Consiglio Superiore della Magistratura

Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del Referente Distrettuale per la formazione decentrata - settore civile -
---------------------------------
I bisogni del minore fra autonomia privata e
intervento giudiziario
Brescia 18 novembre 2015
Relatore
Giuseppe Ondei
Presidente della sezione famiglia e minori
del Tribunale civile e penale di Brescia
*****
*****
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 2
- Settore Civile -
- settore civile -
SOMMARIO
§ 1. – Introduzione ........................................................................................................................................... 4
§ 1.a - Il concetto di “famiglia” .................................................................................................................... 4
§ 1.b - Il “superiore interesse del minore”: definizione ................................................................. 12
§ 1b.2 - La normativa internazionale in materia minorile ............................................................ 18
§ 1.b.3 - L’interesse del minore nella legge italiana sull’affidamento condiviso: la
responsabilità genitoriale ........................................................................................................................... 22
§ 1.b.4 - I diritti dei minori ......................................................................................................................... 26
§ 2. - L’autonomia dei genitori nelle decisioni riguardanti il minore ....................................... 27
§ 3. – L’ascolto come diritto fondamentale del minore .................................................................. 33
§ 3.a - Introduzione ...................................................................................................................................... 33
§ 3.b – Che cosa è l’ascolto del minore? ................................................................................................ 37
§ 3.b.1. - L’ascolto del minore in Francia, Regno Unito e Germania. ............................... 38
§ 3.b.2. – L’ascolto del minore nella legislazione italiana: ricognizione normativa ........... 42
§ 4. - Le questioni non affrontate ........................................................................................................ 44
§ 4.a- I giudizi nei quali il minore deve essere sentito.................................................................... 44
§ 4.b - I minori da sentire ........................................................................................................................... 46
§ 4.b.1. - La capacità di discernimento .................................................................................................. 46
§ 4.c – L’esecuzione dell’ascolto ............................................................................................................... 49
§ 4.c.1 - L’ascolto indiretto ........................................................................................................................ 49
§ 4.c.2 – Casi di omissione dell’ascolto .................................................................................................. 51
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 3
- Settore Civile -
- settore civile -
§ 4.e – Le modalità dell’ascolto ................................................................................................................. 55
§ 5. – Conclusione ........................................................................................................................................... 59
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 4
- Settore Civile -
- settore civile -
§ 1. – INTRODUZIONE
Quando si deve affrontare un tema delicato e complesso come quello del
rapporto tra autonomia privata ed intervento del giudice con riferimento ai bisogni
del minore è inevitabile imbattersi in una serie di termini che sono connotati da
una forte valenza anfibologica sicché si impone, da subito, la necessità di
esplicitare, nel limite del possibile, i concetti che stanno alla base di tali termini
dando loro una consistenza concreta e chiara che permetta di “illuminare” nella
sua interezza la trattazione.
I termini che verranno analizzati sono quelli del “concetto di famiglia” e del cd.
“preminente interesse del minore”.
Con riguardo al primo termine si avrà cura di individuare la valenza pubblicistica o
privatistica del medesimo dal momento che la visione della famiglia in un senso o
nell’altro conduce a diverse soluzioni nella valutazione del rapporto tra autonomia
privata ed intervento statale in ambito familiare.
L’interesse preminente del minore, invece, costituisce una sintagma “contenitore”
talmente ampio da permettere all’interprete di veicolare con lo stesso soluzioni
non solo discrezionali, ma financo arbitrarie, che potrebbero portare agevolmente
e pericolosamente alle derive del cd. diritto “creativo” nelle quali il ruolo del
giudice si confonde con quello del legislatore di talché è necessaria una
delimitazione del medesimo in termini sufficientemente precisi se non si vuole che
tale termine finisca per vivere nella sua solitudine o, per usare un’espressione di
Mallarmé, “nel suo nulla”.
§ 1.A - IL CONCETTO DI “FAMIGLIA”
Principiando dal concetto di famiglia va osservato che quando fu
promulgato il codice di procedura civile nel 1940 vi era una concezione fortemente
pubblicistica della famiglia che informava l’ordinamento giuridico: la famiglia era
alla base dello Stato costituendo il luogo ove si sarebbero formati i futuri cittadini,
lavoratori e soldati ed il matrimonio non era un istituto creato a beneficio dei
coniugi, ma un atto di dedizione e sacrificio degli individui nell’interesse della
società di cui la famiglia è nucleo fondamentale. In un siffatto contesto, il valore
fondamentale era rappresentato dalla salvaguardia dell’unità della famiglia. Per
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 5
- Settore Civile -
- settore civile -
questo il matrimonio era indissolubile e la separazione personale che incrinava
quell’unità era ammessa, cioè tollerata, soltanto in presenza di gravi evenienze;
l’art. 147 c.c., poi, nella sua originaria formulazione, imponeva ai genitori di
“conformare l’istruzione e l’educazione della prole alla morale e al sentimento
nazionale fascista”.
Questa visione della famiglia non venne meno con la caduta del fascismo,
tant’è che ancora nel 1965 un grande giurista come Cicu in un suo scritto
“Sull’indissolubilità del matrimonio” sottolineava come la famiglia doveva
considerarsi “un organismo etico avente ragione in un interesse superiore agli
interessi individuali” condividendo una concezione massicciamente permeata dal
neo-hegelismo che pervadeva il clima intellettuale italiano tra fine ’800 ed inizi
’900, anche se non può dirsi hegelianamente filologica, perché Cicu legge Hegel
conoscendone esclusivamente i Lineamenti di filosofia del diritto1 e non anche la
Fenomenologia dello spirito. Di qui, in Cicu, l’esaltazione dell’oggettività della
famiglia — per cui nel matrimonio si ha « un uscire dal punto di vista contrattuale,
proprio della personalità autonoma nella sua individualità, per annullarlo » (3) —
anche nella sostanza.2
Le linee di fondo della codificazione del 1942 sono costituite, guardando al
rapporto tra coniugi, dall'affermazione del ruolo dominante del marito nei rapporti
con la moglie, dalla connotazione di indissolubilità del matrimonio, dal
riconoscimento della possibilità di separazione solo per colpa. Sul versante dei
rapporti con i figli, restava rigorosa l'adesione al modello gerarchico, dove il ruolo
di vertice era ricoperto solo dal padre, mentre la filiazione naturale, pur ricevendo
maggiore riconoscimento che in passato, veniva disciplinata in maniera
sfavorevole rispetto alla filiazione intramatrimoniale, come del resto emergeva già
1 È il celebre § 163 di G.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto [1821], trad. it. di F. Messineo, Bari 1913, p. 151.
2In
questo senso, la concezione di Cicu non è istituzionale ma organica, poiché la famiglia è un organismo il cui proprium è
la « subordinazione delle parti ad un fine con assegnazione di funzioni » (A. Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma
1914, p. 86). E ancora: « A differenza che nel contratto, non si hanno in esso [rapporto matrimoniale] interessi individuali,
né contrapposti, né comuni; ma un unico interesse superiore al quale le volontà degli sposi devono prestare ossequio » (Id.,
Matrimonium seminarium reipublicae, in Arch. giur., 1921, p. 111 ss., ora in Scritti minori, I, 1, Milano 1965, p. 199 ss.).
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 6
- Settore Civile -
- settore civile -
sul piano letterale dalla scelta di etichettarla come “illegittima”, in coerenza con la
scelta di identificare la famiglia giuridicamente rilevante esclusivamente con quella
fondata sull'istituto matrimoniale.
In breve due erano le questioni squisitamente giuridiche emerse
all'indomani della codificazione tuttora vigente: la collocazione, per i motivi sopra
accennati, di tale branca del diritto all'interno dell'ordinamento giuridico - se nel
diritto pubblico o diritto privato -, e la natura del fenomeno familiare, se cioè
questo individui una organizzazione giuridicamente rilevante nel senso di una sua
entificazione e in modo tale da ravvisarne interessi suoi propri oppure se si tratti
di una formazione intermedia (ex art. 2 Cost.) che l'ordinamento riconosce come
preesistente ma la cui giuridica rilevanza resta confinata ad un ruolo strettamente
strumentale, vale a dire deputata alla realizzazione della personalità dei singoli che
ne fanno parte.
Ci vorrà molto più tempo perché si imponga nella società e nel diritto
un’idea diversa di famiglia, anche in virtù dell’elaborazione degli articoli 2 e 29
della Costituzione3.
E' stato efficacemente osservato che “la famiglia disegnata dal codice del
1942 è una famiglia che nasce già vecchia (…) perché viene ad essere modificata,
nella struttura, nei principi, nei valori e nelle scelte ideologiche allorquando, con la
caduta del fascismo, si affermano e vengono normativizzati i valori che inaugurano
la nuova Repubblica costituzionale”(Ruscello). Nell'interpretazione del testo
codicistico, dunque, è emersa da subito la necessità di adeguare tali norme al
dettato della Costituzione, con tutte le difficoltà che derivavano dal fatto che nel
testo del codice non vi fosse stato un sufficiente livello di maturazione
interpretativa, stante la brevità del lasso temporale.
La famiglia nella prospettiva costituzionale è una formazione sociale
autonoma nei confronti dello Stato che riceve senso e valore nella misura del
servizio reso ai suoi membri come mezzo di crescita della loro personalità e di
massimazione delle loro felicità.
Orbene, in conformità con una tendenza sviluppatasi nelle Costituzioni
scritte tra le due guerre, la nostra Carta costituzionale dedica alla famiglia, ad
3 Di “avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della
famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti”, parla espressamente cass. 18066 del
20/08/2014.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 7
- Settore Civile -
- settore civile -
apertura del titolo dedicato ai rapporti etico - sociali, alcuni articoli di
fondamentale importanza, colmando quindi una lacuna della sistematica dello
Statuto avvertita da più parti. Come emerge con chiarezza dagli Atti dell'Assemblea
costituente, gli artt. 29, 30 e 31 conobbero, a causa della loro natura fortemente
innovativa, la loro definitiva formulazione solo in seguito ad un travagliato
dibattito in cui ai già delicati problemi di natura tecnico-formale si aggiunsero i
contrasti prodotti da posizioni ideologiche contrapposte.
In effetti, con l'introduzione della Carta costituzionale si assiste all'ingresso
di una serie di principi che scardinano il regime preesistente: all'art. 29 della
Costituzione si afferma per la prima volta il principio di uguaglianza, morale e
giuridica, dei coniugi con l'unico limite della garanzia dell'unità familiare, nel
riconoscimento pieno della famiglia come istituto giuridico e come società
naturale, all'art. 30 si prevede la massima tutela possibile per la filiazione extra
matrimoniale.
L’elaborazione sistematica dei principi costituzionali del diritto di famiglia
presenta una varietà di interpretazioni dovuta alla complessità della problematica,
già evidente se si considera come la famiglia, istituto pregiuridico con aspetto
proteiforme, rappresenti un ambito di esperienza assolutamente irriducibile agli
schematismi della riflessione giuridica di tipo dogmatico.
Nonostante ciò la miglior dottrina costituzionalistica, prima ancora di quella
privatistica, ha compreso in maniera incisiva la portata innovativa del dettato
costituzionale, senza lasciarsi ingabbiare dal carattere indubbiamente
compromissorio di buona parte delle disposizioni in esame che ha talvolta
legittimato interpretazioni riduttive (per non dire paralizzanti) della volontà del
costituente.
Se è innegabile una posizione di privilegio assegnata alla famiglia legittima,
intesa come «forma giuridica della convivenza di coppia obiettivamente
insuperabile per garanzie di certezza, stabilità dei rapporti e serietà dell'impegno»
(Schlesinger), fondamentali sono gli spunti intesi a ricostruire la tematica della
famiglia in vista di un disegno unitario di sviluppo della personalità dei singoli
individui, facente leva sulla nozione coordinata di famiglia-formazione sociale,
emergente dal combinato disposto degli articoli 2 e 29. La tutela dei diritti
inviolabili del singolo e garanzie di autonomia della famiglia non possono
prescindere da una considerazione più ampia delle inequivocabili scelte di politica
legislativa operate dalla Costituzione, con particolare riferimento alle esigenze di
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 8
- Settore Civile -
- settore civile -
“trasformazione giuridica” della donna e di un complesso di disposizioni volto a
determinare uno “statuto dei diritti dell'infanzia e della gioventù”.
Non è pensabile, quindi, il disegno tracciato dal costituente in tema di
famiglia prescindendo dalle considerazioni emergenti dagli articoli 3, secondo
comma e 2 così come necessariamente integrati dagli articoli 31, secondo comma,
36 e 37, tutti riunificati concettualmente dalla tutela funzionale della persona e del
suo sviluppo quale necessariamente filtrato da istituzioni sociali (anche lavorative)
di base.
Nella costituzione si è voluto inserire una visione armoniosa del corpo
sociale all’insegna della complementarietà di oikia e polis quasi una sorta di
antidoto istituzionale contro le due forme di disumanizzazione che la modernità
può determinare: la collettivizzazione statalista e la privatizzazione economicistica
entrambe cospiranti verso la massificazione che riduce l’uomo ad individuo, o
meglio a mera unità di calcolo demografico.
A ciò si aggiunga che le norme costituzionali dedicate alla famiglia hanno
carattere immediatamente precettivo e non possono autorizzare nessun tipo di
interpretatio abrogans non in sintonia con la loro portata effettiva. Si può in merito
affermare che un generale consenso sulla natura certamente precettiva delle
norme in esame, si acquisisca solo a partire dal 1966, a seguito del mutato
orientamento della giurisprudenza costituzionale. Ciò rappresenta comunque solo
una tappa di un lungo e complesso procedimento interpretativo che ha impiegato
con funzioni sinergiche dottrina, giurisprudenza ordinaria e costituzionale ed
opinione pubblica: se infatti è per sua natura mutevole la famiglia-istituzione,
maggiormente mutevoli sono le norme costituzionali al riguardo, stante la loro
natura di direttive “in continuo divenire, sempre aperte agli sviluppi della storia ed
ai suoi svolgimenti istituzionali” (Bessone).
Sancita, così, l'esclusione di qualsiasi discriminazione all'interno della prole,
a prescindere dallo status filiationis, e negata ogni eccezione al principio citato,
queste norme si inseriscono in un più ampio favor minoris proprio del disegno
costituzionale che comprende al suo interno il diritto allo studio, alla pari
retribuzione lavorativa, alla formazione professionale, ecc.. La famiglia viene
assumendo sempre di più l'aspetto del seminarium rei publicae, cioè del luogo degli
affetti privilegiato in vista dell'educazione: è questo un passo irrinunciabile sulla
via della “umanizzazione del diritto di famiglia” (Barbiera) (o meglio
umanizzazione della funzione della famiglia), rammentata anche dall'articolo 16
della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 9
- Settore Civile -
- settore civile -
Il mutamento di prospettiva operato dal costituente è coerente con le scelte
di fondo ispiratrici del nuovo assetto costituzionale che pongono la persona al
centro dell'ordinamento. L'opzione ideologica sottesa alle nuove disposizioni era,
infatti, rappresentata dall'abbandono della prospettiva della “famiglia sotto tutela”
e il passaggio alla “tutela della famiglia” (Alpa): non più, cioè, un intervento del
legislatore volto a tutelare la famiglia come comunità in relazione alla quale i
singoli assumono giuridico rilievo, quanto piuttosto una tutela riservata ai singoli
in quanto persone, prima, e in quanto persone inserite all'interno della famiglia,
poi. In quest'ottica la famiglia diviene la prima di quelle “formazioni sociali” in cui
il singolo “svolge la sua personalità”, contemplate all'art. 2 della Costituzione.
