La radiazione Laser: dalla fisica alle applicazioni cliniche

Ordine dei medici ed odontoiatri di Milano – Aggiornamento culturale
L’utilizzo del laser nelle varie branche odontoiatriche
Valutazioni tecniche e cliniche
Dott. Ercole Romagnoli
Presidente Accademia Internazionale Odontostomatologia Laser Assistita
AIOLA
La radiazione Laser: dalla fisica alle
applicazioni cliniche
Tra i vari incipit di una introduzione all’argomento
il più comune fa riferimento
all’acronimo laser, ossia “light amplification by stimulated emission of radiation”
(amplificazione della luce attraverso l’emissione stimolata di radiazione).
E’ decisamente una estrema ma efficace sintesi di un percorso storico scientifico e
tecnologico che ha portato alla invenzione di apparecchiature in grado di emettere energia
sotto forma di luce monocromatica (quindi caratterizzata da un’unica lunghezza d’onda),
coerente (i fotoni emessi sono in fase spazio temporale), collimata (ad alta direzionalità).
Un esempio classico e comune è fornito dal puntatore laser per videopresentazioni.
La luce è una radiazione elettromagnetica, rappresentata con il consueto modello grafico
della sinusoide, e caratterizzata fondamentalmente da lunghezza d’onda, misurata in
nanometri ossia in miliardesimi di metro e frequenza di oscillazione al secondo,
quantificata in Hertz.
Rappresentazione grafica di un’onda elettromagnetica
Viaggia alla velocità c di circa 300000Km al secondo, nel vuoto, con moto rettilineo, e
nell’incontrare la materia subisce fenomeni quali la riflessione, la rifrazione, la
trasmissione, la diffusione e l’assorbimento, quindi fenomeni di natura ottica e
fenomeni dovuti all’ energia trasportata dalla radiazione ed alle sue interazioni.
Nel primo caso, come all’incontro della luce solare con uno superficie speculare, i raggi
ritornano
nel mezzo dal quale provengono con un angolo pari a quello di incidenza.
Possono penetrare,subendo una deviazione dalla traiettoria di incidenza dovuta alla
differente densità del mezzo, e quindi al diverso indice di rifrazione. Un oggetto immerso
non completamente in un bicchiere d’acqua subisce una deformazione ottica che lo fa
apparire scomposto a livello dell’interfaccia aria-liquido.
Possono attraversare il mezzo senza subire alterazioni, e quindi essere trasmessi al di là
del mezzo : vetro, acqua
Possono subire una diffusione , e quindi deviare dal proprio cammino ottico, collidendo
con gli atomi o le molecole del mezzo . Il colore bianco delle nuvole è dovuto alla
diffusione non selettiva di tutte le lunghezze d’onda da parte delle microparticelle d’acqua.
Possono, infine essere assorbite selettivamente, trasferendo la loro energia all’atomo o alla
molecola con la quale interagiscono.
E’ il caso del colore: un corpo illuminato da luce solare (definita “bianca” perché
sommatoria di tutte le lunghezze d’onda e quindi di tutti i colori) appare rosso quando
assorbe ogni altra radiazione ad eccezione di quella avente la lunghezza d’onda
corrispondente al rosso, che verrà riflessa.
L’energia
Ma che cosa è l’energia? Sinteticamente si può definire come la capacità di compiere un
lavoro, ed esiste in varie forme, tra le quali ricordiamo, perché di interesse specifico ,
l’energia connessa alla radiazione elettromagnetica, l’energia chimica, l’energia termica.
Fin dagli albori della storia l’uomo ha cercato di sfruttare,contenere e dominare le forme di
energia con le quali veniva a contatto, tra le quali la luce solare.
Ricordiamo, agli estremi, gli specchi ustori che la tradizione vuole siano stati inventati da
Archimede a scopo militare per incendiare le navi nemiche, oppure le moderne celle
fotovoltaiche, uno dei cardini della strategia per ottenere energia pulita da fonti
rinnovabili.
