Dott.ssa Annamaria Casadonte Giudice c/o il Tribunale di Reggio Emilia 1 La l. 218/1995 (la legge di diritto internazionale privato), che si applica in assenza di convenzioni o atti comunitari, stabilisce che la decisione straniera, emessa dall’autorità competente che conclude una controversia, è equiparata ad una sentenza del giudice italiano e gode del riconoscimento automatico ex art. 64, ovvero produce effetti in Italia senza necessità di alcun procedimento. Con tale legge è stato quindi introdotto il cd. «PRINCIPIO DELL’AUTOMATICO RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE CIVILI STRANIERE», a patto però che ricorrano le seguenti condizioni (stabilite dallo stesso art. 64): - il giudice che ha pronunciato il provvedimento poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano; - l’atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa; - le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge; - il provvedimento ha acquisito efficacia di giudicato secondo la legge del luogo in cui è stato pronunciato; - il provvedimento non è contrario ad altro provvedimento passato in giudicato emanato da un giudice italiano; - non pende un processo davanti ad un giudice italiano, per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero; - le disposizioni contenute nel provvedimento non producono effetti contrari all’ordine 2 pubblico. Cosa deve intendersi per «ordine pubblico»? Premesso che il concetto di «ordine pubblico» è un concetto di per sé RELATIVO, ossia suscettibile di profonde trasformazioni nello spazio e nel tempo, esso può essere inteso come «il complesso dei principi, ivi compresi quelli desumibili dalla Carta costituzionale, che formano il cardine della struttura economico-sociale della comunità nazionale in un determinato momento storico, nonché quelle regole inderogabili e fondamentali immanenti ai più importanti istituti giuridici nazionali». N.B.: La corrispondenza all’ordine pubblico italiano della sentenza straniera deve essere valutata non con riguardo alle norme sostanziali e processuali applicate, bensì con riguardo ai suoi EFFETTI, vale a dire gli effetti che il riconoscimento di una tale decisione potrebbe portare sui valori fondanti dell’ordinamento italiano. Inoltre, occorre sottolineare che la suddetta valutazione attinente alla contrarietà all’ordine pubblico va fatta sulla base dei principi esistenti al momento del riconoscimento e non dell’emissione della sentenza. 3 La l. 218/95 ha previsto anche altre specifiche disposizioni sul riconoscimento dei provvedimenti stranieri. L’art. 65 («Riconoscimento di provvedimenti stranieri») stabilisce che i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità hanno effetto in Italia quando: 1. essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge (cd. BILATERALIZZAZIONE); 2. producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa. In sostanza, l’art. 65 consente di attribuire efficacia ai provvedimenti stranieri A CONDIZIONI SEMPLIFICATE di riconoscimento. 4 Quale è il rapporto tra l’art. 65 e l’art. 64? secondo taluni l’art. 65 ha un carattere di SPECIALITÀ che comporta una deroga all’art. 64; secondo altri, invece, le due norme sono da considerarsi COESISTENTI, nel senso che si può ottenere il riconoscimento di una sentenza straniera come giudicato sia nel rispetto delle condizioni facilitate dell’art. 65 sia nel rispetto di quelle più severe dell’art. 64. Oggi la dottrina e la giurisprudenza prevalente sembrano optare per la seconda posizione. 5 La l. 218/95 ha altresì previsto una norma ad hoc in materia di «Riconoscimento di provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria», la quale, in pratica, non fa che rafforzare l’art. 65. Nel dettaglio, l’art. 66 dispone che: «I provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione sono riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, sempre che siano rispettate le condizioni di cui all'articolo 65, in quanto applicabili, quando sono pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge é richiamata dalle disposizioni della presente legge, o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato ancorché emanati da autorità di altro Stato, ovvero sono pronunciati da un'autorità che sia competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell'ordinamento italiano.» . 