Ma la Carta costituzionale non si limita a disegnare una famiglia chiusa nella
sua “privatezza” ovverossia nella individualità dei suoi componenti e ispirata al
primato del diritto soggettivo.
L’autonomia della famiglia protetta dal diritto di privatezza coniugale trova
il limite indicato dallo stesso art. 2 Cost. ossia nel principio della solidarietà, il
quale impedisce che il primato del dovere affermato dalla morale domestica
coniugale si converta nel primato del diritto soggettivo, con la conseguenza di
dissolvere la famiglia nelle relazioni interindividuali dei suoi componenti cioè in
una serie scoordinata di rapporti tendenzialmente conflittuali.
In buona sostanza la costituzione garantisce i diritti dei membri della
famiglia ma chiede in pari tempo che il loro esercizio si sottometta alla regola della
solidarietà.
Luigi Mengoni, in punto, ebbe a sottolineare che una deregolamentazione
che indebolisce questa regola sarebbe contraria allo spirito della Costituzione, “né
basterebbe a giustificarla un mutamento del costume del resto finora non verificato
né prevedibile perché lo Stato non può avallare o addirittura consolidare con il
presidio della legge (la quale, peraltro, contribuisce essa stessa in misura rilevante
alla formazione della coscienza sociale) un costume che risulti incompatibile con i
valori morali verso i quali la nostra Costituzione volle indirizzare la nostra società
(corte cost. 127/1968)”.
La lettura dell’art. 29 cost. nel quadro dell’art. 2 Cost. ottiene così un
guadagno ermeneutico: l’identificazione dell’unità della famiglia con l’accordo dei
coniugi implicita nel principio di uguaglianza viene mediata dal principio di
solidarietà. Nell’unità della famiglia il fine di ciascuno dei membri diventa lo
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 10
- Settore Civile -
- settore civile -
sviluppo e la felicità dell’altro e in questo senso i diritti dei membri della famiglia si
esprimono come diritti della famiglia.
In definitiva, la Costituzione lega il concetto di famiglia a quello della dignità
della persona umana senza cadere nell’equivoco di stampo illuministico che riduce
il matrimonio a strumento del cd. diritto alla felicità individuale, proprio con il
forte richiamo al principio della solidarietà del quale l’unità familiare è delle più
vivide espressioni fenomeniche.
Se, pertanto, oggi si può dire che nel diritto sostanziale e soprattutto nella società
reale il concetto di famiglia ha un ben diverso significato rispetto a quello originario del
codice civile non si può dire altrettanto del sistema processuale che sino al 2014 ha
continuato a regolare la crisi del rapporto matrimoniale secondo un paradigma che nelle
sue linee generali appariva praticamene fermo all’epoca di promulgazione del codice di
procedura civile e cioè ad epoca precedente alla Costituzione repubblicana e che era
ormai del tutto anomalo nel panorama europeo.
E’ noto, infatti, che nella grandissima parte dei paesi dell’Unione Europea la
soluzione della crisi matrimoniale è direttamente il divorzio; la separazione è prevista
per lo più in Europa, seppure con ovvie e significative differenze tra un ordinamento e
l’altro (e tranne che in Romania dove l’istituto è del tutto sconosciuto), ma solo come
alternativa al divorzio, ossia come una forma di attenuazione degli obblighi derivanti dal
matrimonio, e comunque mai come condizione per pervenire al divorzio.
Ma i residui e persistenti riflessi di quella concezione tesa alla salvaguardia
dell’unità della famiglia, che ha informato le scelte del legislatore del 1940, sono
molteplici, a partire dal tentativo di conciliazione, risalente per la separazione al codice
di procedura civile del 1940 e ripreso nel 1970 dal legislatore del divorzio, tentativo
affidato al presidente del tribunale perché (all’epoca) persona autorevole e saggia che
avrebbe dovuto indirizzare i coniugi verso il salvataggio del matrimonio.
Un altro punto, però, che va ribadito è che, nell’impostazione tutt’ora
vigente del codice di procedura civile e della legge sul divorzio, l’intervento del
pubblico ministero nel processo di separazione - non previsto dal codice del 1865
e introdotto dal codice del 1940 -, così come l’intervento nel giudizio di divorzio,
non è solo funzionale alla tutela degli interessi dei minori, in quanto è previsto in
termini generali in tutti i procedimenti di separazione e divorzio a prescindere
dall’esistenza dei minori, ma costituisce anche uno dei riflessi del carattere
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 11
- Settore Civile -
- settore civile -
pubblicistico che caratterizza la crisi della famiglia nata dal matrimonio4 . E
rilevanti regole sono stabilite anche in ordine agli aspetti patrimoniali che
coinvolgono esclusivamente i coniugi: l’art. 5 della legge sul divorzio che regola
l’assegno divorzile impone un generale obbligo di trasparenza, con il deposito delle
dichiarazioni dei redditi e di ogni documentazione relativa al patrimonio che
implica l’onere di allegare anche elementi contra se in contrasto con i principi
generali che regolano il processo civile, prevedendo nel contempo poteri e
strumenti di indagine anch’essi assolutamente peculiari rispetto all’ordinario
giudizio di cognizione; del pari, la determinazione di un assegno una tantum è
soggetta ad una valutazione di equità da parte del tribunale. del carattere
pubblicistico che caratterizza la crisi della famiglia nata dal matrimonio.
E’ questo, in sintesi, il quadro nel quale a settembre 2014 viene emanato il
decreto legge n. 132 del 2014 che prevede nel Capo II la procedura di negoziazione
assistita da un avvocato, con una specifica disciplina nell’art. 6 delle “soluzioni
consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e di
scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni delle separazione o di
divorzio”, mentre l’art. 12 disciplina invece la “separazione consensuale, richiesta
congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e
modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato
civile”; e l’esposizione che precede è essenzialmente funzionale a sottolineare come
sul piano sistematico la nuova normativa finisca con il risultare “eversiva” rispetto
al precedente sistema di regole, tanto più perché l’art. 2 della predetta normativa
chiarisce esplicitamente al n. 2 che “la convenzione di negoziazione deve precisare:
a) …; b) l'oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili…”;
ed è chiaro che la medesima impostazione informa anche l’art. 12; con la
conseguenza che da quel momento in Italia si hanno un divorzio e una separazione
che si possono fare dinanzi all’ufficiale dello stato civile o con l’ausilio di avvocati,
senza apparenti controlli se non funzionali alla tutela dei figli e sulla base di una
pretesa disponibilità dei diritti oggetto dell’accordo, ed un divorzio ed una
separazione che invece prevedono la decisione finale, nelle forme dell'omologa o
della sentenza di divorzio congiunto, demandate ad un collegio del tribunale, con
l’intervento obbligatorio del pubblico ministero e con il tentativo obbligatorio di
conciliazione: non sono solo due (o tre) modi diversi di separarsi o di divorziare,
4 cfr. cass. 03/12/1987, n. 8976; Vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, Zanichelli Editore, pag.
50, ove si osserva che la ratio dell’art. 70 “va individuata nell’esigenza di tutelare l’interesse superiore della famiglia, interesse
pubblico che del resto è ravvisabile ogni qualvolta la legge impone la partecipazione di questo organo al processo civile”; così
come si ritiene indisponibile la materia dell’addebito della separazione; da ultimo, cfr. cass. n. 7.998 del 04/04/2014.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 12
- Settore Civile -
- settore civile -
ma in realtà sono il riflesso di due concezioni radicalmente diverse e difficilmente
compatibili della separazione e del divorzio.5
Da ultimo anche la corte costituzionale con la sentenza 5 novembre 2015 n.
223 (che ha dichiarato appunto inammissibile una questione di legittimità mirata ad eliminare la
previsione di non punibilità stabilita, al primo comma dell'art. 649 cod. pen., per i reati contro il
patrimonio commessi, senza violenza personale, in danno di "stretti" congiunti (coniuge non
legalmente separato; ascendente, discendente o affine in linea retta; adottante o adottato; fratello o
sorella conviventi) ha
esplicitamente confermato in un passaggio della motivazione la
nuova concezione della famiglia come si è venuta delineando nei tempi odierni
laddove in particolare ha precisato che “… il tipo di economia familiare nel quale potevano
intervenire i reati de quibus all'epoca del codice Zanardelli (e, ancora, all'epoca di approvazione del codice
vigente) era ben diverso da quello odierno. Le donne erano spesso prive di reddito, gli uomini disponevano della
dote della moglie e, più in generale, esercitavano una potestà ampia ed indivisa sui figli, oltre che sulla coniuge.
V'era insomma - in generale - un centro unitario di interesse e di "comando", al cui cospetto i diritti altrui
sembravano meritevoli di affievolimento, nella concomitante aspettativa culturale e giuridica di un matrimonio
indissolubile, e di una famiglia coesa (quasi) a qualunque costo, con ampi margini di soccombenza per i diritti
individuali della persona. Quella stessa posizione dominante del marito e del padre, d'altra parte, pareva
probabilmente "compensativa" (cioè capace di provvedere la tutela in alternativa a quella propria
dell'ordinamento) per l'ipotesi di reati commessi da familiari diversi”; e poi ha aggiunto che
“l'eguaglianza tra i coniugi, e la pari responsabilità di costoro verso i figli (responsabilità, appunto, più che
potestà) non può che imporre un riequilibrio degli automatismi espressi dalla disciplina censurata, ed in
particolare dal primo comma dell'art. 649 cod. pen.: che la rinuncia alla punizione valga a preservare l'unità del
nucleo familiare, e che comunque una tale ipotetica unità prevalga ad ogni costo sulla libera determinazione degli
individui nei rapporti patrimoniali e familiari con altri individui, è giustificazione oggi non più razionale”,
almeno e proprio nella sua dimensione astratta ed oggettiva, per la disciplina penale di favore”,
prospettando così, di fatto, un anacronismo legislativo.
§ 1.B - IL “SUPERIORE INTERESSE DEL MINORE”: DEFINIZIONE
La tutela dei minori, e la promozione dei loro interessi, rappresenta una
delle grandi sfide che la società contemporanea rivolge non solo alla regolazione
giuridica dei singoli Stati ma, in particolar modo, a tutti gli interventi della sfera
pubblica. L’attenzione rivolta alla tutela dei fanciulli è, infatti, presente, già da
parecchi decenni, nella maggior parte degli ordinamenti statali i quali si sono
gradualmente impegnati a “costituire in discipline epistemologicamente autonome
sia il diritto di famiglia in generale che il diritto minorile in particolare”.
A tutti è noto come nel contesto occidentale in cui viviamo, seppur con
apparenti segni di benessere rispetto ad altre realtà sociali e culturali non distanti
5 G. Dosi, La negoziazione assistita da avvocati, Giappichelli Editore, p. 34, parla di trasferimento “in un’area inedita di
indisponibilità attenuata”
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 13
- Settore Civile -
- settore civile -
da noi, assistiamo quotidianamente a gravi ed allarmanti contraddizioni
sull’infanzia. Infatti nelle nostre città, piccole o grandi che siano, esistono molti,
anzi troppi, bambini abbandonati non tanto all’interno di comunità o istituti
assistenziali quanto nelle loro stesse famiglie; molti bambini abusati non solo sul
piano fisico ma spesso sul piano psicologico anche attraverso quella terribile, e
sempre crescente, forma di violenza che è costituita dalla trascuratezza; molti
bambini manipolati non solo dalla famiglia ma anche da parte di istituzioni che
impongono loro false identità; molti bambini dimenticati e indifesi perché i loro
diritti fondamentali sono misconosciuti da agenzie educative che li emarginano, da
servizi pubblici poco attivi e da famiglie spesso affettivamente assenti o
pedagogicamente insufficienti; molti bambini a cui è stata negata l’infanzia perché
troppo presto oberati da responsabilità che pesano come un macigno sulla loro
vulnerabile età; molti bambini diversamente abili che nascono e crescono
all’interno di famiglie spesso lasciate sole e che, con estrema fatica, vivono il senso
di appartenenza con nuclei familiari che condividono con loro lo stesso percorso:
età dei bambini, frequenza della stessa scuola, dello stesso quartiere, della stessa
comunità religiosa, delle stesse realtà ludiche e sociali.
Le solenni Dichiarazioni internazionali stipulate negli ultimi decenni hanno
gradualmente cercato di attenuare questi pericoli e queste allarmanti diversità
riconoscendo ai minori una particolare titolarità di diritti e di interessi, soprattutto
in considerazione della loro condizione di soggetti in formazione. Garantire, quindi,
la protezione e la tutela effettiva dei diritti e degli interessi di coloro che si
affacciano alla vita costituisce, ora più che mai, una priorità assoluta su cui
nessuno può sentirsi esonerato. Nonostante ciò, è solo dalla fine degli anni ottanta
che si è sviluppata, nella maggior parte dei Paesi europei, una cultura fondata sulla
attenzione e sulla solidarietà (principi che sono alla base di una comune etica
sociale) verso la condizione dei minori e, in modo particolare, verso il loro
armonico sviluppo. Si è così diffusa, seppure con estrema fatica, una più matura
comprensione sul fatto che la tappa dell’infanzia coincida con un momento
fondamentale nello sviluppo di ogni persona; che ogni bambino costituisce e porta
con sé, fin dalla nascita, un valore unico ed irripetibile che deve essere rispettato e
protetto e che non può, in modo alcuno, essere considerato alla stregua di un
adulto in miniatura, un soggetto cioè che può essere utilizzato e plasmato a
discrezione e secondo gli esclusivi interessi di noi adulti; che i possibili e
drammatici comportamenti devianti, assunti nel corso del processo di crescita e di
maturazione, devono essere corretti e tollerati nel tentativo di recuperare e di
educare il soggetto in formazione senza così emarginarlo e, infine, che al minore
devono essere assicurati, in particolare in un contesto sempre più multiculturale
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 14
- Settore Civile -
- settore civile -
come quello in cui viviamo, spazi di autonomia e di libertà tali da far maturare in
lui autentici valori di giustizia e di solidarietà.
Tali valori, infatti, oltre ad essere riconosciuti a ciascun individuo,
possiedono per i fanciulli un significato molto peculiare: contribuire alla
formazione di una personalità che si troverà a dover fare fronte alle numerose ed
inaspettate sfide della vita. Consideravo doveroso partire da tali premesse per
ricordare che il dovere di riconoscere un primato sui diritti di ogni bambino non
derivi dal considerare il fanciullo come un individuo costitutivamente debole,
bensì dall’interpretare l’innocenza e la debolezza (caratteristiche che sono proprie
di un soggetto in formazione) come un dovere esplicito da parte di ciascuno di
essere in grado di impostare in modo adeguato -alle esigenze di un minore- tutte le
dinamiche e gli aiuti che coincidono con la preminente tutela dei suoi interessi
evitando, in tale modo, l’annullamento o il soffocamento dei legittimi interessi di
cui il bambino è portatore.
§ 1. B .1 - P ORTATA GIURIDICA DEL CONCETTO DI INTERESSE DEL MINORE
Per meglio però comprendere la centralità e lo sviluppo del concetto in
esame ritengo, fin da ora, utile e doverosa una precisazione terminologica.
