Storia della filosofia medievale, Pereira

FILOSOFIA MEDIEVALE
La filosofia medievale è recente, del ‘900 e la domanda posta fino ad ora è fino a che punto la fede cristiana
è razionale.
Caratteristiche dell’evoluzione del pensiero:
- Affermarsi del cristianesimo: con la predicazione di Cristo e San Paolo, I d.C., l’espansione del
cristianesimo investe le elitè della società dell’impero romano. L’istituzione politica è
dell’imperatore, società inglobata nella romanitas. La dottrina cristiana pone una sottomissione del
cristiano alla volontà divina e opera una destabilizzazione della società chiedendo l’accettazione
dell’uguaglianza a due realtà
TRINITà
il cristiano deve accettare
RESURREZIONE DI CRISTO
qualcosa che non è
razionalmente visibile.
Si ritiene una natura triplice in cui il Dio stesso è divenuto uomo e dopo essere stato crocifisso, è risorto.
Questi aspetti di fede toccano un punto debole dell’idea fino ad allora coltivata dai romani della DIVINITà.
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Insieme di tradizione
e cultura --> il cristianesimo cancella tale caratterizzazione.
Con la predicazione di Paolo si fa vedere che Cristo nella storia è LOGOS
Connotare in maniera filosofica un’entità trascendente
Molti romani abbracciano tale dottrina e si adopera per poter scrivere in difesa d tale dottrina per
essere accolta da tutti. Solo attraverso il percorso politico di Costantino che diverrà religione di stato
(313, IV secolo d.C.).
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AGOSTINO D’IPPONA
È il primo che abbraccia questa dottrina è Agostino.
Allievo di Ambrogio da Milano. Visse prima di tutti questi fatti, ma sente molto di ciò. Di fatti dopo il Sacco
di Roma nel 410 d.C. scrive “La città di Dio” capendo che la civiltà ormai è morta e si deve fondere una
nuova società. Nel 410 Agostino è ormai vescovo, africano, con provincia romana, prima però compì un
percorso da pagano a cristiano con lo strumento della filosofia.
Il fondamento del pensiero filosofico medievale sta in Agostino.
Nasce in una famiglia la cui madre Monica era cristiana, ma Agostino studia per diventare retore e ritiene
che i dogmi nell’antico testamento sono favole e quindi non hanno nessun valore, tanto meno filosofico. Lui
vuole risposte scientifiche su problemi come: perché esiste il male?
Per affrontarlo si avvicina a un percorso religioso, il MANICHEISMO
I principi del bene e del male
sono ontologicamente dati,
reali e sono sempre in lotta tra
loro.
Agostino
ritiene questo
scientificamen
te dato, cioè a
domanda c’è
una risposta.
Quando si trasferisce per gli studi di retore a Roma, va nell’Accademia (matrice scettica) dove conosce
personaggi che mettono in crisi il manicheismo.
Gli si chiede come sia possibile pensare che tale risposta è scientifica, la risposta non segue un percorso di
ricerca o consapevolezza-->il metodo filosofico è il ricercare (=rendersi conto del problema). Si deve capire
cosa è il male, non che c’è.  si approda allo SCETTICISMO.
Si trasferisce a Milan, a contatto tra i platonici e conosce il vescovo Ambrogio (anche lui prima pagano) e
comincia a conoscere una parte della traduzione di PLOTINO.
Qui trova tre ipostasi:
1) UN PRINCIPIO CHE AL SOMMO DELL’ESISTENZA (=prima realtà trascendenza), C’è UN UNO CHE SI
IDENTIFICA CON IL PRINCIPIO DEL BENE.
Questa ontologizzazione del bene per Agostino riporta quello del discorso del male: se al sommo
c’è il bene, il male è al di fuori di questa totalità. Agostino considera i testi della Bibba e accosta la
realtà del Dio della Bibbia all’uno del sommo bene.
2) DAL SOMMO BENE EMANA UN PRINCIPIO CHE COINCIDE CON IL NOUS, INTELLIGENZA CHE
CONTIENE L’ESSERE.
In questa connessione vede quella tra Padre e Figlio
UNO = BENE (il Padre)
struttura che fa comprendere la trinità
NOUS = ESSERE (il Figlio)
cristiana
3) È L’ANIMA, è LO SPIRITO CHE METTE IN COMUNIONE PADRE E FIGLIO, E QUINDI TRASCENDENZA E
IMMANENZA.
Inizio del processo di cristianizzazione
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Il cristianesimo si configura per Agostino come una dottrina che devo sempre andare avanti (scetticismo).
Resta sempre però una verità accolta solo per fede. Dice “non comprendo la verità, ma la cerco con la
ragione”.
Ciò che vale per Agostino vale per gli altri autori (sforzarsi di ragionare razionalmente) --> esercizio della
razionalità.
Non è un autore medievale, ma ne getta le basi. Una volta maturato tale principio, il modo in cui guarda la
Bibbia è diverso, deve spiegare perché ci sono scritte cose che non sembrano favole, racconti, ma lo sono.
Esegesi del testo Biblico  interpretazione
Le parole sono uno strumento per ricercare una verità dietro la parola.
Il filosofo diviene colui che si confronta con un testo, no filosofico, ma di fede e li deve andare a cercare il
vero messaggio dietro le allegorie.
DE GENESI AD LITTERAM: l’opera della creazione è raccontata nelle prime pagine della genesi. Ad Agostino
interessa la creazione perché si trova di fronte a una visione per la quale le cose che esistono sono arrivate
ad esistenza. Agostino pensava che il mondo sia eterno (per Aristotele non c’è nessun principio che
giustifica l’esistenza per cui il mondo è eterno). La Bibbia dice: “in principio Dio creò il cielo e la terra”.
L’incipit “in principio” è temporale.
Nel Timeo di Platone (cosmogonia) il demiurgo dà avvio all’anima del mondo, ma non crea il caos della
materia iniziale, ma ordina in base alle idee eterne.
Come fare a sposare ciò con il principio di creavit di Dio?
Il passaggio dal non-essere all’essere è qualcosa che si può ammettere in base alla potenza divina. Ciò che
dice la Bibbia è che l’esistenza non si dà da sé. L’essere di qualcosa, secondo Agostino, è data da Dio.
L’uomo c’è perché l’ha voluto Dio. Ciò vale per tutte le realtà naturali.
L’atto della creazione è simultaneo e immediato, non c’è una scansione temporale quindi non una
collocazione di Dio nel tempo e nello spazio, ma è linguaggio per fa capire che Dio è padre di tutte le cose.
La lettera della Bibbia deve essere compresa attraverso la razionalità, coglierne il senso filosofico.
Questa dottrina di Agostino non è stata accolta d tutti. Lui vuole dare delle risposte di tale testo anche
perché opera attraverso l’intelletto e la ragione, non solo per fede.
Muore nel 430.
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CARATTERI GENERALI E APPROCCI STORIOGRAFICI
Il Medioevo va dal 500 al 1500 a.C. in questo periodo ci sono varie trasformazioni della civiltà occidentale:
caduta dell’impero romano, formazione regni romano-barbarici, rinascita impero con Carlo Magno,
diffusione del cristianesimo, nascita religione islamica. La Chiesa diventa centro di potere politico. Si
formano gli stati nazionali.
Lo sviluppo del pensiero filosofico avviene per due impulsi: 1) esterno; legato alla disponibilità dei testi 2)
interno; legato all’evoluzione dell’organizzazione delle discipline e sviluppo dottrinale teologico, filosofico e
scientifico.
Nell’XI e XII secolo si ha un grande spazio del pensiero grazie al contatto con la cultura ebraica e islamica.
Infine dal 1200 alla fine del Medioevo nascono le università che permette la diffusione e lo sviluppo della
SCOLASTICA. Nel XIV secolo nasce l’umanesimo fuori dalle università. Nel XIV e XVII secolo si ha la SECONDA
SCOLASTICA. Il Medioevo veniva caratterizzato da un’epoca di decadenza degli studi e valori filosofici. Ciò
dovuto anche alla mancanza d’interesse per gli sviluppi del pensiero del medioevo da parte degli autori
della storia della filosofia di Stanley e Brucker. Nell’800 si ha un’attenzione invece al pensiero medievale.
Una spinta determinante si ebbe in ambito cattolico con la ripresa del tomismo, contenuta nell’enciclica
AETERNI PATRIS del 1879 che valorizzava la scolastica identificandola con il pensiero di Tommaso. La
NEOSCOLASTICA reimpostò il pensiero medievale su basi storiche.
Alla matrice neoscolastica si riallacciò Gilson che se ne differenziò definendo la filosofia medievale come la
filosofia cristiana,secondo cui per lui “comprendere la rivelazione è la filosofia stessa”, modalità cristiana di
fare filosofia. Nell’ambito della storia del pensiero scientifico la filosofia medievale ricevette un’attenzione
dall’epistemologo Duhem che muovendo alla ricerca della scienza moderna aveva indicato negli sviluppo
dell’aristotelismo medievale segnali di precorrimento della scienza galileiana. Il riconoscimento di elementi
di continuità non deve vedere la differenza tra filosofia moderni e medievali  STRAUSS dice infatti “la
filosofia medievale si contraddistingue per un radicalismo filosofico che risulta assente dalla filosofia
moderna o che è, sotto l’aspetto più importante, superiore alla filosofia moderna.”
I LUOGHI DELL’INSEGNAMENTO FILOSOFICO
I MONASTERI: nell’alto medioevo la cultura classica sopravviveva grazie al fatto che era utilizzata nella
formazione dei monaci, copiate nelle scriptoria monastici. Le arti liberali costituivano il nucleo
dell’insegnamento nelle scuole. La cultura era basata sulla lettura e il commento esplicativo dei testi che
costituivano il programma di ciascuna delle discipline contenute nelle arti liberali. Negli scriptoria si
copiavano su pergamena gli scritti degli autori antichi e quelli dei Padri della Chiesa.
Il monachesimo si sviluppò nell’Europa del Nord e svolge un’importante funzione di conservazione e
trasmissione dei testi classici in un periodo difficile (che va dalla caduta del regno visigoto alla rinascita
carolingia del VIII-IX secolo). Tale attività è dovuta a uomini come COLOMBIANO, GIALLO, BEDA IL
VENERABILE.
LE SCUOLE DELL’IMPERO CAROLINGIO:è dalle isole britanniche che le arti liberali e la filosofia tornano sul
continente europeo nel momento in cui Carlo Magno promosse la riforma culturale nota come rinascita
carolingia che aveva una finalità politica ben precisa: organizzare le strutture amministrative del suo regno
utilizzando l’istruzione e la cultura ecclesiastica.
Le scuole carolinge furono culla di dibattiti filosofici importanti: dentro questo movimento, denominato
“prima Scolastica” emerse il primo pensatore: Giovanni Scoto Eriugena.
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ALCUINO DI YORK
Discepolo di Beda il Venerabile, nel 781 incontra Carlo Magno e da quel momento l’attività del dotto
inglese si divise tra insegnamento, redazione di manuali sulle arti liberali e di opere filosofiche-teologiche e
l’organizzazione delle scuole. Nominato maestro del palazzo.
Il valore attribuito alla cultura nell’ambiente carolingio è manifesto nel primo capitolare (=legge emanata
dai re ai loro successori) di Carlo Magno dove si dice che i vescovi devono assumersi il compito
dell’insegnamento perché le opere buone sono certamente un bene più grande della scienza, ma senza la
conoscenza è impossibile fare il bene”.
Non c’è unità senza cultura e non c’è cultura senza monasteri.
Alcuino non fu un pensatore originale, nelle opere filosofiche si pose, come fece Boezio, il problema
dell’uso della terminologia filosofica in campo teologico, metafisico e psicologico seguono un’impostazione
agostiniana. Gli ultimi anni di vita li visse in un’abbazia come un monaco. I suoi manuali che riassumevano il
contenuto delle arti del trivio divennero i libri di testo più accreditati accanto a quelli di Boezio dedicati
all’aritmetica e alla musica.
LE SCUOLE CITTADINE: nuove scuole si rivelavano presto in grado di proporre tematiche nuove come il
rapporto possibile tra Sacra Scrittura e autori dell’antichità pagana, l’approfondimento delle arti del trivio e
la ripresa d’interesse per i trattati di logica di Boezio.
Tutti questi temi trovano ampio sviluppo nelle scuole durante l’XI e il XII secolo quando nuovi centri
d’insegnamento, sia monastici che cittadini, introdussero nuovi materiali e nuovi nuclei di riflessione.
A Montecassino ebbe inizio nel corso dell’XI secolo un’attività di traduzione in latino di testi medici arabi
ad opera del monaco Costantino l’Africano.
A San gallo il monaco Notker promosse la traduzione in tedesco di testi scritturali e filosofici.
A Parigi l’insegnamento della logica iniziò a strutturarsi in maniera robusta, abbandonando la mediazione
manualistica per accedere ai testi aristotelici detti logica vetus (Categorie e de interpretazione) studiati e
commentati con l’aiuto delle opere di Boezio.
Nella scuola di San Vittore l’attenzione è sugli sviluppi delle tecniche (dette arti meccaniche dove il sapere
convive con il fare) e sul rapporto fra cultura e contemplazione mistica.
A Chartes l’interesse dei maestri delle scuole capitolari si rivolse ai nuovi testi scientifici e filosofici tradotti
dall’arabo.
Nelle scuole di carattere laico si svilupparono interessi giuridici e medici, finalizzati allo svolgimento delle
professioni intellettuali valorizzate nella vita quotidiana.
LA NASCITA DELLE UNIVERSITà: l’insegnamento si era fatto più complesso
Non era più finalizzato
all’acquisizione dei strumenti per la comprensione
del testo sacro.
Un insieme d fattori economici e sociali legati alla ripresa della vita della città fece emergere una
nuova figura
CHIERICO
L’uomo che per mestiere scrive e insegna.
È un professore, un intellettuale.
Nel XIII secolo, con l’affermarsi delle corporazioni, anche il “mestiere” dell’intellettuale dette luogo a un
raggruppamento organizzato UNIVERSITAS SCHOLARIUM, le università.
A Parigi il cancelliere perde il diritto di conferire la licenza per autorizzare a insegnare, possono darli i
maestri dell’università. L’università viene tolta dalla giurisdizione episcopale.
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L’origine delle università non fu ovunque uguale. La corporazione degli intellettuali costituiva un gruppo
sociale e omogeneo composto di soli uomini non legati a voti o alla disciplina monastica (nasce qui il
fenomeno della goliardia).
NOVITà E DIVIETI:l’ingresso di Aristotele nella cultura occidentale grazie alle traduzioni dall’arabo,
coincideva con la formazione delle università. La sua affermazione fu però discussa perché le opere fisiche e
metafisiche erano molto diverse dalla concezione del mondo agostiniana- platonica che andava da Boezio a
Chartes.
Nel 1215 ci fu uno statuto emanato da Roberto di Coucon che riformava le condizioni dello studente e il
curriculum secondo il quale si possono leggere i libri sulla dialettica, ma non quelli sulla metafisica e fisica
naturale.
Dopo quarant’anni fu al centro dell’insegnamento a Parigi.
DIVERGENZE E CONDANNE: nella seconda metà del secolo, la facoltà delle arti alla base della propulsione
dei testi basati su Aristotele (che non vedono più la filosofia come sapienza cristiana come faceva Agostino)
che affermava l’autonomia della ricerca razionale (anche senza intaccare il campo delle novità di fede).
Difficoltà nell’autorità ecclesiastica che emanò due condanne:
 1270
contro ogni forma di emancipazione della filosofia
 1277, di Tempier
dalla teologia.
Vennero così condannate le tesi metafisiche degli averroisti (eternità del mondo e unicità intelletto) e le
proposizioni deterministiche (dipendenza del mondo sublunare dagli astri). Contro le teorie secondo cui si
può trovare la felicità somma anche in questa vita e consiste nella contemplazione intellettuale.
Tempier condannò 219 proposizioni filosofiche poiché i loro autori affermano che le loro dottrine sono vere
secondo la filosofia di Aristotele, ma non secondo la fede cattolica, come se esistessero due verità opposte.
Questa teoria della doppia verità sembra una forzatura da parte della chiesa che dimostra l’opera di
oscurantismo contro la libertà della ricerca filosofica.
CONTRASTI E POLEMICHE: la battaglia contro l’introduzione di Aristotele s’intreccia con altre dispute che
avevano travagliato la vita delle università di Parigi.
Questione sollevata per l’inserimento degli ordini
mendicanti nella vita universitaria.
Domenicani Francescani
L’ordine dei frati predicatori di DOMENICO DI GUZMAN con lo scopo di far fronte alle sette ereticali
prevedeva la predicazione come compito specifico che richiedeva una grande preparazione culturale;
nascono gli studia.
L’ordine fondato da FRANCESCO D’ASSISI predicava la povertà (=distacco da ogni realtà mondana).
Alessandro di Hales fu il primo magister francescano.
Nel 1255 Guglielmo di Sant- Amova attaccò la vita dei regolari (frati, sottomessi alla regola) affermando che
erano contrari alla morale e alla religione.
Nel 1256 il papa confermò i diritti dei due ordini a mantenere le loro cattedre teologiche designandole a
Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio.
NELLE CORTI E NELLE CITTà: accanto ai luoghi d’insegnamento di matrice ecclesiastica (università e studi
generali degli ordini) la nuova cultura filosofica e scientifica si diffuse nelle corti e nelle città. Nel ‘200 la
curia di Federico II fu un luogo d’innovazione culturale dove Michele Scoto realizzò nuove traduzioni dei
testi aristotelici accompagnate dai commenti di Averroè. Attenzione ai testi scientifici arabi, lo stesso
imperatore fu indagatore della natura. Promosse una produzione culturale extra universitaria. Fece lo
stesso la curia papale, corte catalana e molti altri.
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TRADIZIONI TESTUALI E NUOVI GENERI DI SCRITTURA
LE ARTI LIBERALI: l’evoluzione dell’idea di filosofia nel Medioevo si ha contemporaneamente all’idea di
AUTORITà riconducibile a una duplice fonte
Testi sacri
Eredità cultura classica
Nell’impero romano d’occidente le condizioni storiche pessime provocarono l’impoverimento della
produzione culturale autonoma, cui fra il V e VI secolo si oppone una condizione di vita nuova, il
MONACHESIMO.
Seguono delle regole stabiliti da BENEDETTO DA NORCIA VI secolo ORA ET LABORA
Prega
Scrivere (ricopia Bibbia)
La gente che vive nel monastero deve imparare a leggere e scrivere ai fini della lettura della Bibbia, ma le
condizioni in cui vivevano erano pessime. Nell’antichità erano affidate agli schiavi, ciò resta anche in
Agostino, nei dialoghi dice che c’è un servo li con loro che scrive le tavolette di cera. Lettura e scrittura sono
lavori servili prima. Il monaco ora entra così in possesso di vari testi antichi che ricominciano a scrivere. Le
prime biblioteche si svilupparono proprio nei monasteri, unici luoghi protetti. Tra questi monasteri spiccano
quelli inglesi e irlandesi.
Nel monastero in Calabria, Cassiodoro nel VI secolo raccoglie l’insieme delle Arti liberali
In 7 discipline
fondamentali
che
raccoglievano
tutto il sapere.
Le ARTI SERMOCINALI, o del TRIVIO erano:
Le ARTI REALI, o del QUADRIVIO erano:
Grammatica
Dialettica
Retorica
Aritmetica
Geometria
Musica
Astronomia
Nome deriva
dall’essere
considerate
conoscenze di base
degli uomini liberi.
introducevano uno studio della struttura
latina, analisi logica, studio discorso
persuasivo.
vertono sulla conoscenza della realtà del
numero, spazio, armonia e moto degli
astri.
Le arti liberali costituivano il livello d’insegnamento con cui
Gli studenti dovevano iniziare il loro curriculum.
LE ENCICLOPEDIE: nel regno della Spagna nel VII secolo, ISIDORO DI SIVIGLIA costruisce la sua enciclopedia
Etymologiarum libri, composta da 20 libri inserendo le arti liberali, in uno schema dilatato contenente
medicina,, architettura, agricoltura); il collegamento tra i vari campi del sapere è operato a partire dal tipo
di analisi più elementare, quella grammaticale
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 Ritrovare i significati originari delle parole permetteva di avere un accesso diretto alla verità.
L’accesso alla verità costituisce una struttura di fondo del
pensiero medievale: dal racconto biblico si apprende che
gli uomini si sono infatti allontanati da Dio, la fonte della
verità, con il peccato originale. I costumi si sono corrotti,
la vita accorciata, il sapere impoverito.
Da qui la necessità di
volgere lo sguardo
all’indietro per poter
attingere conoscenze di
qualche validità.
Oltre all’Etymologiae il genere enciclopedico si arricchisce sempre più. C’è il Didascalicum di Ugo di San
Vittore, il Dragmaticon philosophiae di Guglielmo di Conches. Nel XIII secolo, oltre ai nuovi generi culturali
coltivati nelle scuole, c’erano comunque le enciclopedie come lo speculum di Vincenzo di Beauvais che
propone come il contenitore di tutto il sapere standard dell’epoca, dove inserisce anche elementi di novità.
Era il precettore dei figli di Luigi IX il re santo della Francia, la sua opera è anche il frutto di presentare la
cultura propria del tempo a un pubblico più largo, ma privo di strumenti specialistici con cui comprendere.
Fece dell’enciclopedia quindi uno strumento di diffusione culturale.
LE TRADUZIONI: nel XII secolo iniziò un’opera di traduzione di testi di cultura. I testi dell’antichità greca
nell’occidente medievale erano arrivati in modo limitato (di Aristotele si leggevano solo le Categorie e il De
interpretazione. Di Platone il Timeo mutilato della parte finale).
Le opere originali erano sopravvissute a Bisanzio, dove il greco era lingua parlata e da li furono tradotte nel
vicino oriente nella Siria, a motivo delle condanne religiose.
Nell’VIII secolo a Baghdad si elaborò un programma politico di assimilazione della cultura greca. Traduzione
di varie opere scientifiche seguito da un grande slancio creativo di Al-Razi, Avicenna e Averroè.
Fra il XII e il XIII secolo, nei territori di confine in cui la popolazione di lingua araba si mescolava con quella
di lingua latina - romanza, alcuni intellettuali cristiani cominciarono un’opera di traduzione che riversò nelle
biblioteche latine molti testi che divennero oggetto di studio e commenti.
Lavoro di traduzione: l’interpretazione era effettuata da un mediatore orale che leggeva al traduttore, il
testo nella lingua di uso quotidiano. Il traduttore volgeva il testo dal volgare al latino.
IL CORPUS ARISTOTELICO: il lavoro di traduzione si svolgeva sulle opere di Aristotele. Le prime opere
reintrodotte nell’Occidente latino furono gli scritti dell’organon, Analitici primi e secondi, Topici, elenchi
sofistici.
Le traduzioni dal greco sono dovute a: Giacomo Veneto, Enrico Aristippo, traduttori anonimi.
Le traduzioni dall’arabo sono dovute a Gerardo da Cremona.
Dopo tutte le opere di Aristotele furono tradotte da MICHELE SCOTO accompagnate dai commenti di
Averroè.
L’interesse per il completamento dell’organon era legato allo sviluppo della logica nella scuola. La
suddivisione aristotelica della filosofia nei tre rami (fisica, metafisica ed etica) non trova spazio nel sistema
delle arti liberali e suscitò un dibattito sulla suddivisione della filosofia.
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COMMENTO: questo è la forma predominante nella produzione scritta nelle scuole medievali. Si
introducono gli accessus ad actores.
=autorevolezza, contenuto di verità di un testo
collocandone l’autore nel canone della tradizione.
Due momenti sul lavoro dei testi:
1) LECTIO: lettura commentata. Permette di percorrere i diversi livelli d’interpretazione per vedere i
diversi significati fino ai quattro sensi della Bibbia: letterale, allegorico, morale, anagogico.
2) QUAESTIONES: enucleazione
Il testo della lezione poteva essere redatto dal maestro oppure trascritto dai discepoli, in questo caso si ha
la REPORTATIO.
Fino all’invenzione della stampa importante era la MEMORIA che permetteva la trasmissione orale.
La riproduzione scritta dei testi viene favorita dalle università, copie eseguite con un lavoro parcellizzato da
copisti specializzati, coordinati dal libraio (Statuonarius) ai quali venivano affidati fascicoli (Paciae) del
manoscritto ufficiale definito Exemplar. Ogni pecia riprodotta per un determinato numero di volte, ma il
costo del materiale era molto alto.
LA QUESTIO: oltre al commento a partire dalla lectio si ha la QUESTIO: determinati punti del testo erano
isolati per dottrina o difficoltà, e sottoposti a un esame. Le quaestiones venivano sottoposte all’ambito del
corso.
Modus operandi: il maestro esponeva l’argomento in forma di domanda (utrum), proponeva e discuteva gli
argomenti a favore e quelli contrari (contra), veniva avanzata un’ipotesi di soluzione e infine il maestro
giungeva alla determinatio finale, che poteva anche essere seguita da una confutazione degli argomenti
contra. In tutti questi passaggi il tipo di ragionamento adottato era quello sillogistico (ragionamento
scientifico per eccellenza era per Aristotele).
Questa forma di dibattito a Natale e a Pasqua raggiungeva forme di spettacolarità, poiché si disputava in
pubblico le questioni quodlibetali, dove il maestro rispondeva a questioni sollevate dagli interlocutori.
Nel XIV secolo le raccolte di quaestiones si diffusero nella scolastica.
LA FILOSOFIA SULLE ALTRE SPONDE DEL MEDITERRANEO
CROCEVIA FILOSOFICO: nel I secolo a.C., la tradizione filosofica greca si era diffusa nel mondo latino e
continuò a diffondersi ad Atene, Roma e Alessandria. Nel 395 ci fu la separazione dell’eredità imperiale
romana nei due imperi, d’oriente e occidente. Le vicende politiche spezzarono l’unità culturale dell’area
mediterranea, dove nei primi secoli dell’era cristiana aveva convissuto, sia le due lingue classiche (greco e
latino) che le religioni orientali accanto alle scuole filosofiche antiche e dove il cristianesimo nel 313 si era
affermato.
Accanto al mondo latino – barbarico e a quello greco – bizantino nel VII secolo si inserì nello scenario
mediterraneo, l’ISLAM, potenza religiosa e linguistica, politica, nata dalla predicazione di Muhammad,
Maometto.
L’eredità filosofica fu raccolta ed elaborata in maniera diversa nelle tre grandi aree, ma in tutte era centrale
il confronto con i contenuti della religione rivelata.
Nel I secolo d.C. l’ebreo Filone d’Alessandria scrivendo in lingua greca, propose un’interpretazione
allegorica della Bibbia ed elaborò una filosofia in cui il tema della creazione e provvidenza divina erano
interpretati alla luce di concezioni neoplatoniche e pitagoriche.
A partire dal II secolo il cristianesimo era stato usato per confrontarsi con le filosofie antiche. Da ciò ne
risultò un privilegio per le opere platoniche e neoplatoniche.
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L’epoca medievale si differenzia per questo dall’antichità: il confronto fra eredità culturali diverse, la
filosofia classica e la rivelazione biblica, sullo sfondo d’intreccio tra la cultura cristiana e barbarica.
Questi tendevano ad essere separati, ma con la guerra gotica nel V secolo e la divisione dell’impero
romano, le popolazioni d’occidente entrarono in relazione con le ondate di invasori. Una delle
preoccupazioni di Isidoro di Siviglia era dare forma a un linguaggio comune. Già il lavoro di Boezio nel VI
secolo muoveva dall’intento di conservare i prodotti della cultura antica e l’opera del monachesimo fu
caratterizzata proprio dalla volontà di conservazione dei materiali della cultura cristiana nel contesto
cristiano. L’incontro di mentalità differenti fu però proficuo perché portò al concetto di uguaglianza
presente nel cristianesimo tanto che la presenza femminile assumeva importanza anche in campo religioso
e letterario. Il medioevo è quindi un periodo di grandi trasformazioni che portarono che assunsero un ritmo
incalzante quando nel XII secolo le traduzioni determinarono il primo contatto culturale tra le altre civiltà
mediterranee, quelle di lingua greca e araba. In lingua araba scrivevano anche i filosofi ebrei che scelsero di
confrontarsi con l’eredità del pensiero classico, la lingua ebraica era invece riservata alla tradizione biblica e
a testi sacri.
LA FILOSOFIA A BISANZIO: lo sviluppo qui della filosofia fu caratterizzato dalla centralizzazione della vita
culturale alla corte imperiale e dall’utilizzazione esclusiva della lingua greca classica. C’era un orientamento
conservativo ed erudito nei confronti della cultura classica che si espresse nella forma del commento, ne è
un esempio la ricezione del corpus aristotelico che nel mondo bizantino ebbe una storia diversa rispetto
all’occidente. I commentatori erano ad esempio Simplicio e Filopono (detto Giovanni il Grammatico, primo
cristiano a commentare Aristotele). L’elemento di quest’ultimo è l’ispirazione neoplatonica su cui cerca di
conciliare Aristotele e Platone.
Gli intellettuali greci diversamente da quelli occidentali avevano infatti accesso alle opere di Platone e dei
neoplatonici e l’orientamento filosofico era quello platonico.
Proclo ebbe influenza su Dionigi peudoAreopagita, primo filosofo cristiano di lingua greca, tradotto in latino
da Giovanni Scoto Eriugena.
La pratica della filosofia si sviluppò separatamente dal pensiero religioso. Un confronto religioso con la
filosofia si ebbe, dopo l’età dei Padri, al tempo della disputa sull’esicasmo nel XIV.
All’XI secolo risale il lessico dell’erudito Suda, un’opera enciclopedica della cultura classica, bizantina ed
islamica.
A Bisanzio l’insegnamento della filosofia non fu mai istituzionalizzato in maniera stabile, ma fu praticato in
circoli privati.
Gli scambi con l’Occidente si intensificarono dal XII secolo fino a diventare importanti nel concilio di Ferrara
e Firenze (1438) indetto per unificare le chiese d’oriente e occidente separate dallo scisma del 1054.
LE ORIGINI DEL PENSIERO ISLAMICO: dal XII il pensiero islamico ebbe grandi sviluppi.
Averroè privilegiò il pensiero di Aristotele contro la concezione del mondo animato da anime celesti, gli
angeli, espressa da Avicenna che dava veste filosofica al sapere tradizionale dei profeti e dei mistici.
L’Islam è un movimento religioso fondato sulla rivelazione contenuta nel libro sacro, il Corano.
Sul piano storico è come se la nascita del pensiero arabo – islamico fosse una conseguenza diretta della
riflessione sul testo sacro per chiarire norme di vita religiosa in esso contenuto. Le questioni giuridico
dottrinali (fiqh) sono le prime sulle quali sono chiamati ad esercitarsi gli studiosi. Dopo si sviluppò una
riflessione razionale autonoma sul Corano, detta Kalam, teologia speculativa e si formò il sufismo
(=movimento mistico). Tale teologia speculativa nasceva da un’esigenza apologetica, infatti le prime
esercitazioni dialettiche sono destinate a controbattere le tesi di ebrei e cristiani.
Il momento culminante dell’incontro tra pensiero islamico e quello occidentale, si ebbe nel XII secolo, con il
movimento delle traduzioni che introdusse i latini alla conoscenza e lettura delle opere antiche, ma anche
della produzione originale dei filosofi arabi.
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LA FILOSOFIA NELL’ISLAM: l’espansione dell’islam verso il mediterraneo e l’oriente, mise i musulmani a
contatto con la cultura classica dei cristiani e degli ebrei che vivevano nei territori conquistati. In quanto
popoli del libro, i musulmani garantirono protezione, assimilando da loro la scienza e la filosofia. Stesso
atteggiamento di protezione nei confronti della civiltà harriana, dove l’islam recepì una letteratura
cosmologica, astrologica e magica attribuita dalla rivelazione di ERMETE TRISMEGISTO.
AL-KINDI pensava di poter conciliare la filosofia con la religione; difese l’idea della creazione dal nulla,
l’unità e trascendenza di Dio. Le concezioni aristoteliche sono elaborate secondo una visione del mondo
essenzialmente platonica con sfumature pitagoriche, concepisce la realtà creata come una relazione tra
enti irradiati. Interpreta teologicamente la causa prima di Aristotele.
Con AL-FARABI la filosofia greca è intesa come un mezzo al servizio del fine della salvezza e la riflessione
filosofica ha un legame immediato con la politica, poiché il profeta (Imam), colui che conosce mediante
l’unione intuitiva con l’intelletto agente e ciò che attinge la verità, è l’unico che può guidare gli uomini a
raggiungere nella città perfetta il fine ultimo, la felicità.