6 Il riconoscimento delle decisioni in materia matrimoniale ed in quella relativa alla protezione dei minori che siano state pronunciate in uno Stato membro dell’UE è disciplinato dal Regolamento (CE) n. 2201/2003. ART. 21 assicura che le decisioni pronunciate in uno Stato membro siano riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. L’automaticità del riconoscimento vale anche ai fini dell’aggiornamento delle iscrizioni dello stato civile di uno Stato membro purché si tratti di decisioni definitive. ART. 22 il rifiuto del riconoscimento è ammesso soltanto nel caso in cui le decisioni matrimoniali: a) siano in contrasto con l’ordine pubblico dello Stato membro richiesto; b) quando la decisione è stata resa in contumacia o se l’atto introduttivo è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo che questi possa presentare le proprie difese, salvo il caso di accertata accettazione da parte del convenuto della decisione; c) nel caso di contrasto con altra decisione presa tra le stesse parti nello Stato membro richiesto; d) nel caso di contrasto con una decisione anteriore avente le stesse parti e resa in un altro Stato membro in un paese terzo che tuttavia soddisfi le condizioni prescritte per essere riconosciuta nello Stato richiesto. ART. 23 per le decisioni relative alla potestà dei genitori, i motivi del rifiuto del riconoscimento sono analoghi con alcune precisazioni/differenze: a) con riguardo all’ordine pubblico, si precisa che deve essere valutato l’interesse superiore del minore; b) la non previsione tra i principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto del diritto del figlio minore di essere ascoltato in determinati casi. Il contrasto con una decisione resa o riconosciuta nello Stato membro richiesto può impedire il riconoscimento soltanto se si tratta di una decisione successiva a quella da riconoscere, dandosi così per scontato che il giudice a quo abbia tenuto conto nel suo provvedimento delle decisioni rese anteriormente ed abbia ritenuto di doverle modificare. ART. 28 disciplina l’esecuzione delle decisioni relative alla potestà dei genitori. 7 I matrimoni celebrati all’estero debbono essere trasmessi, per la trascrizione nei registri dello stato civile, all’ufficiale dello stato civile competente, individuato ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 396/2000, a cura della nostra autorità diplomatica o consolare o, anche, su istanza di chiunque vi abbia interesse (art. 12, co. 11, D.P.R. 396/2000). ART. 18 («casi di intrascrivibilità») «Gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se sono contrari all’ordine pubblico»; ART. 19 («trascrizioni») «1. Su richiesta dei cittadini stranieri residenti in Italia possono essere trascritti, nel comune dove essi risiedono, gli atti dello stato civile che li riguardano formati all’estero. Tali atti devono essere presentati unitamente alla traduzione in lingua italiana e alla legalizzazione, ove prescritta, da parte della competente autorità straniera. 2. Possono altresì essere trascritti gli atti del matrimonio celebrati fra cittadini stranieri dinanzi all’autorità diplomatica o consolare straniera in Italia, se ciò è consentito dalle convenzioni vigenti in materia con il Paese cui detta autorità appartiene. 3. L’ufficiale dello stato civile può rilasciare copia integrale dell’atto trascritto a richiesta degli interessati». La trascrizione nei registri di stato civile ha natura dichiarativa e certificativa a scopo di pubblicità di un atto già valido di per sé, ma che, solamente dopo la trascrizione, diviene opponibile ai terzi. L’ufficiale di stato civile svolge quindi un ruolo fondamentale in quanto procede alla registrazione degli atti di stato civile previo controllo di legalità degli stessi e quindi solo dopo avere compiuto una serie di verifiche in ordine alla situazione giuridica che si vuole rappresentata dai registri dello stato civile. 8 In particolare, l’ufficiale di stato civile, ai fini della trascriviblità del matrimonio celebrato all’estero, deve verificare l’esistenza dei requisiti: 1. formali (legalizzazione + traduzione ex art. 19, co. 1, d.p.r. 396/2000); 2. sostanziali (stante l’impossibilità di trascrivere i suddetti atti se in contrasto con l’ordine pubblico – art. 18 d.p.r. 396/2000) Infatti, il venir meno dell’obbligo della pubblicazione, nel caso di matrimonio all’estero, come disposto dalla Circolare n. 5 del 22/05/2008, ha eliminato la possibilità di verificare preventivamente la sussistenza delle condizioni richieste dal nostro ordinamento per la validità del matrimonio: pertanto, l’ufficiale dello stato civile dovrà svolgere le verifiche richieste, dopo che il matrimonio è stato celebrato e prima di procedere alla trascrizione, ricordando che, comunque, non possono essere trascritti gli atti contrari all’ordine pubblico. Le verifiche riguardano, a titolo esemplificativo: l’età degli sposi (art. 84 c.c.); la libertà di stato (art. 86 c.c.) non rara è l’ipotesi in cui uno degli sposi, cittadino italiano, risulti ancora legato da un precedente matrimonio. Al contrario delle altre ipotesi, il secondo matrimonio contratto all’estero da persona già coniugata deve essere trascritto e produce tutti gli effetti del matrimonio valido, almeno fino a quando non venga impugnato e ciò in virtù del principio del favor matrimoni di cui all’art. 117 c.c. . In altre parole, il matrimonio diviene inefficace solo in seguito alla pronuncia del giudice, continuando a produrre i propri effetti qualora l’azione non venga esercitata; lo scambio del consenso qualora dovesse mancare o risultare non