Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del Referente Distrettuale per la formazione decentrata - settore civile - --------------------------------- I bisogni del minore fra autonomia privata e intervento giudiziario Brescia 18 novembre 2015 Relatore Giuseppe Ondei Presidente della sezione famiglia e minori del Tribunale civile e penale di Brescia ***** ***** Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 2 - Settore Civile - - settore civile - SOMMARIO § 1. – Introduzione ........................................................................................................................................... 4 § 1.a - Il concetto di “famiglia” .................................................................................................................... 4 § 1.b - Il “superiore interesse del minore”: definizione ................................................................. 12 § 1b.2 - La normativa internazionale in materia minorile ............................................................ 18 § 1.b.3 - L’interesse del minore nella legge italiana sull’affidamento condiviso: la responsabilità genitoriale ........................................................................................................................... 22 § 1.b.4 - I diritti dei minori ......................................................................................................................... 26 § 2. - L’autonomia dei genitori nelle decisioni riguardanti il minore ....................................... 27 § 3. – L’ascolto come diritto fondamentale del minore .................................................................. 33 § 3.a - Introduzione ...................................................................................................................................... 33 § 3.b – Che cosa è l’ascolto del minore? ................................................................................................ 37 § 3.b.1. - L’ascolto del minore in Francia, Regno Unito e Germania. ............................... 38 § 3.b.2. – L’ascolto del minore nella legislazione italiana: ricognizione normativa ........... 42 § 4. - Le questioni non affrontate ........................................................................................................ 44 § 4.a- I giudizi nei quali il minore deve essere sentito.................................................................... 44 § 4.b - I minori da sentire ........................................................................................................................... 46 § 4.b.1. - La capacità di discernimento .................................................................................................. 46 § 4.c – L’esecuzione dell’ascolto ............................................................................................................... 49 § 4.c.1 - L’ascolto indiretto ........................................................................................................................ 49 § 4.c.2 – Casi di omissione dell’ascolto .................................................................................................. 51 Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 3 - Settore Civile - - settore civile - § 4.e – Le modalità dell’ascolto ................................................................................................................. 55 § 5. – Conclusione ........................................................................................................................................... 59 Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 4 - Settore Civile - - settore civile - § 1. – INTRODUZIONE Quando si deve affrontare un tema delicato e complesso come quello del rapporto tra autonomia privata ed intervento del giudice con riferimento ai bisogni del minore è inevitabile imbattersi in una serie di termini che sono connotati da una forte valenza anfibologica sicché si impone, da subito, la necessità di esplicitare, nel limite del possibile, i concetti che stanno alla base di tali termini dando loro una consistenza concreta e chiara che permetta di “illuminare” nella sua interezza la trattazione. I termini che verranno analizzati sono quelli del “concetto di famiglia” e del cd. “preminente interesse del minore”. Con riguardo al primo termine si avrà cura di individuare la valenza pubblicistica o privatistica del medesimo dal momento che la visione della famiglia in un senso o nell’altro conduce a diverse soluzioni nella valutazione del rapporto tra autonomia privata ed intervento statale in ambito familiare. L’interesse preminente del minore, invece, costituisce una sintagma “contenitore” talmente ampio da permettere all’interprete di veicolare con lo stesso soluzioni non solo discrezionali, ma financo arbitrarie, che potrebbero portare agevolmente e pericolosamente alle derive del cd. diritto “creativo” nelle quali il ruolo del giudice si confonde con quello del legislatore di talché è necessaria una delimitazione del medesimo in termini sufficientemente precisi se non si vuole che tale termine finisca per vivere nella sua solitudine o, per usare un’espressione di Mallarmé, “nel suo nulla”. § 1.A - IL CONCETTO DI “FAMIGLIA” Principiando dal concetto di famiglia va osservato che quando fu promulgato il codice di procedura civile nel 1940 vi era una concezione fortemente pubblicistica della famiglia che informava l’ordinamento giuridico: la famiglia era alla base dello Stato costituendo il luogo ove si sarebbero formati i futuri cittadini, lavoratori e soldati ed il matrimonio non era un istituto creato a beneficio dei coniugi, ma un atto di dedizione e sacrificio degli individui nell’interesse della società di cui la famiglia è nucleo fondamentale. In un siffatto contesto, il valore fondamentale era rappresentato dalla salvaguardia dell’unità della famiglia. Per Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 5 - Settore Civile - - settore civile - questo il matrimonio era indissolubile e la separazione personale che incrinava quell’unità era ammessa, cioè tollerata, soltanto in presenza di gravi evenienze; l’art. 147 c.c., poi, nella sua originaria formulazione, imponeva ai genitori di “conformare l’istruzione e l’educazione della prole alla morale e al sentimento nazionale fascista”. Questa visione della famiglia non venne meno con la caduta del fascismo, tant’è che ancora nel 1965 un grande giurista come Cicu in un suo scritto “Sull’indissolubilità del matrimonio” sottolineava come la famiglia doveva considerarsi “un organismo etico avente ragione in un interesse superiore agli interessi individuali” condividendo una concezione massicciamente permeata dal neo-hegelismo che pervadeva il clima intellettuale italiano tra fine ’800 ed inizi ’900, anche se non può dirsi hegelianamente filologica, perché Cicu legge Hegel conoscendone esclusivamente i Lineamenti di filosofia del diritto1 e non anche la Fenomenologia dello spirito. Di qui, in Cicu, l’esaltazione dell’oggettività della famiglia — per cui nel matrimonio si ha « un uscire dal punto di vista contrattuale, proprio della personalità autonoma nella sua individualità, per annullarlo » (3) — anche nella sostanza.2 Le linee di fondo della codificazione del 1942 sono costituite, guardando al rapporto tra coniugi, dall'affermazione del ruolo dominante del marito nei rapporti con la moglie, dalla connotazione di indissolubilità del matrimonio, dal riconoscimento della possibilità di separazione solo per colpa. Sul versante dei rapporti con i figli, restava rigorosa l'adesione al modello gerarchico, dove il ruolo di vertice era ricoperto solo dal padre, mentre la filiazione naturale, pur ricevendo maggiore riconoscimento che in passato, veniva disciplinata in maniera sfavorevole rispetto alla filiazione intramatrimoniale, come del resto emergeva già 1 È il celebre § 163 di G.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto [1821], trad. it. di F. Messineo, Bari 1913, p. 151. 2In questo senso, la concezione di Cicu non è istituzionale ma organica, poiché la famiglia è un organismo il cui proprium è la « subordinazione delle parti ad un fine con assegnazione di funzioni » (A. Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma 1914, p. 86). E ancora: « A differenza che nel contratto, non si hanno in esso [rapporto matrimoniale] interessi individuali, né contrapposti, né comuni; ma un unico interesse superiore al quale le volontà degli sposi devono prestare ossequio » (Id., Matrimonium seminarium reipublicae, in Arch. giur., 1921, p. 111 ss., ora in Scritti minori, I, 1, Milano 1965, p. 199 ss.). Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 6 - Settore Civile - - settore civile - sul piano letterale dalla scelta di etichettarla come “illegittima”, in coerenza con la scelta di identificare la famiglia giuridicamente rilevante esclusivamente con quella fondata sull'istituto matrimoniale. In breve due erano le questioni squisitamente giuridiche emerse all'indomani della codificazione tuttora vigente: la collocazione, per i motivi sopra accennati, di tale branca del diritto all'interno dell'ordinamento giuridico - se nel diritto pubblico o diritto privato -, e la natura del fenomeno familiare, se cioè questo individui una organizzazione giuridicamente rilevante nel senso di una sua entificazione e in modo tale da ravvisarne interessi suoi propri oppure se si tratti di una formazione intermedia (ex art. 2 Cost.) che l'ordinamento riconosce come preesistente ma la cui giuridica rilevanza resta confinata ad un ruolo strettamente strumentale, vale a dire deputata alla realizzazione della personalità dei singoli che ne fanno parte. Ci vorrà molto più tempo perché si imponga nella società e nel diritto un’idea diversa di famiglia, anche in virtù dell’elaborazione degli articoli 2 e 29 della Costituzione3. E' stato efficacemente osservato che “la famiglia disegnata dal codice del 1942 è una famiglia che nasce già vecchia (…) perché viene ad essere modificata, nella struttura, nei principi, nei valori e nelle scelte ideologiche allorquando, con la caduta del fascismo, si affermano e vengono normativizzati i valori che inaugurano la nuova Repubblica costituzionale”(Ruscello). Nell'interpretazione del testo codicistico, dunque, è emersa da subito la necessità di adeguare tali norme al dettato della Costituzione, con tutte le difficoltà che derivavano dal fatto che nel testo del codice non vi fosse stato un sufficiente livello di maturazione interpretativa, stante la brevità del lasso temporale. La famiglia nella prospettiva costituzionale è una formazione sociale autonoma nei confronti dello Stato che riceve senso e valore nella misura del servizio reso ai suoi membri come mezzo di crescita della loro personalità e di massimazione delle loro felicità. Orbene, in conformità con una tendenza sviluppatasi nelle Costituzioni scritte tra le due guerre, la nostra Carta costituzionale dedica alla famiglia, ad 3 Di “avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti”, parla espressamente cass. 18066 del 20/08/2014. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 7 - Settore Civile - - settore civile - apertura del titolo dedicato ai rapporti etico - sociali, alcuni articoli di fondamentale importanza, colmando quindi una lacuna della sistematica dello Statuto avvertita da più parti. Come emerge con chiarezza dagli Atti dell'Assemblea costituente, gli artt. 29, 30 e 31 conobbero, a causa della loro natura fortemente innovativa, la loro definitiva formulazione solo in seguito ad un travagliato dibattito in cui ai già delicati problemi di natura tecnico-formale si aggiunsero i contrasti prodotti da posizioni ideologiche contrapposte. In effetti, con l'introduzione della Carta costituzionale si assiste all'ingresso di una serie di principi che scardinano il regime preesistente: all'art. 29 della Costituzione si afferma per la prima volta il principio di uguaglianza, morale e giuridica, dei coniugi con l'unico limite della garanzia dell'unità familiare, nel riconoscimento pieno della famiglia come istituto giuridico e come società naturale, all'art. 30 si prevede la massima tutela possibile per la filiazione extra matrimoniale. L’elaborazione sistematica dei principi costituzionali del diritto di famiglia presenta una varietà di interpretazioni dovuta alla complessità della problematica, già evidente se si considera come la famiglia, istituto pregiuridico con aspetto proteiforme, rappresenti un ambito di esperienza assolutamente irriducibile agli schematismi della riflessione giuridica di tipo dogmatico. Nonostante ciò la miglior dottrina costituzionalistica, prima ancora di quella privatistica, ha compreso in maniera incisiva la portata innovativa del dettato costituzionale, senza lasciarsi ingabbiare dal carattere indubbiamente compromissorio di buona parte delle disposizioni in esame che ha talvolta legittimato interpretazioni riduttive (per non dire paralizzanti) della volontà del costituente. Se è innegabile una posizione di privilegio assegnata alla famiglia legittima, intesa come «forma giuridica della convivenza di coppia obiettivamente insuperabile per garanzie di certezza, stabilità dei rapporti e serietà dell'impegno» (Schlesinger), fondamentali sono gli spunti intesi a ricostruire la tematica della famiglia in vista di un disegno unitario di sviluppo della personalità dei singoli individui, facente leva sulla nozione coordinata di famiglia-formazione sociale, emergente dal combinato disposto degli articoli 2 e 29. La tutela dei diritti inviolabili del singolo e garanzie di autonomia della famiglia non possono prescindere da una considerazione più ampia delle inequivocabili scelte di politica legislativa operate dalla Costituzione, con particolare riferimento alle esigenze di Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 8 - Settore Civile - - settore civile - “trasformazione giuridica” della donna e di un complesso di disposizioni volto a determinare uno “statuto dei diritti dell'infanzia e della gioventù”. Non è pensabile, quindi, il disegno tracciato dal costituente in tema di famiglia prescindendo dalle considerazioni emergenti dagli articoli 3, secondo comma e 2 così come necessariamente integrati dagli articoli 31, secondo comma, 36 e 37, tutti riunificati concettualmente dalla tutela funzionale della persona e del suo sviluppo quale necessariamente filtrato da istituzioni sociali (anche lavorative) di base. Nella costituzione si è voluto inserire una visione armoniosa del corpo sociale all’insegna della complementarietà di oikia e polis quasi una sorta di antidoto istituzionale contro le due forme di disumanizzazione che la modernità può determinare: la collettivizzazione statalista e la privatizzazione economicistica entrambe cospiranti verso la massificazione che riduce l’uomo ad individuo, o meglio a mera unità di calcolo demografico. A ciò si aggiunga che le norme costituzionali dedicate alla famiglia hanno carattere immediatamente precettivo e non possono autorizzare nessun tipo di interpretatio abrogans non in sintonia con la loro portata effettiva. Si può in merito affermare che un generale consenso sulla natura certamente precettiva delle norme in esame, si acquisisca solo a partire dal 1966, a seguito del mutato orientamento della giurisprudenza costituzionale. Ciò rappresenta comunque solo una tappa di un lungo e complesso procedimento interpretativo che ha impiegato con funzioni sinergiche dottrina, giurisprudenza ordinaria e costituzionale ed opinione pubblica: se infatti è per sua natura mutevole la famiglia-istituzione, maggiormente mutevoli sono le norme costituzionali al riguardo, stante la loro natura di direttive “in continuo divenire, sempre aperte agli sviluppi della storia ed ai suoi svolgimenti istituzionali” (Bessone). Sancita, così, l'esclusione di qualsiasi discriminazione all'interno della prole, a prescindere dallo status filiationis, e negata ogni eccezione al principio citato, queste norme si inseriscono in un più ampio favor minoris proprio del disegno costituzionale che comprende al suo interno il diritto allo studio, alla pari retribuzione lavorativa, alla formazione professionale, ecc.. La famiglia viene assumendo sempre di più l'aspetto del seminarium rei publicae, cioè del luogo degli affetti privilegiato in vista dell'educazione: è questo un passo irrinunciabile sulla via della “umanizzazione del diritto di famiglia” (Barbiera) (o meglio umanizzazione della funzione della famiglia), rammentata anche dall'articolo 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 9 - Settore Civile - - settore civile - Il mutamento di prospettiva operato dal costituente è coerente con le scelte di fondo ispiratrici del nuovo assetto costituzionale che pongono la persona al centro dell'ordinamento. L'opzione ideologica sottesa alle nuove disposizioni era, infatti, rappresentata dall'abbandono della prospettiva della “famiglia sotto tutela” e il passaggio alla “tutela della famiglia” (Alpa): non più, cioè, un intervento del legislatore volto a tutelare la famiglia come comunità in relazione alla quale i singoli assumono giuridico rilievo, quanto piuttosto una tutela riservata ai singoli in quanto persone, prima, e in quanto persone inserite all'interno della famiglia, poi. In quest'ottica la famiglia diviene la prima di quelle “formazioni sociali” in cui il singolo “svolge la sua personalità”, contemplate all'art. 2 della Costituzione. Ma la Carta costituzionale non si limita a disegnare una famiglia chiusa nella sua “privatezza” ovverossia nella individualità dei suoi componenti e ispirata al primato del diritto soggettivo. L’autonomia della famiglia protetta dal diritto di privatezza coniugale trova il limite indicato dallo stesso art. 2 Cost. ossia nel principio della solidarietà, il quale impedisce che il primato del dovere affermato dalla morale domestica coniugale si converta nel primato del diritto soggettivo, con la conseguenza di dissolvere la famiglia nelle relazioni interindividuali dei suoi componenti cioè in una serie scoordinata di rapporti tendenzialmente conflittuali. In buona sostanza la costituzione garantisce i diritti dei membri della famiglia ma chiede in pari tempo che il loro esercizio si sottometta alla regola della solidarietà. Luigi Mengoni, in punto, ebbe a sottolineare che una deregolamentazione che indebolisce questa regola sarebbe contraria allo spirito della Costituzione, “né basterebbe a giustificarla un mutamento del costume del resto finora non verificato né prevedibile perché lo Stato non può avallare o addirittura consolidare con il presidio della legge (la quale, peraltro, contribuisce essa stessa in misura rilevante alla formazione della coscienza sociale) un costume che risulti incompatibile con i valori morali verso i quali la nostra Costituzione volle indirizzare la nostra società (corte cost. 127/1968)”. La lettura dell’art. 29 cost. nel