Molte opere sue sono commenti alle opere di Aristotele di cui segue il metodo logico. Esaminò le categorie
da un punto di vista logico-metafisico sviluppando, nell’esame della nozione di accidente, la distinzione tra
essenza ed esistenza.
Interpreta in maniera unitaria la filosofia di Platone e Aristotele.
Per lui la nozione di Causa prima coincide con Dio, la cui esistenza è provata aristotelicamente con
l’impossibilità di un regresso all’infinito nella ricerca delle cause, mentre le sue caratteristiche e modalità
d’agire derivano dal neoplatonismo. La causa prima (origine della realtà) produce il primo intelletto da cui
attraverso un processo emanatistico, che ad ogni fase contempla due diversi modi di riflessione (uno al
principio superiore che produce un successivo intelletto e uno di ogni intelletto su stesso che produce il
cielo a sé corrispondente) si giunge alla formazione della decima intelligenza, l’intelletto agente che
governa il mondo sublunare e gli intelletti umani e della sfera della luna.
La conoscenza avviene attraverso l’unione con l’intelletto agente: per i profeti avviene intuitivamente, con
l’immaginazione, per i filosofi in modo razionale con i quattro gradi dell’intelletto:
1) Questo è in potenza, come pura possibilità di ricevere le forme astratte dalla natura
2) In atto quando realizza tale possibilità a partire dalla conoscenza della sensibilità
3) Acquisito quando contiene l’insieme delle forme che permettono le operazioni mentali in modo
indipendente dal contatto con la realtà sensibile.
4) Il grado supremo, quello agente, luogo eterno degli intellegibili, esterno all’uomo e di natura divina.
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AVICENNA
Intende la filosofia greca come guarigione dell’anima dall’ignoranza e la ricerca mistica. Rielaborò la
filosofia peripatetica ispirandosi ad Al-farabi e utilizzando i testi neoplatonici, lavoro visto per conciliare la
filosofia con la religione. Per lui il mondo è stato creato dall’unico essere assolutamente necessario, Dio e
dipende strutturalmente a lui. L’atto creatore s’identifica con quello conoscitivo di Dio che si manifesta
producendo una serie di emanazioni, l’ultima della quale, l’intelletto agente, irraggia le forme intellegibili
che permettono la sussistenza degli esseri individuali.
La conoscenza è resa possibile all’intelletto umano dall’illuminazione che proviene dall’intelletto agente:
attività filosofica come percorso verso l’unione mistica con Dio.
Distingue vari intelletti:
 INTELLETTO MATERIALE: pura potenzialità di conoscere data a ciascun uomo
 INTELLETTO POSSIBILE: conosce i primi intellegibili
 INTELLETTO ACQUISITO: sono l’insieme delle conoscenze acquisite nel processo d’unione con
quello agente
 INTELLETTO SANTO: del profeta, che si unisce con quello agente.
La sua filosofia costituisce uno sviluppo alla speculazione razionale. Contro il pericolo rappresentato dal
razionalismo si levò la critica di AL-GHAZALI alla filosofia che negava la capacità di fornire conoscenze vere
intorno alla divinità.
AVERROè
Sembra distaccato dalle esigenze religiose. Distinse fra vari modi di accostarsi alla verità. Dice che gli
uomini, in riferimento alla legge religiosa si dividono in tre gruppi:
1. A cui non compete l’interpretazione allegorica, che si adattano alle argomentazioni retoriche.
2. Quello che si giova dell’interpretazione dialettica.
3. Quello dell’interpretazione vera.
Celebre per i commenti ad Aristotele in ebraico e latino.
Sono di tre tipi: 1) lunghi: utilizzano il metodo del commento coranico
2) medi
3) brevi: carattere antologico (=passi scelti)
Tiene Aristotele lontano dalle incrostazioni platoniche.
Affrontando così il tema dell’intelletto come Aristotele lo espone nel terzo libro del trattato sull’anima,
Averroè ne sviluppa l’interpretazione che separa l’intelletto possibile dal corpo (=essere umano)  la
conoscenza razionale non deriva dal possesso, ma dall’unione del singolo uomo nell’atto conoscitivo
all’intelletto potenziale o materiale (unico per tutta la scienza).
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FILOSOFIA ED EBRAISMO: il tema dell’XII e XII secolo è il dialogo tra i sapienti che rappresentano la
religione: araba, ebraica e cristiana.
È un esempio il Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano di Abelardo scritto intorno la
metà del XII secolo in cui si dice che vide tre uomini che venivano in tre diverse direzioni e
chiese loro che religione professavano. Loro dissero di appartenere apparentemente a tre
diverse religione, ma affermano di adorare senza dubbio Dio anche se con uno stile di vita
diverso. Un pagano, che è il filosofo che si appaga della legge di natura. Gli altri due hanno
dei testi sacri, uno di loro è giudeo, l’altro cristiano.
Dopo un secolo Raimondo Lullo nel Libro del Gentile e due tre savi mostra ancora di più come al di là delle
divergenze dottrinali esista un fondamento comune, una possibilità di comunicare, come il monoteismo di
fondo o il fatto che siano tutte religioni del libro che contraddice la crociata e apre uno spazio di riflessione
che trova un’elaborazione alla fine dell’Età medievale con Nicola Cusano e il De pace fidei.
L’ebraismo si era confrontato con la filosofia greca prima del cristianesimo. Filone di Alessandria scriveva in
greco perché considerava l’ebraico la lingua sacra. Fino al IX secolo nell’alto medioevo il pensiero ebraico si
era sviluppato all’interno delle comunità religiose.
Fra il IX e XIII secolo il mondo giudaico si scisse in due comunità; nell’Europa del Nord gli ebrei si trovarono
isolati rispetto al mondo cristiano. In Spagna, in Provenza e in Italia l’atmosfera era più propizia agli scambi
culturali, ma il luogo di maggiore integrazione furono i paesi islamici: l’arabo divenne lingua dotta degli
ebrei.
Così si spiega uno dei testi più rilevanti per la filosofia ebraica, che ha influenzato il mondo latino
medievale, il Fons vitae di Ahelomoh Ibn Gabirol scritto in arabo e tradotto in latino nel XIII secolo. Il suo
contenuto espone una filosofia emanatistica di matrice neoplatonica e non s’intuisce nessun elemento
religioso. Questo testo è un ampio dialogo filosofico, dove la prima realtà creata, la materia universale,
assumendo la forma universale, inizia un processo di produzione dei livelli successivi dell’essere scanditi dai
gradi successivi di materia e forma, fino alla molteplicità del mondo materiale. Questa base influenza molto
la filosofia francescana del XIII secolo: Ibn sostiene che tutti gli esseri creati sono composti di materia e
forma, mentre solo la divinità è forma pura (Ilemorfismo universale).
L’altro pensatore ebreo conosciuto dagli scolastici è Moisè Manmonide, spagnolo; scrisse Guida dei
perplessi che s’indirizzava a quanti già istruiti nella filosofia e nelle scienze, erano incerti sul modo di
conciliarne le conclusioni con il senso letterale delle scritture. Anche qui le concezioni aristoteliche che
fanno da sfondo, non sono prive di quegli apporti neoplatonici caratteristici della tradizione araba ed
ebraica. L’intento di Moisè è di mostrare come l’oggetto della filosofia sia la conferma razionale della legge.
Nella prima parte della Guida il problema è affrontato utilizzando il metodo dell’esegesi allegorica del testo
biblico (identificando la fisica con l’opera della creazione e la metafisica con l’allegoria del carro). L’idea è
che la Sacra Scrittura presenti, sotto l’allegoria, i contenuti di verità a cui non tutti possono accedere allo
stesso livello, idea che trovò espressione soprattutto in Averroè, ma Moisè al contrario di Averroè, ritiene
che l’interpretazione allegorica possa essere comunicata anche ai non filosofi e scrive un’opera destinata al
pubblico Codice delle Leggi.
La compresenza nell’esperienza di filosofi ebraici, islamici e cristiana di un’adesione alla rivelazione
trasmessa nei rispettivi testi sacri, assieme al radicamento nella filosofia antica, si rivela nella centralità dei
temi come la definizione dell’ambito di fede e ragione nell’esperienza intellettuale e lo sforzo di
comprensione dell’atto creatore (che richiede la differenza tra creatore e creatura) estranei alla filosofia
greca.
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SEVERINO BOEZIO
Per la sua formazione e la sua vita appartiene all’Età Antica, ma per il suo lavoro dedicato alla trasmissione
del sapere classico e all’elaborazione di un discorso filosofico- teologico, lo colloca sulla soglia dell’età
medievale  considerato l’ultimo degli antichi e il primo dei medievali.
Nasce intorno il 480 (tra V e VI secolo d.C.) da una famiglia di una classe senatoriale. Visse a Roma con la
classe senatoriale romana, sposta la figlia del senatore Simmaco.
Nel 476 l’impero crolla e s’instaura quello dei goti con Teodorico.
Boezio vive così la crisi dell’impero. È l’ultimo che rappresenta la romanitas (nutrita dai testi filosofici
grechi). Avverte comunque la presenza del regno dei goti come un’opportunità per i romani di creare di
nuovo una nuova romanitas.
In età giovanile si dedicò agli studi secondo gli otia tradizionali, commentando l’Isagoge (“Introduzione alla
logica aristotelica”) di Porfirio e componendo dei trattati sulle arti del Quadrivio: de Arithmetica, De
musica, su cui si basò l’insegnamento medievale e due trattati sulla geometria e astronomia.
Nel 510 venne nominato console e in questo periodo tradusse e commentò le Categorie e il De
interpretazione dove si basò l’insegnamento della logica fino al XII secolo.
In questo quadro s’inserisce la cultura cristiana, 100 anni dopo Agostino i vescovi non sono più persone
individuali. A Roma c’è il Papa, anche se ancora non c’era uno stato della Chiesa. In contrasto con il papa c’è
l’imperatore romano d’oriente (che cadrà nel 1400).
In questa situazione la filosofia diviene importantissima per Boezio, che pensa che l’apice della filosofia
stessa sia stato raggiunto con Aristotele e Platone.
Traduce in latino la filosofia di Platone ed Aristotele, tanto che venne considerato sia aristotelico che
platonico, e lo fece per farla conoscere-->unità di sistema filosofico che fonderà la nuova romanità.
Nel secondo libro del De interpretazione espone il suo progetto:
Tradurre nella lingua romana le opere di Aristotele, illustrandole con commenti
scritti in latino. Vuole tradurre tutte le sue opere, di logica, di etica, i libri naturali
e vuole commentarli per renderli agibili. Lo stesso vuole fare con le opere
platoniche, consegnandole alla lingua latina. Poi vuole mettere d’accordo le
opinioni dei due filosofi dimostrando (procedimento che Aristotele illustra negli
Analitici I e II) che sono concorsi nella massima parte di ciò che appartiene alla
filosofia.
 La filosofia è un sapere unitario.
Come sosteneva Agostino la filosofia è un sapere unitario.
Per Boezio la filosofia è Platone ed Aristotele, per Agostino è il Vangelo (Cristo come logos).
Di fatto il progetto di traduzione si limitò alle opere logiche di Aristotele e la conciliazione tra i due filosofi
non fu mai intrapresa.
L’aspetto essenziale di Boezio è quello di portare il linguaggio filosofico al latino. Porta nel mondo latino
termini nuovi che facciano parlare di filosofia; atto (actus, in greco energheia), principio (principium/archè),
potenza (potentia/ dynamis), universale(universale/ kath’olou), contingente (contingens/ endechomenon).
In questo modo Boezio si mette in rapporto tra Occidente e Oriente.
Il suo pensiero si è sviluppato entro una scuola, ma costituisce la libera ricerca di un uomo coinvolto nelle
vicende della vita pubblica. Richiama il pensiero di Cicerone, anche se sono di epoche diverse, entrambi
vedono la filosofia non come professione, per Cicerone la discussione filosofica era per produrre un
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modello di pensiero al civis romano, Il compito che Boezio si assume il compito di salvare, in un momento
di crisi della romanità, i prodotti culturali più significativi del mondo classico.
OPUSCOLI FILOSOFICI: qui emerge l’importanza della logica aristotelica per la costruzione di una lingua
filosofica adatta ai tempi. Sono cinque trattai in cui gli argomenti teologici al centro tra dibattiti fra goti
ariani e impero romano d’oriente costituiscono l’oggetto di una ricerca che parte dalla costruzione di un
vocabolario comune. La differenza tra posizione nestoriana e posizione eutiche era, infatti, incentrato su
una questione di linguaggio.
Vede in Cristo due
nature e due persone
connesse in un’unione
morale.
Cristo, pur risultando in
due nature, sussiste in
una sola natura, quella
divina
In tale dibattito tra queste due eresie contrarie
si fa il problema di PERSONA e NATURA
> Bisogna spiegare tali termini
Il trattato procede esaminando le diverse accezioni dei termini NATURA:
 La definizione generale è: LA NATURA è PROPRIA DI QUELLE COSE CHE, IN QUANTO SONO,
POSSONO ESSERE COMPRESE IN QUALCHE MODO DALL’INTELLIGENZA.
 La definizione per le sole sostanze (corporee o non): NATURA è Ciò CHE Può FARE O Ciò CHE Può
SUBIRE.
 La definizioni per le sole sostanze corporee: LA NATURA è PRINCIPIO DI MOVIMENTO DI PER Sé E
NON PER ACCIDENTE.
 La definizione che indica la differenza tra le cose: LA NATURA è LA DIFFERENZA SPECIFICA CHE Dà
FORMA A QUALSIASI REALTà.
La definizione di PERSONA è altrettanto importante e costituisce un’elaborazione originale di Boezio che
traduce il greco ypòstasis con il latino persona che corrisponde al greco pròsopa (=maschera): i greci con il
nome di ypostasis chiamano la sostanza individuale di natura razionale, il latini chiamano con persona ciò
che i greci chiamano con ypostasis.
Il termine persona è stato coniato da Boezio. In latino era maschera di teatro. Il termine persona è per
indicare quella divina, usata al posto di ypostasis del greco.
Sulla base di queste definizioni svolge il suo argomento che come elemento di novità ha la figura di Cristo e
come materiale dimostrativo usa esempi tratti dalla Metafisica e De generazione et corruptione di
Aristotele.
Gli altri opuscoli trattano: se il padre e lo spirito santo siano predicato sostanzialmente della divinità. Sulla
trinità. In che modo le sostanze siano buone nel modo in cui lo sono pur non essendo beni sostanziali. Sulla
fede cattolica.
Da questi opuscoli si capisce che si è in ambito dei problemi del pensiero cristiano.
Negli opuscoli dice di parlare della teologia attraverso il linguaggio filosofico. Ad esempio nel Trattato sulla
trinità per Simmaco. La seconda persona della trinità solo in senso spirituale era una creatura creaturale
secondo una tradizione, Boezio entra in questa controversia da filosofo, sottolineando che sulla trinità si
può esercitare la ragione per raffigurarsi la trinità attraverso le proprietà di Aristotele che sono quantità,
qualità e relazione per la quale le due entità si uniscono. La trinità è vista come relazione: unica natura
(divina) si rapporta a sé in base al principio della relazione.
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La sostanza è una, ma le relazioni sono tre che danno il definirsi di tre persone divine. Boezio prende una
lezione dogmatica e la conia filosoficamente.
Il compito che Boezio si assume il compito di salvare, in un momento di crisi della romanità, i prodotti
culturali più significativi del mondo classico.
DE HEBDOMADIBUS: qui si trova il contributo di Boezio allo sviluppo della metafisica: la distinzione tra ESSE
(essere in senso astratto) e ID QUOD EST (=ciò che è, il soggetto esistente).
“L’essere e ciò che è sono diversi: l’essere stesso non è ancora, ma ciò che è, ricevuta la forma dell’essere, è
e sussiste”. Su tale distinzione si può sviluppare una concezione della partecipazione, che permette di
distinguere sostanzialmente tra creatura e creatore.
“Poiché le cose non sarebbero potute esistere in atto se non le avesse tratte all’essere quello che è il vero
bene, per questo il loro essere è buono, e tuttavia non è simile al bene sostanziale ciò che da lui è scaturito”.
Ci troviamo nel problema del sommo bene e del rapporto tra creatore e creatura:
problema che caratterizza anche il trattato in prosa e in versi del De consolatione philosophiae.
La filosofia è lo strumento che consente di far intraprendere al suo mondo un percorso nuovo di
consapevolezza. In questo tentativo assume delle cariche politiche importanti (diviene primo ministro da
Teodorico), divenendo l’intellettuale di corte.
Nel 522 Boezio si trova coinvolto in una crisi. Nel 523 a Verona davanti la corte di Teodorico difese il
patrizio Albino accusato di complottare a vantaggio dell’imperatore d’oriente contro il re Goto e anche
Boezio venne accusato di magia e sacrilegio. Fu imprigionato a Pavia e nel 525 venne ucciso per ordine del
re Teodorico.
DE CONSOLATIONE PHILOSOPHIAE: testo scritto in carcere, non è un contributo di erudizione, ma una
meditazione dei sommi problemi che riguardano la vita dell’uomo. L’immagine iniziale della Filosofia
richiama quella donna vestita di candida veste del Critone. L’allegoria sottolinea l’antichità della filosofia, la
sua distinzione in pratica e teoretica, lo stato di sconvolgimento in cui è stata ridotta dalla violenza degli
uomini. Il modo in cui si apre dà modo alla filosofia di ricordare al discepolo che la felicità va cercata dentro
se stessi, poiché i beni esterni non sono totalmente posseduti dall’uomo.
La filosofia è descritta con occhi penetranti e sguardo ardente. È di materia incorruttibile (indussolubilis,
richiamo filosofico). Le sue vesti sono state create da essa stessa. C’è una p greca che indica la filosofia
pratica (l’uomo e le sue azioni) settore della filosofia che contiene l’etica, politica ed economia. Poi c’è un t
di teoretica (fisica, matematica, metafisica, teologia). Raffigurati alcuni gradini che rappresentano la scala
verso il sapere. Ci sono brandelli della sua veste strappate dalle varie scuole filosofiche. Ciò sottolinea il
fatto che per Boezio la filosofia deve essere unica.
La definizione del creatore come sommo bene, rende problematica la presenza del male nel mondo che
Boezio riduce a incapacità dovuta ai limiti della condizione umana (=illusione), nell’ottica divina tutto è
bene. La possibilità dell’agire libero dell’uomo (teodicea in età moderna) è l’ultimo argomento affrontato
da Boezio con cui la filosofia schiude la via per tornare in patria. La contraddizione tra libertà umana e
necessità dell’ordine divino si risolve sottolineando la diversità del conoscere umano rispetto a quello
dicino per gli avvenimenti futuri. La prescienza (=conoscenza del futuro) in Dio non è conoscenza del futuro,
poiché lui è eterno presente.
La sorte mutevole dell’uomo si rivela così come un limite del suo conoscere, mentre ogni evento è in realtà
una sfaccettatura dell’infinita pienezza dell’essere.
Questo testo è l’espressione filosofica di un martire della fede. Agostino Santo perché fa professione di
fede nei testi, mentre Boezio no.
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Si pone il problema del male e parla con la filosofia e con lei all’inizio ha un dialogo che lo porta a
riconoscere che l’ingiustizia che subisce è segno di una cosa divina e quindi deve accettare perché questo fa
parte di un progetto divino del quale il filosofo deve rendersi testimone.
Scritta in prosa con vari inserti metrici.
In termini platonici affronta il discorso sul sommo bene che culmina nel carme IX del terzo libro, esaltazione
del principio creatore e ordinatore in forma di preghiera.
Qui ascolta il canto che Filosofia gli propone. Invocazione che la filosofia fa a Dio (richiamo biblico), è un
sapere divino che ha voluto che ci fosse il mondo, è Dio che da inizio al tempo. È motore immobile
(richiamo aristotelico). Non fu spinto da ragioni esterne a dare forma alla materia (richiamo al demiurgo,
ma esso ha le ragioni esterne che sono le idee). La ragione è eterna, ma non esterna perché la ragione
coincide con Dio.
Il sommo bene è Dio e crea il mondo. Tutto il mondo è racchiuso nella mente di Dio che crea dalla sua
stessa mente. Dio è anche bellezza (principio molto particolare, sarà un trascendente). Tutto ciò che esiste
fuori è a sua immagine, il mondo tutto è perfetto, non è Dio che vuole il male.
Testo scritto in prima persona.
Nel IV libro c’è la risposta a perché esiste il male. Parla Filosofia: chi compie un atto malvagio,
semplicemente non è, così come un uomo morto si può chiamare cadavere, ma no uomo, non avendo più
l’anima. L’essere è ciò che si mantiene nella sua condizione e conserva la propria natura. Il malvagio è la
perdita della ragione, e qui sta la radice del male.
Il male non esiste, è la distanza che la natura prende da se stessa. Con questo spirito Boezio accoglie la
necessità di operare con Filosofia, grazie alla quale si può affermare l’uomo.
TESTO DELLA FOTOCOPIA – BOEZIO: ISPIRAZIONE FILOSOFICA
Dal terzo libro, di cinque, della consolatio philosophiae.
Si ha qui, al metro IX l’invocazione al divino da parte della filosofia, ma non è mai nominato Dio. Nel testo
latino c’è sator (=colui che coltiva), non c’è creatore, è attento a non usare termini biblici perché lui si
attiene solo al piano della filosofia, anche se la base cristiana emerge.
Nel rigo 6: “tu che non fossi sospinto da cause esterne a comporre le cose belle”, la materia sembra ancora
non creata, richiamo a Platone.
Ciò che viene impresso per dare valore alle cose è il BENE (richiamo a Platone e Plotino che identificano
l’uno con il sommo bene). Dio vuole che tutto sia perfetto e perfetto nelle singole parti, così si risponde al
problema sul male, non esiste da Dio (come dice Agostino).
Il De hebdomadibus verte su come sia possibile dire che le cose sono buone se non sono perfette in sé. Le
cose sono buone se partecipano di ciò che è bene in sé. Il demiurgo creare su scala musicale, come si evince
dal Timeo, che si basa sulla scala numerica pitagorica. Le cose nel mondo sono in ordine, dall’anima del
mondo che è una grande scala musicale. Richiamo biblico quando dice, nel libro della Sapienza “Dio crea
con numero, peso e misura).
Elementi empedoclei che permettono che le cose fisiche abbiano una loro posizione.
“Trina natura”: si parla dell’anima in senso timeano, anima del mondo, demiurgo ha tre principi: identico
(assoluta identità), medesimo (possibilità che cose diverse abbiano lo stesso rapporto), diverso, questi
creano la scala musicale e quindi l’anima del mondo.
Le parti fisiche del mondo sono adeguate all’anima del mondo perché essa deve dispiegarsi. Quest’anima è
tagliata dal demiurgo, congiunge le estremità creando due cerchi poi incastrati che rappresentano i due
moti: di rivoluzione e dell’eclittica (sole che gira intorno alla terra).
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Sfera dell’universo con una rotazione su due poli che si compie
nelle ventiquattro ore intorno alla terra con questa direzione
Noi sappiano che è la terra che ruota su sé, prima invece che
l’universo girasse e la terra fosse ferma.
I pianeti si muovono (per Platone moto del diverso) in modo
obliquo e inverso, hanno un movimento proprio
Dopo ventiquattro ore il sole si è spostato.
Universo si muove in modo armonioso
L’anima del mondo (spirituale) ruota intorno alla mente divina al modo in cui gli stessi cieli ruotano intorno
la terra.
Pagina 72: gli esseri umano sono tratti alla vita dall’anima. Il cosmo è la vita maggiore, gli esseri sono di vita
minore. Poi le anime tornano verso il cielo (immagine platonica, ma anche cristiana).
Gli chiede che la mente umana possa risalire al padre. La ragione umana vuole arrivare alla fonte del bene
(Dante dice: possa fissarti con lo sguardo della mente).
Chiude dicendo che è fine di tutte le cose.
Con lui si chiude il mondo antico e si apre quello nuovo.
Una nuova società cristianizzata. Dal punto di vista si hanno vari regni. Nella cultura grande sofferenza
poiché le istituzioni del mondo antico sono distrutte.
Nel 529 Giustiano chiude la scuola filosofica ad Atene.
Periodo buoi, non si sa dove poter accogliere la conoscenza, serve qualcosa di nuovo che nasce nel
monastero nel VI secolo (Ora et Labora).
Dal VII all’VIII secolo ci sono i secoli bui.
Alla fine dell’800 si afferma il regno dei franchi con re Pipino e il figlio Carlo così che si afferma una realtà
territoriale che reinveste quegli stati divisi.
Carlo magno ricostruisce l’unità, fondata sulle campagne militare e l’accordo con il papato. Diviene il capo
della cristianità. Concessa l’autonomia territoriale (sul principio di Costantino) e l’accordo prevede che il
papa deve riconoscere Carlo come imperatore legittimo possessore di un impero: Sacro Romano Impero,
ricostruzione della romanitas imperiale sotto il segno della cristianità.
Carlo intuisce che nel monastero ci sono gli strumenti per ritornare. Nella notte di Natale nell’800 Leone X
lo incorona imperatore Carlo Magno. Stabilisce che non c’è unità senza scuole e costituisce ad Aquisgrana
la scuola Palatina e va a pescare nei monasteri inglesi e irlandesi e chiama Alquino di York.
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DIONIGI PSEUDO-AREOPAGITA
Nella prima metà del VI secolo nell’impero d’oriente apparvero una serie di scritti di un autore che diceva di
chiamarsi Dionigi, ma in realtà sono di un anonimo del V secolo vissuto in Siria. Il nome è contenuto nelle
epistole e nei quattro trattati (corpus dionisiano) che sono scritti in greco, i quali giunsero in occidente
nell’827. Vennero tradotti da vari autori fino a Giovanni Scoto Eriugena e da qui furono oggetto di
riflessione di molti pensatori. Leggenda circa l’autore che lo identifica con il greco convertito da San Paolo
quando aveva predicato ai cittadini ateniesi sull’areopago affermando che lui annunciava Dio. Alla fine del
discorso alcuni ascoltatori si riunirono intorno a lui, tra cui Dionigi che poi divenne il primo vescovo di Parigi
subendo il martirio.
L’epoca dei trattati è incerta, sicuro è incompatibile con la prima diffusione del cristianesimo, ma affinità
con i neoplatonici.
NOMI DIVINI: trattato più ampio, affronta il problema della teologia come ricerca intellettuale della
conoscenza di Dio. Stesso tema della teologia mistica. Esistono due vie per arrivare alla scienza divina:
l’energia divina pervade l’universo, trasmettendo la sua potenza vivificante e deificante alle creature,
secondo le due modalità:
1) DISCENSIVA: che porta dall’unità divina al molteplice creaturale.
2) ASCENSIVA: dove si compie il percorso inverso, dal molteplice all’unità. Percorrendo questa
seconda via, l’uomo si rende conto di non poter raggiungere nessuna definizione positiva di Dio, il
quale è assolutamente trascendente.
La più alta conoscenza che di lui si può avere non è quella affermativa, catafatica data dalla prima via dove
si rintracciano gli attribuiti definitivi di Dio, ma la teologia negativa, apofatica, per cui la divinità è tenebra e
la conoscenza che se ne può avere non è altro che ignoratio.
Gli attributi divini della via catafatica sono quelli che si desumono dalle qualità delle creature e designano le
emanazioni divine: uno, bene, luce, bello, ragione, fede, eternità (termini della filosofia greca cristianizzata).
Il concetto cristiano della creazione (che fonda la possibilità di partecipazione) permette di unificare in Dio
le due caratteristiche dell’uno individuato nel Parmenide di Platone
l’uno in quanto uno
Uno in quanto essere
Nella sua essenza Dio è privo di nomi (anonimos) poiché trascende sia l’essere che il pensiero, ma anche dai
molti nomi (plynymos) poiché gli possono essere attribuite tutte le qualità degli esseri che derivano da lui.
Tutti i nomi possono essere utilizzati purché si conosca il valore limite, cioè vengono considerati non più
come i termini con cui l’intelligenza finita degli uomini può cogliere la realtà divina. Le qualità divine
vengono colte per partecipazione.
“Il Dio è iperessenzialmente uno, indiviso tra cose divise, in se stesso uno, nella moltitudine non commisto,
non reso pluralità”.
In questa definizione si evidenzia il carattere di assoluta trascendenza del carattere divino
Sottolineato dal prefisso yper (indicibilità del mistero). Tale concezione lo tiene fuori da ogni
controversia teologica, poiché ogni cosa che si dice di Dio è per definizione inadeguata a
rappresentare la realtà, che rimane oltre le possibilità della conoscenza umana.
STRUTTURA UNIVERSO SECONDO DIONIGI: ci sono una serie di Gerarchie che realizzano una mediazione
nella relazione reciproca di molteplici intermediari. Le gerarchie superiori ricevano dalla Tearchia divina (la
trinità che opera tutto in tutti). L’Essere e le Energie spirituali (o illuminazioni), trasmettendole alle
gerarchie inferiori. L’attività di ogni gerarchia è di partecipazione alle energie increate della tearchia
unificando tutte le creature nell’ordine e nella conoscenza.
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La gerarchia celeste è composta da Tre ordini angelici ciascuno diviso in tre sottogerarchie (-Serafini,
Cherubini, Troni – Dominazioni, Potenza, Potestà – Principianti, Arcangeli, Angeli) ognuno di essi assolve ad
una funzione particolare della trasmissione della potenza unificante e della conoscenza del principio.
Tale classifica degli angeli sarà accolta dal pensiero scolastico, dove verrà discussa anche in rapporto con il
problema delle intelligenze dei cieli.
La Gerarchia ecclesiastica continua nel mondo umano quella angelica che condivide la funzione di
mediazione dei doni divini: il vescovo riceve le illuminazioni dagli angeli e le trasmette attraverso la
mediazione di fedeli durante la celebrazione dei misteri sacrali.
Dionigi fornì l’ANGEOLOGIA-->sistema di mediazione specificatamente cristiano fra trascendenza e
immanenza.
Scrive i nomi divini, la teologia mistica, la gerarchia celeste, la gerarchia ecclesiastica, delle lettere.
20
GIOVANNI SCOTO ERIUGENA
Giungeva in Francia dalla nativa Irlanda (Scozia Minore), nel IX secolo presso la scuola palatina fondata da
Alcuino per volere di Carlo Magno. Eriugena seguì la via dello stesso Alcuino illustrata nel mito della
traslatio studiorum, secondo il quale il sapere antico, fiorito nell’antica Grecia e trasportato a Roma nel
massimo splendore della civiltà latina, trasferito poi dagli evangelizzatori dei secoli VI e VII nelle isole
britanniche da dove poi tornava per l’impulso della ristabilita autorità imperiale.
Il primo frutto di fare rinascita si ha dalla riorganizzazione delle scuole di Alcuino. I suoi discepoli nella
scuola palatina si erano dedicati allo studio della cultura letteraria dell’antichità e alla dialettica.
Eriugena cominciò la carriera di magister di arti liberali in Francia negli anni trenta e nell’846 divenne
maestro palatino alla corte di Carlo il Calvo. Frutto della sua attività magistrale è il Commento a Marciano
Capella. Lettore di Agostino e Boezio. Per l’uso della dialettica non è visto come un razionalista, ma pensa
che sia necessario utilizzare la ratio per interpretare la verità velata allegoricamente nel testo sacro, da cui
deve prendere le mosse ogni ricerca intenzionale.
Nell’850 viene invitato da Incmaro, vescovo di Reims per intervenire nella controversia sulla
predestinazione suscitata dall’intervento di un monaco, Gotescalco d’Orbais che lesse i testi di Agostino
rendendosi conto che secondo lui esiste una DOPPIA PREDESTINAZIONE.
Secondo Agostino la grazia divina non può essere predetta dall’uomo.
Gotescalco nel trattato De praedestinatione affermava che Dio aveva predestinato alcuni uomini alla
salvezza eterna e altri all’eterna dannazione. Nella polemica contro Pelagio, che pensava che comportarsi
bene assicurava il paradiso, aveva affermato con forza la necessità della grazia divina per la salvezza, anche
se in altri testi aveva dato spazio alla capacità umana di operare libere scelte morali. Ciò che sosteneva
Pelagio andava contro ciò che diceva Agostino, ovvero che così Dio dovrebbe adeguarsi all’uomo, invece
Dio è trascendente e la volontà divina è ignota all’uomo.
Nel giudizio divino che non è soggetto a vincoli temporali come quello dell’uomo, secondo Gotescalco non
si possono separare l’aspetto della prescienza (=conoscenza divina delle cose che per l’uomo sono future)
da quello del giudizio che assolve o condanna un individuo. Salvezza e condanna sembrano non dipendere
più dal volere e dai meriti individuali, ma dalla grazia e onnipotenza di Dio e con questa conclusione si
ritiene provata la doppia predestinazione. (salvarsi o non).
