Se un uomo si alzasse una mattina e annunciasse di aver trovato la verità, difficilmente qualcuno lo prenderebbe sul serio, e anzi, molti lo additerebbero come pazzo. Sono secoli che l’uomo si pone questo problema: “Quid est veritas?”, “Cos’è la verità?”, senza tuttavia trovare un punto fisso che perduri nei secoli. Sembra impossibile all’uomo “ingabbiare” la verità in un concetto o in una definizione, e chi ha tentato di farlo, chi ha tentato di dire: “La verità è questo”, non ha mai dato una definizione assolutamente soddisfacente e che valesse per tutti, per cui ci si è iniziato a chiedere se la verità fosse assoluta o relativa: se la verità fondamentale del mondo e delle cose, possa insomma valere per tutti o se debba essere diversa per ognuno. La verità ultima, tuttavia, non può essere un “sentimento”, cioè una cosa che ognuno sente e percepisce in maniera diversa, ma essendo ultima, essendo fondamentale, deve essere vera per tutti, in quanto, se il soggetto A dicesse che la verità è A, e il soggetto B dicesse che la verità è -A, si dovrebbe arrivare alla conclusione che la verità non esiste, in quanto potrebbe essere tutto ed il contrario di tutto. Dunque, se la verità fondamentale esiste, deve essere assoluta. Posto questo, prima di arrivare a chiedersi quale sia la verità, bisogna chiedersi quale sia il metodo per conoscere la verità. San Tommaso d’Aquino afferma: “Veritas est adaequatio rei et intellectus”, “La verità è una corrispondenza tra le cose [la realtà] e l’intelletto”, ponendo prima la realtà e poi l’intelligenza in una ricerca dinamica in quanto l’uomo, colui che conosce o che tenta di conoscere, è mosso verso l’oggetto. La verità, per Tommaso è dunque un lavoro ragionevole sulla realtà. Andando avanti con i secoli, questa definizione così semplice ed immediata per alcuni, è stata messa da parte. In primis vi è stato Cartesio, il quale non si basa sull’evidenza delle cose al di fuori di sé, ma mette in dubbio innanzitutto queste, poi addirittura la sua esistenza, fino ad arrivare a dire che l’unica cosa che si può affermare con certezza è che egli è ed esiste in quanto pensa (“Cogito ergo sum sive existo”), eliminando del tutto la prima parte della definizione tomistica e lasciando solo l’intelletto in quanto non si può davvero conoscere altro che non sia il proprio io. Un secolo dopo, Kant capovolge la proposizione di Tommaso affermando che è l’oggetto conosciuto a doversi adeguare all’intelletto del conoscente. Tra l’Ottocento ed il Novecento, Nietzsche arriva addirittura ad affermare che la verità non esiste, che è solo un’invenzione umana. Ci sarebbero altri mille tentativi da citare, ma dopo mille secoli di storia della filosofia, ci si chiede solo se questa verità davvero esista e, nel caso, quale sia il modo più certo per arrivare ad affermarla. La storia e la scienza hanno portato l’uomo ad un profondo scetticismo sull’ esistenza di qualcosa che sia alla base del senso ultimo delle cose, del creato, qualcosa che leghi davvero tutto, questa cosa a cui l’uomo ha dato il nome di verità. Dunque? Chi può affermare quale sia la via esatta? Bisogna provarle tutte e poi scegliere quella che sembra più consona? Non basterebbe una vita, e sarebbe impossibile e distruttivo, sarebbe come un uomo che, innamoratosi di una donna, per verificare di voler stare con lei, per verificare di essere davvero innamorato, provasse prima a stare con tutte le donne del mondo: impazzirebbe, si scorderebbe di lei, così come l’uomo si scorderebbe della verità, dell’origine da cui è partito. La verità non si raggiunge facendo paragoni tra il più conveniente o il più utile, ma mettendosi in ascolto e guardando il più possibile la realtà, così come afferma Heidegger, anche se quest’ultimo pensa che non si possa afferrare la verità, come si ci fosse un punto di arrivo ma non ci fosse una via. La verità è nella realtà, è nascosta nell’essere, bisogna s-velarla, bisogna togliere la coperta che copre tutte le cose ed entrarci dentro: nelle cose c’è una realtà sconosciuta che chiede, che grida e che pretende di venir fuori a veder le stelle. L’uomo può solo ascoltare questo grido, mettersi a disposizione e diventare strumento della realtà, lo strumento con cui la verità è disposta a farsi s-coprire. L’uomo studia, tenta di conoscere più cose possibili per tentare di fare questo, ma ormai è come se il trantran della vita quotidiana, la fatica dello studio, la merce con cui si scambia la conoscenza (i voti), fossero diventati tragicamente più importanti, come se ci si fosse scordati la ragione ultima del perché si fanno le cose, e ci si dimenticasse del grido della realtà. Dunque serve qualcosa che risvegli l’uomo, in quanto “se possediamo tutti gli elementi di una bella vita, non possiamo fruirne con un’azione immediata, che ci impegni anima e corpo e ci trasformi. Un solo avvenimento ci permetterà questa azione: la guerra” [Manifesto dei giovani arditi] la guerra è dunque intesa come un avvenimento che svegli l’uomo e lo ridesti di fronte al suo desiderio di verità, così come in un uomo si ridesta l’amore di fronte l’amata. È come se la guerra, dunque, come se anche la guerra potesse essere un abbraccio salvatore, uno scoppio che ridesta. La realtà aspetta solo questo: che l’uomo, in qualunque modo possibile, si ridesti. La realtà e la verità sono in attesa dell’uomo, di ogni uomo.