espresso chiaramente nell’atto lo scambio del consenso tra i coniugi, può verificarsi un ostacolo al riconoscimento della validità del matrimonio contratto all’estero; la diversità di sesso degli sposi fino ad ora gli ufficiali di stato civile non hanno trascritto i matrimoni celebrati tra persone dello stesso sesso, ritenendolo in contrasto con l’ordine pubblico ed in particolare con un requisito fondamentale richiesto dal nostro ordinamento, quale la diversità di sesso degli sposi. Al riguardo, fondamentale, è anche la Circolare Miacel n. 2 del 26 marzo 2001 del Ministero dell’Interno, la quale ha chiarito che «non è trascrivibile il matrimonio celebrato all’estero 9 tra omosessuali, di cui uno italiano, in quanto contrario alle norme di ordine pubblico». ART. 67 L. 218/1995 Ai sensi dell’art. 67 l. 218/95, stabilisce che in caso di: - mancata ottemperanza; - contestazione del riconoscimento; - necessità di procedere ad esecuzione forzata «…chiunque vi abbia interesse può chiedere alla Corte d’appello del luogo di attuazione l’accertamento dei requisiti del riconoscimento». In tal caso si procede presentando un ricorso alla Corte d’appello del luogo in cui dovrebbe essere data attuazione alla sentenza, il quale procederà all’accertamento della sussistenza o meno dei requisiti per l’accertamento. A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 150/2011, art. 30, oggi il rito applicabile è quello sommario. Si ricordi che la legittimazione a tale procedimento spetta solo ai soggetti che hanno partecipato al giudizio all’estero ovvero, come osservato da altra giurisprudenza, l’interesse ad agire sussiste ogni volta che ricorre uno dei presupposti del procedimento di riconoscimento. La partecipazione del P.M. nella cause di riconoscimento di sentenze straniere di divorzio è obbligatoria ai sensi dell’art. 70,co. I., n. 2, c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. I, 16 dicembre 2003, n. 19277). All’esito del giudizio: - se l’attore è soccombente e la decisione presenta i requisiti richiesti, gli effetti della pronuncia retroagiscono al momento in cui la decisione è passata in giudicato nel Paese d’origine; - se l’attore è vittorioso, è necessario ripristinare la situazione precedente e rimuovere tutti gli effetti eventualmente prodotti da una decisione che per il nostro ordinamento non esiste. 10 Con riguardo all’interesse ad agire nella procedura di cui all’art. 67: CASS. CIV., 5 OTTOBRE 2012, N. 17065 Nel caso di specie, il ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione contestando l’effettuato riconoscimento di una sentenza straniera, sentenza nella quale, ad avviso del ricorrente, mancava l’esatta quantificazione di quanto dovuto dal convenuto a titolo di mantenimento del figlio minore, avendolo il giudice condannato (genericamente) a pagare il 25% dello stipendio o di altro reddito. La Cassazione, tuttavia, ha rigettato il ricorso del ricorrente, precisando che l’interesse ad agire ex art. 67 sussiste quando ricorra, in concreto, almeno uno dei presupposti di cui al primo comma dell’art. 67 l. n. 218: mancata ottemperanza, contestazione del riconoscimento, necessità di procedere ad esecuzione forzata. 11 Il riconoscimento di sentenze straniere di divorzio è stata frequentemente oggetto della procedura di cui all’art. 67 l. 218/1995. CASISTICA: Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2006, 16978 ha affermato il principio della riconoscibilità della sentenza straniera di divorzio pronunciata senza passare dalla sentenza di separazione personale dei coniugi ed il decorso di un periodo di tempo adeguato tale da consentire ai coniugi di ritornare alla loro decisione, non potendosi ravvisare in ciò alcun violazione del principio di ordine pubblico, a condizione che il divorzio segua all’accertamento dell’irreparabile venire meno della comunione di vita tra i coniugi. Tale principio è in linea con quanto previsto dall’applicazione del Reg. CE n. 1259/2010, posto che anche un cittadino italiano può optare per l’applicazione diretta della legge sostanziale dello Stato di cittadinanza del coniuge che consente il divorzio immediato senza passare dalla separazione in virtù della scelta consentita dall’art. 5 del medesimo Reg. . 12 Nella stessa occasione (Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2006, 16978), inoltre, in riferimento all’affidamento congiunto del figlio minore, la S.C. ha espresso il principio secondo il quale «in tema di riconoscimento di sentenze straniere, non è contraria ai principi fondamentali dell’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 64, comma I, lettera g), della legge 31 maggio1995, n. 218, la sentenza straniera di divorzio che abbia disposto l’affidamento congiunto del figlio minore ad entrambi i coniugi senza la predeterminazione di regole di comportamento dei coniugi stessi idonee ad evitarne il conflitto». Sempre in tema di mancata previsione delle condizioni di affidamento e mantenimento dei figli minori, si è riconosciuta la sentenza straniera che tale compiuta indicazione non contenga non ravvisandosi contrarietà ai principi fondamentali dell’ordine pubblico dal momento che nessun principio costituzionale impone che la definitiva regolamentazione dei diritti e doveri scaturenti da un determinato status sia dettato in unico contesto, tant’è che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio, che statuisce sullo «status» e rinvia per l’adozione dei provvedimenti conseguenti (cfr. Cass. civ., sez. I, 30 luglio 2012, n. 13556). 