Problema: l’imperatore è il simbolo del cristiano e le sue opere e la sua fede sono testimonianze del buon
cristiano, ma tenendo conto di ciò che dice Agostino queste non servono per salvarsi.
Ma Eriugena replica dicendo che è stolto chi crede che dietro la predestinazione si trovano cause inviolabili
che costringono azioni malvagie ad essere compiute. Le conseguenze pratiche della dottrina di Gotescalco
era grave sul piano etico – sociale, perché l’esercizio della virtù era svincolato dalla prospettiva della pena o
del castigo, sottraendo agli uomini la possibilità di meritarsi con la fede e le opere la salvezza. Tale pericolo
lo videro i suoi avversari che lo condannarono a due sinodi.
Si ha la necessità di un intellettuale per risolvere la diatriba, Scoto lo fa con la dialettica.
Il dibattito tra l’altro aveva come posta in gioco l’interpretazione del pensiero di Agostino, a tal proposito
partecipò Eriugena con il trattato:
DE PRAEDESTINATIONE: scritto nell’850 sul tema della predestinazione. Sostiene che Dio ha donato
all’uomo il dono della libertà affinché se ne servano. Infatti non c’è vera libertà se c’è qualcuno che
costringe. La natura umana, nella fattispecie è Volontà, ma anche Libertà (questa rimane nell’uomo anche
dopo il peccato e quindi nessuna causa costringe l’uomo a vivere bene o male).
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Come Agostino, afferma l’identità tra Filosofia e Religione e sostiene con forza la necessità della dialettica.
Le questioni su fatti come quello della predestinazione dovevano essere affrontati utilizzando le verità di
fede come primo termine dell’argomentazione sillogistica, per arrivare a definizioni certe.
La dialettica è uno strumento che mostra che sostenere la doppia predestinazione equivale a negare la
semplicità di dio, affermando una doppia volontà e si dimostra che il male non fa parte dell’ordine della
creazione, ma dipende dalla possibilità che ha l’uomo di scegliere in quale ordine collocarsi.
Esempio che fa Eriugena: una persona ostinata a fissare il sole si rovinerebbe la vista, ma non per questo il
solo verrebbe considerato il male.
Nel De praedestinatione dice che ci sono ragioni logiche tali che è impossibile pensare che la volontà divina
sia duplice e dato che Dio è buono e non può condannare, si salvano tutti. Ad una sola sostanza non si
possono associare due volontà.
I tipi di filosofia dietro tale pensiero sono:
- Logica; strumento primo del ragionamento filosofico applicato alla teologia
- Reditus; ritorno di tutte le cose. Scoto è il primo che legge e traduce dal greco i testi di Dionigi
Aeropagita. Ciò che si presenta a Scoto è un contesto dottrinale particolare: platonismo risalente
alle dottrine di Proclo (pagano) che prevede un meccanismo di discesa e ritorno, la dinamica delle
tre ipostati è letta da un’uscita a un ritorno all’uno. Dionigi utilizza questo principio di uscita e
ritorno per costruirci una visione cosmologica in chiave cristiana: Dionigi cristianizza le dottrine di
Proclo. Scoto li traduce usando il principio per cui tutto ritorna a Dio.
Grazie alla conoscenza dei Padri greci e scritti dionisiaci, Eriugena affronta i problemi irrisoluti della teologia
di Dionigi, soprattutto l’apologia trinitaria. Se come Dionigi Dio s’identifica con il superessenziale che è
senza nome, con la prima persona della trinità e il Dio dai molti nomi con il Verbo (che racchiude in sé gli
archetipi della realtà), come si può dire che il secondo è coessenziale al primo?
Il tema della teologia catafatica (affermativa) o apofantico e la visione del mondo neoplatonico presente
negli scritti dello pseudo Dionigi, offrono all’Eriugena le strutture per concettualizzare l’idea di natura che
vede nella realtà creata una rete di simboli del divino.
Due assi importanti della concezione del mondo di Eriugena: 1) struttura emanatistica, per cui nessun
livello del reale è ontologicamente distinto dagli altri. 2) idea del ritorno, per cui la struttura emanatistica è
letta secondo una dinamica temporale (come un processo che va dall’origine alla conclusione).
PERYPHYSEON O DE DIVISIONE NATURAE: opera principale, in cinque libri, dialogo tra maestro e discepolo.
La dialettica mostra che tutto il reale costituisce la natura della quale è data una definizione generale:
NATURA è DUNQUE IL NOME GENERALE DI TUTTE LE COSE CHE SONO E DI QUELLE CHE NON SONO,
definizione come quella di Boezio nel Contra Euthychen, in quanto il “non sono” definisce ciò che “non è” in
senso relativo, come la potenza rispetto all’atto, o la realtà corporea rispetto a quella spirituale. Lo stesso
creatore è incluso nella duplice manifestazione di creatore e meta finale.
Il dialogo si apre con delle considerazioni del maestro riguardo le modalità con cui Dio ha creato il mondo a
partire da principi di base sul fatto che siamo d’accordo che tutto ciò che esiste, esiste perché è natura (ciò
che è alla base di ciò che è o non è perché ancora non manifesto). Altro principio è la creazione: ogni natura
può avere o non avere una capacità di creare qualcosa.
La totalità viene divisa secondo la relazione tra creato e creatore.
La natura si divide per quattro differenze, in quattro specie, tali in senso logico, come forme secondo cui la
mente umana struttura la propria coscienza della natura. La divisione è una parte della dialettica e indica la
discesa dal’universale all’individuo, dall’unità alla molteplicità, ma la dialettica contiene un altro
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procedimento, definito analitico, la risalita dall’individuale all’universale, la risoluzione della molteplicità
nell’unità del tutto.
Il principio creare si associa alla natura e il verbo essere è il discrimine su ciò che fa.
Il rischio nella sua formulazione della natura è la possibilità di una lettura panteistica di cui infatti tale
pensiero venne accusato. Se tutti i livelli sono manifestazioni del principio unitario e se tutti sono compresi
nel concetto generale di natura, dove finisce il divino e comincia il mondano? Se il mondo creato non è che
una estrinsecazione del Dio creatore, perché cercare Dio al di fuori di esso? La risposta sta nella
considerazione che sul piano ontologico la differenza tra Dio e mondo è garantita dalla distinzione tra “non
essere” delle cose in Dio, che le conosce prima di crearle, e il loro “essere” nella condizione creaturale.
Inoltre Scoto delimita la ricerca razionale nell’ambito definito dalla rivelazione divina contenuta nella
Bibbia, cioè ogni ricerca della verità comincia dalla parola divina.
La tensione naturale tra increato e creato produce il moto di espansione e implosione definito attraverso i
termini di processio e reditus.
Divisione della natura in modo logico con il principio della creazione:
1) LA NATURA CHE CREA E NON è CREATA  definisce il principio delle cose, la spontaneità creatrice
di Dio che dà inizio al processo della propria manifestazione con la creazione ex omino nihilo, cioè
dall’assoluto non essere (così si contrappone ad Alcuino secondo il quale, poiché Dio “nessuna cosa
formò senza vocabolo, nessun vocabolo impose a cose non esistenti” e poiché il nulla da cui ebbe
inizio la creazione del mondo ha un nome che significa qualcosa di reale, allora esso è qualcosa di
reale).
2) LA NATURA CHE è CREATA E CREA  le idee archetipe, primo frutto della creazione divina,
l’aspetto dell’attività nella quale il divino si esplica.
3) LA NATURA CHE è CREATA E NON CREA  il mondo, le creature in senso stretto, l’aspetto della
passività di quella medesima totalità.
4) LA NATURA CHE NON CREA E NON è CREATA  chiude il cerchio in una dinamica che la ragione
umana finita non può che leggere in senso spazio-temporale, ma che è in verità la manifestazione
dell’eternità.
La prima e la quarta definizione esprimono la medesima realtà, che è quella divina. È tutto ciò a cui torna.
Dio è causa di ogni cosa perché crea ex nihilo. Dio infatti è il principio di tutte le cose e il fine a cui tendono
L’organizzazione del mondo naturale (genere, specie, differenza) è come quella aristotelica.
Ciò che in Plotino era il principio dell’emanazione, ora è diventato un principio divino, creatore che opera
nel tempo (-->lettura filosofica della creazione). Al terzo grado c’è il mondo naturale.
La seconda natura è quella che contiene la forma di tutte le cose: il verbo, Cristo. Fa coincidere la seconda
persona trinitaria con il nous che contiene lusia, la sostanza di tutte le cose, seconda ipostasi, non prima
perché l’uno è all’esterno, il figlio rappresenta la forma di tutte le cose. È il punto d’incontro logico e storico
tra creatore e creatura.
Il ritorno delle cose in Dio non significa annullare la loro distinzione, infatti l’Eriugena afferma che le cose
inferiori, quando vengono assorbite in quelle superiori, non si annullano, ma vengono assorbite in quelle
superiori e potenziate. Il momento finale della storia, la resurrezione universale vedrà il congiungimento
dell’umanità a Dio e la ricostruzione della natura umana originaria, la punizione dei peccati, poiché il male è
non essere, non consisterà in pene corporali, ma in sofferenza spirituale.
TESTO FOTOCOPIA – SCOTO ERIUGENA: LA NATURA
Dialogo tra il maestro e il discepolo. Il maestro dice che riflettendo vede che la prima distinzione tra tutte le
cose che possono essere comprese dalla ragione è la capacità di distinzione tra ciò che è e ciò che non è e
che tutte queste cose cadono sotto il termine natura.
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Natura è il termine generale proprio di tutte le cose, di quelle che sono e non.
Lo stesso discepole riconosce infatti che non c’è nulla nell’universo che possa essere fatto oggetto del
nostro pensiero cui non si addica il nome di natura.
Il maestro chiede come mai se natura è il termine generale, perché sia divisa in specie che hanno varie
differenze specifiche. E la divide nelle quattro specie che hanno un rapporto bipolare.
La terza è opposta alla prima (spostamento del termine non) e la quarta alla seconda (una negativa una
affermativa).
Con la prima s’intendono le cose che sono e che non sono, la seconda le cause prime, le terze tutto quel
che si conosce e che è soggetto alla generazione, tempo e spazio e di questa specie rimane tutto nascosto
perché è proprio la quarta specie che viene dalla conoscenza di Dionigi che prevede il reditus prima
inconcepibile.
A pagina 83 mette in evidenza tutte le fonti inserite. Ne parla in riferimento alla riflessione intorno alla
materia :
 Sant’Agostino, nelle Confessioni afferma che la materia informe è la capacità di adattamento a cose
di per sé soggette al cambiamento, cioè capace di tutte le forme.
 Platone, nel Timeo ne parla in maniera analoga dicendo che la materia informe è capacità di forme.
 Dionigi, nel De divinis nominibus sostiene che la materia è partecipazione all’ordine del creato della
forma e della specie ed è comprensibile fintantoché è presente in forma.
Li unisce per dare una definizione di materia. La forma
e la specie sono incorporee e danno ordine al creato.
Dall’unione di cose incorporee nascono corpi.
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LO STRUMENTO DELLA RAGIONE ALLA PROVA DEL SACRO
TRADIZIONE E RAGIONE
Nell’alto medioevo nelle problematiche scritturali e teologiche si manifestavano gli elementi di novità
introdotti dal cristianesimo. I padri (auctoritas) nei primi secoli dell’età cristiana aveva scritto molti su tali
problematiche.
I monaci (eredi tradizione patristica), oltre a copiarne le opere, producevano compilazioni che contenevano
gli insegnamenti essenziali in esse contenute.
Le condizioni materiali di riproduzione dei libri, la limitatezza del loro tempo, suggerivano l’opportunità di
offrirli in forma abbreviata, come con le cathenae (concatenati),offrivano testi per qualche aspetto
collegati, i florilegi, rubricati per argomento in cui potevano emergere differenze di fronte alle quali
l’intelletto scopriva una pluralità di voci, fra le quali doveva scegliere attraverso la ratio (capacità di
discernimento, strumento dialettica che distingue dal vero al falso).
ECHI AGOSTINIANI: IL DIBATTITO SULLA PREDESTINAZIONE
Vari dibattiti teologici – filosofici come quello sulla doppia predestinazione sollevata da Gotescalco
d’Orbais, discussa anche da Giovanni Scoto Eriugena. Gli altri filosofi ad intervenire furono Rabano Mauro,
Incimaro, Pardulo che colsero il pericolo delle teorie di Gotescalco (condannato a due sinodi).
Incmaro di Reims, che aveva convocato il sinodo che lo condannò definitivamente, si risolse ad altri teologi
che però erano favorevoli al condannato, poiché ci ritrovavano la discussione antipelagiana di Agostino.
Quindi la discussione di Agostino era al centro del dibattito tra Incmaro e Pardulo che chiamarono Scoto
Eriugena ad intervenire, che però non concluse la controversia, ma non la concluse: sostenne che non si
poteva parlare di gemina praedestinatio (doppia predestinazione sostenuta da Gotescalco), ma che
neppure la predestinazione semplice (degli eletti) poteva essere sostenuta perché non si possono applicare
a Dio le categorie che regolano il discorso umano. Mise in discussione anche il metodo di confronto dalle
auctorites utilizzato nel dibattito-->affermando identità tra religione e filosofia (come Agostino) sostenne la
necessità della dialettica in questione come queste, per garantire la correttezza del ragionamento.
ECHI AGOSTINIANI: LA DISPUTA SULL’ANIMA
La vivacità dell’ambiente culturale carolingio si coglie anche con la disputa sull’anima sollevata da Carlo il
Calvo. Nell’850 chiese ai teologi se il legame dell’anima con il corpo implichi o no che essa sia circoscritta
localmente da esso.
Alla questione rispose: Ratramno di Corbie sostenendo la non corporeità e non localizzazione dell’anima.
Incmaro di Reims era dell’opinione contraria.
Il dibattito si amplia con il trattato di un monaco che commentò un passo del De quantitate animae di
Agostino che sostenne l’esistenza di un’anima universale.
Ancora una volta controversia interpretativa legata a un passo di Agostino.
Quest’ultimo sostenne che era difficile da comprendere per i profani quale la molteplicità delle anime che
si riduce all’unità di un’anima superiore. Il commento dell’anonimo porta a considerare la molteplicità delle
anime come emanazioni dell’anima universale.
Per Ratrammo il rapporto tra molteplicità e unità con Agostino si riferisce alla nozione di anima dove si
riconoscono le singole anime (posizione concettuale). Sembra delinearsi la posizione realista e
concettualista che sarà centrale nelle discussioni logiche del XII secolo.
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IL DIBATTITO SULL’EUCARESTIA
Discussione sui sacramenti, soprattutto sulla presenza di Cristo nell’eucarestia: ciò implica una scelta nel
rapporto del sacro con la natura materiale.
Nell’831 Pascasio Radberto affermò la realtà concreta della presenza di Cristo nell’eucarestia. Ciò suscitò
l’opposizione di coloro i quali, teologi, erano impegnati sulla discussione sulla predestinazione. Ratrammo
di Corbie sostenne la presenza simbolica di Cristo.
Adelmanno di Liegi
sostenevano la tesi di
Discussione riaccesa nella scuola di Chartes tra
Ugo di Breteuil
Pascasio
Berengario di Tours
sostenne la tesi di Ratrammo
La tesi della presenza simbolica fu condannata da due concili
1050
1059
Fu sostenuta da Berengario con argomenti dialettici
Riguardanti la GENERAZIONE E CORRUZIONE DELLE
SOSTANZE E L’INERENZA DEGLI ACCIDENTI
ALLE SOSTANZE.
Berengario affermava:
 Se la conversione di una sostanza in un’altra comporta la corruzione della prima e la generazione
della seconda, la tesi della presenza reale era contraddetta dall’esistenza del corpo di Cristo nei
secoli, prima della corruzione del pane.
 Quando si corrompe la sostanza cui ineriscono gli accidenti, anche questi scompaiono, ma ciò non
avviene nel pane consacrato, che dunque non può essersi trasformato nel corpo reale di Cristo.
Gli avversari considerarono le sue argomentazioni come uno sterile tentativo di dare nuovi significati alle
parole, ma lui si difese sostenendo che è meglio procedere in modo razionale nella conoscenza della verità
piuttosto che ricorrere all’autorità.
GRANDEZZA E LIMITI DELLA DIALETTICA
Se Berengario nel De sacra coena ad versus Lanfrancum aveva sostenuto l’uso ella dialettica, il suo
avversario Lanfranco, colui che lo accusò di abbandonare le sacre autorità, non rifiutò di battersi sullo
stesso terreno, anche se sosteneva la necessità di limitare, il ricorso alle argomentazioni dialettiche.
La dialettica viene utilizzata da Lanfranco nel De corporee t sanguine Domini adversus Berengarium solo
perché non vuole che l’avversario pensa che lui non usi la dialettica poiché non ne conosce l’arte.
Il dibattito tra i due mostra che nell’XI secolo la dialettica era considerato lo strumento principale
dell’indagine filosofica e teologica, nonostante l’attacco contro la cultura profana portato da PIER DAMIANI
(riformatore della chiesa dell’XI secolo). Nato a Ravenna nel 1007, nel 1043 entra nell’ordine degli eremiti
parlando della riforma della scienza in molti scritti. Utilizzò i metodi più aggiornati dei giuristi del tempo,
come il confronto dei testi, il principio di concordanza, il richiamo all’auctoritas. Nel De divina omnipotentia
del 1067 espone la sua posizione dei confronti della dialettica articolata sul piano teorico. In altri opuscoli
infatti l’argomentazione era svolta sul piano delle scelte etiche e il rifiuto della dialettica era stato
finalizzato all’esaltazione delle virtù necessarie alla fede. Damiani aveva contrapposto i pescatori ai filosofi,
volendo così accentuare la necessità della forza e della magnanimità, piuttosto che la sottigliezza
intellettuale per una perfetta vita cristiana.
Nel De divina omnipotentia mette alla prova lo strumento filosofico della dialettica su un problema sul
quale sarebbe tornato a più riprese la speculazione scolastica nel XII e XIV secolo.
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Il punto di partenza è l’affermazione che non ci sono cose che Dio non possa fare, tranne il male. Alla
domanda se allora Dio possa fa sì che ciò che è accaduto non sia accaduto (far sì ad esempio che Roma non
sia mai stata fondata), Pier Damiani risponde distinguendo in primo luogo il diverso significato della nozione
di “tempo” rispetto all’uomo e rispetto a Dio. Dato che Dio è eterno, tutto quello che ha potuto fare un
tempo, così può farlo oggi, dato che il suo presente non si trasforma mai in passato, né il suo oggi diventa
domani o un altro tempo. Per questo motivo il potere che Dio aveva prima ad esempio che Roma fosse
fondata, rimane immutabile nell’eternità di Dio stesso, quindi di ogni cosa cui possiamo dire che Dio poteva
farla, possiamo dire che potrà farla, perché la sua potenza in lui rimane fissa e immutabile.
Distingue poi l’idea di “natura” come corso regolare delle cose e natura come manifestazione della volontà
di Dio, così il miracolo non è più contro natura.
Nel terzo argomento però esponde la critica della dialettica, limitando all’intelletto umano la validità del
principio di non contraddizione. Esso non può essere applicato a Dio, la cui infinita potenza non è soggetta
alle limitazioni delle sue creature, e quindi la vera natura delle cose non condizionata da tale principio, ma
solo dalla volontà divina. Così si afferma la contingenza del mondo contro ciò che pensano i dialettici.
L’uso della ragione umana nei misteri divini deve essere contenuto quindi in dei limiti. Nel quinto libro del
suo trattato afferma che la filosofia e la dialettica, quando entrano nel campo della dialettica, devono porsi
dinanzi la teologia come un’ancella di fronte la sua padrona.
Altre voci contro l’abuso della dialettica sono Manegoldo di Lautenbach e attacca il tentativo puramente
razionale del mondo e dell’uomo attraverso l’adesione alle dottrine dei filosofi antichi come Platone. Per lui
la natura umana, corrotta dal peccato originale, non può arrivare alla verità con le sole proprie forze,
occorre l’aiuto divino.
REGALITà E SACRALITà
L’affermazione della ragione dialettica viene avvertita dai rappresentanti della Chiesa come un pericolo nei
confronti della compattezza etica e sociale della civitas cristiana. I problemi dell’alto medioevo erano legati
allo sviluppo dei rapporti tra stato e chiesa. All’origine del problema si pone il cambiamento di mentalità
determinato dall’avvento dei regni barbarici; mentre la chiesa si era data una struttura organizzativa
autonoma, i sovrani delle popolazioni barbariche convertite, per i quali il potere politico era in sé congiunto
con il sacro, cercarono in ogni modo di attrarre nella propria orbita le istituzioni sacerdotali e monastiche.
Agobardo di Lione lamenta la perdita del carattere spirituale del ministero dei sacerdoti immersi nelle
questioni politiche e mondane e nei conflitti inerenti al frazionamento del potere.
A Carlo Magno, l’imperatore, diventò il moralizzatore e protettore delle istituzioni religiose utilizzando
come giustificazione per questo compito politico la dottrina del diritto divino dei re.
La sua politica divenne accentratrice, e altri elementi di centralizzazione si imposero con le norme emanate
dal concilio di Aquisgrana nell’818, per regolare il sistema delle chiese private e con il tentativo del secondo
Benedetto di organizzare i monasteri che seguivano la regola di Benedetto da Norcia in un vero e proprio
ordine centralizzato posto sotto il controllo imperiale.
Il pericolo fu l’ingerenti pesanti di Carlo Magno nella vita della chiesa, tanto pesanti da suscitare il ricordo
del cesaropapismo (=unione del potere temporale e spirituale nella stessa persona) della tarda romanità.
In tale situazione si recuperò la teoria dei due poteri formulata dal papa Gelasio I in rapporto al
cesaropapismo, secondo cui due sono i poteri sui quali regge il mondo: l’autorità sacra dei pontefici e la
potestà regia, ma è più grave la responsabilità dei sacerdoti in quanto essi devono rendere conto a Dio degli
stessi re.
Nell’814 alla morte di Carlo Magno, le lotte fra i discendenti non potevano che rafforzare le pretese della
chiesa di costituire l’autorità suprema di tutta la società cristiana. Giudice della rettitudine regale sono il
papa e i vescovi. La formula di Gelasio rimase il fondamento della riflessione politica per tutto il X secolo e
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la prima metà dell’XI secolo. Nemmeno Gregorio VII eletto dal papa nel 1073 si espresse a favore
dell’intervento del potere ecclesiastico negli affari della politica secolare, tuttavia affermò il diritto del papa
di scomunicare il sovrano e il divieto delle investiture laiche.
La sua concezione del potere del sovrano era fondata su un’idea presente in Agostino e basata su
presupposti stoici, quella che il potere secolare deriva non da Dio, ma dall’orgoglio degli uomini. Dio ha
però permesso l’istituzione del potere come rimedio per la natura corrotta degli uomini. Questa concezione
rafforza l’autorità del papa che è il vero garante della salvezza umana.
Manegoldo elabora una teoria dell’origine del potere regio che vede un contratto fra il sovrano e il popolo.
Un mutamento di prospettive si avrà nel 200 con l’introduzione nel dibattito politico dei testi di Aristotele.
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ANSELMO D’AOSTA
Negli ultimi decenni del secolo XI ci fu un’epoca di slancio per la vita ecclesiastica che provocò anche un
rinnovamento dell’attività scientifica, inaugurando la Scolastica (la cavalleria dell’intelletto).
L’uomo che sotto la divisa fides quarens intellectum (fede in cerca di comprensione) iniziò la lotta per il
possesso della verità cristiana fu ANSELMO D’AOSTA il Padre della Scolastica.
Nacque nel 1033 da una nobile famiglia di Aosta e fece i primi studi presso una scuola monastica. Dopo la
morte della madre lasciò l’Italia e si recò alla scuola di Lanfranco dove si fece monaco nel 1060. Nel 1063
alla morte di Lanfranco divenne priore e maestro dello stesso monastero di cui fu eletto abate.
Il suo percorso teologico sottolinea quanto sia fondamentale la necessità per l’uomo di parlare di Dio
basandosi sulle possibilità della ragione dell’uomo. Accentuazione anche di capire i limiti della ragione
umana, perché da Carlo Magno ad Anselmo (XI secolo), si cerca un approccio razionale alla fede e si capisce
quanto sia difficile parlare di dogmi di fede in modo razionale. Ciò portò a molte discussioni, come
sull’onnipotenza divina, cioè se ad esempio Dio può intervenire sul passato o come si relaziona il tempo
all’onnipotenza.
I suoi primi scritti furono dedicati alla principessa normanna Adele, figlia di Guglielmo il Conquistatore,
risalgono alla vita monastica: la meditazione Ad concitandum timorem e sei preghiere.
Due opere importanti:
1) MONOLOGION
Qui mette in evidenza le dimostrazioni dell’esistenza di Dio
2) PROSLOGION
attraverso la ragione.
Nel primo (monologo) presenta quattro prove per dimostrare l’esistenza di Dio.
Nel secondo (discorso) il dialogo presenta la prova ontologica.
MONOLOGION: meditazione di carattere filosofico nata a richiesta della comunità di monaci, per cui la
ricerca intellettuale è intesa come un volgersi del pensiero a Dio e la preghiera a Dio di tutto l’uomo.
Nel prologo disse che alcuni confratelli lo spinsero a scrivere per loro, come esempio di meditazione,
sull’essenza di Dio. Nello scrivere la meditazione gli fu chiesto di non essere persuaso dall’autorità della
scrittura, ma che ogni investigazione avvenisse con argomenti necessari, cioè di non guardare alla Bibbia
per ragionare su cosa è Dio. Gli argomenti devono essere brevi, concisi, tali che la ragione fosse necessitata
ad accoglierli.
Il tema della filosofia anselmiana è l’essenza di Dio. Sono discussi temi presenti anche in Boezio ed
Eriugena, come Dio e il rapporto con le creature, la creazione, il sommo bene, la predestinazione, la libertà
morale dell’uomo. Dopo il tema, gli fu definito il metodo da adottare, cioè argomenti razionali cogenti e
non il mero ricorso all’autorità. Si comprende con tale uso della ratio che l’uso dialettico ormai era
legittimato. Ma è una ragione che non resta legata ai dati della propria esperienza, ma medita alla ricerca
del significato profondo del contenuto di una fede che è già stata accolta.
La ratio è il criterio per parlare dell’essenza divina.
La ratio ha un senso soggettivo poiché indica la mente umana che comprende, sia un senso oggettivo in
quanto si rapporta al contenuto della verità rivelata.
LA FEDE VUOLE COMPRENDERE RAZIONALMENTE
IL CONTENUTO DI FEDE.
La ricerca filosofica di Dio prende la forma di una riflessione su ciò che “onde sono buone le cose che si
desiderano proprio perché si giudicano buone”. Definizione in cui è chiaro il richiamo al De Hebdmadibus di
Boezio; una riflessione sul bene che non ha né pari né migliori di sé (qui si avverte il nucleo della prova
ontologica del Proslogion).
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Al sommo bene si accede prendendo le mosse dalla comprensione dell’ordine degli esseri creati, articolati
in quattro prove che fanno capire l’esistenza di una natura superiore a ciò che esiste. L’esistenza divina si
può argomentare attraverso quattro modalità:
1) ESISTE QUESTO SOMMO BENE CHE è DIO parte dall’osservazione che tutti mirano al bene e che
beni tra loro diversi sono confrontabili: deve esistere quindi un fondamento comune, il bene
sommo dal quale tutte le cose traggono bontà per partecipazione. Parte cioè dal principio che tutti
desiderano delle cose che sono buone per sé. Tale fatto spinge la mente umana a pensare che se io
sono spinto a cercare delle cose buone per me, esiste un qualcuno che fa le cose buone. Esiste
qualcosa per misurare queste cose buone ed è il bene in sé. Il fondo di tale ragionamento è
ritrovabile in Boezio che elabora il concetto di partecipazione, la bontà partecipa nelle cose buone,
c’è un ente che non partecipa ed è il sommo bene.
2) ESISTE UNA GRANDEZZA PER Sé CHE è DIO  dimostra che il bene sommo è l’essere più grande
che possa esistere da cui tutto l’ordine delle cose create riceve la grandezza.
3) ESISTE UN ENTE CHE è PER SE STESSO, CHE Dà L’ESSERE A TUTTE LE COSE E QUESTO è DIO  si
costruisce a partire dalla constatazione della distanza ontologica tra creatore e creature. Il rapporto
è descritto attraverso la metafora della luce: essenza, essere ed ente stanno fra loro come la
relazione che si trova tra luce, risplendere e cosa che risplende. Cioè, tutte le cose esistono in virtù
di qualcuno che lo ha voluto. C’è qualcosa per cui l’esistenza è per sé e tale ente è l’ente divino.
4) ESISTE UN ESSERE PERFETTO PER IL QUALE LA PERFEZIONE STESSA è DEFINIBILE.  si riallaccia alle
prime due, anche se non considera le singole qualità degli esseri, ma il principio del loro
ordinamento, la gradualità della loro perfezione, per concludere che esiste una natura perfetta.
Esistono cose più o meno perfette perché esiste qualcosa di perfetto in sé che fa in modo che ci sia
un ordine di perfezione.
Ente è buono, grande, esistente, perfetto  È bontà, grandezza, essere e
perfezione  essendoci nel mondo questi attributi ed essendo essi dati da
altro, deve esserci un ente che li ha al SOMMO DEI GRADI.
Ciò che l’ente sommo è e ciò che l’ente sommo ha.
RIFLESSIONE SUL LINGUAGGIO
Le argomentazioni razionali si basano anche sul presupposto di un’analogia fra il piano del pensiero umano
e le strutture della creazione divina.
Un’analogia di questo genere si trova anche nella riflessione sul linguaggio.
La corrispondenza tra pensiero (espresso nella parola) e la realtà è oggetto della sua ricerca sulle arti del
trivio a cui dedicò due dialoghi ( De Grammatico nel 1080 e De veritate 1085).
Per comprendere la riflessione bisogna comprendere il valore che la parola possedeva nella tradizione
monastica: l’espressione verbale era preghiera.
Nel De grammatico definisce il significato veritiero (recta significatio) del termine grammatico a partire
dalla questione se tale termine designi una qualità o una sostanza. La discussione nasceva tra due
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aucotoritates, Aristotele che riteneva che il termine grammatico disegnasse una qualità e Prisciano che lo
usa come sostantivo che designa una sostanza.
Anselmo analizza il problema distinguendo i due modi in cui un termine “significa”:
1_ la relazione non necessaria tra parola e ciò a cui viene applicata nel linguaggio comune, APPELATIO
2_ la relazione necessaria tra la parola e il suo contenuto significativo, SIGNIFICATIO
La parola grammaticus denomina l’uomo (appellatio), ma non lo designa.
La verità dell’enunciato si ha quando l’elemento corrisponde alla realtà (=struttura profonda delle cose).
La verità delle cose è una rettitudine. Rectitudo è un termine che fa vedere come Anselmo consideri la
correttezza del parlare come un dovere morale.
La dialettica deve essere lo sforzo per rintracciare la verità del reale.
PROSLOGION: dopo il Monologion segue l’opera fondamentale scritta in forma di colloquio con Dio che
presenta quell’unico argomento che dimostra da solo che Dio esiste veramente.
PROVA ONTOLOGICA
DELL’ESISTENZA DI DIO
Collega i due testi nel proemio del secondo scritto. In apertura a questo si riferisce all’inquietudine
intellettuale che lo spingeva a ricercare una forma di ragionamento più semplice di quella costituita dalla
concatenazione di molti argomenti esposta nel Monologion.
È evidente il carattere intuitivo della nuova prova dell’esistenza di Dio che si discosta dalla tradizione
precedente e costituisce il contributo originale di Anselmo nella storia del pensiero: l’elemento di ricerca e
improvvisa scoperta si sostituiscono qui alla paziente meditazione.
“Non cerco di capire per credere, ma credo per capire. Se non avrò creduto, non potrò capire”.
Il punto di partenza dell’argomentazione è il diniego (=negazione) dello stolto, INSIPIENS, di ammettere
l’esistenza di Dio: la replica di Anselmo si fonda sulla presenza, nella mente stessa dello stolto, di quell’idea
di cui nega la realtà (Dio) e sull’analisi di tale idea, cioè sulla ricerca della significatio, che contiene la
necessità della propria esistenza reale.
Nel testo dice: noi crediamo che tu sia qualche cose di cui nulla può pensarsi più grande. Oppure tale
natura non esiste poiché lo stolto dice “Dio non esiste?”. Ma lo stesso stolto intende quello che ode quando
io dico “qualcosa di cui nulla può pensarsi più grande”. Ciò che egli intende è nel suo intelletto, anche se
non intende che quella cosa esiste. Ma ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo
nell’intelletto, poiché si potrebbe pensare che esistesse nella realtà e ciò sarebbe più grande. Se quindi ciò
di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell’intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è
ciò di cui si può pensare il maggiore, il che è contraddittorio.
