Mario Monti. Raccolta di articoli - The European House

SCN
38-501
RACCOLTA DI ARTICOLI DI MARIO MONTI

UN NUOVO GOVERNO DELL’ECONOMIA (CORRIERE DELLA SERA – 14 agosto 2011)

IL PODESTÀ FORESTIERO (CORRIERE DELLA SERA – 7 agosto 2011)

EUROBONDS ARE THE ONLY ANSWER (FINANCIAL TIMES – 21 luglio 2011)

UNA MANOVRA SOLO A METÀ. TROPPO TIMIDI PER CRESCERE
(CORRIERE DELLA SERA – 3 luglio 2011)

INTERVISTA A MARIO MONTI. GLI EUROBONDS NELL’INTERESSE TEDESCO
(IL SOLE 24 ORE – 23 dicembre 2010)

ULTIME OCCASIONI PER CRESCERE. QUANTO TEMPO ABBIAMO PERSO
(CORRIERE DELLA SERA – 31 ottobre 2010)
Ottobre 2010-agosto 2011.
www.corriere.it – wwwft.com - www.ilsole24ore.com
Per gentile concessione dell'autore.
Riprodotto da The European House-Ambrosetti per uso interno durante il Forum
“Lo Scenario di oggi e di domani per le strategie competitive”, Villa d'Este di
Cernobbio - 2, 3 e 4 settembre 2011.
Corriere della Sera
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EMERGENZA, CRESCITA, EQUITA'
Un nuovo governo dell'economia
Venerdì il governo ha preso decisioni che avranno notevole impatto sull'economia e la società
italiana e questa volta, come era atteso da tempo, anche sul settore pubblico. Le singole misure sono
analizzate e commentate in altre parti del giornale. Qui vorrei mettere in luce una scelta di fondo di cui
non si è parlato, ma che non deve essere stata facile per il Presidente del Consiglio. Una scelta che, per le
sue implicazioni, potrebbe cambiare l'impostazione di politica economica del governo Berlusconi nella
parte restante di questa legislatura.
Di fronte alle perentorie richieste dell'Europa e dei mercati, il governo ha dovuto scegliere tra
la via dell'irredentismo e la via della redenzione. Avrebbe potuto cercare di sottrarsi alle indicazioni del
«podestà forestiero» (l'articolo di domenica scorsa, 7 agosto, ha dato luogo a un dibattito sul quale
tornerò prossimamente) e rivendicare con spirito irredentista un maggiore spazio, quello che l'Unione
Europea normalmente riconosce, per le scelte politiche nazionali. Invece ha deciso, con lucidità e
rapidità, di imboccare una strada di redenzione o, in termini più asettici, di modifica di alcuni connotati
di fondo che avevano caratterizzato, fin dall'inizio, l'impostazione di politica economica del governo.
E' comprensibile che l'inversione di rotta venga ora attribuita per intero all'aggravamento,
innegabile, della crisi internazionale. Ma quei limiti - di natura politica, non tecnica - erano evidenti da
molto tempo ed erano stati segnalati da più commentatori.
Il ministro dell'Economia, di cui molti tendono oggi a dimenticare il merito di aver saputo
mantenere un certo rigore di bilancio con un governo e una maggioranza poco inclini a tale virtù, non ha
affrontato, né forse valutato, adeguatamente i problemi della competitività, della crescita, delle riforme
strutturali indispensabili per rimuovere i vincoli alla crescita (il federalismo fiscale, oggi oggetto di
dibattiti accesi, è stato spesso presentato come la riforma strutturale introdotta da questo governo).
Il Presidente del Consiglio, da parte sua, non ha mai mostrato di considerare l'economia - tranne
l'agognata riduzione delle tasse - come una vera priorità del suo governo, né ha mai assunto un visibile
ruolo di coordinamento attivo e di impulso della politica economica, come fanno da tempo gli altri capi
di governo. Essi lo esercitano soprattutto nel promuovere la crescita, assistiti da un ministro
dell'economia reale o dello sviluppo di alto profilo, oltre che nel garantire copertura politica al ministro
finanziario, nella sua azione rivolta prioritariamente alla disciplina di bilancio. Negli ultimi tempi,
invece, Berlusconi pareva spesso infastidito dall'arcigno Tremonti e dai suoi «no» agli altri ministri, più
che dedicarsi alla guida strategica dello sviluppo, in raccordo con l'Europa (due responsabilità a lungo
lasciate scoperte di titolari).
Negli ultimi giorni, tutto pare cambiato. Il Presidente del Consiglio ha preso visibilmente la guida.
Si è schierato, per amore o per forza, dalla parte del rigore. Almeno su questo, non dovrebbero più
esserci contrapposizioni con il ministro dell'Economia.
http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_14/monti-nuovo-governo-economia_b8ac... 31/08/2011
Corriere della Sera
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Entrambi, dopo avere prestato scarsa attenzione alle raccomandazioni rivolte loro per anni dalla Banca
d'Italia, si premurano di seguire ora le indicazioni - molto simili! - della Banca Centrale Europea.
È una svolta positiva e importante, pur se avvenuta nella precipitazione e perciò con due
conseguenze negative. Le misure adottate, che potrebbero ben chiamarsi «tassa per i ritardi italiani
malgrado l'Europa» e non certo «tassa dell'Europa», non hanno potuto essere studiate con il dovuto
riguardo all'equità e gravano particolarmente sui ceti medi. Inoltre, la priorità crescita, pur sottolineata
dalla Commissione europea e dalla Bce, rischia di essere vissuta come «meno prioritaria», nella
situazione di emergenza in cui l'Italia, soprattutto per sua responsabilità, è venuta a trovarsi.
