Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
Capitolo I
Introduzione alla Psicologia1
Che cos’è la
Psicologia?
La psicologia, comunemente definita “la scienza del pensiero e dell’azione umana”,2
studia il comportamento umano e cerca di comprendere ed interpretare i processi
mentali, affettivi e relazionali che lo determinano con lo scopo di promuovere il
miglioramento della qualità della vita. I suoi oggetti di studio e di approfondimento
sono, per citarne alcuni, “la memoria, l’intelligenza, l’apprendimento, la comunicazione,
le emozioni, l’affettività, la motivazione, la frustrazione, l’aggressività, il conflitto;
ed ancora la personalità, le relazioni, le forme organizzative ed i gruppi”.3
Ripercorriamo brevemente le origini della psicologia. Il tedesco Hermann
Ebbinghaus (1850-1909), precursore degli studi sperimentali sulla memoria,
descrive in maniera chiara la condizione della psicologia in una sua celebre
citazione: “la psicologia ha un lungo passato, ma solo una storia breve” (1885), nel
senso che la sua storia come scienza autonoma ha poco più di un secolo, mentre
quella dell’uomo, sull’interrogarsi ed esprimersi sul comportamento umano, è
vecchia quanto la storia stessa!
La nascita della L’uomo, infatti, si è sempre interrogato sulla natura umana, ha sempre sentito il
Psicologia
bisogno di conoscere se stesso e gli altri, le cause di un determinato comportamento, e
via discorrendo. Pertanto, molto in generale, possiamo affermare che oggi gli
psicologi si pongono le stesse domande sulla natura umana che i filosofi già si
ponevano molti secoli prima.
Etimologicamente, il termine “psicologia” deriva da due parole greche: psyché
(!"#$), che significa spirito, anima, e logos (%&'()), che significa discorso, studio;
letteralmente, la psicologia è intesa come lo studio dell’anima. Tradizionalmente si
attribuisce il conio del termine “psicologia” al teologo riformatore tedesco Filippo
Melantone nel XVI secolo, mentre il primo testo in cui esso compare è un’opera
del filosofo Rodolfo Goclenio, Psychologia, hoc est de hominis perfectione (1597).
È solo nel primo Settecento che la parola entra pienamente nell’uso dotto e
scientifico, quando un filosofo razionalista allievo di Leibniz, Christian Wolff,
designa con essa una delle quattro parti in cui la metafisica andava suddivisa,
insieme a ontologia, cosmologia e teologia.
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"
2
!A cura di Manzo Raffaella e Coppola Angela.!
Darley John M., Glucksberg Sam, Kinchla Ronald A., Psicologia vol. 1: Sensazione e Percezione. Apprendimento e Processi
Cognitivi. Motivazione ed Emozione. Il Mulino, Bologna, 1993, p. 13.
3
Ibidem, p. 13.
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Raffaella Manzo
C’è da dire che, ben prima che la psicologia venisse riconosciuta come scienza
autonoma, molte culture avevano sviluppato una vasta tradizione di sapere
psicologico basato sull’osservazione della condotta umana, sull’introspezione e
sulla riflessione. È nella cultura greca antica, presso la quale esisteva un interesse
spiccato per ciò che oggi possiamo a ragione definire “mondo psichico”, che
possiamo rintracciare le origini della ricerca psicologica. Sono due i filoni che
confluiranno nel sapere psicologico occidentale: quello filosofico e quello medico.
Giova sottolineare che in quasi tutte le civiltà antiche non è chiaro il rapporto tra
sistema nervoso e attività psichica; oppure, detto in altri termini, tra anima e corpo.
Quando all’attività psichica viene attribuita una sede somatica, di solito essa è
posta nel cuore: ciò è vero per la scienza egiziana, ma anche per l’antica scienza
cinese o per il pensiero ebraico.
Anche per i greci, salvo poche eccezioni, è il cuore la sede della vita psichica.
Pitagora (ca. 570-489 a.C.) distingue tre facoltà psichiche: intelligenza, passione
(comuni all’uomo e agli animali) e ragione (specifica dell’uomo), collocando le
prime due nel cervello e la terza nel cuore. Il presocratico Alcmeone di Crotone,
invece, è l’unico a considerare il cervello la vera sede delle facoltà psichiche,
mentre con Empedocle di Agrigento (ca. 492-432 a.C.) comincia ad affacciarsi la
possibilità che il principio guida delle attività psichiche sia nel sangue, che irrora
tutto il corpo (concezione ripresa poi da Aristotele).
Le speculazioni di Platone (ca. 428-348 a.C.) spostano l’attenzione sull’elemento
più propriamente psichico, che comprende anche il mondo pulsionale ed emotivo,
oltre alla funzione cognitiva. Per il filosofo ateniese, mentre il corpo, attraverso i
sensi, rimane in una conoscenza incerta e particolare, l’anima è capace di ottenere
conoscenze universali attinte al mondo delle idee, alle quali essa è affine. Per
Aristotele (384-322 a.C.) l’essere vivente è un organismo integrato e l’anima non è
scindibile dal corpo. Nel suo trattato De anima, lo stagirita identifica diverse
facoltà dell’anima, corrispondenti alle varie attività dell’organismo: vegetativa,
grazie alla quale l’organismo cresce e si riproduce; sensitiva, attraverso cui
acquisisce stimoli dall’ambiente; intellettiva, che permette il pensiero e la volontà.
È importante fare riferimento alla teoria aristotelica della sensazione, che è alla
base del moderno modo di descrivere i processi sensoriali: la sensazione è un
effetto esercitato dagli oggetti sensibili esterni che provocano un’alterazione degli
organi di senso. Mentre Platone considerava l’attività intellettiva un contatto con un
mondo ideale totalmente separato da quello dei corpi, per Aristotele essa è
un’elaborazione del materiale recepito dai sensi.