La storia del laser riconosce molti attori, tra i quali possiamo ricordare Planck, che per
primo teorizzò , in antitesi con la teoria elettromagnetica classica, che gli scambi di energia
nei fenomeni di assorbimento ed emissione avvenissero in forma discontinua. A lui si deve
l’equazione che mette in relazione l’energia alla frequenza di oscillazione ( e quindi
indirettamente alla lunghezza d’onda) secondo una costante universale, e la teoria dei
quanti; l’assorbimento e l’emissione di energia avvengono per pacchetti discreti, finiti,
indivisibili : i quanti appunto.
A Rutherford, Schrodinger, Borg ed Eisenberg dobbiamo la definizione di un modello
atomico coerente con la teoria quantistica, mentre fu Einstein, nel 1916, a porre le basi
per l’”emissione stimolata”, ossia per il possibile intervento esterno su fenomeni come
l’emissione spontanea per ottenere l’amplificazione della luce . Utilizzò il termine “quanti di
luce” per identificare i pacchetti di energia connessi alla luce, più tardi definiti fotoni
(Lewis, 1926)
Stimolazione ed amplificazione
Quando un’ atomo viene investito da energia idonea e sufficiente, si assiste al fenomeno
dell’assorbimento,ossia al passaggio dallo stato fondamentale, a bassa energia, ad uno
stato eccitato, dovuto al passaggio di un elettrone da un orbitale ad un altro ad energia
maggiore.
Normalmente questa energia viene riemessa in modo spontaneo, e l’atomo ritorna allo
stato fondamentale emettendo una quanto di energia, un fotone,
pari alla differenza di
energia tra i due livelli considerati, e caratteristica per l’ elemento atomico coinvolto. La
spontaneità della emissione fa si che non vi sia un criterio temporale preciso, e quindi la
radiazione emessa da un sistema investito da energia sarà incoerente,
i fotoni emessi
non saranno in fase tra di loro ( coerenza spaziale e temporale significa , semplificando,
che tutti i fotoni sono “nello stesso punto nello stesso momento”)
Se si interviene dall’esterno fornendo fotoni aventi un’energia pari alla differenza di
energia tra i livelli considerati prima che avvenga l’emissione spontanea , l’atomo verrà
“stimolato” a decadere. I fotoni emessi saranno due, di pari energia, coerenti tra di loro,
ed aventi la stessa direzione di movimento: quello incidente e quello derivante dalla
stimolazione. Ecco spiegato il perché del termine “amplificazione”.
Il processo di emissione stimolata
L’invenzione del laser
Dovettero passare comunque diversi anni per arrivare all’invenzione del laser, attribuita ,
quantomeno come realizzazione pratica, a Thomas Μaiman, che nel 1960 costruì il primo
prototipo, utilizzando come mezzo attivo una barretta di rubino. Il “mezzo attivo” è
una delle tre costituenti fondamentali di un laser, ed è il materiale che fornisce gli atomi
da stimolare. Può essere solido, liquido o gassoso. Tra i laser allo stato solido vengono di
solito considerati anche i laser a diodo, che utilizzano la tecnologia dei semiconduttori.
La stimolazione avviene ad opera di una fonte energetica esterna , (seconda costituente
fondamentale), il cosiddetto “sistema di pompaggio”, all’interno di una cavità, detta
“cavità o risonatore ottico” (terza costituente fondamentale) , che permette con le sue
caratteristiche costruttive di arrivare alla selezione ed emissione della radiazione laser:
monocromatica, coerente, collimata. Saranno poi i vari mezzi di trasporto (fibra
ottica, fibra cava, braccio articolato) a convogliare sul bersaglio l’energia emessa, con
l’ausilio di manipoli e tips di diversa foggia e misura.
Tipi di laser
Dalla fisica alla clinica
Tra le varie forme nelle quali può essere convertita l’energia elettromagnetica sono di
interesse specifico l’energia termica e l’energia chimica.