Dunque, esiste ciò di cui non si può pensare il maggiore sia nella realtà, che nell’intelletto.
Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di più grande. Lo stolto invece dice che Dio
non esiste, ma comunque intende se io dico “ciò di cui non si può pensare
qualcosa di più grande” e nell’intenderlo lo ha nell’intelletto, anche se non ne
ammette l’esistenza. Ma se ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo
nell’intelletto vuol dire che è ciò di cui si può pensare il maggiore poiché
l’esistenza intellettuale è inferiore a quella ontologica, ma così ci sarebbe una
contraddizione  ciò di cui non si può pensare il maggiore deve esistere sia
nell’intelletto che nella realtà.
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Presupposto alla base è la pienezza dell’essere. Una cosa pensata solo è ontologicamente inferiore a una
dotata di esistenza. Il pensiero medievale è vincolato da tale presupposto, eccezion fatta per lo pseudo
Dionigi, Scoto Eriugena e Eckhart.
Anselmo poi cerca di capire come lo stolto pensi che Dio non esista.
La risposta richiede una distinzione di significati della parola “Pensare”:
 SI PENSA UNA COSA QUANDO SI PENSA LA PAROLA CHE SIGNIFICA
In tal caso si può pensare che Dio non esista
 SI PENSA Ciò CHE è LA COSA
Qui si può solo pensare che Dio esista.
Ribadendo la distinzione fatta nel secondo caso tra appellatio e significatio nella definizione di verità, si può
dire che nel secondo caso, consapevoli della significatio del termine Dio, si deve considerare veritiero.
Su questo punto si inserisce GAUNILONE, monaco, autore della replica al Proslogion con “Liber pro
insipiente”-->Gaunilone contesta che il nesso fra le parole e le cose sia saldo come è necessari perché
l’argomento di Anselmo si possa considerare valido.
Cioè: l’argomento per cui al pensiero equivale l’esistenza reale deve essere provato, non solo dicendo che
come lo intendo è nel mio intelletto, o si potrebbe dimostrare che esistono le cose che reputo incerte dette
da uno cui intendo le parole.
Nel loro contrasto non è in discussione la fede o l’esistenza di Dio, ma è sullo statuto del linguaggio e sulla
natura del suo legame con la realtà.
Per Gaunilone: le parole non rinviano alla realtà; se non c’è esperienza delle cose, non si può nemmeno
affermare che le parole udite o pronunciate introducono effettivamente nell’intelletto il
concetto che indicano. Si può avere conoscenza di una cosa solo se c’è immediatamente
presente. Nel caso delle parole che indicano Dio come ciò di cui non si può pensare il
maggiore, manca qualsiasi elemento di comparazione. L’esperienza sensibile conferisce il
significato alle parole (ad esempio posso immaginare un’isola perduta, ma non ho garanzia
della propria esistenza).
L’esperienza a cui Anselmo riporta la significatio è invece un’esperienza psichica intuitiva che contiene in sé
la propria certezza.
Anselmo risponde nel “Liber apologeticus contra Gaunilonem”.
Per Anselmo: se si ammette che le parole abbiano senso, si ammette anche il legame necessario fra il
mondo del discorso e quello della realtà: se lo si nega, si deve sospendere il giudizio su
qualsiasi affermazione che riguardi la realtà o non realtà degli oggetti del pensiero.
TESTO FOTOCOPIA- PROSLOGION
PROEMIO: qui dice che il monologion è stato scritto come una concatenazione di argomenti, ora vuole
esporre un unum argumentum. Bisogna compiere uno sforzo della mente e superare le prove di tipo
razionale per comprendere l’unico argomento. Dice “conflitto stesso dei pensieri” e ciò descrive anche
l’atteggiamento dell’epoca, cercare di arrivare a pensare ciò che sembra impensabile.
La fede cerca l’intelletto (credo ut intelligam VS Abelardo). Qui non si appella alla ratio, ma all’intellectus.
Molte analogie con le meditazione cartesiane.
PRIMA PARTE: dialogo tra Dio e Anselmo Dio esiste veramente.
Il verbo è cogito. Posso pensare che Dio non esiste, ma se dico “ciò di cui non si può pensare il maggiore”
questo viene capito. In quanto qualcosa (illud), tralasciando Dio, comprendo che è qualcosa che contiene
tutte le perfezioni. Ciò è nell’intelletto, ma un conto è pensarlo e un conto è esistere. Esempio del pittore:
quando il pittore pensa prima a ciò che sta per fare, ha nell’intelletto ciò che ancora non ha fatto, ma non
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intende che questo ancora non esista. Quando lo ha dipinto, non solo ha nell’intelletto ciò che ha fatto, ma
intende che esiste. Se lo stolto, allo stesso modo, accetta che “almeno nell’intelletto” esiste “qualcosa di cui
non si può pensare nulla di più grande”, comprende.
Svolta ontologica: “ciò di cui non si può pensare qualcosa di più grande non può essere solo nell’intelletto”.
Essere in re (esistere) è maggiore che esistere nel pensiero, sennò dovrebbe esserci una cosa più grande.
La chiave di volta è che si da per esatto che è comprensibile, intellegibile ciò di cui non esiste il maggiore,
ammesso ciò però si deve ammettere l’essere in re, cioè l’esistere. L’esistenza compresa intellettualmente
è inferiore a quella ontologizzata nella realtà. A Dio si attribuiscono tutte le proprietà positive perché sono
maggiori di quelle negative. Essendo l’esistenza una proprietà di Dio, è maggiore della non esistenza. Dio
deve quindi esistere. (Tutto ciò verrà distrutto da Tommaso d’Aquino per cui Dio coincide con l’esistenza,
quindi l’esistenza non può essere un attributo).
Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore è solo nell’intelletto, quello stesso di cui non si può
pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore (perché l’essere in re è maggiore). Ciò
ovviamente non può essere, quindi ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste sia nell’intelletto che
nella realtà.
La prima reazione a tale testo fu quella di Gaunilone che dice: lui è nella stessa situazione dello stolto,
capisce quando dice “ciò di cui non si può pensare nulla di più grande”, ma questa nozione non corrisponde
a nessun contenuto, non ha genere e specie, dove si colloca quindi?
Lui è un monaco, quindi crede in Dio, Gaunilone si riferisce al ciò (id) di Anselmo. Capisco le parole, ma non
le intellego. Posso pensare a un’isola perfetta, ma non posso passare dal piano del pensiero a quello
dell’esistenza e ciò vale per ciò di cui non posso pensare il maggiore. Se non lo vedo non posso classificarlo,
dargli un contenuto a tale id. Anselmo risponde che per tutte le realtà che cadono nella possibilità
dell’esperienza, vale tale ragionamento, ma Dio non ha genere e specie, supera tutte le cose. Non si può
paragonare l’id (che somma tutte le perfezioni) con un’isola perfetta.
LIBERTà E RETTITIDINE
Le ricerche negli anni successivi furono sul SIGNIFICATO DEL LINGUAGGIO. Anselmo scrisse un’opera “De
libertate arbitrii” e “De casu diaboli” dove affronta l’intreccio di temi composto dall’affermazione della
libertà umana e divina, della prescienza divina e predestinazione.
Su tali argomenti torna nell’opera “De concordia praescientiae et praedestinationis et gratiae dei”.
Il concetto su cui si basa la discussione è quello della salvezza (affontrato anche in termini teologici
nell’ultima opera Cur deus homo del 1098).
LA LIBERTà DELL’UOMO NON SI Può DEFINIRE COME “POTER PECCARE O NON POTER PECCARE”, poiché SE
COSì FOSSE, DIO NON POTENDO PECCARE, NON SAREBBE LIBERO. LA LIBERTà SI DEFINISCE IN ORDINE AL
SUO SCOPO, COME PERFEZIONE POSITIVALA LIBERTà E POTER FARE IL BENE ED è UNA SCELTA DI
RETTITUDINE, CHE GARANTISCE IL VALORE MORALE DI TUTTE LE SCELTE SUCCESSIVE.
All’origine della scelta di fondo della rettitudine, sta la decisione di rinunciare all’amore per sé e abbracciare
quello per Dio.
Ma come si concilia la libertà della scelta dell’uomo con la prescienza divina? In Dio la libertà si esprime
nell’ordine del creato, che non vincola la scelta degli uomini, ma le conseguenze che ne discendono. La
differenza tra i due tipi di necessità di Boezio, consente ad Anselmo di mantenere uno spazio alla libertà di
scelta umana.
IL MISTERO DI CRISTO
Dal 1092 la vita di Anselmo cambiò radicalmente. Lasciò il monastero di Bec in Inghilterra, dove la sede
episcopale di Canterbury era vacante dalla morte dell’arcivescovo Lanfranco, venne insediato su tale seggio
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episcopale nel 1093 un riluttante Guglielmo II che aveva lasciato per alcuni anni la sede del primate
d’Inghilterra per poter disporre dei beni ecclesiastici.
Il contrasto con il sovrano spinse Anselmo ad andare all’esilio nel 1097. Si recò a Lione e poi in Italia dove
scrisse Cur Deus homo nel 1098. L’opera si apre con un rinnovato richiamo all’uso della ratio, non per
arrivare alla fede mediante la ragione, ma per poter godere della verità in cui si crede con l’intelletto. La
necessità dell’incarnazione di Cristo viene spigata con il fatto che solo un uomo Dio poteva espiare
degnamente i peccati dell’umanità, non essendo egli stesso debitore. Anche qui viene escluso il ricorso alla
Scrittura, arrivando a dimostrare la duplicità di natura, nell’unicità della persona che aveva costituito il
tema degli opuscoli di Boezio.
Come il Proslogion si era aperto con una preghiera, questo si chiude con un’altra preghiera in cui i temi
dell’opera appaiono trasfigurati in forma di meditazione, mostrando la matrice ultima della ricerca
intellettuale anselmiana nella ricerca dell’unione mistica evocata con le parole del Cantico dei Cantici.
Tornato a Lione, Anselmo si dedicò a una vita di studio e meditazione finché morto Guglielmo II nel 1110
non venne richiamato dal successore il re Enrico. Anche con questi però si riaccesero gli stessi contrasti:
Anselmo riprese la via dell’esilio pur continuando le trattative con la corte inglese finché non riuscì a
prevalere il suo punto di vista sui beni ecclesiastici. Nel 1106 tornò in Inghilterra dove morì dopo tre anni.
Gli studiosi di Anselmo lo hanno visto come un razionalista e da altri come un pensatore religioso la cui
ricerca non ha validità fuori l’ambiente monastico.
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NUOVE PROSPETTIVE DEL PENSIERO DEL XII SECOLO
LA FILOSOFIA E LE ARTI DEL LINGUAGGIO
LA RINASCITA DEL XII SECOLO
Questo secolo è definito come epoca di rinascita e progresso.
Vari fattori di rinascita: ripresa demografica, nuove tecnologie, miglioramento di vita della popolazione,
ripresa della vita economica. Rinnovamento anche nella vita religiosa: moralizzazione della vita del clero-->il
momento religioso si focalizzò sul tema del ritorno alla vita evangelica che si diffuse negli ambienti laici.
Riforma cirstecense (attenzione al lavoro e alla vita materiale) fu il risultato della ripresa d’interesse per il
mondo terreno anche in ambito religioso.
Elemento nuovo nel contesto medievale è la PRESENZA FEMMINILE (movimento delle beghire).
Rinnovata attenzione della parte
Femminile da parte della chiesa, dove
Prima erano solo a carattere stereotipo o agiografico.
Ora emerge la devozione per la Maria e la centralità della figura femminile nell’ambiente cortese e alcune
donne si affermavano nell’ambito della cultura monastica come Ildergarda di Bingen ed Eloisa.
Tutti questi elementi di novità aiutano a spiegare il fermento intellettuale dell’epoca che si concretizzò
nella fioritura delle scuole cittadine.
L’uso della ratio nelle questioni teologiche si articolò dando vita a ricerche sul linguaggio. Si divarica l’idea di
filosofia come sapienza da quella di filosofia come indagine razionale. Dalla sapienza si passa al sapere
scientifico.
LOGICA TRADIZIONALE E LOGICA DEI MODERNI
Nel XII secolo grande importanza della dialettica. La logica era definita dottrina della verità o falsità del
linguaggio.
Nella logica tradizionale il problema fondamentale è quello del rapporto tra linguaggio e realtà. Nel De
interpretazione di Aristotele tale rapporto è mediato dal concetto (=simbolo necessario della cosa
designata). I nomi indicano la realtà delle cose, ma qual è lo statuto di questa realtà? Le affezioni hanno
luogo nell’anima, sono un calcolo psicologico della realtà esterna, oppure la loro universalità è mentale?
-->problema affrontato esaminando la portata ontologica del concetto sulla base di un passo del prologo
dell’Isagoge di Porfirio. Ciò da origine a due concezioni: realismo, nominalismo.
La logica stoica proponeva un modello diverso da quello aristotelico, poiché, mentre affermava la necessità
del rapporto tra concetto ed espressione linguistica riteneva che il concetto fosse semplicemente un segno
(eliminando il problema della corrispondenza tra la cosa designata e la realtà).
Intesa così la logica diviene scienza autonoma, senza implicazioni ontologiche.
L’insieme degli scritti tradotti da Boezio vennero chiamati logica vetus  questa veicola l’interpretazione
della logica aristotelica con l’aggiunta di materiali stoici. La logica nova comprende: -teoria aristotelica dei
sillogismi, - esposizione del metodo scientifico, - teoria della scienza (epistemologia).
Terza branca della logica è la logica moderna  creazione originale dell’età medievale (non ebbe origine
dall’aggiunta di materiali recuperati dalla tradizione), ma sulla riflessione di determinati aspetti del
linguaggio (soprattutto sulla dottrina del significato, costanti logiche e inferenza logica).
I contenuti di tale logica si svilupparono nel XII secolo. Lo sviluppo della logica nel XII secolo si snoda su due
percorsi:
 DISPUTA SUGLI UNIVERSALI  considera la logica in rapporto con il discorso sulla realtà.
 CONDIZIONI DI VALIDITà DEL DISCORSO  indagati dalla logica moderna.
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Ponti tra questi due tipi di ricerche è la soluzione nominalista del problema degli universali.
Questa riteneva che gli universali fossero
puri nomi, flautus vocis, privi di realtà
metafisica.
Questa non escludeva una presa di posizione a livello ontologico: dire che i concetti non hanno un legame
con la realtà è considerare reale solo gli individui, non sospendere il discorso sulla realtà medesima. Questa
posizione aveva la possibilità di autonomia del discorso logico rispetto a quello metafisico, poiché
considerava i concetti universali come puri termini del discorso. Vari nominalisti: GARLANDO COMPOSITA
che si rifiuta di pensare la logica come qualcosa di diverso dalle parole. Per lui ciò che un termine significa,
consiste nella sua denotazione (=cioè un’applicazione a una determinata classe di oggetti), mentre la
connotazione (=contenuto significato dell’oggetto) è considerato sotto l’aspetto morale, i termine
generalissimi come “sostanza”, “quantità”, significano la stessa cosa (può essere applicato a qualsiasi cosa),
ma in maniera diversa (dice della cosa qualcosa di diverso).
Vicino a tale posizione c’è ROSCELLINO, il quale nega che la qualità delle cose fossero entità distinte dagli
oggetti che lo posseggono (ad esempio il colore non è diverso dal corpo colorato). La negazione che gli
universali possedessero una qualche realtà, significava escludere che molte cose coincidessero con una
realtà unica.
Sul piano teologico ciò lo portava a non accettare la formula trinitaria delle tre persone in una sostanza.
Infatti lui, di diverso da Garlando, riteneva che la logica possa essere applicata a ogni disciplina, compresa la
teologia. Al contrario, i teologi pensavano che la logica dovesse fornire solo gli strumenti per interpretare
bene i dogmi e individuare i punti deboli dell’argomentazione.
I teologi sono inclini ad accettare il realismo.
Una riflessione teorica sugli universali è dovuta a GUGLIELMO DI CHAMPEAUX i generi stanno alle specie
e le specie agli individui, come la materia sta alla forma. Ritiene che i termini logici si riferissero a entità
intensionali reali, non a semplice espressioni linguistiche (criticato da Abelardo).
Lentamente si ha una profonda trasformazione, da strumento, la logica, si trasforma in una scienza dei
fondamenti.
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ABELARDO
Più grande pensatore logico del XII secolo. Nacque nel 1079 e morì nel 1142.
Prima metà del XII secolo, mentre Anselmo nella seconda metà dell’XI secolo, questo volgere di secolo
cambiano molte cose, come la figura del filosofo. La sua vita ci fa capire che la situazione sta cambiando
(rifiorire della cultura sia per i monaci che per i laici).
Il maestro diviene figura professionale. Abelardo farà il magister per professione.
Il racconto della sua vita personale e intellettuale è in un testo scritto da lui stesso, HISTORIA
CALAMITATUM che ci rinvia un’immagine di un uomo dal carattere vivace, ostinato, grande studioso,
dotato di vasti interessi intellettuali.
Scrive che si dedicò alle lettere con tanta passione che rinunciò alla carriera militare “abbondai la corte di
Marte per essere educato in seno a Minerva”. Tra tutte le discipline filosofiche preferiva la dialettica.
Si descrive così Abelardo all’inizio dell’autobiografia scritta a un amico quando era abate dell’abbazia di
Saint Gildas. La lettera arrivò tra le mani di Eloisa, monaca nel Paracleto, convento fondato dallo stesso
Abelardo. Erano passati circa venti anni dalla vicenda che li vide amanti, poi sposi e genitori di un bambino
e separati dallo zio della donna, Fulberto. Questi non riteneva che il matrimonio, celebrato in segreto per
volontà di Abelardo poiché lo stato coniugale era in contrasto con quello di magister, fosse la giusta
riparazione per aver sedotto Eloisa e si vendicò facendo infliggere al filosofo una punizione solita per quei
tempi, la castrazione. Per sfuggire a tale scandalo, Abelardo si rifugiò nella vita monastica dopo aver
imposto ad Eloisa di fare lo stesso.
La vita avventurosa di Abelardo cominciò prima della storia con Eloisa, conformemente all’uso degli scolare
di quell’epoca aveva cominciato a recarsi nelle varie scuole di dialettica, finché raggiunse Parigi, dove fu
allievo di Roscellino e Guglielmo di Champeaux, di cui disse che da principio ci lavorò molto bene, ma poi i
loro rapporti si guastarono perché Abelardo cominciò a criticare le sue idee e molto spesso era lui stesso a
vincere le dispute. Abelardo disse “più la mia fama cresceva, più aumentava l’invidia di tutti nei miei
confronti”.
Abelardo fondò prima una propria scuola, poi tornò a farsi discepolo di Guglielmo attaccando un punto
della dottrina degli universali (punto centrale del suo insegnamento).
Abelardo diceva: a proposito dell’esistenza comune degli universali, Guglielmo sosteneva che in tutti gli
individui è presente la stessa realtà, in modo che non c’è nessuna differenza nell’essenza,
ma solo una certa varietà in conseguenza della molteplicità degli accidenti. Dopo la loro
disputa, Guglielmo cambiò la sua teoria arrivando a sostenere che la stessa realtà è
presente negli individui non essenzialmente, ma indifferentemente.
Nella LOGICA INGREDIENTIBUS, dove gli ingredientes sono i principianti, gli studenti alle prime armi, le due
successive posizioni tenute da Guglielmo sono esposte e confutate.
Abelardo riporta la teoria del realismo estremo e quella della non-differenza.
Bisogna cercare come la definizione dell’universale possa adattarsi alle cose, infatti sembra che nessuna
cosa si possa predicare di più soggetti presi singolarmente, come esige la proprietà dell’universale. Alcuni
intendono l’universale- cosa così da collocare una sostanza essenzialmente identica in cose diverse fra loro
per forma e la concepiscono come essenza materiale dei singolari in cui si trova. Altri (che si avvinano di più
all’opinione vera) dicono che le cose singole non sono diverse solo per le forme accidentali, ma sono
distinte anche per le essenze, ma ritenendo ancora l’universale come una realtà, chiamano l’universale una
realtà identica per indifferenza e non per essenza.
Il cambiamento che introdusse Guglielmo dopo le critiche di Abelardo salvava la singolarità degli individui
appartenenti a una stessa specie. Tale singolarità era incompatibile infatti con la concezione dell’universale
come res.
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La teoria della non-differenza, anziché ridurre gli uomini a varianti accidentali dell’unico universale- cosa
“uomo”, sostiene che in tutti gli uomini sussiste in maniera reale un nucleo identico, ma singolare, in virtù
del qual essi sono detti uomini.
Per capire al meglio la dottrina con cui Abelardo mise in crisi il suo maestro, si devono premettere alcune
considerazioni: Abelardo cerca di distinguere le immagini mentali dalle cose fisiche di cui sono immagini e
dalle realtà propriamente intellettive che sono le idee e i concetti. I nomi, i verbi afferma che significano le
idee che generano nell’ascoltatore, ma anche ciò di cui esse sono idee, cioè le cose. Il linguaggio si riferisce
alle cose reali attraverso la mediazione dei nomi. I nomi hanno un duplice carattere: in quanto vocabolo il
nome è detto vox, in quanto entità linguistica dotata di significato è detto sermo.
Un termine ha valore di universale non per una pura convenzionalità, ma in quanto esprime un significato
che si basa sulla natura comune delle cose da esso indicate. L’universale è un concetto o idea che si
distingue da quello della cosa singola per le sue caratteristiche di astrazione soluzione denominata
concettualismo.
Le dottrine logiche di Abelardo sono esposte sia nella Logica Ingredientibus, Dialectica e alle glosse ai testi
della Logica Vetus.
DOTTRINE TEOLOGICHE E FILOSOFICHE
Il periodo più felice della vita di Abelardo furono gli anni successivi all’insediamento sulla cattedra di Notre
Dame. Visse in quel periodo la celebre storia d’amore con Eloisa. Fu chiamato dallo zio della ragazza per
perfezionare la sua istruzione, poiché nei monasteri erano accettati solo maschi, e i due s’innamorarono.
Nella Historia Calmitatum e nell’epistolario con Eloisa, ai ricordi si accompagna una riflessione articolata
sull’amore e il matrimonio, che prende le mosse da un testo misogino della Patristica l’Adversus Iovinianum
di San Gerolamo dove si afferma che il “sapiente non deve prendere moglie”.
Il principio fondamentale dell’etica di Abelardo è che il peccato non risiede negli atti, ma nell’intenzione.
Dopo la drammatica conclusione della vita matrimoniale Abelardo si era ritirato nella cella monastica di San
Dionigi, dopo il 1121, quando venne condannato per la concezione trinitaria espressa nel De Unitate et
Trinitate divina, visse per qualche tempo al Paracleto e poi a Parigi fino al 1141. In questi anni compose
diverse opere teologiche (Introductio ad Theologiam, Sic et non, Theologia cristiana, il Dialogo fra un
filosofo, un ebreo e un cristiano), in cui si proponeva di trattare di teologia secondo un criterio razionale
che permettesse di pervenire alla verosimiglianza, se non alla verità, degli argomento e che non fosse in
contrasto con la Sacra Scrittura. Abelardo ritenne di fare ricorso alle dimostrazioni filosofiche per mostrare
la convergenza del testo sacro con la filosofia greca e convincere così i non cristiani.
Questo lavoro di organizzazione scientifica dei materiali patristici viene portato avanti nel Sic et Non dove
vengono esposte anche le considerazioni metodologiche secondo le quali si deve procedere nei confronti di
una tradizione che presentava opinioni diverse sugli argomenti di fede.
Un’esposizione sistematica della teologia si ha nella Theologia cristiana.
Il Sic et non è considerato una tappa molto importante nell’elaborazione del metodo scolastico. Sono una
raccolta di opinioni contrastanti sulle verità di fede cristiana, preceduta da un prologo che costituisce un
vero e proprio modello di ermeneutica critica.
Il principio generale è che “attraverso il dubbio si giunge alla ricerca, attraverso la ricerca si giunge alla
verità”. I testi raccolti vanno sistematicamente sottoposti a critica seguendo cinque regole fondamentali:
1) Si deve analizzare il significato dei termini del testo esaminato, verificando l’esatta intenzione
dell’autore nell’uso di una determinata parola.
2) Si deve indagare se i testi considerati sono autentici.
3) Devono essere esaminati nel contesto complessivo dell’opera del loro autore.
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4) Si devono distinguere fra quanto l’autore ha sostenuto in proprio e quanto ha riportato come
citazione altrui.
5) Si devono classificare secundum auctoritatem i testi esaminati. Quando non è possibile risolvere le
opposizioni fra opinioni diverse applicando le prime quattro norme interpretative, si deve scegliere
l’opinione dell’autore la cui dottrina è più certa nell’ambito dell’insegnamento tradizionale della
chiesa.
Nella Theologia Christiana la trattazione dei problemi teologici si sviluppa secondo il metodo della quaestio.
Fra i punti dottrinali sui quali Abelardo si presenta innovatore, l’identificazione dello Spirito Santo con
l’anima del mondo offre un esempio di quella spiegazione del testo sacro con le parole dei filosofi che
appariva estremamente pericolosa a un esponente della linea tradizionale come Bernardo di Chiaravalle.
Abelardo sosteneva che solo il Padre è in sé tale da poter in se stesso sussistere.
La ricerca di una filosofia naturalmente cristiana proseguiva nel Dialogo dove Abelardo afferma che la
possibilità di una convergenza tra cristianesimo e filosofia è visibile nella moralità naturale dei filosofi.
L’ETICA DELL’INTENZIONE
Negli ultimi anni della sua vita sistematizzò nello Scito te ipsum gli spunti di riflessione morale che aveva
introdotto nelle opere teologiche. L’opera inquadrava il problema etico in una prospettiva diversa rispetto
alle discussioni tradizionali sulla libertà dell’agire umano e assumeva una posizione innovativa nei confronti
con della gestione ecclesiastica tradizionale del problema del peccato.
Nei Penitentiarii (scritti rivolti a dirigere la pratica dei confessori) ai peccati erano contrapposte penitenze
commisurate alla gravità dell’atto commesso, in una concezione che si richiamava al principio giuridico
della condanna commisurata al delitto.
La novità dello Scito te ipsum risiede in primo luogo nella distinzione psicologica fra vizio e peccato che
Abelardo pone in apertura del primo libro “Il vizio dell’anima così inteso (le disposizioni interiori che ci
rendono inclini alle cattive azioni) non si identifica con il peccato, e il peccato a sua volta non si identifica
affatto con l’azione cattiva”. Per esempio il vizio dell’ira costituisce un difetto dell’anima, ma non implica
l’azione (così come l’essere zoppo costituisce un difetto corporale anche quando l’uomo zoppo non sta
attualmente camminando). Soltanto l’assenso all’inclinazione malvagia costituisce il peccato. L’acconsentire
al male è un gesto di disprezzo e quindi offesa verso Dio.
Il paradosso è che si può peccare senza commettere azioni apparentemente malvagie. Il peccato è la
decisione interiore di andare contro il volere di Dio.
Abelardo si distacca dalla posizione etica che Agostino aveva delineato nella polemica contro Pelagio, dove
faceva dipendere dalla grazia divina la conversione del peccatore e sottolineava l’impossibilità per l’uomo di
ritrovare lo stato d’innocenza di propria iniziativa.
La vita morale si delinea come una lotta interiore dove il principio discriminante è l’intenzione retta
sostenendo che Dio nel dare il premio guarda l’animo più che l’azione.
Il giudizio dell’intenzione è riservato a Dio, lui guarda le intenzioni.
Collocare il principio morale nell’interiorità non significa sottrarre l’uomo alla responsabilità delle proprie
azioni.
TESTO FOTOCOPIA – PIETRO ABELARDO
HISTORIA CALAMITATUM: autobiografia. Discende da una famiglia militare. Abelardo di per sé doveva fare
il guerriero, ma si appassionò più a Minerva che a Marte, cioè più alla sapienza che alla guerra, e tra tutte le
discipline della filosofia preferiva quelle della dialettica, cioè la logica. Quello che prima era il ragionare nei
monasteri, ora diviene una “disputa filosofica” (rivoluzione della cultura) che avvenivano davanti a un
pubblico. Abelardo si sposta lungo tutta la Francia per apprendere.
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Nel 1101 si sposta a Parigi presso Guglielmo di Champeaux, ma l’aver abbracciato le armi della dialettica gli
porta molte disgrazie.
La prima dottrina per la quale disputa è LA DOTTRINA DEGLI UNIVERSALI.
Tema discusso con Boezio: nel suo commento all’Isagoge di Porfirio sottolinea che quando utilizzo parole
come uomo, case ecc… devo capire cosa sono effettivamente. Sono termini che uso per indicare come
generi o specie (esempio uomo è specie). Mi riferisco a come un’entità singolare si rapporta con le altre (se
uso uomo lo estendo a molti individui, ma non a tutti). Gli universali sono predicati di molti (inteso con
molti quelli di stesso genere e specie), ma non di tutti.
La definizione però indica l’essenza. Platone la risolve dicendo che l’essenza è nell’iperuranio. Il genere e la
specie è la realtà unica? Se così fosse due persone non dovrebbero essere la stessa?
Porfirio nel commento al De interpretazione si chiede se tali universali sono cose (=entità in quanto tali) o
parole.
Boezio nel commento di Porfirio si chiede la stessa cosa.
Se sono res/lusia/sostanza/cose, che tipo di cose sono? Stanno o no nella realtà? Boezio non dà risposta
definitiva.
Ro scellino è un esponente del nominalismo gli universali sono flatus vocis, sono solo parole, nomi che
servono per parlare della realtà, ma non sono l’essenza
delle cose e non sono ontologiche. SEMPLICI PAROLE.
Guglielmo di Champeaux è esponente
 ciò che ci distinue è una somma di accidenti, ma
nell’essenza (data dalla definizione) io indico ciò che siamo.
Ciò CHE INDICA L’ESSENZA.
Abelardo obietta  come è possibile che due sostanze diverse abbiano la stessa essenza, essendo essa ciò
che definisce una sostanza? Ogni uomo ha la sua essenza.
Guglielmo fece destituire Abelardo dall’incarico che se ne tornò a Melun aprendo la sua scuola.
TESTO FOTOCOPIA – ABELARDO
LOGICA INGREDIENTIBUS: logica per principianti; dice che bisogno, contro Guglielmo, cercare come la
definizione di universale si adatti alle cose, poiché nessuna cosa si può predicare di più soggetti presi
singolarmente come esige la proprietà dell’universale. Alcuni vedono l’universale-cosa così da collocare una
sostanza identica in cose per forma diverse e la concepiscono come l’essenza materiale dei singolari in cui si
trova. Alcuni, che si avvicinano più all’opinione vera, pensano che le singole non sono diverse solo per le
forme accidentali, ma anche per le essenze. Ma lo sbaglio loro è ritenere che l’universale sia una realtà.
Per Abelardo le cose prese singolarmente o collettivamente non si possono dire universali, in quanto
questo si predica di molti, resta che l’universalità è delle parole (sermones=discorsi).
Quando utilizzo la parola uomo che è una vox, attribuisco un significato. La parola contiene una definizione.
Quando quindi attribuisco la parola uomo a molti, ma non a tutti, la definizione me li rende uguali, ma
ciascuno resta se stesso. Abelardo inserisce il concetto all’interno di una parola (universale), è essa stessa
coincidente con l’oggetto definito (saranno i termini significativi di Ockham). Il nome proprio dice una cosa
singolare.
L’universale è una parola trovata in modo da poter essere predicata di molti, come il nome uomo è unibili ai
nomi propri degli uomini.
Quando odo la parola uomo, nell’animo sorge un modello che sta ai singoli uomini come comune a tutti e
proprio di nessuno; quando ode un nome proprio (Socrate), nell’animo sorge una forma che esprime la
similitudine di una determinata persona.
40
TESTO FOTOCOPIA – ABELARDO
ELOISA: conosce una donna di 30 anni, se ne innamorò. Fu ospite dello zio della fanciulla Fulberto. Eloisa di
li a poco rimase incinta, quindi scappò con Abelardo il quale andò a trovare lo zio della ragazza preso dallo
sconforto. Abelardo vedendo Fulberto in quello stato decise di prendere in moglie in segreto Eloisa, in
segreto poiché gli insegnanti non potevano avere famiglia (ancora si viveva nella concezione che un uomo
di cultura è legato a Dio). il figlio fu chiamato Astrolabio (uno strumento per guardare le stelle, ciò ci fa
capire in che epoca si viveva visto che fino ad allora tale strumento era sconosciuto).