Crescita ed equità. Come molti osservatori hanno notato, è ora su questi due grandi problemi,
trascurati nei primi tre anni della legislatura, che l'azione del governo, delle opposizioni e delle parti
sociali dovrà concentrarsi, con un comune impegno come auspica il Presidente Napolitano. E ciò, ben
inteso, non a scapito della finanza pubblica, ma anzi per rendere duraturi i progressi realizzati in quel
campo.
Mario Monti
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http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_14/monti-nuovo-governo-economia_b8ac... 31/08/2011
Corriere della Sera
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MERCATI, EUROPA E GOVERNO ITALIANO
Il podestà forestiero
di MARIO MONTI
I mercati, l'Europa. Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l'Europa da membri del
governo e della classe politica italiana! «Europeista» è un aggettivo usato sempre meno. «Mercatista»,
brillante neologismo, ha una connotazione spregiativa. Eppure dobbiamo ai mercati, con tutti i loro
eccessi distorsivi, e soprattutto all'Europa, con tutte le sue debolezze, se il governo ha finalmente aperto
gli occhi e deciso almeno alcune delle misure necessarie.
La sequenza iniziata ai primi di luglio con l'allarme delle agenzie di rating e proseguita con la manovra, il
dibattito parlamentare, la riunione con le parti sociali, la reazione negativa dei mercati e infine la
conferenza stampa di venerdì, deve essere stata pesante per il presidente Berlusconi e per il ministro
Tremonti. Essi sono stati costretti a modificare posizioni che avevano sostenuto a lungo, in modo
disinvolto l'uno e molto puntiglioso l'altro, e a prendere decisioni non scaturite dai loro convincimenti
ma dettate dai mercati e dall'Europa.
Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i
problemi del Paese, dopo avere rifiutato l'ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per
cercare di risollevare un'Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza,
un «governo tecnico». Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è
intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un «governo tecnico sopranazionale» e, si potrebbe
aggiungere, «mercatista», con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York.
Come europeista, e dato che riconosco l'utile funzione svolta dai mercati (purché sottoposti a una
rigorosa disciplina da poteri pubblici imparziali), vedo tutti i vantaggi di certi «vincoli esterni»,
soprattutto per un Paese che, quando si governa da sé, è poco incline a guardare all'interesse dei giovani
e delle future generazioni. Ma vedo anche, in una precipitosa soluzione eterodiretta come quella dei
giorni scorsi, quattro inconvenienti.
Scarsa dignità . Anche se quella del «podestà forestiero» è una tradizione che risale ai Comuni italiani
del XIII secolo, dispiace che l'Italia possa essere vista come un Paese che preferisce lasciarsi imporre
decisioni impopolari, ma in realtà positive per gli italiani che verranno, anziché prenderle per
convinzione acquisita dopo civili dibattiti tra le parti. In questo, ci vorrebbe un po' di «patriottismo
economico», non nel fare barriera in nome dell'«interesse nazionale» contro acquisizioni dall'estero di
imprese italiane anche in settori non strategici (barriere che del resto sono spesso goffe e inefficaci, una
specie di colbertismo de noantri ).
Downgrading politico . Quanto è avvenuto nell'ultima settimana non contribuisce purtroppo ad
accrescere la statura dell'Italia tra i protagonisti della scena europea e internazionale. Questo non è
grave solo sul piano del prestigio, ma soprattutto su quello dell'efficacia. L'Unione europea e l'Eurozona
http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_07/monti-podesta_1a5c6670-c0c4-11e0-a... 31/08/2011
Corriere della Sera
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si trovano in una fase critica, dovranno riconsiderare in profondità le proprie strategie. Dovranno darsi
strumenti capaci di rafforzare la disciplina, giustamente voluta dalla Germania nell'interesse di tutti, e al
tempo stesso di favorire la crescita, che neppure la Germania potrà avere durevolmente se non
cresceranno anche gli altri. Il ruolo di un'Italia rispettata e autorevole, anziché fonte di problemi,
sarebbe di grande aiuto all'Europa.
Tempo perduto . Nella diagnosi sull'economia italiana e nelle terapie, ciò che l'Europa e i mercati
hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo dal dibattito politico,
dalle parti sociali, dalla Banca d'Italia, da molti economisti. La perseveranza con la quale si è preferito
ascoltare solo poche voci, rassicuranti sulla solidità della nostra economia e anzi su una certa superiorità
del modello italiano, è stata una delle cause del molto tempo perduto e dei conseguenti maggiori costi
per la nostra economia e società, dei quali lo spread sui tassi è visibile manifestazione.
Crescita penalizzata . Nelle decisioni imposte dai mercati e dall'Europa, tendono a prevalere le
ragioni della stabilità rispetto a quelle della crescita. Gli investitori, i governi degli altri Paesi, le autorità
monetarie sono più preoccupati per i rischi di insolvenza sui titoli italiani, per il possibile contagio
dell'instabilità finanziaria, per l'eventuale indebolimento dell'euro, di quanto lo siano per l'insufficiente
crescita dell'economia italiana (anche se, per la prima volta, perfino le agenzie di rating hanno
individuato proprio nella mancanza di crescita un fattore di non sostenibilità della finanza pubblica
italiana, malgrado i miglioramenti di questi anni). L'incapacità di prendere serie decisioni per rimuovere
i vincoli strutturali alla crescita e l'essersi ridotti a dover accettare misure dettate dall'imperativo della
stabilità richiederanno ora un impegno forte e concentrato, dall'interno dell'Italia, sulla crescita.