Malgrado venga utilizzato il termine di interesse è d’obbligo rammentare che i beni
inclusi come oggetto di protezione, nel medesimo concetto, non sono riconducibili
al significato solitamente attribuito alla categoria dei meri interessi, cioè alle
posizioni giuridiche soggettive di rango inferiore. Al contrario, nella formulazione
in esame, rientrano beni da proteggere che possiedono la categoria di diritti
soggettivi. Ne deriva, quindi, che dovrebbero essere denominati diritti dei minori,
in quanto il richiamo all’interesse del minore trova la sua origine nel considerare il
fanciullo come effettivo titolare di diritti universalmente riconosciuti quali la
libertà, la salute, l’istruzione e la formazione. L’obbligo di garantire tali diritti deve
essere perseguito anche nel caso in cui si dovessero riscontrare situazioni di netta
contrapposizione con gli interessi degli adulti; ciò significa che agli adulti deve
essere preclusa ogni azione atta a limitare lo sviluppo di tali diritti inviolabili,
purché il fanciullo abbia raggiunto quel grado minimo di maturità necessario per la
tutela autonoma dei suoi interessi. Il diritto minorile, come è stato autorevolmente
affermato, viene quindi a coincidere con un “diritto dei diritti del minore” e cioè al
vasto insieme di norme che raccolgono tutti quei diritti che sono riconosciuti ad
ogni cittadino e che assumono una particolare caratteristica in rapporto alla
peculiare situazione del suo destinatario (o titolare). Tale peculiarità deriva dalla
sua condizione di soggetto in formazione. Il diritto dei minori, quindi, non si
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 15
- Settore Civile -
- settore civile -
definisce più come un diritto risultato di una società di proprietari espressione di
un’antropologia giuridica che si premurava di proteggere il minore dai rischi di atti
negoziali capaci di arrecagli pregiudizi economici né come un diritto che considera
esclusivamente il comportamento che gli adulti devono assumere verso i fanciulli,
né tanto meno i doveri degli stessi fanciulli nei confronti della comunità di
appartenenza. Deve essere considerato, invece, come un diritto complesso,
fondato sui reali bisogni e sulle concrete esigenze di una personalità in evoluzione,
avente per oggetto l’identificazione degli strumenti (giuridici e sociali) necessari
per rispondere alla legittima aspirazione alla libertà. Tale aspirazione, nel caso del
minore, necessita di mezzi finalizzati ad assicurare appropriate condizioni di vita
che consentano una graduale e responsabile conquista verso la libertà.
Il concetto di interesse del minore risulta oggi il principio cardine su cui si
fonda sia la legislazione familiare e minorile sia la normativa sociale nella maggior
parte dei paesi occidentali6 . Il concetto in esame è espressamente sancito nella
Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo di New York del 1989
(ratificata e resa esecutiva in Italia attraverso la L. 176/1991), nella Convenzione
Europea sull’esercizio dei Diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996 (ratificata e
resa esecutiva in Italia attraverso la L. 77/2003), nonché nella Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza nel 2010. La Convenzione
ONU sui diritti del bambino, di cui celebriamo il venticinquesimo anniversario,
risulta il trattato internazionale in materia di diritti umani che ha ottenuto il
maggior numero di ratifiche11 fatta eccezione (ad oggi) per gli Stati Uniti e la
Somalia.
Il ricordo, inevitabilmente, riporta la nostra memoria a quel lontano 20
novembre del 1989 quando, quasi a voler commemorare il bicentenario della
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, venne presentata
all’approvazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Magna Charta dei
diritti del bambino: un corpus legislativo composto da ben cinquantaquattro
articoli che, ratificato dalla maggioranza assoluta dei Paesi, ha modificato
radicalmente il concetto giuridico sotteso alla figura del minore innovando, in
modo coraggioso e significativo, tutte quelle tutele già attribuite alla figura del
bambino dagli ordinamenti internazionali, il quale, in forza di questa nuova intesa
tra i popoli, deve essere considerato soggetto attivo di diritti e non più oggetto
6 Cfr. M. DOGLIOTTI, Sul concetto di diritto minorile: autonomia, favor minoris, principi costituzionali, in Dir.fam. pers., 1977,
pp. 954 ss.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 16
- Settore Civile -
- settore civile -
passivo che necessita di generiche cure e tutele. In virtù di ciò che viene
solennemente stabilito nella Convenzione, che ricordiamo essere vincolante per gli
Stati che l’hanno ratificata, ad ogni bambino deve essere garantito: un livello di vita
sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e
sociale (ex art. 27), il migliore stato di salute possibile nonché la possibilità di poter
beneficiare dei servizi medici e di riabilitazione (ex art. 24), la protezione contro
ogni forma di sfruttamento economico (ex art. 32), la possibilità di accedere ad
una educazione e formazione lavorativa in funzione delle capacità che gli sono
proprie (ex art. 28). Accanto a ciò la Convenzione stabilisce che il criterio del
miglior interesse del minore, clausola da adottare nel caso in cui si debbano
prendere provvedimenti giurisdizionali e nella predisposizione di percorsi di
promozione e tutela da parte della Pubblica Amministrazione, debba essere
sempre considerato come prevalente.
Come è noto, non spetta generalmente alle fonti normative definire i
concetti; quelle di rango internazionale hanno già svolto un importante ruolo, in
quanto hanno favorito l’impegno dei legislatori nazionali e della giurisprudenza dei vari ambiti e livelli - che ha cercato di considerare l’interesse del fanciullo come
baricentro di tutta la normativa familiare e minorile.
Molti studiosi però sono concordi nell’affermare la concreta necessità di
pervenire ad una definizione esplicita dell’interesse del minore.
Malgrado ciò, nessuna legislazione o giurisprudenza è riuscita a fornire una
definizione del concetto che abbia come fondamento criteri oggettivi. E ciò non
dovrebbe sorprendere eccessivamente; l’interesse del minore, nelle fonti
giuridiche indicate, è una clausola di carattere generale che ex natura sua concede
largo spazio alla discrezionalità interpretativa. Può stupire, al contrario, la totale
mancanza di criteri mirati a circoscrivere tale discrezionalità, eccezion fatta per il
Regno Unito con il Children Act del 1989, nel cui preambolo si statuisce che
“quando una corte decide in merito a qualsivoglia questione concernente la cura e
l’educazione di un minore o l’attribuzione di redditi che ne derivano, dovrà
considerare il benessere del minore quale criterio preminente di valutazione”.
Nella cultura giuridica europea si è, quindi, assistito, pur con le naturali
differenze che rispondono alle peculiarità dei singoli Stati, ad una nuova sensibilità
verso la tutela giuridica dei minori ed in particolar modo dei loro preminenti
interessi; tale principio è divenuto fulcro della regolazione giuridica sull’infanzia
identificando, tale concetto, come principio ispiratore dei rapporti tra la sfera
pubblica e quella privata in ambito familiare.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 17
- Settore Civile -
- settore civile -
L’evoluzione ed i repentini cambiamenti in atto all’interno della famiglia,
nella cultura occidentale, sono un dato acquisito; l’attenzione degli studiosi,
specialmente a partire dagli anni settanta, si è concentrata nell’elaborare una
concezione sempre più personalistica dell’istituto matrimoniale e familiare. Simile
prospettiva si è identificata, col passare del tempo, nella maggiore attenzione
riposta sugli interessi dei singoli componenti del nucleo familiare. Tale concezione,
come sopra visto, intende coniugare la dimensione istituzionale con la solidità
delle relazioni simmetriche (tra coniugi) e asimmetriche (tra genitori e figli)
proprie della famiglia tutelando, con varie misure, che i legami giuridici
intrafamiliari siano fondati su relazioni personali e personalizzanti. A nessuno
sfugge che questa concezione abbia comportato delle conseguenze complesse e
inquietanti rispetto alla stabilità del matrimonio, soprattutto, in merito al
mantenimento del vincolo coniugale. Tuttavia, rispetto alla tutela dell’interesse del
minore, la concezione personalistica della famiglia risulta oggi un progresso
indispensabile, di cui debbono essere maggiormente apprezzati i vantaggi rispetto
ai rischi. La famiglia infatti è l’ambito all’interno del quale si determina il primo e
più importante processo di socializzazione del minore ed è proprio dalle relazioni,
più o meno solide, tra i vari membri che dipende lo sviluppo della sua personalità.
La prospettiva personalistica sulla famiglia ha provocato, inoltre, l’integrazione e la
revisione dei consueti principi regolatori in merito alla tutela dei minori.
Il principio tradizionale, in ambito giuridico, è stato soprattutto quello della
rappresentanza legale del minore affidata al genitore, considerato come unico
interprete e depositario delle necessità e delle volontà dei figli, in forza della ormai
secolare idea della coincidenza tra i suoi interessi e quelli del fanciullo.
L’evoluzione personalistica ha fatto emergere altresì l’esigenza di affiancare, alla
tradizionale rappresentanza legale, la garanzia della giusta autonomia del minore.
Le scienze umane, in particolare la psicologia, hanno arricchito la
comprensione della condizione del fanciullo come soggetto in evoluzioneformazione, quindi bisognoso di aiuto e di tutela, fino al suo inserimento autonomo
nella società. Il contributo principale di tali discipline consiste nello svelare che le
varie esigenze del minore, in ciascuna delle sue fasi evolutive, non possono essere
lasciate all’improvvisazione ma richiedono una programmazione saggia ed una
puntuale verifica. In tal senso, nella nozione di interesse del minore è implicita la
necessaria progettualità (da parte del legislatore) insita nel concetto stesso:
l’attività giurisdizionale si fonda quindi in un progetto ancorato nell’impegno
concreto di favorire lo sviluppo del minore in vista di un suo maturo e responsabile
inserimento nella comunità sociale.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 18
- Settore Civile -
- settore civile -
I diritti e gli interessi, di cui il fanciullo è legittimo titolare, non vengono più
intesi come subordinati esclusivamente ai diritti ed agli interessi della sua famiglia
di origine, bensì in rapporto a ciò che il minore necessita in quel determinato
momento.
Questa è la conseguenza concreta del graduale processo che ha condotto a
non considerare più il fanciullo come un soggetto debole e immaturo, ma come un
vero cittadino portatore di concreti diritti soggettivi. Tale sguardo innovativo
obbliga a favorire, in dottrina e in giurisprudenza, ogni sostegno finalizzato ad una
crescita del minore fornendogli, in tal modo, tutti gli strumenti necessari per
divenire maturo protagonista della sua storia e del suo futuro.
§ 1B.2 - LA NORMATIVA INTERNAZIONALE IN MATERIA MINORILE
Nella legislazione internazionale del secolo scorso si apprezza l’evoluzione
testé indicata; prima di essa, la posizione del minore era stata da sempre collocata
in una zona d’ombra, sia per ciò che concerne la sua personalità, sia in riferimento
alla sua tutela. Non sono trascorsi molti anni da quando, in senso giuridico, il
fanciullo era considerato fondamentalmente alla stregua dei malati e degli inabili,
cioè non in grado di agire in modo autonomo. Tale interpretazione dipendeva
dall’idea di totale subordinazione del minore nei confronti dei genitori. La
concezione nuova che soggiace alla normativa internazionale rende ragione del
lungo cammino compiuto volto a promuovere, garantire e tutelare, il minore come
vero cittadino. Nell’ambito dell’ordinamento internazionale la tutela dei minori e
dei loro interessi fu affrontata, per la prima volta, nel periodo immediatamente
successivo all’industrializzazione.
Ciò si spiega in quanto il concetto in sé di interesse del minore era
strettamente correlato allo sfruttamento dei fanciulli nel mondo del lavoro. Agli
inizi del secolo scorso, in seno alla Conferenza Internazionale di Diritto Privato
svoltasi all’Aja nel 1902 emerse, con forza, l’urgenza di favorire una nuova
sensibilità verso il minore lavoratore.
Ulteriore traguardo in materia minorile si raggiunse ad opera
dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) che nel 1919, anno della sua
fondazione, si impegnò a promuovere lo sviluppo minorile in materia
internazionale con particolare attenzione all’accesso del minore al mondo del
lavoro25, nonché alla sua tutela sociale e previdenziale. Alla Convenzione del 1919
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 19
- Settore Civile -
- settore civile -
sono susseguiti numerosi atti normativi che hanno rappresentato un sistema
strutturato di tutela dei minori lavoratori.
Ma è con la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo di New
York del 1989 che vengono raccolti, in forma unitaria, i diritti civili, politici,
economici, sociali e culturali che si devono riconoscere ad un soggetto in
formazione. Il principio generale, canone interpretativo di tutti gli istituti giuridici
a tutela di un fanciullo, viene quindi a coincidere con l’interesse supremo del
fanciullo, di cui l’art. 3 fa esplicito richiamo: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli,
di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei
tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse
superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. L’interesse del
minore ovviamente è quello di avere uno sviluppo fisico, intellettuale, morale,
spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità; un nome e una nazionalità,
le cure mediche adeguate, l’alimentazione, la tutela della salute, l’educazione, una
crescita serena, la protezione da pratiche vessatorie e discriminanti.
Appare, infatti, evidente, dalla chiara formulazione dell’art. 3, che il criterio
del preminente interesse risulti indirizzato a regolare in particolare tutte quelle
situazioni giuridiche in cui gli interessi del fanciullo siano in opposizione con gli
interessi di altri soggetti a lui contrapposti7; conseguenza immediata risulta quindi
il riconoscimento al minore di uno status autonomo ed indipendente rispetto a
quello degli adulti nonché di un impegno, da parte degli Stati, di assumere l’obbligo
di far rispettare a tutti i diritti sanciti.
Con la predetta Convenzione per la prima volta si pone l’accento sulla
necessità di favorire lo sviluppo armonico della personalità del minore dotato di
legittime aspirazioni, potenzialità e caratteristiche che dovranno essere rispettate
dagli adulti e dalla comunità sociale. In questa prospettiva emerge un palese
richiamo affinché ogni adulto si impegni a contribuire non solo alla armonica
crescita del minore ma, in particolare, alla sua realizzazione personale limitandone
ansie, paure e incertezze in modo da rendere meno difficile un suo maturo e
7 Cfr. V. BUONOMO, A vent’anni dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, in Asprenas, 2010, pp. 49-69; M.FREEMAN, Why it
remains important to take Children’s Rights seriously, in The International Journal of Children’s Rights, 2007, pp. 5-23; L.
FADIGA (a cura di), Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Scritti di Alfredo Carlo Moro, Milano, 2006, pp. 129142; P. STANZIONE, Personalità, capacità e situazionigiuridiche del minore, in Dir. fam. pers., 1999, pp. 260 ss.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 20
- Settore Civile -
- settore civile -
responsabile inserimento nella società. Fiducia, sicurezza e disponibilità vengono
ad essere prerogative fondamentali da garantire a ogni bambino, prerogative che
lo aiuteranno a una solida costruzione del suo destino non solo come uomo, bensì
come responsabile cittadino in grado di rispondere alle molteplici sfide che si
troverà a dover fronteggiare8.
Ulteriore menzione, circa il supremo interesse del minore, viene fatta all’art.
9 della Convenzione ONU dove si afferma il diritto del fanciullo di intrattenere
regolarmente relazioni con entrambi i genitori, purché ciò non sia contrario ai suoi
preminenti interessi; si prevede altresì che gli Stati parti vigilino affinché il
bambino non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che,
sempre nel rispetto delle leggi procedurali, l’allontanamento risulti necessario nel
suo preminente interesse. Ciò significa che la
possibilità di intrattenere
regolarmente rapporti e relazioni con entrambi i genitori non dovrà limitare, in
alcun modo, il suo naturale e graduale sviluppo psico-fisico.