13 Oggi l’INTERSEZIONE tra il diritto di famiglia ITALIANO e quello ISLAMICO è inevitabile, stante Il progressivo aumento del numero degli immigrati provenienti dai Paesi in cui vige il diritto di famiglia musulmano e l'intensificarsi dei matrimoni misti. Si ricordi, infatti, che oggi il DIRITTO ISLAMICO rappresenta il TERZO grande sistema giuridico mondiale ed è la fonte del vigente diritto positivo dei Paesi musulmani (ad ex.: Algeria, Bangladesh, Egitto, Libia, Marocco, Pakistan, Somalia, Tunisia, Turchia etc…). 14 La progressiva stabilizzazione di persone provenienti da Paesi di diritto islamico impone, infatti, una necessaria INTERAZIONE tra questi ed il diritto italiano. Tale interazione, tuttavia, non è affatto facile. In particolare, gli istituti che sembrano porre maggiori problemi dal punto di vista del loro riconoscimento ed accoglimento nell’ordinamento giuridico italiano sono: 1. la POLIGAMIA; 2. la KAFALAH. 15 LA POLIGAMIA Il diritto musulmano ammette il carattere poligamico del matrimonio. Mentre la donna non può avere che un solo marito, l’uomo può invece avere fino a quattro mogli contemporaneamente: «…se temete di essere ingiusti nei confronti degli orfani, sposate allora due o tre o quattro tra le donne che vi piacciono» (sura IV, 3). 16 Le GIUSTIFICAZIONI che possono indurre a contrarre un’unione poligamica sono diverse, ad ex.: 1. la moglie è affetta da una malattia che la rende inattiva o contagiosa in questa situazione, una seconda moglie è considerata un aiuto indispensabile per l’assolvimento dei compiti che la prima non può adempiere sia nei confronti del marito che nei confronti dei bambini; 2. la moglie non può avere bambini; 3. la moglie diventa mentalmente instabile; 4. la moglie è anziana; 5. il carattere difficile; 6. la guerra; 7. il fatto che un uomo senta che per soddisfare i suoi desideri fisici ha bisogno di un’altra moglie, evitando in tal modo la fornicazione. 17 Ciononostante, spesso, anche nelle legislazioni statali dei Paesi arabi, la poligamia è sottoposta a LIMITAZIONI che la rendono impraticabile. Nella maggior parte dei casi, la moglie ha la possibilità di inserire, nel contratto di matrimonio, la clausola di essere l'unica moglie (cd. «clausola di monogamia»), che, se violata, dà luogo allo scioglimento del vincolo matrimoniale. Ad ex.: in EGITTO, l'art. 11bis l. n. 25 del 1929, introdotto dall'art. 1 l. n. 100 del 1985, prevede che anche in assenza della clausola di monogamia la prima moglie ha il diritto di chiedere il divorzio se ritiene che dal nuovo matrimonio del marito le derivi un danno reale o morale che renda impossibile la vita coniugale; in TUNISIA, il matrimonio poligamico è espressamente e assolutamente vietato (Codice dello statuto personale tunisino, Maǧalla, decreto del 13 agosto 1956, art. 18 e art. 2933); in MAROCCO, il nuovo Codice di famiglia (Moudawana) ha fortemente limitato le unioni poligamiche, condizionando le stesse ad un’autorizzazione giudiziale che può essere concessa solo in determinate ipotesi (ad ex.: sterilità). Nel dettaglio, prima lo sposo doveva soltanto avvertire la prima moglie dell’intenzione di contrarre un nuovo matrimonio e la novella sposa del suo status di già coniugato. Ora è invece necessaria l’autorizzazione preventiva al secondo matrimonio da parte del giudice, il quale dovrà accertare l’effettiva capacità del richiedente di assicurare il medesimo tenore di vita e la parità di trattamento alle mogli e ai figli. Inoltre, la donna ha il diritto di vincolare il marito a non contrarre altro matrimonio e, nel caso in cui ciò accada, di chiedere il divorzio per il danno subito. 18 Il problema è quello di stabilire se il matrimonio poligamico possa essere «accolto» o no nel nostro ordinamento e quindi se sia possibile attribuire ad esso degli effetti giuridici. In altre parole, il dubbio è: il matrimonio poligamico è contrario o no al cd. ordine pubblico? 19 In Italia il rapporto coniugale riconosciuto e tutelato è quello MONOGAMICO. Art. 29 Cost.: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare»; Art. 86 Cod. civ.: «Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio precedente»; Art. 556 Cod. pen.: «Chiunque, essendo legato da matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro, pur avente effetti civili, è punito con la reclusione da uno a cinque anni». 