Esempi della prima possono essere la possibilità di concentrare con una lente la luce solare
per accendere un fuoco od altro, l’evaporazione delle acque, il riscaldamento della sabbia
del deserto. Esempi della seconda sono la fotosintesi clorofilliana, il fenomeno della
melanogenesi nell’abbronzatura, la stessa visione è dovuta alla trasduzione di segnali
provenienti dalla conversione della luce che colpisce i recettori retinici.
Secondo alcune teorie della comunicazione
la risposta che si ottiene in uno scambio
dipende dalla qualità della comunicazione: se otteniamo la risposta voluta vuol dire che
abbiamo comunicato bene.
Possiamo considerare questa affermazione come una metafora dell’interazione tra un
operatore ed i tessuti sui quali opera, dove il laser diventa lo strumento di
“comunicazione” da gestire in modo ottimale per ottenere il risultato voluto.
Va ricordato che l’utilizzo del laser impone un cambiamento notevole della operatività
rispetto agli strumenti convenzionali. Si lavora con un raggio di luce, spesso non a
contatto e comunque l’azione a contatto , a sfioramento, non dipende dalla pressione
esercitata. La luce emessa si distribuisce su una superficie e successivamente in un
volume di tessuto in dipendenza dalla lunghezza d’onda utilizzata e dalle caratteristiche
ottiche del tessuto.
Diventa quindi indispensabile conoscere a fondo i meccanismi di interazione della
radiazione elettromagnetica con i tessuti bersaglio, per esser in grado di interagire e
modulare l’azione del laser al fine di ottenere i risultati voluti ed evitare danni.
Nel distretto craniofacciale in genere ed in bocca particolarmente esistono situazioni
anatomiche per cui, in pochi millimetri, incontriamo tessuti diversi che rispondono in modo
diverso alle varie lunghezze d’onda: mucosa, periostio,osso, legamento parodontale,
cemento, dentina, polpa, vasi e nervi.
Si passa quindi da una operatività guidata dalle percezioni tattili e visive, ad una in cui si
modula l’energia in base a parametri di spazio e tempo.
Come accennato
è l’assorbimento da parte dei tessuti il fattore indispensabile per
ottenere un effetto biologico, ed il colore ne è un esempio immediato.
Restando nel campo del visibile secondo il metodo RGB esistono tre colori fondamentali
(Rosso, Verde, Blu) detti primari additivi . Dalla combinazione di luce dei colori primari si
ottengo i colori secondari, ed ogni colore secondario è complementare ad un
primario, ossia lo assorbe mentre riflette gli altri due.
Una prima implicazione clinica consiste , ad esempio, nella scelta del cromoforo da
abbinare ad un gel per sbiancamento rapido alla poltrona, attivato con la luce, oppure
nella scelta del laser più idoneo per l’epilazione, o ancora del cromoforo da utilizzare in
terapia fotodinamica. I cromofori sono quindi gruppi di atomi o molecole in grado di
assorbire la radiazione elettromagnetica.
La monocromaticità della luce laser è alla base della sua selettività, ossia della capacità
di ogni lunghezza d’onda di interagire in misura determinante solo su alcuni cromofori.
I cromofori biologici
Tra i cromofori di
interesse, che ritroviamo nei tessuti biologici, i principali sono l’acqua,
l’emoglobina, l’idrossiapatite e la melanina per le lunghezze d’onda normalmente
utilizzate in odontoiatria.
Nel campo dell’ultravioletto i cromofori principali sono gli acidi nucleici, il DNA e le
proteine, giustificando così il potenziale effetto mutageno di queste lunghezze d’onda.
Clinicamente possiamo avere effetti dannosi, nocivi, oppure possiamo utilizzarli a scopo
terapeutico, nella cosiddetta PUVA, dove la P sta per “psoraleni”, furocumarine tricicliche
di derivazione naturale o sintetica, somministrate
fotochimico dovuto alla irradiazione con raggi
per os o topicamente. L’effetto
ultravioletti (fototerapia) porta alla
formazione di fotoprodotti in grado di inibire la sintesi del DNA . Sono utilizzate per la
cura della psoriasi, o della vitiligine.
