di esclusione, di cui all’art. 46, comma 1 bis, Codice dei contratti, che s’ispira ad un criterio sostanzialistico e riafferma il favor partecipationis (v. Consiglio di Stato, sez. III,
n. 2006/2013; ibidem n. 507/2014); principio che ha trovato ulteriore conferma
nel comma 3 dell’art. 39 del d.l. n. 90 del
2014, convertito con modificazioni dalla
L. n. 114 del 2014.
TAR LOMBARDIA BRESCIA SEZ. II
sentenza 16 dicembre 2015, n. 1726
L’incompatibilità dei commissari
di gara (ex art. 84, comma 4, codice
appalti) non si estende al segretario
1. Contratti della p.a. – appalti – commissione di gara – componenti della
commissione diversi dal Presidente
– incompatibilità ex art. 84, comma
4, d.lgs. 163/2006 – estensione al
segretario – va esclusa
2. Contratti
della p.a. – appalti – società in house – indizione procedura selettiva per
l’affidamento del servizio di raccolta,
trasporto e smaltimento rifiuti – pre-
83
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
sidente società in house – nomina di
sé stesso a Presidente della commissione giudicatrice – possibilità – va
riconosciuta
1. Il motivo di incompatibilità di cui all’art.
84, comma 4, del d.lgs. 163/2006 (che
recita testualmente: “I commissari diversi dal presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”) riguarda soltanto i
commissari diversi dal presidente, e la
deroga a favore di quest’ultimo attenua
la rilevanza dell’interesse pubblico all’imparzialità: la volontà di conservare la distinzione tra i soggetti che hanno definito i contenuti e le regole della procedura e quelli che ne fanno applicazione nella fase di valutazione delle offerte non
è pertanto rigorosa, essendo perseguita in modo parziale (per una specifica
applicazione, si veda Consiglio di Stato,
sez. III, 13.10.2014, n. 5057). In coerenza
con la predetta impostazione si è statuito
che “non costituisce violazione dei principi di imparzialità e buona amministrazione il cumulo, nella stessa persona, delle
funzioni di presidente della commissione valutatrice e di responsabile del procedimento, nonché di soggetto aggiudicatore, risultando ciò conforme ai principi sulla responsabilità dei funzionari degli enti locali, come delineati dall’art. 107
del d.lgs. n. 267/2000”(Cons. Stato, sez.
V, 17.11.2014, n. 5632 e la giurisprudenza ivi richiamata; si veda anche TAR Veneto, sez. III, 22.4.2013, n. 593 il quale
ha sottolineato che il legislatore demanda al dirigente la Presidenza della Commissione e l’esercizio delle funzioni inerenti al procedimento, secondo le previsioni dell’art. 107 del d.lgs. 267/2000
per gli enti locali e dell’art. 84, comma 3,
del codice degli appalti). Se è dunque pacifico, in giurisprudenza, che il dirigente
della stazione appaltante possa cumulare le descritte funzioni (di presidente della commissione e di redattore degli atti
di gara), non si vede il motivo per estendere l’incompatibilità al Segretario verbalizzante, il quale svolge funzioni ausiliarie
e documentali (TAR Campania, Salerno,
sez. II, 8.2.2007, n. 1376) e non assume
il ruolo di componente (TAR Brescia, sez.
II, 4.11.2014, n. 1154). Sul punto, il TAR
Puglia, Bari, sez. II, 9.1.2015, n. 17 ha
sinteticamente rilevato che la possibilità
di cui si controverte non è esclusa dalla
84
legge ed è anzi ammessa dalla giurisprudenza. Pertanto, il soggetto che ha provveduto a redigere il bando di gara può legittimamente assumere l’incarico di segretario della commissione giudicatrice,
essendo privo del potere formale di interferire nell’attività dei 3 esperti, assumendo soltanto il compito di verbalizzare le decisioni altrui (cfr. sentenza sezione 10.4.2015, n. 514).
2. Il presidente del consiglio di amministrazione di una società pubblica non riveste un ruolo politico che determini la
sua incompatibilità con il ruolo gestionale all’interno della compagine. L’organizzazione delle società per azioni si fonda
infatti su una struttura ben definita (art.
2380-bis e ss. del c.c.) che assegna, nel
sistema tradizionale, funzioni deliberative
all’assemblea, gestionali agli amministratori e di controllo al collegio sindacale. Ne
consegue che il presidente di una società in house ben può nominare se stesso
quale presidente della commissione giudicatrice per l’affidamento di un appalto.
Del resto, è demandata ai componenti del
consiglio di amministrazione della società pubblica la gestione dell’impresa, e il
compimento di tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.
CONSIGLIO DI STATO SEZ. III
sentenza 14 dicembre 2015, n. 5670
Competenza tecnica dei componenti delle commissioni di gara
Contratti della p.a. – appalti – commissione di gara – componenti –
requisito della competenza tecnica
adeguata alle peculiarità dello specifico settore cui si riferisce l’oggetto
del contratto – fattispecie
La regola fissata dall’art. 84 d.lgs. n. 163
del 2006, per la quale i componenti della commissione di gara vanno scelti fra
soggetti dotati di competenza tecnica
adeguata alle peculiarità dello specifico
settore interessato dall’appalto da assegnare, costituisce espressione di principi
generali, costituzionali e comunitari, volti
ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa; l’enunciato requisito dell’esperienza “nello
specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto” deve, tuttavia, essere
inteso in modo coerente con la poliedricità delle competenze spesso richieste
in relazione alla complessiva prestazione da affidare, non solo tenendo conto,
secondo un approccio formale e atomistico, delle strette professionalità tecnico
settoriali implicate dagli specifici criteri di
valutazione, la cui applicazione sia prevista dalla lex specialis, ma considerando,
secondo un approccio di natura sistematica e contestualizzata, anche le professionalità occorrenti a valutare sia le esigenze dell’amministrazione, cui quei criteri siano funzionalmente preordinati, sia
i concreti aspetti gestionali ed organizzativi sui quali gli stessi siano destinati ad
incidere; non è, in particolare, necessario che l’esperienza professionale di ciascun componente copra tutti gli aspetti
oggetto della gara, potendosi le professionalità dei vari membri integrare reciprocamente, in modo da completare ed
arricchire il patrimonio di cognizioni della commissione, purché idoneo, nel suo
insieme, ad esprimere le necessarie valutazioni di natura complessa, composita ed eterogenea (cfr. Cons. Stato, sez.
VI, 10.6.2013, n. 3203). Ne consegue che
appare immune da vizi la decisione del
primo giudice – concernente l’affidamento di un appalto avente ad oggetto la fornitura di un prodotto software per la gestione dei ricoveri ospedalieri – che ha ritenuto sussistente la necessaria competenza dei componenti della commissione, rilevando che la presidente della commissione disponeva dell’esperienza professionale acquisita nella gestione ed utilizzazione di diversi sistemi informatici in
uso nell’Azienda Ospedaliera, non soltanto nell’ambito specifico della fisica sanitaria e della radioterapia, e che i dirigenti dei settori interessati dall’acquisizione
dei software oggetto di gara, quali ulteriori componenti della commissione per la
fase di valutazione delle offerte tecniche
(rispettivamente direttore del Sod Pronto Soccorso e Direttore del Sod medicina d’urgenza), fossero in possesso delle competenze necessarie ad apprezzare la rispondenza dei sistemi operativi offerti dalle partecipanti alle caratteristiche
tecniche, qualitative e funzionali richieste
dalla stazione appaltante.
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V
sentenza 20 novembre 2015, n. 5296
Nomina del vicesindaco a presidente della commissione di gara
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
1. Contratti della p.a. – appalti – gara
– composizione della commissione
giudicatrice – provvedimento di nomina – onere di immediata impugnazione – non sussiste 2. Enti locali – comuni “polvere” – deroghe al
principio di distinzione tra politica e
amministrazione – nomina del vicesindaco a presidente della commissione di gara – legittimità
1. L’onere di immediata impugnativa è circoscritto alle clausole del bando di gara
impeditive della partecipazione alla procedura o impositive di oneri manifestamente
incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della
procedura concorsuale, e pertanto immediatamente lesive sotto questi profili (ad.
plen., 29.1.2003, n. 1; sez. III, 14.5.2015,
n. 2413; 2.2.2015, n. 491; sez. V, 1.8.2015,
n. 3776; 21.7.2015, n. 3611; 18.6.2015, n.
3104; 3.6.2015, n. 2713), mentre ogni altra
questione, ivi compresa la legittima composizione della commissione di gara, è rimessa all’impugnazione contro l’altrui aggiudicazione, perché è solo in questo momento che si concretizza la lesione per le
altre partecipanti alla procedura e può conseguentemente ritenersi sorto l’onere di
impugnazione.
2. L’art. 53, comma 23, legge 388/2000
(legge finanziaria per il 2001) che consente ai comuni di più ridotta consistenza demografica di attribuire compiti di gestione
amministrativa ai componenti dell’organo
di vertice politico dell’ente è da considerarsi norma speciale e derogatoria, tanto
rispetto al principio di separazione politica
– amministrazione sancito dal parimenti citato art. 107 t.u.e.l., quanto all’art. 84 codice dei contratti pubblici. Si tratta infatti di
una previsione che ha l’evidente scopo di
assicurare la necessaria funzionalità ai comuni “polvere”, i cui organici sono privi di
posizioni dirigenziali, permettendo loro di
coprire le posizioni apicali all’interno della
propria “micro-struttura” mediante ricorso ai componenti dell’organo di direzione
politica. Le ragioni che giustificano questa
deroga al principio di separazione poc’anzi
enunciato non può quindi che comportare, quale ulteriore e coerente conseguenza, che il componente della giunta cui è attribuita la responsabilità dei servizi comunali è pienamente investito delle funzioni
connesse a tale attribuzione, ivi compresa
quella di presidenza delle commissioni di
gare per l’affidamento di contratti d’appalto da parte dell’ente, ai sensi del comma
3 dell’art. 84 del d.lgs. 163/2006, nonché
del comma 1, lett. a), del medesimo art.
107 d.lgs. 267/2000 (secondo il quale ai
dirigenti sono attribuiti “tutti i compiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi”, tra i quali “la presidenza delle commissioni di gara”). In virtù della medesima deroga deve conseguentemente essere ritenuto inapplicabile il divieto, enunciato dal successivo comma 5 del medesimo art. 84, di nominare commissari delle procedure da aggiudicare con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa “Coloro che nel biennio precedente
hanno rivestito cariche di pubblico amministratore [...] relativamente a contratti affidati dalle amministrazioni presso le quali hanno prestato servizio”.
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI
sentenza 6 novembre 2015, n. 5045
Limiti di operatività del c.d. contratto di avvalimento
1. Contratti della p.a. – appalti – contratto di avvalimento – art. 49, comma
2, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 – limiti
di operatività 2. Contratti della p.a. –
appalti – contratto di avvalimento –
art. 49, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 163
del 2006 – oggetto – requisiti speciali
di qualificazione professionale – possibilità – fattispecie
1. Il limite di operatività dell’istituto dell’avvalimento di cui all’art.49 comma 2, lett. f),
del d.lgs. n. 163 del 2006, suscettibile di
un amplissimo campo operativo, è dato
anzitutto dal fatto che la messa a disposizione dei requisiti mancanti non deve riferirsi alle capacità di ordine generale del
partecipante (quale la idoneità morale di
cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006)
né ai requisiti soggettivi di carattere personale, individuati nell’art. 39 del medesimo
d.lgs. (cd. requisiti professionali). Tali requisiti, infatti, sono relativi alla mera e soggettiva idoneità professionale del concorrente e quindi non sono surrogabili neppure con l’avvalimento, il cui perimetro applicativo resta quello dei requisiti strettamente connessi alla prova della capacità
economico-finanziaria e tecnico-professionale del concorrente. Inoltre, il trasferimento del requisito all’impresa ausiliata
non può risolversi nel prestito di un valore puramente cartolare e astratto, essendo invece necessario, anche alla luce del
chiaro disposto dell’art. 88 del d.P.R. n.
207 del 2010 che dal contratto risulti chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria
a prestare le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che
giustificano l’attribuzione del requisito di
qualità (mezzi, personale, prassi e tutti gli
altri elementi aziendali qualificanti). Sulla
base di tale enunciato, è stato affermato
(Cons. Stato, sez. V, 27.4.2015, n. 2063)
che è pacificamente insufficiente allo scopo la pedissequa riproduzione, nel testo
del contratto di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione
delle “risorse necessarie di cui è carente
il concorrente” o espressioni equivalenti.
2. È illegittimo il provvedimento con il
quale la stazione appaltante, dopo aver
disposto l’aggiudicazione della gara in favore di un raggruppamento temporaneo
di imprese, ne ha disposto l’annullamento ed ha quindi fatto luogo all’esclusione
del concorrente dalla medesima gara per
ritenuta incompletezza del contratto di
avvalimento prodotto a corredo dell’offerta, considerato che, nel caso in esame, non può profilarsi alcun limite ostativo al ricorso all’avvalimento connesso alla natura personalistica dei requisiti oggetto di “messa a disposizione”,
dato che a formare oggetto del prestito non è né un requisito di ordine generale né un requisito inerente l’esercizio
di una professione regolamentata (cfr.
sul punto Cons. Stato, sez. V, 28.7.2015
n. 3698 sul diverso caso dell’applicabilità dell’istituto dell’avvalimento all’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali). Ed invero, nel caso di specie,
il contratto di avvalimento ha avuto ad
oggetto i requisiti speciali di qualificazione professionale (non quindi di abilitazione tout court) per l’esecuzione del
servizio di progettazione oggetto d’appalto, dato che il professionista “concorrente” non era abilitato, all’epoca di presentazione dell’offerta, ad eseguire le
progettazioni relative alle categorie OG
11 e OG 1 richiesta dalla lex specialis di
gara. Detto requisito di speciale abilitazione sussisteva invece pacificamente
in capo alla società di progettazione ausiliaria, che non si è impegnata semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astratto, avvalendosi della formula legislativa della messa a disposizione delle “risorse necessarie di cui è carente il concorrente” (o vaghe espressioni similari), ma ha espressamente assunto un
85
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
impegno sufficientemente specifico a
garantire all’impresa avvalente l’attività
di progettazione richiesta per l’esecuzione dell’appalto integrato di che trattasi,
con le proprie risorse di carattere economico, finanziario ed organizzativo, nonché con il proprio personale dipendente e le proprie attrezzature.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V
sentenza 6 novembre 2015, n. 5070
Appalti pubblici – Oneri di sicurezza –
Oneri esterni da interferenze – Sono
calcolati dalla stazione appaltante e
non soggetti a ribasso – Oneri interni
o aziendali – sono calcolati dal concorrente e indicati nell’offerta – Obbligo per il concorrente di indicare
anche gli oneri esterni – Non sussiste
– Ragioni
La determinazione degli oneri di sicurezza c.d. esterni compete alla Stazione appaltante (contrariamente a quanto vale per gli oneri c.d. interni o aziendali), che vi procede impartendo un’indicazione di cui i concorrenti non possono far altro che tenere conto all’atto
della formulazione delle loro offerte.
Le
radicali differenze che investono la natura degli oneri di sicurezza dell’uno e
dell’altro tipo (ben scolpite dalla stessa
Adunanza Plenaria) escludono, invero,
che la regola della necessaria indicazione da parte delle concorrenti degli oneri
aziendali, i quali sono appunto loro individualmente propri, possa essere estesa anche agli oneri c.d. esterni, giacché
la definizione di questi ultimi compete
appunto, per converso, alla sola Amministrazione, chiamata a fissarli a monte
della procedura, e su di essi le concorrenti non dispongono di alcun potere dispositivo, sicché anche una loro eventuale indicazione sul punto sarebbe solo
pedissequamente riproduttiva di quella
posta a base della procedura.
L’art. 86,
comma 3-bis, d.lgs. n. 163/2006, dove
stabilisce che il “costo relativo alla sicurezza” debba essere “specificamente indicato”, si rivolge al tempo stesso,
infatti: per gli oneri c.d. esterni, alla Stazione appaltante, che chiama appunto a
provvedere a siffatta indicazione in occasione della predisposizione della gara d’appalto; per gli oneri c.d. interni, alle singole concorrenti in sede di offerta.
86
CONSIGLIO DI STATO SEZ. III
sentenza 21 ottobre 2015, n. 4810
Cottimo fiduciario
1. Contratti della p.a. – appalti – lavori, servizi e forniture in economia
– procedura di cottimo fiduciario per
un importo sotto soglia comunitaria
– mancata dichiarazione sugli oneri di sicurezza ambientale da parte
dell’aggiudicataria – irrilevanza
2.
Contratti della p.a. – appalti – lavori,
servizi e forniture in economia – procedura di cottimo fiduciario per un
importo sotto soglia comunitaria –
principio di rotazione – valenza precettiva assoluta – va esclusa
1. Nelle procedure di cottimo fiduciario
per un importo sotto soglia comunitaria,
vige il principio il semplificazione dettato
dall’art. 125, comma 9, d.lgs. n. 163 del
2006. Invero, il cottimo fiduciario non è
una vera e propria gara, ma una trattativa privata, ossia una scelta altamente discrezionale che è temperata soltanto dal
rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialità da attuare attraverso la rotazione tra le ditte da consultare e con le quali negoziare le condizioni dell’appalto e
nel rispetto di requisiti minimi di concorrenzialità, previa consultazione di almeno
cinque operatori economici, ove possibile (Cons. Stato, sez. V, 16.1.2015, n. 65;
sez. III, 12.9.2014, n. 4661). Non trovano,
invece, applicazione le rigide regole dettate per gli appalti sopra soglia; pertanto, nonostante lo scopo altamente sociale che la norma si propone, è fortemente
discutibile che possa trovare rigida applicazione l’obbligo discendente dall’art. 87,
comma 4, del codice dei contratti pubblici, che concerne la dichiarazione specifica degli oneri sostenuti per la sicurezza aziendale, quantomeno nel senso di
imporre una tale dichiarazione a pena di
esclusione. È preferibile ritenere che la
regola, così come intesa dalla giurisprudenza formatasi in materia di appalti sopra soglia comunitaria, possa eccezionalmente applicarsi ai suddetti affidamenti quando, in considerazione di particolari e specifiche esigenze, la lettera d’invito contempla espressamente un richiamo in tal senso, specificando la conseguente esclusione dalla procedura per
la mancata dichiarazione. Nulla prevede,
però, nel caso in esame la lettera d’invito, né il capitolato speciale, salvo quanto
specifica la stazione appaltante per i costi
da interferenza quantificati nel Duvri, che
non attengono però allo specifico costo
della sicurezza interno all’organizzazione
aziendale. Deve ritenersi pertanto legittima la decisione della stazione appaltante
di non escludere dalla gara l’aggiudicataria nonostante non avesse specificato i
costi imputabili alla sicurezza aziendale.
2. La rotazione, di cui all’art. 125, comma
9, del codice dei contratti pubblici, considerato il carattere negoziale dell’affidamento dei lavori e servizi in economia mediante cottimo fiduciario, ha lo scopo precipuo di evitare che il carattere discrezionale della scelta si traduca in uno strumento di favoritismo e che il criterio debba essere attuato mediante l’affidamento,
preferibilmente e ove possibile, a soggetti diversi da quelli che in passato abbiano
svolto il servizio. Pertanto, ove sia seguito un procedimento sostanzialmente concorrenziale per l’individuazione del contraente, con invito a partecipare alla gara rivolto a più imprese (nella specie, tre ditte) ivi compresa l’affidataria uscente, e risultino rispettati sia il principio di trasparenza che quello di imparzialità nella valutazione delle offerte, può dirsi tendenzialmente attuato il principio di rotazione,
che non ha una valenza precettiva assoluta, per le stazioni appaltanti, nel senso
di vietare, sempre e comunque, l’aggiudicazione all’affidatario del servizio uscente. Se questa fosse stata la volontà del legislatore, sarebbe stato espresso il divieto in tal senso in modo assoluto. Pertanto, un’episodica mancata applicazione del
criterio non vale ex se ad inficiare gli esiti di una gara già espletata, una volta che
questa si sia conclusa con l’aggiudicazione in favore di un soggetto già in precedenza invitato a simili selezioni, tanto più
quando sia comprovato, come nel caso di
specie, che la gara sia stata effettivamente competitiva e si sia conclusa con l’individuazione dell’offerta più vantaggiosa per
la stazione appaltante (Cons. Stato, sez.
VI, 28.12.2011, n. 6906).
EDILIZIA E URBANISTICA
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI
sentenza 4 gennaio 2016, n. 10
Interventi edilizi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA)
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
1. Edilizia e urbanistica – muretto
di cinta posto sul confine e avente
funzione di separazione e difesa dei
distinti lotti di proprietà – mancata
acquisizione del permesso di costruire – ordine di demolizione – illegittimità 2. Edilizia e urbanistica – muri
di cinta e cancellate – soggezione al
regime della Scia ove non superino
la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia – fattispecie
1. È illegittimo l’ordine di demolizione di
un muretto divisorio in cemento armato
posto su di un lato di un lotto di terreno
realizzato senza la previa acquisizione del
permesso di costruire, considerato che
più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i
confini sui fondi finitimi) occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere
a ciò strumentali generano sul territorio:
con la conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini
del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie (es. Cons.
Stato, sez. VI, 4.7.2014, n. 3408). Sulla
base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal
mero e astratto nomen iuris utilizzato per
qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri
di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui
all’articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della legge
n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, sez. IV, 3.5.2011, n. 2621).
2. In linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane
assoggettata al regime della Dia (in seguito: Scia) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo ‑ invece ‑ il permesso di costruire, ove detti
interventi superino tale soglia. Nel caso
di specie, l’impatto sortito dal muro divisorio di cui si tratta sul piano urbanistico-edilizio risulta di scarsa incidenza sole
che si consideri che ‑ come emerge dal
materiale fotografico acquisito ‑ lo stesso manufatto supera di poco (al di là della
sua maggiore o minore percezione visiva a seconda del versante prospettico) il
piano di campagna; e che l’effettiva funzione divisoria dei distinti lotti di proprietà
è in concreto assicurata da una rete metallica infissa sul predetto muro. Nel caso in esame, pertanto, il manufatto non
rappresenta un’opera comportante un’apprezzabile trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio: tanto più se si considera che il giudizio è necessariamente relazionale rispetto al concreto contesto e
che, nella specie, queste opere sono state realizzate contestualmente ed in funzione complementare a quelle di urbanizzazione di una vasto comparto a destinazione artigianale-industriale. La rilevanza
di cui si verte, ai fini della rammentata capacità trasformativa, va invero considerata in modo proporzionale: cioè dopo essere stata rapportata non alla consistenza in assoluto dell’innovazione, bensì alla condizione del contesto in cui è inserita. Sicché un manufatto di minimo impatto che in un certo contesto può risultare necessitante del massimo titolo edilizio, può non risultarlo altrove. E non vi è
dubbio che un contesto come quello di un
comparto a destinazione artigianale-industriale attenuti il rilievo di fatto che avrebbe la medesima opera in un contesto abitativo. Da quanto sopra consegue che il
muro divisorio di che trattasi, in quanto
assoggettato a semplice Dia (ora Scia),
non era passibile di ordinanza di demolizione, atteso che per le opere sottoposte a Dia la sanzione applicabile è unicamente la sanzione pecuniaria (cfr. art. 37
t.u. cit., che fa salve le ipotesi, qui non ricorrenti, degli interventi eseguiti su beni culturali ovvero in zona tipizzata come
“A” dallo strumento urbanistico).
ELETTORALE
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V
sentenza 6 novembre 2015, n. 5069
Effetti della partecipazione alle
elezioni di un candidato versante in
condizione di incandidabilità
1. Giustizia amministrativa – riti speciali – contenzioso in materia elettorale – amministrative comunali – parti
necessarie – prefettura – estromissione dal giudizio
2. Giustizia amministrativa – riti speciali – contenzioso in
materia elettorale – tutela anticipata
– art. 129 c.p.a. – ambito di applicazione – atti di ammissione di candidati – esclusione 3. Giustizia amministrativa – riti speciali – contenzioso
in materia elettorale – amministrative
comunali – candidato sindaco in condizione di incandidabilità – partecipazione alle elezioni – effetti sulla lista
collegata
4. Giustizia amministrativa
– riti speciali – contenzioso in materia
elettorale – amministrative comunali
– candidato sindaco in condizione di
incandidabilità – partecipazione alle
elezioni – effetti sulle elezioni
1. L’art. 130, comma 3, del c.p.a. stabilisce
che il ricorso relativo alle operazioni elettorali riguardanti le consultazioni amministrative debba essere notificato “all’ente della cui elezione si tratta”, oltre che alle altre
parti che vi abbiano interesse. Con questa
disposizione, individuando quale unica parte pubblica necessaria (diversamente da
quanto disposto dall’art. 129) l’ente locale
interessato dalle elezioni, cui vanno imputati i risultati elettorali, si è quindi recepita la
consolidata posizione giurisprudenziale che
esclude che siano annoverabili tra le parti necessarie del relativo contenzioso anche gli uffici elettorali (i quali esauriscono
la loro funzione con la proclamazione degli
eletti) e, più ampiamente, l’amministrazione statale (Cons. Stato, sez. V, 12.2.2008,
n. 496; 3.2.1999, n. 215). La giurisprudenza, invero, è tuttora univoca nel senso che
nei giudizi elettorali dinanzi al giudice amministrativo l’individuazione della p.a. cui
compete la qualità di parte vada effettuata non già in base al criterio dell’imputazione formale degli atti contestati, bensì secondo quello dell’imputazione dei risultati della consultazione, con la conseguenza
che rispetto alle elezioni comunali parte necessaria è il comune, e non già l’amministrazione statale cui appartengono gli organi preposti alle operazioni. La legittimazione passiva è riconducibile, pertanto, solo all’ente locale interessato, il quale si appropria del risultato elettorale e vede riverberarsi su di sé gli effetti dell’annullamento
o della conferma della proclamazione degli
eletti (sez. V, 2.3.2009, n. 1159; 23.7.2010,
n. 4851; 4.8.2010, n. 5183; 26.9.2013, n.