Il matrimonio segreto viene fatto, ma Fulberto lo rese noto così per disonorare Abelardo, che condusse
Eloisa mandata in un convento. Saputo ciò lo zio pensa che non l’abbia sposata e quindi di notte con dei
sicari, Abelardo fu castrato.
A questo punto Abelardo, da maestro laico è costretto a farsi monaco (più per vergogna che per vocazione)
e da qui procede la sua attività di studio di TEOLOGIA.
TESTO FOTOCOPIA – ABELARDO
TEOLOGIA: torno in Francia per studiare la Teologia presso il maestro Anselmo di Laon. Uno tra gli studenti
gli chiese cosa ne pensava delle Sacre Scritture e Abelardo rispose che fino ad allora aveva studiato la
filosofia, ma che riteneva quel tipo di studio molto utile più degli altri perché gli permetteva di apprende
come fare per salvare l’anima, ma che non capiva perché tutti loro necessitavano di un guida. A questa
osservazione tutti lo derisero e gli proposero di commentare un pezzo oscuro delle Sacre Scritture. La sua
lezione piacque molto accecando l’invidia il maestro.
La sua formazione è di laico e la sua teologia rovescia il punto di vista di Anselmo, non è credo ut intelligam.
Si parte dall’intelligo, i ragionamenti mi guidano alla fede. Questo punto di vista rivoluziona la filosofia
medievale. Se non si parte dalla ragione non si arriva alla fede.
Se non c’è l’aspetto razionale, c’è solo apparenza, intelligo ut credam. Quando Abelardo studia e insegna
teologia un primi risultato è coniare un termine prima non usato, TEOLOGIA, prima si parlava di sacra
dottrina.
Studio filosofico su Dio e i
disciplina
contenuti di fede.
d’insegnamento
Perché tale passaggio? Sicuro per la nuova epoca che si stava vivendo, ma soprattutto per il confronto altro
rispetto a quello cristiano. Nel 1085 prima crociata, questa armata di gente verso l’oriente termina
nell’occupazione dei cristiani in Gerusalemme. Cristiani, ebrei, musulmani, convergenza di tre fedi diverse,
tutte Rivelate, cioè passano per la Sacra Scrittura e ciò fa emergere nel mondo cristiano il confronto con la
fede diversa.
Ciò in Abelardo genera il dialogo tra FILOSOFO: la ragione convince chi crede e chi no
EBREO: la fede è nell’antico testamento
CRISTIANO: la fede è nei vangeli
Il filosofo sottolinea come le differenze tra le fedi convergono attraverso la ragione. Il cristiano deve
assumere le ragioni filosofiche per convincere gli ebrei (ratio filosofica).
Quali argomentazioni filosofiche si possono fare sulle sacre scritture che non sono filosofiche?
In Abelardo la matrice agostiniana dell’interpretazione è in modo particolare quella che lo porterà alla
condanna.
TESTO FOTOCOPIA – ABELARDO - L’UNITà E LA TRINITà DI DIO
IL METODO: quello teologico proposto da Abelardo. Attraverso la ratio, un’argomentazione sotto la
verosomiglianza (=similitudine) dire cosa dicono le scritture.
È la capacità della ratio umana a dare i nomi alle cose create da dio (Adamo dà il nome a se stesso).
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Delle cose naturali noi siamo in grado di comunicare i concetti (=ciò che significano) attraverso il linguaggio.
I concetti ci dicono la natura delle cose, ma nessun concetto è in grado di dirci cosa sia Dio. Nessun
vocabolo può chiarire quale sia l’inventio con il quale formuliamo Dio. Il discorso su Dio è analogico.
È un suspicio (sospetto) di arrivare al vero.
Con gli insegnamenti al figlio Astrolabio, sottolinea come la fede sia una scelta di ragione.
Dato che l’uomo ha istituito i nomi a significare i concetti, non è in grado di comprendere Dio, non può
osare di dare un nome al bene ineffabile. Tutto ciò che viene detto di Dio è avvolto in metafore.
Da qui, anche per la teoria trinitaria, arrivano le condanne, poiché insistenza di Abelardo sulla convergenza
delle parole sia sulle realtà che su Dio. Linguaggio categoriale per Dio e le cose.
TESI: usa in modo oggettivale le proprietà divine. Una sostanza contraddistinta da tre proprietà che sono
tre persone distinte che fanno una sostanza. Tre attributi distinguono tre persone in una sostanza unica.
Insiste sulla modalità categoriale su cui parla di Dio. il problema è che ciò che distingue la persona è una
proprietà. Qui persona non indica una relazione come in Boezio, ma indica una qualità. Lo accusano perché
la distinzione per lui è qualitativa.
Dice che le persone non si differenziano quanto alla sostanza (qui va in contraddizione con quanto detto
contro Guglielmo).
Il parlare con la verosimiglianza vuol dire utilizzare il linguaggio della logica per parlare di queste cose, ma
porta l’uomo a usare gli strumenti umani della logica per parlare di Dio. il linguaggio della logica è quello
categoriale. La logica aristotelica fa da base per la teologia di Abelardo.
Si trasferisce in un monastero e fonda il paracleto (per la consolazione dello spirito che diviene una sorta di
comunità).
Eloisa sottolinea il valore di Abelardo nell’epistolario, facendosi difensore di una tesi di Abelardo,
soprattutto per una tesi condannata da Bernardo di Chiaravalle, tesi che riguarda l’etica secondo cui il
peccato è legato all’intenzione con cui gli atti sono compiuti, non azioni.
TESTO FOTOCOPIA – ABELARDO
ETICA – SCITO TE IPSUM
Il vizio per Abelardo riguarda la natura umana, manchevolezza nel carattere; ci sono persone che per natura
inclinano verso il vizio (egoisti ecc) per Abelardo il peccato non risiede qui. Il peccato sta nell’intenzione,
cioè quando sono consapevole di essere così e acconsentendo alla mia natura ed è un peccato contro Dio.
Accondiscendere alla natura manchevole ci allontana da Dio poiché Dio ci ha donato la ragione, quindi la
consapevolezza e autoconsapevolezza tale per cui è possibile non abbandonarci alla natura manchevole.
Il vizio non si identifica con il peccato né questo con l’azione cattiva. Il peccato è acconsentire al male,
infatti Dio può essere offeso solo dal disprezzo.
La stessa Eloisa dirà di essere peccatrice non per ciò che ha fatto, ma per l’intenzione (segno di disprezzo
verso Dio). Lei dice infatti che è facile confessare il proprio peccato e sottoporre il corpo a macerazioni
esteriori come punizione, ma è difficile strappare dall’anima il desiderio del piacere.
Dopo il 1140 e la seconda condanna Abelardo vuole andare a Roma dal Papa, si ferma a Cluny dove muore
nel 1142 e viene sepolto nel paracleto dove fu congiunto a Idelgarda (a Parigi).
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SCUOLA DI CHARTRES
La scuola di Chartes è una scuola cattedrale. A partire dall’XI secolo e nel corso del XII secolo diventò un
centro culturale più all’avanguardia. Scuola legata alla cattedra del vescovo che serve alla formazione degli
ecclesiastici e aperta agli intellettuali laici che necessitano di un percorso di formazione e persone che
insegnano (molti insegnanti erano anche studenti). In questo contesto c’è
BERNADO SILVESTRE
GUGLIELMO DI CHONCES
Differentemente da altre scuole che studiavano il Trivio: grammatica/ dialettica/ retorica, quindi le arti
della parola. Qui emergono le arti del Quadrivio: aritmetica/ geometria/ musica/ astronomia.
Queste arrivavano dal Timeo di Platone. L’anima del mondo è creata dal demiurgo costruita su base
matematica che formano una scala musicale. Divisa in due parti che sono: movimento medesimo e
movimento diverso. Ciò che è un rudimento di base per l’insegnamento delle discipline aritmetiche che
costituiscono la razionalizzazione del mondo fisico. Dato che il mondo ideale è matematico, si può parlare
del mondo fisico solo in termini di mito.
In tale scuola si parte dal Timeo di Platone e altri testi che fanno da supporto, per dare una conoscenza di
tipo fisico (scientifico) della Genesi. Si utilizza il Timeo come base razionale-filosofica per poter interpretare
l’opera della creazione. Attenzione verso il mondo naturale che per essere capita serve il linguaggio
filosofico, quello di Platone che è verosimiglianza (convergenza tra Platone e la Genesi).
Gli stessi autori della scuola, come Bernardo Silvestri, useranno il linguaggio allegorico che spiega come il
mondo è fatto. Con Guglielmo interesse più razionalistico che cerca di evidenziare come funziona la natura.
Quest’atteggiamento sarà quello che nel secolo successivo porterà la fisica ad essere una materia
d’insegnamento.
Obiettivo di questi filosofi è quello di spiegare la Bibbia sulla fisica, che non è ancora quella aristotelica, ma
platonica VS interpretazione ad litteram di Agostino.
TESTO FOTOCOPIA – BERNARDO SILVESTRE
URANIA ESPONE I DISEGNI DIVINI E LE QUALITà DELLA NATURA UMANA: Urania è la ragione suprema che
espone i disegni di Dio e le particolarità della natura umana. L’atto della creazione dell’uomo è riformulata
sulla base di una volontà divina e sulla base della terra (come nella Genesi). L’infusione dell’anima è data da
Dio e dalle Potenze Superiori. La bellezza è una caratteristica che contraddistingue il genere umano.
Dualismo anima e corpo qui è mitigato dall’armonia e proprio per questa all’anima non sarà difficile
condurre il corpo.
È Urania questa potenza superiore. La Natura è una potenza inferiore che da avvio alle cose. A Ragione
Suprema e la Natura si sposano come sorelle e generano le cose. I cieli (etere) detengono le ragioni delle
cose. I moti degli astri sono rappresentazioni fisiche della razionalità che governa il mondo. I cieli
acquisiscono una funzione di mediazione tra i cieli e le terre, Urania scende sulla terra con difficoltà.
Sorta di ragione cosmica che guarda a un modello che non sono le idee, ma è la mente di Dio. Questa
ragione è come se fosse un braccio di Dio, non coincide con lui.
Pagina 509: “guardare i cieli” è riconoscere le parche (=destino) dell’uomo. La libertà dell’uomo va ricercata
nei movimenti delle stelle.
Si dice che guardando le stelle si può cogliere un po’ del disegno divino e lo sguardo verso i cieli ci fa capire
quanto l’uomo sia libero.
Si comincia ad accogliere l’astrologia.
L’anima domina sul corpo come un sovrano. Quando la ragione entra nel corpo si aprirà alla conoscenza del
funzionamento del cielo e così comprenderà se stessa. Il macrocosmo racchiude il microcosmo.
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La fisica, la conoscenza e l’etica sarà dettato dallo sguardo che l’uomo direzionerà al cielo. La vita dell’uomo
è iscritta nelle stelle. Gli astri dicono il vero. La disciplina dell’astrologia è una disciplina di verità. Funzione
scientifica assunta dallo sguardo verso il cielo che prepara la strada all’astrologia.
Nel testo si dice che Dio vuole che sia fatto l’uomo, così che il corpo gli derivi dalla terra e l’anima dalle
potenze superiori. La volontà di Dio vuole che tutto sia armonico. Urania deve partecipare della creazione
per non far nascere disparità. Lei fu data alla Natura come sorella dal Nous.
Riprende il metro 9 di Boezio con “suprema divina mente”.
Dice che dal cielo riprenderà la bellezza del volto (nascita dell’idea del microcosmo) e dalla legge degli astri
ha ricevuto la durata della vita e la via che conduce alla separazione finale e qui riprende il Periphision di
Scoto. Deposto il corpo lo spirito tornerà agli astri che gli sono affini. Conclude dicendo che non è lecito che
gli astri mentano.
TESTO FOTOCOPIA – GUGLIELMO DI CHONCES
Guglielmo di Conches era del 1110. Era nelle scuole al cui interno vi era un interesse per il mondo naturale
sulla base di un duplice contesto: la spiegazione della generi (esamerone) e la spiegazione del Timeo di
Platone (unica opera allora conosciuta, Caladio propone una traduzione con commento di tale opera).
Questo è un dialogo cosmogonico dove il demiurgo costruisce questo universo suddiviso in cieli che sono i
movimenti di pianeti con due movimenti: rivoluzione dei cieli e moto contrari.
In questa visione dell’universo si fonda sul principio di verosimiglianza (la realtà non si può spiegare in
termini filosofici).
La situazione è diversa qui. Non sceglie la tecnica di presentare un grande mito come Bernardo Silvestre,
ma prova a raccontare come è fatta la natura attraverso il dialogo tra il duca e il filosofo. Il duca è
Guglielmo di Normandia di cui Guglielmo si fa precettore. Il duca è colui che ha intorno a sé un elitè
intellettuale (periodo in cui nelle corti confluiscono vari intellettuali) non è un allievo. Il filosofo è un
personaggio che utilizza un linguaggio quotidiano. Dialogo alla pari. Il filosofo ci dice come è fatto il mondo,
insieme di testi, riferimenti messi in relazione gli uni con gli altri. Due laici a confronto su come è nato il
mondo. Discutono su come Platone ha strutturato il mondo.
Pagina 318-319: secondo Platone questo è l’ordine dei pianeti. Marsiano Cappella nelle “nozze tra Venere e
filologia” autore pagano difende il sistema delle arti liberali e difende il principio, astronomico di un greco
secondo cui si poteva giustificare il movimento di Venere e Giove (mercurio) perché loro ruotavano intorno
al sole. Sembrano teorie riprese da Platone. L’ordine è quello, a volte sono al di sotto o al di sopra del sole.
Il sole sta sopra la luna: necessità fisica  la luna è fredda e umida mentre il sole è caldo e secco, devono
contemperarsi insieme. Nel mondo sovra lunare ci sono i quattro elementi di quello sublunare. Sulla base
della logica per cui quelli celesti governano quelli terrestri.
Pagina 296: quando è creato il mondo parte da parte di Dio?
“Gli egizi […]” il giorno in cui il mondo è stato creato è un giorno preciso del calendario (come se prima sono
stati creati i cieli, ma ciò è contraddittorio). Si cerca di nuovo di dare una spiegazione fisica alla creazione,
quando dovrebbe essere divina. Di nuovo il principio della qualità dell’ umido è sostitutivo.
“Parte dell’anno” è luglio. La creazione avviene a luglio.
Macrobio è del V secolo “Commento al sogno di Scipione”: ultima parte del trattato della Repubblica di
Cicerone. Scipione Africano preannuncia la morte a Scipione Emiliano a seguito della quale Roma diverrà
caput mundi e Cartagine sarà distrutta. L’Emiliano è nella via lattea e il nonno l’Africano spiega come è fatto
il mondo sulla del Timeo.
Per cui per gli egizi la creazione è avvenuta a luglio, per Macrobio quando il Cancro aveva portato la luna, il
leone il sole. Dicono questo periodo perché nel momento iniziale della creazione l’umidità era molto
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grande da coprire la terra, quindi la creazione del mondo era avvenuto nella parte dell’anno in cui il calore è
più elevato.
Da questo se ne deduce che il fuoco è l’elemento più alto. Il filosofo dice che tale punto di vista è platonico.
Principio contro Aristotele che oltre ai quattro elementi ne ammette un quinto che costituisce tutto ciò che
sta sopra la luna, al di sotto invece ci sono le quattro qualità, caldo, freddo, umido, secco.
Pagina 297: l’Aristotele fisico (che per loro dice cose false) comincia ad entrare nelle scuole, prima si
conosceva solo quello logico. È giusto che si conosca il pensiero di Aristotele per criticarlo.
Nel testo a pagina 297 quando per la seconda volta parla il filosofo, dice che Aristotele introduce una quinta
essenza. Ciò intacca le ragioni per cui la spiegazione razionale della creazione di giustifica solo vedendo
cielo e terra con gli stessi elementi. Aristotele ponendo una quinta essenza alla luna non può essere
razionalmente spiegato.
Al di sopra della luna il movimento è circolare (moto perfetto) perché non c’è né grande né pesante.
Un principio base tolemaico, gli astri possono muoversi, per Aristotele non hanno movimenti, ma ciò spiega
il motivo per il quale il sole sembra spostarsi. L’etere è la quinta essenza (materia di cui sono fatte le sfere
cristalline e gli astri che ci sono dentro).
Pagina 299: Il firmamento è fisso esterno con le stelle fisse. Per Platone è igneo (=fuoco); per Aristotele è di
quinta essenza. Come si fa ad escludere il calore se il sole manda calore? Il sole anche se è fonte di calore di
per sé, non è un corpo caldo perché sul mondo sovra lunare non si hanno le qualità.
Ribadisce la “demenza” (=inconsistenza) di Aristotele e la sua teoria.
Utilizzando nuovi testi (come Aristotele fisico), si cerca di capire l’organizzazione dell’universo, ma non si
riesce a staccarsi dalla spiegazione timaica che va a convergere con la creazione dei sei giorni.
Pagina 304: all’interno dei segni collocati i vari pianeti e nella strisci intermedia c’è la Domus delle case, si
basa sul fatto che i pianeti hanno la loro causa in vari segni e il modo in cui stanno, viene messo a punto
l’oroscopo.
Le previsioni sono determinate dalla posizione del pianeta all’interno della domus nel segno.
12 costellazioni
in base a come il pianeta è posto nello zodiaco si determina l’oroscopo.
7 pianeti
Ad esempio: casa dei Gemelli è Mercurio. Quando Mercurio passa nel segno dei Gemelli è favorevole
perché è in casa sua. Se è a 180 gradi, vuol dire che è lontano da casa sua quindi è sfavorevole.
Il principio che regola le azioni dei cieli sul mondo terrestre, sono le qualità elementari e qualitative dei
corpi celesti di cui i pianeti sono regolatori.
Di contro sarà il sistema filosofico di Aristotele.
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SAPIENZA ED ELOQUENZA
Nelle scuole di Parigi la ripresa degli studi era focalizzata sulla logica e sulla sua applicazione alla teologia, in
altri centro di studi, come in Francia, si affermava un ideale del sapere basato sull’equilibrio della sapienza
ed eloquenza che consisteva in un recupero di testi antichi per arricchire il curriculum delle arti liberali.
L’Eptatheucon di Teodorico di Chartes mostrava come il campo di ciascuna disciplina fosse dilatato molto
rispetto all’età carolingia. Nel prologo “le nozze di Mercurio e Filologia” raffiguravano l’auspicata unità dei
due strumenti della filosofia, intellectus e interpretatio che doveva essere rispettata nello studio dei testi
classici. Questi erano riportati di seguito secondo la partizione delle sette arti liberali che si proponeva così
di studiare direttamente sulle fonti classiche.
Nelle arti liberali era compreso tutto il sapere e con il loro possesso la filosofia era identificata nei primi
commenti proveniente dalla scuola di Chartes.
Un elogio delle arti liberali si legge nel Metalogicon di Giovanni di Salisbury, critico nei confronti dello
studio esclusivo della logica nelle scuole parigine.
Lo sviluppo delle singole arti e l’introduzione di veri e propri testi filosofici nel curriculum, portò a concepire
la filosofia come campo del sapere a se stante, dove lo studio delle arti culminava ma con cui non
coincideva.
La divisione classica della filosofia in logica, etica e teoretica, venne a giustapporsi allo schema delle sette
arti, mostrando che la tendenza della ratio ad acquisire uno spazio di autonomia si veniva realizzando.
Negli scritti della scuola di Chartes si manifestò l’esigenza di una ricerca razionale autonoma nel campo
della filosofia naturale (una delle parti della teoretica).
Le ricerche di tale scuola anche se non del tutto nuove, furono necessarie per inserire la possibilità di
progresso tramite la conoscenza.
I filosofi chartriani si servivano di materiali antichi per affermare convinzioni nuove, infatti Bernardo di
Chiaravalle, il primo maestro della scuola, definiva la propria posizione nei confronti degli antichi autori
come quella “dei nani sulle spalle dei giganti”. Il platonismo di tale scuola è una ripresa del Timeo, il mito
verosimile con cui Platone descrive l’origine del mondo. La scelta di Platone risente del giudizio che ne
aveva dato Agostino, ovvero, che se proprio si devono scegliere le opinioni di un pagano, preferisce quelle
di Platone che si avvicina molto alla loro fede. Guglielmo di Chonces spiega perché è opportuno ricorrere
all’opinione di un filosofo pagano: crede che si debba ricercare la spiegazione razionale di tutte le cose,
anche se afferma che di molte cose non ci sono ragioni necessarie, ma verosimili.
Insegnamento Chartriano: l’eloquenza senza sapere è dannosa, mentre il sapere è di qualche giovamento,
ma che giova molto di più se accompagnato all’eloquenza.
CREAZIONE E NATURA
Ad opera dei maestri chartriani furono prodotti molti commenti e trattati in cui tutta la strumentazione
delle arti liberali viene messa a frutto per togliere dagli antichi miti il velo allegorico che ne protegge il
significato filosofico. La comprensione dei testi antichi non è ricercata però di per sé, ma con lo scopo
ultimo di permettere una lettura filosofica, secundum rationem della Sacra Scrittura.
Il tema principale dell’epoca era la creazione.
Teodorico di Chartres apre il suo trattato sui sei giorni della creazione, affermando che si accinge a spiegare
secundum phisycam la prima parte della genesi.
La lettura filosofica della creazione si struttura sullo schema delle quattro cause (efficiente, formale, finale e
materiale) esposto nella Fisica di Aristotele. Tale testo non era stato ancora tradotto in latino e Teodorico
non poteva conoscerlo, ma idee aristoteliche cominciavano ad essere introdotte attraverso il commento di
Calcidio al Timeo, sia attraverso gli scritti medici, astronomici e scientifici.
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Nel testo di Teodorico, le quattro cause vengono identificate con le tre persone della Trinità divina e con la
materia primordiale della creazione.
La somma Trinità nei confronti della materia è attiva. Crea in quanto
causa efficiente, dando alla materia creata forma e ordinamento è
causa formale. Amando e reggendo la materia informata e disordinata
è causa finale. Infatti il Padre è causa efficiente, il Figlio causa formale,
lo Spirito santo causa finale e i quattro elementi la causa materiale. Da
tali cause ha esistenza la realtà corporea.
Nell’opera di Guglielmo di Conches, Philosophia mundi, l’identificazione dello Spirito Santo con un’entità
filosofica, lo porta a una condanna.
Nel 1044 scrive Dragmaticon Philosophiae, dove lo Spirito Santo è lasciato fuori questione, in cambio la
natura si è autonomizzata dall’agire divino, essendo una cosa insita nelle cose. Guglielmo e Teodorico
distinguono il momento della vera e propria creazione e il momento successivo dell’ordinamento che
riguarda la formazione di tutti gli esseri naturali spiegabile in termini fisici. Questa partizione mantiene il
carattere libero e contingente dell’atto creatore, ma lo limita al momento iniziale, eliminando la necessità
del ripetersi dell’intervento divino nel processo naturale. Un tentativo simile era stato fatto nella prima Età
Cristiana con la teoria delle ragioni seminali elaborata da Giustino (II secolo d.C.), dove si affermava che Dio
nell’atto creatore aveva posto nel mondo i semi di tutti gli esseri che si sarebbero sviluppati nel tempo
senza richiedere il suo intervento. La teoria delle ragioni seminali è ripresa in esame dagli chartriani che se
ne distaccano per affidare il ruolo essenziale in questo processo alla dinamica dei quattro elementi e delle
loro qualità. La formazione del mondo, continua nell’opera naturale della generazione, i quattro elementi
costituiscono la struttura di base di tutti i corpi creati, garantendo l’unità di fondo del macrocosmo (insieme
dei corpi celesti e della terra) e del microcosmo (corpo umano). La loro mescolanza da origine alla realtà
materiale concreta. Gli elementi nella loro forma pura sono sottratti all’esperienza sensibile, nella realtà
s’incontrano sempre commisti fra loro. L’elemento che domina nel misto dà il nome al composto
elementare. Gli elementi sensibili vengono così chiamati elementari. Ciò che tiene insieme questi sono le
qualità possedute dagli elementi, esse sono due per ciascuno degli elementi puri.
Lo schema del cosmo è prodotta è quella geocentrica della tradizione antica. La formulazione scientifica del
geocentrismo era stata data in età ellenistica da Tolomeo, la cui opera principale, tradotta in latino
dall’arabo con il titolo di Almagesto costituì l’auctoritas fondamentale nella disciplina quadriviale
dell’astronomia. Il cosmo viene descritto come una struttura di sfere concentriche al cui centro sta
immobile la terra, circondata da sfere elementari d’acqua, aria e fuoco. Segue il cielo della luna, con cui si
entra nel mondo incorruttibile dei corpi astrali che si susseguano in un ordine determinato dalla distanza
apparente dalla Terra. I corpi celesti sono oggetto di una duplice attenzione, i loro complessi, descritti da
Tolomeo, e l’interesse per i cieli sembra legato al desiderio di comprendere il nesso che li lega al mondo
sublunare e che è letto come influenza sugli avvenimenti terrestri e sulla vita degli uomini (astrologia). I
moti degli astri possono influire sul mondo degli uomini perché il corpo umano è composto dagli stessi
quattro elementi di cui è fatta tutta la realtà naturale e obbedisce alle stessi leggi e dato che riflette in sé la
struttura del cosmo, è detta microcosmo, piccolo mondo.
Sulla base di testi arabi s’introduce una concezione sistematica delle influenze astrali che dà all’astrologia,
lo status di disciplina scientifica, dal momento in cui i moti dei cieli sono prevedibili.
TEMI TEOLOGICI – METAFISICI
La lettura filosofica dei sei giorni della creazione elaborata da Teodorico di Chartes mostra come il discorso
filosofico sulla struttura del mondo potesse avere conseguenze nel ridefinire il tradizionale rapporto tra
creatore-creatura. Nelle glosse al De trinitate analizza in termini metafisici questo rapporto. L’assoluta
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trascendenza di Dio è affermata come semplicità dell’essere divino. Dio unifica tutto in sé, tutte le cose
sono unite nell’esistere e nell’essere e tendono a Dio per tensione naturale. Dio non tende a nulla, ma
permane immutabile nella sua eternità.
Alle dottrine di Boezio si richiama anche il teologo Gilberto de la Porrèe. Allievo del teologo di Anselmo di
Laon e di Aberardo. Le opere principali sono commenti agli Opuscola sacra di Boezio. La sua ricerca è volta a
precisare la differenza fra creatore e creature e sfrutta la distinzione tra esse e id quod est introdotta da
Boezio. Ripropone tale differenza come fra quo est (il principio della natura di una cosa esistente) e quod
est (l’esistente concreto inteso come ciò che viene dal principio). Solo in Dio i due termini della distinzione
coincidono.
Nelle creature il quo est è identico con l’essenza che precede tutte le cose create.
L’individuo concreto partecipa in tal modo dell’essere attraverso la maniera in cui l’essere si estrinseca,
ricevendo l’esistenza (quod est, l’equivalente boeziano esse) dal principio stesso dell’essere che è Dio.
Il rapporto tra questi principio metafisici e la questione degli universali risulta complesso. Se ritenere il quo
est come un universale reale, un testo come quello di Gilberto lo indica come il fondamento della
singolarità degli individui.
L’utilizzazione di questi concetti nella riflessione su Dio ha suscitato l’opposizione di Bernardo di
Chiaravalle. Infatti, nonostante le ripetute affermazioni di Gilberto a proposito della semplicità divina e
dell’impossibilità di distinguere la divinitas da Dio, la stessa affermazione della coincidenza di quo est e
quod est in Dio costituisce un’applicazione di strumenti concettuali in teologia e contiene il rischio di una
riformulazione del triteismo.
Accusato, Gilberto, si difese sostenendo che di Dio si può dire solo che è, con la consapevolezza che altro è
dire di Dio, altro dire è della creatura.
POEMI FILOSOFICI
La riflessione degli chartiani in ambito cosmologico trovò spazio nell’opera di Bernardo di Tours, detto
BERNARDO SILVESTRE, un grammaticus che ammira la filosofia di Teodorico e ne tenta una traduzione in
veste poetica, De mundi universitate (o Cosmographia). Lo stile è come quello di Boezio nel De
consolatione. Bernardo era un letterato non un filosofo, di fatto il linguaggio che usa si rifà sia a Boezio che
al Timeo, ma anche a Virgilio e Ovidio, le due autoritates lette in ambito delle arti del Trivio. Le fonti che
utilizza Bernardo sono quindi della poesia antica, dell’ermetismo e dell’astrologia. Si ha anche l’influenza
del Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena.
La Cosmographia si divide in due parti: nella prima si narra la formazione del mondo, nella seconda quella
dell’uomo. La conclusione dell’opera contiene un’esaltazione della sessualità umana, che fanno in modo
che la stirpe umana non finisca e perduri.
Ciò che colpisce della sua invenzione poetica è l’uso di personificazioni di concetti come Natura, Silva (la
materia prima), Nous. Come faceva Boezio e Idelgarda (che personifica la Chiesa e la Sinagoga). Le allegorie
in Bernardo mettono in scena il dramma della creazione.
Dice: quando Silva, la materia prima, teneva mescolati gli elementi delle cose, comparve la Natura
lamentandosi con Dio e dicendo al Nous se ritiene che Silva debba assumere un aspetto più nobile. Silva
cerca di uscire dal caos primordiale per ricercare un’armonia che la componga in vincoli musicali.
Il cenno finale sui vincoli musicali fa aprire un discorso sul tema pitagorico dell’armonia del mondo. La
musica era una delle discipline del Quadrivio. Il trattato di musica di Boezio fu oggetto di commento per
tutto il Medioevo: la musica come armonia delle sfere si accordava bene con la visione chartriana del
cosmo.
Le personificazioni allegoriche animano anche i due poemi di ALANO DI LILLA che oltre a essi scrisse un
trattato di teologia in forma assiomatica.
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Nel poema l’Anticlaudianus viene narrato il mito della formazione dell’uomo. Su incarico di Natura le Sette
Arti liberali preparano un carro, del quale ciascuna fabbrica una parte secondo la propria specialità. Sul
carro Prudenza ascende al cielo, dove incontra Teologia e le Virtù che abitano in cielo, la Vergine E Gesù.
Dopo aver avuto accesso al palazzo di Dio ottiene da lui l’assenso a fabbricare un uomo perfetto che
permette la rigenerazione del mondo. La creatura umana è quindi opera di Dio, ma attraverso la
mediazione della natura.
Uno degli aspetti della creazione del mondo di Guglielmo di Chonces concerneva la creazione dell’uomo.
L’atto divino di formare l’uomo dal fango era stato reinterpretato come la produzione spontanea della
creatura umana dal luogo terreste in cui gli elementi si trovavano nella loro proporzione equilibrata. La
creazione di Eva dalla costola di Adamo era stata spiegata allo stesso modo. Guglielmo dice che non si deve
prendere alla lettera l’affermazione biblica e che la donna era stata formata un po’ più distante da dove
aveva avuto origine il corpo dell’uomo, questo faceva capire il ruolo d’inferiorità attributo alla donna.
Nell’altro poema di Alano, De planctu naturae, l’uomo-microcosmo viene caratterizzato come ciò su cui si
può leggere la natura del mondo, perché la Natura lo ha forgiato sull’esempio della macchina del mondo.
SCUOLA DEI CANONICI REGOLARI DI SAN VITTORE
RAZIONALITà E MISTICA
La riflessione razionale sull’uomo, conquista un posto rilevante nella meditazione filosofica degli esponenti
di un’altra grande scuola del XII secolo, quella dell’abbazia dei canonici regolari di San Vittore, fondata a
Parigi da Guglielmo di Champeaux.
Ugo da San Vittore introduce la discussione dicendo che ci sono tre ordini di opere, quelle di Dio, della
natura e dell’artefice che imita la natura.
L’esigenza di razionalità e apertura alla filosofia greca caratterizzano la formazione intellettuale dei vittorini.
Ugo, Riccardo e Goffredo da san Vittore mantengono comunque la loro speculazione all’interno del filone
agostiniano-dionisiano, distinguendo tre gradi del sapere.
Prima del peccato originale l’anima dell’uomo aveva ricevuto tre occhi:
- Occhio della carne: con cui vedere il mondo e ciò che c’è all’interno
- Occhio razionale: con cui vedere se stessa e ciò che era in essa
- Occhio della contemplazione: con cui vedere Dio e ciò che era al suo interno
UGO DA SAN VITTORE: è l’esponente più noto di questa scuola. Per lui tutte le conoscenze del mondo
presentano una validità. Nel Didascalicon il compito della filosofia non è di ordine solo razionale –
teoretico, perché essa deve fungere da supporto nella conquista della sapienza. Per lui i campi in cui opera
la filosofia sono: la ricerca di ciò che è l’uomo, poiché esso si deve conoscere profondamente. Poi deve
cominciare a domandarsi da dove proviene e infine comincerà a meditare sulle opere del suo creatore.