Anche il sapere medico nell’antica Grecia manifesta un’attenzione spiccata per i
fenomeni psichici. Ippocrate di Cos (ca. 460-377 a.C.) si ritiene sia stato colui che
ha fondato una scienza medica naturalistica (emancipata, dunque, da istanze
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Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
magico-religiose) e costruita sull’esperienza. Ippocrate era soprattutto un filosofo,
iniziatore di una vera e propria scienza dell’uomo, nella quale confluiscono
osservazioni fisiologiche, ma anche psicologiche e sociologiche. Esemplare è, in
questo senso, il suo trattato Sulle epidemie, nel quale afferma che il medico è tenuto
a studiare le abitudini, i costumi, lo stile di vita dei suoi pazienti, ma anche “i
discorsi, i silenzi, i pensieri, il sonno, l’insonnia, i sogni, i gesti involontari...”.
Oltre che per queste considerazioni indiscutibilmente moderne, Ippocrate è noto
soprattutto per la sua dottrina caratterologica. Esistono quattro umori, corrispondenti
ai quattro elementi indicati da Empedocle: il sangue, corrispondente all’aria; la bile
nera (la terra); la bile gialla (il fuoco); il flegma (l’acqua). A seconda che prevalga
l’uno o l’altro di questi umori, la persona sviluppa un certo temperamento, che sarà,
rispettivamente, sanguigno, melanconico, collerico o flemmatico. La descrizione
dei tipi temperamentali di stampo ippocratico si è mantenuta fino a oggi ed è stata
ripresa in tempi più recenti da Pavlov e da Eysenck. Uno dei compiti del medico è,
secondo Ippocrate, infondere speranza e fortificare la volontà del paziente, risultato
perseguibile se egli ne conosce la particolare situazione e affronta ciascun caso in
modo personalizzato. La cultura greca sembra esprimere, così, un sapere psicologico
che mira al benessere dell’individuo, secondo una visione attualissima che mette in
stretta relazione corpo, psiche e ambiente.
I filosofi greci posero dunque interrogativi che sono ancora oggi alla base della
ricerca in psicologia; è solo a partire dal Rinascimento, però, e soprattutto dal
Seicento, che inizia un confronto vero su questi argomenti e si fa strada una vera e
propria opera di abbattimento delle barriere che il Cristianesimo aveva posto nel
Medioevo intorno allo studio dell’uomo.
Il dualismo di Cartesio (1596-1650) rappresenta un punto di riferimento
fondamentale per la concezione moderna dei rapporti tra mente e corpo, nonostante
le sue ambiguità e contraddizioni. Sono due gli aspetti del pensiero cartesiano che
prendiamo in considerazione. Innanzitutto la distinzione tra res cogitans e res
extensa, ovvero tra il mondo immateriale del pensiero, l’anima pensante, e il corpo
inteso come macchina, in cui regnano leggi puramente meccaniche. L’essere
umano è il luogo in cui si incontrano questi due tipi di sostanza: per un verso esso
è, dunque, un essere intelligente e dotato di libera volontà, per l’altro un organismo
governato da leggi meccaniche. L’importanza di questa concezione è enorme
poiché permette di spazzare finalmente via tutte le ipoteche metafisiche legate allo
studio del corpo umano e di dare un enorme impulso alla ricerca anatomica e
fisiologica: se, infatti, bisogna fare i conti con problemi di natura religiosa, essi
sono relativi alla res extensa e non alla res cogitans. Il secondo aspetto che merita
attenzione è quello della dottrina delle idee innate. La mente, essendo di natura
immateriale, non può contenere altro che idee, le quali corrispondono alle cose;
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Raffaella Manzo
alcune di esse derivano dall’esperienza, altre sono innate (come l’idea di Dio o
quella di sé). Questa concezione della mente in termini rappresentazionali e
innatistici verrà ripresa dal cognitivismo e dalla linguistica contemporanea
(Chomsky, 1966). Vale la pena fare un breve cenno all’ultima opera di Cartesio, Le
passioni dell’anima (1649), nella quale viene affrontato il tema dei moti affettivi,
inquadrati su una base fisiologica e considerati a metà tra lo psichico e il corporeo.
Al filone filosofico che prende origine dalle speculazioni di Cartesio (definito
“razionalista”) si contrappone il cosiddetto empirismo. John Locke (1632-1704),
George Berkeley (1685-1753) e David Hume (1711-1776) sono i principali
esponenti di questo movimento; per loro ogni conoscenza deriva dall’esperienza,
non esistono, dunque, idee innate, nessun pensiero può essere fatto risalire a
qualcosa di precedentemente sentito. Secondo Hume, se parliamo di passioni (la
pulsione sessuale, l’amor proprio, il risentimento), si può a ragione dire che esse
sono legate alla costituzione originaria della mente umana, e quindi si può definirle
innate; se però per “idee” si intendono i pensieri, allora esse sono determinate
unicamente da fattori ambientali: la mente è, in origine, una tabula rasa (John Locke).
Immanuel Kant (1724-1804), con il suo idealismo trascendentale, mette fine
alle controversie tra razionalisti ed empiristi: il mondo ci appare in un certo modo
in virtù della struttura del nostro intelletto; le cause di tali apparenze, o fenomeni,
sono le cose in sé, che però sono indipendenti dal nostro modo di conoscerle.
Riguardo alla possibilità della psicologia come scienza, Kant è scettico: per il soggetto
non è possibile conoscere il soggetto stesso; il senso interno non può separarsi dal
proprio oggetto e, di conseguenza, non può giovarsi di formule matematiche e
geometriche, come le scienze fisiche. Per Kant la psicologia è possibile solo come
antropologia descrittiva. La critica kantiana si rivelerà paradossalmente, come
vedremo, un vero e proprio incentivo allo sviluppo della psicologia.