4762; 16.6.2014, n. 3033). La Prefettura
va dunque estromessa dal giudizio avente ad oggetto la consultazione elettorale
per il rinnovo del sindaco e del consiglio
comunale.
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COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
2. Il nuovo art. 129 c.p.a. non può essere interpretato nel senso che tra i provvedimenti lesivi del “diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale” vadano inclusi anche gli atti di ammissione di candidati o liste differenti da
quelle del ricorrente. Ne consegue che è
ammissibile il ricorso, introdotto ai sensi
dell’art. 130 c.p.a., contro l’ammissione di
un’altra lista e l’esito finale delle elezioni.
3. Effetto minimo inevitabile della partecipazione alle elezioni di un candidato
sindaco versante in condizione di incandidabilità è quello del disconoscimento
alla corrispondente lista dei seggi consiliari che le fossero stati assegnati. L’art.
71 d.lgs. 267/2000 sancisce, infatti, un
intimo legame tra le candidature alla carica di sindaco e le liste collegatevi, stabilendo in particolare: che con la lista dei
candidati al consiglio comunale deve essere presentato anche un candidato alla
carica di sindaco; che, correlativamente,
ciascuna candidatura alla carica sindacale
è collegata a una lista di candidati a seggi consiliari; che, infine, a ciascuna lista
s’intendono attribuiti tanti voti quanti sono quelli conseguiti dal candidato alla carica di sindaco collegato alla lista medesima (commi 2, 3 e 7 art. cit.). Al cospetto
di questa disciplina, nel cui contesto l’indicazione del candidato sindaco costituisce, quindi, un elemento essenziale della
valida presentazione della lista (cfr. sez. V,
2.5.2002, n. 2333; 13.9.1999, n. 1052),
deve ritenersi che la partecipazione alle
elezioni di un candidato sindaco incandidabile, oltre a essere ex se nulla, ai sensi
dell’art. 10 del d.lgs. 235/2012, infici anche il risultato della lista che in tale candidatura si riconosceva e ad essa si era
collegata. Poiché invero, con la lista dei
candidati al consiglio deve essere presentato anche un candidato alla carica di sindaco, la nullità di questa seconda candidatura non può rimanere circoscritta alla
medesima, ma si comunica necessariamente alla lista che la presupponeva (e
che a causa della sua nullità ne risulta in
definitiva carente), inficiandone il risultato elettorale. Del resto, giusta il comma
7 dell’art. 71 cit., i voti che s’intendono
attribuiti a ciascuna lista sono essenzialmente quelli conseguiti dal suo candidato per la carica sindacale. L’invalidazione
del risultato dell’intera lista interessata
costituisce, inoltre, una coerente proiezione dell’incandidabilità del candidato
sindaco da essa sostenuto, nonché della ratio della norma che sancisce la detta
88
misura. Laddove una conclusione opposta tradirebbe tale ratio, in quanto permetterebbe alla lista collegata al sindaco, pur incandidabile, di tesaurizzarne il
risultato elettorale, sia pure ai limitati fini della distribuzione dei seggi consiliari.
4. In caso di illegittima ammissione alle
elezioni di una lista collegata ad un candidato sindaco in condizioni di incandidabilità consegue la necessità, in casi simili, di soppesare l’influenza invalidante del
vizio emerso sulle operazioni elettorali alla luce dei dati disponibili. Segnatamente,
l’effetto perturbante dell’illegittima ammissione alle elezioni va verificato alla luce del rapporto esistente tra l’entità dei
voti ottenuti dalla lista illegittimamente
ammessa, da un lato, e lo scarto di voti
registrato tra i due candidati più votati per
la carica di vertice dell’ente, dall’altro. E
un effetto integralmente invalidante deve
essere riconosciuto, in concreto, allorché
i suffragi raccolti dalla lista indebitamente ammessa superino largamente l’anzidetto scarto differenziale, sì da presentarsi come suscettibili di alterare in maniera significativa il risultato complessivo
della consultazione (per questa impostazione cfr., tra le altre, sez. V, 31.3.2012,
n. 1889; 20.3.2006, n. 1437; 18.6.2001,
n. 3212 ; 7 marzo 2001, n.1343; 10 maggio 1999, n. 535). Orbene, nel caso di
specie, risulta comprovato che l’incidenza sull’esito elettorale della partecipazione al voto della lista collegata al candidato sindaco versante in condizione di incandidabilità è risultata tale da poter alterare in misura rilevante la posizione conseguita dalle altre forze politiche, e ribaltare, in definitiva, il risultato della consultazione. Non resta quindi che convenire sulla complessiva turbativa suscitata dall’illegittima ammissione della lista
collegata al candidato sindaco più volte
menzionato, in assenza della quale s’impone il fondato sospetto che l’esito della consultazione sarebbe potuto essere
diverso. Va pertanto disposto l’annullamento integrale delle elezioni.
FINANZA LOCALE
TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. III
sentenza 5 gennaio 2016, n. 9
Controversia sull’onere economico
relativo al servizio di assistenza
studenti disabili
Competenza e giurisdizione – servizio di assistenza ad personam degli studenti disabili frequentanti le
scuole secondarie di secondo grado
– oneri economici – assunzione in via
autonoma da parte del comune – ricorso per l’accertamento della spettanza dell’onere economico in capo
alla provincia – inammissibilità – per
difetto di giurisdizione del g.a.
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla controversia concernente la spettanza degli oneri economici
relativi al servizio di assistenza ad personam degli studenti disabili frequentanti le
scuole secondarie di secondo grado (sentenze 11 luglio 2013, n. 1804, confermata
dal Consiglio di Stato con sentenza della sez. V, 3.2.2015, n. 498; 20.2.2015, n.
520; 27.2.2015, nn. 581 e 583; 8.7.2015,
n. 1584). Invero l’assunzione in via autonoma da parte del Comune di un servizio spettante invece alla provincia, sostenendone le spese, senza alcun previo accordo contrattuale o negoziale tra le parti, può dare origine in sede giurisdizionale soltanto a un’azione di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c. che
richiede, infatti, come elementi integrativi della fattispecie, una diminuzione patrimoniale di una parte (il comune che
ha gestito il servizio), cui fa riscontro un
arricchimento dell’altra (la provincia che
non lo ha assunto) che risulta privo di giusta causa (poiché si ipotizza che sia la
provincia ad avere la relativa competenza e non il comune). La correttezza di una
tale qualificazione appare evidente alla luce dei presupposti posti a fondamento
delle domande, con la conseguenza che
non può ritenersi appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo, neppure nella materia dei pubblici servizi, e rientra dunque in quella del giudice ordinario, la controversia avente ad oggetto l’azione di indebito arricchimento (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 7.6.2013, n. 3133). Peraltro,
le Sezioni unite della Corte di Cassazione
hanno affermato che la giurisdizione sulle azioni di indebito arricchimento spetta
al giudice ordinario, trattandosi di istituto civilistico che dà luogo a situazioni di
diritto soggettivo perfetto anche quando parte sia una p.a., salvo il limite interno del divieto di annullamento e di modificazione dei provvedimenti amministrativi (cfr. Cass. civ., Sez. un., 18.11.2010,
n. 23284). Pertanto, considerato che la
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
domanda riguarda una pretesa che, come affermato anche dal giudice della giurisdizione, ha natura di diritto soggettivo
(Sez. un., appena citate, 18.11.2010, n.
23284), direttamente discendente dalla
legge, la giurisdizione in subiecta materia
appartiene all’autorità giudiziaria ordinaria. Lo stesso deve ritenersi con riguardo
alle note della provincia di diniego di rimborso, atteso che tali note, in quanto afferenti ad un diritto soggettivo, come appena precisato, non possono qualificarsi
come atti autoritativi, bensì come meri atti paritetici, che non incidono, dunque, su
interessi legittimi, non potendosi quindi
radicare la giurisdizione del giudice adito.
TAR LAZIO ROMA SEZ. II-BIS
sentenza 21 dicembre 2015, n. 14322
Silenzio sulla richiesta di riconoscimento di debiti fuori bilancio
Enti locali – ordinamento finanziario
e contabile – debiti fuori bilancio – richiesta di riconoscimento – silenzio
del comune – illegittimità – ragioni
Il riconoscimento del debito fuori bilancio è diretto esclusivamente a sanare irregolarità di tipo contabile, rispondendo
all’interesse pubblico alla regolarità della gestione finanziaria dell’ente, ma non
può in alcun modo sopperire alla mancanza di una obbligazione validamente sorta: al contrario, è il diritto, quando
controverso oggetto di accertamento da
parte dell’autorità giudiziaria, a costituire il presupposto per l’iscrizione fuori bilancio (così, ad es., Cons. Stato, sez. V,
29.12.2009, n. 8953); il riconoscimento
medesimo costituisce un procedimento comunque dovuto, come si desume
dall’art. 194 del t.u. approvato con d.lgs.
n. 267 del 2000, il cui esito non è peraltro vincolato e al quale l’amministrazione non può pertanto sottrarsi attraverso una semplice e immotivata comunicazione di un qualunque ufficio, essendo invece necessario un procedimento
ad hoc (così, puntualmente, la sentenza di Cons. Stato, sez. V, 27.12.2013, n.
6269), la cui proposta va formulata al responsabile del servizio competente per
materia che dovrà accertare l’eventuale,
effettiva utilità che l’ente ha tratto dalla prestazione altrui. Va dunque accertata l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dal comune sulle istanze con le quali
è stato avviato il procedimento per il riconoscimento di due debiti fuori bilancio ai sensi degli artt. 191-193-194 t.u.e.l.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
TAR CALABRIA REGGIO CALABRIA
sentenza 26 gennaio 2016, n. 76
Inosservanza del termine di conclusione del procedimento: quale
responsabilità per la p.a.?
Giustizia amministrativa – Termine di
conclusione del procedimento – Ex
art. 2 legge 241/1990 – Inosservanza –
responsabilità della p.a. – Natura giuridica – Individuazione – Fattispecie
La responsabilità da ritardo ex art. 2-bis,
legge 7.8.1990, n. 241, dev’essere ricondotta, relativamente all’identificazione
dei suoi elementi costituitivi, nell’alveo
proprio dell’art. 2043 c.c.; conseguentemente, il danno da ritardo risarcibile, non
può essere presunto juris et de jure, quale effetto del semplice scorrere del tempo, ma è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)
e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso
causale, prova del pregiudizio subito), richiesti dalla menzionata norma codicistica; la domanda di risarcimento del danno da ritardo, azionata ex art. 2043, può
pertanto essere accolta dal giudice, solo se l’istante ‑ su cui, ex art. 2697 c.c.,
incombe l’onere di provare gli elementi
costitutivi della fattispecie illecita ‑ dimostri, tra l’altro, che la mancata adozione
del provvedimento dovuto, ha provocato
nel suo patrimonio pregiudizi che non si
sarebbero verificati ove l’atto fosse stato
tempestivamente emanato (in tal senso,
Cons. Stato, sez. IV, 12.11.2015, n. 5143;
ancora, Cons. Stato, sez. IV, 18.11.2014,
n. 5663 e 10.6.2014, n. 2964). Nel caso
di specie, in cui l’amministrazione si è
pronunciata tardivamente rispetto all’ordinario termine di legge di conclusione
del procedimento, attivato dai ricorrenti
per l’assegnazione di un alloggio popolare, non è stata fornita prova alcuna né
dell’elemento soggettivo né, tanto più,
del pregiudizio subito, laddove parte ricorrente formula la propria richiesta risarcitoria sulla base di un mero e del tutto generico riferimento ai “gravissimi pregiudizi
che non verranno compiutamente ristorati dall’ottenimento delle formulate richieste”. Il ricorso, pertanto, è manifestamente infondato per assoluta mancanza di prova dei su menzionati elementi costitutivi dell’illecito.
INFILTRAZIONI MAFIOSE
CONSIGLIO DI STATO SEZ. III
sentenza 25 gennaio 2016, n. 256
Scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose
1. Enti locali – consiglio comunale
– scioglimento – ex art. 143 t.u.e.l.
– ratio – individuazione 2. Enti locali
– consiglio comunale – scioglimento
– ex art. 143 t.u.e.l. – legittimità – fattispecie
1. Anche alla luce delle modifiche introdotte al testo originario dell’art. 143 del
d.lgs. n. 267 del 2000, non è venuta meno la ratio sottesa alla disposizione di offrire uno strumento di tutela avanzata in
particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria
dell’intervento penalistico o preventivo.
Ciò nell’evidente consapevolezza della
scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle
varie concrete forme di connessione o di
contiguità – e dunque di condizionamento
– fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con immediatezza che l’amministrazione dell’ente locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata (cfr. Cons.
Stato, sez. III, n. 3998 del 9.7.2012). Resta, quindi, ferma la connotazione dell’istituto nel vigente sistema normativo,
quale “misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza
straordinaria” (in termini, Corte costituzionale n. 103 del 19.3.1993, nell’escludere profili di incostituzionalità del previgente art. 15-bis della legge 19.3.1990,
n. 55). In particolare la qualificazione della
concretezza, univocità e rilevanza dei fatti
accertati va riferita non atomisticamente
e partitamente ad ogni singolo elemento,
accadimento, circostanza cui l’istruttoria
compiuta abbia ricondotto la sussistenza dei presupposti di cui dall’art. 143 del
89
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
d.lgs. n. 267 del 2000 e successive modificazioni, ma ad una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti, che nel loro complesso siano riferibili a
fatti di cui è stato accertato l’accadimento storico (requisito di concretezza); che
in base al prudente apprezzamento dell’
amministrazione esprimano, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell’ente che la norma ha inteso prevenire (requisito dell’ univocità) e siano
pertanto “rilevanti” agli effetti predetti.
Deve poi aggiungersi che stante l’ampia
sfera di discrezionalità di cui l’amministrazione dispone in sede di valutazione dei
fenomeni connessi all’ordine pubblico ed
in particolare alla minaccia rappresentata
dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, con ogni effetto sulla
graduazione delle misure repressive e di
prevenzione – il controllo sulla legittimità
dei provvedimenti adottati si caratterizza
come estrinseco, e cioè nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, della ragionevolezza del momento valutativo, della congruità e proporzionalità al fine perseguito.
2. È legittimo il decreto di scioglimento
del consiglio comunale, ex art. 143 d.lgs.
n. 267 del 2000, che trae fondamento da
un pluralità di elementi che, nel loro complesso, rendono significativi ed attendibili i presupposti che hanno condotto alla misura dissolutoria dell’organo rappresentativo della comunità locale, pervenendo a un giudizio finale che si sottrae
ad evidenti sintomi di eccesso di potere
nei profili anzidetti. Non può, invero, accedersi all’ordine argomentativo teso ad
escludere l’esistenza di elementi significativi di un contesto criminale di riferimento, ove si consideri la permanenza
del collegamento territoriale di un pluripregiudicato (elemento cardine di un’ organizzazione criminale dedita al traffico di
stupefacenti), tanto da essere vittima di
omicidio nello stesso comune, e la contiguità con tale pluripregiudicato di altre
figure criminali (tutte nominativamente
indicate nella relazione del prefetto), in
diverse occasioni in rapporto e contatto
con gli amministratori locali. La stessa nozione difrequentazione e contiguità con
appartenenti alla criminalità organizzata
non va relegata in un quadro di occasionalità e saltuarietà riferita a ciascun soggetto attenzionato. L’art. 143 del d.lgs.
n. 267 del 2000 prende, invero, a riferimento nel suo complesso la condizione
90
in cui è posto l’organo consiliare a causa
di situazioni di parentela, frequentazioni
o contiguità con soggetti con pregiudizi penali che, per sommatoria, vengono
ad assumere un ruolo determinante nella formazione della volontà dell’organo
elettivo. Non inficia le conclusioni cui è
pervenuta l’amministrazione la circostanza che taluni dei rilievi mossi alla gestione amministrativa del comune possano
essere considerati secondari e irrilevanti agli effetti del condizionamento esterno del consiglio comunale, in presenza di
altri che, nel loro insieme, integrano i presupposti per l’adozione della misura dissolutoria. La valutazione delle acquisizioni in ordine a collusioni e condizionamenti
non può essere, infatti, effettuata estrapolando singoli fatti ed episodi, al fine di
contestare l’esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di
verifica del giudizio conclusivo sull’operato consiliare. In presenza di un fenomeno di criminalità organizzata notoriamente diffuso nel territorio in questione, gli
elementi posti a conferma di collusioni,
collegamenti e condizionamenti, vanno
considerati nel loro insieme, giacché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come
presupposto per la misura di cui si tratta.
CONSIGLIO DI STATO SEZ. III
sentenza 20 gennaio 2016, n. 197
Scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose
1. Enti locali – consiglio comunale –
scioglimento per condizionamenti
di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l.
– provvedimento di tipo preventivo
2. Enti locali – consiglio comunale
– scioglimento per condizionamenti
di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. –
legittimità – fattispecie 3. Enti locali
– consiglio comunale – scioglimento
per condizionamenti di tipo mafioso
– ex art. 143 t.u.e.l. – comunicazione
di avvio del procedimento – necessità – va esclusa
1. Lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi
dell’art. 143 del t.u.e.l. (d.lgs. 267/2000),
non ha natura di provvedimento di tipo
sanzionatorio, ma preventivo, con la
conseguenza che, per l’emanazione del
relativo provvedimento di scioglimento,
è sufficiente la presenza di elementi che
consentano di individuare la sussistenza
di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato (Cons. Stato, sez. III,
3.11.2015, n. 5023). L’art. 143, comma
1, nel testo novellato dall’art. 2, comma
30, della l. 94/2009, richiede che detta situazione sia resa significativa da elementi “concreti, univoci e rilevanti», che assumano valenza tale da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione
della volontà degli organi amministrativi
e da compromettere l’imparzialità delle
amministrazioni comunali e provinciali”,
aspetto, quest’ultimo, che riveste carattere essenziale per l’adozione della misura di scioglimento dell’organo rappresentativo della comunità locale. Gli elementi sintomatici del condizionamento
criminale devono, quindi, caratterizzarsi
per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per
univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore
è intesa a prevenire; per rilevanza, che
si caratterizza per l’idoneità all’effetto di
compromettere il regolare svolgimento
delle funzioni dell’ente locale. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore
della legge 9/2009 non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il
rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi
livelli di Governo garantita dalla Costituzione (Cons. Stato, sez. III, 19.10.2015,
n. 4792). Le vicende, che costituiscono il
presupposto del provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale, devono essere però considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo
del condizionamento mafioso. Assumono pertanto rilievo anche situazioni non
traducibili in episodici addebiti personali
ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente
e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione o di una pericolosa
contiguità degli amministratori locali alla
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando
il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (v., ex plurimis,
Cons. Stato, sez. III, 28.9.2015, n. 4529).
2. È legittimo il decreto di scioglimento
del consiglio comunale nel caso in cui risulti indubbio e acclarato l’impegno profuso da un locale boss a sostegno della
cugina di primo grado, poi eletta addirittura presidente del consiglio comunale,
e laddove emerga dalle intercettazioni,
alle quali si fa riferimento nella relazione
prefettizia, una velata ma comprensibile
allusione alla pratica del “voto di scambio” – procacciamento di voti in cambio
di denaro – al quale fare ricorso, evidentemente per una inveterata prassi rinnovatasi, purtroppo, pure in quel caso, in vista delle imminenti elezioni comunali. Tali gravissime interferenze della mafia sulle elezioni dell’attuale consiglio comunale, che ne viziano manifestamente e irrimediabilmente la legittimità, sono rese
evidenti anche dal contenuto, non equivoco, di ulteriori intercettazioni. Nel caso
di specie, poi, l’esistenza di questo penetrante e, comunque, condizionante sistema è corroborata non solo dal contenuto
delle intercettazioni, tutte costituenti elementi concreti, precisi, rilevanti, ma anche da quanto riferito dal personale del
Comando Stazione Carabinieri, come ricorda la relazione prefettizia, in occasione della tornata elettorale e, cioè, che
in quell’occasione alcuni esponenti della mafia locali venivano visti sostare, sia
nei giorni destinati alle consultazioni elettorali che in quelli successivi dedicati allo
scrutinio delle schede, all’ingresso degli
edifici preposti alle consultazioni o, addirittura, introducendosi nei locali adibiti ai
seggi. Questo dimostra già di per sé solo
a sufficienza, sulla base di elementi concreti, univoci e rilevanti e, quindi, sulla base di un giudizio prognostico di verosimiglianza fondato attendibilmente sulla logica del”più probabile che non” applicabile
anche allo scioglimento del consiglio comunale, che ha funzione anticipatoria e
non sanzionatoria, che l’elezione dell’attuale consiglio comunale sia stata geneticamente viziata dal condizionamento della locale mafia, con pesanti interferenze
sulla libera espressione del voto popolare. Tali interferenze, del resto, non hanno
condizionato solo le elezioni del consiglio
comunale, essendo impensabile e inspiegabile, ovviamente, un disinteressamento della mafia dopo di esse, ma la successiva vita dell’amministrazione neoeletta, chiamata a pagare un pesante debito elettorale al “sistema” orchestrato
dalla mafia per agevolarne l’ascesa politica al governo del comune.
3. Il provvedimento di scioglimento del
consiglio comunale per condizionamento dalla criminalità organizzata non deve essere necessariamente preceduto
dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di attività di natura
preventiva e cautelare, per la quale non vi
è necessità di partecipazione, anche per
il tipo di interessi coinvolti che non concernono, se non indirettamente, persone, ma la complessiva rappresentazione
operativa dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale. Rileva, quindi, il carattere straordinario della misura che, nell’ipotesi di una concreta minaccia ai beni primari appartenenti a tutta la collettività,
quali quelli rappresentati dall’ordine e dalla sicurezza pubblica, che lo scioglimento di cui all’art. 143 del d.lgs. 267/2000,
è volto a tutelare, giustifica una immediata reazione dell’ordinamento, mediante un intervento rapido e deciso (v., inter
alias, Cons. Stato, sez. V, 20.10.2005, n.
5878; Cons. Stato, sez. V, 4.10.2007, n.
5146; Cons. Stato, sez. III, 14.2.2014, n.
727). In altre parole, nel vigente sistema normativo, lo scioglimento dell’organo elettivo – che, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, ha non finalità repressive nei
confronti di singoli, bensì di salvaguardia
dell’amministrazione pubblica (Cons. Stato, sez. VI, 13.5.2010, n. 2957) – si connota quale“misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza
straordinaria” (Corte cost., 19.3.1993, n.
103; Cons. Stato, sez. VI, 10.3.2011, n.
1547). La stessa natura dell’atto di scioglimento dà, quindi, ragione dell’esistenza, oltre che della gravità, dell’urgenza
del provvedere, alla quale non può non
correlarsi l’affievolimento dell’esigenza
di salvaguardare in capo ai destinatari,
nell’avvio dell’iter del procedimento di
scioglimento, le garanzie partecipative e
del contraddittorio assicurate dalla comunicazione di avvio del procedimento. Occorre pertanto ribadire, anche in questa
sede, che per l’attività amministrativa in
questione, stante la sua ratio di straordinarietà, non trova applicazione l’obbligo
di comunicazione dell’avvio del procedimento previsto in via generale dall’art. 7
della l. 241/1990 (cfr., ex plurimis, Cons.
Stato, sez. VI, 13.3.2007, n. 2222; Cons.
Stato, sez. VI, 28.10.2009, n. 6657; Cons.
Stato, sez. III, 14.2.2014, n. 727).
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III
sentenza 20 gennaio 2016, n. 197
Scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose
1. Enti locali – consiglio comunale –
scioglimento per condizionamenti
di tipo mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. –
provvedimento di tipo preventivo
2.