Mario Monti
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Eurobonds are the only answer to Europe’s crisis | The A-List | Must-read views on... Pagina 1 di 4
Mario Monti
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EUROPE • FINANCE
July 20, 2011
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Jump to response by Dag Detter
Eurobonds are the only answer to Europe’s crisis
Eurozone leaders face a fundamental choice when they meet on Thursday.
Either they declare, once again, that they stand ready to do “whatever is
necessary” to overcome the eurozone crisis, or they actually do it. In the first
case, markets are likely to step up to the next stage of their challenge to the
European authorities. They will target larger countries, such as Italy and
Spain, thus making the “whatever necessary” ever more costly and ever less
credible.
Alternatively, the eurozone leaders could show leadership. Markets, so far,
have been winning a game of divide and conquer, simply because countries
are not providing a common response. Eurozone governments have been
seeking “financial stability” by committing ever larger amounts of their
taxpayers’ money. Yet, these sums merely measure the eventual cost to
citizens of their leaders’ attempts to behave as if they were not part of a
monetary union.
A more effective strategy would be to surprise the markets with a genuinely
common policy. For such response to be agreed on, the government of the
leading eurozone country, Germany, has to provide leadership among the
member states and at home. This means convincing Germans that they are
benefiting from the European Union, its single market and the euro; that the
German “culture of stability” is permeating the rest of the union; and that
Germany would be the biggest loser – in terms of stability, competitiveness
and the financial cost – if the eurozone were to break up.
A German government that promotes common policies focused on the long
term would be better able to protect German taxpayers’ interests than one
which, in focusing on their shorter-term interests, convinces neither the
markets nor its citizens. It is this lack of credibility that would generate,
further down the road, a disruptive ‘transfer union’ that would likely lead to
http://blogs.ft.com/the-a-list/2011/07/20/eurobonds-are-the-only-answer-to-europes-c... 31/08/2011
Eurobonds are the only answer to Europe’s crisis | The A-List | Must-read views on... Pagina 2 di 4
acrimony domestically and across borders.
Luckily for Chancellor Angela Merkel and for Europe, the two main
opposition parties in Germany – the Social Democrats and the Greens – are
pro-EU. Although the SPD initially opposed the euro and Chancellor Gerhard
Schroeder, with President Jacques Chirac, undermined the credibility of the
Stability Pact in 2003, earlier this week SDP leaders pledged support for
unpopular measures to deal with the eurozone crisis.
This creates a fresh opportunity for Ms Merkel and Wolfgang Schäuble,
German finance minister, to support the use of eurobonds – an initiative that
would reinforce Germany’s real and perceived ties to the euro.
Commissioner Olli Rehn said last month in the European Parliament that, as
part of an economic governance package, the Commission will be ready to
propose the setting up of a system of common issuance of euro-denominated
government bonds before the end of the year. This would be aimed at
strengthening fiscal discipline and increasing stability in the euro area
through market mechanisms, ensuring that those member states that enjoy
the highest credit standards would not suffer from higher interest rates. The
Commission’s report will, if appropriate, be accompanied by legislative
proposals.
The proposal is for the use of eurobonds as an instrument of debt
management, not as a financing instrument for new expenditures. It was put
forward to the president of the Commission last May*, and introduced in the
European Parliament in December by Sylvie Goulard**, based on research by
Jacques Delpla and Jakob von Weiszäcker, among others.
Many options are possible, including giving the European Financial Stability
Facility new powers. The new bonds would assert the euro currency in the
global markets. It is not obvious that there would be a higher (absolute or
relative) financing cost for the most creditworthy member states, when
considering both the liquidity of the new eurobond market but also the
existing turbulence of the sovereign debt markets. To liberate the European
Central Bank from the role it has been obliged to play would also be in the
general best interests and in line with the best German traditions.
There is growing consensus that it would be difficult to find a lasting solution
to the eurozone crisis without the use of eurobonds. This week’s eurozone
summit could give at least a clear political signal that it is worth considering
the eurobond proposal. A European vision, based on the creation of a
European instrument, backed by a precise timetable, could be a good way to
restore trust and stability.
Mario Monti is president of Bocconi University and former European
commissioner. Sylvie Goulard, co-author, is a member of the European
Parliament and rapporteur on the economic governance package.
http://blogs.ft.com/the-a-list/2011/07/20/eurobonds-are-the-only-answer-to-europes-c... 31/08/2011
TROPPO TIMIDI PER CRESCERE
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Archivio
UNA MANOVRA SOLO A META' DEBITO E PIL
TROPPO TIMIDI PER CRESCERE
Nel quadro della competizione mondiale serve uno scatto Liberalizzare gli orari dei negozi va
nella giusta direzione Manovra troppo timida per crescere
Conviene lasciarsi guidare da Giacomo Leopardi, per apprezzare pienamente la manovra varata dal governo: «piacer figlio d' affanno». In questa prospettiva il
sollievo è anzi duplice, perché doppia era stata la tempesta. Alla prima tempesta, la sconfitta elettorale, la maggioranza ha avuto la tentazione di reagire con più
spesa pubblica e con una riforma fiscale in disavanzo. Se questo non è avvenuto, lo si deve alla tenacia di Giulio Tremonti e ai vincoli europei, senza i quali gli
sarebbe stato forse impossibile resistere alle pressioni del presidente del Consiglio e di quasi tutto il governo. Questa resistenza ha provocato una seconda
tempesta, nella maggioranza, tale da mettere in dubbio che il Consiglio dei ministri trovasse un accordo. Invece, la manovra è stata varata, non aumenta il
disavanzo e lo porta in linea con i vincoli europei. Non è detto che vi sia quiete nell' imminente discussione parlamentare, ma c' è almeno il piacere di vedere
superato il duplice affanno. Se questo non fosse avvenuto, una nuova tempesta avrebbe potuto dirigersi verso l' Italia, proveniente dall' Egeo e dallo Ionio.