Il filosofo Johann Friedrich Herbart (1776-1841), successore di Kant alla
cattedra di Königsberg, è il primo ad affermare che la psicologia è scienza
autonoma e, come tale, non subordinata né alla filosofia né alla fisiologia. Scienza,
però, metafisica e non sperimentale, che va fondata sull’esperienza e la matematica.
Pare che Herbart abbia anche teorizzato, in maniera rudimentale e circa settant’anni
prima di Freud (che conosceva bene l’opera herbartiana), il concetto di inconscio.
È opportuno a questo punto sottolineare l’importanza determinante che gli
apporti di altre discipline scientifiche hanno avuto nel contribuire alla nascita della
psicologia come disciplina autonoma. Alle origini di essa, infatti, non vi sono stati
solo contributi di origine filosofica, ma anche, solo per fare alcuni esempi,
contributi provenienti dall’astronomia, dalla biologia e dalla fisiologia.
Il contributo fondamentale della biologia alla nascita formale della psicologia
avviene attraverso la teoria evoluzionistica, con l’inizio della misurazione delle
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Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
Wundt e lo
strutturalismo
abilità mentali e l’introduzione del concetto di adattamento. L’applicazione delle
teorie di Charles Darwin (1809-1882) alla ricerca psicologica implicava che non
solo i caratteri somatici, ma anche le caratteristiche mentali fossero il risultato di un
processo di evoluzione biologica e di adattamento all’ambiente. Un contributo
diretto alla psicologia proviene, inoltre, dall’opera L’espressione delle emozioni
nell’uomo e negli animali, che Darwin pubblica nel 1872. In essa viene presentato
uno studio sperimentale sui movimenti facciali e sulla loro ricezione da parte
dell’osservatore, identificando un grosso numero di emozioni come riflessi istintivi
e avanzi evolutivi di attività che un tempo servivano alla sopravvivenza.
Un impulso decisivo allo sviluppo della misurazione e quantificazione dei dati
in psicologia viene dallo studio dei meccanismi sensoriali, con la fondazione della
psicofisica. Gustav Theodor Fechner (1801-1887) teorizza che spirito e materia non
sono altro che due facce di una stessa medaglia, due modi di osservazione diversi
della stessa realtà, ed è possibile stabilire attraverso una precisa relazione matematica
(legge di Fechner) la relazione che esiste tra questi due aspetti di un’unica realtà.
Appena qualche anno prima, Ernst Heinrich Weber (1795-1878), fisiologo a Lipsia,
conduceva ricerche che riguardavano la capacità dell’uomo di distinguere l’intensità di
due stimoli sensoriali; dai suoi studi emergeva che la sensazione (psichica) avvertita dal
soggetto e lo stimolo (fisico) somministrato sono inversamente proporzionali.
Sono stati soprattutto gli apporti della fisiologia a determinare la nascita della
psicologia come disciplina autonoma. Il fisiologo tedesco Johannes Müller (18011858) ideò la teoria delle energie specifiche dei nervi, secondo la quale i nervi non
sono conduttori neutrali che trasferiscono lo stimolo senza elaborarlo; piuttosto
ciascun nervo, in base alle proprie caratteristiche, veicola selettivamente le
informazioni e determina la qualità dell’esperienza sensoriale. L’esempio classico è
quello della sensazione visiva che si ricava dalla stimolazione tattile del nervo
visivo. Tale principio permette finalmente di distinguere tra rappresentazione e
cosa rappresentata, tra caratteristica dello stimolo e percezione; l’importanza che
esso riveste nella fondazione della nuova scienza psicologica sta nella liberazione
definitiva da ogni residuo metafisico nello studio della percezione: non vi è più
confusione tra soggetto che percepisce e cosa percepita. Hermann von Helmoltz
(1821-1894) estese la specificità funzionale dei nervi, teorizzata da Müller, anche
alle fibre componenti; per esempio, nell’apparato visivo esisterebbero recettori
retinici di tre tipi, sensibili a tre diversi colori fondamentali, la cui combinazione
darebbe luogo a tutti gli altri. Lo stesso vale per le fibre coinvolte nella percezione
acustica, ciascuna delle quali sarebbe sensibile a un’altezza sonora diversa.
La psicologia si costituisce formalmente come disciplina autonoma nel 1879,
quando Wilhelm Wundt (1832-1920) inaugura il suo laboratorio di Lipsia,
raccogliendo i frutti di un processo lento e graduale iniziato più di due millenni
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Raffaella Manzo
James e il
funzionalismo
prima. Si tratta del primo laboratorio di psicologia sperimentale ufficialmente
dentro un’università, nel quale lo psicologo tedesco porta avanti i suoi studi sui
processi sensoriali (visivi ed uditivi), un passo importante perché per la prima volta
alcuni processi mentali vengono sottoposti al vaglio di metodi sperimentali,
segnando una rottura rispetto al metodo filosofico di analisi della mente.
Wundt è stato indicato come il fondatore della psicologia scientifica, anche se
lui preferiva la definizione di psicologia fisiologica: fisiologica sia perché faceva
suo il metodo naturalistico della fisiologia, sia perché studiava l’attività psichica
nella normalità, non nella patologia. La sua aspirazione era quella di studiare gli
elementi della mente mediante una disciplina descrittiva, sistematica e atomistica,
nota come strutturalismo.
Lo strutturalismo si focalizzava sullo studio degli elementi fondamentali che
costituiscono la base di percezione, coscienza, emozioni e altri tipi di attività e stati
mentali; i fatti psichici vengono considerati come la somma di elementi semplici
che li compongono. Lo studioso sosteneva che l’oggetto della psicologia fosse lo
studio dell’esperienza diretta e immediata, ossia “il contenuto di coscienza” che il
soggetto aveva riguardo alla sua attività mentale conscia. Wundt e gli strutturalisti
utilizzavano come metodo d’indagine l’introspezione, vale a dire l’analisi degli
stati emozionali e dei processi mentali del soggetto, concentrandosi soprattutto
sulle esperienze interne della coscienza, ossia sulle sensazioni, sui sentimenti e sui
pensieri. Per tale motivo, fino al 1920, la psicologia veniva definita “la scienza
della vita mentale”.