quadro dell’art. 2 Cost. ottiene così un guadagno ermeneutico: l’identificazione dell’unità della famiglia con l’accordo dei coniugi implicita nel principio di uguaglianza viene mediata dal principio di solidarietà. Nell’unità della famiglia il fine di ciascuno dei membri diventa lo Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 10 - Settore Civile - - settore civile - sviluppo e la felicità dell’altro e in questo senso i diritti dei membri della famiglia si esprimono come diritti della famiglia. In definitiva, la Costituzione lega il concetto di famiglia a quello della dignità della persona umana senza cadere nell’equivoco di stampo illuministico che riduce il matrimonio a strumento del cd. diritto alla felicità individuale, proprio con il forte richiamo al principio della solidarietà del quale l’unità familiare è delle più vivide espressioni fenomeniche. Se, pertanto, oggi si può dire che nel diritto sostanziale e soprattutto nella società reale il concetto di famiglia ha un ben diverso significato rispetto a quello originario del codice civile non si può dire altrettanto del sistema processuale che sino al 2014 ha continuato a regolare la crisi del rapporto matrimoniale secondo un paradigma che nelle sue linee generali appariva praticamene fermo all’epoca di promulgazione del codice di procedura civile e cioè ad epoca precedente alla Costituzione repubblicana e che era ormai del tutto anomalo nel panorama europeo. E’ noto, infatti, che nella grandissima parte dei paesi dell’Unione Europea la soluzione della crisi matrimoniale è direttamente il divorzio; la separazione è prevista per lo più in Europa, seppure con ovvie e significative differenze tra un ordinamento e l’altro (e tranne che in Romania dove l’istituto è del tutto sconosciuto), ma solo come alternativa al divorzio, ossia come una forma di attenuazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, e comunque mai come condizione per pervenire al divorzio. Ma i residui e persistenti riflessi di quella concezione tesa alla salvaguardia dell’unità della famiglia, che ha informato le scelte del legislatore del 1940, sono molteplici, a partire dal tentativo di conciliazione, risalente per la separazione al codice di procedura civile del 1940 e ripreso nel 1970 dal legislatore del divorzio, tentativo affidato al presidente del tribunale perché (all’epoca) persona autorevole e saggia che avrebbe dovuto indirizzare i coniugi verso il salvataggio del matrimonio. Un altro punto, però, che va ribadito è che, nell’impostazione tutt’ora vigente del codice di procedura civile e della legge sul divorzio, l’intervento del pubblico ministero nel processo di separazione - non previsto dal codice del 1865 e introdotto dal codice del 1940 -, così come l’intervento nel giudizio di divorzio, non è solo funzionale alla tutela degli interessi dei minori, in quanto è previsto in termini generali in tutti i procedimenti di separazione e divorzio a prescindere dall’esistenza dei minori, ma costituisce anche uno dei riflessi del carattere Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 11 - Settore Civile - - settore civile - pubblicistico che caratterizza la crisi della famiglia nata dal matrimonio4 . E rilevanti regole sono stabilite anche in ordine agli aspetti patrimoniali che coinvolgono esclusivamente i coniugi: l’art. 5 della legge sul divorzio che regola l’assegno divorzile impone un generale obbligo di trasparenza, con il deposito delle dichiarazioni dei redditi e di ogni documentazione relativa al patrimonio che implica l’onere di allegare anche elementi contra se in contrasto con i principi generali che regolano il processo civile, prevedendo nel contempo poteri e strumenti di indagine anch’essi assolutamente peculiari rispetto all’ordinario giudizio di cognizione; del pari, la determinazione di un assegno una tantum è soggetta ad una valutazione di equità da parte del tribunale. del carattere pubblicistico che caratterizza la crisi della famiglia nata dal matrimonio. E’ questo, in sintesi, il quadro nel quale a settembre 2014 viene emanato il decreto legge n. 132 del 2014 che prevede nel Capo II la procedura di negoziazione assistita da un avvocato, con una specifica disciplina nell’art. 6 delle “soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni delle separazione o di divorzio”, mentre l’art. 12 disciplina invece la “separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile”; e l’esposizione che precede è essenzialmente funzionale a sottolineare come sul piano sistematico la nuova normativa finisca con il risultare “eversiva” rispetto al precedente sistema di regole, tanto più perché l’art. 2 della predetta normativa chiarisce esplicitamente al n. 2 che “la convenzione di negoziazione deve precisare: a) …; b) l'oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili…”; ed è chiaro che la medesima impostazione informa anche l’art. 12; con la conseguenza che da quel momento in Italia si hanno un divorzio e una separazione che si possono fare dinanzi all’ufficiale dello stato civile o con l’ausilio di avvocati, senza apparenti controlli se non funzionali alla tutela dei figli e sulla base di una pretesa disponibilità dei diritti oggetto dell’accordo, ed un divorzio ed una separazione che invece prevedono la decisione finale, nelle forme dell'omologa o della sentenza di divorzio congiunto, demandate ad un collegio del tribunale, con l’intervento obbligatorio del pubblico ministero e con il tentativo obbligatorio di conciliazione: non sono solo due (o tre) modi diversi di separarsi o di divorziare, 4 cfr. cass. 03/12/1987, n. 8976; Vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, Zanichelli Editore, pag. 50, ove si osserva che la ratio dell’art. 70 “va individuata nell’esigenza di tutelare l’interesse superiore della famiglia, interesse pubblico che del resto è ravvisabile ogni qualvolta la legge impone la partecipazione di questo organo al processo civile”; così come si ritiene indisponibile la materia dell’addebito della separazione; da ultimo, cfr. cass. n. 7.998 del 04/04/2014. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 12 - Settore Civile - - settore civile - ma in realtà sono il riflesso di due concezioni radicalmente diverse e difficilmente compatibili della separazione e del divorzio.5 Da ultimo anche la corte costituzionale con la sentenza 5 novembre 2015 n. 223 (che ha dichiarato appunto inammissibile una questione di legittimità mirata ad eliminare la previsione di non punibilità stabilita, al primo comma dell'art. 649 cod. pen., per i reati contro il patrimonio commessi, senza violenza personale, in danno di "stretti" congiunti (coniuge non legalmente separato; ascendente, discendente o affine in linea retta; adottante o adottato; fratello o sorella conviventi) ha esplicitamente confermato in un passaggio della motivazione la nuova concezione della famiglia come si è venuta delineando nei tempi odierni laddove in particolare ha precisato che “… il tipo di economia familiare nel quale potevano intervenire i reati de quibus all'epoca del codice Zanardelli (e, ancora, all'epoca di approvazione del codice vigente) era ben diverso da quello odierno. Le donne erano spesso prive di reddito, gli uomini disponevano della dote della moglie e, più in generale, esercitavano una potestà ampia ed indivisa sui figli, oltre che sulla coniuge. V'era insomma - in generale - un centro unitario di interesse e di "comando", al cui cospetto i diritti altrui sembravano meritevoli di affievolimento, nella concomitante aspettativa culturale e giuridica di un matrimonio indissolubile, e di una famiglia coesa (quasi) a qualunque costo, con ampi margini di soccombenza per i diritti individuali della persona. Quella stessa posizione dominante del marito e del padre, d'altra parte, pareva probabilmente "compensativa" (cioè capace di provvedere la tutela in alternativa a quella propria dell'ordinamento) per l'ipotesi di reati commessi da familiari diversi”; e poi ha aggiunto che “l'eguaglianza tra i coniugi, e la pari responsabilità di costoro verso i figli (responsabilità, appunto, più che potestà) non può che imporre un riequilibrio degli automatismi espressi dalla disciplina censurata, ed in particolare dal primo comma dell'art. 649 cod. pen.: che la rinuncia alla punizione valga a preservare l'unità del nucleo familiare, e che comunque una tale ipotetica unità prevalga ad ogni costo sulla libera determinazione degli individui nei rapporti patrimoniali e familiari con altri individui, è giustificazione oggi non più razionale”, almeno e proprio nella sua dimensione astratta ed oggettiva, per la disciplina penale di favore”, prospettando così, di fatto, un anacronismo legislativo. § 1.B - IL “SUPERIORE INTERESSE DEL MINORE”: DEFINIZIONE La tutela dei minori, e la promozione dei loro interessi, rappresenta una delle grandi sfide che la società contemporanea rivolge non solo alla regolazione giuridica dei singoli Stati ma, in particolar modo, a tutti gli interventi della sfera pubblica. L’attenzione rivolta alla tutela dei fanciulli è, infatti, presente, già da parecchi decenni, nella maggior parte degli ordinamenti statali i quali si sono gradualmente impegnati a “costituire in discipline epistemologicamente autonome sia il diritto di famiglia in generale che il diritto minorile in particolare”. A tutti è noto come nel contesto occidentale in cui viviamo, seppur con apparenti segni di benessere rispetto ad altre realtà sociali e culturali non distanti 5 G. Dosi, La negoziazione assistita da avvocati, Giappichelli Editore, p. 34, parla di trasferimento “in un’area inedita di indisponibilità attenuata” Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 13 - Settore Civile - - settore civile - da noi, assistiamo quotidianamente a gravi ed allarmanti contraddizioni sull’infanzia. Infatti nelle nostre città, piccole o grandi che siano, esistono molti, anzi troppi, bambini abbandonati non tanto all’interno di comunità o istituti assistenziali quanto nelle loro stesse famiglie; molti bambini abusati non solo sul piano fisico ma spesso sul piano psicologico anche attraverso quella terribile, e sempre crescente, forma di violenza che è costituita dalla trascuratezza; molti bambini manipolati non solo dalla famiglia ma anche da parte di istituzioni che impongono loro false identità; molti bambini dimenticati e indifesi perché i loro diritti fondamentali sono misconosciuti da agenzie educative che li emarginano, da servizi pubblici poco attivi e da famiglie spesso affettivamente assenti o pedagogicamente insufficienti; molti bambini a cui è stata negata l’infanzia perché troppo presto oberati da responsabilità che pesano come un macigno sulla loro vulnerabile età; molti bambini diversamente abili che nascono e crescono all’interno di famiglie spesso lasciate sole e che, con estrema fatica, vivono il senso di appartenenza con nuclei familiari che condividono con loro lo stesso percorso: età dei bambini, frequenza della stessa scuola, dello stesso quartiere, della stessa comunità religiosa, delle stesse realtà ludiche e sociali. Le solenni Dichiarazioni internazionali stipulate negli ultimi decenni hanno gradualmente cercato di attenuare questi pericoli e queste allarmanti diversità riconoscendo ai minori una particolare titolarità di diritti e di interessi, soprattutto in considerazione della loro condizione di soggetti in formazione. Garantire, quindi, la protezione e la tutela effettiva dei diritti e degli interessi di coloro che si affacciano alla vita costituisce, ora più che mai, una priorità assoluta su cui nessuno può sentirsi esonerato. Nonostante ciò, è solo dalla fine degli anni ottanta che si è sviluppata, nella maggior parte dei Paesi europei, una cultura fondata sulla attenzione e sulla solidarietà (principi che sono alla base di una comune etica sociale) verso la condizione dei minori e, in modo particolare, verso il loro armonico sviluppo. Si è così diffusa, seppure con estrema fatica, una più matura comprensione sul fatto che la tappa dell’infanzia coincida con un momento fondamentale nello sviluppo di ogni persona; che ogni bambino costituisce e porta con sé, fin dalla nascita, un valore unico ed irripetibile che deve essere rispettato e protetto e che non può, in modo alcuno, essere considerato alla stregua di un adulto in miniatura, un soggetto cioè che può essere utilizzato e plasmato a discrezione e secondo gli esclusivi interessi di noi adulti; che i possibili e drammatici comportamenti devianti, assunti nel corso del processo di crescita e di maturazione, devono essere corretti e tollerati nel tentativo di recuperare e di educare il soggetto in formazione senza così emarginarlo e, infine, che al minore devono essere assicurati, in particolare in un contesto sempre più multiculturale Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 14 - Settore Civile - - settore civile - come quello in cui viviamo, spazi di autonomia e di libertà tali da far maturare in lui autentici valori di giustizia e di solidarietà. Tali valori, infatti, oltre ad essere riconosciuti a ciascun individuo, possiedono per i fanciulli un significato molto peculiare: contribuire alla formazione di una personalità che si troverà a dover fare fronte alle numerose ed inaspettate sfide della vita. Consideravo doveroso partire da tali premesse per ricordare che il dovere di riconoscere un primato sui diritti di ogni bambino non derivi dal considerare il fanciullo come un individuo costitutivamente debole, bensì dall’interpretare l’innocenza e la debolezza (caratteristiche che sono proprie di un soggetto in formazione) come un dovere esplicito da parte di ciascuno di essere in grado di impostare in modo adeguato -alle esigenze di un minore- tutte le dinamiche e gli aiuti che coincidono con la preminente tutela dei suoi interessi evitando, in tale modo, l’annullamento o il soffocamento dei legittimi interessi di cui il bambino è portatore. § 1. B .1 - P ORTATA GIURIDICA DEL CONCETTO DI INTERESSE DEL MINORE Per meglio però comprendere la centralità e lo sviluppo del concetto in esame ritengo, fin da ora, utile e doverosa una precisazione terminologica. Malgrado venga utilizzato il termine di interesse è d’obbligo rammentare che i beni inclusi come oggetto di protezione, nel medesimo concetto, non sono riconducibili al significato solitamente attribuito alla categoria dei meri interessi, cioè alle posizioni giuridiche soggettive di rango inferiore. Al contrario, nella formulazione in esame, rientrano beni da proteggere che possiedono la categoria di diritti soggettivi. Ne deriva, quindi, che dovrebbero essere denominati diritti dei minori, in quanto il richiamo all’interesse del minore trova la sua origine nel considerare il fanciullo come effettivo titolare di diritti universalmente riconosciuti quali la libertà, la salute, l’istruzione e la formazione. L’obbligo di garantire tali diritti deve essere perseguito anche nel caso in cui si dovessero riscontrare situazioni di netta contrapposizione con gli interessi degli adulti; ciò significa che agli adulti deve essere preclusa ogni azione atta a limitare lo sviluppo di tali diritti inviolabili, purché il fanciullo abbia raggiunto quel grado minimo di maturità necessario per la tutela autonoma dei suoi interessi. Il diritto minorile, come è stato autorevolmente affermato, viene quindi a coincidere con un “diritto dei diritti del minore” e cioè al vasto insieme di norme che raccolgono tutti quei diritti che sono riconosciuti ad ogni cittadino e che assumono una particolare caratteristica in rapporto alla peculiare situazione del suo destinatario (o titolare). Tale peculiarità deriva dalla sua condizione di soggetto in formazione. Il diritto dei minori, quindi, non si Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 15 - Settore Civile - - settore civile - definisce più come un diritto risultato di una società di proprietari espressione di un’antropologia giuridica che si premurava di proteggere il minore dai rischi di atti negoziali capaci di arrecagli pregiudizi economici né come un diritto che considera esclusivamente il comportamento che gli adulti devono assumere verso i fanciulli, né tanto meno i doveri degli stessi fanciulli nei confronti della comunità di appartenenza. Deve essere considerato, invece, come un diritto complesso, fondato sui reali bisogni e sulle concrete esigenze di una personalità in evoluzione, avente per oggetto l’identificazione degli strumenti (giuridici e sociali) necessari per rispondere alla legittima aspirazione alla libertà. Tale aspirazione, nel caso del minore, necessita di mezzi finalizzati ad assicurare appropriate condizioni di vita che consentano una graduale e responsabile conquista verso la libertà. Il concetto di interesse del minore risulta oggi il principio cardine su cui si fonda sia la legislazione familiare e minorile sia la normativa sociale nella maggior parte dei paesi occidentali6 . Il concetto in esame è espressamente sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo di New York del 1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia attraverso la L. 176/1991), nella Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996 (ratificata e resa esecutiva in Italia attraverso la L. 77/2003), nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza nel 2010. La Convenzione ONU sui diritti del bambino, di cui celebriamo il venticinquesimo anniversario, risulta il trattato internazionale in materia di diritti umani che ha ottenuto il maggior numero di ratifiche11 fatta eccezione (ad oggi) per gli Stati Uniti e la Somalia. Il ricordo, inevitabilmente, riporta la nostra memoria a quel lontano 20 novembre del 1989 quando, quasi a voler commemorare il bicentenario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, venne presentata all’approvazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Magna Charta dei diritti del bambino: un corpus legislativo composto da ben cinquantaquattro articoli che, ratificato dalla maggioranza assoluta dei Paesi, ha modificato radicalmente il concetto giuridico sotteso alla figura del minore innovando, in modo coraggioso e significativo, tutte quelle tutele già attribuite alla figura del bambino dagli ordinamenti internazionali, il quale, in forza di questa nuova intesa tra i popoli, deve essere considerato soggetto attivo di diritti e non più oggetto 6 Cfr. M. DOGLIOTTI, Sul concetto di diritto minorile: autonomia, favor minoris, principi costituzionali, in Dir.fam. pers., 1977, pp. 954 ss. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 16 - Settore Civile - - settore civile - passivo che necessita di generiche cure e tutele. In virtù di ciò che viene solennemente stabilito nella Convenzione, che ricordiamo essere vincolante per gli Stati che l’hanno ratificata, ad ogni bambino deve essere garantito: un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale (ex art. 27), il migliore stato di salute possibile nonché la possibilità di poter beneficiare dei servizi medici e di riabilitazione (ex art. 24), la protezione contro ogni forma di sfruttamento economico (ex art. 32), la possibilità di accedere ad una educazione e formazione lavorativa in funzione delle capacità che gli sono proprie (ex art. 28). Accanto a ciò la Convenzione stabilisce che il criterio del miglior interesse del minore, clausola da adottare nel caso in cui si debbano prendere provvedimenti giurisdizionali e nella predisposizione di percorsi di promozione e tutela da parte della Pubblica Amministrazione, debba essere sempre considerato come prevalente. Come è noto, non spetta generalmente alle fonti normative definire i concetti; quelle di rango internazionale hanno già svolto un importante ruolo, in quanto hanno favorito l’impegno dei legislatori nazionali e della giurisprudenza dei vari ambiti e livelli - che ha cercato di considerare l’interesse del fanciullo come baricentro di tutta la normativa familiare e minorile. Molti studiosi però sono concordi nell’affermare la concreta necessità di pervenire ad una definizione esplicita dell’interesse del minore. Malgrado ciò, nessuna legislazione o giurisprudenza è riuscita a fornire una definizione del concetto che abbia come fondamento criteri oggettivi. E ciò non dovrebbe sorprendere eccessivamente; l’interesse del minore, nelle fonti giuridiche indicate, è una clausola di carattere generale che ex natura sua concede largo spazio alla discrezionalità interpretativa. Può stupire, al contrario, la totale mancanza di criteri mirati a circoscrivere tale discrezionalità, eccezion fatta per il Regno Unito con il Children Act del 1989, nel cui preambolo si statuisce che “quando una corte decide in merito a qualsivoglia questione concernente la cura e l’educazione di un minore o l’attribuzione di redditi che ne derivano, dovrà considerare il benessere del minore quale criterio preminente di valutazione”. Nella cultura giuridica europea si è, quindi, assistito, pur con le naturali differenze che rispondono alle peculiarità dei singoli Stati, ad una nuova sensibilità verso la tutela giuridica dei minori ed in particolar modo dei loro preminenti interessi; tale principio è divenuto fulcro della regolazione giuridica sull’infanzia identificando, tale concetto, come principio ispiratore dei rapporti tra la sfera pubblica e quella privata in ambito familiare. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 17 - Settore Civile - - settore civile - L’evoluzione ed i repentini cambiamenti in atto all’interno della famiglia, nella cultura occidentale, sono un dato acquisito; l’attenzione degli studiosi, specialmente a partire dagli anni settanta, si è concentrata nell’elaborare una concezione sempre più personalistica dell’istituto matrimoniale e familiare. Simile prospettiva si è identificata, col passare del tempo, nella maggiore attenzione riposta sugli interessi dei singoli componenti del nucleo familiare. Tale concezione, come sopra visto, intende coniugare la dimensione istituzionale con la solidità delle relazioni simmetriche (tra coniugi) e asimmetriche (tra genitori e figli) proprie della famiglia tutelando, con varie misure, che i legami giuridici intrafamiliari siano fondati su relazioni personali e personalizzanti. A nessuno sfugge che questa concezione abbia comportato delle conseguenze complesse e inquietanti rispetto alla stabilità del matrimonio, soprattutto, in merito al mantenimento del vincolo coniugale. Tuttavia, rispetto alla tutela dell’interesse del minore, la concezione personalistica della famiglia risulta oggi un progresso indispensabile, di cui debbono essere maggiormente apprezzati i vantaggi rispetto ai rischi. La famiglia infatti è l’ambito all’interno del quale si determina il primo e più importante processo di socializzazione del minore ed è proprio dalle relazioni, più o meno solide, tra i vari membri che dipende lo sviluppo della sua personalità. La prospettiva personalistica sulla famiglia ha provocato, inoltre, l’integrazione e la revisione dei consueti principi regolatori in merito alla tutela dei minori. Il principio tradizionale, in ambito giuridico, è stato soprattutto quello della rappresentanza legale del minore affidata al genitore, considerato come unico interprete e depositario delle necessità e delle volontà dei figli, in forza della ormai secolare idea della coincidenza tra i suoi interessi e quelli del fanciullo. L’evoluzione personalistica ha fatto emergere altresì l’esigenza di affiancare, alla tradizionale rappresentanza legale, la garanzia della giusta autonomia del minore. Le scienze umane, in particolare la psicologia, hanno arricchito la comprensione della condizione del fanciullo come soggetto in evoluzioneformazione, quindi bisognoso di aiuto e di tutela, fino al suo inserimento autonomo nella società. Il contributo principale di tali discipline consiste nello svelare che le varie esigenze del minore, in ciascuna delle sue fasi evolutive, non possono essere lasciate all’improvvisazione ma richiedono una programmazione saggia ed una puntuale verifica. In tal senso, nella nozione di interesse del minore è implicita la necessaria progettualità (da parte del legislatore) insita nel concetto stesso: l’attività giurisdizionale si fonda quindi in un progetto ancorato nell’impegno concreto di favorire lo sviluppo del minore in vista di un suo maturo e responsabile inserimento nella comunità sociale. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 18 - Settore Civile - - settore civile - I diritti e gli interessi, di cui il fanciullo è legittimo titolare, non vengono più intesi come subordinati esclusivamente ai diritti ed agli interessi della sua famiglia di origine, bensì in rapporto a ciò che il minore necessita in quel determinato momento. Questa è la conseguenza concreta del graduale processo che ha condotto a non considerare più il fanciullo come un soggetto debole e immaturo, ma come un vero cittadino portatore di concreti diritti soggettivi. Tale sguardo innovativo obbliga a favorire, in dottrina e in giurisprudenza, ogni sostegno finalizzato ad una crescita del minore fornendogli, in tal modo, tutti gli strumenti necessari per divenire maturo protagonista della sua storia e del suo futuro. § 1B.2 - LA NORMATIVA INTERNAZIONALE IN MATERIA MINORILE Nella legislazione internazionale del secolo scorso si apprezza l’evoluzione testé indicata; prima di essa, la posizione del minore era stata da sempre collocata in una zona d’ombra, sia per ciò che concerne la sua personalità, sia in riferimento alla sua tutela. Non sono trascorsi molti anni da quando, in senso giuridico, il fanciullo era considerato fondamentalmente alla stregua dei malati e degli inabili, cioè non in grado di agire in modo autonomo. Tale interpretazione dipendeva dall’idea di totale subordinazione del minore nei confronti dei genitori. La concezione nuova che soggiace alla normativa internazionale rende ragione del lungo cammino compiuto volto a promuovere, garantire e tutelare, il minore come vero cittadino. Nell’ambito dell’ordinamento internazionale la tutela dei minori e dei loro interessi fu affrontata, per la prima volta, nel periodo immediatamente successivo all’industrializzazione. Ciò si spiega in quanto il concetto in sé di interesse del minore era strettamente correlato allo sfruttamento dei fanciulli nel mondo del lavoro. Agli inizi del secolo scorso, in seno alla Conferenza Internazionale di Diritto Privato svoltasi all’Aja nel 1902 emerse, con forza, l’urgenza di favorire una nuova sensibilità verso il minore lavoratore. Ulteriore traguardo in materia minorile si raggiunse ad opera dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) che nel 1919, anno della sua fondazione, si impegnò a promuovere lo sviluppo minorile in materia internazionale con particolare attenzione all’accesso del minore al mondo del lavoro25, nonché alla sua tutela sociale e previdenziale. Alla Convenzione del 1919 Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 19 - Settore Civile - - settore civile - sono susseguiti numerosi atti normativi che hanno rappresentato un sistema strutturato di tutela dei minori lavoratori. Ma è con la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo di New York del 1989 che vengono raccolti, in forma unitaria, i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali che si devono riconoscere ad un soggetto in formazione. Il principio generale, canone interpretativo di tutti gli istituti giuridici a tutela di un fanciullo, viene quindi a coincidere con l’interesse supremo del fanciullo, di cui l’art. 3 fa esplicito richiamo: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. L’interesse del minore ovviamente è quello di avere uno sviluppo fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità; un nome e una nazionalità, le cure mediche adeguate, l’alimentazione, la tutela della salute, l’educazione, una crescita serena, la protezione da pratiche vessatorie e discriminanti. Appare, infatti, evidente, dalla chiara formulazione dell’art. 3, che il criterio del preminente interesse risulti indirizzato a regolare in particolare tutte quelle situazioni giuridiche in cui gli interessi del fanciullo siano in opposizione con gli interessi di altri soggetti a lui contrapposti7; conseguenza immediata risulta quindi il riconoscimento al minore di uno status autonomo ed indipendente rispetto a quello degli adulti nonché di un impegno, da parte degli Stati, di assumere l’obbligo di far rispettare a tutti i diritti sanciti. Con la predetta Convenzione per la prima volta si pone l’accento sulla necessità di favorire lo sviluppo armonico della personalità del minore dotato di legittime aspirazioni, potenzialità e caratteristiche che dovranno essere rispettate dagli adulti e dalla comunità sociale. In questa prospettiva emerge un palese richiamo affinché ogni adulto si impegni a contribuire non solo alla armonica crescita del minore ma, in particolare, alla sua realizzazione personale limitandone ansie, paure e incertezze in modo da rendere meno difficile un suo maturo e 7 Cfr. V. BUONOMO, A vent’anni dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, in Asprenas, 2010, pp. 49-69; M.FREEMAN, Why it remains important to take Children’s Rights seriously, in The International Journal of Children’s Rights, 2007, pp. 5-23; L. FADIGA (a cura di), Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Scritti di Alfredo Carlo Moro, Milano, 2006, pp. 129142; P. STANZIONE, Personalità, capacità e situazionigiuridiche del minore, in Dir. fam. pers., 1999, pp. 260 ss. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 20 - Settore Civile - - settore civile - responsabile inserimento nella società. Fiducia, sicurezza e disponibilità vengono ad essere prerogative fondamentali da garantire a ogni bambino, prerogative che lo aiuteranno a una solida costruzione del suo destino non solo come uomo, bensì come responsabile cittadino in grado di rispondere alle molteplici sfide che si troverà a dover fronteggiare8. Ulteriore menzione, circa il supremo interesse del minore, viene fatta all’art. 9 della Convenzione ONU dove si afferma il diritto del fanciullo di intrattenere regolarmente relazioni con entrambi i genitori, purché ciò non sia contrario ai suoi preminenti interessi; si prevede altresì che gli Stati parti vigilino affinché il bambino non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che, sempre nel rispetto delle leggi procedurali, l’allontanamento risulti necessario nel suo preminente interesse. Ciò significa che la possibilità di intrattenere regolarmente rapporti e relazioni con entrambi i genitori non dovrà limitare, in alcun modo, il suo naturale e graduale sviluppo psico-fisico. Da quanto si è detto emerge che definire l’interesse del minore9 necessiti di una previa e motivata analisi della situazione personale in cui il fanciullo si trova a vivere; risulta implicito quindi che tale criterio deve potersi modellare in rapporto alle concrete realtà storiche e sociali nonché ai mutamenti culturali ed ambientali che fanno da corollario nella vita del fanciullo. Ancora una volta è opportuno ribadire come si debba giungere alla formulazione circa il reale interesse del minore favorendo il contributo offerto dalle scienze umane, superando così eventuali lacune che possano derivare da una lettura meramente giuridica del concetto in esame. In conclusione, si può affermare che la Convenzione del 1989 renda testimonianza non solo di un esplicito impegno sociale a tutela dei minori, ma 8 L’attenzione e lo sviluppo della personalità del minore emerge come priorità nella Convenzione ONU del 1989 (cfr. art. 29, lett. a). Per approfondimenti cfr. A. BOWERS ANDREWS, Assicurare adeguate condizioni di vita per lo sviluppo, in V. BELOTTI – R. RUGGIERO (a cura di), Vent’anni, pp. 173-186; J. QVORTRUP, I bambini e l’infanzia nella struttura sociale, in H. HENGST – H. ZEIHER (a cura di), Per una Sociologia dell’Infanzia, Milano, 2004, pp. 25-44; M. FREEMAN, The future of Children’s Rights, in Children and Society, 2000, pp. 277- 293. 9 Sulla nozione di interesse del minore sono state avanzate, nel corso degli anni, non poche critiche. In Francia il giurista J. Carbonier definiva il concetto in esame come una “nozione magica”, analogamente a quanto sostiene la sociologa francese I. Théry identificando l’interesse del minore ad una “pozione magica”; in Italia G. Dosi accomuna la nozione ad una sorta di “passepartout discrezionale”. Per una approfondita analisi sulle critiche formulate, cfr. P. RONFANI, L’interesse del minore: dato assiomatico o nozione magica?, in Sociologia del diritto, 1997, pp. 27-54. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 21 - Settore Civile - - settore civile - anche di un autonomo riconoscimento giuridico finalizzato a stabilire il preminente interesse come criterio prevalente e unico da rispettare. La Convenzione europea di Strasburgo del 1996 oltre che specificare alcuni principi già contenuti nella Convenzione ONU del 1989 -come l’importanza della famiglia nella promozione dei diritti e degli interessi dei fanciulli- richiama, nel Preambolo, il preminente ruolo di riconoscere l’esclusività ai genitori nella tutela e nella promozione dei diritti e degli interessi dei figli, invitando gli Stati a promuovere politiche atte a favorire la famiglia. Si riconosce altresì al minore la “possibilità di partecipare (in prima persona o attraverso terzi) ai procedimenti che lo riguardano, quelli cioè in materia familiare e relativi all’esercizio delle responsabilità genitoriali” (art. 1); il diritto quindi ad essere informato e ad esprimere la propria opinione nei procedimenti davanti all’autorità giudiziaria (art. 3) è una delle conquiste a tutela dell’infanzia di cui si è fatta eco la Convenzione di Strasburgo del 1996. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, dopo aver solennemente enunciato, nel Preambolo, i principi su cui si fonda la nostra comunità, si sviluppa in 54 articoli in cui emergono valori comuni quali la dignità, la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà che, lungo i secoli, hanno accompagnato la cultura occidentale. Tali valori impegnano i popoli europei a creare tra loro un legame sempre più solido nell’intenzione comune di contribuire all’edificazione “di un futuro di pace fondato nella consapevolezza del suo patrimonio spirituale e morale”. L’art. 7 della Carta di Nizza si impegna altresì a rispettare la vita privata e familiare garantendo, in tal modo, una tutela verso ingiustificate ingerenze esterne concedendo alla famiglia maggiori spazi di autonomia nei confronti dei pubblici poteri.10 Ma è l’art. 24 che sancisce i diritti fondamentali del bambino riconoscendo il suo preminente interesse rispetto a quelli degli adulti. Oltre ad enunciare il diritto alla protezione e alle cure, si garantisce al fanciullo il naturale diritto a perseguire il suo legittimo benessere: concetto che non si limita solo alla salute fisica o psichica bensì all’obbligo di favorire e tutelare un suo integrale e armonico sviluppo. Successivamente si riconosce al minore il diritto a esprimere liberamente la propria opinione, la quale sarà presa in considerazione tenendo presente dell’età e della maturità. Infine si ribadisce che qualsiasi atto compiuto da autorità pubbliche o da 10 Cfr. G. FERRANDO, Manuale di diritto, pp. 218-219; C. MCGLYNN, Families and the European, pp. 174-175. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 22 - Settore Civile - - settore civile - istituzioni private dovrà tenere in considerazione il preminente interesse del bambino come unico criterio11, modalità che dovrà essere adottata anche per garantire il diritto di intrattenere relazioni con entrambi i genitori (nell’ipotesi in cui la convivenza familiare venisse a cessare). § 1.B.3 - L’INTERESSE DEL MINORE NELLA LEGGE ITALIANA SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO: LA RESPONSABILITÀ GENITORIALE L’affidamento dei figli, in seguito alla separazione dei coniugi, è stato disciplinato dagli artt. 155-155 sexies c.c., nel testo introdotto dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54, recante Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli. Tale provvedimento legislativo risulta l’approdo di un lungo ed atteso iter volto ad adeguare la normativa italiana, sebbene solo parzialmente, alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo di New York del 1989, alla Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996 e, ancor di più, alla Convenzione adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 3 maggio del 2003 a Vilnius (Lituania), diretta a garantire la piena titolarità del fanciullo a mantenere contatti con entrambi i genitori. La Novella in esame, capovolge, quindi il precedente regime codicistico italiano, in cui l’affidamento monogenitoriale, esclusivo ed obbligatorio, rappresentava la regola generale; in tale forma è stato recepito il principio fondamentale secondo cui il minore ha diritto di crescere e di essere educato nell’ambito della propria famiglia (già sancito in Italia dalla L. 184/1983, novellato successivamente dalla L. 149/2001). E pure la L. 219/2012 recante disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali (ed il successivo D.lgs. 154/2013), adottate in vista di una eliminazione di qualsivoglia discriminazione dei figli naturali va annoverata tra i più recenti e meritevoli progressi in tema di interesse del minore. 