20 Secondo la DOTTRINA e la GIURISPRUDENZA prevalente, infatti, il matrimonio poligamico non può trovare riconoscimento in Italia, essendo in contrasto con l’ordine pubblico. Esso, difatti, violerebbe sia l’obbligo reciproco di fedeltà sia il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Di conseguenza, in genere, in Italia viene ritenuto valido soltanto il primo matrimonio celebrato, potendo il giudice ricorrere all’eccezione di ordine pubblico per il disconoscimento degli effetti successivi, pur validi all’estero. 21 «[…] Il divieto di poligamia non è condizionato da condizioni di fatto […], ma opera in sé e perdura fino alla cessazione legale di uno dei vincoli coniugali» (Cass. Civ., sez. VI, 28 febbraio 2013, n. 4984) 22 In alcune pronunce giurisprudenziali, tuttavia, è possibile cogliere una cauta apertura nei confronti del matrimonio poligamico contratto all'estero e ciò attraverso: 1. IL RICONOSCIMENTO DI DETERMINATI EFFETTI SUCCESSORI E ALIMENTARI; 2. LA TUTELA DEL DIRITTO AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE COLLEGATO PERÒ AL RAPPORTO DI FILIAZIONE. 23 IL RICONOSCIMENTO DI EFFETTI SUCCESSORI E ALIMENTARI DERIVANTI DA UN MATRIMONIO POLIGAMICO Cass. Civ., sez. I, 2 marzo 1999, n. 1739: <<In virtù del principio del "favor matrimoni", l'atto di matrimonio non perde validità se non sia stato impugnato per una delle ragioni indicate dagli artt. 117 e seguenti cod. civ. e non sia intervenuta una pronuncia di nullità o di annullamento; ne consegue che, in virtù della validità interinale del matrimonio contratto da cittadino italiano all'estero, pur secondo una legge prevedente la poligamia e il ripudio, ma nel rispetto delle forme ivi stabilite e ricorrendo i requisiti sostanziali di stato e capacità delle persone, non si può disconoscere l'idoneità di tale matrimonio a produrre effetti nel nostro ordinamento, finché non di deduca la nullità di tale matrimonio e non intervenga una pronuncia sul punto>>. Nel caso di specie, la Suprema Corte, riconoscendo la validità di un matrimonio contratto secondo la legge somala, ha ritenuto irrilevante la contrarietà all'ordine pubblico della natura potenzialmente poligamica e della risolubilità unilaterale del matrimonio islamico, limitatamente alla sua efficacia ai fini successori di uno dei coniugi. La Cassazione ha dunque confermato la sentenza di merito che, ritenuto che il profilo dell'ordine pubblico e del buon costume, connessi alle caratteristiche della poligamia e del ripudio, proprie del matrimonio islamico, erano estranei al rapporto dedotto in giudizio, aveva affermato il rilievo in sede ereditaria dello status di coniuge acquisito in virtù di matrimonio celebrato in Somalia nel rispetto delle forme stabilite dalla "lex loci" ed in presenza dei requisiti di stato e capacità delle persone (<<il figlio e la moglie del mussulmano poligamo sono comunque ammessi a succedere ai beni lasciati da costui in Italia>>). 24 LA TUTELA DEL DIRITTO AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE COLLEGATO AL RAPPORTO DI FILIAZIONE La poligamia è stata specificamente analizzata a livello europeo con la DIRETTIVA SUL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DEL 22.09.2003, 2003/86/CE): essa ha sancito il divieto di autorizzare il ricongiungimento familiare con un altro coniuge se il soggiornante ha già un coniuge convivente sul territorio dello Stato membro. Tale divieto diviene DEROGABILE solo quando il ricongiungimento sia chiesto dai (o deve essere concesso ai) figli minorenni. In questo caso, infatti, agli Stati membri è lasciata la possibilità di limitarne il ricongiungimento e quindi, a contrario, di consentirlo (art. 4, par. 4, secondo capoverso, direttiva 2003/86/CE: in caso di matrimonio poligamico «in deroga al paragrafo 1, lettera c) [secondo il quale gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei figli minorenni del soggiornante, quando questo ne sia il genitore affidatario e sia responsabile del loro mantenimento], gli Stati membri possono limitare il ricongiungimento familiare dei figli minorenni del soggiornante e di un altro coniuge»). La suddetta direttiva ha quindi preso una posizione netta e definitiva in merito al ricongiungimento familiare tra due coniugi in caso di matrimonio poligamico, ma nulla ha previsto in caso di richiesta di ricongiungimento familiare nell’interesse di figli minori. 25 L’ORDINAMENTO ITALIANO ha dato attuazione alla direttiva europea, inserendo altresì una specifica disposizione al riguardo all’interno del T.U. SULL’IMMIGRAZIONE (art. 29, comma 1ter: «Non e' consentito il ricongiungimento dei familiari di cui alle lettere a) e d) del comma 1, quando il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante con altro coniuge nel territorio nazionale»). Nel caso di ricongiungimento richiesto dal figlio minore ai sensi della lettera d) del comma 1 dell’art. 29, il ricongiungimento familiare viene ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza anche in virtù delle seguenti norme del T.U. sull’immigrazione: 1. art. 28, co. III «In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176»; 2. art. 31, co. III «Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge.» . 