Contemporaneamente al laboratorio di Wundt, William James (1842-1910), psicologo
e filosofo statunitense, allestì il suo laboratorio a Cambridge (Massachusetts), fondato
sul funzionalismo in aperto contrasto con i presupposti dello strutturalismo. Il nome
funzionalismo fu dato dalla scuola avversaria, nella fattispecie da Edward B.
Titchener (1867-1927), che in un articolo affermava che ci sono due modi di fare
psicologia: uno è quello di studiare la struttura della mente, vale a dire i contenuti
mentali che possono essere evocati mediante il processo dell’introspezione; l’altro
quello di studiare le funzioni della mente. A suo avviso, la psicologia seria era
quella che studiava la struttura e lasciava agli altri lo studio delle funzioni che
considerava sfuggente!
William James, fondatore del movimento funzionalista con i suoi Principi della
psicologia del 1890, ritiene che la coscienza sia caratterizzata da una successione
ininterrotta di esperienze (il cosiddetto flusso di coscienza) in cui gli elementi
precedenti si trasmutano in quelli successivi senza soluzione di continuità. Il
funzionalismo è fortemente influenzato dall’opera di Darwin e condivide, infatti,
l’assunto evoluzionistico secondo il quale i fenomeni psichici si sarebbero sviluppati
in quanto capaci di produrre un miglior adattamento dell’individuo all’ambiente.
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Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
La psicologia
della Gestalt
James rivendica la fondamentale caratteristica adattativa della mente, intesa come
strumento per prefigurare e raggiungere scopi futuri, introducendo quindi l’idea che
la psicologia non debba solo interessarsi di descrivere o riconoscere in qualche
modo l’esatto contenuto della mente, ma soprattutto rivolgersi alle funzioni del
pensiero. Insomma, secondo James, la psicologia dovrebbe essere capace di dare
una risposta al seguente interrogativo: in che modo il pensiero permette agli esseri
umani di far fronte alle sfide dell’esistenza?
Il funzionalismo studia, perciò, soprattutto i processi mentali con un chiaro
ruolo adattativo, quali l’apprendimento, il pensiero e la motivazione, e prende in
attenta considerazione le differenze individuali che si manifestano al riguardo;
inoltre si interessa alle possibilità applicative della psicologia, soprattutto nel
campo dell’educazione. Nell’ambito del funzionalismo è possibile individuare
l’impiego di varie procedure di ricerca, tanto che si parla al riguardo di un certo
eclettismo metodologico; i funzionalisti, pur promuovendo l’indagine sperimentale
e osservativa, non trascurano le analisi filosofiche, promuovono un atteggiamento
di tipo fenomenologico (metodologia cara, come vedremo, alla psicologia della
forma) volto alla descrizione dell’esperienza immediata del soggetto. All’orientamento
funzionalista vengono generalmente ricondotti psicologi americani che si sono
interessati di dinamiche sociali (G.H. Mead), di costruzione di test (J.M. Cattell) e
soprattutto di apprendimento (E.L. Thorndike e R.S. Woodworth). In Europa il
funzionalismo si è diffuso grazie a Edouard Claparède (1973-1940), e alcune sue
istanze sono state successivamente fatte proprie da Jean Piaget.
Un’altra importante alternativa allo strutturalismo è lo sviluppo della psicologia
della Gestalt, avvenuto all’inizio del Novecento in Europa, una corrente di ricerca
psicologica che è possibile definire fenomenologica. Espressione di tale corrente è
la Gestalttheorie (teoria della forma) o Gestaltpsicologie (psicologia della forma),
detta sinteticamente anche Gestalt, che si sviluppa a partire dal 1912 e annovera tra
i suoi maggiori esponenti Wertheimer (1880-1943), Köhler (1886-1943), Koffka
(1887-1967) e Lewin (1890-1947).
Per la Gestalt ciò che deve essere preso in considerazione direttamente e con
privilegio sono i fatti così come ci vengono forniti dai nostri organi di senso, un
atteggiamento che si pone esattamente agli antipodi dell’introspezionismo: un
gestaltista osserva il reale e accetta l’esperienza in maniera diretta, attribuendole
quel valore che manifestamente ci presenta; un’introspezione sta invece al di là
degli oggetti che popolano il nostro mondo, cerca di scoprire sensazioni elementari
attraverso un’impostazione che per necessità mira a distruggere l’oggetto come
entità organizzata.
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Raffaella Manzo
I gestaltisti non si sono occupati soltanto di psicologia della percezione, ma
anche dei processi di pensiero (Wertheimer,1959 e Duncker, 1965), della memoria
e dell’apprendimento (Wulf, 1922; Zeigarnick, 1927; von Restorff, 1933; Luchins,
1942 e Katona, 1940), della dinamica della personalità (Lewin, 1935; Birenbaum,
1930; Dembo, 1951; Karsten, 1928), della psicologia sociale (Lewin, 1931; Asch,
1952; Brown, 1936; Heider, 1958; Sherif e Sherif, 1969; Krech e Crutchfìeld,
1948), dell’espressività e della psicologia dell’arte (Arnheim, 1949; Metzger, 1962;
von Hornbostel, 1925), della psicologia genetica (Lewin, 1931; Koffka, 1928). Né
vanno dimenticati lavori riguardanti la psicologia animale (Köhler, 1918, 1921;
Hertz, 1926, 1928, 1929) e persino la patologia della personalità (Schulte, 1924).