Enti locali – consiglio comunale – scioglimento per condizionamenti di tipo
mafioso – ex art. 143 t.u.e.l. – legittimità – fattispecie 3. Enti locali – consiglio
comunale – scioglimento per condizionamenti di tipo mafioso – ex art. 143
t.u.e.l. – comunicazione di avvio del
procedimento – necessità – va esclusa
1. Lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi
dell’art. 143 del t.u.e.l. (d.lgs. 267/2000),
non ha natura di provvedimento di tipo
sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, per l’emanazione del relativo provvedimento di scioglimento, è
sufficiente la presenza di elementi che
consentano di individuare la sussistenza
di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato (Cons. Stato, sez. III,
3.11.2015, n. 5023). L’art. 143, comma
1, nel testo novellato dall’art. 2, comma
30, della l. 94/2009, richiede che detta situazione sia resa significativa da elementi “concreti, univoci e rilevanti», che assumano valenza tale da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione
della volontà degli organi amministrativi
e da compromettere l’imparzialità delle
amministrazioni comunali e provinciali”,
aspetto, quest’ultimo, che riveste carattere essenziale per l’adozione della misura di scioglimento dell’organo rappresentativo della comunità locale. Gli elementi sintomatici del condizionamento
criminale devono, quindi, caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto,
assistiti da un obiettivo e documentato
91
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
accertamento nella loro realtà storica; per
univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore
è intesa a prevenire; per rilevanza, che
si caratterizza per l’idoneità all’effetto di
compromettere il regolare svolgimento
delle funzioni dell’ente locale. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore
della legge 9/2009 non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il
rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi
livelli di Governo garantita dalla Costituzione (Cons. Stato, sez. III, 19.10.2015,
n. 4792). Le vicende, che costituiscono il
presupposto del provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale, devono essere però considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo
del condizionamento mafioso. Assumono pertanto rilievo anche situazioni non
traducibili in episodici addebiti personali
ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente
e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione o di una pericolosa
contiguità degli amministratori locali alla
criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando
il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (v., ex plurimis,
Cons. Stato, sez. III, 28.9.2015, n. 4529).
2. È legittimo il decreto di scioglimento
del consiglio comunale nel caso in cui risulti indubbio e acclarato l’impegno profuso da un locale boss a sostegno della
cugina di primo grado, poi eletta addirittura presidente del consiglio comunale,
e laddove emerga dalle intercettazioni,
alle quali si fa riferimento nella relazione
prefettizia, una velata ma comprensibile
allusione alla pratica del “voto di scambio” – procacciamento di voti in cambio
di denaro – al quale fare ricorso, evidentemente per una inveterata prassi rinnovatasi, purtroppo, pure in quel caso, in vista delle imminenti elezioni comunali. Tali
gravissime interferenze della mafia sulle
92
elezioni dell’attuale consiglio comunale,
che ne viziano manifestamente e irrimediabilmente la legittimità, sono rese evidenti anche dal contenuto, non equivoco, di ulteriori intercettazioni. Nel caso
di specie, poi, l’esistenza di questo penetrante e, comunque, condizionante sistema è corroborata non solo dal contenuto delle intercettazioni, tutte costituenti elementi concreti, precisi, rilevanti, ma
anche da quanto riferito dal personale del
Comando Stazione Carabinieri, come ricorda la relazione prefettizia, in occasione della tornata elettorale e, cioè, che
in quell’occasione alcuni esponenti della mafia locali venivano visti sostare, sia
nei giorni destinati alle consultazioni elettorali che in quelli successivi dedicati allo
scrutinio delle schede, all’ingresso degli
edifici preposti alle consultazioni o, addirittura, introducendosi nei locali adibiti ai
seggi. Questo dimostra già di per sé solo
a sufficienza, sulla base di elementi concreti, univoci e rilevanti e, quindi, sulla base di un giudizio prognostico di verosimiglianza fondato attendibilmente sulla logica del”più probabile che non” applicabile
anche allo scioglimento del consiglio comunale, che ha funzione anticipatoria e
non sanzionatoria, che l’elezione dell’attuale consiglio comunale sia stata geneticamente viziata dal condizionamento della locale mafia, con pesanti interferenze
sulla libera espressione del voto popolare. Tali interferenze, del resto, non hanno condizionato solo le elezioni del consiglio comunale, essendo impensabile e
inspiegabile, ovviamente, un disinteressamento della mafia dopo di esse, ma la
successiva vita dell’amministrazione neoeletta, chiamata a pagare un pesante debito elettorale al “sistema” orchestrato
dalla mafia per agevolarne l’ascesa politica al governo del comune.
3. Il provvedimento di scioglimento del
consiglio comunale per condizionamento dalla criminalità organizzata non deve essere necessariamente preceduto
dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di attività di natura
preventiva e cautelare, per la quale non
vi è necessità di partecipazione, anche
per il tipo di interessi coinvolti che non
concernono, se non indirettamente, persone, ma la complessiva rappresentazione operativa dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale. Rileva, quindi, il
carattere straordinario della misura che,
nell’ipotesi di una concreta minaccia ai
beni primari appartenenti a tutta la collettività, quali quelli rappresentati dall’ordine e dalla sicurezza pubblica, che lo
scioglimento di cui all’art. 143 del d.lgs.
267/2000, è volto a tutelare, giustifica
una immediata reazione dell’ordinamento, mediante un intervento rapido e deciso (v., inter alias, Cons. Stato, sez. V,
20.10.2005, n. 5878; Cons. Stato, sez.
V, 4.10.2007, n. 5146; Cons. Stato, sez.
III, 14.2.2014, n. 727). In altre parole,
nel vigente sistema normativo, lo scioglimento dell’organo elettivo – che, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, ha non finalità repressive nei confronti di singoli, bensì di
salvaguardia dell’amministrazione pubblica (Cons. Stato, sez. VI, 13.5.2010,
n. 2957) – si connota quale“misura di
carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza straordinaria” (Corte cost., 19.3.1993, n. 103; Cons. Stato,
sez. VI, 10.3.2011, n. 1547). La stessa
natura dell’atto di scioglimento dà, quindi, ragione dell’esistenza, oltre che della
gravità, dell’urgenza del provvedere, alla
quale non può non correlarsi l’affievolimento dell’esigenza di salvaguardare in
capo ai destinatari, nell’avvio dell’iter del
procedimento di scioglimento, le garanzie partecipative e del contraddittorio assicurate dalla comunicazione di avvio del
procedimento. Occorre pertanto ribadire, anche in questa sede, che per l’attività amministrativa in questione, stante
la sua ratio di straordinarietà, non trova
applicazione l’obbligo di comunicazione
dell’avvio del procedimento previsto in
via generale dall’art. 7 della l. 241/1990
(cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI,
13.3.2007, n. 2222; Cons. Stato, sez.
VI, 28.10.2009, n. 6657; Cons. Stato,
sez. III, 14.2.2014, n. 727).
TAR LIGURIA SEZ. II
sentenza 8 gennaio 2016, n. 4
Presupposti per il risarcimento del
danno da ritardo
1. Procedimento amministrativo –
risarcimento del danno da ritardo
– previo accertamento del silenzio
inadempimento della p.a. – necessità 2. Procedimento amministrativo
– risarcimento del danno da ritardo –
presupposti – violazione del termine
massimo di durata del procedimento
amministrativo – insufficienza
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
1. Il risarcimento dei danni per il ritardo
dell’amministrazione nell’adozione di un
provvedimento dovuto può essere richiesto esclusivamente nelle ipotesi in cui sia
stato previamente accertato e dichiarato dal giudice il silenzio inadempimento
dell’amministrazione (TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 5.6.2015, n. 1316).
2. In tema di presupposti per il risarcimento del danno da ritardo, al fine del
necessario accertamento della colposità
dell’inerzia la cui dimostrazione incombe
sul danneggiato, non è sufficiente la sola
violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo, poiché tale violazione di per sé non dimostra l’imputabilità del ritardo, potendo la
particolare complessità della fattispecie
o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all’amministrazione escludere la
sussistenza della colpa. Il comportamento dell’amministrazione, inoltre, deve essere valutato unitamente alla condotta
dell’istante, il quale riveste il ruolo di parte essenziale e attiva del procedimento
e in tale veste dispone di poteri idonei a
incidere sulla tempistica e sull’esito del
procedimento stesso, attraverso il ricorso
ai rimedi amministrativi e giustiziali riconosciutigli dall’ordinamento giuridico, tra
cui il rito del silenzio che deve essere attivato con tempestività rilevando altrimenti, ai fini dell’art. 1227 c.c. (art. 30 c.p.a.)
in ordine all’accertamento della spettanza del risarcimento nonché alla quantificazione del danno risarcibile (TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 26.5.2015, n. 1243).
In sostanza la previsione di cui all’art. 30
c.p.a. deve ritenersi valevole anche per
la responsabilità da ritardo della pubblica
amministrazione. Ne consegue che per
ottenere il risarcimento del danno da ritardo occorre una iniziativa del danneggiato
volata a fare risaltare l’inerzia dell’amministrazione. Tale ordine di idee è conforme ai principi solidaristici che informano l’ordinamento e che impongono di attivarsi nel limite di un apprezzabile sacrificio al fine di evitare che la situazione produttiva del danno si aggravi con il
passare del tempo. Detto in altre parole non è lecito che l’asserito danneggiato rimanga inerte per poi giovarsi dell’inerzia della p.a. a fini risarcitori. Occorre, invece, affinchè il danno possa essere risarcibile un’iniziativa del danneggiato che metta in mora l’amministrazione
e ciò soprattutto quando come nel caso
di specie fa difetto una espressa previsione di un termine finale.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI
sentenza 28 dicembre 2015, n. 5844
Preavviso di rigetto: il caso dell’autorizzazione paesaggistica
1. Procedimento amministrativo – autorizzazione paesaggistica – art. 146,
comma 8, d.lgs. n. 42 del 2004 e art.
10-bislegge 241/1990 – rapporti – individuazione 2. Procedimento amministrativo – autorizzazione paesaggistica – parere negativo reso dalla
Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici – ai sensi dell’art.
146, comma 8, d.lgs. 42/2004, nel testo vigente dal 24 aprile 2008 al 12
luglio 2011 – preavviso di rigetto – necessità – va esclusa
1. In base a quanto dispone l’art. 146,
comma 8, del t. u. n. 42 del 2004, nel
testo vigente dal 24 aprile 2008 al 12
luglio 2011, vale a dire all’epoca dell’adozione del parere negativo di compatibilità paesaggistica impugnato, norma
speciale rispetto all’art. 10-bis della legge 241/1990, l’obbligo di comunicazione
dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza gravava in capo alla sola regione
(o all’ente sub delegato), prima di adottare il provvedimento definitivo di diniego. Nel caso in esame non si era giunti
alla fase del procedimento in cui il comune, acquisito il parere negativo della soprintendenza, e prima di adottare il provvedimento finale di diniego, era tenuto a
comunicare all’interessato le ragioni della decisione che era in procinto di assumere, considerato che il ricorrente aveva deciso d’impugnare in via immediata
e diretta il parere negativo della soprintendenza: pertanto né il comune, che non
aveva ancora emesso il provvedimento
finale di diniego, e neppure la Soprintendenza, che non era tenuta a farlo, dovevano comunicare i motivi ostativi ai sensi del citato art. 10-bis.
2. Sul carattere di norma speciale dell’art.
146, comma 8, del t. u. n. 42 del 2004, rispetto alla norma generale di cui all’art.
10 bis della legge n. 241 del 1990, va
rammentato che per Cons. Stato, sez.
VI, n. 1729 del 2014, qui condivisa,”il parere reso al comune ai fini paesaggistici dall’Amministrazione preposta alla tutela dello specifico interesse non è soggetto all’obbligo di comunicazione preventiva del preavviso di rigetto di cui al
citato art. 10 -bis, in quanto costituisce
esercizio, entro un termine decadenziale, di un potere che intercorre tra autorità
pubbliche (cfr. per tutte Cons. Stato, sez.
VI, 21.9.2011, n. 5293; sez. VI, 20.12.2011,
n. 6725; sez. VI, 2.2.2012, n. 576, sez. VI,
9.7.2013, n. 3616)”. Ciò non è incompatibile con la qualificazione del parere -vincolante- come idoneo a incidere in via autonoma e immediata nella sfera giuridica
dell’interessato, e a condizionare l’esito
del procedimento, e quindi con l’impugnabilità ex se del parere medesimo quale presupposto autonomo della successiva decisione finale negativa. Del resto,
il parere vincolante della soprintendenza
sembra avere natura di decisione preliminare, come tale impugnabile in via immediata e diretta, fermo restando che la decisione finale è della regione o dell’ente
sub delegato. In questa situazione, considerando impugnabile in via immediata
ed ex se il parere dell’organo statale periferico, avuto riguardo alla disciplina vigente nel 2010 sarebbe parso illogico,
oltre che violativo di princìpi di semplificazione procedimentale, considerare obbligatorio un contraddittorio per così dire “anticipato”, sotto forma di comunicazione dei motivi ostativiex art. 10-bis con
riferimento al parere dell’organo statale
periferico, in presenza di una comunicazione ex art. 10-bisobbligatoria riferita alla successiva decisione finale dell’ente
sub delegato.
PUBBLICO IMPIEGO
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III
sentenza 20 gennaio 2016, n. 192
Incompatibilità dei componenti
delle commissioni di concorso
Concorsi pubblici – commissione
esaminatrice – componenti – obbligo
di astensione – cause di incompatibilità previste dall’art. 51 c.p.c. – estensione analogica – possibilità – va
esclusa
Nelle procedure concorsuali i componenti delle commissioni esaminatrici hanno
l’obbligo di astenersi solo se ricorre una
delle condizioni tassativamente indicate dall’art. 51 c.p.c., senza che le cause di incompatibilità previste dalla stessa disposizione possano essere oggetto di estensione analogica. In particolare si è affermato che l’appartenenza allo
93
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
stesso ufficio del candidato e il legame
di subordinazione o di collaborazione tra
i componenti della commissione e il candidato non rientrano nelle ipotesi di astensione di cui all’art. 51 c.p.c. (Consiglio di
Stato, sez. V, n. 5618 del 17 novembre
2014, sez. VI, n. 4858 del 27.11.2012). Si
è anche precisato che i rapporti personali
di colleganza e/o collaborazione tra alcuni
componenti della commissione e determinati candidati ammessi alla prova orale non sono sufficienti a configurare un
vizio della composizione della commissione stessa, non potendo le cause di incompatibilità previste dalla predetta norma (tra le quali non rientra l’appartenenza allo stesso ufficio e il rapporto di colleganza), essere oggetto di estensione
analogica in assenza di ulteriori e specifici indicatori di una situazione di particolare intensità e sistematicità, tale da dar
luogo ad un vero e proprio sodalizio professionale (Cons. Stato, sez. VI, n. 4789
del 23.9.2014). Con la conseguenza che
la conoscenza che alcuno dei membri di
una commissione di concorso abbia di un
candidato, ove non ricada nelle suddette
fattispecie tipiche, non implica di per sé
la violazione delle regole dell’imparzialità e nemmeno il sospetto della violazione di tali regole (Cons. Stato, sez. V, n.
5618 del 17.11.2014 cit.). Nella fattispecie, il rapporto di lavoro fra il presidente
della commissione, direttore del Dipartimento Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane della AUSL e alcune candidate, addette allo stesso Dipartimento, pur
caratterizzato da una certa intensità non
possono ritenersi comunque sufficienti
a configurare un vero e proprio sodalizio
professionale o a determinare una comunanza di interessi economici o di vita di
tale intensità da rendere necessaria l’astensione dalla partecipazione alla commissione di concorso, ai sensi dell’art.
51 del c.p.c.
TAR PUGLIA, BARI, SEZ. III
sentenza 14 gennaio 2016, n. 30
Rapporto tra mobilità volontaria
riservata al personale in sovrannumero degli enti di area vasta e
scorrimento di graduatoria
Concorsi pubblici – avviso di mobilità esterna riservata al personale di
ruolo dichiarato in sovrannumero degli enti di area vasta per la copertura
94
di un posto di Agente di Polizia Municipale – ex art. 30 d.lgs. 165/2001 – in
luogo dello scorrimento di graduatoria ancora valida del concorso pubblico per l’assunzione di n. 2 Agenti
di Polizia Municipale – illegittimità –
ragioni
È illegittimo l’avviso di mobilità esterna,
ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. 165/2001,
riservata al personale di ruolo dichiarato
in sovrannumero degli enti di area vasta,
per la copertura di un posto di Agente di
Polizia Municipale, cat. C1, in luogo dello scorrimento della graduatoria, ancora valida ed efficace, del concorso pubblico indetto dal medesimo comune per
l’assunzione con contratto a tempo indeterminato di n. 2 Agenti di Polizia Municipale, Cat. C1. Il comma 2 bis dell’articolo 30, d.lgs. 165/2001 e s.m.i. sancisce il principio del previo esperimento di mobilità rispetto all’espletamento
di procedure concorsuali per il reclutamento di nuovo personale. La giurisprudenza ha già da tempo chiarito la portata di tale previsione stabilendo che, nel
caso di scorrimento di una graduatoria
di concorso valida ed efficace, non è legittimo determinarsi al reclutamento di
personale avviando, ex novo, procedura di mobilità volontaria ex art. 30, d.lgs.
165/2001, in quanto la prevalenza della mobilità esterna è prevista dal legislatore solo rispetto a nuove procedure concorsuali. È stato, infatti, osservato che “La mobilità esterna, come detto, non comporta alcun risparmio di spesa, attesa la maggior spesa per la nuova
procedura, mentre sotto gli altri aspetti
(migliore razionalità dell’organizzazione
pubblica e della funzionalità dei suoi uffici), le due procedure di assunzione si
equivalgono, attesa la garanzia di professionalità o già formate in ambito amministrativo per il personale in mobilità o accertata a mezzo regolare concorso per
gli idonei”. Si è perciò stabilito che “la
modalità di assunzione per scorrimento
della graduatoria di concorso già espletato è estranea alla fattispecie delineata
dal comma 2-bis dell’art. 30”. (Cons Stato, sez. V, 12.7.2015, n. 4329). Ne deriva che l’articolo 30 del d.lgs. 165/2001
deve ritenersi non operante nel caso in
cui sia possibile coprire il posto resosi vacante attingendo, mediante scorrimento, dalla graduatoria relativa a concorso pubblico.
TAR PUGLIA, BARI, SEZ. II
sentenza 5 gennaio 2016, n. 4
Indizione di nuovi concorsi in luogo dello scorrimento di graduatorie
valide ed efficaci
Pubblico impiego – avviso pubblico
per la selezione di dirigenti con contratto di lavoro subordinato a tempo
determinato – in luogo dello scorrimento di graduatoria valida ed efficacia – legittimità – fattispecie
Sono legittimi gli atti della procedura concorsuale per la selezione di n. 4 dirigenti a
tempo determinato – trattasi, più precisamente, degli incarichi di direzione dell’Ufficio Affari e Studi Giuridici e Legislativi e
dell’Ufficio Assemblea ed Assistenza agli
Organi, incardinati presso il Consiglio regionale; dell’incarico di direttore della struttura
di supporto al Comitato regionale per le comunicazioni (Co.Re.Com.); infine, dell’incarico di Direzione dell’Ufficio Politiche Giovanili e Legalità, incardinato presso il Servizio Politiche giovanili e cittadinanza sociale
dell’Area Politiche per lo sviluppo economico, lavoro ed innovazione – adottati dall’amministrazione regionale, in luogo dello scorrimento della graduatoria, ancora valida ed
efficace, degli idonei al concorso per dirigenti per l’Area legislativa e amministrativa,
considerato che la diversità delle specifiche competenze richieste in capo ai candidati per la partecipazione agli avvisi in contestazione rispetto ai requisiti previsti a suo
tempo per la procedura cui parteciparono
i ricorrenti impedisce di ravvisare omogeneità tra le posizioni dirigenziali in questione. Invero, l’obbligo di attingere dalla graduatoria ancora valida ed efficace può sussistere solo laddove si tratti di ricoprire posti della stessa categoria professionale oggetto della selezione cui si è partecipato,
presupponendo l’omogeneità delle competenze e della qualificazione professionale,
circostanza non presente nella specie (in
termini, anche la più recente sentenza di
questa Sezione n. 1326/2015, pronunziata con riferimento ad un caso speculare).
CORTE COSTITUZIONALE
sentenza 22 dicembre 2015, n. 272
Assunzioni – Enti che violano la
normativa sui pagamenti – Divieto –
Illegittimità
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
In riferimento agli artt. 3, 97, comma
2, e 117, comma 4, della Costituzione,
va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 2 del d.l. 24 aprile
2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 23 giugno 2014, n. 89,
il quale stabilisce che le amministrazioni
pubbliche, esclusi gli enti del Servizio sanitario nazionale ma comprese le regioni, che “registrano tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e a
60 giorni a decorrere dal 2015, rispetto
a quanto disposto dal decreto legislativo
9 ottobre 2002, n. 231, nell’anno successivo a quello di riferimento non possono
procedere ad assunzioni di personale a
qualsiasi titolo”.
TAR LAZIO, ROMA, SEZ. II-TER
sentenza 9 dicembre 2015, n. 13753
Rimborso delle spese legali
relative a giudizi di responsabilità
contabile
1. Pubblico impiego – dipendenti
pubblici – rimborso delle spese legali sostenute in relazione a giudizi
di responsabilità contabile – in caso
di
proscioglimento
dell’incolpato – quantificazione – ex art. 10-bis,
comma 10, d.l. 203/2005 – criterio 2.
Pubblico impiego – dipendenti pubblici – rimborso delle spese legali
sostenute in relazione a giudizi di
responsabilità contabile – in caso di
proscioglimento dell’incolpato – parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato – finalità
1. In base all’art. 10-bis, comma 10, del
d.l. 203/2005, successivamente modificato dall’art. 17, comma 30-quinques,
del d.l. 1.7.2009, n. 78, convertito nella
legge 3.8.2009, n. 102, il quale ha previsto che: “10. Le disposizioni dell’articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge
23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 dicembre
1996, n. 639 e dell’articolo 18, comma 1,
del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67,
convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile,
in caso di proscioglimento nel merito, e
con la sentenza che definisce il giudizio,
ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 91 del codice di procedura civile, non
può disporre la compensazione del giudizio e liquida l’ammontare degli onorari
e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità
dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate
all’amministrazione di appartenenza.”, la
sentenza di proscioglimento nel merito
costituisce il presupposto di un credito
che è attribuito dalla legge e che il giudice contabile, per i giudizi di sua competenza, è deputato a quantificare, salva comunque la definitiva determinazione del suo ammontare da compiere, su
parere dell’Avvocatura dello Stato, con
provvedimento dell’amministrazione di
appartenenza. (cfr. ancora: Cass., civ.
Sez. unite, 24.3.2010, n. 6996). L’autonomia del rapporto tra amministrazione
e proprio dipendente, avente ad oggetto il diritto al rimborso delle spese legali
rispetto al giudizio contabile da un lato,
unitamente al correlato dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali
a favore del proprio difensore in base alle tariffe forensi, a prescindere da quale
sia l’importo liquidato in sentenza, comporta – come ineludibile conseguenza –
che il rimborso dovuto dalla amministrazione al proprio dipendente possa prescindere dalla liquidazione effettuata in
sentenza dal giudice contabile o dalla
eventuale compensazione delle spese
in quella sede disposta, e che esso vada invece determinato sulla base del parere di congruità espresso dall’Avvocatura dello Stato. A queste conclusioni si
deve giungere anche in ragione di un’ulteriore argomentazione. Come si è visto,
il legislatore ha introdotto il divieto per il
giudice contabile di disporre la compensazione delle spese in caso di proscioglimento dell’incolpato. Qualora un tale
divieto venisse violato, tuttavia, non potrebbe certo negarsi il diritto del ricorrente ad ottenere un congruo rimborso
spese, sulla base del parere di congruità espresso dall’avvocatura. Se questo
è vero, nemmeno può dunque negarsi
il diritto del pubblico dipendente ad ottenere un congruo rimborso spese nel
caso in cui il giudice contabile, anziché
disporre la compensazione, abbia liquidato le spese legali, ma in misura simbolica o comunque inferiore a quanto effettivamente dovuto dall’assistito al proprio difensore. In caso contrario, infatti, il
parere di congruità dell’Avvocatura dello
Stato, in questo secondo caso, verrebbe
ad essere completamente pretermesso.