Da quanto si è detto emerge che definire l’interesse del minore9 necessiti di
una previa e motivata analisi della situazione personale in cui il fanciullo si trova a
vivere; risulta implicito quindi che tale criterio deve potersi modellare in rapporto
alle concrete realtà storiche e sociali nonché ai mutamenti culturali ed ambientali
che fanno da corollario nella vita del fanciullo. Ancora una volta è opportuno
ribadire come si debba giungere alla formulazione circa il reale interesse del minore
favorendo il contributo offerto dalle scienze umane, superando così eventuali
lacune che possano derivare da una lettura meramente giuridica del concetto in
esame.
In conclusione, si può affermare che la Convenzione del 1989 renda
testimonianza non solo di un esplicito impegno sociale a tutela dei minori, ma
8 L’attenzione e lo sviluppo della personalità del minore emerge come priorità nella Convenzione ONU del 1989 (cfr. art. 29,
lett. a). Per approfondimenti cfr. A. BOWERS ANDREWS, Assicurare adeguate condizioni di vita per lo sviluppo, in V. BELOTTI
– R. RUGGIERO (a cura di), Vent’anni, pp. 173-186; J. QVORTRUP, I bambini e l’infanzia nella struttura sociale, in H. HENGST
– H. ZEIHER (a cura di), Per una Sociologia dell’Infanzia, Milano, 2004, pp. 25-44; M. FREEMAN, The future of Children’s
Rights, in Children and Society, 2000, pp. 277- 293.
9 Sulla nozione di interesse del minore sono state avanzate, nel corso degli anni, non poche critiche. In Francia il
giurista J. Carbonier definiva il concetto in esame come una “nozione magica”, analogamente a quanto sostiene la sociologa
francese I. Théry identificando l’interesse del minore ad una “pozione magica”; in Italia G. Dosi accomuna la nozione ad una
sorta di “passepartout discrezionale”. Per una approfondita analisi sulle critiche formulate, cfr. P. RONFANI, L’interesse del
minore: dato assiomatico o nozione magica?, in Sociologia del diritto, 1997, pp. 27-54.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 21
- Settore Civile -
- settore civile -
anche di un autonomo riconoscimento giuridico finalizzato a stabilire il preminente
interesse come criterio prevalente e unico da rispettare.
La Convenzione europea di Strasburgo del 1996 oltre che specificare alcuni
principi già contenuti nella Convenzione ONU del 1989 -come l’importanza della
famiglia nella promozione dei diritti e degli interessi dei fanciulli- richiama, nel
Preambolo, il preminente ruolo di riconoscere l’esclusività ai genitori nella tutela e
nella promozione dei diritti e degli interessi dei figli, invitando gli Stati a
promuovere politiche atte a favorire la famiglia. Si riconosce altresì al minore la
“possibilità di partecipare (in prima persona o attraverso terzi) ai procedimenti che
lo riguardano, quelli cioè in materia familiare e relativi all’esercizio delle
responsabilità genitoriali” (art. 1); il diritto quindi ad essere informato e ad
esprimere la propria opinione nei procedimenti davanti all’autorità giudiziaria
(art. 3) è una delle conquiste a tutela dell’infanzia di cui si è fatta eco la
Convenzione di Strasburgo del 1996.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, dopo aver
solennemente enunciato, nel Preambolo, i principi su cui si fonda la nostra
comunità, si sviluppa in 54 articoli in cui emergono valori comuni quali la dignità,
la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà che, lungo i secoli, hanno accompagnato la
cultura occidentale. Tali valori impegnano i popoli europei a creare tra loro un
legame sempre più solido nell’intenzione comune di contribuire all’edificazione “di
un futuro di pace fondato nella consapevolezza del suo patrimonio spirituale e
morale”. L’art. 7 della Carta di Nizza si impegna altresì a rispettare la vita privata e
familiare garantendo, in tal modo, una tutela verso ingiustificate ingerenze esterne
concedendo alla famiglia maggiori spazi di autonomia nei confronti dei pubblici
poteri.10
Ma è l’art. 24 che sancisce i diritti fondamentali del bambino riconoscendo il suo
preminente interesse rispetto a quelli degli adulti. Oltre ad enunciare il diritto alla
protezione e alle cure, si garantisce al fanciullo il naturale diritto a perseguire il suo
legittimo benessere: concetto che non si limita solo alla salute fisica o psichica bensì
all’obbligo di favorire e tutelare un suo integrale e armonico sviluppo.
Successivamente si riconosce al minore il diritto a esprimere liberamente la propria
opinione, la quale sarà presa in considerazione tenendo presente dell’età e della
maturità. Infine si ribadisce che qualsiasi atto compiuto da autorità pubbliche o da
10 Cfr. G. FERRANDO, Manuale di diritto, pp. 218-219; C. MCGLYNN, Families and the European, pp. 174-175.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 22
- Settore Civile -
- settore civile -
istituzioni private dovrà tenere in considerazione il preminente interesse del
bambino come unico criterio11, modalità che dovrà essere adottata anche per
garantire il diritto di intrattenere relazioni con entrambi i genitori (nell’ipotesi in
cui la convivenza familiare venisse a cessare).
§ 1.B.3 - L’INTERESSE DEL MINORE NELLA LEGGE ITALIANA SULL’AFFIDAMENTO
CONDIVISO: LA RESPONSABILITÀ GENITORIALE
L’affidamento dei figli, in seguito alla separazione dei coniugi, è stato
disciplinato dagli artt. 155-155 sexies c.c., nel testo introdotto dalla legge 8 febbraio
2006 n. 54, recante Disposizioni in materia di separazione dei genitori e
affidamento condiviso dei figli. Tale provvedimento legislativo risulta l’approdo di
un lungo ed atteso iter volto ad adeguare la normativa italiana, sebbene solo
parzialmente, alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo di New York del 1989,
alla Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo del
1996 e, ancor di più, alla Convenzione adottata dal Comitato dei ministri del
Consiglio d’Europa il 3 maggio del 2003 a Vilnius (Lituania), diretta a garantire la
piena titolarità del fanciullo a mantenere contatti con entrambi i genitori.
La Novella in esame, capovolge, quindi il precedente regime codicistico
italiano, in cui l’affidamento monogenitoriale, esclusivo ed obbligatorio,
rappresentava la regola generale; in tale forma è stato recepito il principio
fondamentale secondo cui il minore ha diritto di crescere e di essere educato
nell’ambito della propria famiglia (già sancito in Italia dalla L. 184/1983, novellato
successivamente dalla L. 149/2001).
E pure la L. 219/2012 recante disposizioni in materia di riconoscimento dei
figli naturali (ed il successivo D.lgs. 154/2013), adottate in vista di una
eliminazione di qualsivoglia discriminazione dei figli naturali va annoverata tra i
più recenti e meritevoli progressi in tema di interesse del minore.
11 Cfr. P. F. LOLITO, Commento all’art. 24, in R. BIFULFO – M. CATALBIA – A. CELOTTO (a cura di), L’Europa
dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Bologna, 2001, pp. 185 ss. 16
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 23
- Settore Civile -
- settore civile -
La nuova disciplina introdotta dalle suddette novelle legislative si
caratterizza, anzitutto, per il fatto di non essersi limitata esclusivamente a sancire
il principio dell’affidamento condiviso; non solo stabilisce che anche in caso di
separazione personale dei coniugi il figlio abbia il diritto di mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno di essi ma, altresì, che il minore stesso
abbia diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti
di ciascun ramo genitoriale. In buona sostanza il legislatore, anche sulla scorta di
orientamenti emersi in sede internazionale, ha inteso riconoscere e attuare
pienamente il diritto del minore ad un rapporto equilibrato e continuativo con
entrambi i genitori, prevedendo la loro partecipazione attiva nella vita del figlio
anche successivamente alla disgregazione del nucleo familiare abbandonando, in
tale modo, la tradizionale distinzione di ruoli tra genitore affidatario e genitore non
affidatario. Anche a livello europeo, infatti, a decorrere dal 1 marzo 2005 si è dato
luogo all’applicazione delle disposizioni del regolamento CE del Consiglio n.
2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle
decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. La caratteristica
innovativa di tale regolamento risiede proprio nel passaggio dall’istituto della
potestà dei genitori a quello, nuovissimo, della responsabilità genitoriale,
privilegiando l’aspetto degli obblighi dei genitori nell’interesse esclusivo dei figli:
caratteristica, poi, ripresa dal legislatore italiano con il d. lgs d.154/2013.
Dalla normativa italiana risulta quindi significativo che ciascun
provvedimento relativo all’affidamento, in primo luogo a quello condiviso, è
emanato con esclusivo riferimento alla attuazione del diritto del figlio alla
bigenitorialità, in quanto la legge non prevede un corrispondente diritto in capo ai
genitori; in tale ottica la L. 54/2006 e la legge 219/2012, in linea con i principi
sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo di New York del 1989 (in
particolare all’art. 9), sono intervenute con lo scopo di favorire un equilibrato e
sereno rapporto con entrambi i genitori anche in caso di dissoluzione dell’unità
familiare. E il titolo del capo II del tit. IX del cod. civ. relativo alla responsabilità
genitoriale specifica tratta dell’esercizio della responsabilità genitoriale anche con
riferimento ai procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio.
L’art. 337 ter c.c., poi, entra nel merito della dinamica tra affido condiviso ed
esclusivo e precisa, in primo luogo, che per realizzare la finalità sottesa alla norma
in questione, cioè il mantenimento (da parte del minore) di un rapporto
equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, il giudice che si trovi a
pronunciare la sentenza di separazione dei coniugi adotti i provvedimenti relativi
ai figli con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essi. In tale
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 24
- Settore Civile -
- settore civile -
modo si affronta l’aspetto centrale e peculiare della disciplina, elevando a rango di
regola giuridica che il giudice valuti prioritariamente la possibilità che i figli (di
minore età) siano affidati ad entrambi i genitori stabilendo, al contempo, i tempi e
le modalità di cura e di permanenza del bambino con questi ultimi. Il comma 2,
stabilisce altresì che il giudice debba prendere atto, prima della pronuncia, degli
accordi intervenuti tra i genitori, purché non siano contrari all’interesse dei figli.
Condividere l’affidamento di un figlio significa che entrambi i genitori si
assumono la responsabilità, a prescindere dalla soluzione abitativa adottata,
ricercando ed elaborando una comune e condivisa linea educativa ed affettiva per i
figli.
La norma che attribuisce rilevanza e preminenza agli accordi dei genitori
deve essere letta in connessione con quella dell’art. 337 octies u.c. c.c., secondo cui
il giudice qualora ne ravvisi l’opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro
consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 337 ter c.c. per
consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per
raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse
morale e materiale dei figli.
In tale modo si fa esplicito richiamo, dopo anni di inspiegabile silenzio, alla
possibilità di ricorrere alla mediazione familiare; come è noto tale possibilità,
normativamente prevista, è presente già da parecchi in molti paesi europei e
transfrontalieri12.
Come è stato evidenziato in precedenza, il Legislatore ha sancito che ogni
provvedimento deve essere assunto nell’esclusivo interesse morale e materiale dei
figli privilegiando il diritto del fanciullo alla bigenitorialità la quale, tuttavia, non
esaurisce il concetto di interesse del minore; tale concetto, universalmente
riconosciuto, viene individuato dalla norma nel favorire che il fanciullo possa
crescere ed essere educato da entrambi i genitori. Proprio per questo motivo si
prevede, all’art. 155 bis che il giudice disponga l’affidamento ad uno solo dei
12 Non solo nel diritto degli stati vi sono espressi richiami alla mediazione ed alla possibilità, da parte del giudice, di
ricorrere alla conciliazione tra le parti, ma anche nel diritto della chiesa; nell’ordinamento canonico, infatti, si prevede
espressamente che il giudice ecclesiastico, non esclusivamente all’inizio della lite, ma in qualsiasi stato e grado del giudizio
ed ogni qualvolta intraveda una minima possibilità di esito favorevole, esorti le parti assistendole affinché si sforzino nel
cercare un comune accordo, avvalendosi anche della mediazione di persone autorevoli (can. 1446 CIC). Cfr. M. J. ARROBA
CONDE, Diritto processuale canonico, Roma, 2012,
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 25
- Settore Civile -
- settore civile -
genitori quando ritenga, anche d’ufficio e con provvedimento motivato, che
l’affidamento all’altro coniuge sia contrario all’interesse del minore stesso.
In merito al concetto di bigenitorialità risulta obbligatoria una, seppur
breve, precisazione: sotto il profilo del suo significato culturale e sociale, tale
affermazione merita notevole apprezzamento in quanto non solo risulta essere
espressione di un principio di civiltà diffuso in quasi tutti i paesi europei (Regno
Unito, Francia, Spagna, Germania), ma soprattutto perché orientato a valutare, in
forma più idonea, il reale e concreto interesse del minore a mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascun genitore e con i parenti materni e paterni.
Nel caso in cui il giudice valuti negativamente la possibilità che i figli siano
affidati ad entrambi i genitori, dispone l’affidamento (in via esclusiva) ad uno dei
genitori; tale possibilità, tuttavia, non rappresenta un ritorno alla vecchia
disciplina. La responsabilità genitoriale, infatti, resta in capo ad entrambi i coniugi
e nessuno dei due viene, di fatto, escluso dalla vita del figlio. Affinché il giudice
possa motivare un affidamento esclusivo, devono essere portati alla sua analisi
tutti gli elementi (certi e idonei) ad instaurare un immediato collegamento tra
l’instaurazione di un necessario rapporto con il genitore, al quale non si concede
l’affidamento del figlio, e un effettivo e motivato pregiudizio che ne possa derivare
al figlio stesso. Ovviamente, il pregiudizio non deve essere solo eventuale bensì
certo o, per lo meno, presuntivamente certo, in considerazione dello stile di vita del
genitore al quale ci si oppone, o della accertata incapacità di quest’ultimo alla
dedizione materiale, morale e affettiva che l’affidamento di un minore
inevitabilmente comporta ed esige13.
13 Nell’economia della presente riflessione è sufficiente soffermarsi, in modo sintetico, su alcune legislazioni analoghe di
altri paesi europei quali, per esempio, la Francia e la Germania. In Francia, la legge n. 395 del 4 marzo 2002 ha introdotto
un nuovo regime della autorité parentale. Tale nozione è definita dal nuovo art. 371-1 del Code Civil come un insieme di
diritti e di doveri aventi per finalità l’interesse del minore. La medesima norma stabilisce, inoltre, in linea di principio, che
l’autorité parentale viene esercitata congiuntamente da entrambi i genitori; ciascun genitore deve contribuire alla cura e
all’educazione dei figli. L’esercizio congiunto dell’autorità parentale è consacrata come principio anche in seguito
all’eventuale separazione o divorzio dei coniugi. Vengono quindi sanciti alcuni principi generali quali l’esercizio congiunto
della potestà e della responsabilità dei genitori anche dopo lo scioglimento del matrimonio, la permanenza dei diritti e dei
doveri dei genitori stessi nonché il primato assoluto dell’interesse del minore, la cui valutazione è soggetta al controllo del
giudice. Nel caso di conflitto tra gli interessi dei genitori e quelli del minore è previsto l’intervento delle organizzazioni che
si occupano di mediazione familiare e, in ultima analisi, del giudice. In Germania, la Corte Costituzionale già in una storica
sentenza del 3 novembre del 1982 aveva affermato che ogni essere umano, fin dal momento della nascita, era titolare di un
diritto irrinunciabile ad un rapporto vissuto e con entrambi i genitori; tale rapporto perdura, quindi, per tutta la vita e non
si interrompe in caso di separazione dei genitori. Fu proprio sulla scia di questa sentenza che iniziò l’evoluzione
dell’ordinamento tedesco in materia di diritto di famiglia (in particolare in merito ai diritti e ai doveri tra genitori e figli),
conclusasi con la legge del 16 dicembre del 1997 e con la relativa riforma degli artt.1671 e 1672 del BGB49.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 26
- Settore Civile -
- settore civile -
Per pervenire ad una soluzione adeguata, come pure ad una comune disciplina
europea, è necessario prendere piena consapevolezza, sia da parte dei diversi
legislatore come da parte di tutti i cittadini europei, del contenuto non autoritario
della potestà dei genitori nei confronti dei figli, potestà che deve essere intesa
primariamente in senso funzionale, cioè come strumento idoneo a favorire e
realizzare gli interessi ed il bene dei minori in vista di un loro sviluppo olistico. Una
matura e serena consapevolezza circa il significato della responsabilità dovrebbe
coadiuvare i genitori a svolgere il loro compito in assenza di conflitti ed il giudice a
risolvere, nel miglior modo possibile, i numerosi conflitti intrafamiliari che
purtroppo sorgeranno.