11 Cfr. P. F. LOLITO, Commento all’art. 24, in R. BIFULFO – M. CATALBIA – A. CELOTTO (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Bologna, 2001, pp. 185 ss. 16 Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 23 - Settore Civile - - settore civile - La nuova disciplina introdotta dalle suddette novelle legislative si caratterizza, anzitutto, per il fatto di non essersi limitata esclusivamente a sancire il principio dell’affidamento condiviso; non solo stabilisce che anche in caso di separazione personale dei coniugi il figlio abbia il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi ma, altresì, che il minore stesso abbia diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. In buona sostanza il legislatore, anche sulla scorta di orientamenti emersi in sede internazionale, ha inteso riconoscere e attuare pienamente il diritto del minore ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, prevedendo la loro partecipazione attiva nella vita del figlio anche successivamente alla disgregazione del nucleo familiare abbandonando, in tale modo, la tradizionale distinzione di ruoli tra genitore affidatario e genitore non affidatario. Anche a livello europeo, infatti, a decorrere dal 1 marzo 2005 si è dato luogo all’applicazione delle disposizioni del regolamento CE del Consiglio n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. La caratteristica innovativa di tale regolamento risiede proprio nel passaggio dall’istituto della potestà dei genitori a quello, nuovissimo, della responsabilità genitoriale, privilegiando l’aspetto degli obblighi dei genitori nell’interesse esclusivo dei figli: caratteristica, poi, ripresa dal legislatore italiano con il d. lgs d.154/2013. Dalla normativa italiana risulta quindi significativo che ciascun provvedimento relativo all’affidamento, in primo luogo a quello condiviso, è emanato con esclusivo riferimento alla attuazione del diritto del figlio alla bigenitorialità, in quanto la legge non prevede un corrispondente diritto in capo ai genitori; in tale ottica la L. 54/2006 e la legge 219/2012, in linea con i principi sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo di New York del 1989 (in particolare all’art. 9), sono intervenute con lo scopo di favorire un equilibrato e sereno rapporto con entrambi i genitori anche in caso di dissoluzione dell’unità familiare. E il titolo del capo II del tit. IX del cod. civ. relativo alla responsabilità genitoriale specifica tratta dell’esercizio della responsabilità genitoriale anche con riferimento ai procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio. L’art. 337 ter c.c., poi, entra nel merito della dinamica tra affido condiviso ed esclusivo e precisa, in primo luogo, che per realizzare la finalità sottesa alla norma in questione, cioè il mantenimento (da parte del minore) di un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, il giudice che si trovi a pronunciare la sentenza di separazione dei coniugi adotti i provvedimenti relativi ai figli con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essi. In tale Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 24 - Settore Civile - - settore civile - modo si affronta l’aspetto centrale e peculiare della disciplina, elevando a rango di regola giuridica che il giudice valuti prioritariamente la possibilità che i figli (di minore età) siano affidati ad entrambi i genitori stabilendo, al contempo, i tempi e le modalità di cura e di permanenza del bambino con questi ultimi. Il comma 2, stabilisce altresì che il giudice debba prendere atto, prima della pronuncia, degli accordi intervenuti tra i genitori, purché non siano contrari all’interesse dei figli. Condividere l’affidamento di un figlio significa che entrambi i genitori si assumono la responsabilità, a prescindere dalla soluzione abitativa adottata, ricercando ed elaborando una comune e condivisa linea educativa ed affettiva per i figli. La norma che attribuisce rilevanza e preminenza agli accordi dei genitori deve essere letta in connessione con quella dell’art. 337 octies u.c. c.c., secondo cui il giudice qualora ne ravvisi l’opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 337 ter c.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli. In tale modo si fa esplicito richiamo, dopo anni di inspiegabile silenzio, alla possibilità di ricorrere alla mediazione familiare; come è noto tale possibilità, normativamente prevista, è presente già da parecchi in molti paesi europei e transfrontalieri12. Come è stato evidenziato in precedenza, il Legislatore ha sancito che ogni provvedimento deve essere assunto nell’esclusivo interesse morale e materiale dei figli privilegiando il diritto del fanciullo alla bigenitorialità la quale, tuttavia, non esaurisce il concetto di interesse del minore; tale concetto, universalmente riconosciuto, viene individuato dalla norma nel favorire che il fanciullo possa crescere ed essere educato da entrambi i genitori. Proprio per questo motivo si prevede, all’art. 155 bis che il giudice disponga l’affidamento ad uno solo dei 12 Non solo nel diritto degli stati vi sono espressi richiami alla mediazione ed alla possibilità, da parte del giudice, di ricorrere alla conciliazione tra le parti, ma anche nel diritto della chiesa; nell’ordinamento canonico, infatti, si prevede espressamente che il giudice ecclesiastico, non esclusivamente all’inizio della lite, ma in qualsiasi stato e grado del giudizio ed ogni qualvolta intraveda una minima possibilità di esito favorevole, esorti le parti assistendole affinché si sforzino nel cercare un comune accordo, avvalendosi anche della mediazione di persone autorevoli (can. 1446 CIC). Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Roma, 2012, Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 25 - Settore Civile - - settore civile - genitori quando ritenga, anche d’ufficio e con provvedimento motivato, che l’affidamento all’altro coniuge sia contrario all’interesse del minore stesso. In merito al concetto di bigenitorialità risulta obbligatoria una, seppur breve, precisazione: sotto il profilo del suo significato culturale e sociale, tale affermazione merita notevole apprezzamento in quanto non solo risulta essere espressione di un principio di civiltà diffuso in quasi tutti i paesi europei (Regno Unito, Francia, Spagna, Germania), ma soprattutto perché orientato a valutare, in forma più idonea, il reale e concreto interesse del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore e con i parenti materni e paterni. Nel caso in cui il giudice valuti negativamente la possibilità che i figli siano affidati ad entrambi i genitori, dispone l’affidamento (in via esclusiva) ad uno dei genitori; tale possibilità, tuttavia, non rappresenta un ritorno alla vecchia disciplina. La responsabilità genitoriale, infatti, resta in capo ad entrambi i coniugi e nessuno dei due viene, di fatto, escluso dalla vita del figlio. Affinché il giudice possa motivare un affidamento esclusivo, devono essere portati alla sua analisi tutti gli elementi (certi e idonei) ad instaurare un immediato collegamento tra l’instaurazione di un necessario rapporto con il genitore, al quale non si concede l’affidamento del figlio, e un effettivo e motivato pregiudizio che ne possa derivare al figlio stesso. Ovviamente, il pregiudizio non deve essere solo eventuale bensì certo o, per lo meno, presuntivamente certo, in considerazione dello stile di vita del genitore al quale ci si oppone, o della accertata incapacità di quest’ultimo alla dedizione materiale, morale e affettiva che l’affidamento di un minore inevitabilmente comporta ed esige13. 13 Nell’economia della presente riflessione è sufficiente soffermarsi, in modo sintetico, su alcune legislazioni analoghe di altri paesi europei quali, per esempio, la Francia e la Germania. In Francia, la legge n. 395 del 4 marzo 2002 ha introdotto un nuovo regime della autorité parentale. Tale nozione è definita dal nuovo art. 371-1 del Code Civil come un insieme di diritti e di doveri aventi per finalità l’interesse del minore. La medesima norma stabilisce, inoltre, in linea di principio, che l’autorité parentale viene esercitata congiuntamente da entrambi i genitori; ciascun genitore deve contribuire alla cura e all’educazione dei figli. L’esercizio congiunto dell’autorità parentale è consacrata come principio anche in seguito all’eventuale separazione o divorzio dei coniugi. Vengono quindi sanciti alcuni principi generali quali l’esercizio congiunto della potestà e della responsabilità dei genitori anche dopo lo scioglimento del matrimonio, la permanenza dei diritti e dei doveri dei genitori stessi nonché il primato assoluto dell’interesse del minore, la cui valutazione è soggetta al controllo del giudice. Nel caso di conflitto tra gli interessi dei genitori e quelli del minore è previsto l’intervento delle organizzazioni che si occupano di mediazione familiare e, in ultima analisi, del giudice. In Germania, la Corte Costituzionale già in una storica sentenza del 3 novembre del 1982 aveva affermato che ogni essere umano, fin dal momento della nascita, era titolare di un diritto irrinunciabile ad un rapporto vissuto e con entrambi i genitori; tale rapporto perdura, quindi, per tutta la vita e non si interrompe in caso di separazione dei genitori. Fu proprio sulla scia di questa sentenza che iniziò l’evoluzione dell’ordinamento tedesco in materia di diritto di famiglia (in particolare in merito ai diritti e ai doveri tra genitori e figli), conclusasi con la legge del 16 dicembre del 1997 e con la relativa riforma degli artt.1671 e 1672 del BGB49. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 26 - Settore Civile - - settore civile - Per pervenire ad una soluzione adeguata, come pure ad una comune disciplina europea, è necessario prendere piena consapevolezza, sia da parte dei diversi legislatore come da parte di tutti i cittadini europei, del contenuto non autoritario della potestà dei genitori nei confronti dei figli, potestà che deve essere intesa primariamente in senso funzionale, cioè come strumento idoneo a favorire e realizzare gli interessi ed il bene dei minori in vista di un loro sviluppo olistico. Una matura e serena consapevolezza circa il significato della responsabilità dovrebbe coadiuvare i genitori a svolgere il loro compito in assenza di conflitti ed il giudice a risolvere, nel miglior modo possibile, i numerosi conflitti intrafamiliari che purtroppo sorgeranno. § 1.B.4 - I DIRITTI DEI MINORI I bisogni del minore sono ben rappresentati nell’art. 315-bis cod. civ. intitolato “Diritti e doveri del figlio” (inserito dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219) che così recita : “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”. Articolo richiamato dall’art. 147 cod. civ. “Doveri verso i figli” (come sostituito dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154): “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'articolo 315-bis”. Il legislatore, in buona sostanza, ha fissato quattro doveri principali dei genitori nei confronti dei figli come quattro sono i doveri reciproci dei coniugi enunciati nell’art. 143 cod. civ.. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 27 - Settore Civile - - settore civile - Tra le tante novelle al codice civile a tutela dei figli, compare il diritto all’assistenza morale, forse uno dei più violati sia nelle famiglie unite sia in quelle ferite; quell’assistenza (dal latino “ad sistere”, “fermarsi, stare presso” e, pertanto, significa “stare presso alcuno per aiutarlo, soccorrerlo o altrimenti giovargli”) che dovrebbe significare attenzione, presenza equilibrata, accompagnamento durante le vicende personali e familiari del figlio. Con l’art. 315-bis cod. civ., richiamato dall’art. 147, si è ribaltata l’ottica: la presenza dei figli fa scaturire degli ineludibili obblighi che esistono, pure e non solo, in caso di coniugio. I figli vengono prima di tutto e al di sopra di tutto. Durante gli eventi separativi della coppia i diritti dei figli non si riducono all’assegno di mantenimento o mantenimento diretto e, in caso di figli minori di età, all’assegnazione della casa familiare con collocamento presso un genitore, ma si sviluppano in una rete di diritti personali e relazionali. In caso di violazione degli obblighi genitoriali durante gli eventi separativi vi sono strumenti civilistici, come l’art. 316-bis cod. civ. (che ha sostituito l’art. 148 cod. civ.) che prevede, fra l’altro: “Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”. Bisogna acquisire la consapevolezza che venendo meno agli obblighi genitoriali durante l’evento separativo - divorzile non si fa un torto all’altro coniuge ma al figlio e che bisogna ottemperare ai propri obblighi indipendentemente dall’altro coniuge e anche se l’altro coniuge non vi ottemperi. § 2. - L’AUTONOMIA DEI GENITORI NELLE DECISIONI RIGUARDANTI IL MINORE Chiariti i concetti di superiore interesse del minore e bisogni/diritti del minore occorre ora verificare quale autonomia hanno i genitori nella gestione dei minori. Già in sede separazione consensuale (art. 158 c.c.) e di divorzio congiunto (art. 4 l. 898/1970) il legislatore ha dato rilievo all’autonomia dei genitori prevedendo l’obbligo per il giudice di riconvocare i genitori solo laddove gli accordi relativamente all’affidamento ed al mantenimento dei figli sono in contrasto con l’interesse di questi ma è con le disposizioni della legge – l. 8 febbraio 2006, n. 54, «Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli» – che ha introdotto l’affidamento c.d. condiviso e la legge 219/2012 che il Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 28 - Settore Civile - - settore civile - legislatore ha introdotto una generalizzata e chiara esaltazione dell’autonomia negoziale dei coniugi-genitori. Le norme di riferimento sono qui rappresentate dalle disposizioni dell’art. 337 ter c.c. che impongono al giudice di «Prende(re) atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori», o al nuovo comma quarto dell’art. 337 ter cit., a mente del quale ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito «salvo accordi diversi, liberamente sottoscritti dalle parti». Da notare subito che l’obbligo di «prendere atto» di siffatte intese, ex art. 337 ter c.c. (estensibile al divorzio, ai sensi dell’art. 4, c. 2, l. 8 febbraio 2006, n. 54, nonché ai rapporti con i figli naturali) ha sostituito l’obbligo del giudice di «tener conto» dell’accordo dei coniugi sull’affidamento dei figli e sul contributo per il loro mantenimento (art. 6, c. 9, l.div.). Va rilevato che quest’ultima disposizione viene addirittura a porsi (per quanto attiene alla derogabilità del criterio di proporzionalità) in evidente contrasto con quanto stabilito dall’art. 148 c.c. (oggi art. 316 bis c.c.), norma sino ad oggi ritenuta inderogabile - con riferimento al principio di proporzionalità del contributo al mantenimento dei figli rispetto alle condizioni economiche dei genitori - venendo, altresì, a porre (quanto a tale limitato aspetto) forse anche un problema di conformità all’art. 30 Cost.14 L’accordo delle parti può, pure, derogare ai parametri di adeguamento agli indici ISTAT dell’assegno per la prole (cfr. art. 337 ter ); e riguardando tali norme anche le famiglie di fatto è agevole rilevare come analoga autonomia negoziale è riservata alla famiglia di fatto. Ma una ancor più forte impulso all’autonomia dei genitori è stata data con la legge 10 novembre 2014 n. 162. Il decreto legge emanato nel settembre 2014 proponeva una versione per così dire minimalista della negoziazione assistita, perché il comma 2 dell’art. 6 la escludeva ogni qualvolta ci siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave e perfino quando ci siano figli maggiorenni economicamente non autosufficienti. La norma suscitò forti critiche proprio per la ristrettezza dell’ambito applicativo: non piaceva alla magistratura per la sostanziale irrilevanza pratica e non piaceva alle associazioni degli avvocati di famiglia perché li 14 In punto v. G. Oberto Contratto e Famiglia in Trattato del contratto diretto da V. Roppo 2006, pag. 306. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 29 - Settore Civile - - settore civile - considerava incapaci di gestire situazioni in cui siano presenti figli. Inoltre, sono in molti ad evidenziare la discrasia che si determina nell’ordinamento con la previsione di una modalità di separazione e divorzio del tutto privatistica (nella prassi si parlerà di “divorzio fai da te”). Ed è così che nel passaggio alla Commissione Giustizia del Senato emerge una versione totalmente diversa, e molto più problematica, che recupera alcuni degli organi giurisdizionali protagonisti del procedimento di tipo consensualistico (e, specificamente, il pubblico ministero, probabilmente per allinearsi alle espresse previsioni normative in tema di separazione e divorzio, ed il presidente del tribunale), anche se gli affida compiti totalmente inusuali, e recupera altresì il tentativo di conciliazione, demandandolo agli avvocati. La nuova versione è stata approvata definitivamente dalla Camera e viene così promulgata la legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162, che presenta una novità rilevantissima rispetto alla versione originaria: la possibilità di accordi anche in presenza di figli minori o che ad essi vengono equiparati. L’ambito di applicazione è definito nel comma 1 dell’art. 6: la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte (è questa è una prima novità introdotta con la legge di conversione, sulla quale si tornerà più avanti) può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. La prima osservazione che può farsi è che la nuova normativa non si applicherà in relazione alla regolamentazione dell’affidamento e del mantenimento di figli di coppie non coniugate; la seconda riguarda il divorzio: i nuovi istituti si applicano solo all’ipotesi di divorzio susseguente alla pronuncia passata in giudicato della separazione, o all’omologa della separazione consensuale ed al decorso rispettivamente di sei mesi o di un anno dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale e non trovano, quindi, applicazione relativamente alle altre cause di scioglimento immediato del vincolo coniugale, legato a fattispecie particolari od anche all’applicazione di leggi straniere. Ma la parte più complessa e problematica della normativa è contenuta nei commi 2 e 3. In sostanza, se non ci sono figli o se i figli sono autonomi, il pubblico ministero è chiamato a valutare solo la regolarità dell’accordo. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 30 - Settore Civile - - settore civile - Quando, invece, i coniugi hanno figli (come detto la norma accorpa inopportunamente figli minori, incapaci, o portatori di handicap grave ai maggiorenni non autonomi), la normativa si presenta ancora complessa. E’ probabile inoltre che anche nella negoziazione assistita si riproporranno tutti quei temi che la giurisprudenza non ha risolto in modo uniforme neppure con riguardo alla separazione consensuale. Una prima questione di incerta interpretazione attiene alla previsione del termine di dieci giorni per la trasmissione dell’accordo al pubblico ministero che invece non esiste nell’ipotesi di mancanza di figli: non si comprende la ratio della differenza, e, soprattutto, non è agevole individuare le conseguenze dell’eventuale inosservanza di tale termine; è probabilmente un termine processuale alla luce della giurisprudenza che estende tale categoria anche ai termini per attivare un procedimento giudiziale (cass. n. 3351 del 18/04/1997; cass. n. 2195 del 14/02/2003); ma questo può risolvere qualche problema a livello di computo del termine e dell’applicabilità della sospensione feriale, ma non aiuta a dirimere il problema delle conseguenze della violazione. Chiaramente il pubblico ministero, anche in presenza di figli, dovrà sindacare gli aspetti formali e rilevare eventuali irregolarità. Infatti, sebbene la norma, relativamente all’ipotesi della presenza di figli, faccia riferimento esclusivamente ad un controllo sulla rispondenza dell’accordo all’interesse dei figli, tuttavia si può ragionevolmente ritenere che anche in questo caso il pubblico ministero possa rifiutare il “nulla osta” per irregolarità formali quali l’incompetenza territoriale, la presenza di un solo avvocato, l’inadeguatezza della certificazione, ecc.; evenienze che renderebbero del tutto inutile il trasferimento dell’accordo dinanzi al presidente del tribunale; e comunque, ragioni sistematiche inducono a ritenere che ad uguali vizi debbano corrispondere analoghi esiti processuali. Relativamente al controllo degli interessi dei minori, gli aspetti che possono venire in rilievo sono tradizionalmente due: la regolamentazione dell’affidamento e la congruità del mantenimento. In relazione al primo aspetto appare ragionevole ritenere che il p.m. possa senz’altro sindacare un affidamento esclusivo non adeguatamente giustificato perché il legislatore ha chiaramente indicato che è l’affidamento condiviso il sistema che risponde maggiormente all’interesse dei figli; del pari, possono essere sindacate le modalità di frequentazione non coerenti al principio della bigenitorialità (la questione, del resto, è evidenziata anche nel testo normativo tra Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 31 - Settore Civile - - settore civile - gli oneri posti a carico degli avvocati) o che sacrifichino troppo i minori, con spostamenti troppo frequenti e gravosi. In realtà, l’esperienza evidenzia un ventaglio di ipotesi in cui possono emergere rilevanti margini di incertezza: ad esempio, la collocazione alternata dei figli può andar bene in alcuni casi, spesso a seconda dell’età dei figli, e può essere un problema in altri; più problematica ancora è l’ipotesi in cui siano i genitori ad alternarsi nella casa coniugale; perfino la collocazione separata dei figli in alcuni casi può essere opportuna, mentre in linea generale si tende a non separare i fratelli. Orbene in questi casi il giudice usa riconvocare i coniugi a distanza di qualche mese e poi procede all’emissione del provvedimento solo dopo la conferma che il regime scelto non abbia dato luogo a problemi. Le stesse cautele ovviamente non potranno essere adottate dal pubblico ministero e neppure dal presidente il quale deve provvedere “senza ritardo”. Viene altresì, escluso che il p.m. sia tenuto o possa procedere all’ascolto dei minori; ed anche qui si può notare una evidente discrasia del sistema: infatti è ormai consolidato anche in via legislativa il principio che si deve procedere all’audizione del minore ultradodicenne mentre nel caso di negoziazione assistita l’autonomia dei genitori prevale sull’esigenza del minore di far sentire la propria voce e declinare le sue esigenze, i suoi bisogni o le sue aspettative. Riguardo alla valutazione inerente alla congruità del mantenimento, occorre ribadire la necessità che nell’accordo figuri una puntuale, anche se sommaria, descrizione delle condizioni economiche dei coniugi rispetto ai redditi, alle proprietà, alle situazioni abitative; però deve essere chiaro che i coniugi possono liberamente concordare forme di mantenimento diretto, o anche per comparti di spesa. E ancora una volta si deve constatare che l’autonomia dei genitori raggiunge lo zenit sol che si consideri che la stessa Autorità Giudiziaria non è nemmeno – ne deve essere messa – in condizioni di poter interloquire con cognizione di causa. Se, nel delineare il nuovo procedimento, fino a questo punto il legislatore è stato confuso, nella fase successiva è stato del tutto reticente, limitandosi a prevedere che il presidente del tribunale deve convocare le parti entro trenta giorni e provvedere senza ritardo. La norma ha dato immediatamente luogo a due interpretazioni: l’una diretta a sostenere che, una volta arrivato in tribunale, l’accordo dovrebbe sfociare in uno dei procedimenti giurisdizionali tradizionali: separazione consensuale, divorzio congiunto o modifica congiunta (in questo senso Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 32 - Settore Civile - - settore civile - Luiso, op. cit. p. 39; G. Dosi op cit,. p. 81, parla di inizio di giudizio contenzioso); l’altra rivolta a costruire un singolare procedimento all’esito del quale il presidente autorizza o non autorizza l’accordo (è una soluzione verso la quale si stanno indirizzando diversi uffici giudiziari). Esistono, però, due argomenti di natura letterale per sostenere questa seconda tesi: il primo è che la norma prevede che il presidente procede prima alla comparizione delle parti e poi “provvede senza ritardo”; è chiaro che nell’ipotesi di procedimenti di separazione consensuale, di modifica delle condizioni, di divorzio congiunto, una volta avvenuta la comparizione delle parti, non è il presidente ma il collegio del tribunale che deve emettere gli opportuni provvedimenti, essendosi le funzioni presidenziali esauritesi con la comparizione delle parti o soltanto con la fissazione di questa; un secondo argomento è che la norma prosegue poi facendo esplicito riferimento all’ “accordo autorizzato”, disciplinando, almeno apparentemente, in maniera unitaria il provvedimento del pubblico ministero e quello del presidente. Tale tesi, inoltre trova un ulteriore riscontro esplicito nel decreto ministeriale 9 dicembre 2014, emanato dal Ministro dell’interno, che elenca “il provvedimento del presidente del tribunale” tra gli atti che autorizzano l’ufficiale dello stato civile alla trascrizione della convenzione. Ci si chiede, poi, se il presidente possa rilevare motivi di inadeguatezza dell'accordo anche non evidenziati dal p.m.; sul punto, é configurabile un vero e proprio obbligo perché, vertendosi in tema di tutela dei minori, non si può ipotizzare che il giudice possa avallare soluzioni che a suo avviso sono contrarie agli interessi degli stessi. Tuttavia anche davanti al presidente si ritiene che non possa esservi spazio per l’ascolto dei minori, perché la natura e la struttura del procedimento non consente attività che, se applicate in via generale (e sostanzialmente obbligata ex art. 315-bis, comma terzo, c.c.), determinerebbero un effetto esattamente contrario alla logica della degiurisdizionalizzazione, dando luogo ad impegni più gravosi per l’apparato giudiziario di quelli usualmente affrontati nelle procedure che la negoziazione è tendenzialmente rivolta a sostituire. Infine, va rilevato che, anche con riguardo alla negoziazione assistita, sia applicabile il divieto dell’art. 56, comma 2, del codice deontologico riguardo all’ascolto del minore da parte dell’avvocato. Ma tutto quanto sopra esposto come si concilia con i principi proclamati dalle Convenzioni Internazionali a tutela dei minori e soprattutto può dar luogo a carenze nella tutela dei minori? Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 33 - Settore Civile - - settore civile - Su quest’ultimo punto la risposta dipenderà essenzialmente da due cose: dalla capacità dell’avvocato di far emergere le eventuali criticità dell’accordo, discriminando quelle situazioni che meritano di essere affrontate nell’ottica di un eventuale procedimento giurisdizionale consensuale o, al limite, contenzioso, anziché nelle forme di una procedura che non consente significativi approfondimenti e, nel contempo, dalla disponibilità del pubblico ministero rispetto all’idea riappropriarsi di funzioni sostanzialmente obliterate nel tempo, ma che potrebbero, peraltro, riacquisire un rilievo primario nell’ottica del Tribunale per la famiglia (ove questo, più volte annunciato, dovesse mai andare in porto e qualora dovesse prevalere la linea che tende a trasferire presso il tribunale ordinario gran parte delle competenze del tribunale per i minorenni). La riuscita della negoziazione assistita, poi, potrà comportare ricadute benefiche sui minori laddove dovesse portare ad una limitazione del contenzioso perché è noto come i bambini coinvolti nei quotidiani conflitti di lealtà siano “oggettivamente a rischio di danno evolutivo” e, comunque, psicologicamente massacrati. § 3. – L’ASCOLTO COME DIRITTO FONDAMENTALE DEL MINORE § 3.A - INTRODUZIONE Quando si parla di bisogni del minore e di intervento giudiziario non si può non trattare della grande problematica dell’ascolto del minore. Ora l’espressione latina “infans” - prefisso negativo “in” seguito dal participio del verbo “fari” sintetizza forse nella maniera più completa la posizione assunta nel tempo dagli ordinamenti nei confronti del minore: un soggetto privo di voce, e dunque di diritti, poiché incapace di parlare. La Convenzione internazionale sui dei diritti del minore (1989) in questo senso, nel riconoscerne espressamente i diritti fondamentali civili, politici, economici, sociali e culturali ne determina decisamente e definitivamente l’emancipazione dando accesso ad un concetto quello di interesse superiore del minore (art. 3-1) attorno a cui si raccolgono il diritto alla vita e allo sviluppo (art. 6) nonché la necessità di considerarne le opinioni su tutte le questioni che lo coinvolgono. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 34 - Settore Civile - - settore civile - La vera rivoluzione copernicana è, dunque, il riconoscimento al minore di una capacità di discernimento che, evidentemente, impone di considerarne le idee. Il diffuso convincimento della opportunità di affrancare il minore da quella dimensione “silente” in cui era stato collocato è la sottile linea rossa che collega la Convenzione di New York (art. 12), la Carta di Nizza, (art. 24), la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori (Strasburgo, 1996, artt. 3, 4 e 5 in tema di diritti azionabili da parte del minore); la Convenzione Aja 25 ottobre 1980 relativa alla sottrazione internazionale di minori (art. 13, 2° comma 9). A tacere dell’art. 23, Regolamento CE n. 2201/2003 del 27.11.2003 (c.d. Bruxelles II bis), relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. L’ascolto dei minori ha introdotto una tematica che riguarda un terreno multidisciplinare in cui si intrecciano principi della psicologia dello sviluppo, della psicologia clinica e relazionale e principi di diritto secondo una trama non sempre chiara e definita. Prima di ogni altra considerazione devono essere ricordati tre a priori imprescindibili A) Primo a priori L’ascolto del minore è un strumento che va usato con cognizione di causa e con molta attenzione presentando non solo aspetti sì positivi ma anche risvolti negativi. Quanto ai positivi è agevole indicarli: ** nell’ambito psicologico l’ascolto è qualificato come momento di protezione che accresce la resilienza ed il senso dell’autostima dal momento che la voce del minore rischia di essere ammutolita dal rumore del conflitto genitoriale. In ambito giuridico l’ascolto è considerato un vero e proprio diritto del minore proprio perché il minore deve essere parte attiva nelle decisioni che influenzeranno la sua vita : deve essere però un input nel processo decisionale e non certo il contenuto della decisione finale. L’inclusione dei minori permette di focalizzarsi sui loro bisogni e dovrebbe portare ad una riduzione dell’intensità e della durata del conflitto genitoriale Quanto agli aspetti negativi non si può non condividere la fortissima sollecitazione all'intero sistema del "conflitto di lealtà" che un tale istituto provoca, comunque nel minore. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 35 - Settore Civile - - settore civile - La più attenta psichiatria forense ha, infatti, sottolineato come, nel momento di conflitto intra-familiare, che abbia poi ad esitare in un approccio con la giurisdizione, il minore non sarà sottoposto alla sola dinamica interna della crisi, e, quindi, agli effetti della conflittualità intragenitoriale, sviluppando comportamenti e modalità di interazione che già saranno normalmente "adattivi", nel senso che saranno quelli che meglio "gli" consentiranno di "cercare di non perdere" l'appoggio di nessuna delle due figure genitoriali. Ma proprio in forza di una norma che è stata inizialmente immaginata dalla normativa sovranazionale a sua tutela, verrà messo, del tutto involontariamente, al centro dell'attenzione di una "interazione" con un adulto (Giudice od esperto) che ne andrà indubitabilmente a sollecitare il pensiero legato al suo personalissimo "conflitto di lealtà". In altre parole come sappiamo dagli studi in merito al rapporto tra genitori e figli il rapporto tra loro è, molto spesso, costituito da una linea che lega il figlio alla madre e da una ulteriore che lo lega al padre: manca infatti in molte realtà familiari l'ulteriore linea che dovrebbe legare i due genitori in relazione fra loro agli occhi del figlio. Questa semplificazione del sistema relazionale endofamiliare ci consente più facilmente di comprendere il dato del "conflitto di lealtà": agli occhi del figlio la relazione con mamma è necessaria e paritetica perfettamente con quella che si ha con il padre! Anche se nella realtà le dinamiche e le interazione possono essere le più varie e se la quantità di tempo che i due genitori dedicano al loro figlio è assolutamente diversa, il concetto che è in esame è quello interno del figlio: il pensiero del figlio, per essere in sano equilibrio, non può, semplicemente, fare a meno dell'idea del proprio padre e di quella della propria madre. Questi due possono litigare, tradirsi, riempirsi di "cose brutte" ma, all'interno della dinamica dei rapporti familiari, nulla di tutto questo impedisce, al minore, di costruirsi una "immagine di lui con il padre e di lui con la madre". Anche quando la dinamica tra i genitori è quella dell'arruolamento, ovvero della ricerca dell'appoggio del figlio per screditare l'altro, il figlio è libero di rifugiarsi nel proprio immaginario e mantenere un'idea dell'altro genitore che gli sia accettabile e funzionale, e troverà nel quotidiano il modo di "avere un rapporto" con l'altro. Nel funzionamento privato della triade genitori-figlio, quest'ultimo saprà quindi adattarsi per mantenere, comunque, un rapporto per lui stesso Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 36 - Settore Civile - - settore civile - adeguato, con entrambi i genitori, magari nascondendosi quando interagirà con il più debole, agli occhi di quello che appare più "alienante". Al contrario, nel momento in cui un terzo soggetto andrà ad indagare sulla dinamica familiare ed ad interagire con lo stesso minore, ecco che è evidente come questo inconscio "gioco al nascondino", non si potrà più svolgere, e per quanta attenzione un operatore metta nel suo rivolgersi al minore, il fatto che le informazioni richieste abbiano, più o meno direttamente, a che fare con i "suoi due unici genitori", questo non potrà che portare, a livello inconscio, una tensione ulteriore dello sforzo che il figlio compie di non essere "infedele" a nessuna della due figure; questo perché, se dovesse risultare "rifiutato" o dall'uno o dall'altra, per essersi troppo apertamente schierato a favore di uno dei due, il danno che ne riporterebbe sarebbe, per lui, insopportabile. Le problematiche sono molteplici e riguardano la vita del minore, i rapporti tra fratelli, l’organizzazione ambientale e residenziale. B) Secondo a priori Il secondo apriori consiste nella presa di coscienza della sussistenza del diritto del minore ad essere considerato non un piccolo adulto ma un minore. Dalla medicina, dalla sociologia, dalla psicologia viene l’insegnamento che il minore/bambino va capito, rispettato e curato nella sua specificità Nonostante la difficoltà di tradurre sul piano normativo questo diverso modo di guardare al minore, la svolta che si realizza è significativa; ed è una svolta che si apprezza nell’arte, in pittura, con bambini non più rappresentati, come un tempo, quali adulti in piccolo, vestiti e acconciati alla loro stessa maniera, e tanto meno dipinti – come accade nei due disegni preparatori del "Quarto Stato" di Giuseppe Pellizza da Volpedo – quali figure all’interno della massa umana che avanza simbolicamente per conquistare una società più giusta. Nella pittura moderna di Picasso (Maia con la bambola) o ne “gli scolari” di Casorati l’infanzia è definitivamente recuperata ad una dimensione di cura, attenzione, educazione, profili cui non mancheranno di essere sensibili le stesse legislazioni europee. C) Terzo a priori: la reale condizioni dei minori. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 37 - Settore Civile - - settore civile - Per riprendere la storia dell’arte oggi si ha un tipo di minore più vicino ai minori dipinti da Manet nel dipinto “Il vecchio musicista”, di Manet (1862) che disvelano la condizione di un mondo fatto di bambini lavoratori, senza famiglia, nel cui volto indelebile è il segno della sofferenza e dell'indifferenza degli adulti. I bambini di Manet non hanno più la forza di divertirsi, non sono più quei piccoli "monelli di strada" dei grandi pittori del Seicento; quei bambini che sì poveri sono, tuttavia, dipinti cogliendo la natura gioiosa dell’infanzia che si distacca da quell’universo di diseredati e poveri che pure Velasquez e Murillo non mancano di denunciare. Invece i bambini di Manet, non hanno voglia di giocare, è scomparso loro anche il sorriso: il vecchio musicista smette di suonare il suo strumento e non rimane che il silenzio e quegli strani sguardi malinconici. § 3.B – CHE COSA È L’ASCOLTO DEL MINORE? Se dovessimo individuare a livello generale la caratteristica peculiare dell’ascolto del minore dovremmo dire che generalmente la modalità di ascolto in ambito giuridico è diversa a quella tipicamente psicologica: lo psicologo sente, accoglie e lavora con gli stati mentali dell’individuo mentre il giudice sostanzialmente valuta i fatti che riguardano la persona. Oggi, tuttavia, si può affermare che l’ascolto del minore in un contesto giudiziario è contaminato da una serie di conoscenze psicologiche da cui non si può prescindere. In senso propriamente giuridico l’ascolto del minore non è un mezzo di prova (perché non è volto alla verifica di un fatto posto dalla parte a fondamento della domanda) né una testimonianza in quanto non diretto a recepire fatti dei quali una persona può riferire (la testimonianza non ammette valutazioni) ma uno strumento di acquisizione di elementi di decisione ( cass. 5 giugno 2009 n. 12.984) assimilabile all’interrogatorio libero. Da ciò consegue che non possono essere poste domande al minore dirette a raccogliere informazioni utilizzabili nel procedimento quali mezzi di prova ma che vengano fornite al minore tutte le informazioni necessarie per fargli comprendere quanto sta accadendo. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 38 - Settore Civile - - settore civile - E proprio per la sua natura il principio del contraddittorio e del diritto di difesa debbono necessariamente contemperarsi nel caso concreto con il principio del superiore interesse del minore La funzione è piuttosto quella di mettere il giudice in condizione di conoscere il diretto destinatario delle sue decisioni e modulare, quindi, le decisioni medesime o anche solo la terminologia usata nei provvedimenti, nel rispetto delle emozioni espresse dal minore, tenendo conto delle sue opinioni, dando così corpo e spessore concreto al preminente interesse del minore cui deve orientare ogni decisione che lo riguardi, nel rispetto dell’art. 3 della convenzione di New York, dell’art. 1 della convenzione di Strasburgo, dell’art. 24 della Carta di Nizza. Ma se questo è l’obiettivo diverso è il modo in cui ciascun ordinamento lo rende compatibile con il proprio sistema. § 3.B.1. - L’ASCOLTO DEL MINORE IN FRANCIA, REGNO UNITO E GERMANIA. **In Francia, l’ascolto del minore pur entrando nel codice civile (art. 388-1) con la loi N° 93-22 du 8 janvier 1993, e pur conducendo ad un adeguamento degli artt. 338-1 à 338-9 du NCPC è eventualità rimessa alla valutazione discrezionale del giudice. Il minore continua ad essere senza voce se non è ritenuto capace di discernimento. Certo la riforma di cui alla loi N° 93-22 du 8 janvier 1993 è significativa di una mutata attitudine verso il minore, ma sarebbe illusorio pensare che con la legge del ’93 si determini un’apertura del processo al minore. Il fatto che questi “peut être entendu par le juge” era piuttosto espressiva di una prassi ipocrita che si rifiutava di ascoltare il minore presupposto che fosse privo di discernimento. Ma come poteva il giudice valutare une absence de discernement se la conoscenza del minore si realizzava solo quando avrebbe dovuto ascoltarlo? Con la modifica dell’art. 388-1 du code civil issu de la Loi nº 93-22 du 8 janvier 1993 art. 53 Journal Officiel du 9 janvier 1993, Loi nº 2007-293 du 5 mars 2007 art. 9 Journal Officiel du 6 mars 2007, Loi nº 2007-308 du 5 mars 2007 art. 2 Journal Officiel du 7 mars 2007 en vigueur le 1er janvier 2009), « Cette audition est de droit lorsque le mineur en fait la demande » e il giudice in caso di rifiuto ne valuta il fondamento. Il punto, in altri termini, è mantenere il necessario equilibrio tra il diritto del minore ad intervenire e il suo diritto ad essere protetto. Ben pochi articoli, in realtà, il codice civile Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 39 - Settore Civile - - settore civile - francese dedica all’audizione del minore: l’art. 388-1, 373-2-11 c.c. e l’art. 338-1 all’art. 338-12 del codice di proc. civ.: il dato di fatto non è privo di conseguenze. Laddove l’audizione del minore deve avvenire davanti ad un collegio di giudici, è lo stesso collegio che decide in che modo l’audizione debba aver luogo (eventualmente anche delegando alla stessa solo taluni membri del collegio). Ma v’è più. Il legislatore francese è attento nell’escludere che per il mero fatto di essere ascoltato il minore diventi « parte » del procedimento, così come non esaspera questo profilo partecipativo. La rivalutazione del profilo dell’informazione è, in questo contesto, la chiave per cogliere in tutta la sua portata l’importanza del più recente décret n° 2009572 du 20 mai 2009 che ancora modifica gli artt. 338-1 à 338-12 C.p.c.) per prevedere definitivamente che il minore capace di discernimento debba essere informato dal soggetto titolare della potestà, dal tutore ovvero dalla persona o dal servizio cui è affidato, oltre che essere assistito da un avvocato in tutti i procedimenti che lo riguardano. E, tuttavia, che la rivalutazione della posizione del minore non sia una operazione facile è confermato per un verso dai dubbi che solleva il modo in cui è raccolta e trascritta la deposizione del minore. Vero è che l’art. 388-9 dispone che laddove l’interesse del minore lo imponga, il giudice per procedere all’ascolto, designi una persona che non abbia con il minore stesso né alcun legame parentale né alcun interesse e che esercita o abbia esercitato una attività nel campo sociale o psicologico. Altrettanto vero che, nella maggior parte dei casi, è lo stesso JAF a procedere all’audizione. Ne consegue, dunque, che tutti i minori debbano essere ascoltati «sauf ceux dont l’âge ou l’état ne permettent pas une telle audition», sebbene la legge attribuisca poi al giudice il potere di scegliere se debbano essere ascoltati da soli o in presenza dei genitori. Non sfugge, ex art. 375-1 Code civil, come il giudice investito della protezione del minore si sforzi, nell’interesse del minore « de recueillir l'adhésion de la famille à la mesure envisagée». La centralità riconosciuta alla posizione del minore è evidente e vieppiù emerge ove si consideri il dovere di ascoltarlo “en matiere d’assistance éducative (art 1183 du NCPC )”. Giammai tuttavia il procedimento si apre interamente al minore. Questi rimane ad esso estraneo, sorta di testimone vitale in una vicenda che lo riguarda. Si comprende così del pari come il procedimento civile si liberi dalle strettoie di un formalismo che mal si concilia con la situazione coinvolta. Così, non solo la domanda può presentarsi in qualunque fase e di rado del procedimento, e anche in appello, ma non è neppure ricorribile. E, sempre in questo senso, non è un caso che il giudice qualora abbia ascoltato il minore debba precisare nel corpo del provvedimento che comunque “qu'il a tenu compte des sentiments exprimés par l'enfant mineur”. Laddove, attesa la Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 40 - Settore Civile - - settore civile - delicatezza della situazione egli è comunque, tenuto a spiegare, a pena di nullità, le ragioni che lo hanno indotto ad accettare l’audizione e/o a discostarsi dalla stessa24. Ma la strada su cui si incammina il legislatore francese è chiara. Egli raggiunge certo un compromesso, ma se di tanto si tratta, lo fa rivalutando la figura di un minore che va trattato con rispetto e serietà, quello stesso rispetto e quella stessa serietà che trapela dall’occhio della macchina fotografica di Robert Doisneau ne “Les Jardins du Champs de Mars” dove la corsa all’ombra della Tour Eiffel non è, o non è soltanto, un gioco. ** Nell’esperienza inglese, invece, vi è un approccio che rimane paternalistico a dispetto dell’attenzione tributata dal sistema al minore. La legislazione inglese, ligia alle direttive europee e alle convenzioni internazionali, ha promulgato nel 1989 il Children Act, che è senza dubbio il miglior sistema legale del mondo per la protezione dei minori. Sorprende tuttavia che non trovi spazio adeguato nel sistema inglese l’audizione del minore. Vero è che La Sec. 1(3)(a) of the Children Act 1989, impone al giudice di cogliere sempre “the ascertainable wishes and feelings of the child concerned (considered in the light of his age and understanding”. Altrettanto vero che la tendenza delle Corti, ex Sec. 7 of the 1989 Act, è quella di rivolgersi sia alla CAFCASS (Children and Family Court and Advisory Service) sia all’autorità locale chiamata ad informare il giudice “on such matters relating to the welfare of that child as are required to be dealt with in the report”25. Il sistema inglese finisce così con il negare al minore il diritto di essere presente in corte e, dunque, tout court l’audizione. Certo il legislatore sembra animato dal desiderio di evitare al minore il disadattamento conseguente al contatto con le aule giudiziarie. Lo confermano le cautele di cui è circondata la possibilità per il minore di dare inizio ad un procedimento, soggetto ad un “leave”, concesso dalla corte sul presupposto della sufficiente capacità del minore di intendere le conseguenze dell’azione. Lo attestano gli sforzi per mantenere estraneo il minore al procedimento. Non a caso, infatti, il sistema attribuisce all’avvocato ovvero ad uno speciale Guardian ad litem (con qualifica di assistente sociale e nominato quando il minore non abbia sufficient understanding) il compito di accertare la volontà del minore e di dare inizio al procedimento. Ma è del pari singolare che interlocutore pressoché esclusivo del giudice sia solo il Guardian ad litem, al cui rapporto egli tende ad attribuire rilevanza. Ragioni di tutela certo, militano per questa opzione, cui tuttavia non sembra essere estranea una buona dose di scetticismo del Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 41 - Settore Civile - - settore civile - giudice inglese che non manca di precisare come l’affidabilità della risposta offerta dal minore (nelle aule giudiziarie) sia direttamente proporzionale alla sua età. La Sec. 7, Children Act 1989, garantisce al minore la testimonianza tramite video da una stanza separata, alla presenza del suo avvocato o in aula protetto da un paravento, salva sempre la possibilità di farsi assistere da un supporto psicologico che, comunque, non impedisce al giudice di vagliare egli stesso le domande onde evitare attacchi diretti. Nonostante queste cautele che pur sono pensate a tutela del minore, il sistema inglese finisce per caratterizzarsi come un sistema di non audizione. Il sistema inglese, dunque è un sistema in cui il minore a) comunica la sua posizione tramite terzi, l’avvocato e il Guardian; b) a cui gli atti processuali sono trasmessi solo dall’avvocato e dal Guardian; c) che rimette alla discrezionalità del giudice l’apprezzamento del sufficient understanding. Un sistema che mostra, però, in ultima analisi, una sorta di incapacità congenita a colloquiare con il minore, tanto da arrivare al paradosso di escludere la pubblicità delle udienze per proteggere la privacy di un soggetto che non è presente. E la cosa non può che sorprendere l’interprete che si trova dinanzi ad una disomogeneità di tutele che non può essere razionalizzata, che si sottrae a qualunque valutazione tassonomica, mostrando, come si è detto, progressivi sviluppi ma anche inattese regressioni. Come appunto qui è il caso. ** Non così l’esperienza tedesca. Il fatto che i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli siano atti di volontaria giurisdizione ex, § 50b Act on Voluntary Jurisdiction facilita, sine dubio, l’audizione del minore, il cui ascolto è di fondamentale importanza ai fini della decisione. Non solo il minore che ha raggiunto i 14 anni va senz’altro ascoltato (§ 50b para. 2 sent. 1 German Act on Voluntary Jurisdiction). Nella pratica la tendenza muove nel senso di ammettere all’audizione anche soggetti di età inferiore del minore. E qui la casistica restituisce un interessante spaccato di come le corti diano spazio a questo principio dell’ascolto del minore, ritenendo che già a partire da tre anni il bambino possa essere sentito, da 4, ovvero da 5. Ma sempre l’informazione (esistenza del procedimento nonché del suo presumibile esito) è parte della procedura, giacché il minore deve essere informato al fine di poter essere messo in condizione di esprimere la propria opinione. In questo senso solo il timore di gravi pregiudizi all’equilibrio psichico del minore può sconsigliarne l’audizione. Al minore è in altri termini riconosciuto un diritto costituzionalmente garantito ad essere ascoltato. Qui è però il giudice di famiglia che vi Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 42 - Settore Civile - - settore civile - provvede personalmente, parlando con un minore che, comunque, non diventa mai parte del procedimento. Tanto meno il timore che permea la legislazione inglese sembra trovare spazio nella KinderRGesetz 1997 che, proprio per evitare di mettere in pericolo gli interessi del minori delinea la figura di un Verfahrenspfleger chiamato ad operare quale Anwalt des Kindes. Ma v’è più. L’attenzione agli interessi del minore è sì avvertita da condurre alla nomina addirittura di un curatore ogni qual volta si profili una situazione di conflitto di interessi. § 3.B.2. – L’ASCOLTO DEL MINORE NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA: RICOGNIZIONE NORMATIVA In epoca anteriore al 2012 si parlava di “audizione” del minore (art. 155 sexies c.c. «prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento») sottolineandosi così l’aspetto tecnico-processuale, oggi, invece, si parla di “ascolto” : ascoltare significa permettere al minore di leggere dentro se stesso e cercare di capire quelle che sono le sue aspirazioni. Sempre in epoca anteriore al 2012 vi era una non perfetta corrispondenza di questo ‘diritto all’audizione’ del minore previsto per la separazione personale dei coniugi, rispetto a quello previsto in sede di divorzio, malgrado, come noto, i due procedimenti siano simili (e non uguali) e tendenti all’assimilazione tra loro. Infatti, in quest’ultima sede, quella divorzile, l’art. 4, comma 8, della L. 1/12/1970 n. 898, con riferimento all’analoga fase c.d. presidenziale, sul punto, testualmente dispone che «il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonchè, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori, dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti». Dunque, a differenza della separazione, in sede di divorzio era prevista l’audizione dei figli minori tout court (cioè senza la specificazione dell’età, e dunque anche infradodicenne), ma solo limitatamente all’ipotesi in cui il giudice lo riteneva strettamente necessario. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 43 - Settore Civile - - settore civile - La corte di cassazione a sezioni unite, poi, (Cass Civ, S.U, 21/10/2009, n. 22238) ebbe a spiegare che in caso di omesso ascolto, il giudice è tenuto a motivare, ed in difetto di motivazione sul punto, dovrà ritenersi la nullità dell’intero procedimento per violazione dell’art. 111 Cost. Con la l. 219 /2012 ed il d. lgs. 154/2013 l’audizione del minore viene definita “ascolto” e vengono introdotti alcuni articoli nel codice civile che trattato esplicitamente dell’ascolti. In particolare: ** l’art. art. 315-bis (Diritti e doveri del figlio) che recita:"Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di eta' inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”; ** l’art. 336 bis c.c. che è intitolato “Ascolto del minore” e statuisce “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di eta' inferiore ove capace di discernimento e' ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto e' in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato. L'ascolto e' condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se gia' nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento. Prima di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento e' redatto processo verbale nel quale e' descritto il contegno del minore, ovvero e' effettuata registrazione audio video."; ** l’art. 337 octies c.c. secondo il quale «nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo»15. 15 Con riguardo a quest’ultimo articolo preme precisare che il minore sembra debba essere ascoltato in sede di separazione, non solo giudiziale, ma anche in quella consensuale (che sfocia, come noto, nell’omologa del Tribunale), ed in generale, ogni volta che vi è un accordo dei genitori che regolamenti, l’affidamento dei figli (si pensi, ad esempio, Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 44 - Settore Civile - - settore civile - Con la l. 219/2012, insomma, l’ascolto è inquadrato nei diritti inviolabili del minore: diritto della persona umana art. 24 carta di Nizza; diritto di essere ascoltato come situazione esistenziale afferente alla persona umana (art. 2 cost) e per la quale l’ordinamento non ammette deroghe né scarti sulla base delle condizioni personali (art. 3 cost e 21 carta di Nizza – che contempla l’età nel novero dei divieti di discriminazione). Espressione di un diritto assoluto per l’affermazione della personalità e dell’identità del minore attraverso l’espressione delle proprie opinioni e scelte. § 4. - LE QUESTIONI NON AFFRONTATE La legislazione 2012/2013 come sopra visto ha disciplinato più compiutamente l’ascolto del minore ma ha lasciato ancora molte lacune nella disciplina di tale diritto. In particolare, per esempio, non ha individuato i giudizi ove l’ascolto é obbligatorio e nulla ha detto sulla delegabilità dell’ascolto. E ciò, per inciso, risponde ad una tecnica legislativa che, per dirla con Dworkin, da particolare rilievo al cd. giudice “erculeo” ossia un giudice sempre più Re, sempre più Salomone e, quindi, sempre più arbitro di contese nelle quali il convitato di pietra (il legislatore) non ha potuto, voluto o saputo scolpire regole con valore precettivo destinate ad operare per i casi futuri. § 4.A- I GIUDIZI NEI QUALI IL MINORE DEVE ESSERE SENTITO Anzitutto i giudizi relativi all’affido ed ai diritti di visita, poi i giudizi inerenti la responsabilità genitoriale (artt. 330, 331,332,e 333 c.c), i giudizi di cui all’art. 262 all’accordo tra genitori di figli ‘naturali’, o meglio – per stare in linea con la nuova normativa che praticamente abolisce l’espressione ‘figlio naturale’ – tra genitori, semplicemente, non coniugati tra loro). Con la particolarità, però, che qui, venendo disciplinato ‘in negativo’, il giudice non é tenuto a procedere all’audizione del minore, ogni volta che, secondo una valutazione preventiva, ciò appaia superfluo, oppure, addirittura, in contrasto con l’interesse del minore. Ma sul punto, si ritiene, egli dovrà motivare. E francamente, non si comprende bene come riuscirà a motivare il giudice circa la ‘superfluità’ o addirittura circa la ‘lesività’ dell’ascolto del minore, in queste ipotesi (ad esempio, nella separazione consensuale), atteso che normalmente, le parti, gli forniscono pochi elementi che possano consentire una vera e propria valutazione consapevole.La conseguenza applicativa, per ora, è che spesso, l’ascolto del minore, in questi casi non si effettua. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 45 - Settore Civile - - settore civile - IV (cognome paterno) , quelli di cui all’art. 250 IV comma (riconoscimento successivo di figlio nato fuori dal matrimonio, quelli di cui all’art. 252 u.c. c.c. (inserimento di figlio nato fuori dal matrimonio nella famiglia) di uno dei genitori, quelli di cui all’art. 273 c.c. (azione dichiarazione giudiziale di paternità) e i minori ai quali deve essere nominato un tutore (art. 348 c.c. – minore ultradecenne). A ciò vanno aggiunti i giudizi finalizzati all’accertamento del diritto del minore ad avere rapporti significativi con gli ascendenti come precisato dal supremo collegio (cfr. cass. n. 5097 del 5 marzo 2014 ove si è statuito che “ nel procedimento finalizzato all'accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti del genitore scomparso, il comportamento ostativo del genitore superstite costituisce una condotta pregiudizievole secondo la previsione degli artt. 330 e segg. cod. civ., poiché comporta la rescissione, nella fase evolutiva della formazione della personalità del ragazzo, di una sfera affettiva e identitaria assolutamente significativa, e lo espone a una vicenda esistenziale particolarmente dolorosa. In tale procedimento il minore assume la qualità di parte e, in quanto tale, come affermato anche dall'art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, ha diritto di essere ascoltato, purché abbia compiuto gli anni dodici, ovvero, sebbene di età inferiore, sia comunque capace di discernimento, cosicché la sua audizione non può - anche nel caso in cui il giudice disponga, secondo il suo prudente apprezzamento, che l'audizione avvenga a mezzo di consulenza tecnica - in alcun modo rappresentare una restrizione della sua libertà personale ma costituisce, al contrario, un'espansione del diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, quale momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni”.) Finora si sono elencati i casi nei quali inequivocabilmente sussiste il diritto all’ascolto del minore ma vi sono casi dubbi. Tra questi si possono indicare i casi dei provvedimenti urgenti e provvisori di cui agli artt. 708 c.c. e 4 l. div. per i quali si potrebbe pervenire alla conclusione della necessità dell’ascolto seppur con qualche perplessità dal momento che vi è il rischio concreto che il minore possa essere psicologicamente massacrato dall’intervento giudiziario con una serie plurima di ascolti anche in fasi processuali iniziali nelle quali lo stesso giudice non ha ben chiara la situazione o si determina all’ascolto del minore senza aver prima sperimentato soluzioni sull’efficacia delle quali, poi, confrontarsi con il minore. La stessa problematica può sorgere nei procedimenti di cui all’art. 336 c.c. laddove vi sia urgente necessità: in tal senso pare possibile per il giudice prendere provvedimenti provvisori senza l’ascolto del minore se nelle more dell’udienza l’interesse del minore può essere pregiudicato. Sicuramente, invece, non è necessario l’ascolto del minore in sede di appello nel caso in cui il minore sia già stato ascoltato in primo grado. In tal senso si è pronunziata Cass 22 luglio 2014 n. 16658 la quale ha precisato che l'ascolto del minore costituisce un adempimento necessario nelle procedure relative al suo Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 46 - Settore Civile - - settore civile - affidamento nel primo grado di giudizio (Cass. n. 5847/2013), come si desume anche dall'art. 336 bis c.c., comma 1, che prevede che il minore debba essere ascoltato "dal presidente del tribunale o dal giudice delegato" (coerentemente con la L. n. 219 del 2012, art. 2, comma 1, lett. i). E si noti che il significato della “o” in italiano è duplice può valere sia come disgiuntivo che congiuntivo: può corrisponde al latino “aut” (alternativa) o “vel” (e) (inclusivo). Ovviamente laddove vi sia un radicale mutamento della situazione ed il giudice d’appello sia chiamato a prendere una decisione l’ascolto del minore non può essere omesso. In ogni caso vi è sempre una valutazione discrezionale rimessa al giudice caso per caso con il rischio della nullità del procedimento dal momento che la mancata audizione del minore comporta la nullità dell’intero procedimento. E allora si ripropongono alcuni interrogativi: la nullità del procedimento riguarda il procedimento di merito nel senso che l’ascolto deve avvenire in qualsiasi grado del giudizio purché avvenga o deve avvenire comunque nella fase di primo grado del merito o in ogni fase del giudizio o solo nella fase iniziale o in quella finale? L’art. 337 octies c.c. recita “il giudice dispone” ma non dice quando. E, ancora, quante volte si deve procedere all’ascolto del minore? E se si procede più volte ma in un’ulteriore occasione non si procede, si può ancora ravvisare una nullità se il giudice in una determinata circostanza in cui deve prendere provvedimenti sul minore non procede ad un nuovo ascolto? E si deve procedere all’ascolto anche prima di ogni modifica del provvedimento? In questa materia il giudice è chiamato ad difficile equilibrio rimesso al giudice non ci può essere una logica dell’aut aut ma si deve procedere all’ascolto ogniqualvolta sia ritenuto dal giudice necessario e soprattutto laddove il giudice è chiamato a prendere provvedimenti che hanno una maggior rilevanza nel vissuto del minore o vano ad incidere sulla persona, in senso ampio, del minore. § 4.B - I MINORI DA SENTIRE Il legislatore ha indicato come linea di displuvio i 12 anni ma anche su questo punto vi sono alcuni problemi. § 4.B.1. - LA CAPACITÀ DI DISCERNIMENTO Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 47 - Settore Civile - - settore civile - Il legislatore ha reso obbligatorio l’ascolto del minore che ha 12 anni o di più e ha fatto riferimento anche alla possibilità di ascoltare il minore infradodicenne purché munito di capacità di discernimento. Sicché per ascoltare i minore sotto i 12 anni bisogna valutare la capacità di discernimento. Ma che cosa è la capacità di discernimento e come si valuta? La capacità di discernimento è generalmente intesa come capacità di elaborare autonomamente concetti ed ide , di avere opinioni proprie e di comprendere gli eventi e prendere decisioni autonome ossia decisioni consapevoli e non mera espressione di capriccio16. Tale capacità va valutata anche per quelli sopra i 12 anni laddove siano ravvisabili problematiche di ordine emotivo affettivo significative. Il concetto di capacità di discernimento è stato mutuato nella legislazione italiana dal testo della convenzione O.N.U. sui diritti del Fanciullo (in inglese: child who is capable of forming his or her own view” ossia capacità di formarsi una propria visione o opinione delle cose) e la corte di cassazione recentemente, con l’arresto 29 settembre 2015 n. 19.327, ha definito la capacità di discernimento come “la capacità di consapevolezza e comprensione, limitatamente al senso dell’audizione stessa, e non certo di una vera e propria capacità, come un obbligo e non una mera facoltà”. Per individuare il timing della capacità di discernimento occorre prendere in considerazione una pluralità di fattori il primo dei quali è quello culturale. Sotto il profilo storico nella nostra cultura la capacità di discernimento si ritiene acquisita intorno ai sei/sette anni (quando inizia la scuola). Il secondo fattore è quello psicologico per il quale il bambino nell’arco di vita tra i sei e gli otto anni acquisisce categorie di pensiero logico, il principio della realtà e il senso morale. 16 Va precisato, però, che la capacità di discernimento non significa capacità di autodeterminazione dal momento che quest’ultimo concetto rinvia con immediatezza alla fonte soggettiva del potere di autodeterminazione e come tale presuppone l’intelligente autovincolarsi dell’individuo di cui discorre Habermas. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 48 - Settore Civile - - settore civile - Infine il terzo fattore è quello giuridico in base al quale la capacità di discernimento è: la capacità di capire ciò che è più utile per il minore e la capacità di prendere decisione autonome. Ora se si analizzano questi due aspetti dal punto di vista psicologico è agevole riscontrare che trattasi di due aspetti molto differenti dal momento che il primo implica una semplice valutazione dei propri bisogni e l’elaborazione di strategie volti a soddisfarli ed in particolare occorre capire se il bambino è in grado di posporre bisogni secondari a quelli primari; il secondo, invece, implica la capacità di formulare opinioni e scelte personali e, dunque, presuppone una capacità abbastanza matura. A sua volta l’autonomia è influenzata da più fattori: dinamiche familiari, emozioni, invischiamento con un genitore. Insomma dal punto di vista giuridico si impone la necessità di verificare il livello di competenza delle funzioni psichiche dell’Io, il livello di competenza legato alla disponibilità del minore di differenziare gli elementi essenziali dei dati di realtà dalle costruzioni prevalentemente fantastiche, la competenza di organizzazione di personalità, il patrimonio espressivo verbale e non verbale nonché la sussistenza eventuali evidenza cliniche di disagio odi malessere. Ovviamente tra i 7 e i 12 anni saranno i genitori tramite i loro atti a fornire ogni indicazione e documentazione utile a valutare la capacità di discernimento (es. documentazione scolastica o proveniente da altre agenzie educative). Certo è che in questo campo i nostri principi logici aristotelici saltano: siamo di fronte ad un’aporia (passaggio senza uscita) dalle secche della quale si può uscire solo grazie al buon senso e alla duttilità del giurista pratico di superare l’indice formale e riportare il tutto ad una dimensione prossima al sentire sociale e dalla realtà. Per fare un esempio concreto delle modalità operative del giudice in punto si può citare Cass. 2014 n. 7479 la quale in un caso di sottrazione internazionale di minore ha detto che non poteva negarsi che il minore fosse dotato del necessario discernimento, in quanto ascoltato dalle assistenti sociali era stato ritenuto dotato di intelligenza vivace e capacità di adattamento. Prima di terminare questo capitoletto si impone una domanda: che peso dare alla volontà del minore? Che cosa fare nei casi drammatici nei quali è per esempio il minore dichiara che non vuole vedere il papà o la mamma ? In punto può richiamarsi una recente sentenza della corte di cassazione nella quale espressamente si è detto che vi è una violazione dell’art. 8 CEDU se si dà eccessivo peso alla volontà del minore di non voler vedere il genitore (cfr. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 49 - Settore Civile - - settore civile - Cassazione civile , sez. I, sentenza 22.07.2014 n° 16658) perché la valutazione del giudice sulle modalità dell'affidamento può non coincidere con le opinioni manifestate dal minore, dal momento che il giudice ha "un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento del minore" (v. Cass. n. 7773/2012) e ciò è una diretta conseguenza dell'imprescindibilità dell'ascolto del medesimo. § 4.C – L’ESECUZIONE DELL’ASCOLTO Come sopra già spiegato l’ascolto del minore deve riguardare le questioni che riguardano il minore come persona quali quelle relative all’affido e alle modalità di visita o la casa familiare ma non quelle economiche o sul tenore di vita. § 4.C.1 - L’ASCOLTO INDIRETTO Una rilevante problematica che attiene all’esecuzione dell’ascolto è quella relativa alla modalità diretta o indiretta dello stesso ove per modalità indiretta – aggettivo da taluni ritenuto impronunziabile – si deve intendere quella attraverso la quale il minore viene sentito per il tramite di un ausiliario del giudice stesso, esperto in materia. In prima battuta dobbiamo sottolineare come la forma indiretta sia, in assoluto, la migliore forma di ascolto possibile, dato che per interagire con un minore, e non influenzarlo anche involontariamente, è necessaria una specifica preparazione, frutto di uno studio espressamente a ciò dedicato, qualità che non è, naturalmente, presente nella formazione giuridica. Lo stesso art. 336 bis c.c. prevede che l’ascolto sia condotto dal giudice anche avvalendosi di esperti o altri ausiliari così come l’art. 12 della Convenzione di New York e l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo. . Appare, pertanto, possibile procedere all’ascolto indiretto con l’accortezza, però, che non è sufficiente che il minore sia stato interpellato in qualche modo o esaminato da soggetti le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale essendo necessario, invece, che il soggetto che procede all’audizione sia investito di una specifica delega da parte del giudice competente Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 50 - Settore Civile - - settore civile - inerente al dovere di informare il minore di tutte le istanze scelte che lo riguardano al fine di acquisirne la volontà (cass. 15 maggio 2013 n. 11.687). In punto la corte di cassazione nella sentenza 15 maggio 2013 n. 11.687 ha chiarito che “L'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003, e dell'art. 155-sexies cod. civ., introdotto dalla legge n. 54 del 2006. Ne consegue che tale adempimento è necessario anche nei procedimenti di revisione delle condizioni di separazione dei coniugi, senza che possa ritenersi sufficiente, a tale scopo, che il minore sia stato interpellato o esaminato da soggetti (nella specie, assistenti sociali) le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale, dovendo il giudice, ove non ritenga di procedere all'audizione diretta, avvalersi di esperti investiti da specifica delega”, mentre cass. 3 maggio 2012 n. 6694 ha precisato che l’audizione può avvenire anche tramite organo adeguato o rappresentante del minore e cass. 5097/2014 in modo molto più generico ha rimesso alla discrezionalità del giudice la modalità dell’ascolto avendo cura di precisare che “il carattere urgente del procedimento giustifica pienamente sia la tempestiva attuazione dell'adempimento da parte degli organi pubblici (i servizi sociali) immediatamente in contatto con il minore”. Infine con la sentenza n. 7479 del 31 marzo 2014 la corte di cassazione in un caso di sottrazione internazionale di minore ha statuito che “l'audizione può essere svolta, secondo le modalità stabilite dal giudice anche da soggetti diversi da esso (“Nel procedimento per la sottrazione internazionale di minore, previsto dalla legge 15 gennaio 1994, n. 64 (di ratifica della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980), l' ascolto del minore costituisce adempimento necessario ai sensi dell'art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, senza che osti, in senso contrario, la mancata previsione normativa dell'obbligatorietà desumibile dall'art. 7, comma 3, della menzionata legge, potendo essere espletato secondo le modalità stabilite dal giudice, anche da soggetti diversi da esso, in quanto finalizzato, ex art. 13, comma 2, della citata convenzione, anche alla valutazione della eventuale opposizione del minore al ritorno, salva solo la preventiva valutazione dell'esistenza di ragioni di eventuale dannosità e contrarietà all'interesse del minore (da indicarsi esplicitamente) che ne sconsiglino il ricorso, anche in considerazione del carattere urgente del procedimento. Ne consegue che l'omesso adempimento o l'omessa motivazione sulla sua assenza costituiscono lesione del diritto al contraddittorio, da far valere in sede d'impugnazione nei limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 cod. proc. civ. ” - Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito con la quale, nonostante il carattere urgente del procedimento, si era delegato l' ascolto del minore agli assistenti sociali, senza che il giudice vi provvedesse direttamente in ragione dell'elevato conflitto esistente tra i genitori). Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 51 - Settore Civile - - settore civile - § 4.C.2 – CASI DI OMISSIONE DELL’ASCOLTO In alcuni casi l’ascolto del minore si può omettere. Per l’art. 336 bis cc. l’ascolto può essere omesso in due casi: quando é superfluo o in contrasto con l’interesse del minore. L’individuazione dell’esatto perimetro applicativo di entrambi non è agevole. ** Supefluo Diceva Antonio Gramsci che quando uno ti propone una soluzione semplice per un problema complicato vuol dire che ti sta imbrogliando. In primo luogo lascia perplessi la possibilità data al giudice di omettere l'ascolto quando esso appaia "manifestamente superfluo" specie considerando che il diritto convenzionale, là dove fa riferimento all'ascolto del minore in sede giurisdizionale, e le stesse Linee guida stabiliscono che il giudice può legittimamente non ascoltarlo, solo quando tale adempimento sia "in contrasto con l'interesse del minore". Ancora, le perplessità sono alimentate dalla constatazione che la delega affidava al Governo soltanto il potere di disciplinare "le modalità" dell'ascolto e non anche di stabilire i presupposti per esercitare tale diritto. Ora volendo dare alcune indicazioni operative si può ammettere che è manifestamente superfluo l’ascolto nei procedimenti che non coinvolgono l'interesse superiore del minore e quindi là dove oggetto del procedimento non sono rapporti familiari, ovvero ancora che appaia superfluo quando venga chiesto nell'àmbito di un procedimento in cui l'ascolto del minore è già avvenuto. Ma, fuori di queste ipotesi, l'ascolto non è mai "superfluo", anzi è un atto doveroso che il giudice non può evitare di compiere se non quando lo ritenga contrario all'interesse del minore. La relazione illustrativa che accompagna lo schema del decreto legislativo preparato dalla commissione presieduta da Bianca, nel voler spiegare quando ricorrono i presupposti della manifesta superfluità dell'ascolto, rischia di trarre in errore l'interprete là dove vuol precisare che l'ascolto è "manifestamente superfluo" quando verta, come dice testualmente la relazione, "su circostanze acclarate o non contestate". Si tratta di una precisazione che non si può condividere poiché evoca l'applicazione di norme del codice di rito possibile Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 52 - Settore Civile - - settore civile - solo attribuendo finalità istruttorie all'ascolto del minore, considerandolo erroneamente una dichiarazione di scienza, in sostanza un mezzo di prova assoggettato ai principi generali che reggono la disciplina delle prove: in particolare, a quanto disposto dagli artt. 115 e 209 cod. proc. civ. per cui solo i fatti non specificatamente contestati sono oggetto dell'onere di prova e ancora quando il giudice, per i risultati già raggiunti, "ravvisa superflua" ogni ulteriore assunzione. ** In contrasto con l’interesse del minore In materia minorile si fa riferimento all’interesse del minore e non può non rilevarsi come vada delineandosi con tratti marcati una mutazione genetica della gestione giurisdizionale che si sta conformando quale “giurisdizione per risultati” : una giurisdizione work in progress che trova spiegazione in un contesto culturale – giuridico nel quale – come disse il filosofo Ernst Cassirer nel libro Sostanza e Funzione: “… le cose valgono non più per il loro essere o per la loro propria ragione ma per l’effetto che producono”. In tale contesto la tipicità della fattispecie legale va sempre più evaporando. Abbiamo già avuto modo di vedere sopra come l’espressione “interesse del minore” sia anfibologica potendosi attribuire alla stessa due significazioni. La prima si riferisce alla necessità che ogni decisione riguardante una persona minore di età debba essere adottata in considerazione del suo esclusivo benessere questo il senso assunto dalla espressione nell’art. 3 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del minore (‹‹In tutte le decisioni relative al minore l’interesse superiore del minore deve avere una considerazione prevalente››); onde risulta dotata di pregnanza e rilevanza tali da eludere ogni possibile tentativo di posta in discussione. Ivi “l’interesse del minore” conserva la dignità di una categoria giuridica. La seconda, riduttiva e talora ambigua, invece tende (può tendere) ad evidenziare la duplice circostanza che “la valutazione di ciò che è bene o male per un minore appartenga all’area della pura discrezionalità” e che la stessa risulti sottratta a qualsiasi onere di verifica dialettica o di confronto. Onde “in questo secondo significato l’espressione interesse del minore non ha alcuna connotazione giuridica ma è una espressione paternalistica ad alto rischio di approssimazione e di falsificazione (..) Una categoria insufficiente ed inadeguata - rispetto alla stessa necessaria funzione di orientamento assegnatale dalla giurisprudenza - che ha subito una ormai definitiva erosione dei suoi primitivi significati di tutela”. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 53 - Settore Civile - - settore civile - E’ convinzione di molti che la plausibilità giuridica e la coerenza sistematica della categoria “interesse del minore” siano ormai ridotte al minino e sussistano numerosi indizi che rendano necessario assumere il diritto soggettivo come categoria centrale per una diversa e nuova strategia di tutela e di protezione del minore di età. Convinzione questa tratta da una riflessione sistematica intorno ai principali settori nei quali il giudice (ordinario o minorile) è chiamato ad adottare decisioni nell’interesse del minore: 1) la separazione ed il divorzio (artt. 155, 158 c.c. e art. 6 l. div.); 2) gli interventi di controllo sulla potestà genitoriale (artt. 330 ss. c.c.); 3) l’accertamento della situazione di abbandono e la dichiarazione di adottabilità (art. 1 e 8 della legge 1983, n. 184); 4) il riconoscimento della filiazione naturale e la dichiarazione giudiziale di paternità (artt. 250, 269- 279 c.c.), nonché dalla analisi della differente terminologia adoperata dallo stesso legislatore il quale, in riferimento alla protezione della minore età, talora usa la parola “diritti” (a titolo esemplificativo, si pensi all’art. 30 Cost.; all’art. 147 c.c.; o alla Convenzione sui diritti del minore, ratificata con legge 22 maggio 1991, n. 176); talaltra l’espressione “interesse del minore” (es. l’ art. 155 c.c.; l’art. 6 della legge sul divorzio; gli artt. 11,15,19 34,46 della legge 1983, n. 184 sull’affidamento ed adozione dei minori). Diversa terminologia, invero, motivabile solo alla luce della sussistenza di una differenza strutturale e normativa tra l’area dell’interesse e l’area del diritto. L’interesse fornisce, infatti, una precisa indicazione del criterio attraverso cui tutelare il diritto del minore, prius logico dell’interesse, non identificabile con esso. Esso, dunque, non sostituisce la categoria dei diritti soggettivi del minore, né si confonde o sovrappone con essa, come taluni in passato sosteneva, cagionando il sacrificio di talune significative conseguenze di una corretta impostazione giuridica, quali, in primis, quella secondo cui il diritto soggettivo (a differenza dell’interesse) risulta tutelato solo dalla giurisdizione. Del resto la distinzione è ben nota anche nel diritto amministrativo: ‹‹se una situazione giuridica soggettiva è definita di diritto soggettivo essa troverà di fronte la giurisdizione, con le sue regole, i suoi principi, le sue garanzie. L’interesse, invece, quando assume la qualifica di legittimo, può configurarsi unicamente come pretesa al corretto esercizio del potere, sia pure a pena di risarcibilità delle lesioni eventualmente cagionate per comportamento illegittimo›› (Cass. Sez. Un., 22 luglio 1999, 500). Ciò detto, evidente risulta la questione centrale che la giustizia minorile è chiamata a risolvere: il passaggio da una giustizia intesa come amministrazione dell’interesse del minore, dipendente solo dalla sensibilità dei singoli giudici, delle loro esperienze personali, dei valori condivisi (l’interesse del minore svolge ivi una “funzione di Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 54 - Settore Civile - - settore civile - cuscinetto, di passepartout discrezionale in nome del quale da un capo all’altro della penisola sono prese quotidianamente, attingendo al soggettivismo e alla discrezionalità, decisioni una diversa dall’altra”), ad una giustizia che si configuri come giurisdizione sui diritti del minore. Il ché può realizzarsi solo attraverso una allocazione della giurisdizione minorile e familiare all’interno delle regole principali processuali della giurisdizione ordinaria. Indizi significativi del siffatto passaggio (dall’interesse del minore ai diritti soggettivi) sono, del resto, rinvenibili altresì nella Convenzione sui diritti della infanzia del 1989 (l. 1991, n. 176) e nella Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del minore del 1996 (l. 2003, n. 77), la quale, in specie, prevede il riconoscimento al minore dotato di sufficiente capacità di discernimento di specifiche capacità processuali ossia capacità, nelle procedure in cui il relativo interesse risulta in conflitto necessario con quello proprio dei genitori, di stare autonomamente in giudizio con un proprio rappresentante legale. Contrariamente il riconoscimento del diritto non avrebbe senso alcuno. ** Altri casi giurisprudenzialmente individuati Altri casi nei quali si può omettere l’ascolto del minore espressamente indicati dalla giurisprudenza di merito nell’ambito di una puntuale esegesi del generico dato normativo si hanno quando vi sono solo contrasti economici, quando il minore è provato da una situazione destabilizzante ( Cass. 25.2.2014 n. 4413) o quando minore è già stato sentito (Il minore non deve essere sentito più del necessario) o, ancora, quando non ha discernimento (si pensi al minore ultradodicenne con grave ritardo mentale) o nel caso estremo e assai delicato in cui il minore non vuole essere ascoltato. In quest’ultimo caso, infatti, occorre rilevare che l'ascolto del minore non può mai diventare un'imposizione al minore di un'attività processuale da assumere coercitivamente e autoritativamente o addirittura come una violazione del suo habeas corpus. In punto in numerosi arresti del supremo collegio (Cass. civ. S.V. n. 22238 del 21 ottobre 2009, Cass. civ. sezione I n. 11687 del 15 maggio 2013 e n. 18538 del 2 agosto 2013), sia nelle recenti modifiche legislative, occorse con l'introduzione dell'articolo 315 bis c.c., da parte della Legge 10 dicembre 2012, n. 219. È stato ben spiegato che l'ascolto del minore non è una restrizione della libertà personale costituendo al contrario una espansione del diritto del minore alla partecipazione al procedimento che lo riguarda. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 55 - Settore Civile - - settore civile - L’omissione dell’ascolto, ovviamente, deve essere motivata in modo puntuale dal momento che è nullo il provvedimento che nega l'audizione del minore se non adeguatamente motivato come evidenziato da Cass. civ. Sez. I, 15/05/2013, n. 11687 ma anche da Corte di Cassazione civile, sezione prima, sentenza n. 21101 del 7 Ottobre 2014. In quest’ultimo caso nell'ambito di un procedimento di riconoscimento di paternità, promosso dal padre naturale del minore – il quale, a seguito di intervenuto ha esperito contestuale azione di disconoscimento di paternità, ottenendolo – la madre si è opposta adducendo, tra gli altri motivi (tra cui la carenza di interesse della minore al riconoscimento, dato che la stessa avrebbe instaurato un legame affettivo stabile con il marito della madre, che nel frattempo avrebbe anche avviato procedura di adozione) la mancata audizione della figlia in sede di merito Il ricorso è accolto parzialmente e la questione rinviata alla Corte d'appello competente. Secondo la Suprema corte tanto basta per fondare l'illegittimità della decisione presa dal giudice del merito, nel senso di accogliere la domanda del padre biologico. Non può, poi, non segnalarsi che in base all’art. 23 lett. b) reg Ue 2201/2003 non possono circolare in ambito comunitario i provvedimenti se non c’è stata audizione del minore. Se la nullità è accertata in fase di appello non si tratta di un caso di cui all’art. 354 c.p.c. quindi il giudizio non deve essere rimesso al giudice di primo grado ma sarà il giudice di appello a provvedere obbligatoriamente all’ascolto. § 4.E – LE MODALITÀ DELL’ASCOLTO La prima domanda da farsi quando si affronta il tema delle modalità di ascolto è quella se nell’ascolto c’è un aspetto dialogico. Il giudice dà una comunicazione informativa e allora legge o dice quello che spetta al minore ignorando tempo e ambiente in un solipsismo scandito dal girare dei fogli e dalla vuota pronunzia di parole oppure l’ascolto del minore è qualcosa di diverso? In vero nell’ascolto del minore vi deve essere un’interazione tra la parola e l’ascolto che se non deve essere meramente comunicativa non può però neppure essere performativa: il giudice, in buona sostanza, non deve formare o correggere il minore o perlustrarne le più recondite problematiche psicologiche ma deve Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 56 - Settore Civile - - settore civile - ascoltare i suoi bisogni, le sue esigenze, i suoi timori le sue ansie e le sue speranze e da qui trarre elementi per la miglior decisione possibile. Insomma un delicato equilibrio tra la funzione informativa e quella recettiva tendente ad una funzione omiletica (conversativa). Una volta chiarito lo sfondo nel quale deve collocarsi l’ascolto può procedersi ad analizzare le modalità concrete di realizzazione dell’atto. Anzitutto spetta al giudice eseguire l’audizione in modo che sia protetta da interferenze, turbamenti o condizionamenti adottando le cautele suggerite dalle circostanze. Bisogna, infatti, superare la straordinaria asimmetria che si frappone tra il fanciullo (e il suo stato emotivo) ed il contesto relazionale e ambientale in cui lo stesso viene ascoltato. (es. vietare l’interlocuzione con i genitori o i difensori, sentire il minore da solo se a presenza di altri è motivo di turbamento). L’art. 336 bis c.c. spiega, poi che il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è dato processo verbale ove è descritto anche il contegno del minore. Può essere registrato. Importante è anche che il minore se possibile sia informato dai genitori dell’incontro e delle condizioni dello svolgimento, sia messo a proprio agio nonché informato che chi l’ascolta non può mantenere il segreto sul suo ascolto: in breve il minore deve avere chiaro che l’ascolto non si svolge in una dimensione privata di segretezza. Ma soprattutto il minore deve avere tempo e spazio per raccontare: si deve stabilire un rapporto empatico con domande aperte, per favorire la narrazione del minore, linguaggio semplice ed adeguato all’età e domande indirette per non fargli percepire il peso della decisione o che la decisione è nelle sue mani. E ancora: nell’ascolto è necessario prestare molta attenzione al linguaggio utilizzato dal minore ed ai suoi messaggi nascosti (ossia prestare attenzione al non verbale) ed evitare di illudere il minore con promesse che non si mantengono. Un breve cenno va rivolto anche alla verbalizzazione: deve essere analitica con domande e risposte magari (per i più grandicelli) con coinvolgimento del minore nella verbalizzazione ed interlocuzione sulle modalità con cui riportare nel verbale la propria opinione. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 57 - Settore Civile - - settore civile - Il problema della presenza delle parti e dei difensori è stato risolto dal legislatore con l’art. 336 bis attraverso un’interlocuzione anteriore del difensore. Con riguardo, invece, all’ascolto del minore da parte dei servizi sociali si pone il problema di conciliare la natura dell’attività svolta dai Servizi sociali – ossia fornire notizie utili al giudice – con l’esigenza del difensore di poter partecipare in qualche modo ad un atto importante come quello dell’audizione del minore. A Brescia il Tribunale ordinario ha concordato la presenza del difensore al primo colloquio che gli operatori avranno con i genitori al fine di raccogliere anche le esigenze dei difensori ed impostare nel modo più ampio possibile il lavoro di analisi sistemica del nucleo familiare: successivamente i servizi sociali svolgeranno il loro lavoro senza alcuna interferenza del difensore limitandosi quest’ultimo, eventualmente a segnalare argomenti o problematiche da affrontare da parte degli operatori anche in sede di audizione del minore. Il contradditorio, ovviamente, sarà posposto davanti al Giudice all’esito dell’indagine dei servizi sociali. Con tale “protocollo” per un verso non si snatura il lavoro dei servizi sociali e, per altro verso, si garantisce il diritto della difesa al contraddittorio: il tutto all’interno di una procedura che si sviluppa su uno sfondo che tiene in preminente considerazione i bisogni del minore. ** L’ascolto del minore e la deontologia dell’avvocato L’art. 68 del nuovo codice deontologico, oltre al divieto di assumere l’incarico dai coniugi o conviventi già assistiti in una prima fase (art. 68.4) è inserito l’ulteriore divieto per l’avvocato, che abbia assistito un minore in controversie famigliari, «di astenersi sempre dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura e viceversa» (art. 68.5 cod. deont.). Per questa infrazione è prevista una sanzione più grave rispetto a quella precedente (da uno a tre anni, anziché da due a sei mesi). E’ previsto anche nel nuovo codice deontologico che l’avvocato debba «in ogni caso assicurare l’anonimato del minore» (artt. 18.2 e 57.2), e al minore infine è dedicato l’intero art. 56 (ascolto del minore), con obblighi vari previsti a carico dell’avvocato ed in particolare: - l’obbligo di non procedere all’ascolto di un minore senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale, e sempre che non sussista conflitto di interessi con gli stessi; Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 58 - Settore Civile - - settore civile - - l’obbligo di astenersi da ogni forma di colloquio o contatto con i figli minori sulle circostanze oggetto delle controversie familiari. Per la violazione di questi doveri e divieti è prevista la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno. In particolare, per esempio, è stato sanzionato con la sospensione l’avvocato che nell’esercizio del suo ministero di difensore, nel corso di un giudizio di separazione tra coniugi, «nell’interesse della propria assistita abbia intrattenuto colloqui con i figli minori della coppia all’insaputa del padre affidatario e in violazione delle disposizioni specialmente impartite dal giudice nell’interesse dei minori stessi»17 Come si vede, il nuovo codice deontologico dedica ampio spazio ai rapporti famigliari, e in particolare ai rapporti con i minori, nella fondata percezione che ogni contestazione debba essere affrontata con grande sensibilità ponendo l’avvocato a contatto con l’essere delle persone (i sentimenti, gli interessi, la stessa dignità dell’esistenza, ma anche i diritti inespressi e inesprimibili di un minore), che sono ben più rilevanti dell’avere, che pure occupa in misura talvolta ingiustificata i contrasti tra le parti. E’ del tutto condivisibile, quindi, una maggiore attenzione a questi problemi, tenuto conto anche delle varie modifiche in atto sul piano legislativo e processuale. Tra l’altro occorre ricordare ancora una volta che i doveri di lealtà e probità previsti dall’art. 88 c.p.c. (e nei medesimi termini dall’art. 105.4 c.p.p.) sono imposti non solo alle parti ma anche ai difensori, ed essi esprimono il dovere giuridico di non alterare il rapporto processuale e, quindi, di assicurare allo stesso il rispetto della verità. Al medesimo modo devono essere intesi i principi di buona fede e correttezza che per la loro ormai acquisita costituzionalizzazione... costituiscono un autonomo dovere giuridico e una clausola generale, che non attiene soltanto al rapporto obbligatorio e contrattuale, ma si pone come limite all’agire processuale nei suoi diversi profili. Infine appare interessante, poi, è rilevare come anche nel codice deontologico degli psicologi (art.31) si tenga in particolare considerazione l’interesse del minore tanto da prevedere che prestazioni professionali a persone 17 (Cass., sez. un., 4 febbraio 2009, n. 2637, in Giust. civ., 2009, I, 860, a conferma della decisione del Consiglio naz. forense 22 aprile 2008, n. 17). Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – foglio nr. 59 - Settore Civile - - settore civile - minori o interdette sono generalmente subordinate al consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale anche se trattasi di genitori separati o divorziati. Lo psicologo, addirittura, deve avvisare l’AG se ritiene necessario l’intervento professionale. § 5. – CONCLUSIONE Nel quadro sopra delineato trarre delle conclusioni sembra oltremodo complesso. Lo “stato dell’arte” si mostra alquanto fluido o, per usare un espressione che va di moda “liquido” (sociologo Zigmunt Baumann). Vi è l’anelito, la tensione verso la ricerca di soluzioni nuove in grado di dare più completa attuazione all’interesse del minore. Ma come le scatole di Andy Warhol “Brillo” hanno segnato la scomparsa della differenza fra oggetti di arte e oggetti che tali non sono, così nel diritto la molteplicità degli approcci (sociologia , psicologia ecc.) rende complicato tracciare una linea sicura che consenta di distinguere esattamente quale è l’interesse del minore e come svolgere nel miglior modo l’attività giurisdizionale. Una cosa però è sicura : il fil rouge che lega tutto è la tendenza definitiva ed inscindibile al riconoscimento per il minore dei diritti al profilo pienamente partecipativo. Insomma il minore entrando nel circuito giudiziario dovrà percepire quanto la giustizia non solo possa essere al suo servizio ma anche a sua misura. La giustizia verso i minori deve, pertanto, essere capace anche di simpatia nel senso etimologico del termine (comprensione dei bisogni altrui). Se manca di questa capacità sarà cieca e la sua esibita imparzialità sarà ottusa. E del resto solo in questo modo è possibile assicurare al minore le condizioni affinché egli sia messo in grado di svolgere il suo itinerario nella società e divenire soggetto di storia individuale e collettiva proprio perché - come ha detto icasticamente la scrittrice brasiliana Lya Luft - “l’infanzia è il suolo sul quale andremo a camminare per tutta la vita”. Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio del referente distrettuale per la formazione – - Settore Civile - - settore civile - foglio nr. 60