Riconosciuti questi meriti importanti, va detto che nella politica economica del governo, anzi dei governi Berlusconi - in carica per 8 degli ultimi 10 anni e per 7
anni ispirata e guidata dal ministro Tremonti - sono sempre più evidenti i danni arrecati dal fatto che la grande, risoluta e indispensabile determinazione
contabile non è stata e non è oggi ancorata ad alcuna strategia concreta e credibile di politica economica. Se questa manca, non basta rivendicare di avere previsto
- prima, molto prima di tutti gli altri - l' evoluzione del cosmo economico-sociale o di avere lanciato nuovi standard etico-legali per governare la globalizzazione.
Più modesto, ma più pressante è il compito di avere una visione su come l' Italia possa conquistare più competitività, più crescita, più equità; di coinvolgere in un
tale progetto le forze economiche, sociali, culturali e politiche; di attenersi ad esso nell' azione di governo. Altrimenti, un governo può forse vincere la battaglia del
numeratore ma, a causa della rivincita del denominatore, è il Paese intero che perde. Il concetto dovrebbe essere alla portata anche dei non economisti. I vincoli
europei, ma anche il buon senso, impongono di mantenere entro certi limiti il disavanzo pubblico e il debito pubblico in percentuale del Prodotto interno lordo
(Pil). La battaglia del numeratore consiste per un ministro dell' Economia nel resistere alle pressioni dei colleghi che vogliono spendere di più o ridurre le
imposte. È quanto Tremonti fa con coraggio e non senza, si direbbe, un raffinato piacere. In passato, soprattutto quando non c' erano ancora vincoli europei, l'
incapacità o la non volontà di fare questo era la principale carenza di molti ministri del Tesoro. Nell' attuale manovra - ma il ministro lo negherà - il piacere dev'
essere in parte consistito nel fare slittare sul prossimo governo la quota del costo politico del porre in atto davvero le misure per ridurre il disavanzo per il 2013 e
il 2014. E il denominatore, cioè il Pil? È ovviamente la variabile cruciale, per due motivi. Costituisce una delle misure dello stato dell' economia e del benessere dei
cittadini, cioè uno dei fondamentali obiettivi finali della politica economica. Inoltre, essendo il denominatore dei rapporti disavanzo / Pil e debito / Pil, la sua
crescita aiuta anche a rispettare i vincoli europei. Se invece la politica economica non vuole promuoverne la crescita, o non ci riesce, ogni sforzo sul numeratore
può venire frustrato. Purtroppo, né nel programma nazionale delle riforme né nella manovra ora varata il governo affronta adeguatamente il tema della crescita,
cioè di come fare aumentare il Pil dell' Italia, che da molti anni cresce parecchio meno che negli altri Paesi europei. La Commissione europea, nelle sue
raccomandazioni, ha insistito molto sulle misure necessarie a questo scopo. Ma il governo, forse per non creare scontento in categorie sociali che ancora
sembrano sostenere questa maggioranza, è stato particolarmente timido. Va nella direzione giusta la liberalizzazione degli orari dei negozi (anche se sperimentale
e molto limitata) ma poco o niente viene fatto per immettere più concorrenza nel settore dei servizi in generale, nelle industrie a rete (trasporti, energia,
telecomunicazioni), nelle professioni. E poco viene fatto per ridurre, subito e in misura significativa, il peso sull' economia e sulla società italiana degli esorbitanti
costi del sistema politico, peraltro scarsamente «produttivo» in termini di decisioni prese tempestivamente per la crescita del Paese. Senza un forte scatto in
avanti, difficilmente l' Italia riemergerà nella competizione mondiale. Triste conforto trarremmo allora dal pensare, ancora con Leopardi, che «naufragar m' è
dolce in questo mare». RIPRODUZIONE RISERVATA
Monti Mario
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(3 luglio 2011) - Corriere della Sera
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31/08/2011
Intervista a Mario Monti: «Gli Eurobond nell'interesse tedesco» - Il Sole 24 ORE
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23 dicembre 2010
Intervista a Mario Monti:
nell'interesse tedesco»
«Gli
Eurobond
di Enrico Brivio
Compassato europeista e autorevole economista qual è, Mario Monti è senz'altro un uomo adatto per cercare di
persuadere il cancelliere Angela Merkel e l'opinione pubblica tedesca che gli eurobond e l'istituzione di un'agenzia
del debito europea sono le idee giuste per dare solidità all'eurozona e prospettive di lungo periodo alla moneta
unica. Di certo il presidente della Bocconi, ex capo dell'Antitrust europeo e responsabile della task force per il
rilancio del mercato unico, in questa intervista sa fornire argomentazioni lucide in favore dell'iniziativa e di una
ricetta che cerchi di combinare rigore e crescita, per garantire un 2011 di stabilità all'Europa.
È passato un anno da quando esplose la questione greca che innescò la crisi dei debiti sovrani dei paesi
periferici dell'eurozona. Pensa che in quest'anno l'Europa abbia fatto abbastanza per mettersi al riparo da
crisi di più ampia portata e per assicurare un 2011 tranquillo all'euro?