2. Nei giudizi di responsabilità contabile, in caso di proscioglimento dell’incolpato, l’amministrazione è tenuta al rimborso delle spese legali sostenute, previa acquisizione di un parere di congruità
dell’Avvocatura dello Stato, il quale, senza essere in alcun modo vincolato dalla liquidazione delle spese effettuata dal giudice contabile, verifichi le necessità difensive dell’assistito in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi
del giudizio, nonché la conformità della
parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V
sentenza 12 novembre 2015, n. 5183
Criteri per la liquidazione dei diritti
di rogito spettanti ai segretari
comunali
Enti locali – segretario comunale – diritti di rogito – quantificazione – limitazione massima ad un terzo dello “stipendio in godimento” – art. 41, comma 4,
legge 11.7.1980, n 312 – significato
Ai fini della liquidazione dei diritti di rogito
spettanti ai segretari comunali, che l’art.
41, comma 4, della legge 11.7.1980, n 312
quantifica in misura pari al 75 per cento e
fino ad un massimo di un terzo dello “stipendio in godimento”, non può prescindersi dal periodo di effettivo servizio svolto dal soggetto interessato alla percezione del compenso in parola, come peraltro chiarito anche da questo Consiglio (cfr.
sez. IV, 9.11.1989, n. 773). Infatti, i diritti
di rogito hanno una funzione di remunerazione di una particolare attività alla quale è correlata una responsabilità di ordine
speciale e sorgono con l’effettiva estrinsecazione della funzione di rogante la quale,
ancorché di carattere obbligatorio, eccede l’ambito delle attribuzioni di lavoro normalmente riconducibili al pubblico impiego. A fronte dì tale funzione, quindi, il legislatore ha previsto un compenso ulteriore, ragguagliandolo ad un terzo della retribuzione annua maturata dall’interessato,
retribuzione, quindi, che deve essere effettivamente maturata e non riferita allo
stipendio tabellare astrattamente percepibile dal soggetto rogante. Peraltro, anche l’analisi letterale della disposizione induce alle medesime conclusioni; infatti lo
“stipendio in godimento” di cui al citato
95
COMUNI D’ITALIA
giurisprudenza
1/2016
art. 41 non può essere inteso come retribuzione spettante in astratto, atteso che
in tanto esso è goduto in quanto è maturato a seguito ed in virtù della prestazione
di servizio effettivamente svolta. Per contro, l’opposta interpretazione non poggia
su argomenti letterali, poiché l’espressione
“stipendio in godimento” usata nel terzo
comma dell’art. 41 della legge n. 312 del
1980, non reca elementi per ritenere che
essa si riferisca inequivocabilmente alla
retribuzione su base annua. Tale disposizione va intesa, tenendo soprattutto conto del particolare contesto in cui essa è inserita, nel modo più conforme al principio
di buon andamento della p.a. di cui all’art.
97, comma 1, Cost. ed ai principi di sana
gestione finanziaria. Sotto questo aspetto, l’entità dell’onere finanziario dell’ente
locale nella corresponsione al segretario
rogante dei diritti de quibus non può essere equiparata a seconda della permanenza
di uno stesso dipendente nella sede ed in
quelle funzioni da cui deriva la maturazione
del compenso accessorio per un periodo
inferiore all’anno solare, piuttosto che per
l’intero anno; anzi, proprio il principio indicato nell’art. 36, comma 1, Cost., secondo cui il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, risulta in contrasto con
l’interpretazione accolta in primo grado. Infine, si deve osservare che l’orientamento
che qui si condivide è conforme al principio generale, peraltro da ritenersi non innovativo rispetto al sistema antecedente,
espresso all’art. 7, comma 5, della disciplina sul pubblico impiego (all’epoca del
d.lgs. n. 29 del 1993, oggi ex d.lgs. n. 165
del 2001), secondo cui le amministrazioni
pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V
sentenza 6 novembre 2015, n. 5078
Procedure di mobilità e scorrimento
di graduatorie
1. Pubblico impiego – modalità di assunzione – scorrimento di graduatorie
e nuovo concorso – rapporti – individuazione 2. Pubblico impiego – modalità di assunzione – formazione e utiliz-
96
zo di graduatoria ricavata da procedura
di mobilità volontaria per la copertura
di posizione dirigenziale – successivo
scorrimento della vigente graduatoria
del concorso pubblico per esami per
la copertura di tale posizione lavorativa – ulteriore successiva assunzione
attraverso “reviviscenza” dei risultati
della procedura di mobilità volontaria
– illegittimità
1. “Posto che in tema di copertura di posti
nel pubblico impiego la decisione di «scorrimento» della graduatoria non può essere
collocata su un piano diverso e contrapposto rispetto alla determinazione di indizione di un nuovo concorso, tenendo presente che entrambi gli atti si pongono in rapporto di diretta derivazione dai principi dell’art.
97 Cost., e quindi devono essere sottoposti alla medesima disciplina anche in relazione all’ampiezza dell’obbligo di motivazione,
va precisato che si è oramai realizzata la sostanziale inversione del rapporto tra l’opzione per un nuovo concorso e la decisione di
scorrimento della graduatoria preesistente
ed efficace, in quanto quest’ultima modalità di reclutamento rappresenta oggi la regola generale, mentre l’indizione del nuovo
concorso costituisce l’eccezione e richiede
un’apposita e approfondita motivazione, che
dia conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di
interesse pubblico” (Cons. Stato, ad. plen.,
28.7.2011, n. 14).
2. È illegittimo il provvedimento di assunzione conseguente alla riapertura della graduatoria ricavata da un procedimento di mobilità volontaria per la copertura di un posto
di dirigente e ciò dopo aver proceduto alla
formazione e all’utilizzo della graduatoria di
mobilità ed al successivo scorrimento della tuttora vigente graduatoria del concorso
pubblico per esami per la copertura di tale posizione lavorativa. Vero è che la lettura
del dato testuale dell’art. 30 ed il confronto
con quello dell’art. 34-bis in parola conduce all’interpretazione secondo cui le amministrazioni pubbliche “sono tenute” ad utilizzare la procedura della mobilità d’ufficio prima di avviare le altre procedure di assunzione di personale e le eventuali assunzioni ef-
fettuate in violazione di tale previsione “sono nulle di diritto”. L’art. 30 d.lgs. 165/2001
dispone poi che: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro...” e
che “sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere
l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento
di nuovo personale”. Quindi, mentre nel primo caso la nullità scatta in caso di violazione
della disciplina, nel secondo è l’elusione del
principio del previo esperimento di mobilità, che determina la patologia dell’atto, dal
ché si evince come in capo all’amministrazione regionale residui un potere discrezionale, che deve essere orientato al rispetto del
principio del previo esperimento di mobilità
rispetto al reclutamento di nuovo personale. Ma le previsioni di cui all’art. 34-bis citato nello strutturare il procedimento di mobilità, non permettono la formazione di sorta
di graduatorie sul modello di quelle concorsuali, per cui esse non possono essere considerate efficaci negli anni seguenti al pari di
queste ultime, ma si esauriscono al momento delle specifiche assunzioni cui sono finalizzate: infatti, come si è visto, la regola generale delle assunzioni rimane sempre quella di tipo concorsuale dello scorrimento delle graduatorie che viene derogata solo nella fase preliminare mediante le procedure di
mobilità tanto è che il comma 4 dell’art. 34bis stabilisce che “Le amministrazioni, decorsi due mesi dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1 da parte del Dipartimento della funzione pubblica [...] ossia dal bando per la mobilità, possono procedere all’avvio della procedura concorsuale per le posizioni per le quali non sia intervenuta l’assegnazione di personale ai sensi
del comma 2”, vale a dire il provvedimento di assegnazione che definisce la mobilità
medesima. Ne discende la correttezza della
tesi dell’appellante (utilmente collocata nella graduatoria di idonei al concorso pubblico
per la copertura di posti dirigenziali), secondo cui non poteva ammettersi un’improvvisa e contraddittoria obliterazione dello scorrimento delle graduatorie in luogo di una reviviscenza dei risultati delle procedure di mobilità non prevista dal legislatore.
COMUNI D’ITALIA
circolari & pareri
1/2016
circolari & pareri
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 18 dicembre 2015
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 14 dicembre 2015
Prestazioni di lavoro straordinario oltre il limite massimo
Incarico di collaborazione ad un ex
dipendente collocato in quiescenza
Un segretario di un Comune ha chiesto
di conoscere se sia possibile autorizzare
il dipendente, nominato segretario della Sottocommissione elettorale Circondariale, allo svolgimento di prestazioni di
lavoro straordinario oltre il limite massimo individuale previsto dall’art. 14, comma 4, del CCNL 1.4.1999, tenuto conto
che la relativa spesa viene suddivisa tra i
comuni facenti parte dell’ambito circondariale.
A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “il citato art. 14, comma
4, fissa il limite massimo individuale annuale per le prestazioni di lavoro in 180
ore. Una deroga a tale tetto individuale è
stabilita dall’art. 38, comma 3, del CCNL
14.9.2000. Detto articolo prevede che
per esigenze eccezionali ed in relazione
alla sola attività di diretta collaborazione
con gli organi istituzionali, la contrattazione integrativa può superare la quantità massima prevista, tale possibilità è limitata ad un numero massimo di dipendenti non superiore al 2% dell’organico.
Stante le richiamate disposizioni non
sembra, pertanto, possibile derogare,
al di fuori dell’ipotesi di cui al citato art.
38, al limite massimo annuale di 180 ore,
non rinvenendosi, peraltro, per il caso di
specie un’apposita norma derogatoria.
Ad ogni buon conto, si rammenta che,
codesto Comune, anche per la fattispecie in esame, dovrà avere cura di osservare il principio generale, valevole per i
pubblici dipendenti, secondo cui una
stessa prestazione non può essere compensata con più forme remunerative”.
Un Commissario ha chiesto un parere in merito alla possibilità di conferire, ai sensi dell’art. 5, comma 9, del dl
95/2012, come modificato dall’art. 17,
comma 3, della legge 124/2015, un incarico di collaborazione ad un ex dipendente collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età al fine di supportare
l’attuale responsabile dell’area pianificazione e territorio.
A riguardo il Ministero interpellato ha
fatto presente che “dall’esame della
documentazione trasmessa si evincono due discordanze tra la bozza di disciplinare e quella della delibera, relativamente alla durata dell’incarico (nel disciplinare tre mesi e nella delibera sei mesi) ed ai compiti da affidare (nel disciplinare affiancamento, nella delibera il richiamo alla circolare n. 4/2015 sembrerebbe intendere ulteriori finalità).
Ciò posto, si rileva che il novellato art. 5,
comma 9, prevede espressamente il divieto per le pubbliche amministrazioni di
conferire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati e pubblici collocati in quiescenza nonché incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle predette amministrazioni e società da esse controllate. Lo stesso
comma 9 dispone che i predetti incarichi,
cariche e collaborazioni sono comunque
consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando
la gratuità, la durata non può essere superiore ad un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione.
Le disposizioni in vigore, pertanto, vietano il conferimento degli incarichi specificamente indicati nella predetta normativa
a soggetti pubblici o privati collocati in
pensione, eccezion fatta per quelli a titolo gratuito. La norma, essendo limitativa, deve essere oggetto di stretta interpretazione, così come rilevato dal Ministro per la semplificazione e la pubblica
amministrazione con circolari nn. 6/2014
e 4/2015, richiamate anche da codesto
Commissario. In particolare, in dette circolari, relativamente agli incarichi direttivi,
viene evidenziato che gli stessi possono
essere conferiti anche oltre il limite dei 65
anni, purché a titolo gratuito e per una durata non superiore ad un anno”.
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 10 dicembre 2015
Legittimità di una delibera di consiglio comunale
È stato posto un quesito in ordine alla legittimità di una delibera di consiglio
comunale adottata con il voto espresso
anche dal vice sindaco dell’ente.
A riguardo il Ministero interpellato ha
fatto presente che “come noto, il Consiglio di Stato, con parere n. 94/96 del
21.2.1996, ha escluso che nel novero dei
poteri vicari del vice sindaco rientri l’esercizio delle funzioni di componente del
consiglio con diritto di voto.
Considerato che la deliberazione consiliare in questione sarebbe stata approvata anche senza computare il voto
espresso dal vice sindaco, si è chiesto
se tale delibera sia inficiata da vizi di legittimità e se sia opportuno provvedere
al ritiro della stessa.
Al riguardo, appare utile richiamare quanto osservato dal Consiglio di Stato, V Sezione, con sentenza n. 1564 del 2005,
con riferimento alla circostanza che la
delibera adottata sopravviva alla cosiddetta “prova di resistenza”. Nella citata
97
COMUNI D’ITALIA
circolari & pareri
1/2016
pronuncia si legge che una giusta composizione tra l’esigenza di reintegrare la legittimità violata nel corso delle operazioni
di voto e quella di salvaguardare la volontà espressa dall’organo deliberante non
consente di pronunciare l’annullamento
degli atti impugnati e dei voti così espressi, se la loro illegittimità non influisca in
concreto sull’esito della deliberazione.
Circa il superamento della “prova di resistenza”, va soggiunto che la stessa sia
del tutto irrilevante quando la controversia sia riferita alla violazione degli obblighi
di astensione gravanti sugli amministratori locali ai sensi della vigente normativa
in materia (cfr Consiglio di Stato sez. IV
20 dicembre 2013 n. 6177).
Tanto premesso, potrebbe farsi ricorso
all’istituto della convalida amministrativa; nella ipotesi di un atto annullabile,
la pubblica amministrazione, in virtù del
principio di conservazione degli atti giuridici, può decidere di mantenerlo in vita, rimuovendo i vizi che lo inficiano attraverso l’espressione di una manifestazione di volontà finalizzata ad eliminare il
vizio ravvisato.
La convalida si sostanzia in una nuova
ed autonoma manifestazione di volontà che, collegandosi all’atto originario,
ne mantiene gli effetti fin dal momento
in cui esso venne emanato. Come noto,
la legge n. 15 del 2005 ha modificato la
legge n. 241 del 1990 introducendo l’art.
21 nonies che, al comma 2, prevede la
possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni
di pubblico interesse ed entro un termine ragionevole”.
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 10 dicembre 2015
Numero consiglieri per i comuni con
popolazione inferiore a 3000 abitanti
e simbolo della lista
È stato chiesto da un consigliere comunale se, a decorrere dalle elezioni del
2015, il consiglio di un comune con popolazione inferiore a 3000 abitanti debba essere composto da dieci consiglieri e se possa essere riutilizzato il simbolo della lista già utilizzato per le elezioni del 2011.
A riguardo il Ministero interpellato ha
fatto presente che “con riferimento al
98
primo dei quesiti, si osserva che, ai sensi dell’art. 3 dello statuto speciale della
Regione Sardegna, l’ordinamento degli
enti locali rientra nella competenza della legislazione regionale nel rispetto della
Costituzione, dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica.
Come noto, la disciplina prevista dalla
legge n. 56/2014 in materia di città metropolitane è qualificata dall’art. 1, comma 5, della stessa legge come normativa recante principi di “grande riforma
economica e sociale” ed, ai sensi del
successivo comma 145, è disposto che
la Regione Sardegna adegui il proprio ordinamento interno a tali principi entro
dodici mesi dall’entrata in vigore della
medesima legge.
Tuttavia, non risulta che la Regione abbia
provveduto ad un riordino complessivo
del proprio ordinamento degli enti locali.
Per quanto riguarda il numero dei consiglieri, occorre fare riferimento alla l.r. n.
4 del 2012, modificata dalla l.r. n. 7 del
2015.
Pertanto, nelle more di un futuro riordino
della materia, la normativa attualmente
vigente prevede che il consiglio comunale dei comuni con popolazione compresa tra 1000 e 5000 abitanti sia composto
da dodici membri.
In merito al secondo quesito formulato,
non si ravvisano preclusioni al riutilizzo,
da parte della formazione politica interessata alle prossime elezioni comunali,
del medesimo contrassegno di lista presentato (e presumibilmente ammesso)
in occasione delle elezioni tenutesi nello stesso comune nel 2011.
Per completezza, si richiamano le disposizioni contenute nell’art. 30 del d.P.R.
n. 570/60 che al primo comma, lettera
b) (per i comuni sino a 15.000 abitanti)
e nell’art. 33, primo comma, lett. b) (per
i comuni con popolazione superiore a
15.000 abitanti), da cui si evincono i criteri di ammissione dei contrassegni di lista,
con riferimento, tra l’altro, al divieto di
presentazione di contrassegni identici o
comunque confondibili con quelli presentati precedentemente per la stessa consultazione o con quelli notoriamente usati da altri partiti o raggruppamenti politici”.
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 1 dicembre 2015
Richiesta di istituzione di una commissione antimafia comunale
È stato chiesto il parere in ordine alla
questione rappresentata dal Sindaco di
un comune circa la richiesta di intraprendere ogni iniziativa per l’istituzione di una
commissione consiliare antimafia.
A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “si osserva, in linea generale, che l’articolo 38, comma 6, del
decreto legislativo n. 267/00 prevede la
possibilità per il consiglio di avvalersi di
commissioni costituite nel proprio seno
con criterio proporzionale. Tale disposizione ne demanda la previsione allo statuto e rinvia al regolamento i poteri e la
disciplina dell’organizzazione e le forme
di pubblicità dei lavori.
Il successivo articolo 44, comma 2, dà,
altresì, facoltà al consiglio comunale di
“istituire al proprio interno commissioni
di indagine sull’attività dell’amministrazione” precisando che “i poteri, la composizione ed il funzionamento delle suddette commissioni sono disciplinati dallo statuto e dal regolamento consiliare”.
Le Commissioni, dunque, nell’ambito
del vigente ordinamento degli enti locali costituiscono forme di articolazione interna del consiglio, e si configurano come un contenuto facoltativo dello statuto dell’ente locale, demandando al regolamento la determinazione dei relativi poteri, l’organizzazione e le forme di
pubblicità dei lavori.
Premesso, pertanto, che tutte le commissioni consiliari operano ordinariamente nell’ambito delle competenze dei
consigli, come disciplinate dall’articolo
42 del T.U.O.E.L., anche la commissione
comunale in oggetto per potere essere
concretamente istituita deve trovare apposita previsione nello statuto comunale, in virtù delle richiamate disposizioni.
Per completezza si osserva, altresì, che
la partecipazione degli enti locali alle attività di prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata è prevista anche dalla legge della Regione Puglia n. 12 del
23/03/2015, che all’art. 5 rubricato “Interventi per la promozione di politiche locali
per la legalità e il contrasto al crimine organizzato” al comma 1, dispone che “la
Regione Puglia promuove il ruolo degli
COMUNI D’ITALIA
circolari & pareri
1/2016
enti locali nel perseguimento degli obiettivi della presente legge e adotta specifiche iniziative per valorizzare e diffondere le migliori politiche locali per la trasparenza, la legalità e il contrasto al crimine organizzato”. Al comma 4 prevede,
inoltre, la promozione di specifiche azioni formative rivolte ad amministratori e
dipendenti degli enti locali sui temi della prevenzione e del contrasto civile alle
infiltrazioni della criminalità organizzata,
del riuso sociale dei beni confiscati, della
diffusione della cultura della legalità.
Ciò posto, la commissione in parola potrebbe esercitare la facoltà di proposta
nell’ambito delle funzioni di supporto ed
ausilio del consiglio.
L’eventuale funzione di accertamento di
potenziali discrasie amministrative deve, invece, essere ricondotta nei compiti specifici della commissione di indagine sull’attività dell’amministrazione come prevista dal richiamato articolo 44 del
decreto legislativo n. 267/00.
Restano, comunque, ferme le competenze degli organi di controllo interno
dell’amministrazione, rispetto all’attività
degli uffici, che non possono essere surrogate dalla eventuale attività di indagine
della commissione consiliare”.
MINISTERO DELLO SVILUPPO
ECONOMICO
Risoluzione n. 224850 del 5 novembre
2015
Commercio su aree pubbliche
Un Comune chiede se la partecipazione alle spunte giornaliere dei posteggi
temporaneamente non occupati dal titolare della concessione nei mercati o
nelle fiere, possa essere valutato ai fini
dell’assegnazione dei posteggi nei bandi che dovranno essere emanati dopo
l’Intesa del 5 luglio 2012. A riguardo il
Ministero interpellato ha fatto presente
che “la citata Intesa stabilisce i criteri di
priorità da applicare a tutte le procedure
di selezione per l’assegnazione dei posteggi su area pubblica.
Nello specifico, i criteri di cui al punto 2,
come già precisato dalla scrivente con
nota del 16-1-2014, n. 6591, dovranno
applicarsi sia alle procedure di selezione
per il rinnovo delle concessioni una volta esauritasi, nel 2017, la fase transitoria
(e, quindi, in occasione dei bandi che dovranno essere emanati nel periodo di prima applicazione che, si rammenta, ha
inizio alla fine dei periodi di proroga di
cui alle lettere b) e c) del punto 8 dell’Intesa), sia alle procedure di selezione in
caso di mercati di nuova istituzione, sia
in caso di assegnazione di posteggi di
nuova istituzione in mercati già esistenti,
nonché in caso di posteggi divenuti liberi e situati in mercati già istituiti.
Per effetto di quanto sopra, quindi, le
procedure di selezione possono riguardare fattispecie diverse.
Ove non riguardino posteggi in nuovi
mercati o posteggi divenuti liberi, ai sensi dell’Intesa, come indicato nella citata nota n. 6591, alla scadenza dei periodi di proroga indicati al punto 8 della medesima (ovvero il 7 maggio 2017 e il 6 luglio 2017), infatti, per effetto del richiamo al periodo di “prima applicazione” di
cui alla lettera a) del punto 2, deve essere individuata una ulteriore fase transitoria, la cui durata deve essere stabilita dal Comune. Nel corso di tale periodo transitorio individuato, alle procedure
ad evidenza pubblica relative alle concessioni di posteggio nei mercati che sono state oggetto di proroga per effetto
delle disposizioni transitorie di cui al punto 8, e che, scadute le proroghe devono
essere oggetto di riassegnazione, si applica, in ogni caso, il criterio dell’anzianità di esercizio dell’impresa nel posteggio al quale si riferisce la selezione che,
ai sensi del punto 2 lettera a) dell’Intesa,
può avere una specifica valutazione nel
limite massimo del 40% del punteggio
complessivo.
Ove, invece, la procedura di selezione
riguardi posteggi divenuti liberi, ovvero
quei posteggi sui quali non ci sia alcun
prestatore uscente, ovvero posteggi in
mercati di nuova istituzione, non sussistendo una professionalità acquisita nel
posteggio da valorizzare, la scrivente,
con la citata nota n. 6591, ha precisato
che i criteri da applicare ai fini dell’assegnazione di tali posteggi debbano essere quelli del punto 4 dell’Intesa, combinati, però, con quelli a regime di cui al
punto 2 della medesima. Fermo quanto
sopra, con specifico riferimento al contenuto del quesito relativo alle spunte, si
osserva quanto segue.
In materia di assegnazione giornaliera di
posteggi temporaneamente non occupati dal titolare della concessione, l’articolo 28, comma 11, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, dispone che:
“I posteggi, temporaneamente non occupati dai titolari della relativa concessione in un mercato, sono assegnati
giornalmente, durante il periodo di non
utilizzazione da parte del titolare, ai soggetti legittimati ad esercitare il commercio sulle aree pubbliche, che vantino il
più alto numero di presenze nel mercato di cui trattasi”.
L’articolo 27, recante le definizioni, al
comma 1, lettera f), precisa che per presenze in un mercato si intende “il numero delle volte che l’operatore si è presentato in tale mercato prescindendo
dal fatto che vi abbia potuto o meno svolgere l’attività”.
Il richiamato articolo 28, comma 11, richiede, ai fini della partecipazione alle
spunte, che il soggetto sia legittimato
all’esercizio sulle aree pubbliche. Pertanto, chiunque sia in possesso di una qualunque autorizzazione all’esercizio del
commercio su area pubblica, ovvero sia
di tipo a) che di tipo b), ha titolo per essere incluso nella graduatoria degli spuntisti, fermo restando che soltanto il più alto numero di presenze nel mercato (per
tale intendendo le volte in cui si è presentato a prescindere dall’avere ottenuto l’occupazione temporanea del posteggio) costituisce punteggio per occupare i primi posti in graduatoria e che al
di fuori delle presenze non possono essere inclusi o previsti altri elementi per
costituire precedenze e/o preferenze ai
fini previsti.
La richiamata norma non prescrive che
l’autorizzazione debba essere idonea
per l’esercizio del commercio nell’ambito della medesima Regione, limitandosi
a prescrivere che i soggetti siano legittimati ad esercitare il commercio su aree
pubbliche.
Conseguentemente possono essere inclusi nelle graduatorie degli spuntisti anche i soggetti in possesso di autorizzazioni rilasciate da Comuni di altre Regioni abilitanti all’esercizio del commercio
su aree pubbliche.