Nell’ambito della psicologia del pensiero, la Gestalt ha prodotto alcune teorizzazioni
peculiari. Wolfgang Köhler (1887-1967), nel famoso libro sulle scimmie antropoidi
(1921), ha introdotto, come vedremo nel capitolo sull’apprendimento, il concetto di
insight, che indica un’improvvisa presa di coscienza, la capacità di risolvere un
problema sulla base della ristrutturazione cognitiva dei suoi elementi in modo del
tutto nuovo, improvviso, irreversibile. Max Wertheimer, a sua volta, introduce il
concetto di pensiero produttivo e il suo interesse è stato quello di trovare come si
raggiunge una soluzione ad una situazione problematica e quali sono i fattori che
giocano nel corso di una prestazione produttiva. Le sue esperienze fanno scoprire il
tipo di procedimento che porta alla soluzione della situazione problematica:
guardare al problema come a un tutto. Karl Duncker (1903-1940), come vedremo,
con i suoi studi sostiene che la ristrutturazione del campo cognitivo può essere
totale o parziale, ed introduce il concetto di fissità funzionale che ostacola la soluzione.
Tra i sostenitori della psicologia della Gestalt, da cui recepisce l’idea che la
nostra esperienza non è costituita da un insieme di elementi puntiformi che si
associano ma da percezioni strutturate di oggetti e/o reti di relazioni, e che solo in
questo campo di relazioni trovano il loro significato, troviamo Kurt Zadek Lewin
(1890-1947). Psicologo tedesco, pioniere della psicologia sociale, oltre ad essere
stato tra i primi ricercatori a studiare le dinamiche dei gruppi e lo sviluppo delle
organizzazioni, viene ricordato soprattutto per i concetti espressi nella “teoria di
campo”. Utilizzando il concetto fisico di campo di forze in cui ogni parte del campo
è influenzata dal tutto in cui la parte è inserita, Lewin trasporta l’impostazione
gestaltica (la quale ritiene che la percezione della realtà sia un tutto organizzato)
allo studio dell’individuo e alle sue relazioni con l’ambiente, con l’intento di
spiegare il comportamento di un individuo, andando a studiare le forze che
agiscono su di esso in quel determinato luogo e in quel determinato momento.
Secondo Lewin bisogna quindi definire il carattere della situazione in un momento
dato, definendo questa come campo psicologico o spazio vitale, inteso come la
rappresentazione psicologica della situazione ambientale in cui la persona vive e
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Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
La psicoanalisi
delle alternative che gli si pongono. Lo spazio vitale comprende la persona (P) e
l’ambiente psicologico (A); il comportamento è funzione della persona e del suo
ambiente: C = f (P, A).
La psicoanalisi è una scuola che si sviluppò nei primi decenni del 1900 ad opera di
Sigmund Freud, medico viennese che, insoddisfatto della prassi terapeutica con cui
venivano trattati alcuni pazienti che presentavano disturbi psichici non ben
identificabili con le malattie allora conosciute, e fuori dai circuiti accademici, si
dedicò alla cura dell’isteria e delle nevrosi. Freud, riprendendo l’idea di inconscio,
ovvero del lato irrazionale dell’attività psichica di cui non siamo coscienti, già
presente nella filosofia di Herbart, Leibniz, Schopenhauer, la utilizzò nel settore
delle malattie mentali.
Egli intuì che l’inconscio, o il mondo presente nella nostra psiche, si potesse
analizzare e che, riportato alla luce e reso il paziente cosciente di tale mondo, avrebbe
sicuramente giovato al paziente e fatto regredire i disturbi psichici. I metodi da lui
utilizzati furono l’interpretazione dei sogni e il metodo delle associazioni libere,
inventando in tal modo la psicoterapia ed esplorando così l’inconscio nel dialogo
paziente-terapeuta.
La psicologia moderna ha affrontato i tradizionali obiettivi di filosofia e
psicologia – studiare, analizzare e spiegare ciò che ha a che fare con la mente –
utilizzando diversi approcci a partire dall’introspezione psicoanalitica, per arrivare
al metodo computazionale e alla procedura simulativa di matrice cognitivista. In
mezzo si colloca il comportamentismo che fonda la psicologia unicamente sul
comportamento manifesto, vale a dire su quanto, del comportamento di una persona,
può essere osservato direttamente, rifiutando l’approccio soggettivista della
psicoanalisi freudiana. Secondo l’indirizzo comportamentista, la psicologia ha il
compito di misurare risposte a stimoli: l’attenzione è focalizzata su quanto avviene
all’esterno dell’individuo e sulle risposte dell’individuo alle sollecitazioni ambientali.
Ne consegue che l’esperienza assume un ruolo centrale, dato che tutte le conoscenze
derivano da essa e l’individuo è visto come il prodotto delle sue esperienze.
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Raffaella Manzo
Il comportamentismo
e la riflessologia russa
Il comportamentismo nasce ufficialmente nel 1913 con la pubblicazione da
parte di John Broadus Watson (1878-1958) di un articolo intitolato Psychology
as the Behaviorist Views It. Leggendo questo saggio, si comprende l’influenza
esercitata sul comportamentismo da parte della sperimentazione con gli
animali. Sulla scia dell’evoluzionismo di Darwin, il quale difende la tesi
secondo cui tra uomini e animali non vi è una differenza radicale, ci si
rende conto che è possibile fare ricerca psicologica anche con gli animali.