Ad andare in crisi un anno fa e a rimanere in crisi non è per la verità l'euro ma l'eurozona. Il valore dell'euro ha
avuto alti e bassi, ma non dobbiamo dimenticare che la moneta unica è stata creata per mettere l'Europa al riparo
dalle svalutazioni competitive e per proteggere gli europei dall'inflazione. Anche in quest'anno di crisi dell'eurozona,
l'euro non è venuto meno a questa duplice funzione.
Dove le radici della crisi?
Indubbiamente abbiamo visto una crisi di alcune basi su cui l'euro era stato costruito e cioè la disciplina dei bilanci
pubblici. E poi i mercati sonnolenti per dieci anni hanno recuperato in attivismo scuotendo il sistema dopo che
lungamente si erano cullati e avevano fatto cullare i politici nella convinzione che la qualità del credito fosse la
stessa per i diversi paesi.
Il 2010 è stato insomma un anno di presa di coscienza....
Questo anno ha visto il rafforzamento di una costruzione che aveva dimostrato le sue fragilità. Non si è fatto
abbastanza ma si è fatto molto. Un giorno forse il 2010 sarà visto come un anno di particolare successo dell'euro.
Lo pensa davvero?
Guardiamo tre punti: Grecia, Germania e Bruxelles. Ad Atene sarebbe stato inimmaginabile, senza l'ancoraggio
all'euro e l'intervento di Ue e Fmi, che la politica e la società producessero il piano in attuazione, che non è solo di
contenimento degli squilibri del bilancio pubblico ma anche di riforme e di trasformazione strutturale. Se funzionerà
è una prova della forza dell'euro. In Germania abbiamo visto una presa di consapevolezza guidata con incertezze,
ma alla fine con efficacia, dal cancelliere Merkel. Non chiamiamola solidarietà perché non è il termine che apre le
porte a Berlino, ma si è fatta strada l'idea di una partecipazione a una responsabilità sistemica a tutela
dell'eurozona e degli stessi interessi della Germania, non solo delle banche tedesche. E nell'Unione europea
abbiamo visto adottare di colpo una proposta che spesso veniva suggerita dagli europeisti accesi, ma mai presa in
considerazione, cioè il semestre europeo: la presa d'atto che prima ancora che i governi presentino i progetti di
bilancio ai parlamenti occorre che se ne faccia un vaglio e un coordinamento ex ante a Bruxelles. Si è data poi più
sistematicità allo sforzo con il pacchetto sulla nuova governance.
Lei pensa che questi passi siano sufficienti? Lei stesso nel suo rapporto di maggio al presidente Barroso
ha proposto l'istituzione di un'agenzia europea del debito che emetta e-bond in comune, idea poi rilanciata
dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti e dal premier lussemburghese Jean Claude Juncker con un
articolo sul Financial Times.
Si è fatto molto ma non abbastanza. Quello che resta da fare riguarda il miglioramento ulteriore dell'impianto per
evitare crisi nate da disavanzi e debiti eccessivi e per intervenire ove queste si manifestino: la governance riformata
del patto di stabilità, la sorveglianza sugli equilibri macro-economici e i miglioramenti nella presa di decisioni. Si
sono fatti passi per mettere in piedi il Fondo di stabilità, e da ultimo il Meccanismo europeo, anche se con una certa
ambiguità, da una parte per rassicurare i mercati, dall'altra per dimostrare che si interviene per salvare l'euro e non
tal o talaltro paese.
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-12-22/eurobond-interesse-ted... 31/08/2011
Intervista a Mario Monti: «Gli Eurobond nell'interesse tedesco» - Il Sole 24 ORE
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Cosa manca ancora?
Mancano ulteriori elementi di integrazione nei mercati finanziari e un impasto più stretto tra politica della disciplina e
della crescita. Sul piano finanziario mi riferisco alla questione del debito pubblico e degli Eurobond. La proposta di
emettere Eurobond è vecchissima e in parte lo si è fatto, ma qui la novità è di emettere titoli obbligazionari da parte
di un'agenzia comunitaria che potrebbe essere domiciliata presso l'Esfs, l'attuale fondo di stabilità europeo
presieduto da Klaus Regling, come puro strumento di debt management non di finanziamento di maggiori spese.
Ho inserito questa proposta nelle misure di approfondimento del mercato unico, perché non c'è in Europa un
mercato di titoli pubblici di dimensioni e liquidità adeguata all'importanza dell'Unione europea.
Cosa dobbiamo fare per convincere anche i tedeschi che è una buona idea?
Questo è il punto essenziale. Dipende anche da chi le propone. Se, come capita oggi, si esprimono a favore Italia,
Spagna, Grecia, Portogallo questo suona male alle sospettose orecchie tedesche. È stato molto opportuno che il
ministro Tremonti si sia fatto accompagnare dalla firma di Juncker nel suo articolo. Il mio sforzo è quello di
sviluppare gli argomenti di interesse al progetto per la Germania o per quelli che le si sentono vicini.
Quali sono questi argomenti?
Dal punto di vista tedesco ci si può chiedere, rispetto alla situazione in assenza di Eurobond, se ci saranno maggiori
costi o rinunce a benefici differenziali nel finanziare il debito pubblico. E se, rispetto ad avere la Germania come
emittente, questi Eurobond incentiveranno la responsabilità o l'irresponsabilità. Per tutti il mercato diventa più
liquido grazie a questa dimensione più trasparente. E quindi, a parità di qualità dei debiti, tutti possono risparmiare
qualcosa. In più c'è un vantaggio che dipende dal modo di ripartizione dei benefici a fine anno, in particolare da
quelli che derivano a questa agenzia dall'acquisto con sconto di titoli distressed che verranno tenuti fino alla
scadenza.