Fermo quanto sopra, si evidenzia che la
fattispecie dell’occupazione di posteggi
temporaneamente non occupati è stata poi richiamata nell’Intesa del 5 luglio
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COMUNI D’ITALIA
circolari & pareri
1/2016
2012, che al punto 6 richiama quanto già
espressamente previsto dal citato comma 11, ovvero che: “Ai fini dell’assegnazione transitoria dei posteggi temporaneamente non occupati dal titolare della
concessione nel mercato (...), resta ferma l’applicazione del criterio del maggior numero di presenze, per tali intendendo le volte che il soggetto ha partecipato alle spunte, indipendentemente
dall’effettivo utilizzo del posteggio temporaneamente non occupato. Il numero delle presenze maturate è comprovato dalla documentazione acquisita presso il Comune competente”.
Trattasi, evidentemente, di un mero richiamo all’applicabilità del criterio del
maggior numero di presenze, come definite dal citato decreto legislativo n.114,
ai fini delle spunte.
I criteri esplicitati al punto 2 dell’Intesa,
invece, sono applicabili alle procedure ad
evidenza pubblica che hanno per oggetto le assegnazioni delle concessioni, la
cui durata, ai sensi del punto 1 della citata Intesa, non può essere inferiore ai
nove anni, né, nel caso siano prescritti
o comunque necessari rilevant i investiment i materiali, superiore ai dodici anni.
In tale caso ci si riferisce ai seguenti criteri di priorità: a) maggiore professionalità acquisita, anche in modo discontinuo,
nell’esercizio del commercio sulle aree
pubbliche, riferita all’anzianità di esercizio dell’impresa, ivi compresa quella acquisita nel posteggio al quale si riferisce
la selezione, che in sede di prima applicazione può avere una specifica valutazione nel limite del 40% del punteggio complessivo. Tale anzianità è comprovata dall’iscrizione quale impresa attiva nel Registro delle Imprese, riferita
nel suo complesso al soggetto titolare
dell’impresa al momento della partecipazione alla selezione, cumulata con quella del titolare al quale è eventualmente subentrato nella titolarità del posteggio medesimo;
b) nel caso di procedure di selezione per
la concessione di posteggi dislocati nei
centri storici o in aree aventi valore storico, archeologico, artistico e ambientale, sono da considerare comunque prioritari anche l’assunzione dell’impegno
da parte del soggetto candidato a rendere compatibile il servizio commerciale con la funzione e la tutela territoriale e
100
a rispettare le eventuali condizio ni partico lari, ivi comprese quelle correlate alla tipologia dei prodotti offerti in vendita
ed alle caratteristiche della struttura utilizzata;
c) la presentazione di apposita documentazione attestante la regolarità della posizione dell’impresa ai fini previdenziali, contributivi e fiscali, qualora la legge
regionale o provinciale non preveda la
presentazione del DURC o del certificato di regolarità contributiva come requisito obbligatorio. Appare evidente che i
sopra richiamati criteri intendono dare rilievo, ai fini della partecipazione alle procedure di selezione, ai requisiti di professionalità ricavabili dall’iscrizione al Registro Imprese, ma anche, ai fini delle selezioni nel periodo di prima applicazione
- ossia dopo il 7 maggio 2017 per le concessioni scadute dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010 e
prorogate fino alla data dell’Intesa e dopo il 6 luglio 2017 per le concessioni di
posteggio che sono scadute o che scadranno nel periodo compreso fra la data dell’Intesa ed i cinque anni successivi - alla specifica professionalità acquisita nel posteggio al quale si riferisce la
selezione, che in tale periodo può avere
una specifica valutazione nel limite massimo del 40% del punteggio complessivo (detta percentuale può pertanto essere individuata anche con un limite inferiore al 40%).
Considerato tutto quanto sopra espresso, sia nel caso in cui la richiesta di parere di codesto Comune si riferisca ai
bandi di selezione per il rinnovo delle concessioni una volta esauritasi nel
2017 la fase transitoria e pertanto nel
successivo periodo di prima applicazione, sia nel caso in cui si riferisca ai posteggi divenuti liberi in mercati già esistenti, qualora la partecipazione alle
spunte giornaliere si sia concretizzata in
una effettiva occupazione, seppur temporanea e giornaliera, del posteggio la
cui concessione è messa a bando, ad
avviso della scrivente codesto Comune
può considerare il soggetto che ne ha
usufruito in possesso di una quota di
professionalità riferibile a quel posteggio e, quindi, valutarla ai fini del computo di quella percentuale di punteggio
(massimo 40%), assegnabile in relazione alla presenza nel posteggio.
MINISTERO DELLO SVILUPPO
ECONOMICO
Risoluzione 10 novembre 2015, n. 228497
Rilascio autorizzazioni temporanee
su area pubblica in occasione del
carnevale
Una Regione chiede riscontro relativamente alla problematica insorta con un
comune con riferimento ai contenuti del
bando per il rilascio di autorizzazioni temporanee su area pubblica in occasione
del carnevale. A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “la scelta effettuata dal Comune, ovvero quella
di abbinare, al criterio della professionalità, il criterio “della possibile offerta economica in rialzo su una quota di canone area sosta a base d’asta” , verificata,
ovviamente, la regolarità contributivo/fiscale, presenterebbe delle evidenti criticità, venendo a mancare il rispetto dei
principi generali dell’ordinamento vigenti nella materia di riferimento.
Trattasi, nello specifico, dei principi della Direttiva Servizi 2006/123/CE e conseguentemente dei criteri dell’Intesa sancita in sede di Conferenza Unificata del 5
luglio 2012 e nel successivo Documento Unitario delle Regioni e Province Autonome del 24 gennaio 2013.
In considerazione della tipologia di manifestazione in discorso, evidenzia che il
Comune avrebbe dovuto utilizzare, oltre
al criterio della maggiore professionalità,
anche i criteri correlati alla qualità dell’offerta, alla tipologia del servizio fornito e
alla prestazione di progetti innovativi, anche relativi a caratteristiche di compatibilità architettonica, non anche, invece,
il criterio dell’offerta economica quale
criterio per ottenere maggior punteggio
ai fini dell’assegnazione, ritenuto, pertanto, illegittimo. Al riguardo, la scrivente Direzione rappresenta quanto segue.
Si richiama, in via preliminare, il punto 2
dell’Intesa del 5 luglio 2012, il quale prevede che in caso di pluralità di domande concorrenti sono individuati i seguenti criteri di priorità:
a) maggiore professionalità acquisita, anche in modo discontinuo, nell’esercizio
del commercio sulle aree pubbliche, riferita all’anzianità di esercizio dell’impresa, ivi compresa quella acquisita nel posteggio al quale si riferisce la selezione,
che in sede di prima applicazione può
COMUNI D’ITALIA
circolari & pareri
1/2016
avere una specifica valutazione nel limite del 40% del punteggio complessivo.
Tale anzianità è comprovata dall’iscrizione quale impresa attiva nel Registro delle Imprese, riferita nel suo complesso al
soggetto titolare dell’impresa al momento della partecipazione alla selezione,
cumulata con quella del titolare al quale
è eventualmente subentrato nella titolarità del posteggio medesimo;
b) nel caso di procedure di selezione per
la concessione di posteggi dislocati nei
centri storici o in aree aventi valore storico, archeologico, artistico e ambientale,
sono da considerare comunque prioritari anche l’assunzione dell’impegno da parte del soggetto candidato a rendere compatibile il servizio commerciale con la funzione e la tutela territoriale e a rispettare
le eventuali condizioni particolari, ivi comprese quelle correlate alla tipologia dei
prodotti offerti in vendita ed alle caratteristiche della struttura utilizzata;
c) la presentazione di apposita documentazione attestante la regolarità della posizione dell’impresa ai fini previdenziali,
contributivi e fiscali, qualora la legge regionale o provinciale non preveda la presentazione del DURC o del certificato di
regolarità contributiva come requisito obbligatorio.
Fermo quanto sopra, il Comune può applicare l’Intesa stabilendo autonomamente la durata e le modalità di valutazione
dei criteri e dei punteggi da assegnare in
caso di pluralità di domande concorrenti,
nei limiti delle proprie competenze e comunque nel rispetto del quadro normativo e dei principi delineati dalle disposizioni statali.
La scelta effettuata relativa alla possibile
offerta economica in rialzo su una quota
di canone su base d’asta, ovvero l’offerta economica più elevata, appare del tutto discriminante nei confronti di quei soggetti con minori capacità finanziarie e non
in linea, soprattutto, con i principi sanciti
dalla Direttiva Servizi, come codesta Regione ha avuto modo di sottolineare ampiamente.
In tal modo, peraltro, si alterano le dinamiche concorrenziali in quanto la condizione
per competere è dettata in primo luogo
dalle capacità finanziarie dei concorrenti, il
che determina anche il rischio di applicare una procedura che comporta disparità
di trattamento.
Si osserva, infine, che la circostanza che
nel caso di specie trattasi di autorizzazioni
temporanee che, a detta del Comune “vivono unicamente per il periodo di durata
della manifestazione” non giustifica modifiche della disciplina applicabile.
Trattasi, infatti, di posteggi assegnati in
occasione di una manifestazione inquadrabile, ai sensi della disciplina vigente,
quale “fiera”.
L’articolo 27, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 114 del 1998, infatti,
definisce la fiera quale “manifestazione
caratterizzata dall’afflusso, nei giorni stabiliti sulle aree pubbliche o private delle quali il comune abbia la disponibilià, di
operatori autorizzati ad esercitare il commercio su aree pubbliche, in occasione di
particolari ricorrenze, eventi o festività” e
tale è il caso di una manifestazione correlata con la ricorrenza del Carnevale.
Si conclude, pertanto, richiamando quanto previsto, nel caso di concessioni di posteggio nelle fiere, dalla citata Intesa.
La lettera c) delle disposizioni transitorie
di cui al punto 8 dell’Intesa stabilisce che,
al fine di evitare disparità di trattamento
tra gli operatori su area pubblica, per un
periodo di ammortamento di sette anni
decorrenti dalla data di entrata in vigore
del decreto legislativo 26 marzo 2010, n.
59, ovvero fino al 7 maggio 2017, ai soggetti esercenti nei posteggi delle fiere si
applica “ la limitazione di cui al punto 3,
relativa all’applicazione del criterio prioritario del maggior numero di presenze”
nella fiera, al fine di consentire ai medesimi operatori l’ammortamento degli investimenti sostenuti ai fini delle precedenti partecipazioni.
Il punto 3, dell’Intesa, richiamato alla lettera c) del punto 8, che indica le modalità di assegnazione dei posteggi nelle fiere non di nuova istituzione, dispone: “Nel
caso delle fiere i cui posteggi sono assegnati mediante procedure di selezione a
cadenza prestabilita per il periodo corrispondente alla durata della manifestazione, tenuto conto delle specifiche caratteristiche di dette manifestazioni e delle modalità con le quali sono svolte, nonché dalla circostanza che prevalentemente, essendo correlate a specifiche tradizioni, sono caratterizzate dall’offerta di peculiari merceologie di prodotto, il criterio di
priorità dell’esperienza connessa al maggior numero di presenze pregresse nella
medesima fiera resta applicabile limitatamente ad un numero di volte tale che
per ciascun concessionario non sia superato il periodo di ammortamento degli investimenti di cui al punto 1. Decorso detto periodo, alle procedure di selezione per
la concessione del posteggio in questione si applicano comunque i criteri prioritari stabiliti al punto 2, ai fini della decorrenza per il soggetto selezionato di un nuovo
limitato periodo di priorità collegato al numero delle presenze pregresse”.
In conseguenza di quanto richiamato, l’eventuale procedura pubblica ai fini dell’assegnazione dei posteggi in una fiera effettuata dopo la data dell’Intesa e per tutto
il periodo di ammortamento di sette anni indicato alla predetta lettera c) del punto 8, ossia fino al 7 maggio 2017, non può
non tenere conto di quanto previsto alla medesima lettera c), ossia la necessità
di applicare il criterio prioritario del maggior numero di presenze nella medesima
fiera. Quanto sopra vale, quindi, per tutte
le fiere che si svolgeranno prima della data del 7 maggio 2017; nel caso delle fiere che si svolgeranno dopo tale data, invece, la relativa procedura pubblica deve tenere conto dell’applicazione di quanto precisato al punto 3 dell’Intesa, il quale, richiamata la necessità dell’applicazione del criterio di priorità dell’esperienza
connessa al maggior numero di presenze pregresse nella medesima fiera, stabilisce l’applicabilità, nel caso di procedure
pubbliche per l’assegnazione dei posteggi nelle fiere, dei criteri prioritari di cui al
punto 2 dell’Intesa”.
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 24 novembre 2015
Mancata nomina del vicesindaco
Alcuni consiglieri comunali segnalano la
persistente mancata nomina del vice sindaco da parte del sindaco in carica.
A riguardo il Ministero interpellato ha fatto
presente che “l’art. 46 del decreto legislativo n. 267/00, al comma 2 prevede che il
sindaco nomina i componenti della Giunta, tra cui un vicesindaco e ne dà comunicazione al consiglio nella prima seduta
successiva all’elezione.
Come rilevato dagli esponenti, la nomina del vice sindaco, anche secondo quanto indicato nella circolare ministeriale n.
101
COMUNI D’ITALIA
circolari & pareri
1/2016
2379 del 16.02.2012, è indispensabile per
l’esercizio delle indefettibili funzioni sostitutive del sindaco impedito o assente.
Nel caso in specie, occorre comunque
evidenziare che l’articolo 11 dello Statuto
del Comune stabilisce che “il Sindaco designa il Vice Sindaco. In mancanza, i poteri di supplenza sono svolti dall’Assessore
più anziano di età”.
L’unica interpretazione che possa fornirsi alla citata norma statutaria, alla luce
dell’articolo 53, comma 2 del d. lgs. n.
267/2000 che prevede la sostituzione del
sindaco, nei casi ivi indicati (tra cui l’assenza o l’impedimento temporaneo) da parte
del solo vicesindaco, è quella secondo la
quale, in mancanza di designazione è vicesindaco di diritto l’assessore più anziano,
non essendo ammissibili ulteriori figure
istituzionali che lo possano sostituire nelle proprie competenze quale organo monocratico ovvero quale capo della giunta.
Pertanto, ferma restando l’assoluta necessità di ottemperare al disposto di legge che richiede l’esplicita designazione
del Vicesindaco da parte del Sindaco, la
citata norma statutaria fornisce, nelle more, il necessario strumento per l’individuazione della figura vicaria del sindaco”.
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 24 novembre 2015
Ordine di trattazione degli argomenti
sottoposti all’esame del consiglio comunale
Il Presidente del consiglio di un comune
ha chiesto un parere in ordine alla correttezza del diniego dallo stesso opposto alla richiesta, formulata da un gruppo consiliare, di invertire l’o.d.g. di una seduta di
consiglio, al fine di posporre l’esame degli
atti di sindacato ispettivo.
A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che: “si premette che l’ordinamento degli enti locali, ai sensi dell’art.
14 dello Statuto della Regione Sicilia, rientra tra le materie di competenza esclusiva
della legislazione regionale e che l’art. 16
dello stesso ne demanda all’Assemblea
regionale l’ordinamento amministrativo.
Ciò posto, dall’esame dell’art. 55, comma 1, regolamento del consiglio comunale si evince che “la trattazione delle interrogazioni avviene nella parte iniziale della seduta secondo l’ordine cronologico di
102
presentazione”. Ai sensi del combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 25 della stessa fonte regolamentare è previsto
che il presidente del consiglio possa modificare l’ordine di trattazione degli argomenti inseriti all’o.d.g anche su proposta di un gruppo consiliare e che, in caso
di opposizione, la richiesta debba essere
messa ai voti ed eventualmente accolta a
maggioranza dei votanti.
Considerato il quadro normativo sopra delineato, apparirebbe corretto il diniego opposto dal presidente del consiglio alla richiesta, formulata da un gruppo consiliare, di voler posporre la trattazione delle interrogazioni. Ciò in quanto il regolamento
del consiglio comunale prevede espressamente che la trattazione dei suddetti atti di sindacato ispettivo debba avvenire
“nella parte iniziale della seduta”.
Pertanto, agli atti in questione non può
essere applicata la disciplina sulla modifica dell’ordine di trattazione degli oggetti
dell’o.d.g. prevista in generale dai commi
3 e 4 dell’art. 25 del regolamento del consiglio comunale”.
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 24 novembre 2015
Gruppi e commissioni consiliari
In relazione alla segnalazione del Presidente di un Consiglio comunale, è stato
chiesto un parere in merito alla costituzione dei gruppi consiliari, ed in particolare
circa la legittimità della diffida operata dai
presentatori di una lista civica nei confronti di due dei tre consiglieri eletti nell’ambito della medesima lista, ad utilizzare le
corrispondenti prerogative.
A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “in linea generale, l’esistenza dei gruppi consiliari non è espressamente prevista dalla legge, ma si desume implicitamente da quelle disposizioni
normative che contemplano diritti e prerogative in capo ai gruppi o ai capigruppo
(art. 38, comma 3, art. 39, comma 4 e art.
125 del decreto legislativo n. 267/00). La
materia deve, comunque, essere regolata da apposite norme statutarie e regolamentari, adottate dai singoli enti locali
nell’ambito dell’autonomia organizzativa
dei consigli, riconosciuta dall’art. 38 del citato T.U.O.E.L..
I mutamenti che possono sopravvenire
all’interno delle forze politiche presenti in
consiglio comunale per effetto di dissociazioni dall’originario gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari, ovvero l’adesione a diversi gruppi esistenti, sono ammissibili.
Tuttavia, sono i singoli enti locali, nell’ambito della propria potestà di organizzazione, i titolari della competenza a dettare
norme, statutarie e regolamentari, nella
materia.
Va da sé che i mutamenti in parola modificano i rapporti tra le forze politiche presenti in consiglio, incidendo sul numero
dei gruppi ovvero sulla consistenza numerica degli stessi, e ciò non può non influire sulla composizione delle commissioni
consiliari che deve, pertanto, adeguarsi ai
nuovi assetti.
Del resto, la possibilità di transitare da un
gruppo ad altro, o di costituire nuovi gruppi non potrebbe non essere finalizzata alla formazione delle commissioni consiliari, che, come è noto, non sono componenti indispensabili della struttura organizzativa, bensì organi strumentali dei consigli, alle quali, una volta istituite deve partecipare almeno un rappresentante di ciascun gruppo.
Nella fattispecie segnalata si osserva che
lo statuto comunale all’articolo 20, prevedendo la facoltà di istituire le commissioni
consiliari, dispone l’obbligo del
rispetto del criterio proporzionale, assicurando, correttamente, la presenza di almeno un rappresentante per ogni gruppo.
Il vigente regolamento all’articolo 8 disciplina i gruppi prevedendo che i consiglieri
eletti nella medesima lista formano, di regola, un gruppo consiliare, anche unipersonale. I nuovi gruppi sono ammessi solo se costituiti da almeno due consiglieri, mentre il consigliere che nel corso del
mandato rimanga da solo nel gruppo precostituito, mantiene le prerogative (comma 2).
Nell’ambito della suddetta fonte regolamentare non si rinvengono, invece, specifiche disposizioni che prevedano l’ipotesi
della espulsione di un consigliere dal proprio gruppo di appartenenza originario, fatta salva, piuttosto, la previsione di cui al
comma 5 di potersi distaccare dal gruppo originario.
Ciò posto, si evidenzia che il rapporto
tra il candidato eletto ed il partito di appartenenza “…non esercita influenza
COMUNI D’ITALIA
circolari & pareri
1/2016
giuridicamente rilevabile, attesa la mancanza di rapporto di mandato e la assoluta autonomia politica dei rappresentanti
del consiglio comunale e degli organi collegiali in generale rispetto alla lista o partito che li ha candidati.” (Tar Puglia, sez. di
Bari sentenza n. 506/ 2005).
Peraltro, con la stessa sentenza il TAR Puglia ha affermato che nel nostro sistema
legislativo la “lista” è lo strumento a disposizione dei cittadini per presentare
all’elettorato i propri candidati ed esaurisce la sua funzione giuridica al momento delle elezioni che si concludono con la
proclamazione degli eletti, atto anteriore e
del tutto autonomo rispetto alla convalida.
Ne consegue che all’interno del consiglio
i gruppi non sono configurabili quali organi dei partiti e, pertanto, non sembra sussistere in capo a questi ultimi una potestà
direttamente vincolante sia per un membro del gruppo di riferimento, sia per gli
organi assembleari dell’ente.
Il T.A.R. per il Lazio con sentenza n.
16240/2004 ha precisato che i gruppi consiliari rappresentano, per un verso, la proiezione dei partiti all’interno delle assemblee, e, per altro verso, costituiscono
parte dell’ordinamento assembleare, in
quanto articolazioni interne di un organo
istituzionale.
Nella suddetta pronuncia, si stabilisce che
“è dunque possibile distinguere due piani di attività dei gruppi: uno, più strettamente politico, che concerne il rapporto
del singolo gruppo con il partito politico di
riferimento, l’altro, gravitante nell’ambito
pubblicistico, in relazione al quale i gruppi costituiscono strumenti necessari per
lo svolgimento delle funzioni proprie degli organi assembleari, contribuendo ad
assicurare l’elaborazione di proposte e il
confronto dialettico tra le diverse posizioni
politiche e programmatiche (cfr. Cass. civ,
SS.UU., 19 febbraio 2004, n. 3335; C.S.,
IV, 2 ottobre 1992, n. 932; Corte Cost. 12
aprile 1990, n. 187).”
Pertanto, qualora come nel caso di specie
non sussistano disposizioni regolamentari che disciplinino i rapporti tra il partito (o
lista) di riferimento dei consiglieri e i gruppi costituiti, non appare possibile alcuna
interferenza dei primi nei riguardi dei secondi.
Spetta, infatti, al consiglio comunale la valutazione dell’opportunità di indicare, con
apposite norme regolamentari, anche le
ipotesi in argomento, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei gruppi e
l’ordinato svolgimento delle funzioni proprie dell’assemblea consiliare”.
di lavoro, essendo sufficiente un atto di
consenso dell’amministra-zione di provenienza (sez. regionale Lombardia n. 3 del
22.1.2009)”.
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 20 novembre 2015
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 19 ottobre 2015
Rapporti di lavoro a tempo parziale
Costituzione dei Gruppi consiliari
Un ente ha chiesto di conoscere se sia
possibile estendere la portata applicativa
della disciplina contenuta nell’art. 1, comma 557, della legge 311/2004 anche ai rapporti di lavoro a tempo parziale. Inoltre è
stato chiesto se l’utilizzo del dipendente
ai sensi della predetta normativa necessiti di un aspecifica regolamentazione del
rapporto.
A riguardo il Ministero interpellato ha fatto
presente che “com’è noto, il citato art. 1,
comma 557, dispone che: “I comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti, i
consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a
tempo pieno di altre amministrazioni locali
purché autorizzati dall’amministrazione di
provenienza”. Tale disciplina, per espressa previsione normativa risulta applicabile ai soli comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti ed agli altri enti indicati
dalla norma, e si configura come normativa speciale, che introduce una eccezione
al principio di esclusività della prestazione lavorativa del dipendente di una pubblica amministrazione espresso dall’art. 53,
comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, consentendo l’utilizzazione di personale dipendente a tempo pieno di altre amministrazioni locali.
Relativamente ai dipendenti con rapporto
di lavoro part-time, si osserva che non ricorre l’ipotesi di cui alla citata normativa,
in quanto per gli stessi esiste già la possibilità di svolgere un’altra attività lavorativa subordinata o autonoma, purché la
prestazione lavorativa non sia superiore al
50% di quella a tempo pieno.
Relativamente all’ulteriore questione si fa
presente che secondo l’orientamento della giurisprudenza contabile, poichè la formula organizzativa introdotta dal citato art.
1 comma 557, legge n. 311/2004 è assimilabile al comando, non risulta necessaria la sottoscrizione di un nuovo contratto
Una Prefettura, in relazione ad un quesito
formulato da un comune ha chiesto un parere in ordine alla costituzione dei gruppi
consiliari presso il predetto Ente.
In particolare, è stato chiesto se uno dei
candidati alla carica di sindaco non eletto,
possa essere capogruppo di quattro liste
non rappresentate già facenti parte delle
sei liste allo stesso collegate.
A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “la disciplina della materia relativa alla costituzione dei gruppi consiliari è demandata allo statuto e al regolamento del consiglio, nell’esercizio della
propria autonomia funzionale ed organizzativa riconosciuta in particolare dall’art.
38, comma 3, del decreto legislativo n.
267/2000.
Pertanto le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi
consiliari dovrebbero essere valutate alla
stregua delle specifiche norme statutarie
e regolamentari di cui l’ente locale si è dotato, competendo al consiglio comunale
l’eventuale interpretazione autentica delle predette norme.
Inoltre l’attività interpretativa non può essere disgiunta dall’osservanza dei principi di buona amministrazione, né possono essere utilizzate a sostegno di tale attività, massime giurisprudenziali che non
si adattino perfettamente alla fattispecie
esaminata.
Ciò premesso, si rileva che le norme statutarie e regolamentari del Comune in parola forniscono una articolata disciplina
della materia dei gruppi.