Questo fatto dà il grande vantaggio di poter studiare alcuni eventi in
organismi meno complessi dell’uomo. Watson sottolinea che la vera
psicologia degli animali, al pari di tutta la psicologia, deve avere come
principale oggetto di studio il comportamento osservabile. Egli nega la
rilevanza della coscienza nello studio della psicologia; suo vero bersaglio è
il metodo introspettivo che, dal suo punto di vista, è non scientifico per due
motivi. In primo luogo perché nel metodo introspettivo, osservatore e
osservato si identificano e questo non dà alcuna garanzia d’oggettività; in
secondo luogo perché i dati introspettivi, diversamente dai dati provenienti
dalle scienze naturali, sono privati ed intimi, di conseguenza non sono
verificabili e controllabili empiricamente. Tutto ciò porta a descrizioni
ancora una volta non oggettive e scientifiche, perché è noto che una delle
principali caratteristiche della scienza è l’oggettività e la verificabilità
empirica dei suoi assunti. Si comprende, quindi, che differentemente dallo
studio della coscienza per mezzo del metodo introspettivo, lo studio del
comportamento permette di servirsi di metodi oggettivi e scientifici,
perché suscettibili di un immediato controllo nella verifica del consenso
intersoggettivo.
Intanto, in Russia stavano nascendo altre scuole, più interessate ai
riflessi; si fa riferimento a queste scuole come riflessologia russa. Tra la
fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, Ivan Petrovic Pavlov (18491936), insegnante all’accademia militare di Pietroburgo, si dedicava a
ricerche sui riflessi nervosi. Il “condizionamento classico” o “condizionamento
rispondente”, come approfondiremo nel capitolo sull’apprendimento, fu
elaborato attraverso sperimentazioni con cani. In breve, il ricercatore russo
si accorse che questi animali presentavano un aumento di salivazione senza
la presenza di cibo, quando si creavano delle condizioni tipiche che
anticipavano l’arrivo del nutrimento. Egli provò quindi a definire una
situazione di laboratorio per studiare tale fenomeno. Quando ad un cane
viene presentato del cibo, questi ha un riflesso automatico di aumento della
salivazione; il cibo viene definito “stimolo incondizionato” in quanto è in
grado di provocare una risposta automatica ovvero un “riflesso (o reazione)
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Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
Il condizionamento
operante
incondizionato”. Nella sperimentazione di Pavlov, ai cani veniva presentato
uno stimolo neutro artificiale (ad esempio un campanello oppure una luce),
ovvero uno stimolo non in grado di produrre di per sé un aumento della
salivazione. Successivamente alla presentazione di tale stimolo, veniva
presentato il cibo (stimolo incondizionato). Dopo un certo numero di
sequenze stimolo neutro-stimolo incondizionato (cibo) si verificò nei cani
un aumento di salivazione alla sola presentazione dello stimolo neutro. Tale
stimolo venne definito “stimolo condizionato” e la risposta da esso
provocata “riflesso condizionato” o “reazione condizionata”. Ben presto ci
si rese conto che il modello Stimolo-Risposta (S-R) di Pavlov non riusciva
a spiegare l’ampia gamma dell’apprendimento degli organismi, soprattutto
non includeva il ruolo attivo dell’essere vivente sull’ambiente circostante.
Ogni comportamento produce un effetto; l’effetto prodotto, a sua volta, è in
grado di produrre delle conseguenze sull’individuo.
L’effetto del comportamento sull’ambiente è stato studiato per primo da
Edward L. Thorndike (1874-1949) che definì una nota situazione sperimentale:
un gatto veniva chiuso in una gabbia dotata di un meccanismo (un
chiavistello) che ne permetteva l’apertura. Il gatto veniva posto in una
situazione di problem solving: quando l’animale riusciva, per tentativi ed
errori, a risolvere il problema “uscire dalla gabbia”, si notò un incremento
delle azioni finalizzate e una riduzione esponenziale delle attività inutili
allo scopo. Questo tipo di apprendimento venne definito “strumentale” in
quanto il comportamento dell’animale poteva essere considerato strumentale
alla risoluzione del problema e alla ricerca di una ricompensa. Si ipotizzarono,
quindi, due leggi legate all’apprendimento, la legge dell’effetto e la legge
dell’esercizio: per la prima l’organismo tendeva a ripetere i comportamenti
che producevano effetti benefici e ad abbandonare quelli inutili o che
arrecavano effetti deleteri; per la seconda una risposta era più probabilmente
ripetibile nella misura in cui essa fosse stata ripetuta. Una lettura integrata
delle due leggi permetteva di prevedere, ad esempio, che comportamenti in
grado di produrre maggiori risposte benefiche avessero una maggiore
probabilità di essere appresi.
Gli studi di Thorndike hanno permesso a Burrhus Frederic Skinner (19041990) di sviluppare il modello del condizionamento operante. Nel capitolo
dedicato all’apprendimento vedremo che una risposta può essere attivata
senza la necessità di uno stimolo, in quanto essa diviene subordinata alla
possibilità di una ricompensa (o rinforzo oppure rinforzatore) in grado di
sollecitare un comportamento volontario acquisito in seguito ad un rinforzo.
21
Raffaella Manzo
Il cognitivismo L’assunto comportamentista, secondo cui all’interno della mente umana non
ci sarebbero processi di elaborazione tra lo stimolo ambientale e la risposta
dell’individuo, ha lasciato aperto il problema della spiegazione di cosa succede fra
la presentazione di uno stimolo e l’emissione di una risposta.
Un tentativo di riposta a questo quesito viene dal cognitivismo che si pone il
compito di studiare le trasformazioni subite dall’informazione nel passaggio fra
stimolo e risposta. Secondo questo indirizzo, la mente umana funziona come
un’elaboratrice attiva delle informazioni che le arrivano dagli organi sensoriali: la
conoscenza non deriva semplicemente dall’esperienza, bensì dall’azione attiva del
soggetto conoscente, che interagisce con l’ambiente circostante. A differenza di
quella comportamentista, la prospettiva cognitivista ritiene che il soggetto non si
limiti a recepire passivamente le sollecitazioni ambientali, ma verifichi continuamente
la congruenza fra il proprio progetto comportamentale e le condizioni oggettive
esistenti. Ne consegue che, per i cognitivisti, l’organismo umano è un sistema
complesso che elabora l’informazione sensoriale, l’esperienza, compiendo scelte
tra gli stimoli in entrata, trasformando i dati selezionati e immagazzinandoli in
modo rapido ed efficace, al fine di raggiungere decisioni che sono frutto di questa
elaborazione e che non sono predeterminate in partenza dal semplice stimolo
sensoriale, come voleva, invece, il modello comportamentista. In definitiva, il
cognitivismo si muove nella direzione di riconoscere sì un valore all’esperienza,
ma a condizione di comprendere la natura attiva dei processi di apprendimento, che
diventano il nucleo centrale di una nuova teorizzazione psicologica.