§ 1.B.4 - I DIRITTI DEI MINORI
I bisogni del minore sono ben rappresentati nell’art. 315-bis cod. civ.
intitolato “Diritti e doveri del figlio” (inserito dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219)
che così recita : “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito
moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni
naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di
mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli
anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere
ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve
rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle
proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive
con essa”.
Articolo richiamato dall’art. 147 cod. civ. “Doveri verso i figli” (come
sostituito dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154): “Il matrimonio impone
ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere
moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni,
secondo quanto previsto dall'articolo 315-bis”.
Il legislatore, in buona sostanza, ha fissato quattro doveri principali dei
genitori nei confronti dei figli come quattro sono i doveri reciproci dei coniugi
enunciati nell’art. 143 cod. civ..
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 27
- Settore Civile -
- settore civile -
Tra le tante novelle al codice civile a tutela dei figli, compare il diritto
all’assistenza morale, forse uno dei più violati sia nelle famiglie unite sia in quelle
ferite; quell’assistenza (dal latino “ad sistere”, “fermarsi, stare presso” e, pertanto,
significa “stare presso alcuno per aiutarlo, soccorrerlo o altrimenti giovargli”) che
dovrebbe significare attenzione, presenza equilibrata, accompagnamento durante
le vicende personali e familiari del figlio. Con l’art. 315-bis cod. civ., richiamato
dall’art. 147, si è ribaltata l’ottica: la presenza dei figli fa scaturire degli ineludibili
obblighi che esistono, pure e non solo, in caso di coniugio. I figli vengono prima di
tutto e al di sopra di tutto.
Durante gli eventi separativi della coppia i diritti dei figli non si riducono
all’assegno di mantenimento o mantenimento diretto e, in caso di figli minori di
età, all’assegnazione della casa familiare con collocamento presso un genitore, ma
si sviluppano in una rete di diritti personali e relazionali.
In caso di violazione degli obblighi genitoriali durante gli eventi separativi vi
sono strumenti civilistici, come l’art. 316-bis cod. civ. (che ha sostituito l’art. 148
cod. civ.) che prevede, fra l’altro: “Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli
altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i
mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”.
Bisogna acquisire la consapevolezza che venendo meno agli obblighi
genitoriali durante l’evento separativo - divorzile non si fa un torto all’altro
coniuge ma al figlio e che bisogna ottemperare ai propri obblighi
indipendentemente dall’altro coniuge e anche se l’altro coniuge non vi ottemperi.
§ 2. - L’AUTONOMIA DEI GENITORI NELLE DECISIONI RIGUARDANTI IL MINORE
Chiariti i concetti di superiore interesse del minore e bisogni/diritti del
minore occorre ora verificare quale autonomia hanno i genitori nella gestione dei
minori.
Già in sede separazione consensuale (art. 158 c.c.) e di divorzio congiunto
(art. 4 l. 898/1970) il legislatore ha dato rilievo all’autonomia dei genitori
prevedendo l’obbligo per il giudice di riconvocare i genitori solo laddove gli accordi
relativamente all’affidamento ed al mantenimento dei figli sono in contrasto con
l’interesse di questi ma è con le disposizioni della legge – l. 8 febbraio 2006, n. 54,
«Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei
figli» – che ha introdotto l’affidamento c.d. condiviso e la legge 219/2012 che il
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 28
- Settore Civile -
- settore civile -
legislatore ha introdotto una generalizzata e chiara esaltazione dell’autonomia
negoziale dei coniugi-genitori.
Le norme di riferimento sono qui rappresentate dalle disposizioni dell’art.
337 ter c.c. che impongono al giudice di «Prende(re) atto, se non contrari
all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori», o al nuovo comma
quarto dell’art. 337 ter cit., a mente del quale ciascuno dei genitori provvede al
mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito «salvo accordi
diversi, liberamente sottoscritti dalle parti».
Da notare subito che l’obbligo di «prendere atto» di siffatte intese, ex art.
337 ter c.c. (estensibile al divorzio, ai sensi dell’art. 4, c. 2, l. 8 febbraio 2006, n. 54,
nonché ai rapporti con i figli naturali) ha sostituito l’obbligo del giudice di «tener
conto» dell’accordo dei coniugi sull’affidamento dei figli e sul contributo per il loro
mantenimento (art. 6, c. 9, l.div.).
Va rilevato che quest’ultima disposizione viene addirittura a porsi (per
quanto attiene alla derogabilità del criterio di proporzionalità) in evidente
contrasto con quanto stabilito dall’art. 148 c.c. (oggi art. 316 bis c.c.), norma sino
ad oggi ritenuta inderogabile - con riferimento al principio di proporzionalità del
contributo al mantenimento dei figli rispetto alle condizioni economiche dei
genitori - venendo, altresì, a porre (quanto a tale limitato aspetto) forse anche un
problema di conformità all’art. 30 Cost.14 L’accordo delle parti può, pure, derogare
ai parametri di adeguamento agli indici ISTAT dell’assegno per la prole (cfr. art.
337 ter ); e riguardando tali norme anche le famiglie di fatto è agevole rilevare
come analoga autonomia negoziale è riservata alla famiglia di fatto.
Ma una ancor più forte impulso all’autonomia dei genitori è stata data
con la legge 10 novembre 2014 n. 162.
Il decreto legge emanato nel settembre 2014 proponeva una versione per
così dire minimalista della negoziazione assistita, perché il comma 2 dell’art. 6 la
escludeva ogni qualvolta ci siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori
di handicap grave e perfino quando ci siano figli maggiorenni economicamente non
autosufficienti. La norma suscitò forti critiche proprio per la ristrettezza
dell’ambito applicativo: non piaceva alla magistratura per la sostanziale irrilevanza
pratica e non piaceva alle associazioni degli avvocati di famiglia perché li
14 In punto v. G. Oberto Contratto e Famiglia in Trattato del contratto diretto da V. Roppo 2006, pag. 306.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 29
- Settore Civile -
- settore civile -
considerava incapaci di gestire situazioni in cui siano presenti figli. Inoltre, sono in
molti ad evidenziare la discrasia che si determina nell’ordinamento con la
previsione di una modalità di separazione e divorzio del tutto privatistica (nella
prassi si parlerà di “divorzio fai da te”). Ed è così che nel passaggio alla
Commissione Giustizia del Senato emerge una versione totalmente diversa, e molto
più problematica, che recupera alcuni degli organi giurisdizionali protagonisti del
procedimento di tipo consensualistico (e, specificamente, il pubblico ministero,
probabilmente per allinearsi alle espresse previsioni normative in tema di
separazione e divorzio, ed il presidente del tribunale), anche se gli affida compiti
totalmente inusuali, e recupera altresì il tentativo di conciliazione, demandandolo
agli avvocati.
La nuova versione è stata approvata definitivamente dalla Camera e viene
così promulgata la legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162, che presenta
una novità rilevantissima rispetto alla versione originaria: la possibilità di accordi
anche in presenza di figli minori o che ad essi vengono equiparati.
L’ambito di applicazione è definito nel comma 1 dell’art. 6: la convenzione
di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte (è questa è una prima
novità introdotta con la legge di conversione, sulla quale si tornerà più avanti) può
essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di
separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di
scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2),
lettera b), della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di
modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
La prima osservazione che può farsi è che la nuova normativa non si
applicherà in relazione alla regolamentazione dell’affidamento e del mantenimento
di figli di coppie non coniugate; la seconda riguarda il divorzio: i nuovi istituti si
applicano solo all’ipotesi di divorzio susseguente alla pronuncia passata in
giudicato della separazione, o all’omologa della separazione consensuale ed al
decorso rispettivamente di sei mesi o di un anno dalla comparizione dei coniugi
dinanzi al Presidente del Tribunale e non trovano, quindi, applicazione
relativamente alle altre cause di scioglimento immediato del vincolo coniugale,
legato a fattispecie particolari od anche all’applicazione di leggi straniere.
Ma la parte più complessa e problematica della normativa è contenuta nei
commi 2 e 3. In sostanza, se non ci sono figli o se i figli sono autonomi, il pubblico
ministero è chiamato a valutare solo la regolarità dell’accordo.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 30
- Settore Civile -
- settore civile -
Quando, invece, i coniugi hanno figli (come detto la norma accorpa
inopportunamente figli minori, incapaci, o portatori di handicap grave ai
maggiorenni non autonomi), la normativa si presenta ancora complessa. E’
probabile inoltre che anche nella negoziazione assistita si riproporranno tutti quei
temi che la giurisprudenza non ha risolto in modo uniforme neppure con riguardo
alla separazione consensuale.
Una prima questione di incerta interpretazione attiene alla previsione del
termine di dieci giorni per la trasmissione dell’accordo al pubblico ministero che
invece non esiste nell’ipotesi di mancanza di figli: non si comprende la ratio della
differenza, e, soprattutto, non è agevole individuare le conseguenze dell’eventuale
inosservanza di tale termine; è probabilmente un termine processuale alla luce
della giurisprudenza che estende tale categoria anche ai termini per attivare un
procedimento giudiziale (cass. n. 3351 del 18/04/1997; cass. n. 2195 del
14/02/2003); ma questo può risolvere qualche problema a livello di computo del
termine e dell’applicabilità della sospensione feriale, ma non aiuta a dirimere il
problema delle conseguenze della violazione.
Chiaramente il pubblico ministero, anche in presenza di figli, dovrà
sindacare gli aspetti formali e rilevare eventuali irregolarità. Infatti, sebbene la
norma, relativamente all’ipotesi della presenza di figli, faccia riferimento
esclusivamente ad un controllo sulla rispondenza dell’accordo all’interesse dei figli,
tuttavia si può ragionevolmente ritenere che anche in questo caso il pubblico
ministero possa rifiutare il “nulla osta” per irregolarità formali quali
l’incompetenza territoriale, la presenza di un solo avvocato, l’inadeguatezza della
certificazione, ecc.; evenienze che renderebbero del tutto inutile il trasferimento
dell’accordo dinanzi al presidente del tribunale; e comunque, ragioni sistematiche
inducono a ritenere che ad uguali vizi debbano corrispondere analoghi esiti
processuali.
Relativamente al controllo degli interessi dei minori, gli aspetti che possono
venire in rilievo sono tradizionalmente due: la regolamentazione dell’affidamento
e la congruità del mantenimento.
In relazione al primo aspetto appare ragionevole ritenere che il p.m. possa
senz’altro sindacare un affidamento esclusivo non adeguatamente giustificato
perché il legislatore ha chiaramente indicato che è l’affidamento condiviso il
sistema che risponde maggiormente all’interesse dei figli; del pari, possono essere
sindacate le modalità di frequentazione non coerenti al principio della
bigenitorialità (la questione, del resto, è evidenziata anche nel testo normativo tra
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 31
- Settore Civile -
- settore civile -
gli oneri posti a carico degli avvocati) o che sacrifichino troppo i minori, con
spostamenti troppo frequenti e gravosi.
In realtà, l’esperienza evidenzia un ventaglio di ipotesi in cui possono
emergere rilevanti margini di incertezza: ad esempio, la collocazione alternata dei
figli può andar bene in alcuni casi, spesso a seconda dell’età dei figli, e può essere
un problema in altri; più problematica ancora è l’ipotesi in cui siano i genitori ad
alternarsi nella casa coniugale; perfino la collocazione separata dei figli in alcuni
casi può essere opportuna, mentre in linea generale si tende a non separare i
fratelli.
Orbene in questi casi il giudice usa riconvocare i coniugi a distanza di
qualche mese e poi procede all’emissione del provvedimento solo dopo la
conferma che il regime scelto non abbia dato luogo a problemi. Le stesse cautele
ovviamente non potranno essere adottate dal pubblico ministero e neppure dal
presidente il quale deve provvedere “senza ritardo”.
Viene altresì, escluso che il p.m. sia tenuto o possa procedere all’ascolto dei
minori; ed anche qui si può notare una evidente discrasia del sistema: infatti è
ormai consolidato anche in via legislativa il principio che si deve procedere
all’audizione del minore ultradodicenne mentre nel caso di negoziazione assistita
l’autonomia dei genitori prevale sull’esigenza del minore di far sentire la propria
voce e declinare le sue esigenze, i suoi bisogni o le sue aspettative.
Riguardo alla valutazione inerente alla congruità del mantenimento, occorre
ribadire la necessità che nell’accordo figuri una puntuale, anche se sommaria,
descrizione delle condizioni economiche dei coniugi rispetto ai redditi, alle
proprietà, alle situazioni abitative; però deve essere chiaro che i coniugi possono
liberamente concordare forme di mantenimento diretto, o anche per comparti di
spesa. E ancora una volta si deve constatare che l’autonomia dei genitori raggiunge
lo zenit sol che si consideri che la stessa Autorità Giudiziaria non è nemmeno – ne
deve essere messa – in condizioni di poter interloquire con cognizione di causa.
Se, nel delineare il nuovo procedimento, fino a questo punto il legislatore è
stato confuso, nella fase successiva è stato del tutto reticente, limitandosi a
prevedere che il presidente del tribunale deve convocare le parti entro trenta
giorni e provvedere senza ritardo. La norma ha dato immediatamente luogo a due
interpretazioni: l’una diretta a sostenere che, una volta arrivato in tribunale,
l’accordo dovrebbe sfociare in uno dei procedimenti giurisdizionali tradizionali:
separazione consensuale, divorzio congiunto o modifica congiunta (in questo senso
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 32
- Settore Civile -
- settore civile -
Luiso, op. cit. p. 39; G. Dosi op cit,. p. 81, parla di inizio di giudizio contenzioso);
l’altra rivolta a costruire un singolare procedimento all’esito del quale il presidente
autorizza o non autorizza l’accordo (è una soluzione verso la quale si stanno
indirizzando diversi uffici giudiziari).
Esistono, però, due argomenti di natura letterale per sostenere questa
seconda tesi: il primo è che la norma prevede che il presidente procede prima alla
comparizione delle parti e poi “provvede senza ritardo”; è chiaro che nell’ipotesi di
procedimenti di separazione consensuale, di modifica delle condizioni, di divorzio
congiunto, una volta avvenuta la comparizione delle parti, non è il presidente ma il
collegio del tribunale che deve emettere gli opportuni provvedimenti, essendosi le
funzioni presidenziali esauritesi con la comparizione delle parti o soltanto con la
fissazione di questa; un secondo argomento è che la norma prosegue poi facendo
esplicito riferimento all’ “accordo autorizzato”, disciplinando, almeno
apparentemente, in maniera unitaria il provvedimento del pubblico ministero e
quello del presidente. Tale tesi, inoltre trova un ulteriore riscontro esplicito nel
decreto ministeriale 9 dicembre 2014, emanato dal Ministro dell’interno, che
elenca “il provvedimento del presidente del tribunale” tra gli atti che autorizzano
l’ufficiale dello stato civile alla trascrizione della convenzione.