L’analisi dello spettro di assorbimento da parte di queste sostanze nei confronti delle varie
lunghezze d’onda ci permette di apprezzare, conoscendo la composizione e lo stato del
tessuto sul quale vogliamo intervenire, quali potrebbero essere gli effetti della luce laser
che stiamo utilizzando, o di scegliere la lunghezza d’onda idonea.
Rappresentazione grafica dello spettro di assorbimento
dei principali cromofori
Il cromoforo è quindi il “bersaglio” della radiazione laser. E’ possibile fare una distinzione
tra “bersaglio” ed “obiettivo” , che non necessariamente coincidono. Se ricerchiamo un
effetto coagulante il nostro bersaglio sarà l’emoglobina, e la coagulazione sarà un effetto
indiretto dovuto alla diffusione termica ; se si vuole eliminare una macchia pigmentata,
avremo una azione diretta.
Modulabilità e parametrazione
Un’altra caratteristica della luce laser è la sua estrema modulabilità. Una volta scelta la
lunghezza d’onda, fondamentale nella determinazione degli effetti biologici, la gestione
secondo criteri di spazio e tempo della emissione da parte della attrezzatura usata è
possibile attraverso la modulazione di numerosi parametri
La Potenza è l’energia emessa nell’unità di tempo. Si misura in WATT, ( Simbolo W,
sottomultiplo mW) , corrisponde ad 1J/sec.
Il joule (simbolo J. Sottomultiplo mJ) è un' unità di misura dell’energia derivata del
Sistema Internazionale (SI).
L’energia si definisce comunemente come la capacità di compiere un lavoro . Un Joule
corrisponde
al lavoro richiesto per esercitare una forza di un newton per una distanza di
un metro , dove per forza si intende genericamente l’effetto sullo stato di quiete o di moto
dovuto alla interazione di due o più corpi
1 joule equivale a:
•
6,24150975·1018 eV
•
107 erg
•
1 W·s (Watt secondo)
•
1 N·m (Newton metro)
•
2,39·10-1 calorie
•
2,78·10-7 chilowattora (1 chilowattora equivale esattamente a 3 600 000 J)
Nei laser impulsati,
dove l’energia viene emessa per impulsi di durata variabile dai
millisecondi (millesimi di secondo) a picosecondi (Milionesimi di secondo) e femtosecondi
(milionesimi di Miliardesimi di secondo), ed in numero pari alla frequenza impostata
(misurata in Hertz, ossia impulsi per secondo) l’energia totale emessa nell’unità di tempo,
e quindi la potenza media,
sarà pari all’energia di ogni singolo impulso moltiplicata per la
frequenza.
(Esempio:
un laser impostato per emettere impulsi della potenza di 150mJ ad una
frequenza di 20 Hertz avrà una potenza media di 3 watt )
Tanto più è corto l’impulso, a parità di energia, tanto più la sarà elevata la sua potenza: è
la cosiddetta “potenza di picco ,in grado di raggiungere valori di assoluto rilievo.
Esempio: un impulso di 150 mj emesso in un secondo avrà una potenza di picco pari a
0,15 Watt, mentre lo stesso impulso confinato in 100 microsecondi (durata raggiungibile
dai normali laser usati in odontoiatria) raggiunge una potenza di picco di ben 1500 watt !
Nella figura sottostante si può vedere rappresentato schematicamente il profilo di due
impulsi aventi la stessa energia ma durata diversa.
Potenza di picco
L’intensità o Power density identifica il rapporto tra la energia emessa nell’unità di
tempo, e quindi la potenza, e la superficie sulla quale questa verrà depositata. Pertanto si
misura in W/cm2
Più la superficie è piccola, come può essere lo spot determinato da una fibra ottica, e più
avremo concentrazione di energia, e quindi Intensità.