26 Cass. Civ., sez. VI, 28 febbraio 2013, n. 4984: «In tema di ricongiungimento familiare del cittadino straniero, il divieto stabilito dall'art. 29, comma 1 ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 con riguardo alle richieste proposte a favore del coniuge di un cittadino straniero, già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, opera oggettivamente, a prescindere dalle qualità soggettive del richiedente, mirando ad evitare l'insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria all'ordine pubblico anche costituzionale. (Nella specie, la richiesta era stata avanzata dal figlio a favore della propria madre, il cui coniuge, già soggiornante in Italia, aveva precedentemente proposto analoga istanza a favore di un'altra moglie; in applicazione dell'anzidetto principio la S.C. ha accolto il ricorso, escludendo la necessità di provare che il figlio avesse agito per conto del padre).»; 27 Tribunale di Bologna, 12 marzo 2003: «un cittadino marocchino regolarmente residente in Italia chiede il ricongiungimento con la propria madre, che vive in Marocco. L’ambasciata italiana in Rabat nega il nulla osta, motivando il diniego sulla base della circostanza che la presenza nel territorio nazionale della predetta cittadina straniera verrebbe a determinare un caso di poligamia, essendo già presente in Italia la prima moglie del padre del richiedente, il quale ultimo è a sua volta titolare di permesso di soggiorno in Italia e che in Marocco aveva contratto più matrimoni. Il Giudice Unico presso il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso del figlio richiedente e ha annullato il provvedimento impugnato, che deve ritenersi illegittimo, “in quanto ingiustamente comprime il diritto al ricongiungimento vantato dal ricorrente in materia di filiazione”. Il Giudice infine ha disposto che l’Ambasciata italiana rilasciasse visto per motivi di ricongiungimento familiare in favore della madre del richiedente».Il 28 Corte di Appello di Torino, 18 aprile 2001: «ai sensi e per gli effetti degli art. 29 l. n. 40 del 1998 e 31 d.lg. n. 286 del 1998, va consentita al coniuge extracomunitario di un cittadino anch'esso extracomunitario (di sesso maschile), munito di regolare permesso di soggiorno, svolgente in Italia un'attività lavorativa ed in condizioni familiari, abitative, economiche e sociali positive, di permanere in Italia allo scopo di consentire alla madre la prosecuzione delle cure parentali prodigate al figlio minore comune e rivelatesi d'esito felice, non rilevando in contrario che il marito, contratto legittimo matrimonio poligamico (bigamico) nella propria terra d'origine, viva in Italia anche con l'altra moglie: la permanenza in Italia della madre va, infatti, consentita non allo scopo di omologare un'unione matrimoniale poligamica, ma allo scopo di tutelare il primario e poziore diritto del minore a non essere separato, senza adeguato motivo, da uno dei genitori». 29 La kafala (o kafalah) è uno strumento di protezione dell’infanzia abbandonata assai diffuso nei Paesi di diritto islamico. In particolare, la Kafala è un istituto giuridico del diritto islamico attraverso il quale un giudice affida la protezione e la cura di un minore (makfoul) ad un soggetto (kafil). Si tratta di un atto revocabile che termina con il raggiungimento della maggiore età del makfoul e che non dà luogo ad alcun legame giuridico di filiazione tra il kafil ed il makfoul (infatti, il significato etimologico della parola, tradotta dall’arabo, è quello di «aggiungere qualcosa a qualcos’altro»): il minore non assume e non acquisisce né il nome né tanto meno i diritti ereditari del kafil (ad eccezione del caso in cui non sia egli stesso, attraverso una dichiarazione testamentaria, ad inserire il makful nel proprio testamento, equiparandolo ad uno dei suoi eredi). I FONDAMENTI di quest’istituto sono essenzialmente due: 1. il divieto di adozione da parte del Corano e ciò sulla base della concezione della famiglia come istituzione di origina divina e della credenza secondo la quale anche i vincoli di filiazione sarebbero espressione della volontà di Dio, con conseguente divieto per l’uomo di costituirne di artificiali; 2. il principio coranico secondo il quale ogni buon musulmano è tenuto ad aiutare i bisognosi, in particolare gli orfani. 30 I PRESUPPOSTI dell'applicazione dell'istituto sono: 1.la dichiarazione d'abbandono del minore; 2.l'accertamento dell'identità dell'aspirante kafil, il quale deve essere maggiorenne, appartenere alla religione islamica ed avere la capacità di far fronte alle responsabilità che derivano dall’impegno di protezione assunto. 