Ci si chiede, poi, se il presidente possa rilevare motivi di inadeguatezza
dell'accordo anche non evidenziati dal p.m.; sul punto, é configurabile un vero e
proprio obbligo perché, vertendosi in tema di tutela dei minori, non si può
ipotizzare che il giudice possa avallare soluzioni che a suo avviso sono contrarie
agli interessi degli stessi. Tuttavia anche davanti al presidente si ritiene che non
possa esservi spazio per l’ascolto dei minori, perché la natura e la struttura del
procedimento non consente attività che, se applicate in via generale (e
sostanzialmente obbligata ex art. 315-bis, comma terzo, c.c.), determinerebbero un
effetto esattamente contrario alla logica della degiurisdizionalizzazione, dando
luogo ad impegni più gravosi per l’apparato giudiziario di quelli usualmente
affrontati nelle procedure che la negoziazione è tendenzialmente rivolta a
sostituire.
Infine, va rilevato che, anche con riguardo alla negoziazione assistita, sia
applicabile il divieto dell’art. 56, comma 2, del codice deontologico riguardo
all’ascolto del minore da parte dell’avvocato.
Ma tutto quanto sopra esposto come si concilia con i principi proclamati
dalle Convenzioni Internazionali a tutela dei minori e soprattutto può dar luogo a
carenze nella tutela dei minori?
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 33
- Settore Civile -
- settore civile -
Su quest’ultimo punto la risposta dipenderà essenzialmente da due cose:
dalla capacità dell’avvocato di far emergere le eventuali criticità dell’accordo,
discriminando quelle situazioni che meritano di essere affrontate nell’ottica di un
eventuale procedimento giurisdizionale consensuale o, al limite, contenzioso,
anziché nelle forme di una procedura che non consente significativi
approfondimenti e, nel contempo, dalla disponibilità del pubblico ministero
rispetto all’idea riappropriarsi di funzioni sostanzialmente obliterate nel tempo,
ma che potrebbero, peraltro, riacquisire un rilievo primario nell’ottica del
Tribunale per la famiglia (ove questo, più volte annunciato, dovesse mai andare in
porto e qualora dovesse prevalere la linea che tende a trasferire presso il tribunale
ordinario gran parte delle competenze del tribunale per i minorenni).
La riuscita della negoziazione assistita, poi, potrà comportare ricadute
benefiche sui minori laddove dovesse portare ad una limitazione del contenzioso
perché è noto come i bambini coinvolti nei quotidiani conflitti di lealtà siano
“oggettivamente a rischio di danno evolutivo” e, comunque, psicologicamente
massacrati.
§ 3. – L’ASCOLTO COME DIRITTO FONDAMENTALE DEL MINORE
§ 3.A - INTRODUZIONE
Quando si parla di bisogni del minore e di intervento giudiziario non si può non
trattare della grande problematica dell’ascolto del minore.
Ora l’espressione latina “infans” - prefisso negativo “in” seguito dal participio
del verbo “fari” sintetizza forse nella maniera più completa la posizione assunta nel
tempo dagli ordinamenti nei confronti del minore: un soggetto privo di voce, e dunque
di diritti, poiché incapace di parlare.
La Convenzione internazionale sui dei diritti del minore (1989) in questo senso,
nel riconoscerne espressamente i diritti fondamentali civili, politici, economici, sociali e
culturali ne determina decisamente e definitivamente l’emancipazione dando accesso ad
un concetto quello di interesse superiore del minore (art. 3-1) attorno a cui si raccolgono
il diritto alla vita e allo sviluppo (art. 6) nonché la necessità di considerarne le opinioni
su tutte le questioni che lo coinvolgono.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 34
- Settore Civile -
- settore civile -
La vera rivoluzione copernicana è, dunque, il riconoscimento al minore di una
capacità di discernimento che, evidentemente, impone di considerarne le idee.
Il diffuso convincimento della opportunità di affrancare il minore da quella
dimensione “silente” in cui era stato collocato è la sottile linea rossa che collega la
Convenzione di New York (art. 12), la Carta di Nizza, (art. 24), la Convenzione europea
sull’esercizio dei diritti dei minori (Strasburgo, 1996, artt. 3, 4 e 5 in tema di diritti
azionabili da parte del minore); la Convenzione Aja 25 ottobre 1980 relativa alla
sottrazione internazionale di minori (art. 13, 2° comma 9). A tacere dell’art. 23,
Regolamento CE n. 2201/2003 del 27.11.2003 (c.d. Bruxelles II bis), relativo alla
competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale
e in materia di responsabilità genitoriale.
L’ascolto dei minori ha introdotto una tematica che riguarda un terreno
multidisciplinare in cui si intrecciano principi della psicologia dello sviluppo, della
psicologia clinica e relazionale e principi di diritto secondo una trama non sempre chiara
e definita.
Prima di ogni altra considerazione devono essere ricordati tre a priori
imprescindibili
A) Primo a priori
L’ascolto del minore è un strumento che va usato con cognizione di causa e con
molta attenzione presentando non solo aspetti sì positivi ma anche risvolti negativi.
Quanto ai positivi è agevole indicarli:
** nell’ambito psicologico l’ascolto è qualificato come momento di protezione che
accresce la resilienza ed il senso dell’autostima dal momento che la voce del minore
rischia di essere ammutolita dal rumore del conflitto genitoriale.
In ambito giuridico l’ascolto è considerato un vero e proprio diritto del minore
proprio perché il minore deve essere parte attiva nelle decisioni che influenzeranno
la sua vita : deve essere però un input nel processo decisionale e non certo il
contenuto della decisione finale. L’inclusione dei minori permette di focalizzarsi sui
loro bisogni e dovrebbe portare ad una riduzione dell’intensità e della durata del
conflitto genitoriale
Quanto agli aspetti negativi non si può non condividere la fortissima
sollecitazione all'intero sistema del "conflitto di lealtà" che un tale istituto provoca,
comunque nel minore.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 35
- Settore Civile -
- settore civile -
La più attenta psichiatria forense ha, infatti, sottolineato come, nel
momento di conflitto intra-familiare, che abbia poi ad esitare in un approccio con
la giurisdizione, il minore non sarà sottoposto alla sola dinamica interna della crisi,
e, quindi, agli effetti della conflittualità intragenitoriale, sviluppando
comportamenti e modalità di interazione che già saranno normalmente "adattivi",
nel senso che saranno quelli che meglio "gli" consentiranno di "cercare di non
perdere" l'appoggio di nessuna delle due figure genitoriali.
Ma proprio in forza di una norma che è stata inizialmente immaginata dalla
normativa sovranazionale a sua tutela, verrà messo, del tutto involontariamente, al
centro dell'attenzione di una "interazione" con un adulto (Giudice od esperto) che
ne andrà indubitabilmente a sollecitare il pensiero legato al suo personalissimo
"conflitto di lealtà".
In altre parole come sappiamo dagli studi in merito al rapporto tra genitori
e figli il rapporto tra loro è, molto spesso, costituito da una linea che lega il figlio
alla madre e da una ulteriore che lo lega al padre: manca infatti in molte realtà
familiari l'ulteriore linea che dovrebbe legare i due genitori in relazione fra
loro agli occhi del figlio.
Questa semplificazione del sistema relazionale endofamiliare ci consente
più facilmente di comprendere il dato del "conflitto di lealtà": agli occhi del figlio
la relazione con mamma è necessaria e paritetica perfettamente con quella che si
ha con il padre! Anche se nella realtà le dinamiche e le interazione possono essere
le più varie e se la quantità di tempo che i due genitori dedicano al loro figlio è
assolutamente diversa, il concetto che è in esame è quello interno del figlio: il
pensiero del figlio, per essere in sano equilibrio, non può, semplicemente, fare a
meno dell'idea del proprio padre e di quella della propria madre.
Questi due possono litigare, tradirsi, riempirsi di "cose brutte" ma,
all'interno della dinamica dei rapporti familiari, nulla di tutto questo impedisce, al
minore, di costruirsi una "immagine di lui con il padre e di lui con la madre".
Anche quando la dinamica tra i genitori è quella dell'arruolamento,
ovvero della ricerca dell'appoggio del figlio per screditare l'altro, il figlio è libero di
rifugiarsi nel proprio immaginario e mantenere un'idea dell'altro genitore che
gli sia accettabile e funzionale, e troverà nel quotidiano il modo di "avere un
rapporto" con l'altro.
Nel funzionamento privato della triade genitori-figlio, quest'ultimo
saprà quindi adattarsi per mantenere, comunque, un rapporto per lui stesso
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 36
- Settore Civile -
- settore civile -
adeguato, con entrambi i genitori, magari nascondendosi quando interagirà con il
più debole, agli occhi di quello che appare più "alienante".
Al contrario, nel momento in cui un terzo soggetto andrà ad indagare sulla
dinamica familiare ed ad interagire con lo stesso minore, ecco che è evidente come
questo inconscio "gioco al nascondino", non si potrà più svolgere, e per quanta
attenzione un operatore metta nel suo rivolgersi al minore, il fatto che le
informazioni richieste abbiano, più o meno direttamente, a che fare con i "suoi due
unici genitori", questo non potrà che portare, a livello inconscio, una tensione
ulteriore dello sforzo che il figlio compie di non essere "infedele" a nessuna
della due figure; questo perché, se dovesse risultare "rifiutato" o dall'uno o
dall'altra, per essersi troppo apertamente schierato a favore di uno dei due, il
danno che ne riporterebbe sarebbe, per lui, insopportabile.
Le problematiche sono molteplici e riguardano la vita del minore, i rapporti
tra fratelli, l’organizzazione ambientale e residenziale.
B) Secondo a priori
Il secondo apriori consiste nella presa di coscienza della sussistenza del diritto del
minore ad essere considerato non un piccolo adulto ma un minore.
Dalla medicina, dalla sociologia, dalla psicologia viene l’insegnamento che il
minore/bambino va capito, rispettato e curato nella sua specificità Nonostante la
difficoltà di tradurre sul piano normativo questo diverso modo di guardare al minore,
la svolta che si realizza è significativa; ed è una svolta che si apprezza nell’arte, in
pittura, con bambini non più rappresentati, come un tempo, quali adulti in piccolo,
vestiti e acconciati alla loro stessa maniera, e tanto meno dipinti – come accade nei
due disegni preparatori del "Quarto Stato" di Giuseppe Pellizza da Volpedo – quali
figure all’interno della massa umana che avanza simbolicamente per conquistare una
società più giusta.
Nella pittura moderna di Picasso (Maia con la bambola) o ne “gli scolari” di
Casorati l’infanzia è definitivamente recuperata ad una dimensione di cura, attenzione,
educazione, profili cui non mancheranno di essere sensibili le stesse legislazioni
europee.
C) Terzo a priori: la reale condizioni dei minori.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 37
- Settore Civile -
- settore civile -
Per riprendere la storia dell’arte oggi si ha un tipo di minore più vicino ai minori
dipinti da Manet nel dipinto “Il vecchio musicista”, di Manet (1862) che disvelano
la condizione di un mondo fatto di bambini lavoratori, senza famiglia, nel cui volto
indelebile è il segno della sofferenza e dell'indifferenza degli adulti.
I bambini di Manet non hanno più la forza di divertirsi, non sono più quei piccoli
"monelli di strada" dei grandi pittori del Seicento; quei bambini che sì poveri sono,
tuttavia, dipinti cogliendo la natura gioiosa dell’infanzia che si distacca da
quell’universo di diseredati e poveri che pure Velasquez e Murillo non mancano di
denunciare.
Invece i bambini di Manet, non hanno voglia di giocare, è scomparso loro
anche il sorriso: il vecchio musicista smette di suonare il suo strumento e non
rimane che il silenzio e quegli strani sguardi malinconici.
§ 3.B – CHE COSA È L’ASCOLTO DEL MINORE?
Se dovessimo individuare a livello generale la caratteristica peculiare
dell’ascolto del minore dovremmo dire che generalmente la modalità di ascolto in
ambito giuridico è diversa a quella tipicamente psicologica: lo psicologo sente,
accoglie e lavora con gli stati mentali dell’individuo mentre il giudice
sostanzialmente valuta i fatti che riguardano la persona.
Oggi, tuttavia, si può affermare che l’ascolto del minore in un contesto
giudiziario è contaminato da una serie di conoscenze psicologiche da cui non si può
prescindere.
In senso propriamente giuridico l’ascolto del minore non è un mezzo di
prova (perché non è volto alla verifica di un fatto posto dalla parte a fondamento
della domanda) né una testimonianza in quanto non diretto a recepire fatti dei
quali una persona può riferire (la testimonianza non ammette valutazioni) ma uno
strumento di acquisizione di elementi di decisione ( cass. 5 giugno 2009 n. 12.984)
assimilabile all’interrogatorio libero.
Da ciò consegue che non possono essere poste domande al minore dirette a
raccogliere informazioni utilizzabili nel procedimento quali mezzi di prova ma che
vengano fornite al minore tutte le informazioni necessarie per fargli comprendere
quanto sta accadendo.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 38
- Settore Civile -
- settore civile -
E proprio per la sua natura il principio del contraddittorio e del diritto di
difesa debbono necessariamente contemperarsi nel caso concreto con il principio
del superiore interesse del minore
La funzione è piuttosto quella di mettere il giudice in condizione di
conoscere il diretto destinatario delle sue decisioni e modulare, quindi, le decisioni
medesime o anche solo la terminologia usata nei provvedimenti, nel rispetto delle
emozioni espresse dal minore, tenendo conto delle sue opinioni, dando così corpo
e spessore concreto al preminente interesse del minore cui deve orientare ogni
decisione che lo riguardi, nel rispetto dell’art. 3 della convenzione di New York,
dell’art. 1 della convenzione di Strasburgo, dell’art. 24 della Carta di Nizza.
Ma se questo è l’obiettivo diverso è il modo in cui ciascun ordinamento lo rende
compatibile con il proprio sistema.
§ 3.B.1. - L’ASCOLTO DEL MINORE IN FRANCIA, REGNO UNITO E GERMANIA.
**In Francia, l’ascolto del minore pur entrando nel codice civile (art. 388-1)
con la loi N° 93-22 du 8 janvier 1993, e pur conducendo ad un adeguamento degli artt.
338-1 à 338-9 du NCPC è eventualità rimessa alla valutazione discrezionale del
giudice. Il minore continua ad essere senza voce se non è ritenuto capace di
discernimento. Certo la riforma di cui alla loi N° 93-22 du 8 janvier 1993 è significativa
di una mutata attitudine verso il minore, ma sarebbe illusorio pensare che con la legge
del ’93 si determini un’apertura del processo al minore. Il fatto che questi “peut être
entendu par le juge” era piuttosto espressiva di una prassi ipocrita che si rifiutava di
ascoltare il minore presupposto che fosse privo di discernimento. Ma come poteva il
giudice valutare une absence de discernement se la conoscenza del minore si realizzava
solo quando avrebbe dovuto ascoltarlo?