Esempio:un laser impostato a 3 watt che lavora con fibra ottica o spot del diametro di 300
micron
porterà
ad avere sul bersaglio una power density di
circa mille watt per
centimetro quadrato
La quantità di energia
per unità di superficie è invece la
Fluenza , parametro
fondamentale in biostimolazione, e misurabile in J/cm2 . Si definisce anche come
Densità di energia.
Modalità di emissione
L’emissione del fascio laser può avvenire con modalità diverse, dipendenti
dalle
caratteristiche del mezzo attivo interessato o del sistema di pompaggio .
Vi può essere emissione continua, ossia senza interruzione e con caratteristiche costanti .
Alcuni laser non possono lavorare in continuo, per l’impossibilità di mantenere a lungo le
condizioni necessarie per l’emissione, e lavoreranno quindi per impulsi.
Se si interviene sulla emissione continua con meccanismo in grado di bloccare il fascio
laser generato, si parlerà di emissione frequenziata (chopped emission).
In questi casi andrà considerato un altro parametro, il “duty cycle”, che rappresenta,
dato un determinato periodo il rapporto tra la somma del Ton (tempo di emissione) e Toff
(tempo di emissione bloccata) diviso il Ton.
Un duty cycle del 30% significherà che in un dato tempo l’emissione avverrà per il 30%
dello stesso tempo.
La potenza media sarà sempre in base alla relazione che vuole la potenza come energia
emessa nell’unità di tempo, pari al 30% della potenza impostata in origine.
Le interazioni laser-tessuto
L’intensità della radiazione laser e la concentrazione dei cromofori all’interno dei
tessuti determinano la profondità di penetrazione per una determinata lunghezza d’onda
(legge di Lambert-Beer).
A parità di dose ( e quindi di quantità totale di energia somministrata ad una determinata
superficie o volume di tessuto) il tipo di effetto sul tessuto dipenderà sostanzialmente dal
tempo nel quale questa energia viene distribuita. Tempi lunghi porteranno ad avere effetti
fotochimici, tempi più corti ad avere effetti fototermici, tempi cortissimi ( al di sotto del
micro secondo, per arrivare a pico e femtosecondi, quindi miliardesimo o millesimo di
miliardesimo di secondo) ad avere prevalenza di effetti meccanici , secondo lo schema
sottostante.
La manualità dell’operatore influisce principalmente sulla intensità (power density, ossia
energia per unità di tempo e per unità di superficie)
: aumentando la velocità di
scorrimento o allontanandosi dal bersaglio defocalizzando il raggio; in entrambi i casi, a
parità di tempo di applicazione, si aumenta la superficie sulla quale viene distribuita la
stessa quantità di energia.
L’analisi dello spettro d’assorbimento consente di prevedere la potenziale penetrazione
delle varie lunghezze d’onda.
E’ possibile individuare una “finestra ottica”, ossia un range di lunghezze d’onda capaci di
penetrare in profondità.
La profondità di penetrazione, sempre in base alla legge di Lambert Beer dipende dalla
concentrazione dei cromofori e quindi delle sostanze in grado di assorbire più o meno la
radiazione utilizzata, e dalla intensità (power density).
Il tempo di applicazione non
influisce sulla profondità di penetrazione a parità di condizioni tessutali. Un altro fattore in
grado di influenzare la profondità di penetrazione è la diffusione, o scattering, ossia la
capacità delle costituenti del tessuto bersaglio di disperdere la radiazione, con
mantenimento o senza mantenimento della energia originale (scattering elastico o
anelastico). Una radiazione fortemente diffusa, come può esserlo quella di laser che non
sono fortemente assorbiti (es . diodo 810 nm, oppure Nd:YAG) penetrà più in profondità
per il fenomeno dello “forward scattering” (diffusione oltre il
massimo della ipotetica
penetrazione) e può penetrare ancora di più in profondità in relazione alle modalità di
emissione ed alle intensità in gioco (ad es. il laser Nd:YAG, con emissione pulsata ed alte
potenze di picco).