31 La kafala (che può avere natura NEGOZIALE o GIUDIZIALE), a livello internazionale, è prevista da: 1. art. 20 della CONVENZIONE INTERNAZIONALE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA (adottata dall’ONU il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con l. 27 maggio 1991, n. 176 ed entrata in vigore il 5 ottobre 1991): «1) Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato 2) Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale; 3) Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo di sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico, dell’adozione o in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per l’infanzia. Nell’effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell’educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica»; 32 2. art. 3 della CONVENZIONE DELL’AJA 19 dicembre 1996 («Sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori») Quest’ultima convenzione, tuttavia, è stato solo sottoscritta (nel 2003), ma non anche ratificata, dall’Italia. Nel dettaglio, la ratifica della suddetta Convenzione da parte dell’Italia sembrerebbe in corso in questo momento. In data 10.03.2015, infatti, il Senato ha approvato il disegno di legge di ratifica della Convenzione internazionale dell’Aja, escludendo però dal suddetto testo gli articoli inerenti al recepimento della kafala nel sistema giuridico italiano (così come configurata dalla Camera nel disegno di legge approvato il 25.06.2014). Il disegno di legge 1589/2013, sottoposto al vaglio del Senato che ha approvato la ratifica, pur prevedendo che la kafala vada sicuramente regolamentata, evidenzia la necessità di individuare una disciplina che si attaglia alle sue peculiarità, al contempo non eludendo le regole poste in materia di adozione internazionale. Presente la consapevolezza del rischio che, senza autorizzazione e controlli del Governo, si possa dare vita ad operazioni di traffici di minori in violazione dei loro diritti fondamentali. 33 La kafala è quindi assimilabile o quanto meno assomiglia a qualcuno degli strumenti previsti dall’ordinamento giuridico italiano a tutela e a protezione dell’infanzia abbandonata? ≠ 34 35 In ordine alla differenza tra la kafala e gli istituti italiani a tutela e a protezione dell’infanzia abbandonata: Trib. Minorenni Trento 05.03.2002: «Il provvedimento marocchino denominato "kafala" non può in alcun modo essere equiparato a un affidamento preadottivo e non può quindi essere dichiarato come tale efficace in Italia, ai sensi dell'art. 36, comma 2, l. 4 maggio 1983, n. 184»; Trib. Min. Trento 10.09.2002: «Il minore marocchino affidato nel suo paese di origine a due coniugi italiani mediante provvedimento di "kafala" e autorizzato all'ingresso in Italia dalla Commissione per le adozioni internazionali, non potendo essere adottato con adozione legittimante a causa della non equiparabilità della "kafala" ad un provvedimento preadottivo, si trova in una situazione di constatata impossibilità di affidamento preadottivo, e può quindi, nel suo interesse, essere adottato dagli affidatari mediante adozione in casi particolari»; Cass. Civ., sez. I, 4 novembre 2005, n. 21395: «In tema di adozione di minore marocchino, l'istituto di diritto islamico della "kafalah", sebbene attribuisca ai coniugi affidatari un potere dal contenuto educativo sostanzialmente assimilabile all'affidamento preadottivo, non attribuisce né la tutela né la rappresentanza legale del minore, con conseguente inammissibilità dell'opposizione degli affidatari alla dichiarazione di adottabilità del minore stesso»; 36 LA GIURISPRUDENZA ITALIANA La giurisprudenza italiana si è espressa in tema di: RICHIESTE DI RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE TRA PERSONE LEGATE DAL RAPPORTO DI KAFALA; IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DELLA KAFALA GIUDIZIALE. 37 CASS. CIV., SS. UU., 21108/2013 Sul ricongiungimento del minore in kafalah si sono recentemente pronunciate anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Civ. SS. UU., 16 settembre 2013, n. 21108). In questa pronuncia la Cassazione ha evidenziato la differenza di disciplina applicabile in base alla nazionalità del soggetto affidatario (kafil): 1. se l’ingresso del minore è richiesto da uno straniero (extracomunitario), il riferimento normativo è il T.U. sull’immigrazione (d.lgs. 286/1998 art. 29); 2. se il kafil è cittadino italiano, si applica il d.lgs. 30/2007, che regola il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Con riferimento a quest’ultima fattispecie (ricongiungimento con il cittadino italiano), le SS. UU. hanno evidenziato che l’art. 2, lettera b) del d.lgs. 30/2007, con riguardo al concetto di « familiare » ai fini del suddetto decreto, sembra fare esclusivo riferimentoal legame di parentla tra soggetti che discendono direttamente dallo stesso stipite, correlati tra loro per effetto di un vincolo biologico ovvero di un legame comunque assimilabile alla procreazione, come l’adozione o l’affidamento preadottivo, con la conseguenza che la kafalah sarebbe da escludersi, in quanto disomogenea e incompatibile rispetto a tali istituti. Cio, ad avviso della Corte, creerebbe una disparità di trattamento in danno dei cittadini italiani rispetto ai cittadini stranieri ai quali sarebbe consentito il ricongiungimento con i minori affidati in kafalah. 