Con la modifica dell’art. 388-1 du code civil issu de la Loi nº 93-22 du 8 janvier 1993
art. 53 Journal Officiel du 9 janvier 1993, Loi nº 2007-293 du 5 mars 2007 art. 9 Journal
Officiel du 6 mars 2007, Loi nº 2007-308 du 5 mars 2007 art. 2 Journal Officiel du 7
mars 2007 en vigueur le 1er janvier 2009), « Cette audition est de droit lorsque le
mineur en fait la demande » e il giudice in caso di rifiuto ne valuta il fondamento. Il
punto, in altri termini, è mantenere il necessario equilibrio tra il diritto del minore ad
intervenire e il suo diritto ad essere protetto. Ben pochi articoli, in realtà, il codice civile
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 39
- Settore Civile -
- settore civile -
francese dedica all’audizione del minore: l’art. 388-1, 373-2-11 c.c. e l’art. 338-1 all’art.
338-12 del codice di proc. civ.: il dato di fatto non è privo di conseguenze. Laddove
l’audizione del minore deve avvenire davanti ad un collegio di giudici, è lo stesso
collegio che decide in che modo l’audizione debba aver luogo (eventualmente anche
delegando alla stessa solo taluni membri del collegio). Ma v’è più. Il legislatore
francese è attento nell’escludere che per il mero fatto di essere ascoltato il minore
diventi « parte » del procedimento, così come non esaspera questo profilo
partecipativo. La rivalutazione del profilo dell’informazione è, in questo contesto, la
chiave per cogliere in tutta la sua portata l’importanza del più recente décret n° 2009572 du 20 mai 2009 che ancora modifica gli artt. 338-1 à 338-12 C.p.c.) per prevedere
definitivamente che il minore capace di discernimento debba essere informato dal
soggetto titolare della potestà, dal tutore ovvero dalla persona o dal servizio cui è
affidato, oltre che essere assistito da un avvocato in tutti i procedimenti che lo
riguardano.
E, tuttavia, che la rivalutazione della posizione del minore non sia una operazione facile
è confermato per un verso dai dubbi che solleva il modo in cui è raccolta e trascritta la
deposizione del minore. Vero è che l’art. 388-9 dispone che laddove l’interesse del
minore lo imponga, il giudice per procedere all’ascolto, designi una persona che non
abbia con il minore stesso né alcun legame parentale né alcun interesse e che esercita o
abbia esercitato una attività nel campo sociale o psicologico. Altrettanto vero che, nella
maggior parte dei casi, è lo stesso JAF a procedere all’audizione. Ne consegue, dunque,
che tutti i minori debbano essere ascoltati «sauf ceux dont l’âge ou l’état ne permettent
pas une telle audition», sebbene la legge attribuisca poi al giudice il potere di scegliere
se debbano essere ascoltati da soli o in presenza dei genitori. Non sfugge, ex art. 375-1
Code civil, come il giudice investito della protezione del minore si sforzi, nell’interesse
del minore « de recueillir l'adhésion de la famille à la mesure envisagée». La centralità
riconosciuta alla posizione del minore è evidente e vieppiù emerge ove si consideri il
dovere di ascoltarlo “en matiere d’assistance éducative (art 1183 du NCPC )”.
Giammai tuttavia il procedimento si apre interamente al minore. Questi rimane ad esso
estraneo, sorta di testimone vitale in una vicenda che lo riguarda. Si comprende così del
pari come il procedimento civile si liberi dalle strettoie di un formalismo che mal si
concilia con la situazione coinvolta. Così, non solo la domanda può presentarsi in
qualunque fase e di rado del procedimento, e anche in appello, ma non è neppure
ricorribile. E, sempre in questo senso, non è un caso che il giudice qualora abbia
ascoltato il minore debba precisare nel corpo del provvedimento che comunque “qu'il a
tenu compte des sentiments exprimés par l'enfant mineur”. Laddove, attesa la
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 40
- Settore Civile -
- settore civile -
delicatezza della situazione egli è comunque, tenuto a spiegare, a pena di nullità, le
ragioni che lo hanno indotto ad accettare l’audizione e/o a discostarsi dalla stessa24.
Ma la strada su cui si incammina il legislatore francese è chiara. Egli raggiunge certo un
compromesso, ma se di tanto si tratta, lo fa rivalutando la figura di un minore che va
trattato con rispetto e serietà, quello stesso rispetto e quella stessa serietà che trapela
dall’occhio della macchina fotografica di Robert Doisneau ne “Les Jardins du Champs
de Mars” dove la corsa all’ombra della Tour Eiffel non è, o non è soltanto, un gioco.
** Nell’esperienza inglese, invece, vi è un approccio che rimane paternalistico
a dispetto dell’attenzione tributata dal sistema al minore. La legislazione inglese, ligia
alle direttive europee e alle convenzioni internazionali, ha promulgato nel 1989 il
Children Act, che è senza dubbio il miglior sistema legale del mondo per la protezione
dei minori.
Sorprende tuttavia che non trovi spazio adeguato nel sistema inglese l’audizione
del minore. Vero è che La Sec. 1(3)(a) of the Children Act 1989, impone al giudice di
cogliere sempre “the ascertainable wishes and feelings of the child concerned
(considered in the light of his age and understanding”.
Altrettanto vero che la tendenza delle Corti, ex Sec. 7 of the 1989 Act, è quella
di rivolgersi sia alla CAFCASS (Children and Family Court and Advisory Service) sia
all’autorità locale chiamata ad informare il giudice “on such matters relating to the
welfare of that child as are required to be dealt with in the report”25. Il sistema inglese
finisce così con il negare al minore il diritto di essere presente in corte e, dunque, tout
court l’audizione.
Certo il legislatore sembra animato dal desiderio di evitare al minore il
disadattamento conseguente al contatto con le aule giudiziarie. Lo confermano le cautele
di cui è circondata la possibilità per il minore di dare inizio ad un procedimento,
soggetto ad un “leave”, concesso dalla corte sul presupposto della sufficiente capacità
del minore di intendere le conseguenze dell’azione. Lo attestano gli sforzi per mantenere
estraneo il minore al procedimento. Non a caso, infatti, il sistema attribuisce
all’avvocato ovvero ad uno speciale Guardian ad litem (con qualifica di assistente
sociale e nominato quando il minore non abbia sufficient understanding) il compito di
accertare la volontà del minore e di dare inizio al procedimento. Ma è del pari singolare
che interlocutore pressoché esclusivo del giudice sia solo il Guardian ad litem, al cui
rapporto egli tende ad attribuire rilevanza. Ragioni di tutela certo, militano per questa
opzione, cui tuttavia non sembra essere estranea una buona dose di scetticismo del
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 41
- Settore Civile -
- settore civile -
giudice inglese che non manca di precisare come l’affidabilità della risposta offerta dal
minore (nelle aule giudiziarie) sia direttamente proporzionale alla sua età.
La Sec. 7, Children Act 1989, garantisce al minore la testimonianza tramite video
da una stanza separata, alla presenza del suo avvocato o in aula protetto da un
paravento, salva sempre la possibilità di farsi assistere da un supporto psicologico che,
comunque, non impedisce al giudice di vagliare egli stesso le domande onde evitare
attacchi diretti. Nonostante queste cautele che pur sono pensate a tutela del minore, il
sistema inglese finisce per caratterizzarsi come un sistema di non audizione.
Il sistema inglese, dunque è un sistema in cui il minore a) comunica la sua
posizione tramite terzi, l’avvocato e il Guardian; b) a cui gli atti processuali sono
trasmessi solo dall’avvocato e dal Guardian; c) che rimette alla discrezionalità del
giudice l’apprezzamento del sufficient understanding.
Un sistema che mostra, però, in ultima analisi, una sorta di incapacità congenita
a colloquiare con il minore, tanto da arrivare al paradosso di escludere la pubblicità
delle udienze per proteggere la privacy di un soggetto che non è presente. E la cosa non
può che sorprendere l’interprete che si trova dinanzi ad una disomogeneità di tutele che
non può essere razionalizzata, che si sottrae a qualunque valutazione tassonomica,
mostrando, come si è detto, progressivi sviluppi ma anche inattese regressioni. Come
appunto qui è il caso.
** Non così l’esperienza tedesca. Il fatto che i provvedimenti relativi
all’affidamento dei figli siano atti di volontaria giurisdizione ex, § 50b Act on Voluntary
Jurisdiction facilita, sine dubio, l’audizione del minore, il cui ascolto è di fondamentale
importanza ai fini della decisione. Non solo il minore che ha raggiunto i 14 anni va
senz’altro ascoltato (§ 50b para. 2 sent. 1 German Act on Voluntary Jurisdiction). Nella
pratica la tendenza muove nel senso di ammettere all’audizione anche soggetti di età
inferiore del minore. E qui la casistica restituisce un interessante spaccato di come le
corti diano spazio a questo principio dell’ascolto del minore, ritenendo che già a partire
da tre anni il bambino possa essere sentito, da 4, ovvero da 5.
Ma sempre l’informazione (esistenza del procedimento nonché del suo
presumibile esito) è parte della procedura, giacché il minore deve essere informato al
fine di poter essere messo in condizione di esprimere la propria opinione. In questo
senso solo il timore di gravi pregiudizi all’equilibrio psichico del minore può
sconsigliarne l’audizione. Al minore è in altri termini riconosciuto un diritto
costituzionalmente garantito ad essere ascoltato. Qui è però il giudice di famiglia che vi
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 42
- Settore Civile -
- settore civile -
provvede personalmente, parlando con un minore che, comunque, non diventa mai parte
del procedimento.
Tanto meno il timore che permea la legislazione inglese sembra trovare spazio
nella KinderRGesetz 1997 che, proprio per evitare di mettere in pericolo gli interessi del
minori delinea la figura di un Verfahrenspfleger chiamato ad operare quale Anwalt des
Kindes. Ma v’è più. L’attenzione agli interessi del minore è sì avvertita da condurre alla
nomina addirittura di un curatore ogni qual volta si profili una situazione di conflitto di
interessi.
§ 3.B.2. – L’ASCOLTO DEL MINORE NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA: RICOGNIZIONE
NORMATIVA
In epoca anteriore al 2012 si parlava di “audizione” del minore (art. 155
sexies c.c. «prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui
all’articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di
prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto
gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento»)
sottolineandosi così l’aspetto tecnico-processuale, oggi, invece, si parla di “ascolto”
: ascoltare significa permettere al minore di leggere dentro se stesso e cercare di
capire quelle che sono le sue aspirazioni.
Sempre in epoca anteriore al 2012 vi era una non perfetta corrispondenza
di questo ‘diritto all’audizione’ del minore previsto per la separazione personale
dei coniugi, rispetto a quello previsto in sede di divorzio, malgrado, come noto, i
due procedimenti siano simili (e non uguali) e tendenti all’assimilazione tra loro.
Infatti, in quest’ultima sede, quella divorzile, l’art. 4, comma 8, della L.
1/12/1970 n. 898, con riferimento all’analoga fase c.d. presidenziale, sul punto,
testualmente dispone che «il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori
nonchè, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della
loro età, i figli minori, dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei
e urgenti».
Dunque, a differenza della separazione, in sede di divorzio era prevista
l’audizione dei figli minori tout court (cioè senza la specificazione dell’età, e
dunque anche infradodicenne), ma solo limitatamente all’ipotesi in cui il giudice lo
riteneva strettamente necessario.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 43
- Settore Civile -
- settore civile -
La corte di cassazione a sezioni unite, poi, (Cass Civ, S.U, 21/10/2009, n.
22238) ebbe a spiegare che in caso di omesso ascolto, il giudice è tenuto a
motivare, ed in difetto di motivazione sul punto, dovrà ritenersi la nullità
dell’intero procedimento per violazione dell’art. 111 Cost.
Con la l. 219 /2012 ed il d. lgs. 154/2013 l’audizione del minore viene
definita “ascolto” e vengono introdotti alcuni articoli nel codice civile che trattato
esplicitamente dell’ascolti.
In particolare:
** l’art. art. 315-bis (Diritti e doveri del figlio) che recita:"Il figlio minore
che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di eta' inferiore ove capace di
discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo
riguardano”;
** l’art. 336 bis c.c. che è intitolato “Ascolto del minore” e statuisce “Il
minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di eta' inferiore ove capace di
discernimento e' ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato
nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo
riguardano. Se l'ascolto e' in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente
superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento
motivato. L'ascolto e' condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri
ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori
delle parti, il curatore speciale del minore, se gia' nominato, ed il pubblico ministero,
sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono
proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento.
Prima di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura del
procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento e' redatto processo
verbale nel quale e' descritto il contegno del minore, ovvero e' effettuata
registrazione audio video.";
** l’art. 337 octies c.c. secondo il quale «nei procedimenti in cui si omologa o
si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di
affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto
con l’interesse del minore o manifestamente superfluo»15.
15 Con riguardo a quest’ultimo articolo preme precisare che il minore sembra debba essere ascoltato in sede di
separazione, non solo giudiziale, ma anche in quella consensuale (che sfocia, come noto, nell’omologa del Tribunale), ed
in generale, ogni volta che vi è un accordo dei genitori che regolamenti, l’affidamento dei figli (si pensi, ad esempio,
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 44
- Settore Civile -
- settore civile -
Con la l. 219/2012, insomma, l’ascolto è inquadrato nei diritti inviolabili del
minore: diritto della persona umana art. 24 carta di Nizza; diritto di essere
ascoltato come situazione esistenziale afferente alla persona umana (art. 2 cost) e
per la quale l’ordinamento non ammette deroghe né scarti sulla base delle
condizioni personali (art. 3 cost e 21 carta di Nizza – che contempla l’età nel
novero dei divieti di discriminazione). Espressione di un diritto assoluto per
l’affermazione della personalità e dell’identità del minore attraverso l’espressione
delle proprie opinioni e scelte.
§ 4. - LE QUESTIONI NON AFFRONTATE
La legislazione 2012/2013 come sopra visto ha disciplinato più
compiutamente l’ascolto del minore ma ha lasciato ancora molte lacune nella
disciplina di tale diritto.
In particolare, per esempio, non ha individuato i giudizi ove l’ascolto é
obbligatorio e nulla ha detto sulla delegabilità dell’ascolto.
E ciò, per inciso, risponde ad una tecnica legislativa che, per dirla con
Dworkin, da particolare rilievo al cd. giudice “erculeo” ossia un giudice sempre più
Re, sempre più Salomone e, quindi, sempre più arbitro di contese nelle quali il
convitato di pietra (il legislatore) non ha potuto, voluto o saputo scolpire regole
con valore precettivo destinate ad operare per i casi futuri.
§ 4.A- I GIUDIZI NEI QUALI IL MINORE DEVE ESSERE SENTITO
Anzitutto i giudizi relativi all’affido ed ai diritti di visita, poi i giudizi inerenti la
responsabilità genitoriale (artt. 330, 331,332,e 333 c.c), i giudizi di cui all’art. 262
all’accordo tra genitori di figli ‘naturali’, o meglio – per stare in linea con la nuova normativa che praticamente abolisce
l’espressione ‘figlio naturale’ – tra genitori, semplicemente, non coniugati tra loro). Con la particolarità, però, che qui,
venendo disciplinato ‘in negativo’, il giudice non é tenuto a procedere all’audizione del minore, ogni volta che, secondo una
valutazione preventiva, ciò appaia superfluo, oppure, addirittura, in contrasto con l’interesse del minore. Ma sul punto, si
ritiene, egli dovrà motivare. E francamente, non si comprende bene come riuscirà a motivare il giudice circa la ‘superfluità’
o addirittura circa la ‘lesività’ dell’ascolto del minore, in queste ipotesi (ad esempio, nella separazione consensuale), atteso
che normalmente, le parti, gli forniscono pochi elementi che possano consentire una vera e propria valutazione
consapevole.La conseguenza applicativa, per ora, è che spesso, l’ascolto del minore, in questi casi non si effettua.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 45
- Settore Civile -
- settore civile -
IV (cognome paterno) , quelli di cui all’art. 250 IV comma (riconoscimento
successivo di figlio nato fuori dal matrimonio, quelli di cui all’art. 252 u.c. c.c.