Attraverso questa triplice via la sapienza raggiunge il suo fine.
La natura umana che si esercita può aspirare alla sapienza e anche se non può sapere tutto quello che ha
dimenticato, non lo perderà di vista del tutto. La filosofia nasce da qui: bisogna amare e ricercare la
sapienza per illuminare con la conoscenza la verità.
La ricerca della verità appartiene alla filosofia teoretica, l’indagine sulla virtù costituisce l’etica e ciò che è
destinato ad alleviare il disagio della nostra situazione è la meccanica.
Nella conoscenza delle cose quindi non trovano posto solo le arti liberali, ma anche le attività meccaniche.
La tripartizione della filosofia in logica, etica e teorica annunciata dagli chartriani, nell’opera di Ugo viene
rimpiazzata da una quadripartizione in cu viene inserita la meccanica.
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Nelle opere teologiche elabora una sistemazione razionale di temi tradizionali, indicando nella rivelazione la
fonte della certezza e della comprensione della realtà. La rivelazione unifica i due livelli della natura e della
grazia. Queste sono manifestazioni di Dio, ma né l’una né l’altra lo fanno comprendere.
Nella conoscenza di Dio, Ugo distingue fra la fede con cui si crede e ciò in cui si crede. All’origine della fede
sta l’amore, ma è anche oggetto di conoscenza e l’uso della filosofia è in tale ambito legittimato anche da
Riccardo Da san Vittore che continua la riflessione sul sapere umano nel Liber exceptionum. Sviluppa una
dottrina della contemplazione, definita come un’operazione conoscitiva distinta in tre generi
(immaginazione, ragione e intelligenza). Il fine della contemplazione è la visione intellettuale, ma per
ottenerla occorre passare dai due gradi inferiori.
Nel Microcosmus di Goffredo da San Vittore il parallelo fra uomo e cosmo, che gli chartriani avevano
sviluppato in chiave naturalistica, viene ripreso su un piano psicologico, morale. La somiglianza fra i due
mondi risiede nella struttura quadruplice, degli elementi per il macrocosmo, delle facoltà dell’anima per il
microcosmo.
Scopo dell’opera è di spiegare la dignità dell’uomo. Tutti gli uomini sono dotati di doni naturali con i quali si
può raggiungere la sapienza, la grazia divina solleva e aiuta la natura, ma non si sostituisce ad essa. Dio crea
il mondo per l’uomo.
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LE VIE DELLA SAPIENZA: PROFEZIA, RICERCA MISTICA, ERMETISMO
ILDEGARDA DI BINGEN
La centralità dell’essere umano nella creazione, affermata anche in termini pagani da Bernardo Silvestre e
in termini umanistici da Ugo da San Vittore, emerge anche nella visione del mondo di Ildegarda, autrice di
libri profetici e naturalistici, dove espone idee cosmologiche di grande rilievo e originalità. L’approccio alla
conoscenza della realtà non è di carattere irrazionale, ma definisce la ragione in termini diversi da quanti la
identificano con la dialettica nelle scuole. Per Ildegarda la rationalitas si basa su un’esperienza intuitiva,
quella delle visioni in cui fenomeni ottici legati a una condizione patologica vengono interpretati con precisi
canoni formali. Le visioni sono considerate di origine divina e portatrici di un senso allegorico e morale. La
sua esperienza è profetica, non si fonda su una mistica unione dell’anima con Dio, ma sull’assunzione di un
ruolo intermediaria fra Dio e gli uomini del suo tempo.
Le tre opere scritte in forma profetica sono Liber Scivias, Liber vitae meritorum, Liber divino rum operum.
Le opere naturalistiche sono Liber subtilitatum, Liber causae et curae.
Nel 1141 scrisse lo Scivias, quando era nella vita religiosa da più di trent’anni. Nonostante fosse tormentata
dall’emicrania, che la rendeva invalida a intervalli, era stata magistra e poi badessa del monastero
femminile. Non ebbe una formazione scolastica, ma ciò non vuol dire che fosse incolta. La sua cultura era
quella che si poteva ottenere in un monastero benedettino, fondata sulla lettura dei libri scritturali e
patristici, non sul commento dei testi delle arti liberali. La sua formazione era avvenuta non all’interno del
movimento delle scuole. Ciò fa capire perché l’avversario di Abelardo e delle scuole cittadine, Bernardo di
Chiaravalle, la accolse sotto la propria bandiera culturale. Investita di autorevolezza da Bernardo e dal
pontefice Eugenio IV, Ildegarda portò avanti un’opera riformatrice sia predicando che scrivendo lettere ad
abati, vescovi e papi.
Nella terza visione dello Scivias, Ildegarda descrive un’immagine del cosmo che pur avendo affinità con
quelle filosofiche, presenta anche molte differenze. Dice infatti che vide una visione rotonda somigliante a
un uovo, stretto nella parte superiore e largo nel mezzo, per poi restringersi sul fondo. All’esterno, per tutta
la circonferenza, c’era del fuoco splendente che aveva sotto di sé qualcosa come una membrana oscura.
Il primo elemento notevole è la forma di uovo del cosmo, che conferisce realtà fisica al simbolo tradizionale
della vita del mondo. Procedendo verso l’interno della struttura incontriamo uno strato di fuoco tenebroso,
poi un etere purissimo, poi un’aria acquosa. Nel primo strato, quello del fuoco splendente, sono collocati il
sole, i pianeti e l’origine di alcuni venti, nel fuoco tenebroso i fenomeni meteorologici, nell’etere le stelle e
l’origine di altri venti, mentre dallo strato di aria acquosa si formano le piogge.
In mezzo a questi elementi c’era un globo sabbioso che rimaneva fermo grazie ai quattro elementi, ma
questi ogni tanto mossi dai venti facevano muovere la forza di tale globo. Tale globo sabbioso è la terra
verso la quale convergono tutte le forze cosmiche, prima i venti che conferiscono vita e movimento a tale
struttura.
Nel 1174 scrive il Liber divino rum operum dove la forma del cosmo è diventata rotonda e per quanto gli
strati successivi siano come quelli dell’opera precedente, ciò che tiene insieme la struttura sono dei raggi
che uniscono la circonferenza al centro. Il centro del macrocosmo, generato nel petto di una figura divina a
carattere antropomorfo, è costituito da una figura umana che rappresenta il microcosmo.
Così un tema fondamentale della riflessione cosmologica del XII secolo la centralità dell’uomo e il suo
rapporto con la vita del cosmo, si afferma anche nell’opera di Ildegarda, quasi a mostrare che nell’epoca in
cui la ricerca scolastica comincia a divaricarsi rispetto alle fonti sapienziali di conoscenza gli stessi temi di
riflessione s’impongono.
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FERMENTI RELIGIOSI
Il fermento religioso che caratterizza la vita del XII secolo provocò nuovi modi di pensare che spesso
sfociarono in movimenti spesso condannati dalla chiesa come ereticali. A generare idee nuove non era la
ratio dialettica dominante nelle scuole, ma un complesso intreccio di fattori intellettuali e comportamentali
che si caratterizzano come ricerca della sapientia.
In alcuni ambienti affiorarono temi di origine gnostica. Il movimento cataro, legato nella sua origine
medievale alla sopravvivenza del dualismo manicheo, riportava alla luce il tema della sostanzialità del male.
Non si ha una riflessione di natura tecnicamente filosofica dagli esponenti delle sette ereticali, ma le loro
convinzioni ebbero molto peso nel contesto del pensiero medievale.
Nelle opere di Ildegarda di Bingen che polemizzò contro le sette catare della regione del Reno, emergono
tracce importanti della visione dualistica del mondo che essa si sforza di superare, ma a cui danno spazio
alcuni elementi simbolici delle visioni, come il fuoco tenebroso che non ha riscontro nelle cosmologie dei
filosofi, dove la catena dell’essere non contiene spazio per il principio del male. I catari rifiutano l’Antico
Testamento, l’Incarnazione, Chiesa. Riformularono una dottrina dei Sacramenti legata alla valorizzazione
dello spirito al cui confronto la carne e la materia, manifestazioni concrete del male, non avevano alcuna
importanza. In conseguenza pensavano che quanti fossero diventati Perfetti (=avessero cioè ricevuto il
battesimo cataro liberandosi dal potere del male) potessero comportarsi con assoluta libertà. Un’altra
conseguenza della idea dualistica era che le donne, ricevendo il battesimo cataro, perdessero il carattere di
debolezza e potessero diventare uomini. I catari venivano così identificati con un’altra setta ereticale, i
patarini. Questi facevano parte del movimento che voleva un ritorno alla vita evangelica e alla povertà degli
apostoli di Cristo.
Idea di fondo negli scritti filosofici ereticali è la centralità attribuita allo spirito santo. Esso rappresenta da
sempre il nodo più difficile del dogma trinitario e molti tentativi di darne un’esposizione teologica
portarono a condanne.
L’età dello spirito è al centro della filosofia profetica di Gioacchino da Fiore e della dottrina di uno dei
movimenti ereticali dei Fratelli dello Spirito Libero. Questo era un movimento la cui origine è misteriosa, ma
che ha il desiderio di rinnovare l’esperienza di libertà dello spirito della prima Età Cristiana e pone l’accento
sulla possibilità dell’uomo di farsi Dio.
L’Età DELLO SPIRITO
GIOACCHINO DA FIORE: monaco cistercense, nato in Calabria collocato da Dante nel cielo del sole per la
sapienza del suo spirito profetico. Da un’esegesi del testo biblico, formulò una filosofia della storia centrata
sulla corrispondenza delle tre età della storia con le tre persone della trinità. Come gli scritti di Ildergarda,
quelli di Gioacchino sono caratterizzati dalla presenza di immagini e diagrammi indispensabili per cogliere il
significato più profondo delle sue intuizioni.
Secondo lui, l’età del Padre, caratterizzata da una legge veterotestamentaria è succeduta a quella del Figlio,
contrassegnata dalla centralità della Chiesa romana, ad essa succederà quella dello spirito, i tempi nuovi,
dove il mondo sarà trasfigurato dalla venuta dello spirito della gioia. Il succedersi delle ere è indipendente
dai comportamenti degli uomini che possono solo adattarsi.
Il segno dell’età dello spirito che viene saranno proprio questi uomini nuovi che vengono verso i quali la
Chiesa proverà molto terrore. Le energie di rinnovamento di un’epoca nuova trovano nel Vangelo Eterno di
Gioacchino l’annuncio più chiaro.
Secondo una tradizione lo Spirito Santo corrisponde al principio femminile di Dio. Nella scuola di Chartes
corrisponde con l’anima del mondo e la natura. In una tradizione latina il verbo attribuito allo spirito è
fovebat, cioè covava e l’immagine è quella primordiale di una creatura alata che dà origine alla vita del
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mondo con il suo calore. L’idea dello spirito come principi vivificatore del mondo si trasforma nel principio
panteistico dell’immanenza di Dio nella realtà creata e nell’uomo.
Le dottrine di Gioacchino vennero condannate nel Concilio Lateranense del 1215 che stabilì l’impossibilità
di creare nuovi ordini monastici e impose l’obbligo della clausura alle donne che abbracciavano la vita
religiosa. La motivazione di tante condanne sta nel fatto che molti movimenti spirituali non accettavano la
mescolanza della Chiesa con le strutture del potere.
IN DIFESA DELLA TRADIZIONE
BERNARDO DI CHIARAVALLE
L’esigenza di una vita monastica era stata avvertita anche all’interno delle istituzioni tradizionali, dando
luogo ad interventi come quello di Bernardo da Chiaravalle (1091-1153) in difesa dell’istruzione
ecclesiastica. Si oppose contro i due mali che imperavano Parigi: la vendita della scienza nelle scuole e i
tentativi di rendere certa la fede.
Scrisse i Sermoni, e vari trattati come De diligendo deo, de gratia et libero arbitrio, de baptismo.
Fra i suoi avversari c’erano Abelardo e Gilberto del la Porèe e Arnaldo di Brescia (contrario al potere
temporale papale).
La convinzione di Bernardo era integralista: la Chiesa deve mantenere e rafforzare il suo primato nella vita
del mondo sia continuando ad affermare i valori teocratici, sia ampliando i confini della cristianità. Predicò
la seconda crociata nel 1146 e scrisse Epistula in laudem novae militiae a sostegno dell’ordine del templari.
I pensatori politici dell’epoca ricorrono spesso all’immagine di due spade affidate da Cristo a Pietro
Apostolo che rappresentano il potere spirituale e temporale. Per Bernardo entrambe devono essere gestite
dalla Chiesa, quella spirituale deve essere impugnata direttamente, la seconda a sua difesa e per ordine del
sacerdote.
Rifiuta le nuove forme di vita sociale, che implicano l’accumulazione di ricchezza, e rifiuta l’arroganza di
quelli che sottopongono la certezza della fede al giudizio della ragione. Infatti per lui Abelardo è colpevole
perché pensa di poter comprendere con la ragione umana la realtà di Dio.
Abelardo aveva definito la fede una aestimatio (stima) che indica il carattere soggettivo di questa
esperienza. Bernardo lo interpreta come equivalente di opinione personale e sottolinea che la conoscenza
che non sia inserita agostinianamente nel contesto tradizionale della Sapienza è priva di valore.
In ambito teologico l’intelletto deve limitarsi a chiarire le ragioni della fede senza pretendere di conferirle
certezza, solo la fede raggiunge le cose inaccessibili.
La fonde agostiniana del pensiero di Bernardo si rivela nel linguaggio con il quale parla della scala
dell’essere e nella cura con la quale affrontando il problema della creazione, evita di cadere sia
nell’emanazionismo (poiché Dio non ha posto niente di sé nelle cose), sia nel panteismo.
Sviluppa anche una riflessione cristologica, dove riveste molta importanza la funzione mediatrice del figlio
di Dio che costituisce l’unica via che conduce al Padre. Il rapporto con Cristo è all’origine dell’esperienza
mistica.
Le difficoltà incontrate nell’affrontare la dottrina trinitaria fece si che Bernardo si rivolgesse a Riccardo di
san Vittore, che si appellò all’impossibilità di parlare di Dio con il linguaggio degli uomini. Il fine della
scienza, la salvezza, è quello che definisce i limiti e validità del sapere che in se stesso non è che vana e
superba curiosità. Dio non proibisce di sapere, ma di sapere più del necessario. La sua riflessione teologica
parte dall’amore, fonte di verità e certezza e attinge il suo frutto più alto nell’esperienza mistica. Questa
non è un modo per ritirarsi dal mondo.
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PROGETTI DI TRASFORMAZIONE
Nel XII secolo nel mondo latino si diffuse anche un altro tipo di sapere, le idee veicolate da alcuni scritti a
carattere filosofico religioso attribuiti al mitico dio degli egiziani, ERMETE TRISMEGISTO (tre volte grande),
identificato con il Dio greco mercurio. Da lui sarebbero arrivate la sapienza biblica e la filosofia, sia Mosè
che Platone furono considerati infatti discepoli di Trismegisto. Tre sono i testi filosofici attribuitegli nel
Medioevo: Asclepius, Liber XXIV philosophorum, Liber de sex principiis.
L’idea fondamentale contenuta nei testi ermetici è quella dell’unità del tutto, sulla quale si fondava una
visione olistica della realtà che dà origine alla dottrina della simpatia universale delle cose.
“Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto, per operare i
miracoli della realtà che è Uno. E come tutte le cose ebbero origine dall’Uno mediante la sollecitudine
dell’Uno, così tutte le cose nacquero da questa realtà unica, una volta ottenuta tangibilmente.”
Queste sono le parole con cui si apre la Tabula smaragdina, la tavola di smeraldo che portava inciso il
sapere antico di Ermete, in realtà era una parte del Libro dei segreti della creazione. Si leggeva una
descrizione filosofica della creazione, solo che questa secondo la Tabula poteva essere ripetuta dall’uomo.
Così si giustifica l’intervento dell’uomo sulla natura, ottenuto o con la trasformazione alchemiche o l’arte
magica. Nel primo caso si trattava di riportare i corpi materiali allo stato di massa confusa e ricomporli
secondo un equilibrio perfetto per mezzo di operazioni effettuate con il calore. L’uso dell’arte magica
richiedeva la convocazione di forze cosmiche su un determinato ente per ottenere una trasformazione
positiva.
Nel commento di Teodorico di chartes all’hexaemeron Ermete è considerato il primo degli antichi sapienti
che conobbero lo spirito che governa il creato.
La dottrina ermetica non conosce solo la natura, ma anche il principio divino della realtà, nei testi Asclepius
e liber XXIV philosophorum.
LA SAPIENZA ERMETICA
L’ Asclepius afferma l’unità di creatore e natura dicendo che uno è tutto e tutto è uno, che viene prima Dio,
poi il cosmo e per terzo l’uomo. Nel testo si parla anche della natura divina dell’anima che è prigioniera del
corpo fino alla morte dell’uomo e dell’esistenza dei demoni. La pura filosofia è dipendente dalla religione
divina. Soprattutto nella visione dell’uomo ci sono molte affinità tra questo testo e le problematiche del XII
secolo, ma va oltre il pensiero delle scuole e propone all’umanità il compito etico di curare il mondo che
affianca il percorso di liberazione dal mondo materiale in cui consiste il messaggio dell’ermetismo.
Gli autori dei libri ermetici si presentano come filosofi, la cui filosofia presenta tratti sapienziali, il sapere
non è accessibile se non a chi sia stato riconosciuto, da parte di un maestro in possesso delle doti morali
necessarie per farne buon uso. L’acquisizione della conoscenza è legata a una rivelazione fatta dal maestro
al discepolo o direttamente da Ermete attraverso un’illuminazione immediata.
ARTE E NATURA
Il nome di Ermete è legato alla diffusione dei primi testi alchemici tradotti dall’arabo e accolti dal mondo
latino. Uno dei primi testi d’alchimia è noto come Testamentum Monieri. Moriero è un eremita che aveva
ricevuto l’iniziazione ermenetica dal maestro, si fa a sua volta maestro del sovrano islamico al quale
trasmette la scienza della trasmutazione alchemica. La capacità di operare la trasformazione materiale delle
cose è paragonata alla creazione divina ed è quindi distinta dalle arti meccaniche.
La novità dell’alchimia suscitò un’ampia discussione su quale fosse il ruolo nella partizione del sapere, nel
XIII secolo molti scolastici le avrebbero introdotte nelle arti meccaniche, anche se gli alchimisti ritenevano
che il loro operato si innestasse nei processi più segreti della natura, non limitandosi a semplici interventi
sulla natura.
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I LETTORI DI ARISTOTELE. FILOSOFIA E SCIENZE NEL XII SECOLO
LE PARTI DELLA FILOSOFIA: nel XII secolo si pensò molto anche alla definizione di filosofia che trovò
espressioni in vari scritti concernerti il sistema della filosofia. Il più importante è il De divisione scientiarum
di GUNDISALVI, traduttore e filosofo arabo, seguiva la suddivisione delle scienze dell’arabo Al-farabi ( a sua
volta ispirato da Aristotele), collocando al suo interno le discipline del trivio e quadrivio. La filosofia, dice, si
divide in due parti, la prima è quella pratica che presiede le norme del nostro agire, con quella teoretica si
arriva alla conoscenza delle altre cose esistenti. Continua dicendo che dato che la filosofia serve a
perfezionare l’anima e questa ha varie funzioni e scopi, la filosofia teorica si distingue a sua volta in tre
parti, quella che concerne la riflessione su ciò che non è separato dalla materia né nell’essere né
nell’intelletto (scienza fisica o naturale), quella che riguarda ciò che è separato dalla materia nell’intelletto
ma non nell’essere (matematica), e infine la riflessione su ciò che è separato dalla materia tanto nell’essere
quanto nell’intelletto (teologia o metafisica). Dato che per conseguire la felicità non basta la conoscenza
della realtà necessita che segua anche la conoscenza dell’agire bene, quindi dopo la filosofia teorica segue
quella pratica divisa anche essa in tre parti, etica che concerne le norme dell’agire personale, l’economia
che riguarda la questione dei beni e la politica che definisce i criteri della convivenza sociale.
Questa partizione divenne il modello della strutturazione scolastica del sapere. Qui ogni scienza era parte o
strumento della filosofia che era la disciplina somma e la logica fu strumento di ogni sapere. Questo spiega
perché la logica rimaneva nell’università medievale l’apprendimento preliminare.
Nelle facoltà delle arti il corso degli studi fu strutturato sull’ordine dei testi aristotelici (nonostante la
denuncia del 1210), il curriculum degli studi prevedeva lo studio lo studio delle opere di Aristotele. All’unità
del sapere corrispondeva l’unicità dell’auctoritas filosofica.
ARISTOTELE E OLTRE
Le opere maggiormente tradotte nel XII secolo di Aristotele, furono quelle essoteriche. In quel periodo però
circolavano molte opere pseudo aristoteliche, come il Liber de causis e il Secretum secreto rum.
Il Liber de causis è un testo filosofico d’impianto neoplatonico che durante il medioevo accompagnò nei
manoscritti la metafisica aristotelica. Tommaso fu il primo a riconoscere che il liber de causis, tradotto
dall’arabo era una compilazione di materiali tratti dalla Elementatio teologica di Proclo. Con tale testo
appariva un’immagine di un Aristotele divino. Nel liber la struttura ontologica della creazione veniva letta in
termini emanatistici e l’intelletto era considerato come la mediazione prima e universale fra la causa prima
priva di forma e le creature e l’essere primo creato fu l’intelletto. L’inesprimibilità della natura di Dio veniva
argomentata sulla base dell’idea che nella natura di Dio non c’è nessuna determinazione oltre all’essere
puro.
Il Secretum secreto rum di origine araba è un’opera diversa, un libro di istruzione per chi governa
introdotto da uno scambio epistolare fittizio tra Alessandro Magno e Aristotele in cui il primo chiede
consiglio al secondo. Al centro c’è un’idea di giustizia intesa come raccordo dell’agire politico con l’armonia
del mondo che giustifica l’idea orientale di sovranità assoluta. Il sovrano il cui volere è la giustizia deve
conoscere la realtà in tutte le cose, quindi anche le proprietà occulte delle cose.
Il liber de causis forniva un raccordo fra aristotelismo e tradizione platonica, il secretum secrotorum
inseriva nel corpus aristotelico conoscenze di origine ermetica.
LE VICENDE DELL’ARISTOTELISMO: l’entusiasmo nella cultura latina dovuta alle opere di Aristotele, era
contrapposto alle critiche espresse nella condanna del 1210 e con il tentativo del 1231 di Gregorio IX di
costituire una commissione che eliminasse da quei testi, tutto ciò che poteva ritenersi pericoloso per la
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fede. Inoltre Aristotele introduceva una serie di concezioni discordanti rispetto alla tradizione agostiniana
che aveva sostituito lo sfondo di tutte le ricerche filosofiche.
Le idee di Agostino che influenzarono il secolo erano tre: la nozione di sapienza cristiana che non richiedeva
di tracciare una linea di demarcazione fra filosofia e teologia. A questo si collegava l’idea che la conoscenza
fosse frutto di un’illuminazione dell’intelletto umano da parte di Dio (la verità si trova nel profondo
dell’anima umana). Il secondo elemento portante consisteva nell’affermazione del primato della volontà,
ovvero dell’amore sulla conoscenza. Infine una tesi metafisica della assoluta passività della materia, per
Agostino infatti la materia ha una realtà positiva, che precede ogni altra forma specifica, per cui gli esseri
composti constano di una pluralità di forme, l’ultima che riassume in sé le precedenti, teoria detta
“pluralità delle forme”. Questa idea era importante per il rapporto fra l’anima e il corpo dell’uomo, tale
teoria è una garanzia dell’immortalità dell’anima. Quest’ultima è una sostanza spirituale in sé completa,
non la forma del corpo come nel de anima di Aristotele, per questo può separarsene nel momento della
morte, continuando la sua vita immortale, il corpo mantiene la propria forma anche dopo la morte.
La filosofia di Aristotele era in contrasto con queste idee, la mediazione dei commenti di Avicenna
premisero una lettura dei testi aristotelici compatibile con le teorie agostiniane. Ad esempio, sul piano della
teoria della conoscenza, l’identificazione che Avicenna operava fra Dio (datore delle forme) e l’intelletto
agente (di cui Aristotele parla nel terzo libro del de anima) permetteva di mantenere la teoria agostiniana
dell’illuminazione all’interno di una gnoseologia aristotelica dove l’intelletto agente ha la funzione di
produrre le species intellegibili, portando a compimento il processo di astrazione che ha inizio a partire dai
sensi e dall’immaginazione e attualizzando l’intelletto possibile (ovvero la capacità di conoscenza razionale
propria dell’uomo).
Nel XIII secolo Guglielmo d’Alvernia si definisce per un carattere eclettico, seguendo Avicenna identifica in
Dio l’essere e l’essenza e cerca di mediare fra la concezione aristotelica dell’anima come entelechia o forma
del corpo e quella agostiniana per definire l’anima come forma spirituale che può sussistere
indipendentemente dal corpo, ma che è creata da Dio nel momento in cui si unisce con esso costituendone
la perfezione.
La prima generazione di maestri della scolastica accolsero Aristotele nel quadro neoplatonico di origine
agostiniano-avicenniana, poi emerse l’esigenza di chiarire la portata del pensiero aristotelico distinguendo
da altri apporti, sia greci che arabi. I magistri delle facoltà di arti spogliarono il testo aristotelico di tutte le
aggiunte di carattere religione e giunse a compimento con l’opera di Tommaso che però non rinunciò a
valersi della tradizione neoplatonica come attesta il commento al liber de causis.
La separazione tra filosofia e teologia venne sostenuta dalla generazione di Tommaso.
Sintomatico che Alberto Magno nel 1256 fu chiamato da papa Alessandro VI per confutare l’opinione di
Averroè sull’intelletto, mentre un decennio tardi il suo allievo Tommaso scrisse un Trattato sull’unità
dell’intelletto contro gli averroisti. La reazione dei teologi legati all’agostinismo si manifestò nelle condanne
di fine secolo, 1270, 1277, ma ormai l’identificazione tra filosofia e Aristotele era troppo forte che
nemmeno la condanna di Tempier riuscì a distruggerla.
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ALBERTO MAGNO
Il primo grande personaggio che si rese conto del processo d’identificazione della ricerca filosofica con lo
studio di Aristotele fu Alberto Magno (1260-1280) di nobile famiglia che studiò a Colonia e poi a Parigi.
Tornò poi a Colonia per fondarvi lo studio generale. Si preoccupò di rendere intellegibili ai latini la nuova
filosofia aristotelica e quindi non si limitò a parafrasare i testi, ma anche a fare scelte interpretative. Si
inoltrò in tutti i campi del sapere utilizzando i libri di Aristotele come guida, ma li ampliò con continue
digressioni. Di tale metodo espositivo ne diede chiarezza nel proemio della Physica in cui dice che in tale
opera segue l’ordine e il pensiero di Aristotele, ma non farà menzione del suo testo. Divide l’opera con i
titoli dei capitoli, dove tale intestazione indica solo la materia del capitolo, e vuol dire che quel capitolo
appartiene alla serie di libri di Aristotele, in altre parti è preavvertito che si tratta di una digressione per
completare e provare ciò che si è detto. Così si scriverà tanti libri quanti Aristotele e con gli stessi libri.
La cronologia degli scritti di Alberto è incerta anche perché la sua attività di studioso si intrecciò con una
carriera ecclesiastica impegnativa. Forse la maggior parte dei commenti è degli anni 1256-70, mentre
quando era a Parigi scrisse opere a carattere teologico come il Commento alle sentenze e la Summa de
bono e la Summa de creaturis.
LE DOTTRINE FILOSOFICHE DI ALBERTO MAGNO: di preoccupò di distinguere tra l’ambito della filosofia e
della teologia, perché ad esempio le dottrine teologiche hanno principi che si fondano sulla rivelazione e
sulla divina ispirazione e non sulla ragione e su ciò non si può discutere in filosofia. I principi dei due ambiti
sono totalmente differenti, la rivelazione costituisce la fonte della riflessione teologica, la natura nelle sue
applicazioni è la fonte e il campo di applicazione della filosofia. Nell’ambito filosofico la metafisica è la
scienza prima perché non trae nulla dalle altre scienze, ma da essa ricevano tutte ricevano qualcosa. Alla
metafisica si subordinano tutte le scienze (quelle volte a un fine pratico come la medicina, o quelle con un
carattere strumentale come la logica o quelle che hanno oggetti meno elevati come la fisica o la
matematica).
Il suo ideale di conoscenza è un sapere che si vuole separato e puro considerato come tramite tra
esperienza della conoscenza umana legata ai sensi e la contemplazione del divino che rimane nello sfondo
come scopo della ricerca intellettuale.
In ambito metafisico, la teoria dell’essere è di carattere neoplatonico. Nel de causi set processu
univerisitatis la creazione è considerata come un processo di emanazione in cui le parole chiave sono fluxus
e processu. All’origine c’ è Dio la pura luce in essa l’essere di identifica con l’essenza, intelletto universale
causa di ogni essere fonte di ogni forma. Dall’intellectus universaliter agens procede l’intelligentia, il primo
essere causato, poi le intelligenze separate (angeli), le anime e i cieli. Questi sono strumento della prima
causa, poiché ne trasmettono la virtù nel medium opaco della materia. Le cause seconde non sono negate,
ma subordinate alla virtù di Dio, che universalmente opera in esse. Questa struttura del mondo dà ad
Alberto la possibilità di provare l’esistenza di Dio, poiché si può risalire alla prima causa ripercorrendo verso
l’alto l’emanazione dell’essere. Concezione che da fiducia all’astrologia e alla magia. Si rafforza la
concezione aristotelica della dipendenza dei moti del mondo sublunare da quello degli astri poiché questi
divengono, secondo la concezione neoplatonica, i modulatori della virtù della causa prima. Il processo
emanatistico rischia però di porre come necessario il processo dall’uno al molteplice, mettendo fuori gioco
la libertà della creazione. La considerazione di tale difficoltà porta Alberto ad ammettere che l’inizio del
mondo per creazione non è una dottrina fisica e quindi non può essere provato mediante la filosofia
naturale.
Sul piano della distinzione ontologica tra creatore e creature, utilizza nelle sue opere formule diverse per
definire gli esseri creati, la distinzione di Boezio fra quo est e quod est, quella di Avicenna fra essenza ed
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esistenza, il termine greco-arabo yliatim che leggeva nel liber de causis che significa determinatezza
formale, per indicare il quod est degli esseri spirituali senza identificarlo con la materia spirituale. Yliatim è
un principio assimilabile alla materia per la sua possibilità di essere determinato, ma non identificabile con
essa, né con la forma intesa in senso proprio; nelle sostanze separate è questa determinatezza formale ciò
che le definisce come essere creati, mentre la distinzione tra materia e forma costituisce il fondamento
degli essere creati materiali. Per Alberto la materia non è intesa come privazione o passività totale, essa
contiene un qualcosa della forma, che le permette di tendere alla forma (inchoatio formae, desiderio di
forma). L’agente trae le forme dalla potenzialità della materia in cui esse sono confusamente. La
composizione degli esseri materiali risulta per conseguenza da un successivo determinarsi delle forme
(ilomorfismo) e la materia non è considera principio di individuazione in quanto tale, ma in quanto sostrato
ultimo degli esseri. Alla dottrina dell’inchoatio formae si collega la dottrina dell’anima umana
nell’embrione, nella materia si trova coativamente la forma vegetativa (vita) che contiene incoativamente
la forma sensitiva. Infine l’inchoatio dell’anima razionale è nella sensitiva. Il passaggio dalla forma incoativa
della razionalità alla sua attuazione avviene per intervento diretto di Dio che completa e perfeziona il
processo iniziato dalle potenze naturali. L’anima è cioè la perfezione dell’uomo ed è detta razionale e ha in
sé la facoltà della vita sensitiva e vegetativa e quella di portare a compimento le funzioni della vita
intellettiva. Tale concezione permette di rispondere all’unicità dell’intelletto possibile sostenuta da
Averroè, affermando che l’anima razionale è una sostanza che alcuni collocano nella linea mediana fra
l’eternità e il tempo perché da essa si dipartono facoltà direttamente emanate dalla causa prima e facoltà
legate al corpo. Dice che: nella nostra anima c’è una parte intellettiva chiamata anima razionale. Che è una
sostanza da cui emanano delle facoltà, alcune potenze operanti nel corpo, altre no. Quelle che non sono
potenze nel corpo, si trovano in lei in virtù della sua somiglianza con la causa prima. Anche l’intelletto che
fluisce dalla causa prima, si presenta diverso in se stesso e nell’atto del comprendere. Ciò che fluisce dalla
causa prima considerata come il riflesso che procede dalla prima natura intellettuale, è nell’anima come la
luce ed è l’intelletto agente, ciò che fluisce da essa, considerata come una sostanza grazie alla quale la
natura del corpo è stabile e in lei contenuta è l’intelletto possibile.
