Il delirio psichiatrico: una nuova sfida per la filosofia della mente Elisabetta Sirgiovanni ([email protected]) Scuola di Dottorato in Informatica, Logica matematica e Scienze cognitive Dipartimento di Filosofia e Scienze sociali, via Fieravecchia 19 Siena, 53100 Italia Sommario La mia presentazione ha come oggetto una questione che ha prodotto, nel recente dibattito filosofico anglo-americano, una vera esplosione di pubblicazioni: il delirio psichiatrico. Scopo del mio intervento è stabilire perché ed in quale misura una tale questione ha oggi rilevanza considerevole per la filosofia della mente. Mi riferirò ai recenti lavori in un campo di ricerca interdisciplinare chiamato “psicopatologia filosofica” come ad uno scambio concettuale biunivoco tra filosofia e psicopatologia. Considererò la definizione del delirio nella tassonomia ortodossa dei disturbi mentali e le nuove proposte tassonomiche. E’ mia intenzione mostrare come il dibattito sul delirio possa contribuire ad una chiarificazione delle teorie della razionalità e delle credenza, delle ipotesi di architettura della mente e del rapporto tra discipline psicopatologiche. Abstract My exhibit deals with an issue that has produced, in the recent Anglo-American debate, an unprecedented explosion of work: delusion. I intend to establish why and how such an issue is considerably relevant to the philosophy of mind. I refer to recent work in an interdisciplinary field called “philosophical psychopathology” as a two-way conceptual commerce between philosophy and psychopathology. I consider what delusion is meant to be by the orthodox taxonomy of mental disorders and new alternative taxonomic suggestions. I propose to show how delusion debate can contribute to rationality and belief theories, hypothesis of mind architecture and relation between mental health disciplines. speculazione filosofica, da un lato, e modelli e dati clinici sul mentale, dall’altro. Il collasso delle teorie psicoanalitiche e l’affermarsi dell’orientamento organicistico in psichiatria hanno originato la necessità di nuovi modelli interpretativi che abbandonino la vecchia antitesi tra modelli psicologici e biologici della patologia mentale. Tra di essi, le teorizzazioni sui fenomeni deliranti in filosofia della mente ricoprono oggi un ruolo di indiscussa importanza. Cos’è il delirio Il delirio è nell’immagine comune “il fenomeno fondamentale della pazzia” (Jaspers, 1959, p. 100). Il termine deriva dal latino delirium ma due sono i fenomeni che fanno ad esso capo e che la terminologia anglosassone ha l’accuratezza di distinguere: il delirio confuso [delirium] ovvero uno stato delirante dovuto a perturbamento della coscienza o ad una modificazione cognitiva, conseguente a stati di avvelenamento, traumi cerebrali o malattie infettive; il delirio cosiddetto lucido [delusion]. 1 E’ al secondo tra questi due sensi del termine che è rivolta la presente trattazione (cfr. Tabella 1). Tabella 1: Esempi di delusion. Nome Capgras delusion Delirio caratteristico Il mio coniuge è stato rimpiazzato da un impostore Cotard delusion Sono morto Fregoli delusion Sono inseguito da persone che conosco ma che sono travestite Delusion of mirroredself misidentification La persona che vedo nello specchio non sono io Delusion of reduplicative paramnesia Una persona che sapevo morta è oggi qui nella corsia dell’ospedale Delusion in patient suffering from unilateral neglect Questo braccio non è mio ma tuo; tu hai tre braccia Delusion of alien control and of thought insertion (Schizophrenia) Qualcuno controlla le mie azioni / ha inserito i pensieri nella mia testa Introduzione La filosofia della mente, il cui ruolo di centralità nell’odierna “filosofia analitica” è paragonabile a quello della filosofia del linguaggio nel secolo scorso, propone nuove soluzioni e formulazioni per teorie maturate in altri ambiti. L’assetto multidisciplinare dell’impresa cognitiva, di cui essa è parte integrante e