Scattering
in un mezzo omogeneo e isotropico
La distribuzione della radiazione avviene quindi per volumi, e questo ha portato a costruire
dei modelli e delle simulazioni (es. Montecarlo simulation) per avvicinarsi alla realtà di
diffusione in tessuti disomogenei ed anisotropici.
La diffusione altera il percorso ottico della radiazione incidente, come può essere
sperimentalmente e semplicemente verificato transilluminando con luce bianca una mano.
La mano appare rossa, perché questa è la radiazione visibile diffusa, ma non si
distinguono le strutture sottostanti (ossa) a causa della alterazione dei percorsi ottici
I tessuti dentali sono fortemente anisotropici, con cammini ottici
preferenziali (tubuli
dentinali, dentina peritubulare) in grado di convogliare e concentrare radiazioni di
lunghezza d’onda non assorbita (come ad esempio un vicino infrarosso) verso bersagli in
profondità (come ad esempio la polpa dentaria).
Il tempo non influisce sulla profondità di penetrazione, ma influisce sicuramente sulla
diffusione termica. Ogni costituente tissutale possiede una propria conducibilità termica e
capacità termica, parametri ai quali possiamo far corrispondere il tempo di rilassamento
termico (TRT: thermal relaxation time), comunemente indicato come il tempo
necessario affinché un dato componente disperda il 50% del calore somministrato.
Il contenuto in acqua , ottimo conduttore e costituente principale di molti tessuti,
condiziona fortemente il tempo di rilassamento termico di un determinato bersaglio.
Una prima conseguenza pratica è che impulsi più brevi del tempo di rilassamento termico
dell’acqua (circa 1 microsecondo) faranno si che il calore da essi determinato resti
confinato
esclusivamente
al
bersaglio,
non
diffondendosi
ai
tessuti
circostanti.
Naturalmente la frequenza di ripetizione dell’impulso deve essere tale da non consentire
accumulo di calore. Anche la forma dell’impulso può avere la sua importanza. Un rapido
raggiungimento del picco energetico ed un altrettanto rapido ritorno consentono di non
avere “code” che riducono l’efficienza dell’impulso e contribuiscono al surriscaldamento del
tessuto.
Profilo dell’impulso
Il principio è alla base della cosiddetta fotoermolisi selettiva, tecnica con la quale è
possibile intervenire anche su strutture profonde senza ledere i tessuti circostanti. Un
esempio classico è quello della depilazione, dove la lunghezza dell’impulso deve essere tale
in modo che sia più breve del TRT del follicolo, concentrando quindi sul bersaglio l’energia,
e più lungo del TRT dei tessuti circostanti, consentendo così di disperdere calore ancor
prima che l’impulso sia terminato.
Un esempio più vicino a noi è costituito dalla FDIP (forced dehydration with induced
photocoagulation, R.Crippa 2002), che consente il trattamento ambulatoriale di lesioni
vascolari a basso flusso (emangiomi) del cavo orale senza anestesia, senza soluzione di
continuo dei tessuti superficiali, senza sutura. La lunghezza d’onda comunemente utilizzata
e più diffusa è quella degli 810 nm, emessa in continuo e con potenze relativamente
basse. Naturalmente deve essere prima effettuata una corretta diagnosi, che per lesioni di
piccole dimensioni è sostanzialmente clinica ( storia clinica, diascopia con vitropressione,
verifica della pulsatilità, transilluminazione).
La lunghezza d’onda 810 nm penetra molto in profondità, per il suo scarsissimo
assorbimento in acqua e relativo nell’emoglobina (rispetto , ad esempio, ad un KTP).
Questo, nell’uso chirurgico, rende utile il cosiddetto “capping” ossia la attivazione della
fibra.