Il fatto che ci sia una quota del debito a carico dell'agenzia e una parte a carico del governo nazionale non
potrebbe dare vita a processi speculativi?
In un certo senso sì. I titoli emessi dall'agenzia sarebbero titoli senior, quindi privilegiati in caso di insolvenza
rispetto a quelli emessi dai singoli stati, ma questo è voluto perché un'altra regola fissa un limite massimo di
emissione che è una percentuale uguale per tutti non del debito ma del Pil. Per cui i paesi che hanno finanza
pubblica più squilibrata avranno una percentuale più bassa di debito che passa dalla "strada buona" e quindi
saranno più esposti sull'altra, un forte incentivo.
Ci sono altre leve di persuasione sulla Germania?
Far partecipare i mercati ai sacrifici. Con questo meccanismo i privati parteciperebbero ai sacrifici subito, perché se
uno ha obbligazioni del tesoro greco o irlandese e vorrà disfarsene potrà venderli all'agenzia, accollandosi uno
sconto. Non dimentichiamo poi un altro elemento importante in un'ottica tedesca. In assenza di un'agenzia, la Bce
si è dovuta comprare un sacco di titoli di bassa qualità con due conseguenze: deve emettere moneta anche se poi
sterilizzabile, e si mette in pancia titoli di bassa qualità, facendo nascere il dibattito se stia diventando una "bad
bank". Io non critico queste operazioni ma l'agenzia permetterebbe la liberazione della Bce da compiti impropri
potenzialmente inflazionsitici e questo agli occhi tedeschi dovrebbe valere molto.
Ma quanto tempo ci vorrà per convincere i tedeschi?
Queste argomentazioni cominciano a essere prese in considerazione anche in Germania, come si è visto con
l'articolo a favore degli Eurobond di Steinmeier e Steinbrück sul Financial Times, il ministro degli esteri e delle
finanze della signora Merkel durante la grande coalizione. C'è quasi di che vedere una Grande coalizione che si
può ricreare su un terreno parziale ma importante
E dalla Francia di Nicolas Sarkozy non era legittimo attendersi più entusiasmo sugli Eurobond?
Sul piano intellettuale forse sì. Però pensiamo sempre ai posizionamenti. Così come è pericoloso che un'idea come
questa sia sostenuta solo da governi prevalentemente con alto debito, anche se nel caso di Tremonti con
credenziali di chi ha fatto una politica di rigore su questo terreno; così la Francia non vuole dare ai mercati l'idea che
si sta staccando dalla conquista di essere considerata amante della stabilità come la Germania. Conquista che ha
toccato l'apice con Jean-Claude Trichet alla guida della Bce.
La signora Merkel non riesce comunque ad apparire siceramente europeista come Kohl, non le pare troppo
condizionata da motivazioni interne?
Credo sia una sincera europeista che però non ha vissuto una guerra come il sincero europeista Kohl. E in
definitiva Kohl ha perduto le elezioni per aver sostenuto l'euro. Comunque dall'epoca di Kohl in tutti i sistemi politici
è aumentata la visione di breve periodo.
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-12-22/eurobond-interesse-ted... 31/08/2011
Intervista a Mario Monti: «Gli Eurobond nell'interesse tedesco» - Il Sole 24 ORE
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La preoccupa questa "vista corta" dei governi?
Sì, perché sta arrivando perfino nel campo della disciplina. Vedo il rischio che si voglia soddisfare la fame e sete di
disciplina apparentemente forte e rigorosa sul deficit e questa volta anche sul debito. Un errore dopo la creazione di
un patto di stabilità senza una distinzione tra consumo pubblico e investimento pubblico.
Lei prevede nel nuovo Patto, in corso di elaborazione, rischi di rigidità che potrebbero abbattersi su un
paese con alto debito pubblico come l'Italia?
È presto per dirlo perché il testo della task force fatto proprio dal Consiglio Ue e il testo della Commissione
sottolineano molto più di prima l'attenzione al rientro del rapporto debito/Pil ma rinviano alla legislazione secondaria
la definizione di tempi e parametri. Bisogna però fare attenzione che ci sia anche sufficiente attenzione a
meccanismi e politiche di crescita.
Come conciliare il rilancio della crescita con il rigore di bilancio necessario in Europa per uscire dalla crisi?
Il tema della crescita è fondamentale. È stato giusto fare dei rilanci della domanda nei momenti più gravi della crisi,
ma io non vorrei politiche per la ripresa basate sul disavanzo pubblico. Quindi il rinserrare la disciplina di bilancio,
seppure in modo più razionale, ben venga. Ma la crescita occorre. Da dove può venire senza espandere i disavanzi
pubblici? Solo da un guadagno di produttività e competitività dell'economia europea derivante dal realizzare
seriamente il mercato unico. Anzitutto metterlo ben al riparo dagli emergenti nazionalismi economici che ogni tanto
cercano di farlo tornare indietro. Poi realizzarlo pienamente in campi dove c'è solo in parte, come i servizi, o dove
non c'è affatto come l'economia digitale. Ecco il legame che c'è tra l'istinto del presidente della Commissione José
Barroso di chiedere uno studio sul mercato unico e la governance. Al missile della riforma della governance
bisognava mettere uno stadio per promuovere il mercato unico. Avrebbe anche fatto vedere ai cittadini - e
l'Europarlamento è molto sensibile all'argomento - che l'Europa non bada solo a disciplinare i bilanci.