L’art. 18 dello statuto, al comma 1, prevede che per la costituzione del gruppo è necessaria l’adesione di almeno due consiglieri, tranne che trattasi di un unico consigliere eletto in rappresentanza di una lista.
Il regolamento, all’articolo 15, comma 2,
ribadisce che ciascun gruppo è costituito da almeno due consiglieri, e, “nel caso
che una lista presentata alle elezioni abbia
avuto un solo consigliere, a questi sono
103
COMUNI D’ITALIA
circolari & pareri
1/2016
riconosciute le prerogative e la rappresentanza spettanti ad un gruppo consiliare”. Il
successivo comma 4 stabilisce, ancora
che “con l’eccezione del Gruppo misto, i
Gruppi consiliari possono cambiare la propria denominazione nel corso della tornata amministrativa”.
L’art. 16 del regolamento prevede la possibilità della costituzione di 2 gruppi misti
(di maggioranza e di minoranza) sulla base
di quanto disposto dallo statuto e dall’articolo 15 dello stesso regolamento, il quale, come detto, richiede la presenza di almeno due consiglieri.
Nel caso specifico, si osserva che l’articolo 73 del decreto legislativo n. 267/00 che
disciplina l’elezione del consiglio nei comuni con popolazione superiore ai 15.000
abitanti, al comma 11, prevede, dopo il riparto dei seggi tra le varie liste, che il primo seggio venga assegnato al candidato
sindaco non eletto, e, in caso di collegamento tra più liste, tale seggio si detrae
dai seggi complessivamente attribuiti al
gruppo di liste collegate.
In proposito, occorre osservare, così come sostenuto dal C.d.S. con sentenza
della V Sezione, 12 dicembre 2003, n.
8208, che la normativa sopra citata “impone palesemente di dedurre in via prioritaria il seggio controverso da quelli riservati alla coalizione di riferimento, e non da
quelli spettanti alla lista che lo ha presentato, e di procedere, poi all’assegnazione
di quelli rimasti mediante l’individuazione
dei quozienti più alti conseguiti dai candidati dalle liste collegate”.
Il predetto principio è confermato da giurisprudenza più recente (v. T.A.R. Campania
– Sez. I, n. 2124/2013 del 22 aprile 2013)
la quale ha affermato che l’interessato “è
stato proclamato eletto non già quale candidato al consiglio comunale (di una lista)
ma quale candidato sindaco uscito sconfitto dalla competizione, del più vasto schieramento composto da quattro liste... in
conformità al già citato art. 73, comma 11”.
Il candidato sindaco non eletto fa parte,
quindi, del consiglio non come esponente
di una lista, ma in qualità di maggior rappresentante della coalizione nella sua interezza.
Nel caso di specie, il primo seggio attribuito al complesso di liste collegate, compete,
pertanto, al candidato sindaco non eletto.
104
Tuttavia, considerato che il regolamento
consente la costituzione dei gruppi unipersonali esclusivamente nei riguardi delle liste che hanno avuto eletto un consigliere (art. 15, comma 2), si ritiene che il
candidato sindaco non eletto possa costituire tale gruppo unipersonale solo qualora il seggio ad esso assegnato in base al
meccanismo della prededuzione sia stato
ceduto da una delle liste della coalizione
che attualmente non esprime alcun consigliere.
Ciò alla luce anche della citata sentenza
del TAR Campania, che ammette la potenziale surroga del candidato sindaco non
eletto, nei riguardi della lista collegata che
abbia ottenuto il quoziente più alto in ordine decrescente.
In ogni caso, si ritiene che non possano
costituirsi gruppi di liste che non esprimono consiglieri, fatta salva la facoltà, in presenza dei relativi presupposti, di modificare la denominazione del gruppo già costituito, come previsto dall’art. 15, comma 4
del regolamento”.
MINISTERO DELL’INTERNO
Parere 19 ottobre 2015
Dimissioni consiglieri
È stato richiesto il parere di questo Dipartimento in ordine alla situazione di un comune il quale ha rinnovato i propri organi a seguito delle elezioni amministrative
del maggio 2014 ed in esito alle quali sono stati eletti, oltre al sindaco, dodici consiglieri.
Nel corso della consiliatura hanno rassegnato le dimissioni quattro consiglieri che
sono stati surrogati con apposite delibere
adottate, in seconda convocazione, con la
presenza di quattro consiglieri.
Per quanto concerne il quorum necessario al fine della validità delle sedute, il segretario comunale ha reso parere favorevole in quanto l’art. 273, comma 6, del decreto legislativo n. 267/00 detta una disciplina transitoria che legittima l’applicazione dell’art.127 del T.U. n.148/1915, fino
all’adeguamento della normativa locale ai
criteri indicati dal citato decreto legislativo n. 267/00. Da quanto emerge dall’esame della documentazione in possesso,
il comune non ha adottato una disciplina
regolamentare concernente il quorum per
le sedute di seconda convocazione.
Avverso le citate deliberazioni di surroga
è stato proposto ricorso al T.A.R. e, nelle
more della pronuncia del giudice amministrativo, il Consiglio di Stato, nella seduta
del 30 luglio 2015, ha sospeso l’efficacia
degli atti impugnati accogliendo la relativa
richiesta di sospensiva.
Precedentemente a tale pronuncia si erano dimessi altri due consiglieri, uno nell’aprile e l’altro nel luglio u.s. e, poiché il consigliere dimessosi ad aprile non è più surrogabile per assenza di ulteriori candidati
nella medesima lista, da alcuni consiglieri
è stata formulata istanza ai sensi dell’art.
141, comma 1, lett. b) n. 4 del T.U.O.E.L..
A riguardo il Ministero interpellato ha fatto presente che “si condivide l’avviso di
non ritenere sussistenti i presupposti giustificativi per l’applicazione del richiamato art. 141 in quanto il consiglio è tenuto a provvedere alla surroga del consigliere dimessosi lo scorso luglio, ai sensi degli artt. 38, comma 8, e 45, comma 1, attribuendo il seggio al candidato che, nella
medesima lista, segue immediatamente
l’ultimo eletto. Da quanto si evince nella
nota in questione, infatti, solamente uno
dei due consiglieri dimessosi successivamente non sarebbe surrogabile per mancanza di ulteriori candidati nella medesima lista.
Si soggiunge, inoltre, che le norme citate impongono al Consiglio l’obbligo di procedere alla surroga, configurando, quindi,
la relativa attività come vincolata e non facoltativa.
Peraltro, come segnalato dal Segretario
dell’ente, lo statuto del comune, approvato con delibera n. 55 del 1999, prevede
la presenza della metà dei consiglieri per
la validità delle sedute. Pertanto, il consiglio, potendo funzionare anche con la presenza di sei consiglieri, dovrà procedere
alla surroga del consigliere, elevando a
sette il numero dei propri componenti.
Infine, anche qualora dovesse intervenire l’annullamento delle delibere consiliari
da parte del TAR adito, i medesimi atti potranno essere comunque adottati nuovamente rispettando gli eventuali criteri dettati dal giudice amministrativo con riferimento al quorum necessario al fine della
validità della seduta”.
COMUNI D’ITALIA
quesiti
1/2016
quesiti
BILANCIO
L’IMPOSTA DI SOGGIORNO
a cura di Anci Risponde
Quesito Legge n. 208/2015 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) – art.1 – comma 26.
Al fine
di contenere il livello complessivo della
pressione tributaria, in coerenza con gli
equilibri generali di finanza pubblica, per
l’anno 2016 è sospesa l’efficacia delle
leggi regionali e delle deliberazioni degli
enti locali nella parte in cui prevedono
aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali
con legge dello Stato rispetto ai livelli
di aliquote o tariffe applicabili per l’anno
2015.
Sono fatte salve, per il settore sanitario, le disposizioni di cui all’articolo
1,comma 174, della legge 30 dicembre
2004, n. 311, e all’articolo 2,commi 79,
80, 83 e 86, della legge 23 dicembre
2009, n. 191, nonche’ la possibilità di
effettuare manovre fiscali incrementative ai fini dell’accesso alle anticipazioni di liquidità di cui agli articoli 2e 3
del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successivi
rifinanziamenti.
La sospensione di cui al
primo periodo non si applica alla tassa
sui rifiuti (TARI) di cui all’articolo 1, comma639, della legge 27 dicembre 2013,
n. 147, ne’ per gli enti locali che deliberano il predissesto, ai sensi dell’articolo
243-bis del testo unico di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o il
dissesto, ai sensi degli articoli 246 e seguenti del medesimo testo unico di cui
al decreto legislativo n. 267 del 2000.
Si
chiede di chiarire se tale sospensione
sia riferita esclusivamente alla IUC quale tributo locale, ovvero ad aumenti di
altre imposte non rientranti fra i tributi
locali in senso stretto, ancorché previsti da deliberazioni assunte antecedentemente alla approvazione della legge
208/2015 e già in vigore al 1.12.2015 – in
particolare l’imposta di soggiorno.
Risposta Come si evince anche dalla
Nota di commento alla legge di stabilità
per il 2016 elaborata dall’IFEL per conto
dell’Anci (si veda a pagina 20 del documento rinvenibile sul sito), il comma 26
dell’articolo 1 della legge di stabilità per
il 2016, prevede il blocco degli aumenti
dei tributi e delle addizionali per il 2016,
rispetto a quelli deliberati per il 2015.
Pertanto, si ritiene che il blocco riguardi
anche l’imposta di soggiorno; nel senso
che non è possibile introdurla con effetto nel 2016 e non è nemmeno possibile
apportare degli incrementi alle aliquote
già in vigore nel 2015.
EDILIZIA E URBANISTICA
UNITÀ COLLABENTI E RICORSO
Quesito Un contribuente possiede
due unità collabenti nel centro abitato e
per le quali non paga imposta ICI/IMU.
Sono stati fatti accertamenti ICI sul valore dell’area edificabile su cui insistono. Per l’anno 2003 ha fatto ricorso in
CTP e il ricorso è stato rigettato. È corretto continuare con gli accertamenti?
Risposta In primo luogo è necessario inquadrare il concetto di fabbricato ai fini ICI e IMU che, come noto, è
sostanzialmente lo stesso per l’identità di base imponibile. Entrambe poggiano sull’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs.
n. 504/1992 “per fabbricato si intende
l’unità immobiliare iscritta o che deve
essere iscritta nel catasto edilizio urbani…” . Ai sensi dell’art. 2 del d.m. 28
del 2 gennaio 1998 l’unità immobiliare è
costituita da una porzione di fabbricato,
o da fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero un’area che, nello stato in
cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale”. Da queste parole se ne deduce che, ai fini catastali il
fabbricato necessita di una potenzialità reddituale che si traduce nell’attribuzione di una rendita catastale. Le unità
collabenti F2 fanno parte delle categorie catastali fittizie per le quali non è obbligatoria la denuncia catastale in quanto non suscettibili di autonoma capacità reddituale, anche se spesso vengono iscritte per consentire l’identificazione catastale precisa all’interno di operazioni immobiliari.
Sulla scorta di questi elementi le unità collabenti non sono
assimilabili alle unità immobiliari intese
come FABBRICATO con rendita ai fini
ICI/IMU, in quanto non sono catastalmente fabbricati. Ai fini ICI/IMU è dunque necessario spostare il ragionamento sulla capacità edificatoria. Ai fini urbanistici è sempre possibile il recupero
dei fabbricati, anche se in zone agricole.
Sostanzialmente, possedere un fabbricato al quale le norme urbanistiche attribuiscono una superficie recuperabile
equivale al possesso di un terreno edificabile. Il recupero dell’ICI/IMU sul collabente va declinato come area edificabile in quanto il cosiddetto fabbricato fatiscente non rientra nella nozione di fabbricato ai fini catastali e fiscali ma è dotato di capacità edificatoria valutabile
come area ai sensi dell’art. 5, comma
5 del d.lgs. n. 504/1992 sulla base del
valore venale in funzione della capacità
edificatoria ammessa dalle norme urbanistiche.
Una sentenza interessante sul
105
COMUNI D’ITALIA
quesiti
1/2016
trattamento fiscale del terreno agricolo
su cui insistono fabbricati rurali è la Corte di Cassazione n. 5166/2013. Recentemente si è espressa sul tema la CTR
di Firenze con le sentenze 26 e 27 del
9 gennaio 2015 relative ad un accertamenti a società immobiliare sulla base
del valore dell’area degli immobili collabenti.
Nel caso prospettato il comune
agisce con una sicurezza rafforzata da
una sentenza a proprio favore, a nulla
rilevando le ripetute obiezioni del contribuente che semmai dovrà promuovere nuovamebte nelle sedi competenti.
PERSONALE
ASSENZE PER MALATTIE
Quesito Un dipendente ha reso regolarmente la prestazione lavorativa dovuta per tutto l’orario previsto in relazione
ad una determinata giornata.
Successivamente, dopo aver timbrato l’uscita, si
è recato dal proprio medico che ha certificato, secondo le vigenti disposizioni
legislative, una malattia con una prognosi di 5 giorni a decorrere, come data
di inizio della patologia, dal giorno stesso in cui il dipendente aveva comunque
lavorato, prima di recarsi allo studio medico.
Quale disciplina si deve applicare? Il dipendente ha diritto al recupero
dell’intera giornata lavorativa che risulta
coperta dal certificato di malattia?
Risposta Relativamente alla particolare problematica esposta si ritiene utile
precisare quanto segue:
a) in ordine al valore della certificazione
rilasciata dal medico competente in occasione di malattia insorta in una giornata nell’ambito della quale il lavoratore, al
mattino, ha già reso, regolarmente ed integralmente, la propria prestazione lavorativa, si rinvia alle indicazioni ricavabili dalla sentenza della Cassazione civile,
sez. lav., 6.2.1988, n. 1290, secondo “…
salva una contraria ed espressa indicazione, la prognosi della malattia diagnosticata non può non comprendere il giorno di rilascio della certificazione, essendo in contrario irrilevante che nello stesso giorno il lavoratore abbia eseguito la
normale prestazione lavorativa …”;
106
b) poiché il CCNL del Comparto Regioni-Autonomie Locali, non contiene alcuna “contraria ed espressa indicazione” il certificato medico copre la mancata prestazione lavorativa (senza alcun
recupero delle ore non lavorate) in quei
casi in cui il dipendente abbia lavorato
solo per una parte della ordinaria giornata lavorativa; in tale ipotesi, la prognosi si conta comunque dal giorno del rilascio, senza che il dipendente possa pretendere di recuperare a sua volta le ore
lavorate;
c) alla luce delle medesime indicazioni
sopra riportate della Cassazione, nel caso concreto, invece, se il dipendente ha
già reso effettivamente la propria prestazione lavorativa, essendo la malattia insorta e certificata successivamente, non vi è alcuna mancata prestazione lavorativa da coprire con il certificato medico; pertanto, non si comprende che cosa lo stesso debba recuperare, essendo stato in quel giorno regolarmente in servizio;
d) infatti, non sembra possibile considerare il dipendente in malattia il giorno in cui lo stesso ha già terminato gli
obblighi di lavoro nei confronti dell’amministrazione; si ritiene, pertanto, che
in questa fattispecie, la data di emissione del certificato e la prognosi avranno
decorrenza lo stesso giorno (sentenza
della Cassazione n.1290 del 6.2.1988),
ma il datore di lavoro pubblico considererà l’assenza del dipendente per malattia dal giorno effettivo di assenza dal
servizio;
e) proprio perché il dipendente ha reso regolarmente la propria prestazione
lavorativa , e quindi, non vi è stata alcuna effettiva assenza per malattia nel
giorno in questione, si ritiene anche che
non vi siano i presupposti per l’applicazione delle previsioni dell’art.71 del d.l.
n. 112/2008.
FRUIZIONE FERIE PERSONALE
COMANDATO
Quesito Un dipendente rientra da un
periodo di comando presso altra amministrazione con un certo numero
di giorni di ferie maturati e non fruiti
presso l’ente utilizzatore. Tale giorni
possono essere fruiti presso l’ente di
appartenenza, dopo il rientro? L’ente di
appartenenza può chiederne il rimborso
a quello utilizzatore, trattandosi di giorni di ferie maturati e non goduti presso
quest’ultimo?
Risposta Su tale problematica, si ritiene utile precisare che:
a) secondo le regole generali, il personale in comando, e per tutta la durata dello stesso, diventa dipendente, in senso funzionale e a tutti gli effetti dell’ente nel quale presta effettivamente servizio. Con il comando, infatti, non si determina l’estinzione del precedente rapporto di lavoro, ma si ha solo il cambiamento
della sede della prestazione lavorativa (presso un nuovo datore di lavoro
utilizzatore);
b) pertanto, nel caso di cessazione del
comando, con il conseguente rientro
presso l’ente di appartenenza, stante la continuità del rapporto, il dipendente conserva comunque il diritto a
fruire presso quest’ultimo le ferie comunque maturate e non fruite presso
l’ente utilizzatore;
a) non risulta, infatti, l’esistenza di disposizioni legali e/o contrattuali che
facciano divieto al dipendente di fruire presso l’ente di appartenenza le
ferie maturate e non godute presso
l’ente utilizzatore;
b) certamente, in questa ipotesi, l’ente di appartenenza potrebbe trovarsi a fronteggiare costi ulteriori e aggiuntivi (sia sotto il profilo dell’eventuale monetizzazione delle ferie al
momento in cui si determina la effettiva cessazione del rapporto di lavoro, ove questa sia ancora possibile ai
sensi delle previsioni dell’art. 5, comma 8, della legge 135/2012, anche alla luce delle indicazioni fornite dal Dipartimento della Funzione Pubblica
con le note n. 32937 del 6.8.2012 e n.
40033 dell’8.10.2012); sia, indirettamente, come costi organizzativi, nel
caso in cui consenta la fruizione delle
precedenti ferie, dopo il ritorno del lavoratore nella propria organizzazione;
c) tuttavia, nella vigente disciplina contrattuale del Comparto Regioni-Autonomie Locali manca una disciplina specifica in materia di comando di
personale;
COMUNI D’ITALIA
quesiti
1/2016
d) ugualmente, nell’ambito della generale regolamentazione dell’istituto, mancano indicazioni specifiche
in materia di ferie del personale comandato, che consentano la soluzione prospettata;
e) un eventuale punto di riferimento,
pertanto, potrebbe essere rappresentato dall’art. 70, comma 12, del
d.lgs. 165/2001 secondo il quale l’ente che utilizza il lavoratore deve rimborsare all’amministrazione di appartenenza del lavoratore gli oneri relativi al trattamento fondamentale.
f) pertanto, si tratta di verificare se
nell’ambito della generale previsione del citato art.70, comma 11, del
d.lgs.n.165/2001 possa farsi rientrare
anche la particolare soluzione da voi
prospettata;
g) trattandosi, tuttavia, di una problematica afferente alla definizione
dell’esatta portata applicativa di norme legge (il citato art. 70 del d.lgs.
165/2001), la stessa dovrà essere sottoposta al Dipartimento della
Funzione Pubblica, istituzionalmente
competente per l’interpretazione delle norme di legge concernenti il rapporto di lavoro pubblico.
POLIZIA LOCALE
LE ASSUNZIONI DI VIGILI
STAGIONALI
a cura di Anci Risponde
Quesito Il piano assunzionale 2016 di
questo Ente, approvato nel novembre
2015, prevede l’assunzione a tempo determinato e per esigenze stagionali non
superiori a mesi cinque l’assunzione a
tempo pieno di n. 05 unità di “Agente di
P.M.”. Evidenziando che la relativa spesa
risulta ampiamente contenuta nei limiti
finanziari previsti dalla normativa specifica e che il reclutamento delle unità previste avverrà tramite concorso pubblico
per esami, non risultando graduatorie a
tempo indeterminato per tale qualifica
detenute da questo Ente e dagli altri
enti litoranei turistici viciniori, si chiede
se, alla luce delle attuali disposizioni
emanate con la legge finanziaria 2016 in
tema di assunzioni, questo Ente possa
procedere ad indire il relativo concorso
ed assumere i candidati risultati vincitori.
Risposta La legge finanziaria 2016 non
ha apportato modifiche in tema di assunzioni a tempo determinato di agenti di
P.M. e relativi vincoli di spesa. Continuano pertanto a trovare applicazione - oltre
ai vincoli di spesa di cui all’art. 9, comma
28 del d.l. 78/2010 e s.m.i.- le disposizioni
di cui all’art. 5, comma 6 del d.l. 78/2015
(Legge 125/2015) che pongono il divieto
agli enti locali, a pena di nullità delle relative assunzioni, di reclutare personale con
qualsivoglia tipologia contrattuale - sia a
tempo indeterminato che a tempo determinato - per lo svolgimento di funzioni di
polizia locale, fatta eccezione “per le assunzioni di personale a tempo determinato per lo svolgimento di funzioni di polizia
locale, esclusivamente per esigenze di carattere strettamente stagionale e comunque per periodi non superiori a cinque
mesi nell’anno solare, non prorogabili”.
TRIBUTI
IMU: FUSIONE DI DUE IMMOBILI
COLLEGATI ADIBITI AD ABITAZIONE
PRIONCIPALE
Quesito Premesso che l’art. 13 d.l.
201/2011 dispone ai fini IMU che l’abitazione principale è costituita dall’unica
unità immobiliare iscritta o iscrivibile
in catasto; che la circolare n. 3/2012 del
Dipartimento delle Finanze ribadisce che
l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare a
prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una
unità immobiliare distintamente iscritta in
catasto, come ci si deve comportare nel
caso di coniugi con ugual quota di proprietà ma con diritti diversi che impediscono
la fusione di due immobili, di fatto collegati, adibiti ad abitazione principale, con specifica annotazione catastale: “porzione
U.I.U. unità di fatto con quella del foglio
(...) rendita attribuita ai soli fini fiscali”?
Risposta Nel caso descritto l’annotazione catastale “porzione U.I.U. unità di fatto
con quella del foglio” viene utilizzata per
superare l’ostacolo giuridico della titolarità dei diritti che impedisce di unire le unità e consentire di trattare come unica la
medesima unità, ai fini fiscali. Sostanzialmente, questa è la strada per trattare l’unità ai fini Imu come unica in quanto è il
sistema catastale a simulare una sorta di
finzione giuridica per rendere unica l’unità. Si conferma pertanto la possibilità di
applicare il trattamento previsto per l’abitazione principale.
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
1/2016
a cura di Francesca Palazzi
Ordinanze contingibili e urgenti:
una casistica giurisprudenziale
Il ricorso da parte dei Sindaci allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente, disciplinato
dall’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, appare piuttosto frequente nella prassi applicativa ma, molto
spesso, tali provvedimenti non superano il vaglio di legittimità, come si evince dall’ampia casistica
giurisprudenziale che si propone in questo numero della Rivista.
TAR EMILIA ROMAGNA BOLOGNA SEZ. II
sentenza 8 febbraio 2016, n. 157
1. Enti locali – sindaco – ordinanza
di sgombero di un intero fabbricato
a tutela dell’incolumità pubblica – ex art. 54, comma 4, d.lgs.
267/2000 – legittimità – ragioni 2. Enti locali – sindaco – ordinanze contingibili e urgenti – comunicazione di avvio del procedimento
– necessità – va esclusa
1. È legittima l’ordinanza, adottata ai sensi dell’art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267 del
2000, con la quale il Sindaco, preso atto
della perdurante situazione di grave degrado di un fabbricato, tale da non garantire
le condizioni di sicurezza dello stesso, nonché dei numerosi arresti eseguiti nel condominio per gravi reati (spaccio di sostanze
stupefacenti, violazioni della legge sull’immigrazione, rapina, incendio doloso, danneggiamenti al patrimonio pubblico e privato, lesioni personali, rissa, ricettazione,
abusi di carattere urbanistico/edilizio, furti
di energia elettrica), a tutela dell’incolumità pubblica, ha dichiarato immediatamente inagibile ed inutilizzabile l’intero stabile e ne ha ordinato lo sgombero. Invero è
pacifico che la situazione di degrado e di
pericolo, non risolta con gli strumenti ordinari e dunque degenerata, necessitasse di intervento urgente a tutela della pubblica incolumità, ivi compresa quella della
stessa ricorrente, la cui permanenza all’interno del fabbricato la avrebbe esposta ad
un serio pericolo. Come ricavabile dall’art.
54 comma 4, t.u. n. 267 del 2000 in materia di ordinanze contingibili e urgenti, la
tutela della pubblica incolumità si realizza
non solo attraverso l’eliminazione dei pericoli che la minacciano, ma anche attra-
verso l’adozione delle opportune misure
di prevenzione (TAR Lazio, Roma, sez. II,
2.12.2014, n. 12136). La circostanza che
la vicenda fosse già nota all’amministrazione non ha ex se rilevanza sull›esistenza
o meno del pericolo di danno, sia in relazione al suo aspetto ontologico, sia in rapporto alle vicende della situazione stessa,
siano esse di aggravamento o comunque
di modifica. Infatti, l›assoluta imprevedibilità della situazione da affrontare non può
considerarsi un presupposto indefettibile
per l›adozione delle ordinanze extra ordinem ex art. 54 comma 4, t.u. enti locali. Tali ordinanze, invero, possono essere adottate per fronteggiare situazioni impreviste
e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (Cons.