Prima di iniziare la azione di taglio si mette a contatto la punta della fibra con un
oggetto molto assorbente (ad es. una cartina di articolazione blu) e si attiva brevemente il
laser. In questo modo la fibra subisce una sorta di brunitura, diventando essa stessa
bersaglio per la radiazione laser. Questo fa si che sulla punta vi sia un rialzo termico
capace di iniziare l’azione di taglio per conduzione. In caso contrario, soprattutto su tessuti
fibrosi, scarsamente vascolarizzati, potremmo somministrare energia che si trasmette e
diffonde agli strati profondi in misura anche importante, con possibili effetti indesiderati
da ipertermia, prima di osservare un effetto superficiale.
Indicazioni
Le buone o ottime capacità
coagulanti di laser come il KTP, diodo 810/960 nm,
Nd.YAG, CO2 consentono di intervenire sui tessuti molli
in sicurezza, senza necessità di
sutura e con nullo o minimo supporto farmacologi pre e post operatorio, anche in pazienti
con turbe emocoagulative essenziali o indotte. Non vanno inoltre dimenticate le attive
capacità decontaminanti che praticamente annullano il rischio di infezioni iatrogene ((un
bisturi è sterile solo fino al primo contatto con le mucose, e sicuramente non decontamina)
Ricordiamo
le capacità biostimolanti del laser, e soprattutto delle lunghezze d’onda
comprese nella finestra ottica, che unitamente alle proprietà antinifiammatorie ed
analgesiche consentono di trattare patologie superficiali (afte, herpes,mucositi chemio o
radioindotte) o profonde (problematiche osteomioarticolaari, nevriti, parestesie) nel
rispetto più assoluto del criterio della mininvasività, di accelerare la guarigione dei siti
chirurgici, di accelerare, e sono le ultime frontiere, l’osteointegrazione (quantomeno nelle
fasi iniziali) e gli spostamenti ortodontici).
Le lunghezze d’onda specifiche per il trattamento dei tessuti duri utilizzate in odontoiatria
sono quelle generate da laser ad Erbio (Er:YAG) ed erbio cromo ( Er,Cr: YSSG).
Il loro cromoforo target principale è l’acqua, ed è possibile quindi utilizzarli sia sui tessuti
duri o molli sfruttandone la concentrazione , con accorgimenti tecnici (presenza o meno di
spray d’acqua, durata dell’impulso, frequenza) che ne ottimizzano l’effetto ablativo .
E’ interessante vedere come, pur con una minima differenza in termini di lunghezza
d’onda, Erbio ed Erbio Cromo abbiano una capacità di assorbimento in acqua molto
diversa, seppure egualmente importante: questo perché intercettano una parte della curva
che illustra lo spettro di assorbimento dell’acqua nei confronti delle varie lunghezze d’onda
particolarmente pendente, e perché l’incremento è quantificato secondo una scala
logaritmica.
Spettro di assorbimento in acqua
Del tutto assenti le proprietà intrinseche emostatiche, che possono essere in parte
compensate da una adeguata gestione dei parametri (ad esempio la lunghezza
dell’impulso, calibrata in modo da consentire una diffusione termica capace di raggiungere
la temperatura di coagulazione, oppure lavorando senza raffreddamento).
Per favorire l’assorbimento della radiazione laser, o per ottenere un effetto riducendo
l’energia necessaria ( la regola vuole che si utilizzi sempre l’energia minima necessaria per
ottenere l’effetto voluto) è possibile utilizzare dei cromofori esogeni, quali ad esempio blu
di metilene, betadine, verde Janus ed altri.
Conclusioni
Il laser
rappresenta per l’odontoiatra uno strumento capace di essere il gold standard in
numerose applicazioni, così come un utile ausilio in diverse altre, purchè se se ne
conoscano i principi fisici e biologici alla base del suo utilizzo,ed avendo come obiettivo
principale la ricerca della mininvasività e della massima compliance da parte dei nostri
pazienti.
Ercole Romagnoli
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