Lei crede all'ipotesi che sia la Germania a uscire dall'euro?
Il rischio è piuttosto che l'investimento politico tedesco nell'ulteriore costruzione dell'Unione europea ceda il passo
all'investimento politico con altri partner esterni. Sui "due euro" io sono abbastanza tranquillo, perché se un giorno si
dovesse veramente considerare l'ipotesi di spaccare la zona euro in due, la frattura più grande avverrebbe
all'interno della Germania. Si aprirebbe una spaccatura tra l'opinione pubblica dei risparmiatori e dei pensionati
favorevoli a una moneta forte, lieti se uscissero gli "scapigliati meridionali", e dall'altra parte l'opinione dell'industria in conto reddito - e delle banche - in conto capitale - che sarebbero molto preoccupate se una parte della zona euro
riacquistasse la licenza di effettuare svalutazioni competitive.
Lei non vede perciò il rischio di una crisi come quella che ci fu nel Sistema monetario europeo negli anni
90?
Tutto può capitare, ma non lo vedo come il risultato di un intento deliberato di politica economica. Credo intanto che
ci sarebbe una grossissima resistenza in Germania. E poi ci sarebbe la conseguenze dirompente della spaccatura
del mercato unico. Nel '95-96, quando l'Italia ha avuto le sue svalutazione competitive, la prospettiva era quella
della nascita dell'euro. Altra cosa sarebbe se la rinata volatilità delle monete non fosse vista come un ultimo
episodio prima dell'avvento della moneta unica, ma come una prima manifestazione di un nuovo regime in cui si
può giocare l'arma della svalutazione competitiva. In questo caso - si tratti di dazi, montanti compensativi o aiuti di
stato - i paesi rimasti a valuta forte frenerebbero le esportazioni degli altri paesi a valuta debole. Quindi sarebbe un
disastro, che porterebbe a una perdita di competitività per tutta l'Europa.
Nei prossimi mesi, così importanti per l'euro, ci mancherà un convinto europeista come Tommaso PadoaSchioppa. Qual è il suo ultimo ricordo?
Tra noi c'era un rapporto intellettuale molto speciale, anche se non ci vedevamo spesso e non ero tra gli amici intimi
presenti alla cena durante la quale è morto. L'ultima volta lo vidi a un dibattito a Parigi da lui organizzato con «Notre
Europe». Entrambi avevamo ricordato il problema del calcolo degli investimenti come spesa pubblica nel Patto di
stabilità ed entrambi sottolineando che «la golden rule del resto è nella Costituzione tedesca». Poi gli ho telefonato
due giorni dopo perché a entrambi era venuto il dubbio che, quando la Germania ha introdotto il nuovo vincolo dello
0,5% del Pil, quell'altro fosse caduto. Lui era negli Stati Uniti e ci siamo dati un appuntamento telefonico via sms.
La cosa che ho trovato impagabile è che lui mi telefonò e mi disse «Lo sai da dove ti chiamo?»
Sto andando in treno da New York a Boston e ho pensato di chiamarti da New Haven». Sapeva benissimo che io
avevo studiato a Yale, che è a New Haven, perché quando io ero a Yale con mia moglie, Tommaso studiava all'Mit
di Boston con Fiorella ed eravamo andati a trovarli e avevamo passato una piacevole serata assieme. È un
esempio della sua grande delicatezza. La sua influenza sulle questioni europee è sempre stata molto grande. In
questi giorni ho sentito spesso dire «se ne vanno i migliori». È una frase banale ma nel suo caso non potrebbe
essere più appropriata.
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Corriere della Sera
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ULTIME OCCASIONI PER CRESCERE
Quanto tempo abbiamo perso
Il tragico entertainment quotidiano offerto dai politici, seguito con passione dai cittadini che pure lo
disprezzano, consente agli uni e agli altri di distrarsi. Altrimenti, bisognerebbe occuparsi di questioni più
noiose. Ad esempio, del fatto che in altri Paesi si sta lavorando per preparare ai propri figli un’economia
e una società dinamiche, non un Paese di cui a volte, pur amandolo, ci si vergogna.
Si prenda a caso. In Germania, è in corso una forte crescita spinta soprattutto dalle economie emergenti,
con le quali l’industria tedesca ha realizzato un’integrazione solidissima ed egemone. In Gran Bretagna,
il governo ha annunciato un profondo ridimensionamento del settore pubblico e dei trasferimenti per il
welfare. Si noti che la governance più stringente del Patto di stabilità, pur alla luce di alcuni elementi più
ampi di valutazione introdotti su proposta italiana, potrà richiedere anche all’Italia qualche severo
riesame del bilancio pubblico nei prossimi anni. In Polonia, Paese che cresce velocemente sul piano
economico e che ha ormai un peso politico nella Ue spesso superiore a quello dell’Italia, il governo ha
promosso un dibattito pubblico su come rafforzare la crescita e migliorare la società da qui al 2030, non
solo al 2020 come chiede la Ue (www.Poland2030.pl).