Stato, sez. IV, 12.6.2014, n. 3001). È pacifico, inoltre, che la competenza ad adottare simili ordinanze è riservata dalla legge al Sindaco il quale, nel caso di specie,
ha firmato l’ordinanza ed ha ampiamente
motivato le ragioni di una decisione così
estrema.
2. La natura delle ordinanze contingibili e urgenti esclude che siano necessarie
formalità preventive quali la comunicazione
di avvio del procedimento o una preventiva
diffida. In materia di emanazione di un’ordinanza contingibile ed urgente, invero,
non si applicano le norme procedimentali
a presidio della partecipazione del privato,
ai sensi dell’art. 7 della legge 241/1990, in
quanto incompatibili con l’urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante
attualità dello stato di pericolo, aggravantesi con il trascorrere del tempo: di fatto,
la comunicazione di avvio del procedimento nelle ordinanze contingibili e urgenti del
sindaco non può che essere di pregiudizio
per l’urgenza di provvedere (TAR Puglia,
Bari, sez. III, 23.4.2015, n. 646).
TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. II
sentenza 29 gennaio 2016, n. 200
Enti locali – sindaco – ordine di ripristino del passaggio pubblico su un
sentiero mediante rimozione della
recinzione – ordinanza contingibile
e urgente – ex art. 54 t.u.e.l. – illegittimità
È illegittima l’ordinanza con la quale il sindaco, ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. 18.8.2000,
n. 267, ha ordinato il ripristino del passaggio
pubblico su un sentiero, mediante rimozione del tratto di recinzione posto sul tracciato del passaggio stesso nel termine di trenta giorni dalla notifica dell›ordinanza. Secondo la giurisprudenza, il potere sindacale di
emettere ordinanze contingibili e urgenti presuppone necessariamente situazioni, non tipizzate dalla legge, di pericolo effettivo, la
cui sussistenza deve essere suffragata da
una istruttoria adeguata e da una congrua
motivazione; e ciò in quanto solo in presenza di tali situazioni si giustifica la deviazione
dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina
vigente, stante la configurazione residuale,
quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale. Nel caso specifico, è stato emesso un provvedimento contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 54 citato per far fronte ad
una situazione che poteva essere affrontata
mediante l’utilizzo dei poteri ordinari, conferiti ai comuni in materia di repressione degli abusi edilizi. Inoltre, il provvedimento impugnato non indica assolutamente le ragioni per le quali la chiusura del sentiero possa
minacciare i primari interessi dell’incolumità pubblica e dell’ordine pubblica.
1
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
TAR CALABRIA REGGIO CALABRIA
sentenza 26 gennaio 2016, n. 82
Ordinanza contingibile e urgente in materia di inquinamento elettromagnetico
1. Enti locali – provvedimenti contingibili e urgenti – ex artt. 50, comma 5,
e 54, comma 4, d.lgs. 267/2000 – presupposti – termine finale di efficacia
– necessità 2. Enti locali – sindaco – ordinanza ex artt. 50, comma 5, e 54, comma
4, d.lgs. 267/2000 – divieto di installazione nel centro urbano cittadino
di nuove antenne di telefonia mobile
fino all’emanazione del Piano Strutturale Associato – illegittimità – ragioni
1. L’adozione dei provvedimenti di cui agli
artt. 50, comma 5, e 54, comma 4, d.lgs.
267/2000, deve trovare fondamento nei
presupposti dell’urgenza (indifferibilità
dell’atto) e della contingibilità (straordinarietà ed imprevedibilità dell’evento), potendo essere emanati solo a fronte di situazioni impreviste e non altrimenti fronteggiabili
con gli strumenti ordinari, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano
l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana
(ex multis, Cons. Stato, sez. V, 3.6.2013,
n. 3024; Cons. Stato, sez. V, 23.9.2015,
n. 4466). Peraltro, tali provvedimenti devono contenere una esaustiva motivazione circa la concreta sussistenza dei presupposti previsti dalla legge nonché l’indicazione di un termine finale, non essendo
configurabili effetti di durata indefinita, in
quanto un’efficacia sine die contrasterebbe
con il carattere eccezionale e temporaneo
loro proprio.
2. È illegittima l’ordinanza sindacale, emanata ai sensi degli artt. 50, comma 5, e
54, comma 4, d.lgs. 267/2000, che vieta l’installazione nel centro urbano cittadino “sia in via provvisoria che in via definitiva, di nuove antenne di telefonia mobile
fino all’emanazione del Piano Strutturale
Associato che prevede nel suo regolamento edilizio e urbanistico le linee normative
relative all’installazione di nuove antenne
necessarie per la telefonia mobile”. Il provvedimento in esame risulta laconicamente motivato, non prevede alcun termine finale di efficacia e soprattutto si palesa, in
difetto degli stessi presupposti dell’improcrastinabilità ed urgenza, illegittimamente
“sostitutivo” del regolamento comunale,
fonte secondaria cui dovrebbe essere de-
2
mandata in via ordinaria la disciplina delle autorizzazioni all’installazione degli impianti di telefonia, di cui il comune risulta,
allo stato, privo.
TAR CAMPANIA NAPOLI SEZ. V
sentenza 16 dicembre 2015, n. 5257
1. Enti locali – sindaco – ordinanza contingibili e urgenti – presupposti
– individuazione 2. Enti locali – sindaco – ordinanza
per il ripristino di condizioni igienicosanitarie adeguate alla collocazione
di animali
– illegittimità fattispecie
1. Le ordinanze di necessità e urgenza sono statuizioni straordinarie adottate nei casi
espressamente previsti dalla legge, espressione di un potere amministrativo extra ordinem, al fine di fronteggiare situazioni di
urgente necessità laddove all’uopo si rivelino inutili gli strumenti ordinari posti a disposizione dal legislatore. Il principio costituzionale di legalità, che ispira l’intera azione amministrativa, impone la necessità di
una previsione legislativa espressa al fine
di consentire alla p.a. il legittimo esercizio
del potere di ordinanza. Pertanto l’adozione di un’ordinanza sindacale contingibile e
urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere
suffragata da un’istruttoria adeguata e da
una congrua motivazione, in ragione delle
quali si giustifica la deviazione dal principio
di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente,
stante la configurazione residuale, quasi di
chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l’emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell’accidentalità, imprescindibilità
ed eccezionalità della situazione verificatasi e l’urgenza come assoluta necessità.
2. È illegittima l’ordinanza con la quale il
sindaco, a seguito di una ispezione da parte dell’Asl su un fondo di proprietà privata
dalla quale emergeva che erano ivi collocati “dodici cani di varia taglia, età e sesso,
detenuti in parte liberi e in parte rinchiusi in
recinti, tutti sprovvisti di microchip, in sufficiente stato di salute ma lo stato igienico
sanitario dei luoghi risultava carente per la
presenza di manufatti e materiali non compatibile con la presenza degli animali”, ordinava la riduzione del numero di cani nel
fondo, oggetto di accertamento, ad un nu-
mero massimo di sette, tutti maschi o tutti femmine, di effettuare la pulizia straordinaria dei luoghi, ripristinare le recinzioni per
gli animali e a notificare al Servizio Veterinario il luogo o il canile ove saranno spostati gli altri animali. Nel caso di specie, difettano i requisiti di accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione alla quale le ordinanze dovrebbero far fronte, in quanto la situazione denunciata perdura da diversi anni e si inserisce, senza
picchi di urgente impellenza di intervento,
in una consolidata e duratura stratificazione relazionale. Le ordinanze in questione
sono state emanate per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, al fine di
regolare un assetto stabilizzato d’interessi. La particolarità della situazione dedotta
nelle ordinanze sarebbe stata quindi rimediabile attraverso gli strumenti ordinari. In
ogni caso, non si può escludere che in presenza di una eventuale situazione irregolare di collocazione degli animali, l’amministrazione possa intervenire. In particolare,
il sindaco sarebbe potuto intervenire utilizzando i poteri ordinari e tipici d’ufficiale sanitario concessigli dall’ordinamento ovvero attraverso l’esercizio di poteri gestionali connessi a profili di tutela della salute e
del territorio demandati ai competenti uffici amministrativi.
TAR SICILIA PALERMO SEZ. III
sentenza 16 novembre 2015, n. 2923
1. Enti locali – sindaco – ordinanza
contingibile e urgente sulla “movida” locale – reiterato esercizio del
potere di ordinanza – illegittimità –
fattispecie 2. Enti locali – sindaco – ordinanza
contingibile e urgente – disposizioni
di carattere generale che trovano la
loro sede naturale all’interno di un
regolamento comunale – legittimità
– condizioni
1. È illegittima l’ordinanza con la quale il
sindaco è intervenuto a regolamentare in
via interinale - in attesa della approvazione
da parte del consiglio comunale del “Regolamento sullo sviluppo sostenibile al fine
della convivenza tra le funzioni residenziali
e le attività di esercizio pubblico e svago”
– l’attività di intrattenimento musicale nelle aree esterne di rispettiva pertinenza dei
singoli esercizi e di vendita di bevande, e
ciò per finalità di tutela della quiete e sicu-
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
rezza urbana, della salute e incolumità pubblica, prevenendo gli abusi cui la suddetta
attività commerciale può causare con gravi ripercussioni sulla vita dei cittadini; ordinanza, la cui efficacia veniva poi ulteriormente prorogata, una volta preso atto della ulteriore mancata approvazione del detto regolamento da parte del consiglio comunale. Risulta palese, nel caso di specie,
il reiterato esercizio, da parte del sindaco,
del potere contingibile ed urgente che la
legge, viceversa, impone sia esercitato in
via d’urgenza e con effetti concretamente
temporanei. Sull’istituto del potere in argomento, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che è certamente
nel potere del sindaco emanare ordinanze extra ordinem allorché si verifichino
situazioni eccezionali, impreviste ed
imprevedibili come tali autonomamente
idonee a ledere o mettere in pericolo
l’incolumità dei cittadini e la sicurezza
pubblica (ivi compreso l’inquinamento
acustico, o atmosferico, o ambientale),
ma deve intendersi fermo il doverepotere del comune di tutelare e garantire
la sicurezza urbana individuando, al fine, le
misure più idonee ed adeguate; potere che
si manifesta, in via «ordinaria”, attraverso
l’esercizio della potestà regolamentare che
spetta interamente ed esclusivamente
all’organo consiliare (cfr. Cons. Stato, sez.
V, sent. n. 5287 del 27.10.2014). È pur vero che, in linea di principio, il presupposto
per l’adozione dell’ordinanza contingibile e
urgente, ai sensi dell’art. 50 t.u. 18.8.2000,
n. 267, è la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno
grave e imminente per l’incolumità pubblica, l’ordine pubblico e l’igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent.
n. 4968 del 19.9.2012; id. Cons. Stato, sez.
VI, sent. n. 3007 del 31.5.2013); ma, come
opportunamente precisato dal C.G.A., con
sent. n. 508 del 29.5.2013, la considerazione della necessità di tutelare il bene della
salute e della pubblica incolumità, può e
deve orientare le scelte discrezionali della
pubblica amministrazione nel rispetto degli altri canoni fondamentali che governano
l’azione amministrativa, tra i quali il principio di legalità e quello di proporzionalità, dovendo detta tutela essere assicurata all’interno dei normali procedimenti normativi
e amministrativi e attraverso l’adozione di
provvedimenti, tipici e nominati. Il che sta
a significare che la pur legittima regolazio-
ne extra ordinem di certe situazioni non
può, dopo un certo limite temporale o una
abusata reiterazione, sostituirsi, di fatto,
alla regolazione «ordinaria” degli interessi di volta in volta considerati.
2. Legittimamente un’ordinanza sindacale interviene con disposizioni di carattere
generale − che peraltro dovrebbero trovare la loro sede naturale all’interno di un regolamento comunale − purché la disciplina dell’ordinanza svolga un ruolo “suppletivo provvisorio”; con la conseguenza che,
se gli organi competenti (nello specifico,
il consiglio comunale) non intervengono
entro un termine ragionevole, la disciplina
dell’ordinanza diventa cedevole nel tempo, in quanto l’accertamento di una situazione di disagio collettivo (in quella fattispecie ex d.m. 5.8.2008 in tema di incolumità
pubblica e sicurezza urbana) ha una stabilità inversamente proporzionale alla rapidità
di intervento riconosciuta al sindaco (TAR
Brescia con sent. n. 284 del 22.3.2013).
TAR LAZIO ROMA SEZ. II BIS
sentenza 10 novembre 2015, n. 12694
Enti locali – sindaco – ordinanza
contingibile e urgente – ex art. 54,
comma 2, d.lgs. 267/2000 – per la
tutela della salute dei cittadini contro le emissioni elettromagnetiche
– illegittimità – fattispecie
È illegittima l’ordinanza contingibile e
urgente adottata ai sensi dell’art. 54,
comma 2, t.u.e.l., con la quale il sindaco
ordina al gestore della rete elettrica di interrompere le emissioni elettromagnetiche
propaganti dall’elettrodotto negli insediamenti residenziali e in un parco pubblico,
ove necessario attraverso la rimozione dei
tralicci ed il ripristino del precedente tracciato, sul presupposto che una parte del parco
giochi per fanciulli ricadrebbe nella fascia di
rispetto dell’elettrodotto, con asserito danno almeno probabile per la salute. Emerge
con evidenza, nel caso di specie, che è del
tutto assente il presupposto a base dell’assunzione del provvedimento d’urgenza impugnato, ovvero la situazione di pericolo sanitario a carico dei cittadini; infatti a conforto
di tale affermazione si rileva che: lo sconfinamento dal valore di qualità non è mai stato riscontrato; in ogni caso l’obiettivo di qualità di 3 microtesla ha solo una funzione di
minimizzazione dell’esposizione, operando
dunque su un piano di rilevanza ambienta-
le e /o paesaggistico e non sanitario (in tal
senso cfr. Cons. Stato n. 6057 del 2014, cui
si rinvia per il dettaglio in riferimento, tra l’altro, alla dubbia esistenza di un serio e attuale pericolo per la salute collettiva addirittura nel caso del superamento dei valori soglia di attenzione). L’adozione dei provvedimenti di natura contingibile e urgente è
legata ai presupposti dell’urgenza, ovvero
dell’indifferibilità dell’atto, della contingibilità, ossia della straordinarietà ed imprevedibilità dell’evento, e della temporaneità: tutti
questi presupposti non risultano rispettati
nel caso che occupa (v., ancora, cit. decisione Cons. Stato, n. 6057 del 2014). Peraltro,
non può trascurarsi che la giurisprudenza ha
precisato che quando viene adottata un’ordinanza «contingibile ed urgente», per fronteggiare emergenze verificatesi in ambito locale di natura sanitaria, igienica o ambientale, è richiesto sotto il profilo della legittimità formale, una motivazione illustrativa della
concreta sussistenza dei presupposti previsti dalla legge (Cass., 30.7.2014, n. 33779).
TAR LIGURIA SEZ. II
sentenza 5 novembre 2015, n. 875
Enti locali – sindaco – ordinanze contingibili e urgenti – società affidataria della realizzazione e della gestione dell’impianto di depurazione
– gestione provvisoria dell’impianto
alle condizioni originariamente previste nel contratto di appalto – mancata stipula del contratto di gestione
– ordinanza con cui si ordina di
proseguire la gestione dell’impianto
di depurazione – illegittimità
È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente con cui è stato ordinato alla società di costruzioni affidataria del contratto di appalto
per la realizzazione dell’impianto di depurazione della città, nonché della gestione quinquennale dell’impianto una volta realizzato,
di proseguire la gestione dell’impianto, nonostante la mancata stipula del contratto di
gestione, che l’amministrazione comunale
pretendeva venisse stipulato alle condizioni previste dal contratto d’appalto mentre la
ricorrente riteneva che, a ragione del lungo
lasso di tempo trascorso e della sostanziale
modifica del sistema di depurazione, fosse
necessaria una riparametrazione dei prezzi,
e nonostante il contenzioso che ne era conseguito, finalizzato a costringere il comune
a prendere in consegna l’impianto così li-
3
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
berando la società affidataria del contratto di appalto dagli oneri di gestione dell’impianto. Difetta nella specie la contingibilità ed urgenza che costituiscono i presupposti per l’esercizio del potere extra ordinem previsto dall’art. 54 d.lgs. 267/2000.
L›adozione di un›ordinanza sindacale contingibile e urgente, infatti, presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla
legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un›istruttoria
adeguata e da una congrua motivazione, in
ragione delle quali si giustifica la deviazione
dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina
vigente, stante la configurazione residuale,
quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve
essere intesa come impossibilità di fronteggiare l›emergenza con i rimedi ordinari, in
ragione dell›accidentalità, imprescindibilità
ed eccezionalità della situazione verificatasi e l›urgenza come assoluta necessità di
porre in essere un intervento non rinviabile
(Cons. Stato, sez. III, 29.5.2015, n. 2697).
Nella specie difettano i requisiti di accidentalità imprescindibilità ed eccezionalità della situazione alla quale l’ordinanza dovrebbe
fare fronte in quanto la situazione potenzialmente pericolosa, l’arrestarsi dell’impianto
di depurazione, costituisce in realtà la conseguenza prevista e per certi versi inevitabile e nient’affatto eccezionale dello sviluppo della vicenda contrattuale prima e giudiziaria di poi. Addirittura la stessa potrebbe
essere imputabile all’amministrazione nella
misura in cui ha omesso di coltivare la soluzione dell’accertamento tecnico con funzione conciliativa che era stata pure oggetto
di accordi con la ricorrente. L’ordinanza impugnata in principalità è stata assunta con
lo scopo di costringere la ricorrente a continuare la gestione dell’impianto alle originarie condizioni di cui al contratto di appalto.
Tutte le pur meritevoli considerazioni svolte
dall’amministrazione non danno conto della ragione per la quale ad oltre una anno e
mezzo dalla scadenza della gestione transitoria annuale dell’impianto l’amministrazione non sia stata in grado di assumerne
la gestione.
TAR TOSCANA SEZ. III
sentenza 27 ottobre 2015, n. 1457
Enti locali – sindaco – ordinanza
contingibile e urgente – ex art. 54,
4
comma 4, d.lgs. 267/2000 – area
dichiarata inagibile – ordine di ripristino delle condizioni di sicurezza
– destinatario – curatela fallimentare
– illegittimità – ragioni
È illegittima l’ordinanza contingibile e
urgente emessa dal sindaco, ai sensi
dell’art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267
del 2000, con la quale viene ingiunto
alla curatela fallimentare di ripristinare
le condizioni di sicurezza nell’area,
dichiarata inagibile, facente parte del
complesso edilizio posto all›interno di
un parco, ponendo in essere le opere
a ciò necessarie, pena denuncia
all’autorità giudiziaria. Al riguardo, va
rilevato che il curatore fallimentare
non è correttamente individuato come
soggetto passivo dei sopra indicati
obblighi di facere, dal momento che a
tale organo della procedura fallimentare sono solo attribuiti poteri di disporre dei beni fallimentari in vista delle finalità proprie della procedura concorsuale, senza che ciò comporti l’attribuzione allo stesso del dovere di adottare comportamenti attivi come richiesti
dall’ordinanza impugnata, poiché il curatore fallimentare non subentra negli
obblighi più strettamente correlati alla
responsabilità dell’imprenditore fallito,
salvo quanto può essere più specificamente connesso all’eventuale esercizio provvisorio dell’impresa (sul tema
cfr. le sentenze del TAR Toscana, sez.
II, in materia di ordinanze di bonifica rivolte al curatore fallimentare: da ultimo sentenze n. 118/2014 e 786/2015).
TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. III
sentenza 2 settembre 2015, n. 1920
Enti locali – inquinamento acustico
prodotto da una stazione ferroviaria
– ordinanza contingibile e urgente
adottata dal Sindaco per l’abbattimento del rumore – illegittimità
È illegittima l’ordinanza contingibile e
urgente con la quale il Sindaco ha ordinato
alla società di gestione della rete ferroviaria
il divieto assoluto di svolgere le attività di
preparazione di attivazione dei treni e di
annuncio con l’ausilio di altoparlanti nella
fascia oraria notturna dalle ore 22.00 alle
ore 06.00 fino alla predisposizione di un
piano di contenimento e abbattimento
del rumore ai sensi del disposto dell’art.
10, comma 5, della legge 447/1995 per
la risoluzione delle emissioni oltre i limiti,
e di mantenere in termini ristrettissimi
i tempi di preaccensione delle motrici
al fine di ridurre al minimo l’impatto
esistente delle sorgenti sonore nelle more
dei provvedimenti definitivi. La materia
delle emissioni acustiche prodotte nello
svolgimento di servizi pubblici essenziali,
ed in particolare di quello ferroviario, è
disciplinata da una legislazione speciale
che la sottrae dal regime ordinario,
concernendo particolari interessi di
rilievo nazionale che necessitano di una
disciplina settoriale ed unitaria. In virtù
di tale particolare rilevanza della materia,
spetta allo Stato e non agli enti locali sia la
competenza in ordine all’emanazione delle
direttive (piani pluriennali di abbattimento
delle emissioni sonore prodotte dalle
infr astr u t ture d ei ser v izi p u b b lic i
essenziali, quindi anche quelle ferroviarie)
sia il controllo sul rispetto dell’attuazione
delle stesse, per tutelare la continuità e
l’efficienza delle infrastrutture dei servizi
pubblici essenziali. In tema di inquinamento
acustico, l’art. 9 della legge 26.10.1995, n.
447 prevede espressamente la possibilità
di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in caso ricorrano “eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o
dell’ambiente”, ma riserva il potere di ordinanza alle autorità rispettivamente indicate, secondo le competenze di ciascuno, individuando, tuttavia, il Presidente del Consiglio dei Ministri “nel caso di servizi pubblici essenziali”, all’evidente scopo di uniformare l’azione amministrativa applicata
alle enucleate peculiari fattispecie ove incidenti su servizi pubblici essenziali (cfr. in
tal senso TAR Torino, sez. I, 10.1.2014, n.
50; TAR Milano, sez. III, 27.3.2014, n. 818;
TAR L’Aquila, sez. I, 10.1.2013, n. 8; TAR
Perugia 22.12.2011, n. 411 e 11.11.2008,
n. 722; TAR Firenze, sez. II, 15.3.2002, n.
494; Cons. Stato, sez. V, 9.2.2001, n. 508;
TAR Trieste 25.8.1998, n. 1008). È stato evidenziato che in base alla normativa sopra ricordata il legislatore ha voluto devolvere allo Stato la disciplina delle emissioni ed immissioni sonore prodotte nello svolgimento di servizi pubblici essenziali e in particolare quello ferroviario, nel quale rientra l’attività di uno scalo ferroviario, con la conseguenza che le emissioni ed immissioni sonore prodotte da quest’ultima attività non
possono essere disciplinate dagli enti locali.
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
TAR PUGLIA BARI SEZ. III
sentenza 29 luglio 2015, n. 1139
Enti locali – sindaco – ordinanza a
tutela della libera e gratuita fruizione di area demaniale – illegittimità
– fattispecie
È illegittima l’ordinanza con la quale il sindaco ha ordinato di lasciare aperto il varco
pedonale presente sul cancello di ingresso ad un condominio, all’interno del quale sussistono aree acquisite al patrimonio
del comune, nonché la rimozione dei lucchetti apposti ai tre cancelli siti all›interno
del condominio che impediscono la libera e
gratuita fruizione dell’area demaniale, considerato che difettano, nel corpo della motivazione, riferimenti specifici e immediati
a pericoli per la sicurezza o la salute pubblica. Tali requisiti non solo non sono indicati
nella parte motiva, ma, per quanto è dato
verificare in base all’oggetto dell’ordinanza
ed ai beni giuridici che essa intende tutelare, neppure sussistono o sono desumibili
in modo implicito. In altre parole, l’ordinanza, mirando a garantire l’accesso a beni demaniali da parte della collettività, non può
essere considerata funzionale a garantire
esigenze preminenti di sicurezza o di salute pubblica. Se ne deve concludere, pertanto, che essa è stata adottata in violazione della normativa di settore che presiede
all’esercizio del potere di ordinanza contingibile ed urgente. Tanto non vale a significare che l’ente territoriale abbia inteso tutelare beni giuridici che non meritano di essere garantiti, ma che lo strumento normativo scelto per raggiungere tale finalità, non
sia quello adeguato e rispettoso del principio di legalità. In altri termini, deve farsi
ricorso all’utilizzo degli ordinari provvedimenti tipici a tutela del demanio pubblico.