La nascita ufficiale della corrente cognitivista viene fatta risalire negli anni
Sessanta, frutto della convergenza di indagini teoriche e sperimentali svolte in
ambiti disciplinari diversi: la psicologia sperimentale, la teoria dell’informazione e
e. Ne
Nel 1967 Neisser formalizzerà i
la cibernetica, la linguistica, le neuroscienze.
principi del nuovo modello psicologico e darà vita al paradigma dello Human
Information Processing (HIP). La psicologia cognitiva non si occupa più di
comportamenti e neppure di contenuti o vissuti, ma di processi; i processi di
elaborazione delle informazioni, compiuti dai soggetti, vengono studiati soprattutto
attraverso i tempi di reazione ed esecuzione di vari compiti. Prende corpo in modo
sempre più decisivo la metafora dell’uomo come calcolatore (cervello e mente
come hardware e software). Neisser ipotizza che esistano diversi stadi di elaborazione
dell’informazione.
La produzione cognitivistica degli anni Sessanta e Settanta sui vari processi
cognitivi, concepiti come unità di elaborazione dell’informazione, fu ricchissima.
Nella seconda metà degli anni Settanta i principi teorici e i risultati del cognitivismo
furono sottoposti ad una revisione critica che sottolineò l’esigenza di una ricerca
attenta alle condizioni naturali in cui opera la mente umana (approccio ecologico) e
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Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
che non si limitasse a studiare i processi cognitivi in condizioni di laboratorio. Alla
fine di quegli anni si sviluppò l’orientamento della “scienza cognitiva”: uno studio
interdisciplinare dei processi cognitivi in un’ottica nella quale la simulazione al
calcolatore è una caratteristica fondamentale per comprendere la struttura e il
funzionamento di tali processi. La realizzazione sul calcolatore di programmi che
svolgano complessi compiti cognitivi, non necessariamente simili a quelli umani, è
un ramo fondamentale (intelligenza artificiale) della scienza cognitiva.
Un ulteriore orientamento di ricerca all’interno della scienza cognitiva è
rappresentato dal connessionismo, sviluppatosi negli anni Ottanta; un paradigma
teorico della scienza cognitiva che cerca modelli dell’architettura mentale nella
struttura e nel funzionamento del cervello.
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Raffaella Manzo
Per saperne di più…
Lo psicologo: attività ed ordinamento professionale,
aree di intervento, strumenti operativi.
La psicologia è un settore del sapere, un complesso di pratiche non unitario né omogeneo: esistono
teorie e pratiche diverse, spesso incommensurabili. In altre parole, non esiste una psicologia ma esistono
tante psicologie.
Gli studiosi di psicologia rivolgono i loro studi a settori specifici della psiche umana; alcuni si
occupano del comportamento, altri dell’apprendimento in età infantile, altri ancora studiano i cambiamenti
che si verificano nel corso della vita umana: l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta e la vecchiaia. Ci
sono psicologi che preferiscono studiare le interazioni tra persone e come questi scambi influenzano il
comportamento del singolo individuo o di un intero gruppo, altri indirizzano i loro studi verso
argomentazioni molto più vicine a quelle dei biologi e dei biochimici, dei sociologi o degli antropologi.
La ragione di questa varietà è che gli esseri umani sono creature sia biologiche sia sociali. Nella tabella
seguente sono riportate alcune delle principali aree della psicologia.
AREE
Neuroscienza
comportamentale
Psicologia clinica
Psicologia dello
sviluppo
Psicologia
dell’educazione
Psicologia generale
Psicologia del lavoro
Psicologia sociale
Psicologia della
salute
DESCRIZIONE
Esamina la base biologica del comportamento.
Si occupa dello studio, della diagnosi e del trattamento dei
disturbi psicologici.
Esamina come le persone crescono e cambiano dal momento
del loro concepimento fino alla morte.
Si occupa dei processi di insegnamento e apprendimento,
come la relazione tra intelligenza e risultati scolastici, e
dello sviluppo di tecniche di insegnamento migliori.
Studia i processi di recezione, percezione, apprendimento e
pensiero dell’uomo rispetto all’ambiente che lo circonda.
Si occupa “dei sentimenti delle persone, dei loro
atteggiamenti, delle condotte e dei processi cognitivi e
sociopsicologici che le attivano e sostengono in un dato
contesto organizzativo” (Chmiel, 1998).
Studia l’interazione tra individuo e gruppi.
Esamina la relazione tra fattori psichici e disturbi o
malattie fisiche.
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Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
Lo psicologo è lo specialista che si occupa della psiche umana, sul piano conoscitivo e operativo:
dalla promozione del benessere alla prevenzione del disagio psichico, fino alla diagnosi, al sostegno
psicologico e all’indirizzamento verso differenti professionisti. L’articolo 1 della Legge 18/2/1989 n. 56
– “Ordinamento della professione di psicologo” – recita:
La professione di Psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione,
la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona,
al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e
didattica in tale ambito.