L’Italia ha accumulato molto ritardo, nella preparazione del proprio futuro di economia competitiva
appartenente all’Eurozona. La strategia di «programmazione delle riforme», suggerita da queste colonne
nel 1997 subito dopo l’ingresso nell’euro, non è stata adottata con continuità né dai governi di
centrosinistra (1998-2001 e 2006-2008), né da quelli di centrodestra (2001-2006 e dal 2008). Né nei
primi, né nei secondi si è registrata la necessaria coesione culturale sull’obiettivo di far diventare l’Italia
una moderna economia di mercato, con poteri pubblici forti e imparziali, capaci di fissare le regole del
gioco e di imporne il rispetto. Quando, nel 2005-2006, avanzammo l’ipotesi che, per superare le forti
resistenze corporative a difesa di privilegi e rendite e contro la concorrenza, potesse valere la pena di
ricercare temporanee e trasparenti convergenze tra energie politiche riformiste presenti nei due
schieramenti, l’idea venne giudicata severamente da destra e da sinistra perché avrebbe intralciato lo
svilupparsi del bipolarismo, nel quale si riponeva grande fiducia.
Negli ultimi due anni, abbiamo richiamato l’esigenza di guardare sistematicamente al futuro, di lavorare
su un progetto in modo condiviso, di darsi una scadenza. Abbiamo poi suggerito che la «Strategia Ue
2020» si sarebbe prestata bene a fare da contenitore e da stimolo. In particolare, l’Italia avrebbe dovuto
presentare a Bruxelles entro novembre, come gli altri Stati membri, un «Piano nazionale delle riforme »:
un’occasione importante — fino ad allora non sottolineata pubblicamente dal governo—per andare oltre
un adempimento burocratico, per spingere la società italiana a non chiudere gli occhi di fronte al proprio
futuro.
In un’ampia intervista (Repubblica, 4 settembre), il ministro Giulio Tremonti ha ripreso il tema del
«Piano nazionale delle riforme », sul quale auspica anch’egli il contributo non solo del governo, ma del
Parlamento e di tutte le forze sociali, economiche e ideali del Paese.
http://www.corriere.it/editoriali/10_ottobre_31/monti-quanto-tempo-perso_b76888f2... 31/08/2011
Corriere della Sera
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Quell’intervista è importante anche perché mette in luce una diversa, e a mio giudizio più matura,
predisposizione intellettuale e politica alle riforme necessarie alla competitività, nonché all’Europa come
facilitatore e stimolo per quelle riforme. Esponenti dell’attuale maggioranza avevano ingaggiato anni fa
battaglie contro fattori che additavano come responsabili primari delle difficoltà dell’economia italiana.
Ricordate l’euro, la Cina, la «burocrazia di Bruxelles»? Quelle battaglie avranno certo procurato consensi
politici nel Paese ma sono state dei diversivi, hanno ritardato gli interventi di politica economica a livello
nazionale necessari per affrontare le vere cause dei divari negativi della competitività e della crescita
dell’Italia.
Sulla «burocrazia di Bruxelles », per esempio, è legittimo e utile che si pongano pressioni sulle
istituzioni comunitarie contro eccessi di normativa e di controlli. Ciò incoraggerà in particolare la
Commissione a moltiplicare gli sforzi già in atto per evitare tali eccessi. Ma quando una campagna di
questo tipo viene fatta dal governo italiano, essa genera di solito due interrogativi critici. Perché l’Italia,
al tavolo del Consiglio dei ministri della Ue, non si è impegnata di più (come hanno fatto altri) per
frenare all’origine la produzione di quegli eccessi? E perché l'Italia non si impegna di più, a casa propria,
per semplificare una selva normativa tra le più rigogliose e pesanti d’Europa?
E se si è al governo, sia pure con interruzioni, dal 1994, e si annette, giustamente, tanta importanza al
tema dell’eccesso di regolazione, perché nel 2010 ci si trova ancora ad invocare, come fa il ministro
Tremonti, una «rivoluzione liberale» (quando in materia di liberalizzazioni si è proceduto con minore
slancio del precedente governo, forse in coerenza con la presa di distanza intellettuale dal «mercato»)? E
se si dice, 16 anni dopo l’assunzione di poteri di governo, che la «rivoluzione liberale» è da introdurre
con una modifica della Costituzione, non si fa una fuga in avanti benché tardiva, non si elude il grigio,
pragmatico e utile lavoro concreto di semplificazione? Non converrebbe, a questo riguardo, potenziare le
autorità indipendenti?
Devo dire che, come convinto sostenitore di un’«economia sociale di mercato altamente competitiva »,
quale è voluta dal Trattato di Lisbona, sarei un po’ preoccupato da un mercato privo, da un lato, di serie
regole e di efficaci autorità di enforcement; dall’altro esposto a una più o meno esplicita «superiorità
della politica »: terreno ideale, temo, per abusi privati, abusi pubblici e loro varie combinazioni.
Concludo. Vi sono ora l’occasione e la scadenza, con il «Piano nazionale di riforme». Si è raggiunta una
visione più matura del rapporto con l’Europa, la quale perciò può esserci di aiuto e stimolo. Si è perso
molto tempo: prima, perché per anni si sono aggrediti più i falsi obiettivi che le cause profonde dei
problemi italiani; poi, perché si è ritenuto, a torto secondo me, che durante la crisi—gestita con accorta e
meritoria prudenza — convenisse non muovere sulle riforme.
I tempi sono ora brevi. Ci aspettiamo di vedere all’opera, sul «Piano nazionale delle riforme », il
ministro dell’Economia, il ministro delle Politiche comunitarie, il tanto atteso ministro dello Sviluppo e
il governo nel suo insieme. Naturalmente con l’indirizzo e la guida del presidente del Consiglio, giorno e
notte.
Mario Monti
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http://www.corriere.it/editoriali/10_ottobre_31/monti-quanto-tempo-perso_b76888f2... 31/08/2011