peculiare, permette un proficuo confronto con tutte le discipline concernenti il mentale: lo scambio teorico che la filosofia della mente intrattiene oggi con la psicopatologia ne è un esempio chiave. L’intromissione della filosofia nelle discipline psicopatologiche non è nuova né recente: freudismo, fenomenologia, costruttivismo sociale e antipsichiatria sono modelli, di matrice “continentale”, succedutisi nell’interpretazione del disturbo mentale. Tale campo di ricerca ha, di recente, conquistato l’etichetta di “psicopatologia filosofica” (Graham & Stephens, 1994) e viene inteso come un dialogo bidirezionale tra 1 Per un’introduzione alla storia del termine delusion cfr. Berrios (1991). Una delusion è una falsa credenza, una convinzione errata personale e soggettiva (cfr. Austin, 1962, p. 36). Nel processo di elaborazione di una delusion, contrariamente a quanto avviene per l’illusione [illusion], i sensi non giocano alcun ruolo, o ne giocano uno minimo. Il DSM-IV-TR, manuale dell’ortodossia tassonomica psichiatrica occidentale, definisce i deliri come false credenze fortemente radicate, “convinzioni erronee che di solito comportano un’interpretazione non corretta di percezioni o esperienze” (2000, p. 327). “La credenza viene mantenuta nonostante l’evidenza di prove contrarie riguardo alla sua veridicità” (ibidem). A tale definizione si aggiungono tre criteri diagnostici fondamentali, ereditati dalla tradizione fenomenologica, che stabiliscono quando una credenza debba considerarsi delirante: essi sono la certezza, l’incorreggibilità e l’impossibilità o falsità del contenuto (Jaspers, 1959, cap. 1, § 4). L’impostazione nosologica del DSM-IV è stata però, di recente, messa in discussione: esso si astiene da considerazioni eziologiche, raggruppa i disturbi in termini di sintomi osservabili, utilizzando concetti psicologici e clinici protoscientifici, e suppone che le categorie in oggetto siano generi naturali. Nuove proposte tassonomiche La critica di arbitrarietà categoriale al DSM ha originato la proposta di nuovi paradigmi tassonomici. Due sono le proposte tassonomiche, originatesi in filosofia della mente, che si fronteggiano oggi: la teoria modularistica (Murphy & Stich, 1998) che auspica lo sviluppo di una psichiatria cognitiva (David, 1993; Marraffa & Meini, 2004) e propone un’architettura massivamente modulare della mente (Pinker, 1997; Sperber, 1996); la teoria della razionalità (Bermúdez, 2001) che postula un’irriducibilità normativa tra psichiatria e neuropsicologia cognitiva e sostiene un’architettura parzialmente modulare (Fodor, 1983, 2000). Il delirio è, per gli uni, un problema modulare (Stone & Young, 1997); per gli altri, una menomazione occorrente al livello della razionalità epistemica, la capacità di formazione e revisione delle credenze, come distinta dalla razionalità procedurale che, a detta degli psicologi sperimentali, sarebbe imperfetta in ogni essere umano (Wason & Johnson-Laird, 1970; Tversky & Kahneman, 1974, 1983). Ad essere a confronto sono, pertanto, due concezioni sulla struttura della mente: una mente che sia articolata in sottoinsiemi distinti e geneticamente selezionati che eseguano funzioni specifiche ed autonome, o una mente che non sia uniformemente modulare. Nel secondo caso i processi inferenziali e di fissazione della credenza non sono localizzati, ma globali: qualsiasi informazione, in qualunque parte della mente, è pertinente ad essi. Essi sono, in termini fodoriani, isotropici e quineani. L’incapsulamento informativo, proprietà modulare essenziale per Fodor (cfr., ad esempio, Fodor, 2000, pp. 77-80), è incompatibile col carattere olistico della fissazione di credenza. Per i modularisti massivi, l’incapsulamento informativo non è, di contro, una prerogativa indispensabile alla nozione di ‘modulo’ e il suo ridimensionamento non è incompatibile con l’olismo (cfr. Sperber, 1996). Resta ancora, però, da stabilire, per gli scopi della futura scienza cognitiva, la legittimità della modularità. Non disponiamo affatto di prove empiriche decisive per suffragare l’esistenza dei moduli, che si collocano a metà tra l’ipotesi empirica e l’ipotesi puramente esplicativa. E’ proprio in sede psicopatologica che molti modularisti massivi hanno scorto la possibilità di teorizzare l’esistenza di un modulo. 