38 Secondo le Sezioni Unite, però, si tratterebbe di una discriminazione solo virtuale, vista l’art. 3, comma 2 dello stesso decreto, in base al quale «senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell’interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno…[di un familiare che] è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o [quando] gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente». Ad avviso delle Sezioni Unite, dunque, il riferimento a qualunque parente che « è a carico o convive » con il richiedente rappresenterebbe la chiave di volta per l’autorizzazione al ricongiungimento con il cittadino italiano, in quanto estenderebbe gli effetti del decreto fuori dai limiti tracciati dall’art. 2, lettera b) e quindi consentirebbe l’inclusione dei minori affidati in kafalah tra i soggetti legittimati all’ingresso a scopo di coesione. In sostanzia, le Sezioni Unite hanno riaffermato il diritto (già espresso da taluna giurisprudenza) di ricongiungimento familiare del minore affidato in kafalah al cittadino italiano, secondo il seguente principio di diritto: «Non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario, affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di "kafalah" pronunciato dal giudice straniero, nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano, ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito». 39 L’orientamento delle SS.UU. è stato confermato da successive pronunce, tra cui: Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2014, n. 11404: «In tema di ricongiungimento familiare del minore straniero, l'espressione «altri familiari» di cui all'art. 3, comma 2, lett. a), del d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 va interpretata estensivamente in conformità ai principi affermati dall'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 24 novembre 1989, ratificato con la legge 27 maggio 1991, n. 176, e dall'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000, secondo una accezione non strettamente parentale, in ragione del perseguimento del superiore interesse del minore, prevalente su eventuali interessi confliggenti.» . (Nella specie, la S.C. ha cassato il decreto della Corte d'appello con cui si era negata la qualifica di familiare di cittadino comunitario al minore extracomunitario non discendente diretto del coniuge o del partner, ma solo affidato in forza di un istituto quale la "kafalah" giudiziale, vigente nello Stato del Marocco, ai fini del ricongiungimento in Italia). Con riferimento alla possibilità di ricongiungimento familiare sulla base di una kafala «convenzionale»: Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2015, n. 1843: «La "kalafah" convenzionale, istituto di affidamento familiare proprio di alcuni ordinamenti giuridici che si ispirano all'insegnamento del Corano, non ha quale presupposto una situazione di abbandono del minore bensì di semplice difficoltà o inadeguatezza dell'ambiente familiare originario, sicché non cancella il rapporto di filiazione, ma si propone di assicurare al minore l'opportunità di vivere in una situazione più favorevole alla sua crescita. Pertanto, la valutazione circa la possibilità di consentire al minore l'ingresso in Italia ed il ricongiungimento con l'affidatario, anche se cittadino italiano, che non può essere esclusa in considerazione della natura e della finalità dell'istituto della "kafalah" negoziale, deve essere effettuata caso per caso in considerazione del superiore interesse del minore». 40 In relazione al riconoscimento di kafala «giudiziale»: Cass. civ., sez. I, 23 settembre 2011, n. 19450: «Deve essere dichiarata inammissibile la domanda, proposta ai sensi degli artt. 66 e 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riconoscimento in Italia del provvedimento di affidamento in "kafalah" di un minore in stato d'abbandono, ad una coppia di coniugi italiana, emessa dal Tribunale di prima istanza di Casablanca (in Marocco), atteso che l'inserimento di un minore straniero, in stato d'abbandono, in una famiglia italiana, può avvenire esclusivamente in applicazione della disciplina dell'adozione internazionale regolata dalle procedure richiamate dagli artt. 29 e 36 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (come modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476, di ratifica ed attuazione della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993), con la conseguenza che, in tale ipotesi, non possono essere applicate le norme generali di diritto internazionale privato relative al riconoscimento dei provvedimenti stranieri, ma devono essere applicate le disposizioni speciali in materia di adozione ai sensi dell'art. 41, secondo comma, della legge n. 218 del 1995». 41