TAR VENETO SEZ. III
sentenza 15 luglio 2015, n. 801
Enti locali – divieto di dimora presso
qualsiasi struttura di accoglienza per persone prive di regolare
documento di identità e di regolare
certificato medico, nonché obbligo,
da parte dei soggetti privi di regolare permesso di soggiorno ovvero di
tessera sanitaria ed individuati nel
corso di accertamenti da parte della
polizia locale, di sottoporsi entro
tre giorni a visite mediche presso
le competenti Ulss – ordinanza del
sindaco – illegittimità
È illegittima l’ordinanza del sindaco che
prescrive il divieto di dimora, anche
occasionale, presso qualsiasi struttura
di accoglienza, per persone prive di
regolare documento di identità e di
regolare certificato medico, nonché
l’obbligo, da parte dei soggetti privi di
regolare permesso di soggiorno ovvero di
tessera sanitaria ed individuati nel corso
di accertamenti da parte della Polizia
Locale, di sottoporsi entro tre giorni a visite
mediche presso le competenti Ulss al fine
di verificare le condizioni sanitarie soprattutto in relazione all’eventuale presenza di
malattie infettive, quali, per esempio tubercolosi, Ebola, scabbia, epatite. Premesso che il potere di ordinanza contingibile e
urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere
suffragata da una istruttoria adeguata e da
una congrua motivazione, e in ragione delle
quali si giustifica la deviazione dal principio
di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente,
stante la configurazione residuale, quasi di
chiusura, di tale tipologia provvedimentale
(Cons. Stato, sez. V, 25.5.2012, n. 3077),
la costante giurisprudenza afferma che la
contingibilità deve essere intesa come “impossibilità di fronteggiare l’emergenza con
i rimedi ordinari, in ragione dell’accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi» e l’urgenza come «l’assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile” (Cons.
Stato, sez. IV, 21.11.1994, n. 926). Nel
merito va allora riaffermato il principio
secondo il quale il potere sindacale di cui
agli articoli 50 e 54 del decreto legislativo
n. 267 del 2000 trova il suo fondamento
nell’esistenza di una emergenza sanitaria,
la quale deve essere puntualmente
dimostrata, anche in ordine alla limitazione
territoriale tale da diversificare la posizione
del cittadino residente nel comune, le
cui peculiarità siano tali da giustificare
l’adozione di misure straordinarie. E ciò
in particolare quando difettino accurati
ed efficaci controlli sanitari da parte delle
altre autorità preposte, non risultando
tuttavia sufficiente una sorta di funzione
sussidiaria a legittimare l’adozione di
provvedimenti del tipo di quello adottato.
E sotto tale profilo il provvedimento
impugnato è incapace di dimostrare
questa posizione differenziata del comune
in ordine al tasso di rischio cui si espone
la popolazione locale, non essendo idonei
i pochi casi rilevati di scabbia o di epatite
C a giustificare quella particolare gravità
sola legittimante l’ordinanza contingibile e
urgente, mentre quanto al virus Ebola, dal
nome dell’affluente del Congo ove negli
anni 70 fu individuato, anche nella variante
Marburg, dal nome della località tedesca
nella quale erano state introdotte scimmie
provenienti dalle zone africane fonte del
contagio, il protocollo per la gestione della malattia redatto dall’unità locale socio
sanitaria escludeva la sussistenza di un’emergenza sanitaria. Dunque dall’inesistenza di una emergenza sanitaria di carattere
locale che giustifichi l’esercizio, pur sempre ammissibile nella sussistenza dei giusti
presupposti, del potere di ordinanza, deriva
l’accoglimento del primo motivo di ricorso,
non spettando al sindaco l’adozione di misure a carattere esclusivamente locale, del
secondo motivo, non esistendo alcuna situazione emergenziale, del terzo collegato
motivo, non essendo stata effettuata una
istruttoria adeguata al fine di evidenziare tale condizione, del quarto motivo, non essendo la misura che richiede una semplice
certificazione medica idonea a contrastare
l’eventuale emergere di una epidemia laddove le analisi non siano quelle specifiche
atte all’individuazione della patologia, del
quinto motivo, posto che effettivamente
il provvedimento impugnato è rivolto nei
confronti di categorie di soggetti che non
sono nelle condizioni di poter adempiere
tempestivamente agli ordini imposti, essendo privi di documenti di riconoscimento non per causa loro ma per la particolare
condizione rivestita.
CONSIGLIO DI STATO SEZ. III
sentenza 14 maggio 2015, n. 2462
Enti locali – sindaco – ordinanza contingibile e urgente per la rimozione
di un ordigno bellico inesploso – attribuzione delle spese di rimozione
ai proprietari del fondo – illegittimità
È illegittima l’ordinanza con la quale il
comune ha ordinato ai proprietari del fondo
ove era stato rinvenuto un ordigno bellico
inesploso di provvedere alle operazioni di
rimozione immediata dell’ordigno, nella
parte in cui pone a carico dei medesimi
5
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
proprietari i relativi oneri economici. Mai
la giurisprudenza ha inteso affermare che,
sempre e comunque, gravi sul proprietario
l’onere anche economico di rimuovere la
situazione di pericolo creatasi sul suo bene,
anche quando egli non sia stato causa del
pericolo. Ora tale principio generale, inteso
nella sua esatta portata e affermato da
questo Consiglio in relazione all’omesso
smaltimento dei rifiuti, vale a fortiori per la
rimozione di un ordigno bellico inesploso,
soprattutto dopo l’intervenuta abrogazione
dell’art. 7, comma 3, del d.lgs. lgt.
320/1946, ora abrogato, il quale prevedeva, in relazione alla bonifica dei campi minati, che per i lavori eseguiti e debitamente collaudati fosse corrisposto dallo Stato
un concorso pari alla metà della spesa. In
assenza ormai di una disciplina speciale
come quella dell’abrogato art. 7, comma
3, del d.lgs. lgt. 320/1946, il fortuito ritrovamento, in un fondo, di un ordigno, risalente al secondo conflitto mondiale, costituisce per il proprietario un evento avente
le caratteristiche di inevitabilità e di imprevedibilità tali da escluderne, salva la prova
contraria da parte dell’Amministrazione, la
responsabilità quale custode e, quindi, l’obbligo conseguente di pagare le spese della sua rimozione, spese che non è legittimo porre a suo carico, ai sensi dell’art. 54,
comma 7, del d.lgs. 267/2000, nemmeno
quando tale evento costituisca un pericolo per la pubblica incolumità, pericolo da
lui non creato né previsto né, si aggiunga,
da lui evitabile o rimuovibile, competendo
al Ministero della difesa, attraverso personale specializzato delle Forze Armate, con
le risorse finanziarie, umane e strumentali previste dalla legislazione vigente, provvedere a rimuoverlo, ai sensi di quanto ora
prevede l’art. 22, comma 1, lett. c-bis), del
d.lgs. 66/2010.
TAR PUGLIA LECCE SEZ. II
sentenza 29 aprile 2015, n. 1406
Enti locali – ordinanze contingibili e urgenti – ordinanza per
l’immediato ripristino del servizio
di fornitura di energia elettrica
presso le palazzine Iacp – illegittimità – fattispecie
È illegittima l’ordinanza contingibile e
urgente con la quale il vice-Sindaco del
Comune ordinava alla società erogatrice
del servizio di fornitura di energia elettrica
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l’immediato ripristino del servizio in parola
presso le palazzine Iacp, interrotto - dopo
vari inutili solleciti - in ragione della inadempienza da parte di tali condomini rispetto
al pagamento delle ‘bollette’, considerato
che tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili e urgenti vi è la fissazione di
un termine di efficacia del provvedimento
(“il carattere della contingibilità esprime difatti l’urgente necessità di provvedere con
efficacia e immediatezza in casi di pericolo attuale o imminente e a ciò è correlato
necessariamente il carattere della provvisorietà, che implica che le misure previste devono avere efficacia temporalmente limitata. Infatti solo in via temporanea
può essere consentito l’uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti e interessi privati con
mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla
legge. Il limite temporale di tali provvedimenti deve essere adeguato al rischio da
fronteggiare, nel senso che deve essere
rapportato al tempo necessario per fronteggiarlo, attraverso gli strumenti ordinari, che devono essere attivati nel più breve tempo possibile, e non in attesa che
venga risolto il problema generale da cui
il rischio è scaturito, in tempi del tutto incerti; così, TAR Campania, Salerno, sez.
II, 20.5.2014, n. 942; TAR Sicilia, Palermo,
sez. III, 2.12.2013, n. 2339; TAR Liguria,
sez. I, 17.10.2013, n. 1215; TAR Calabria,
Catanzaro, sez. I, 25.6.2013, n. 709)” (TAR
Lecce, sez. II, ord. n. 568 del 31.10.2014; v.
anche TAR Puglia, Bari, sez. III, 19.3.2014,
n. 359, per il quale “Il ricorso risulta […]
fondato con riguardo alla rilevata mancanza di un termine finale all’obbligo imposto […]. Invero, la possibilità di ricorrere
allo strumento dell’ordinanza contingibile
e urgente è legata alla sussistenza di
un pericolo concreto e attuale, che
impone di provvedere in via d’urgenza
con strumenti ‘extra ordinem’ per porre
rimedio a situazioni di natura eccezionale
e imprevedibile di pericolo attuale ed
imminente per l’incolumità pubblica, non
fronteggiabili con gli strumenti ordinari
apprestati dall’ordinamento (cfr., fra le altre,
TAR Piemonte, sez. I, 21.12.2012, n. 1382;
TAR Puglia, sez. II, 5.6.2012, n. 1099;
Cons. Stato, sez. V, 25.5.2012, n. 3077;
TAR Calabria, sez. I, 9.3.2012, n. 245).»
TAR PUGLIA LECCE SEZ. II
sentenza 29 aprile 2015, n. 1411
Enti locali – ordinanze contingibili e urgenti – acqua fuoriuscente
da un pozzo privato – sversamento
sulla pubblica via – segnalazioni di
episodi di lesioni fisiche subite a
causa di cadute al suolo per via delle condizioni del manto stradale a
valle del pozzo – ordine al proprietario del fondo sul quale insiste il
pozzo di attivarsi immediatamente
(entro 5 giorni) per l’eliminazione
della situazione di pericolo per la
pubblica e privata incolumità –
legittimità – ragioni
È legittima l’ordinanza contingibile e
urgente con la quale il comune – accertata
la presenza copiosa di acqua fuoriuscente
da un pozzo privato e precisato che tra le
segnalazioni pervenute alcune riguardano
episodi di lesioni fisiche subite a causa
di cadute al suolo per via delle condizioni
del manto stradale a valle del pozzo, reso
estremamente scivoloso per la presenza
copiosa dell’acqua che fuoriesce dal citato
pozzo privato mentre altre riguardano
il precario stato igienico-sanitario della
zona in argomento causato dal ristagno
delle stesse acque – ha ordinato al
proprietario del fondo sul quale insiste
il pozzo che sversa acqua sulla pubblica
via di attivarsi immediatamente per
l’eliminazione della situazione di pericolo
per la pubblica e privata incolumità
entro il termine di 5 giorni dalla notifica
dell’ordinanza. Indipendentemente dal
fatto che si fossero già verificati episodi
di sversamento di acque dal pozzo di
proprietà del ricorrente, non c’è dubbio
che le segnalazioni di cittadini, pervenute al
comune, hanno fatto luce su una situazione
di allarme per l’incolumità pubblica e anche
per l’igiene della zona, manifestatesi con
caratteristiche di non governabilità con
rimedi di tipo ordinario. Il fenomeno in
questione è stato quindi legittimamente
gestito con un provvedimento avente le
caratteristiche dell’ordinanza contingibile
e urgente, atteso che il suo riproporsi
a distanza di circa quattro anni dalla
precedente criticità ambientale, costituisce
la riprova della sua singolarità e della
sua non prevedibilità. Quanto al fatto
che il provvedimento violi il principio
di proporzionalità a causa dell’esiguità
del termine concesso al ricorrente per
provvedere 5 giorni dalla data di ricevimento della ordinanza sindacale si osser-
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
va che, in realtà, l’oggetto dell’ordinanza va,
più propriamente, individuato nell’“attivarsi
immediatamente per l’eliminazione della situazione di pericolo per la pubblica e privata incolumità”. Questo però non significa
che si debba dare corso alla realizzazione,
in 5 giorni, di opere provvisionali o di altra
natura atte a scongiurare il ripetersi dei fenomeni di allagamento; semplicemente,
appare ragionevole che il Corrente formuli una proposta operativa che, però, richiede inevitabilmente la cooperazione tra privato e amministrazione.
TAR TOSCANA SEZ. I
sentenza 13 aprile 2015, n. 576
Enti locali – sindaco – ordinanze contingibili e urgenti – ex art. 54 t.u.e.l. e
art. 2 d.m. 5.8.2008 – divieto di sosta
permanente delle vetture autocaravan sulle vie e piazze cittadine al di
fuori degli spazi appositamente autorizzati – illegittimità – fattispecie
È illegittima l’ordinanza contingibile e
urgente che – in base all’art. 54 del d.lgs.
267/2000 e all’art. 2 del d.m. 5.8.2008 –
preclude sia l’occupazione continuativa delle aree di circolazione da parte di autocaravan, veicoli furgonati, roulottes e autoveicoli utilizzati come luogo di dimora, bivacco o accampamento, sia la permanenza a
bordo degli autocaravan, dei veicoli furgonati e delle roulottes lasciati in sosta lungo le aree stesse, sulla base del presupposto che numerose aree pubbliche destinate alla sosta dei veicoli sono occupate da
mezzi di trasporto utilizzati come luogo di
dimora o di accampamento e richiama rapporti della polizia locale e segnalazioni attestanti l’abbandono di rifiuti in dette aree
e la turbativa che ne deriverebbe alla sicurezza pubblica ed all’ordinato vivere civile. Orbene, le norme poste a fondamento
dell’ordinanza impugnata richiedono la sussistenza di una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica, debitamente motivata
a seguito di approfondita istruttoria, essendo necessaria la documentata necessità e
urgenza attuale di intervenire a difesa degli
interessi pubblici perseguiti (TAR Piemonte, sez. I, 9.1.2015, n. 46) e dovendo comunque rilevare accadimenti non fronteggiabili con gli altri strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento. Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili e urgenti vi
è, inoltre, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento: il carattere della contingibilità esprime l’urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente ed a ciò è correlata la natura necessariamente provvisoria, temporalmente limitata,
di siffatti provvedimenti (Cons. Stato, sez.
III, 5.10.2011, n. 5471; TAR Toscana, sez.
I, 20.1.2009, n. 53). In tale contesto il potere di ordinanza presuppone che la sussistenza di situazioni non tipizzate dalla legge sia suffragata da istruttoria adeguata e
da congrua motivazione, giustificante l’eccezionalità del potere c. d. extra ordinem
esercitato (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I,
25.6.2013, n. 709): solo in ragione di un’adeguata istruttoria e di un’esauriente motivazione si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e
la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale,
quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale (Cons. Stato, sez. V, 25.5.2012,
n. 3077). Al contrario, l’ordinanza adottata
dal comune ha efficacia indeterminata nel
tempo, alla stregua di un provvedimento disciplinante la sosta o la circolazione ai sensi del codice della strada, e non dà contezza degli atti istruttori che documenterebbero la situazione cui si è ritenuto di porre
rimedio. Invero, l’atto impugnato fa un generico richiamo a rapporti della polizia locale ed a segnalazioni, senza indicarne gli
estremi e le circostanze di tempo e luogo alle quali essi si riferirebbero: in tal modo non risulta fornita l’imprescindibile dimostrazione della sussistenza degli eccezionali presupposti di gravità ed urgenza
propri dell’ordinanza contingibile e urgente (TAR Toscana, sez. I, 20.1.2009, n. 53).
Le stesse considerazioni valgono per la finalità, evidenziata nel provvedimento impugnato, della salvaguardia dell’igiene pubblica, mancando il supporto di un determinato accertamento di problematiche di emergenza sanitaria, in assenza del quale la sola sussistenza di una situazione di precarietà igienica (oggetto peraltro di affermazione apodittica del Comune) deve essere
risolta con i mezzi ordinari (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 6.4.2010, n. 981). Inoltre, relativamente a quest’ultimo aspetto
la normativa di riferimento è data dall’art.
50, comma 5, del d.lgs. 267/2000, e non
dall’art. 54 richiamato dall’amministrazione.
Sotto altro profilo, la contestata ordinanza
assume a parametro normativo di raffron-
to l’art. 2 del d.m. 5.8.2008, che definisce
l’area di intervento a tutela della sicurezza
urbana. Ebbene, occorre considerare che
il suddetto decreto ministeriale ha ad oggetto esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati ed esclude
dal proprio ambito di applicazione la polizia
amministrativa locale, con la conseguenza
che i poteri esercitabili dal Sindaco, ai sensi dei commi 1 e 4 dell’art. 54 del d.lgs.
267/2000, non possono che essere quelli finalizzati alla prevenzione e repressione
dei reati (si veda l’articolata pronuncia della
Corte costituzionale n. 196 del 1.7.2009).
TAR PUGLIA LECCE SEZ. II
sentenza 5 febbraio 2015, n. 486
Enti locali – sindaco – ordinanza
contingibile e urgente – per la prosecuzione della gestione del servizio di
igiene urbana – nelle more dell’avvio
del servizio da parte del nuovo soggetto gestore – legittimità
È legittima l’ordinanza contingibile e
urgente con la quale il Sindaco ha ordinato
alla società affidataria del servizio di igiene
urbana la prosecuzione della gestione,
per la durata di 53 giorni, agli stessi patti
e condizioni previsti negli atti negoziali
vigenti, nelle more dell›avvio del servizio
da parte del nuovo soggetto gestore; deve
infatti ritenersi non illegittimo il ricorso
all›istituto della ordinanza contingibile ed
urgente per lo svolgimento del servizio in
essere, in quanto la situazione di pericolo
per la salute pubblica e l›ambiente
connessa alla gestione dei rifiuti, non
fronteggiabile adeguatamente con le
ordinarie misure, legittimava comunque
il sindaco all›esercizio dei poteri extra
ordinem riconosciutigli dall›ordinamento
giuridico (art. 50 del d.lgs. 18.8.2000, n.
267). Del resto, le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti prescindono dall’imputabilità all’amministrazione o a terzi ovvero a
fatti naturali delle cause che hanno generato la situazione di pericolo: pertanto, di
fronte all’urgenza di provvedere, non rileva affatto chi o cosa abbia determinato la
situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere (Cons. Stato, sez.
V, 9.11.1998 n. 1585; TAR Campania, Napoli, sez. I, 27.3.2000, n. 813). La richiesta
di corresponsione di un maggior corrispet-
7
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
tivo non può essere accolta, non essendo
accompagnata dall’indicazione di elementi
di prova che possano giustificare un incremento significativo del corrispettivo richiesto. Se è vero che in materia di provvedimenti contingibili e urgenti deve essere arrecato al privato destinatario dell’ordinanza
il minor sacrificio possibile con il correlativo obbligo di non imporre, attraverso il ricorso ai poteri extra ordinem, corrispettivi
ancorati a valori risalenti nel tempo e non
preceduti dalla previa verifica della loro idoneità a remunerare con carattere di effettività il servizio reso, pur tuttavia il soggetto
che ritiene la non remuneratività del servizio deve fornire un principio di prova in ordine agli elementi costitutivi del maggior
prezzo richiesto anche con concreti riferimenti ai valori del mercato in relazione alla effettive prestazioni eseguite.
TAR LOMBARDIA MILANO SEZ. IV
sentenza 9 gennaio 2015, n. 29
1. Enti locali – sindaco – ordinanze contingibili e urgenti – ex art.
54 d.lgs. 267/2000 – presupposti –
individuazione
2. Enti locali – sindaco – ordinanza
contingibile e urgente – riduzione
di 2 ore dell’orario di apertura serale di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande – per
rimuovere situazioni di pregiudizio
per la quiete pubblica – illegittimità – ragioni
1. Le ordinanze d’urgenza, di cui all’art.
54 t.u.e.l., sono adottabili solo quando
si tratti di affrontare situazioni, di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico, requisiti
che, pertanto, non ricorrono quando il
comune può adottare rimedi di carattere ordinario. Il potere esercitabile dal
Sindaco ai sensi dell’art. 54 d.lgs. n.
267 del 2000 presuppone “una situazione di pericolo effettivo, da esternare con congrua motivazione, che non
possa essere affrontata con nessun
altro tipo di provvedimento, e tale da
risolversi in una situazione comunque
temporanea”, con la precisazione che
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l’esistenza di una fattispecie eccezionale ed imprevista, costituente concreta minaccia per la pubblica incolumità, deve emergere da un preventivo accertamento, “che deve fondarsi
su prove concrete e non su mere presunzioni” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24.
3.2006, n. 1537; Cons. Stato, sez. VI,
5.9.2005, n. 4525; Cons. Stato, sez.
V, 11.12. 2007, n. 6366). I presupposti di questa categoria di atti “sono
da rinvenire, da un lato, nella necessità, intesa come situazione di fatto,
che rende indispensabile derogare agli
ordinari mezzi offerti dalla legislazione, tenuto conto delle presumibili serie probabilità di pericolo nei confronti dello specifico interesse pubblico
da salvaguardare e, dall’altro, nell’urgenza, consistente nella materiale impossibilità di differire l’intervento ad
altra data, in relazione alla ragionevole previsione di danno a breve distanza di tempo (ex plurimis, TAR Lazio,
Roma, sez. II, 14.2.2007, n. 1352). In
sintesi, “secondo consolidata giurisprudenza, l’esercizio del potere di
emanare ordinanze contingibili ed urgenti è condizionato all›esistenza dei
seguenti presupposti: 1) necessità di
intervenire nella materia interessata
dal provvedimento; 2) attualità o
imminenza di un fatto eccezionale,
quale causa da rimuovere con
urgenza; 3) preventivo accertamento
da parte di organi competenti della
situazione di pericolo e di danno; 4)
mancanza di strumenti alternativi
previsti dall›ordinamento, stante il
carattere «extra ordinem» del potere
esercitato 5) durata temporalmente
limitata dei provvedimenti medesimi
(cfr. tra le tante TAR Lazio, Roma, sez.
III, 15.9.2006, n. 8614).
2. È illegittima l’ordinanza, espressamente adottata ai sensi dell’art. 54 del
d.lgs. 2000 n. 267, con la quale il Sindaco disponeva la riduzione di 2 ore
dell’orario di apertura serale di un esercizio di somministrazione di alimenti e
bevande, anticipando alle ore 24.00 la
chiusura del locale, sulla base di alcuni rapporti della polizia locale redatti in
esito a sopralluoghi effettuati nel corso di dieci mesi, in conseguenza di reclami presentati da alcuni cittadini; rap-
porti dai quali emergono violazioni di
vario genere nella gestione del locale,
in ragione sia dello svolgimento di attività ulteriori rispetto a quelle autorizzate, sia del mancato rispetto di talune prescrizioni imposte con l’autorizzazione rilasciata alla società per la somministrazione di alimenti e bevande.
Inoltre, si riferisce che in alcune occasioni gli operanti avrebbero accertato
sia schiamazzi e rumori provenienti da
uno spazio verde sito nelle vicinanze
del locale, sia la presenza in tale zona
di persone in stato di alterazione alcolica, sia, infine, la presenza di soggetti
dediti all’acquisto e al consumo di sostanze stupefacenti “leggere”. Nel caso di specie, la situazione di fatto posta a fondamento dell’atto impugnato
non palesa l’esistenza di una fattispecie di urgenza. In particolare, la riduzione dell’orario di apertura opera rispetto
ad una situazione di fatto consolidatasi
da tempo, non caratterizzata da un repentino e imprevedibile aggravamento – di cui infatti non si fa menzione
nell’atto impugnato – e da molti mesi a conoscenza dell’amministrazione,
la quale, pertanto, poteva utilizzare gli
ordinari strumenti amministrativi, sicché il provvedimento d’urgenza risulta privo del proprio essenziale presupposto. Sotto altro profilo, va osservato
come l’oggettiva inesistenza di una situazione di urgenza di provvedere rende palese, stante l’ampia discrezionalità sottesa all’atto gravato, la violazione
dell’art. 7 della legge 241/1990, poiché
il provvedimento non è stato preceduto
dalla comunicazione di avvio del procedimento, come condivisibilmente contestato dalla ricorrente. Sempre rispetto ai presupposti di adozione dell’atto,
va rilevato che esso non reca una disciplina temporalmente limitata della fattispecie, destinata cioè a fronteggiare una condizione di urgente necessità, perché non pone alcun limite temporale alla riduzione dell’orario di apertura. In tal modo l’amministrazione ha
utilizzato uno strumento d’urgenza per
modificare in modo durevole e stabile
la disciplina degli orari di apertura di un
determinato esercizio, in contrasto con
la necessaria provvisorietà dei provvedimenti d’urgenza.