La conquista degli intellegibili porta alla realizzazione della facoltà suprema, non condizionata dal corpo e
alla congiunzione dell’intelletto divino, cioè alla felicità (posizione simile a Sigieri di Bradante).
EREDITà DI ALBERTO:la sua figura appare come quella di un aristotelico eclettico, aperto a molte influenze e
ciò favorì la circolazione delle sue opere anche fuori dall’ambito universitario. In ambito scolastico fu
considerato un’auctoritas in vita (fatto che andava contro ogni tradizione, ciò infatti rese ostile Ruggero
Bacone). Il discepolo più celebre è Tommaso d’Aquino.
Uno scritto attribuito per molto tempo ad Alberto fu lo Speculum astronomiae, opera in cui l’astronomia e
l’astrologia sono presentate a partire dai lineamenti essenziali delle loro partizioni. È una testimonianza di
primaria importanza per capire quanto le traduzioni dei secoli XII e XIII avessero arricchito il mondo latino in
un campo scientifico come quello dell’astronomia che si presentava come la scienza intermedia tra la
metafisica e la fisica e che permette di comprendere i legami che uniscono il cosmo e le influenze mediante
le quali il mondo celeste trasmette alle creature del mondo sublunare la virtus della prima causa. Il libro
nasce dalla volontà di difendere libri buoni e utili dalle accuse che vengono mosse contro di loro da certi
amanti della fede cattolica, che non sapendoli distinguere li considerano alla stregua dei libri di magia,
anche se comunque nel capitolo finale di questo testo si ha una perorazione affinchè neppure questi libri
siano distruggi perché potrebbero essere utili in un tempo di grave pericolo per la civiltà.
L’astronomia si divide in descrittiva e giudiziaria: quest’ultima oggi la chiamiamo astrologia, la scienza dei
giudizi degli astri, tecnica che insegna a leggere nelle combinazioni dei pianeti fra loro e con i segni dello
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zodiaco il destino collettivo e quello individuale (oroscopo) o di conoscere eventi nascosti o non ancora
accaduti o di orientarsi nelle scelte difficili.
Alcuni punti della scienza astrologica sono in contrasto con la visione cristiana del mondo, come la teoria
dei mutamenti religiosi in coincidenza con le grandi congiunzioni che sottomette il discorso religioso
intorno le leggi naturali e la possibilità di prevedere il futuro che contrasta con la libertà dell’uomo.
L’autore dello speculum dice che la significazione del futuro contenuta negli astri non è altro che la
provvidenza divina che secondo la tradizione cristiana è conciliabile con la libertà dell’uomo.
L’influsso degli astri sarà mitigato dicendo che “gli astri muovono, ma non costringono” .
SPECULUM ASTRONOMIE
TESTO FOTOCOPIA: catalogo opera astronomica e astrologica di Alberto Magno. Presenta una serie di testi
che sottolineano come in queste opere non ci sia nulla contro il cristianesimo. Saranno considerate
dannose le opere di magia, negromanzia e delle opere che attraverso l’invocazione di spiriti è possibile
predire il futuro. L’astrologia è un completamento naturale dell’astronomia e vanno integrate nella
conoscenza degli studi perché sono il fondamento cristiano. Strumento che Dio ha dato per capire la sua
opera, non per intromettersi nel libero arbitrio. Sulla scia di questo testo Bacone seguirà lo stesso genere di
ragionamento. Userà l’astronomia per una riforma degli studi che porti la cristianità dal nemico/male (arabi
e tartari dall’oriente, l’anticristo).
Tale testo spiega le funzioni dei testi astronomici e astrologici. Articolare la conoscenza filosofica che
devono integrarsi nell’insegnamento perché proprio questo ci farà arrivare alla conoscenza di Dio.
PROEMIO: dice che circolano libri che hanno contenuti dannosi e insieme a questi alcuni buoni. Si deve
dunque far chiarezza. Si deve capirli come inserirli nell’insegnamento. L’identità dell’autore è celata “per
questo un uomo che ama la fede e la filosofia” decide di fare una commemoratio (rassegna) di entrambi i
libri, indicando quanti sono, il titolo, come iniziano e il contenuto generale e l’autore affinché si possano
separare i libri leciti da quelli illeciti. Prima però chiarisce cosa sia l’astronomia.
CAPITOLO PRIMO: schema cielo arabo, non è più Platone o Aristotele. Si sente la necessità dopo Thabit di
inserire un ulteriore cielo dopo quello delle stelle fisse per distinguere il moto di precessione e quello di
rivoluzione, infatti nel testo c’è scritto che sotto il nome dell’astronomia ci sono due sapienze, quella che
riguarda la scienza della figura del primo cielo (caeli primi), dei cieli posti sotto di esso (delle stelle fisse e
dei pianeti) e l’altra scienza è quella descrittiva dei circoli. Finisce il primo capitolo dicendo che chi conosce
questi libri sa che in essi non c’è nulla che vada contro la fede cattolica e che non è giusto che chi non li
abbia letti li giudichi.
CAPITOLO TERZO: passa in rassegna i testi e l’almagesto di Tolomeo è il testo base a cui si accordano i testi
arabi che ne sono commenti. Chi non ha letto questi libri non può giudicarli. Il ruolo assunto
dall’astronomia sarà quello di ponte tra la filosofia naturale (quella di Aristotele non più del timeo) che è la
fisica e la metafisica (studio dell’essere delle cose, qui è studio delle cause, ontologia. Non è teologia, ma in
senso aristotelico).
Dio ha creato il mondo secondo un ordine e attraverso la stabilità del mondo si esplicano i piani del disegno
di Dio. lui non agisce sul piano inferiore, le cose agiscono da sole, ma non perché autonome rispetto a Dio,
ma perché gli ha dato un ordine. La natura agisce sempre nello stesso modo (apparte a colpa di accidenti
che modificano il corso naturale) per cui con i sillogismi posso sapere cosa avviene per lo più. Questo
“essere fatto con ordine” non è aristotelico, ma è aristotelico il fatto che la natura è sempre così. Cosa fa da
tramite tra Dio e la terra? La stella sordo e muta (titolo di un testo astronomico). Non si possono
interrogare le stelle per far capire il disegno di Dio. Sono i suoi strumenti. Le stelle in quanto tali non
agiscono.
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La scienza che studia il modo in cui agiscono le stelle è questa parte di astronomia ed è un ponte tra la
fisica(come agiscono le cose), l’astronomia (come agiscono gli astri) e la metafisica (come agisce la causa
prima). Si va verso l’unicità di Dio, un Dio è uno o ci sarebbero diversi principi. La funzione di questa scienza
intermedia è chiarire che l’ordine che Dio ha dato è invariabile e tale scienza ci fa capire perché. Prova a
posteriore poiché dice che Dio lo si può conoscere mediante i suoi effetti ovvero la creatura umana e
l’ordine dell’universo. Tutto l’universo è creato in funzione della creatura umana.
Pagina 7 punto di discussione: le creature agiscono sulla nostra ragione (determinismo) non ha detto che
guidano il mondo naturale. Si evince che il mondo latino è conscio della mancanza di molte conoscenze
“povera latinità”.
CAPITOLO QUARTO: si dice cosa studiare dei cieli per capire come agiscono. La parte pratica dell’astrologia
è fare l’oroscopo. Dice che l’astrologia si divide in due parti, una teorica che riguarda i principi dei giudizi e
la seconda, pratica, che è l’effettivo modo di elaborare giudizi, divisa a sua volta in quattro parti. Quella che
concerne le rivoluzioni, la seconda gli oroscopi, l’altra le interrogazioni e infine l’elezione delle ore
favorevoli a cui si subordinano le immagini ed è proprio questo che ha fatto si che l’astrologia venisse
ritenuta come magia, poiché i libri di magia concernevano immagini.
CAPITOLO DODICI:vuole giustificare il fatto che la parte pratica di formulare deve esere conosciuta per
intermediare tra il mondo divino e Dio.
Aristotele sbagliò a porre il mondo come infinito/eterno, però noi sappiamo che il mondo è stato creato da
Dio e avrà una fine. Albumasar e gli astrologi sono andati oltre Aristotele sapendo tutto ciò, interrogando le
stelle. Non è possibile che Dio cambia la sua volontà. Ma è proprio vero? Questo non è un limite
all’onnipotenza divina? L’onnipotenza è tale che non può volere ciò che non cos’ come ha fatto). Se c’è
una scienza che ci insegna il movimento, c’è anche la possibilità di fare l’oroscopo o non esisterebbe.
Operare, interpretare ciò che ci dicono i pianeti, vuol dire interrogare un’entità razionale. Un conto è
pensare le stelle sorte, un conto pensare i pianeti come anime razionali.
Il dodicesimo libro, lamda al tempo di Alberto non era tradotto. Qui parla delle intelligenze celesti e lo
conosceva anche se per lui era undici, non è possibile che scriva che non si conosceva ancora. Questo è il
punto che rende dubbia l’attribuzione dello speculum ad Alberto Magno.
Difficoltà di mettere insieme il contesto astrologico. Le stelle sorde e mute. La cosmogonia e commenti
arabi per cui i cieli sono dotati di atto del motore immobile (metafisica).
La fine riprende il paragrafo 29 dell’opus maius.
Riassumendo:
Crea l’opera per ponte tra filosofia naturale e metafisica con stelle come i meri strumenti. L’astrologia divisa in
due: capire i movimenti e in base a questi formulare dei giudizi. Nei testi metafisici e commenti arabi si parla
dei cieli come anima, intelligenza che permette di generare i movimenti. Il problema è come agiscono tali cieli.
Sono strumenti e intelligenza. Aristotele e gli arabi vanno per la seconda, i cieli guardano all’atto primo e
trasmettono la causa a quelli che vengono dopo di loro. So trasforma il motore immobile in una causa non
causata. Poi tutto tornerà alla causa prima.
A quel tempo ormai la civiltà non era più feudale. Le personalità di spicco non sono più monaci, ma o
sacerdoti (ordine secolare) o frati 8uomini che hanno scelto di seguire la regola di San Francesco e
Domenico e vivono nei conventi, che sono all’interno della città poiché la regola di Francesco e Domenico è
che i frati devono vivere tra la gente e predicare il vangelo.
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Con Domenico il vangelo da predicare è l’anti eresia. Eresia catara che riprende il manicheismo e la società
senza gerarchia. In funzione anticlericale Domenico propone una scelta evangelica all’interno della città con
un vangelo puro e accessibilePREDICATORI
La proposta francescana fa leva sugli esempi, rinuncia a tutti i beni e la scelta del vangelo come scelta di
vita prima della predicazioneMINORI
All’interno dei conventi si formano delle scuole con gli insegnanti delle università. Questi due ordini
formeranno gli intellettuali più importanti. Nel contesto degli insegnamenti domenicani a Parigi e poi a
Colonia che l’aristotelismo è proposto come struttura base dell’insegnamento. Alberto Magno fu uno di tali
maestri.
Si tratta anche dell’aristotele fisico con opere: fisica, de caelo, metafisica, trattato sulla generazione e
corruzione, de anima, trattato sugli animali, parva naturalia, meteriologia.
Insieme a questi testi arrivano i commenti di Alfarabi, Avicenna, Averroè e tutti i testi di astronomia e
astrologia del mondo arabo.
Alberto Magno, studioso domenicano tedesco che basandosi sulla formazione sua di nobile si rende conto
che fare una predicazione forte ai cristiani, questi devono diventare filosofi, attraverso le opere di
Aristotele per giustificare la loro fede e distinguere il piano filosofico e teologico (attraverso le opere
naturali di Aristotele). Dove non c’erano trattati su alcune cose, come i minerali di Aristotele, le aggiungeva
Alberto Magno utilizzando i commenti di Avicenna, platonizzanti e quindi più digeribili per il cristianesimo.
Il filosofo procede in virtù delle forze e serve a farci capire come è fatto il mondo. Il teologo procede in virtù
della fede e serve a farci capire come si arriva a Dio. Le due scienze differiscono per l’oggetto: per il teologo
l’esistenza di Dio è indubitabile ed esiste sopra la ragione. Il filosofo dimostra la sua esistenza e con la
ragione si arriva alla fede. Questo è ciò che farà l’allievo di Alberto Magno, Tommaso d’Aquino.
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QUADRO CRONOLOGICO DEI PRINCIPALI ASTRONOMI ARABI
TESTO FOTOCOPIA: Quadro generale per capire le relazioni tra il mondo occidentale e quello arabo e visti
vari autori per comprendere le teorie astronomiche che arrivano in occidente. Linea del tempo parte dal
632, VII secolo, morte di Maometto, età del regno longobardo (muore Boezio nel 524, 529 chiusura scuola
di Atene e 476 caduta dell’impero). Nel 619 quando Maometto attiva alla mecca comincia il calendario
dell’Islam. Dopo la sua morte , da oriente verso la Persia, verso occidente, passa per l’africa, travolge
alessandria d’egitto (dove c’era la biblioteca, polo della cultura antica, che aveva anche il bagaglio della
cultura scientifica greca). Rasa al suolo. Un secolo dopo questo mondo islamico cerca di recuperare tutto
ciò che aveva distrutto tra il 700 e l’800. Recupero di conoscenze scientifiche, astronomiche, mediche,
sconosciute al mondo occidentale.
Pensatori che venivano dalla Persia:
- AL-FARABI: tra 900-1000, primo filosofo a recuperare le opere fisiche di Aristotele e a proporre un
commento, alla base poi dell’opera di Avicenna.
- AVICENNA: persiano, medico, commento alla metafisica aristotelica che verrà pportato in
occidente. Interpretazione di Aristotele platonizzante.
- AVERROè: spagnolo. Parte dal califfato nel marocco. Giurista, contemporaneo di Abelardo. Visse
nel periodo in cui i testi di astronomia erano tradotti in latino e portati in occidente. Grande
commentatore. Vuole recuperare la genuinità del pensiero aristotelico senza quel tono platonico di
Al farabi e Avicenna.
Il primo Aristotele che l’occidente legge è platonizzato, ciò fa accettare l’ingresso del filosofo fisico poiché
denso di Platone. Nel XII secolo (1200) il grande commento di Averroè con un Aristotele nuovo è ciò che
genera problemi.
- ALFRAGANO: importante astronomo che prende l’opera di Tolomeo l’Almagesto (il grande),
semplificandolo. Tolomeo è del II secolo d.C. Rappresentante della scuola di Alessandria. Il suo
pensiero è il sincretismo tra Platone e Aristotele. Per lui l’unico contesto che ci offre una verità e la
scientificità è la matematica, l’astronomia e la musica. L’astronomia per Tolomeo è una scienza
esatta e i calcoli aritmetici giustificano il modo in cui l’universo è strutturato. Alla chiusura del
mondo ci sono le stelle fisse che tengono l’universo. Tradurre tutto ciò in termini matematici deve
eliminare punti di Aristotele. Non ci sono più sfere concentriche, ma movimenti come traiettorie
chiamate eccentrici ed epicicli. Eccentrici perché il centro è la terra, ma per far quadrare ci che vedo
in descrizione numerica devo pensare il movimento eccentrico in cui la terra è un po’ spostata. Il
centro del movimento (rotazione) non coincide con la terra. Epiciclo perché è un ulteriore
traiettoria che il pianeta compie intorno all’eccentrico.
L
epiciclo
eccentrico
L = luna
C = centro movimento
C
T = terra

T
L’equante è il cerchio che percorre su un altro cerchio.
62
Con questi Tolomeo traduce in termini matematici il cosmo aristotelico. I pianeti non sono più sfere
cristalline, ma corpi in movimento con traiettorie intersecate. La terra non è più il centro.
Alfagrano inserisce tale interpretazione, ci fa conosce la cosmogonia di Aristotele con tale esemplificazione.
- THABIT: matematico, astronomo. Da una spiegazione aritmetica a un principio che Tolomeo aveva
osservato. Il cielo delle stelle fisse non aveva solo il movimento di rotazione, ma anche un
movimento lentissimo di 1 grado ogni 100 anni che spostava il punto di arrivo della primavera in
ariete. Oggi si sa che è il moto di precessione. Thabit dice che i punti equinoziali (ariete e bilancia)
hanno una rotazione e ipotizza due sfere delle stelle fisse. Una che porta il movimento nelle 24 ore,
uno di precessione.
Il movimento del primo cielo sarà quello delle 24 ore, mentre quello delle stelle fisse porta quello di
precessione. Sopra il cielo delle stelle fisse c’è un motore immobile. Thabit ipotizza queste due
sfere, idea ripresa da Avicenna per tale motivo, affermare perché serve per vedere come il
movimento del primo cielo celeste dà moto a tutto (serviva un cielo in più).
- ALBATENIO: porterà una catalogazione di movimenti astronomici
- ALPETRAGIO: allievo Averroè, propone una visione del cosmo aristotelico (antitolemaico)
eliminando tutti gli elementi che aveva inserito Tolemaco. Fa un sistema di movimenti dei poli per
cui un moto dei pianeti serve quello di quattro sfere (cielo) che ruotano con un asse inclinato. Ciò
per giustificare aritmicamente i movimenti del cielo.
Tutti questi testi arrivarono in occidente a partire dalla seconda metà del XII secolo. I nostri autori che
erano abituati a confrontarsi con la cosmogonia platonica di trovano di fronte tutto questo nuovo mondo.
Molti maestri di scuola si trasferiscono in Spagna e impararono l’arabo. A Parigi e in Inghilterra si determina
questa prima andata di testi che rappresentano un’astronomia diversa.
Recuperata dal mondo arabo anche L’ASTROLOGIA
Studio di come i movimenti celesti
influiscono sul mondo naturale. Aristotele
ne parla ne de generazione e corruzione
dicendo che “l’uomo genera l’uomo
insieme al sole”. Il mondo celeste è
concausa di eventi naturali.
Sulla base di questo principio Tolomeo nel quadripartito ribadisce che gli eventi celesti influiscono sui
movimenti del mondo naturale. Ciò è fatto in forza di virtus che i corpi celesti esercitano (non per le qualità
primarie dei corpi celesti, caldo, freddo, umido, secco).
Tutto ciò in occidente ci presenta un mondo guidato dai cieli, non perché sono uguali, ma perché guardano
al progetto divino (prevede che i cieli, poiché dotati di intelligenza sono concause). Ciò aprirà la strada al
determinismo (nei movimenti dei cieli è scritto ciò che succederà), problema del libero arbitrio.
Regole tra allievi e maestri che crea l’universitas studio rum (1200/ XIII secolo). Università dello studio a
Parigi, Oxford, Cambrige, Padova, Napoli, Salerno, Bologna. Si organizza un percorso di studi certificato.
L’organizzazione delle università vanno di pari passo con l’arrivo di nuovi testi, richiesta quindi di studi fisici
perché da come è fatto il mondo deriva anche la realtà dell’uomo. Le resistenze della chiesa erano forti.
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ROBERTO GROSSATESTA
Poco dopo la fondazione dell’università di Parigi, quella di Oxford si caratterizzò per un forte legame con la
tradizione agostiniana, soprattutto sulla teoria della conoscenza come illuminazione. Ampio sviluppo
d’interesse per la arti del quadrivio e a Oxford si ebbe un’ampia riflessione sul metodo scientifico e sulla
matematica accompagnata da un’attenzione per le conoscenze naturali, ad opera di Grossatesta e poi
Bacone. Ruolo importante in ciò furono gli Analitici Secondi dove Aristotele aveva definito le condizioni di
validità di dimostrazione. Tale testo era noto dalla metà del XII secolo e il primo a commentarlo fu
Grossatesta (1168-1253) che insegnò a Oxfors fra il 1198, 1209. Poi andò a Parigi a studiare teologia. Il
mestiere dell’intellettuale aveva un curriculum diviso in varie fasi. Al primo periodo dell’insegnamento a
Oxford risale il commento agli analitici secondi, al cui inizio afferma che la condizione attraverso la quale si
produce il sapere è la scienza e quindi occorre distinguere tra l’opinione (accettazione di una verità
contingente in quanto tale) e l’intelletto che produce la scienza ed è una sorta di vista intellettuale, capace
di apprendere gli intellegibili. La scienza è conoscenza che si acquista sulle cose visibili per il tramite di
elementi necessari. Nel campo della conoscenza naturale l’acquisizioni di questi elementi necessari
costituisce il problema dell’induzione che è il procedimento inteso a scoprire la causa partendo dalla
conoscenza dell’effetto.
La definizione di un fenomeno è la definizione delle condizioni della sua produzione che Grossatesta
identificò con le quattro cause aristoteliche, che si ottiene attraverso il duplice procedimento della
resolutio e compositio, cioè classificandola per somiglianze e differenze gli elementi costitutivi del
fenomeno e dandone una definizione, mettendo in relazione le proposizioni che definiscono l’oggetto in
modo tale da mostrare che le più particolari derivano dalle più generali e che quindi il rapporto fra generale
e particolare è un rapporto di causa ed effetto.
Quando si ha una percezione ripetuta più volte e immagazzinata nella memoria si comincia a ragionare e la
ragione comincia a domandarsi se le cose sono realmente come dicono il ricordo dei sensi e alla ragione
viene suggerito “l’esperimento” e così si arriva dalla sensazione a un principio sperimentale universale.
Dalla visione sensibile che ha per oggetto individui particolari, si passa dunque a una visione degli universali
che permette d parlare di scienza anche per la conoscenza naturale.
La scienza vera e propria agli occhi di Grossatesta è la matematica che da insieme conoscenza e
dimostrazione e che può costruirsi come strumento anche dalla fisica. Anche se la matematica non può
rintracciare di per sé le cause degli effetti naturali, essa può descriverli, tutte le cause degli effetti naturali
devono essere espresse per mezzo di linee, di angoli e figure sennò non si potrebe avere conoscenza della
ragione di questi effetti. Ritiene che la luce sia la prima forma corporea, la forma creata nella materia
prima, poiché si moltiplica in definitivamente da sé e per sé in ogni direzione e si estende in modo uguale in
ogni parte, traendo con sé la materia dalla quale non può separarsi, estendendola nel principio del tempo.
Tale visione del mondo è definita metafisica della luce, in esso le virtù o specie de fenomeni sono
organizzati secondo le leggi dell’ottica (che assume nell’opera di Grossatesta un ruolo centrale nelle
organizzazioni delle scienze). oltre che nelle opere astronomiche e in quelle ottiche il tema
dell’irraggiamento delle specie è presente anche nelle opere metafisiche e nel commento della genesi.
L’insegnamento di Grossatesta cessò nel 1235 quando venne nominato vescovo di Lincoln, ma la sua
attività intellettuale non si arrestò poiché tradusse l’etica nicomachea il de Coelo e gli scritti dello pseudo
Dionigi. Importante il testo De luce in cui offre una soluzione alla modalità con cui il sole si relaziona alla
terra.
64
RUGGERO BACONE
Altro grande personaggio uscito dalla scuola di Oxford è Bacone che mostra molta influenza di Grossatesta.
Nasce nel 1214. Fu forse il primo magister ha commentare Aristotele sviluppando un atteggiamento
polemico nei confronti di Alberto Magno. Bacone nell’accettazione all’auctoritates vedeva la decadenza
negli studi e identificava i questa la causa dell’impossibilità per la società cristiana di difendersi dalla
decadenza morale.
Le difficoltà sociali e i cambiamenti, come gli stati nazione o l’economia mercantile, venivano considerate
segno dell’avvicinarsi dell’anticristo da quanti predicavano vicina la fine dei tempi.
Bacone condivise le preoccupazioni dei suoi contemporanei e si dette a progettare una riforma della
società cristiana, da realizzare a partire dalla riforma degli studi. Tale atteggiamento si rafforzò dopo il suo
ingresso nell’ordine francescano, nel 1257, anche se la sua attività era ostacolata dalle regole rigide e dal
divieto ai frati di scrivere a meno che non avessero ricevuto l’incarico dai superiori. Negli anni parigini era
venuto a conoscenza del Secretum secreturum attraverso tale testo aveva iniziato a interessarsi alle scienze
che promettevano il dominio sulle forze naturali occulte ritenendo che proprio a tali forze avrebbe fatto
ricorso con l’uso della magia, l’anticristo e che dunque i cristiani per fronteggiarlo avrebbero dovuto
conoscerle e utilizzarle a loro volta.
La prima delle tre opere è l’opus maius che inviò al papa Clemente IV. Le tre opere del 1267 (Opus maius,
opus minus, opus tertium) dovevano essere il preambolo delle grande enciclopedia delle scienze, lo
scriptum principale, della quale ci rimangono solo pochi frammenti. Qui Bacone voleva riorganizzare le
scienze secondo un piano che prevedeva il radicamento nella Sacra Scrittura di tutto il sapere umano e
identificava lo scopo ultimo di esso nella morale, passando attraverso un programma scientifico. Alla base
del programma sta l’individuazione delle quattro principali cause d’errore che sono la tendenza a
nascondere la propria ignoranza, il produrre esempi ricavati da autori insicuri e inattendibili, la forza delle
cattive abitudini e l’accettazione dei pregiudizi comuni. L’altra cosa fondamentale è riconoscere che vi è
una sola sapienza perfetta, quella contenuta nella sacra scrittura. La filosofia procede attraverso lo studio
delle lingue (ebraico, arabo, greco) che permettono di attingere alle fonti originarie del sapere senza
ricorrere alla mediazione delle traduzioni, la sapienza è un dono divino ed è tanto più intatta se vicina
all’origine. Strumento principale della filosofia è la matematica, dove si ottengono verità più splendide di
ogni scienza. Parte fondamentale del sapere è l’ottica (sviluppò la teoria dell’irraggiamento di Grossatesta).
Dopo segue, in ordine gerarchico ascendente, la scienza sperimentale che insegna a provare mediante
l’esperienza i risultati raggiunti nelle altre scienze (come l’arcobaleno), consente di attingere verità che le
altre scienze non riescono di per sé a raggiungere, la terza prerogativa è quella di rivolgersi a indagini che
non hanno attinenza con altre scienze, se non per il fatto di servirsene.
La scienza sperimentale di Bacone va oltre il ricorso alla semplice esperienza, per sfociare nel sogno di una
scienza applicata, che è al servizio della realizzazione spirituale degli uomini, come mostra l’etica come
grado supremo della gerarchia delle altre scienze. questa gerarchia mostra che tutto il sapere si colloca al
servizio della teologia. Dice infatti che il fine prossimo delle cose naturali sono le opere artificiali, ma il fine
ultimo è la beatitudine futura (influenza di Aristotele e Grossatesta). L’arte porta a perfezione la natura, la
virtù l’arte e la felicità porta a perfezione la virtù. Il termine arte non ha una valenza estetica, ma dal greco
techne ovvero tutte le attività operative dell’uomo. Il superamento della natura è per l’uomo il percorso
verso la felicità futura e tale superamento per Bacone avviene grazie alla conoscenza connessa con l’agire.
Clemente IV nel quale Bacone aveva riposto la speranza per una riforma degli studi, morì nel 1267, così
Bacone si trovò in una situazione difficile, ma comunque lavorare alla sua opera. Della produzione degli
ultimi anni interessante è il Compendium studii theologiae, ultima opera scritta nel 1292 dove si ha
un’attenta ricerca sulla logica che ripropone una riflessione sul modo di significare dei termini
(orientamento prettamente pratico di Bacone).
65
FILOSOFIA SCIENZA E TEOLOGIA DALL’OPUS MAIUS
Bacone è un francescano, prima però aveva lavorato come maestro all’università di Parigi intorno al
1235/1245, insegna Aristotele. Maestro delle arti; primo che prese sistematicamente i testi aristotelici e ne
fa dei commenti alla base dei suoi insegnamenti, strutturato sulla base del PORRE QUESTIONI. La risposta
alla questio era elaborata sulla base degli insegnamenti aristotelici. Quindi è ancora un laico. Poi intorno al
1245 decide di dedicarsi alla studio ed entra nell’ordine nei minori. Scelta di vita che prevedeva che chi
veste la tonaga deve rinunciare alla sua posizione sociale, vivere nei conventi e sono in continuo
movimento (spirito missionario della Chiesa). Adesso da frate è investito della missione di rifondare la
civiltà cristiana. Per fare ciò si mette in contatto con il papato e propone a Urbano VII una riforma degli
studi. L’opus maius è un enorme risultato sulla prima risposta che Bacone fa vedere al papa come pensa di
riformare gli studi. Essendo troppo prolisso fa un opus minor e poi un tertium.
Da una parte Alberto Magno inserisce Aristotele per la predicazione, Bacone rinnova gli studi per rinnovare
la società cristiana poiché sta giungendo l’anticristo e lo dice sulla previsione dell’astrologia. La chiesa deve
armarsi di armi intellettuali per contrastarne l’arrivo.
INTRODUZIONE
Bacone è molto critico nei confronti delle auctoritates indegne per lui della cultura universitaria e pensa a
un programma riformatore. Il ruolo del francescanesimo, l’adesione all’agostinismo politico, la necessità di
acquisire materiale culturale greco arabo e l’esito pratico del sapere s’inseriscono nella translatio studii
propria del XIII scolo dove antichi e moderni si confrontavano nella forma istituzionale dei saperi scolastici
per cercare un’integrazione.
Tra il IV e XII secolo il quadro dottrinale era dominato da una mentalità simbolica ancorata alla rivelazione
che si applicava anche allo studio della natura, che non costituiva ancora l’oggetto di una ricerca fisica
fondata su relazioni e ragioni autonome. Il rapporto fra fides e intellectus aveva consentito un ideale di
sapere che tendeva a inglobare ogni arte e disciplina e il livello più alto era rappresentato dall’esegesi, che
attraverso l’interpretazione dei quattro sensi della scrittura permetteva di avvicinarsi alla sapienza biblica.
Già Agostino aveva individuato la differenza tra sapienza e scienza, dicendo che alla prima spettavano le
cose intellettuali e eterne, alla seconda quelle temporali.
Il passaggio dalla sapienza pagana, al sapere cristiano, grazie anche alla riflessione agostiniana sulla
distinzione tra frui (=concentrazione sulla vita contemplativa interiore) e uti(=l’uso del corpo), aveva
portato a svalutare le arti meccaniche a favore di quelle liberali e aveva indicato la necessità ai teologi
cristiani di contrapporsi alle arti divinatorie del paganesimo. Così il rapporto dell’uomo con la natura venne
ad essere gerarchico e al sommo grado c’era il sapere teoretico, poi l’agire morale e poi quelle attività che
avevano come fine la produzione.
Ugo da san vittore nel Didascalicon critica le arti meccaniche come modi di agire che dipendono da quelle
stesse necesstà derivanti dalla finitezza e dalla miseria della condizione umana costretta a provvedere ai
suoi bisogni. Viene tematizzata la tesi che il compito svolto dalle arti meccaniche sia quello di rappresentare
solo una propedeutica alla filosofia, non facendone parte. Sono utili, ma non nobili, contro le arti liberali
che si sono consolidate poiché libere dall’uomo, mentre quelle meccaniche restano funzionali a risolvere le
difficoltà dell’uomo nella vita terrena. Sulla scia di tale concezione, all’uomo interior dove sono innate le
arti liberali, che gli assicurano la vita contemplativa, si oppone quello exterior, alle necessità a cui vengono
in aiuto le arti meccaniche.
Ciò non negava la legittimità della ricerca fisica, ma la vedeva nell’ottica di uno strumento per arrivare alle
verità eterne già espresse nei testi sacri  ratio e contemplatio diventano momenti di un unico disegno, la
contemplazione dell’universo fisico intesa come lettura di un testo scritto da Dio dove i vari aspetti della
natura rappresentavano i simboli di verità religiose e morali e il metodo per leggere era quello usato per
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l’esegesi del testo sacro, ovvero i quattro sensi che veniva applicato dunque anche al libro della natura. Così
il cosmo veniva investito di carattere religioso al punto che la fisica si risolveva in teologia.
Questo modello onnicomprensivo di sapere cristiano, si dissolve alla fine del XII secolo, nell’entusiasmo
degli stimoli culturali quali l’ingresso nel mondo latino dei testi scientifici e filosofici greci e arabi.