Lo strumento principale con cui opera lo psicologo è il colloquio, ma può avvalersi anche di strumenti
di misurazione quali test, questionari e scale con caratteristiche di scientificità. Il colloquio, i test e la
ricerca psicologica possono trovare molteplici applicazioni ed avere come oggetto di osservazione un
individuo, un gruppo di persone o una comunità. Lo psicologo collabora, inoltre, con figure professionali,
quali il medico di base, il pediatra, lo psichiatra, il logopedista, ma anche con altri professionisti come
ad esempio il giudice, l’avvocato, l’insegnante, l’assistente sociale, l’educatore professionale, ecc.
Può rivolgersi allo psicologo chiunque avverta la necessità di una consulenza specialistica: dalla
persona in difficoltà alla famiglia che intende adottare un bambino, dal genitore che desidera migliori
relazioni con i figli agli operatori scolastici e sociali che richiedono consulenze e collaborazioni, dagli
imprenditori o aziende per affrontare problematiche relazionali e/o organizzative allo sportivo per la sua
preparazione psicologica. Questi sono solo alcuni esempi tra i tanti possibili.
Lo psicologo opera sia in studi privati (come libero professionista), sia nei servizi pubblici (ospedali,
consultori, servizi per l’infanzia e adolescenza, comunità terapeutiche, residenze per gli anziani, scuole,
tribunali, istituti di pena, istituti di ricerca, ecc.). Quindi, le competenze e gli strumenti offerti dalla
psicologia trovano applicazione in tutti i contesti della vita quotidiana nei quali ci si occupi del
benessere psicologico dell’individuo, del gruppo, della comunità, quali:
•
•
•
•
fasi del ciclo di vita (infanzia, adolescenza, genitorialità, terza età);
prevenzione e benessere (salute, stili di vita, dipendenze, ecc.);
sviluppo ed educazione (scuola, apprendimento, processi di formazione, ecc.);
lavoro ed organizzazione (selezione, valutazione, analisi organizzativa, interventi sui gruppi, ecc.) e
in numerosi altri ambiti come sport, giustizia, emergenze, turismo e traffico.
Ma come si diventa psicologo?
In Italia è necessario conseguire la laurea di secondo livello (quinquennale) in Psicologia, effettuare
un successivo anno di tirocinio, conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione mediante esame
di Stato, ed iscriversi alla sezione A dell’Albo professionale. La legge di riferimento per l’esercizio
della professione di psicologo in Italia prevede l’obbligo di iscrizione all’Ordine, che funge da garanzia
per il corretto comportamento deontologico del singolo iscritto all’albo professionale. Il dottore in
tecniche psicologiche, invece, ha conseguito la laurea triennale di primo livello in Scienze e Tecniche
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Raffaella Manzo
Psicologiche, ha effettuato un successivo tirocinio professionale di almeno 6 mesi e ha superato l’esame
di Stato che consente l’iscrizione alla sezione B dell’Albo. Egli può operare sotto la supervisione di uno
psicologo iscritto alla sezione A e le sue attività sono individuate dall’art. 1-quinques della Legge 11
luglio 2003, n. 170. A titolo esemplificativo il dottore in tecniche psicologiche:
• elabora dati per la sintesi psicodiagnostica prodotta dallo psicologo;
• collabora con lo psicologo nella costruzione, adattamento e standardizzazione di strumenti di
indagine psicologica.
Analizziamo ora le differenze tra psicologo e gli altri professionisti della mente.
Lo psicoterapeuta è uno psicologo, o un medico, specializzato nella terapia dei disturbi psichici. La
legge 56/89 sancisce all’articolo 3, comma 1, che
l’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da
acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in Psicologia e in Medicina e Chirurgia, mediante corsi di
specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia,
attivati ai sensi del DPR 10/03/1982, n. 162, presso Scuole di Specializzazione universitaria o presso
Istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all’art. 3 del citato DPR.
L’attività dello psicoterapeuta si caratterizza per offrire al paziente o cliente un percorso di cura per
affrontare le diverse forme di sofferenza psicologica, da quelle più lievi a quelle più gravi. La
psicoterapia, infatti, è un processo condiviso e strutturato che intende affrontare e ridurre i disagi, la
sofferenza psicologica, le disarmonie della personalità e delle relazioni, i sintomi psicopatologici,
analizzando e affrontando le motivazioni sottese. Lo psicologo-psicoterapeuta può svolgere attività di
psicoterapia individuale, di coppia, familiare e di gruppo, cercando di modificare in profondità l’equilibrio
del sistema psicologico ed i suoi meccanismi di funzionamento di base, e/o lavorando sulle dinamiche
di tipo relazionale dei soggetti. In caso di trattamento di particolare patologia grave e cronica, lo
psicologo-psicoterapeuta collabora spesso con altri professionisti nelle équipe multidisciplinari.
Lo psicoanalista, invece, è uno psicologo o un medico specializzato in Psicoanalisi, ovvero una
particolare forma di psicoterapia. Come per la psicoterapia, infatti, non esiste un solo tipo di
psicoanalisi ma diverse, in base all’orientamento della scuola. Le accomuna la dimensione inconscia
della mente e l’utilizzo di tecniche come la libera associazione e l’interpretazione dei sogni.
Lo psichiatra è un medico specializzato in Psichiatria e la specificità della sua formazione è
nell’essere medica, incentrata sulla genetica e sulla fisiopatologia dei disturbi psichici, ed è, quindi,
portato all’uso di medicamenti psicoattivi quale metodo di trattamento, anche su disturbi lievi. Spesso la
collaborazione con uno psicologo è consigliata. Negli stati di sofferenza gravi ed acuti, in cui è forte
l’azione biochimica, l’intervento psichiatrico è indispensabile, sebbene esso debba essere integrato con
il supporto psicologico ed assistenziale.
Il neurologo, infine, è un medico che si occupa delle disfunzioni del sistema nervoso sul versante
organico (epilessia, demenze, ecc.), intervenendo in modo farmacologico, chirurgico e riabilitativo.
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Lezioni di Psicologia Generale per le professioni sanitarie
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