2 La psicopatologia potrebbe, dunque, ricoprire un ruolo decisivo nel tentativo di giustificare o confutare empiricamente tale concezione. Deliri e credenze Non vi è alcun accordo tra i filosofi su cosa, di fatto, sia un delirio: se esso costituisca o meno una cosiddetta “patologia della credenza” (cfr. Davies et al., 2005) dipende dal fatto che esso sia, in effetti, una credenza. L’idea che il delirio sia una credenza è implicita nella psichiatria. Essa non è, tuttavia, universalmente accettata. Per alcuni studiosi, la concezione dei deliri come una qualche forma di credenza “non ha significato empirico” (Spitzer, 1990, p. 382). I pazienti deliranti non sempre agiscono, infatti, in accordo con la credenza delirante. Berrios (1991) interpreta i deliri come atti linguistici vuoti; Sass (1994) ritiene che i pazienti deliranti producano enunciati su un mondo solipsistico e non intendano le proprie credenze come vere in senso letterale; per Stephens e Graham (2004), le delusions sono, piuttosto, degli atteggiamenti, caratterizzati da mancanza di consapevolezza e gestione di sé. In primo luogo, tale questione può configurarsi come un’ulteriore formulazione del problema metafisico sulla natura degli stati di credenza e dare nuova luce alla diatriba tra realisti, eliminativisti e strumentalisti riguardo alle nozioni della psicologia del senso comune. In secondo luogo, classificare i deliri come credenze, potrebbe costituire una difficoltà non trascurabile per coloro che aderiscono alla concezione promossa da Davidson (1980) e Dennett (1978), secondo la quale l’attribuzione di credenze è governata da un vincolo di razionalità. Ciò metterebbe in luce la necessità di una definizione più accurata di razionalità, che renda conto dei fenomeni comuni di irrazionalità (cfr. Davidson, 1982). Conclusioni Due approcci si contendono la spiegazione del delirio: il primo, l’approccio empirista, considera il delirio come una risposta razionale ad una esperienza anomala; il secondo, l’approccio razionalista, lo interpreta come un disturbo top-down che interessa una o più credenze del soggetto delirante ed in un secondo momento le sue esperienze e le sue azioni. Il primo approccio sostiene, pertanto, un primato della neuropsicologia cognitiva nella spiegazione del delirio, auspicando a spiegazioni subpersonali dei fenomeni psichiatrici. Il secondo approccio, invece, separa psichiatria e neuropsicologia cognitiva, e ritiene che i fenomeni psichiatrici si manifestino al livello di risposte dell’individuo all’ambiente fisico e sociale, il livello personale. E’ chiaro, quindi, come le considerazioni portate avanti in sede filosofica e quelle che si originano in sede psicopatologica possano maturare un reciproco e solido contributo: una teoria del delirio psichiatrico permetterebbe un bilanciamento riflessivo tra concetti 2 Si vedano, ad esempio, gli studi sull’autismo: Leslie, 1987; Baron-Cohen, 1995. psicopatologici e concetti filosofici, orientando una riforma tassonomica della psicopatologia e una chiarificazione dei concetti di credenza e razionalità; metterebbe alla prova le ipotesi di architettura del mentale e stabilirebbe in che modo debba intendersi sia la relazione interna tra le discipline psicopatologiche sia la relazione tra queste e la filosofia. Ringraziamenti La ricerca è stata condotta nell’ambito del progetto di Dottorato. Si ringraziano, pertanto, il prof. Sandro Nannini, Direttore del Dottorato, ed il mio Supervisore, il dott. Massimo Marraffa. Riferimenti bibliografici American Psychiatric Association (2002). 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