Per analizzare dunque il pensiero di Bacone bisogna considerare il processo d’integrazione tra paganesimo,
filosofia e scienza araba e filosofia cristiana nel XIII secolo scandito da interventi e condanne delle autorità
ecclesiastiche che vietano nel 1210 e 1215 la lettura dei libri naturali e della metafisica di Aristotele e dei
commenti. La penetrazione di Aristotele nelle facoltà delle arti era comunque dilagante, favorita anche dai
commenti delle traduzioni di Averroè e infatti nel 1252 Bacone lesse e commentò i suddetti testi nelle sue
lezioni dal 1240 al 47 a Parigi. Gli avvenimenti più importanti di carattere repressivo ci furono tra il 1270 e
1277 tanto che Duhem sostiene che il 7 marzo 1277 nasce la scienza moderna.
Nell’ambito di questa riorganizzazione del sapere scientifico del XIII secolo che si colloca il pensiero di
Bacone che finì nel 1237.
PROEMIO: LE CAUSE DEGLI ERRORI
Riguarda le cause dell’errore, poiché il mondo in cui vive è caduto in errore a causa di quattro cause che
vanno distrutte per poi iniziare la pars construens (ricostruzione dei nostri saperi). Questa è una novità
poiché i filosofi medievali si sentivano solo commentatori, non si attribuiscono la capacità di formulare essi
stessi la filosofia. Per l’alto medioevo la filosofia è in Platone, nel basso è in Aristotele. Ciò deriva dal fatto
che loro si confrontavano solo con il testo sacro.
Bacone dice invece di liberarci delle cose passate, più vicino al mondo moderno.
Dice che secondo Aristotele (nel settimo libro della metafisica) le realtà che sono massimamente conoscibili
in natura, non lo solo per noi, infatti la verità riposa nell’alto dei cieli come afferma Seneca e Marco Tullio
sostiene che ogni nostra conoscenza è ostacolata da molte difficoltà. La debolezza del nostro intelletto però
ci può aiutare nella ricerca della verità, affinché possiamo allontanare dalla debolezza della nostra
condizione limitata, le cause di errore.
A pagina 59 elenca gli errori più comuni che impediscono la comprensione della verità e impediscono di
raggiungere il vero splendore della sapienza.
1) Fragile e indegna autorità
2) L’abitudine di operare in un certo modo ci impedisce di pensare in modo diverso, addormenta il
cervello. Bisogna essere inconsueti (non soprafatti dall’essere come siamo)
3) Il volgo (da vulgus contro il filosoforum ovvero chi fa cultura) ignorante è l’insieme delle persone
che fanno l’intellettuale di professione che prendono teorie altrui e sulla base di quelle abitudini
renderle proprie e insegnarle
4) la bestia è il fatto che molte persone non sanno le cose e fanno passare la loro ignoranza per
conoscenza.
I primi tre errori possono essere smentiti dal potere della ragione, il quarto è sempre visibile e sulla bocca
di tutti coloro i quali vogliono giustificarsi della propria ignoranza. A causa di questi errori si ignorano le
belle testimonianze della sapienza e a causa di questa grande stoltezza si affannano sprecando molto
tempo nelle cose che non hanno assoluta utilità e serve quindi capire la violenza di queste quattro cause e
respingerle.
CAPITOLO 9: UNA SAPIENZA SOLO APPARENTE
Pagina 76 si sofferma sulla quarta causa d’errore: tutti ne siamo affetto. La falsa conoscenza è l’origine di
tutti i mali. Facciamo finta di conoscere dando giudizi. Questa quarta causa è una bestia particolare che
distrugge ogni ragione ed è rappresentata dall’apparente desiderio di sapienza che trascina ogni uomo
(Aristotele dice che ogni uomo per natura desidera conoscere). Infatti anche sapendo poche cose e di
scarso valore tuttavia le esaltiamo, per poter nascondere l’ignoranza. Questa causa è sia causa che causato,
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a causa della sua malizia raggiunge il picco della sua malvagità essendo l’origine delle tre cause precedenti.
Infatti a causa dell’eccessiva attenzione alla propria opinione e come giustificazione alla nostra ignoranza, si
fa avanti la presunzione dell’autorità debole. Le nostre opinioni le diffondiamo nel volgo. A questo punto è
necessario premettere le cause universali per evitare l’errore, poiché nella malattia dello spirito si verifica
ciò che avviene nella malattia del corpo, cioè i medici conoscono le malattie sulla base di cause particolari,
ma la conoscenza delle cause universali precede tutto. Allo stesso modo per sanare l’ignoranza e l’errore e
per introdurre una verità stabile, prima di tale intenzione è necessario indicare i segni e le cause particolari,
ma prima ancora si richiedono quelle universali. Il progredire della conoscenza per noi va dagli universali ai
particolari, se si ignorano le cose comuni si ignoreranno anche le altre.
La quarta causa prevale fin dall’antichità (Mosè riceve la sapienza di Dio e contro di lui mormora ogni
popolo. Cristo e gli apostoli diffusero la sapienza nel mondo, ma furono osteggiati dagli altri. I santi dottori,
per aver esposto la legge divina con dei commenti, vennero considerati eretici come San Girolamo.). Si
verifica la stessa cosa per la filosofia. Questa deve essere esercizio critico (non solo amore per la sapienza)
serve autocoscienza critica come Aristotele che contraddì i predecessori ed egli stesso fu contraddetto e
furono molto i tentativi di occultare la sua sapienza. Aristotele fu conosciuti in occidente attraverso:
Avicenna per primo riporto alla luce la sua filosofia presso gli arabi. Averroé condanno Avicenna e tutto ciò
che sostenne Averroè ricevette l’approvazione dei sapienti, nonostante fu a lungo respinto. Ciò ci fa capire
come le autorità sono frutto di convenzioni. A pagina 79 dice che la filosofia aristotelica fu condannata nel
1210 e 1215 e nel 1250 di fatto all’università di Parigi la si insegnava. A seguito conosciute le tesi di
Averroè ci furono altre due condanne nel 1270 e 1277. Secondo lui le forme sono nelle cose, e quando
l’uomo conosce estrapola le forme da esse e una causa motrice le porta dalla potenza all’atto.
Conclude il paragrafo dicendo che esista sempre il filosofo eterno che fa conoscere e che la scienza non è
un dato, ma un bene che si rinnova e aumenta.
TESTO FOTOCOPIA, TEORIA DELL’EMANAZIONE: Per quel che riguarda la produzione delle cose da parte di
Dio, Avicenna propone una teoria dell’emanazione che sembra un connubio tra aristotelismo e
neoplatonismo. La causa prima non produce le cose intenzionalmente, ma neppure in modo inconsapevole,
ma essa conosce in universale ciò che fluirà da sé. Tuttavia la causa prima, in quanto essere necessario, è
assolutamente unica e quindi sarà tale anche il suo primo effetto, in caso contrario dovremo ammettere
una radice della molteplicità presente in tale causa prima. Ciò che produce immediatamente a partire
dall’atto in cui conosce la sua essenza è la prima intelligenza. Tale tesi presuppone che la creazione da un
lato sia eterna come la causa prima, dall’altra che al di là della prima intelligenza, il resto della creazione
non sia opera diretta della causa prima, ma avvenga con degli intermediari. Il passaggio dall’unità della
causa prima alla molteplicità del creato è giustificato dal fatto che la prima intelligenza, rispetto alla causa
prima, ha già più cose da pensare, cioè pensando alla causa prima, produce l’intelligenza inferiore,
pensando a sé come in sé possibile, produce la prima sfera celeste, pensando se in quanto resa necessaria
dalla propria causa, produce l’anima di tale sfera. Meccanismo che si ripeto uguale fino alla decima
intelligenza che sovrintende il mondo sublunare da cui dipendono le anime umane e le forme naturali degli
altri enti, per questo tale intelligenza è chiamata datore delle forme.
Le intelligenze sono le sostanze separate intermediarie tra Dio e il mondo sensibile (come i motori immobili
successivi al primo di Aristotele). Nel mondo islamico le intelligenze saranno identificate con gli angeli.
Dal punto di vista storico successione di conoscenze a partire da Aristoteleespone e critica l’opinione dei
filosofi precedenti. Bacone ricorda Avicenna e Averroè. Secondo Bacone il pensiero di Avicenna restituisce
varie dottrine aristoteliche che sono platonizzate, ma Bacone proprio su ciò si è formato. Al contrario di
Averroè propone un commento alla lettera delle opere fisiche di Aristotele:
- GRANDE COMMENTO
Metodo: prende un pezzo dell’opera di Aristotele e commenta68
rimanendo fedele al testo.
- COMMENTO MEDIO
- EPITOME
Ripropone varie tesi contrarie, come l’aternità del mondo, la causalità dei cieli è motrice. In Avicenna il
primo motore non è solo fonte di movimento, ma è causa di ciò che viene dopo di lui (processo
emanatistico: eterno, ma causativo, non motore).
La causa prima pensa se stessa come causa e nel pensarsi tale determina l’emanazione della prima
intelligenza questa non ha un oggetto univoco, ma due:
Nella relazione tra possibile e necessario, si passa al
- pensa se stessa NECESSITà
livello cosmologico (struttura dei cieli).
- si pensa come oggetto sensibile POSSIBILITà
Dal piano metafisico a cosmologico
In quanto causa emana una seconda intelligenza che con lo stesso rapporto tra necessità e possibilità
emana tutto fino al cielo della luna.
Si arrivati alla decima intelligenza che non ha più sfere celesti da muovere. L’effetto emanatistico della luna
è muovere l’’intelletto umano, la forma delle cose e la materia della cose.
Le forme non sono in potenza nelle cose (come Aristotele), ma è infusa, cioè portata da questa intelligenza
e messa nelle cose. È l’intelletto agente affinchè l’uomo possa conoscere universalmente (in manera vera.
Distanza da Aristotele).
Nel contesto cristiano questa soluzione era utile poiché giustificava dal punto di vista filosofico il fatto che
Dio ha le forme delle cose. La conoscenza umana viene da Dio perché risiede in lui, per questo Avicenna per
il cristianesimo ha interpretato bene Aristotele.
La soluzione di Averroè porta a due denuncie che evidenziano delle dottrine contrarie alla fede (1270-1277,
condanna contro gli averroisti):
- dottrina del mondo eterno
- intelletto: se l’intelletto passa da potenza ad atto, tale potenza è data da ciò che i sensi ci danno,
ma tale potenza deve essere una conoscenza al di sopra, affinchè l’intelletto agente o attivi,
quando penso è l’intelletto potenziale che sotto l’influsso di quello agente si attualizza. Sia
l’intelletto agente che potenziale sono unici e al di sopra della specie umana, poiché se non fossero
unici non si avrebbe una conoscenza universale.
Bacone predilige le soluzioni di Avicenna poiché molte dottrine di Averroè non sono accettate dai cristiani.
A pagina 86 e 87 parla dell’importanza dell’attività di traduzione perché consente di mettersi in rapporto
con altre culture, con il passato, come Agostino e Boezio.
CAPITOLO 14: FILOSOFIA E CRISTIANESIMO
I cristiani hanno utilizzato le scienze solo per ambito astronomico (calendario) e per ambito musicale
(intonazione dei canti). Ciò fece si che le scienze non si svilupparono nei cristiani. Inoltre uno degli altri
motivi per cui non si sviluppa la scienza è per l’arte magica che si pone contro la fede (come la filosofia), si
pone contro la filosofia, perché attraverso la ragione dice che l’uomo è animale razionale.
CAPITOLO 17: L’UTILITà DELLA MATEMATICA
Inizio della pars construens.
Vuole spiegare con la ragione ciò che è stato prima chiarito con l’autorità circa l’intera matematica.
Le scienze spesso fanno uso di esempi matematici, ma li propongono sulla base di quegli elementi di cui
sono costituite le singole scienze.
Aristotele per spiegare il principio che determina l’accrescimento senza l’alterazione dice: come un
quadrato non si altera se si aggiunge uno gnomone (accresco due lati della stessa quantità, non altero la
natura del quadrato).
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Ciò si comprende se si conosce Euclide. Si fa riferimento a una scienza i cui
principi sono uguali per tutti, si fonda sull’evidenza della dimostrazione.
 LA MATEMATICA PRECEDE LA FILOSOFIA NATURALE
La matematica è conosciuta per prima anche per il fatto che in noi è innata la modalità di procedere dalle
cose semplici a quelle difficili, e tale scienza è facile e ciò si evince anche dal fatto che è compresa da tutti.
Anche gli uomini di Chiesa possono conoscere gli elementi propri della matematica anche se non riescono
ad attingere da altre scienze. prestando attenzione può acquisire i suoi elementi in maniera vera, cosa che
non può fare con quelli della filosofia anche ascoltandola dieci volte.
È il fondamento su cui i bambini cantano (conoscenza altezza e durata) e parlano grazie alla conoscenza
della matematica. Aristotele dice, infatti, che i bambini possono apprendere subito la matematica e quindi
è necessario disporre l’animo a partire da essa che non sulla base di altro.
Inoltre nella matematica si può giungere con facilità alla dimostrazione che ci fa conoscere la verità.
Solo nella matematica c’è certezza senza dubbio.
CAPITOLO 18: NECESSITà E CERTEZZA DELLA MATEMATICA
Se in altre scienze dobbiamo pervenire alla certezza assoluta e alla verità senza errore bisogna porre la
matematica a fondamento fino a che non arriveremo a tale certezza delle altre scienze.
La proprietà primaria è che essa precede le altre scienze e ciò si capisce anche dal fatto che per noi è innata
la via che conduce dalla sensibilità all’intelletto, poiché se manca la sensazione, manca la scienza che
dipende da quel senso.
Se ci manca un senso, non capiamo la sua scienza (senza l’udito non conosciamo la musica).
La quantità diviene qualcosa di sensibile, sta nelle cose (vs l’idea per cui il mondo dei numeri per Platone è
ideale). Gli enti naturali sono quantificati. La quantità è una qualità comune per cui concorrono tutti gli altri
sensi. Nulla si può sentire senza quantità, per cui l’intelletto può progredire soprattutto riguardo la
quantità. Sulla base di ciò che è corporeo si indagano le realtà incorporee.
CAPITOLO 19: LA MATEMATICA E LA SAPIENZA CRISTIANA
Una volta spiegata la necessità della matematica nelle realtà di questo mondo, occorre dimostrarne la
necessità nelle cose divine.
La filosofia la si capisce grazie alla matematica, che regge anche la teologia: il teologo deve conoscere la
matematica. Le cose umane non sono nulla se non si applicano a quelle divine.
La scienza di Dio deriva dalla conoscenza della filosofia, prima conosco il mondo e poi arrivo a Dio.
L’argomento in cui si critica la matematica è dato dai giudizi dell’astronomia. Si sente la necessità di liberare
la matematica dalla cattiva reputazione.
Distingue tra la falsa matematica e quella vera e dice che molti teologi adducono argomenti contro i
matematici poiché scambiano la vera matematica con quella falsa. Il vocabolo della vera matematica si
scrive con la t aspirata e che deriva dal greco (matheo significa apprendo e mathesis significa disciplina)
perciò la matheatica è la scienza dottrinale e gli stessi affermano che il termine per la false matematica si
scrive senza aspirazione e deriva da mathesi che denota la divinazione.
Conclude dicendo che indipendentemente dall’etimologia la falsa matematica è l’arte magica (cinque
specie di arte magica, la mantica, matematica, il malefizio, il prestigio e il sortilegio e queste non sono
scientifiche).
Il rinnovamento di Bacone non fu accolto perché fa leva su dottrine astronomiche.
CAPITOLO 20: LA MATEMATICA PROIBITA E IL PROBLEMA DEL LIBERO ARBITRIO
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La mathematica è la seconda parte dell’arte magica e rivendica a sé lo studio dei caratteri celesti. Ammette
che attraverso il potere delle stelle tutto accade per necessità e nulla accade liberamente. Tale scienza
ammette che tutti gli eventi qui avvengono necessariamente e pretende di fare pronostici su tutti gli eventi
futuri. Tale mathematica è condannata dai santi e dai filosofi (come dice anche Isidoro che dice che una
parte dell’astronomia si chiama mathematica, anche Tolomeo, Aristotele e Albumasar non riconoscono una
necessità assoluta nella realtà inferiori sulla base della virtù celeste, poiché il libero arbitrio non può
soggiacere alle leggi naturali perché non attribuiscono queste necessità alle realtà fisiche).
La scienza matematica contiene caratteri che vanno ad influenzare il mondo su cui la mente umana è
costituita. Le scelte non sono nostre, ma sono in virtù del fatto che le stelle operano su di noi.
CAPITOLO 22: GLI ERRORI DELLA MATEMATICA ILLECITA
I veri matematici sono gli astronomi e astrologici che sono Tolomeo e Avicenna .
La loro opinione si coglie dai loro testi per cui bisogna condannare tutti quelli che errano a partire dalle loro
parole e danno loro contro per i pronostici perché sembra che vogliano ostacolare l’infallibilità divina.
All’astrologia si rimprovera che le previsioni di questa sono fatte passare come conseguenze necessarie.
Bacone dice che le predizioni sono cosa può succedere nel mondo, vedendo il movimento dei cieli. È una
possibilità (può) non necessario (deve). Gli astrologi hanno la colpa di fare predizioni vincolanti; inoltre gli
astrologi veri fanno predizioni generali, ma non particolari.
A pagina 104 si dice che non possono applicare previsioni a singole persone.
Tolomeo infatti pronuncia che l’astronomia non deve pronunciarsi sul particolare, ma sull’universale, e i
pronostici si pongono tra il necessario e il impossibile.
Tra il necessario e l’impossibile, c’è il possibile. L’astrologia parla del possibile in modo matematico. Campo
di applicazione affine alla filosofia naturale perché parla del possibile, ma il metodo è matematico
(applicazione calcolo movimento cieli) e quindi è una scienza esatta e precede la filosofia naturale.
CAPITOLO 23: TEOLOGIA E ASTRONOMIA
Bacone vuole dire che Agostino comprese che gli eventi futuri potevano essere conosciuti e che la
conoscenza dei cieli fosse certa, e così fa capire che i santi passati non rifiutavano la matematica, ma
appunto lo stesso Agostino dice che la matematica fornisce gli eventi futuri con congetture certe. Nel
passato se ne faceva poco uso solo perché veniva scambiata con la falsa matematica.
Dopo che venne eliminata dalla chiesa la falsa matematica di sviluppò quella vera, fino all’avvento di alcuni
teologi che ignoravano il valore della filosofia e le fallacie dell’arte magica, condannando dunque la
matematica. Una volta ignorata quest’ultima, si ignora anche la filosofia e così subisce danno anche la
teologia che se ne serve.
I veri matematici considerano il modo in cui le stelle agiscono sul corpo (mondo fisico) e quindi l’anima
(incline a seguire la volontà celeste o il piano divino, non si storicizza, c’è sempre un po’ di determinismo)
stimolata ad azioni e Bacone insinua che le stelle in qualche modo agiscono nel libero arbitrio, il quale non
è salvato, dato che il disegno divino deve attuarsi. Cioè l’anima non è costretta ad agire, ma liberamente è
condotta con una certa forza a desiderare le cose delle virtù celesti.
Quando si parla di azione dei corpi celesti si parla di virtus, non è azione meccanica (vs Guglielmo di
Conches per cui i corpi celesti agiscono perché hanno virtù elementari), qui la capacità d’azione è di tipo
intellettivo. Come le passioni naturali (amore) portano l0anima razionale a fare cose che non si pensava,
così sarà indotta dalle passioni astrali.
CAPITOLO 25: I PRONOSTICI UNIVERSALI E QUELLI INDIVIDUALI
L’astronomo esperto può analizzare gli eventi passati, presenti e futuri, sia in ambito naturale che umano,
quindi può pronunciare pronostici sui regni e civiltà studiando i cieli ed è più facile il giudizio sull’universale
e che sul particolare.
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Considerando il momento del concepimento del singolo individuo, si può conoscere il dominio della virtù
celeste e si può anche capire, studiando gli astri ogni evento naturale, sia in ambito astronomico che
medico.
Il possibile ci dice che l’evento è caduto e quindi ha una causa. Non si fanno giudizi particolari, ma se
prendo una persona che rappresenta uno stato, questa (non singola) può essere un modello per fare delle
predizioni che saranno sullo stato, non sul singolo individuo.
Bacone mette in evidenza come l’astronomia/astrologia sia una scienza matematica poiché l’indagine dei
movimenti celesti presuppone l’uso dei numeri che consente di vedere la periodicità. Nell’aspetto
applicativo si avvicina alla filosofia naturale.
La caratteristica della previsione è la possibilità: l’influsso dei cieli non è meccanismo causa effetto, è una
possibilità che a posteriori l’astrologo può determinare.
Tipologia di previsioni: non si tratta di previsioni ad personam, ma di capire come questa influenza ha a che
fare con un popolo in una determinata regione. La figura dell’astrologo prevede sul principe in quanto
istituzione, non singola persona: l’astrologia è una disciplina pratica con un’applicazione politica, se serve
allo stato a maggior ragione serve al papa, poiché in quanto capo della cristianità deve sapere il piano
divino nelle stelle.
 DALL’OROSCOPO DEGLI STATI SI PASSA A QUELLO DELLE RELIGIONI
CAPITOLO 26: ASTROLOGIA E BUON GOVERNO
L’astronomo può dire molte cose riguardo un regno se si conosce l’aspetto dominante nel cielo al momento
della nascita del principe e sappia che la complessione (modo in cui i pianeti sono posti rispetto allo
zodiaco) può essere letta come indicazione di certe qualità durante la nascita.
Capita l’indole, l’astrologo cerca la congiuntura in cui sarà di nuovo tutto favorevole. Da ciò si determina
come il principe potrà governare.
CAPITOLO 27: L’USO DELL’ASTROLOGIA
Spiegata l’efficacia della matematica (astrologia) nelle scienze filosofiche e intorno le cose terrene e alla
teologia, si spiega perché si rivolge alla chiesa e ai fedeli e a quelli infedeli.
Sottolinea al di là dell’oroscopo politico, l’astrologo deve guidare la vita del buon cristiano. L’astrologia ha
un ruolo importante per la conversione e repressione di chi non si converte.
Lo studio degli astri legittima la fede che possiede la chiesa.
Quella matematica innata che si esprime nell’astrologia, dimostra che la fede vera e certa è quella della
chiesa e le altre sono false.
L’astrologia è la base della filosofia. Il discorso sulle sette viene da Albumasar, ma lui da arabo, non intende
che l’unica setta sia la cristianità.
I filosofi dicono che la fede cristiano vince, ma non è che i cristiani per essere tali devono seguire la ragione.
Delle sei sette religiose hanno parlato i filosofi (quelli arabi) e i profeti e ora Bacone ci dicono cosa
dicevano.
FOTOCOPIA 10: SPECULUM
Pagina 20/21: parte sull’oroscopo delle religioni (tradotto nel mondo latino ed interpretato come un
oroscopo che promuove la fede cristiana) parlato anche in Bacone.
Nel testo di Albumasar si dice che nel pianeta Giove (sia pianeta che padre degli di) si rappresenta la fede e
come essa si manifesta nel mondo. I pianeti hanno varie caratteristiche e sia Venere (che parla di questo
mondo) che Giove (che parla del mondo futuro) sono pianeti positivi.
Nel testo si continua la citazione di Albumasar “Jesus” è tradotto dal latino, non dal greco. C’è una vergine,
un bambino allattato e un uomo.
Utilizza i calcoli di Albumasar per sottolineare come la nascita di Cristo era inscritta nelle stelle.
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Questa cristianizzazione della filosofia araba è alla base del discorso di Bacone. La congiunzione che per gli
arabi e i filosofi indica la nascita di Cristo, per Bacone è il cambio della nuova setta.
PARAGRAFO 28: L’ASTROLOGIA MONDIALE E LE GRANDI RIVOLUZIONI
I filosofi sostengono che i pianeti si uniscono tra loro e ciò avviene quando sono nello stesso segno.
Sono nelle congiunzioni, cioè nello stesso posto. Ecco il pianeta Giove come nello speculum. I pianeti sono
sette, Giove si congiunge agli altri quindi rimangono sei pianeti e sei sètte. Giove grazie alla congiunzione
con gli altri pianeti, preannuncia la scelta della religione e della fede.
Saturno compie il circolo più ampio. Congiunzioni tra Giove e Saturno e la setta presentata è dei Giudei (più
antica religione perché giove è il più vecchio degli dei e il pianeta più esterno e quindi originario, i giudei
non riconoscono altre religioni se non la loro). Passo come in Albumasar e nel poema de vetula.
Il moto di Saturno è il più lento e quindi ha maggiore difficoltà a congiungersi la setta dei giudei essendo la
più antica fa da modello alle altre (l’antico testamento fa parte di essa).
Il pianeta Marte preannuncia la setta dei Caldei.
Il Sole è l’astro che rappresenta la religione Egiziana.
A Venere sono i Saraceni, la peggiore perché abbandonata alle passioni e dice che nel de vetula quando si
tratta della setta sensuale si dice che qui tutto è lecito,poiché al tempo dei romani la religione non è
rivelata, non ci sono libri, legge scritta dopo seicento anni da Maometto.
Maometto e il corano e la giustificazione e codificazione della religione presente nei romani, ma non
rivelata (pagina 113).
Nel prospettare queste sei religioni, Bacone ha presente Albumasar con due testi cristianizzati attraverso
testi come lo speculum che Bacone usa. Nel presentare questo richiama il testo dello pseudo Ovidio,
composto nel 1240, poema in tre parti in cui Ovidio racconta il motivo per cui cambio vita dall’amore per le
cose terrestri alla filosofia. Poema che circola con il nome della vecchia che lo induce a portarsi dai piaceri
terreno a quelli filosofici.
Tre parti:
1) Piaceri, ma anche uomo di mondo, interessandosi di altro
2) Libro forma di commedia, presenta la figura della vecchia. Ovidio si era invaghito di una giovane
romana, sotto la sorveglianza dei genitori. Conosce la vecchia, nutrice di questa donna, si mette
d’accordo con lei per consentire un incontro. Va nella stanza in cui trova la vecchia e toccandola ha
una sorta di rebrezzo e la maledice (elenco delle malattie come nelle metamorfosi) e andandosene
ha un retro pensiero: in fondo un giorno quella bella ragazza sarà una vecchia, perché seguo un
piacere che è destinato a morire? Devo ricercare un nuovo piacere, la filosofia, ma non è molto
convinto. Dopo vent’anni, quella giovane puella ormai matrova torna che è vedova. Ovidio la vede,
contratta con questa donna una prestazione sessuale. All’atto della consumazione Ovidio ha la
prova provata, dice che sarà stato piacevole, ma sarebbe meglio un piacere che proietti la persona
verso qualcosa di duraturo e non effimero e decide di cambiare vita, verso una vita di conoscenza.
3) Scritto al futuro. Racconta cosa intenderà fare per diventare filosofo.
Il primo passo da fare è dedicarsi alle scienze matematiche perché sono le prime che aprono alle scienze
filosofiche (discorso come Ruggiero Bacone, fonte a cui ha tinto). L’astronomia è quella che ci fa capire i
movimenti dei cieli e attraverso questa, Ovidio scoprirà che c’è un solo Dio (che è causa dei cieli, che a loro
volta sono la causa del movimento delle cose), la volontà che muove i cieli deve essere unica.
Lo speculum precede il de vetula.
Questo pseudovidiano deve camuffare le cose per sembrare Ovidio, tale necessità porta l’autore a far
passare l’astronomia come una propria visione del cielo e delle stelle, capendo così che c’è un solo Dio,
cristianizzazione dell’astronomia araba (ciò che fa anche Bacone). La volontà di Dio si spiega verso le
successioni delle fedi. Presto ci sarà una nuova congiunzione nel XXIV dell0impero di Augusto che porterà
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alla nascita di un uomo. Ovidio riporta il testo di Albumasar e Bacone riprenderà tale testo da riportare
nell’opus maius.
Lo pseudo video non può citare direttamente l’autore arabo o si capirebbe l’inganno, essendo Albumasar
successivo al vero Ovidio. L’ultima parte del testo è un inno alla vergine che rappresenta la verità stabile,
eterna e che si raffigura ad un corpo femminile non soggetto a trasformazioni.
Nel corso del XII secolo si ha la rinascita degli studi classici e Ovidio è riscoperto come il poeta dell’amore,
ma anche il poeta dell’esilio (da Augusto a Tomi scrive i tristia con il racconto della vita in esilio) è anche il
poeta della natura, nelle metamorfosi, dove narra il senso della vita. Nel XII secolo viene moralizzato, la
figura del poeta dei piaceri si trasforma in quello che fustiga i piaceri, attraverso pseudo trattati.
CAPITOLO 29: L’OROSCOPO DELLE RELIGIONI
È difficile capire come Dio si sia fatto uomo (riprende il de vetula).
Mercurio unito a Giove preannuncia la religione Cristiana. La superiorità della legge cristiana è data da
Mercurio (protettore della legge e della conoscenza).
La legge di Mercurio pone difficoltà all’intelletti questo si accorda con i moti difficili di Mercurio, la cui
orbita si trova negli epicicli, eccentrici ed equanti e preannuncia la legge che ha verità nascoste, ovvero
quella cristiana.
Qui riprende tutto il libro del de Vetula.
La nuova legge sarà stabile e preannunciata dal segno della vergine. L’immagine della vergine con le spighe
è ripresa dallo speculum e lo pseudo ovidio.
Attraverso i movimenti del cielo e della matematica si è compreso che la legge cristiana sarà superiore a
questa. Conclusione filosofica perché astrologica.
Poi verrà la legge di distruzione, quella della Luna che sospenderà tutte le altre leggi. La luna significa
negromanzia e inganno a causa della corruzione del moto lunare, ma ciò non durerà molto, poiché la luna
muta spesso.
CAPITOLO 30: LA SUPREMAZIA DELLA FEDE CRISTIANA
Presenta le problematiche più difficili.
Dice che Albumasar nel Libro delle Congiunzioni individua le principali sette di questo mondo. È quella di
Cristo è quella principale che confrontata con le altre risulta chiaro come per le sue nobili condizioni è
migliore delle altre che sono frutto di invenzioni umane (chiaro dall’ultima legge che non ha verità). Nella
legge di venere abbonda il piacere, ma la filosofia esclude il peccato dalla sua legge, inoltre la legge degli
egizi e dei caldei insegnano solo a preoccuparsi della creatura e anche ciò è escluso dalla filosofia, solo a Dio
va il culto. La setta dei giudei è quella che si allontana di meno, ma comunque non va bene perché il suo
fondatore non è figlio della vergine come nella legge cristiana.
I filosofi studiano sia le leggi religiose in generali, che il momento del loro avvento e della loro fine.
CAPITOLO 31:LE CONGIUNZIONI MAGGIORI
Scrive come storicamente si sono sviluppate le varie congiunzioni. Dice che i filosofi indagano le sette sulla
base delle congiunzioni dei pianeti e delle rivoluzioni dei loro moti. Albumasar nel “Le grandi congiunzioni”
dice che sono tre le congiunzioni tra Saturno e Giove, quella grande, per cui si congiungono ogni venti anni
in qualsiasi segno, infatti Giove conclude il suo percorso in dodici anni, saturno in trenta e quindi dopo venti
anni si congiungono nel nono segno, dopo venti nel quinto e poi nel primo e qui si dice nascano i profeti.
Quella maggiore dopo che si sono congiunti tanto nella precedente triplicità così da mutare in un’altra e ciò
accade ogni 240 anni e si hanno trasformazioni politiche naturali. Quella massima si verificò nel 24esimo
anno di Augusto e preannuncia la futura legge mercuriale che se ne parla nel de vetula.
CAPITOLO 32: LA FINE DELLA RELIGIONE DI MAOMETTO
Spiega come si realizza la religione di Maometto.
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Secondo Bacone un autore arabo preannuncia che la religione di Maometto sarà sconfitta da quella
cristiana (propaganda politica) 665 corrisponde al 1297 secondo il calendario di Giustino (di Bacone). Il
numero della bestia è associato alla distruzione del mondo e secondo il calendario arabo siamo vicino al
666 e le stelle possono presagire l’arrivo della distruzione della religione dei Saraceni a causa dei tartari e
dei cristiani.
All’atto pratico questa riforma pensata da Bacone non va a causa della morte di Clemente IV, un anno dopo
aver ricevuto i testi di Bacone.
Obiettivo polemico di Bacone: gli insegnamenti all’università di Parigi stanno distruggendo la fede cristiana.
Nella seconda metà del XII secolo accade che la facoltà delle arti stava
diventando prettamente filosofica, staccandosi dalla facoltà di teologia. La
figura del filosofo diviene quello che procede secondo la sola ragione senza
collegamento ai principi della fede cristiana. L’intellettuale è il filosofo, non
più il teologo.
La grossa critica di Bacone va nella direzione di trovare un legame tra il
contesto delle scienze e della teologia. L’astrologia serve per affermare la
fede cristiana.
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