(inserimento di figlio nato fuori dal matrimonio nella famiglia) di uno dei genitori,
quelli di cui all’art. 273 c.c. (azione dichiarazione giudiziale di paternità) e i minori
ai quali deve essere nominato un tutore (art. 348 c.c. – minore ultradecenne).
A ciò vanno aggiunti i giudizi finalizzati all’accertamento del diritto del
minore ad avere rapporti significativi con gli ascendenti come precisato dal
supremo collegio (cfr. cass. n. 5097 del 5 marzo 2014 ove si è statuito che “ nel
procedimento finalizzato all'accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli
ascendenti ed i parenti del genitore scomparso, il comportamento ostativo del genitore superstite costituisce una
condotta pregiudizievole secondo la previsione degli artt. 330 e segg. cod. civ., poiché comporta la rescissione,
nella fase evolutiva della formazione della personalità del ragazzo, di una sfera affettiva e identitaria
assolutamente significativa, e lo espone a una vicenda esistenziale particolarmente dolorosa. In tale procedimento
il minore assume la qualità di parte e, in quanto tale, come affermato anche dall'art. 315 bis cod. civ., introdotto
dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, ha diritto di essere ascoltato, purché abbia compiuto gli anni dodici, ovvero,
sebbene di età inferiore, sia comunque capace di discernimento, cosicché la sua audizione non può - anche nel
caso in cui il giudice disponga, secondo il suo prudente apprezzamento, che l'audizione avvenga a mezzo di
consulenza tecnica - in alcun modo rappresentare una restrizione della sua libertà personale ma costituisce, al
contrario, un'espansione del diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, quale momento
formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni”.)
Finora si sono elencati i casi nei quali inequivocabilmente sussiste il diritto
all’ascolto del minore ma vi sono casi dubbi.
Tra questi si possono indicare i casi dei provvedimenti urgenti e provvisori
di cui agli artt. 708 c.c. e 4 l. div. per i quali si potrebbe pervenire alla conclusione
della necessità dell’ascolto seppur con qualche perplessità dal momento che vi è il
rischio concreto che il minore possa essere psicologicamente massacrato
dall’intervento giudiziario con una serie plurima di ascolti anche in fasi processuali
iniziali nelle quali lo stesso giudice non ha ben chiara la situazione o si determina
all’ascolto del minore senza aver prima sperimentato soluzioni sull’efficacia delle
quali, poi, confrontarsi con il minore.
La stessa problematica può sorgere nei procedimenti di cui all’art. 336 c.c.
laddove vi sia urgente necessità: in tal senso pare possibile per il giudice prendere
provvedimenti provvisori senza l’ascolto del minore se nelle more dell’udienza
l’interesse del minore può essere pregiudicato.
Sicuramente, invece, non è necessario l’ascolto del minore in sede di
appello nel caso in cui il minore sia già stato ascoltato in primo grado. In tal senso
si è pronunziata Cass 22 luglio 2014 n. 16658 la quale ha precisato che l'ascolto
del minore costituisce un adempimento necessario nelle procedure relative al suo
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 46
- Settore Civile -
- settore civile -
affidamento nel primo grado di giudizio (Cass. n. 5847/2013), come si desume
anche dall'art. 336 bis c.c., comma 1, che prevede che il minore debba essere
ascoltato "dal presidente del tribunale o dal giudice delegato" (coerentemente con
la L. n. 219 del 2012, art. 2, comma 1, lett. i). E si noti che il significato della “o” in
italiano è duplice può valere sia come disgiuntivo che congiuntivo: può
corrisponde al latino “aut” (alternativa) o “vel” (e) (inclusivo). Ovviamente laddove
vi sia un radicale mutamento della situazione ed il giudice d’appello sia chiamato a
prendere una decisione l’ascolto del minore non può essere omesso.
In ogni caso vi è sempre una valutazione discrezionale rimessa al giudice
caso per caso con il rischio della nullità del procedimento dal momento che la
mancata audizione del minore comporta la nullità dell’intero procedimento.
E allora si ripropongono alcuni interrogativi: la nullità del procedimento
riguarda il procedimento di merito nel senso che l’ascolto deve avvenire in
qualsiasi grado del giudizio purché avvenga o deve avvenire comunque nella fase
di primo grado del merito o in ogni fase del giudizio o solo nella fase iniziale o in
quella finale? L’art. 337 octies c.c. recita “il giudice dispone” ma non dice quando.
E, ancora, quante volte si deve procedere all’ascolto del minore? E se si
procede più volte ma in un’ulteriore occasione non si procede, si può ancora
ravvisare una nullità se il giudice in una determinata circostanza in cui deve
prendere provvedimenti sul minore non procede ad un nuovo ascolto? E si deve
procedere all’ascolto anche prima di ogni modifica del provvedimento?
In questa materia il giudice è chiamato ad difficile equilibrio rimesso al
giudice non ci può essere una logica dell’aut aut ma si deve procedere all’ascolto
ogniqualvolta sia ritenuto dal giudice necessario e soprattutto laddove il giudice è
chiamato a prendere provvedimenti che hanno una maggior rilevanza nel vissuto
del minore o vano ad incidere sulla persona, in senso ampio, del minore.
§ 4.B - I MINORI DA SENTIRE
Il legislatore ha indicato come linea di displuvio i 12 anni ma anche su
questo punto vi sono alcuni problemi.
§ 4.B.1. - LA CAPACITÀ DI DISCERNIMENTO
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 47
- Settore Civile -
- settore civile -
Il legislatore ha reso obbligatorio l’ascolto del minore che ha 12 anni o di
più e ha fatto riferimento anche alla possibilità di ascoltare il minore
infradodicenne purché munito di capacità di discernimento.
Sicché per ascoltare i minore sotto i 12 anni bisogna valutare la capacità di
discernimento.
Ma che cosa è la capacità di discernimento e come si valuta?
La capacità di discernimento è generalmente intesa come capacità di
elaborare autonomamente concetti ed ide , di avere opinioni proprie e di
comprendere gli eventi e prendere decisioni autonome ossia decisioni consapevoli
e non mera espressione di capriccio16.
Tale capacità va valutata anche per quelli sopra i 12 anni laddove siano
ravvisabili problematiche di ordine emotivo affettivo significative.
Il concetto di capacità di discernimento è stato mutuato nella
legislazione italiana dal testo della convenzione O.N.U. sui diritti del Fanciullo (in
inglese: child who is capable of forming his or her own view” ossia capacità di
formarsi una propria visione o opinione delle cose) e la corte di cassazione
recentemente, con l’arresto 29 settembre 2015 n. 19.327, ha definito la capacità di
discernimento come “la capacità di consapevolezza e comprensione, limitatamente al senso
dell’audizione stessa, e non certo di una vera e propria capacità, come un obbligo e non una
mera facoltà”.
Per individuare il timing della capacità di discernimento occorre prendere
in considerazione una pluralità di fattori il primo dei quali è quello culturale.
Sotto il profilo storico nella nostra cultura la capacità di discernimento si
ritiene acquisita intorno ai sei/sette anni (quando inizia la scuola).
Il secondo fattore è quello psicologico per il quale il bambino nell’arco di
vita tra i sei e gli otto anni acquisisce categorie di pensiero logico, il principio della
realtà e il senso morale.
16 Va precisato, però, che la capacità di discernimento non significa capacità di autodeterminazione dal momento che
quest’ultimo concetto rinvia con immediatezza alla fonte soggettiva del potere di autodeterminazione e come tale
presuppone l’intelligente autovincolarsi dell’individuo di cui discorre Habermas.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 48
- Settore Civile -
- settore civile -
Infine il terzo fattore è quello giuridico in base al quale la capacità di
discernimento è: la capacità di capire ciò che è più utile per il minore e la capacità
di prendere decisione autonome. Ora se si analizzano questi due aspetti dal punto
di vista psicologico è agevole riscontrare che trattasi di due aspetti molto differenti
dal momento che il primo implica una semplice valutazione dei propri bisogni e
l’elaborazione di strategie volti a soddisfarli ed in particolare occorre capire se il
bambino è in grado di posporre bisogni secondari a quelli primari; il secondo,
invece, implica la capacità di formulare opinioni e scelte personali e, dunque,
presuppone una capacità abbastanza matura.
A sua volta l’autonomia è influenzata da più fattori: dinamiche familiari,
emozioni, invischiamento con un genitore. Insomma dal punto di vista giuridico si
impone la necessità di verificare il livello di competenza delle funzioni psichiche
dell’Io, il livello di competenza legato alla disponibilità del minore di differenziare
gli elementi essenziali dei dati di realtà dalle costruzioni prevalentemente
fantastiche, la competenza di organizzazione di personalità, il patrimonio
espressivo verbale e non verbale nonché la sussistenza eventuali evidenza cliniche
di disagio odi malessere.
Ovviamente tra i 7 e i 12 anni saranno i genitori tramite i loro atti a fornire
ogni indicazione e documentazione utile a valutare la capacità di discernimento
(es. documentazione scolastica o proveniente da altre agenzie educative). Certo è
che in questo campo i nostri principi logici aristotelici saltano: siamo di fronte ad
un’aporia (passaggio senza uscita) dalle secche della quale si può uscire solo grazie
al buon senso e alla duttilità del giurista pratico di superare l’indice formale e
riportare il tutto ad una dimensione prossima al sentire sociale e dalla realtà.
Per fare un esempio concreto delle modalità operative del giudice in punto
si può citare Cass. 2014 n. 7479 la quale in un caso di sottrazione internazionale di
minore ha detto che non poteva negarsi che il minore fosse dotato del necessario
discernimento, in quanto ascoltato dalle assistenti sociali era stato ritenuto dotato
di intelligenza vivace e capacità di adattamento.
Prima di terminare questo capitoletto si impone una domanda: che peso dare
alla volontà del minore? Che cosa fare nei casi drammatici nei quali è per esempio
il minore dichiara che non vuole vedere il papà o la mamma ?
In punto può richiamarsi una recente sentenza della corte di cassazione nella
quale espressamente si è detto che vi è una violazione dell’art. 8 CEDU se si dà
eccessivo peso alla volontà del minore di non voler vedere il genitore (cfr.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 49
- Settore Civile -
- settore civile -
Cassazione civile , sez. I, sentenza 22.07.2014 n° 16658) perché la valutazione del
giudice sulle modalità dell'affidamento può non coincidere con le opinioni
manifestate dal minore, dal momento che il giudice ha "un onere di motivazione
direttamente proporzionale al grado di discernimento del minore" (v. Cass. n. 7773/2012)
e ciò è una diretta conseguenza dell'imprescindibilità dell'ascolto del medesimo.
§ 4.C – L’ESECUZIONE DELL’ASCOLTO
Come sopra già spiegato l’ascolto del minore deve riguardare le questioni che
riguardano il minore come persona quali quelle relative all’affido e alle modalità di
visita o la casa familiare ma non quelle economiche o sul tenore di vita.
§ 4.C.1 - L’ASCOLTO INDIRETTO
Una rilevante problematica che attiene all’esecuzione dell’ascolto è quella
relativa alla modalità diretta o indiretta dello stesso ove per modalità indiretta –
aggettivo da taluni ritenuto impronunziabile – si deve intendere quella attraverso
la quale il minore viene sentito per il tramite di un ausiliario del giudice stesso,
esperto in materia.
In prima battuta dobbiamo sottolineare come la forma indiretta sia, in assoluto,
la migliore forma di ascolto possibile, dato che per interagire con un minore, e non
influenzarlo anche involontariamente, è necessaria una specifica preparazione,
frutto di uno studio espressamente a ciò dedicato, qualità che non è, naturalmente,
presente nella formazione giuridica.
Lo stesso art. 336 bis c.c. prevede che l’ascolto sia condotto dal giudice
anche avvalendosi di esperti o altri ausiliari così come l’art. 12 della Convenzione
di New York e l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo. .
Appare, pertanto, possibile procedere all’ascolto indiretto con l’accortezza,
però, che non è sufficiente che il minore sia stato interpellato in qualche modo o
esaminato da soggetti le cui relazioni siano state successivamente acquisite al
fascicolo processuale essendo necessario, invece, che il soggetto che procede
all’audizione sia investito di una specifica delega da parte del giudice competente
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 50
- Settore Civile -
- settore civile -
inerente al dovere di informare il minore di tutte le istanze scelte che lo riguardano
al fine di acquisirne la volontà (cass. 15 maggio 2013 n. 11.687).
In punto la corte di cassazione nella sentenza 15 maggio 2013 n. 11.687 ha
chiarito che “L'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 della Convenzione di New York
sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie
che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi
dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77
del 2003, e dell'art. 155-sexies cod. civ., introdotto dalla legge n. 54 del 2006. Ne consegue
che tale adempimento è necessario anche nei procedimenti di revisione delle condizioni di
separazione dei coniugi, senza che possa ritenersi sufficiente, a tale scopo, che il minore sia
stato interpellato o esaminato da soggetti (nella specie, assistenti sociali) le cui relazioni
siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale, dovendo il giudice, ove non
ritenga di procedere all'audizione diretta, avvalersi di esperti investiti da specifica delega”,
mentre cass. 3 maggio 2012 n. 6694 ha precisato che l’audizione può avvenire
anche tramite organo adeguato o rappresentante del minore e cass. 5097/2014 in
modo molto più generico ha rimesso alla discrezionalità del giudice la modalità
dell’ascolto avendo cura di precisare che “il carattere urgente del procedimento
giustifica pienamente sia la tempestiva attuazione dell'adempimento da parte degli organi
pubblici (i servizi sociali) immediatamente in contatto con il minore”.
Infine con la sentenza n. 7479 del 31 marzo 2014 la corte di cassazione in
un caso di sottrazione internazionale di minore ha statuito che “l'audizione può
essere svolta, secondo le modalità stabilite dal giudice anche da soggetti diversi da
esso (“Nel procedimento per la sottrazione internazionale di minore, previsto dalla legge 15 gennaio
1994, n. 64 (di ratifica della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980), l' ascolto del minore costituisce
adempimento necessario ai sensi dell'art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n.
219, senza che osti, in senso contrario, la mancata previsione normativa dell'obbligatorietà desumibile
dall'art. 7, comma 3, della menzionata legge, potendo essere espletato secondo le modalità stabilite dal
giudice, anche da soggetti diversi da esso, in quanto finalizzato, ex art. 13, comma 2, della citata
convenzione, anche alla valutazione della eventuale opposizione del minore al ritorno, salva solo la
preventiva valutazione dell'esistenza di ragioni di eventuale dannosità e contrarietà all'interesse del
minore (da indicarsi esplicitamente) che ne sconsiglino il ricorso, anche in considerazione del carattere
urgente del procedimento. Ne consegue che l'omesso adempimento o l'omessa motivazione sulla sua
assenza costituiscono lesione del diritto al contraddittorio, da far valere in sede d'impugnazione nei
limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 cod. proc. civ. ”
- Nella specie, la S.C. ha
confermato la decisione di merito con la quale, nonostante il carattere urgente del
procedimento, si era delegato l' ascolto del minore agli assistenti sociali, senza che
il giudice vi provvedesse direttamente in ragione dell'elevato conflitto esistente tra
i genitori).
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 51
- Settore Civile -
- settore civile -
§ 4.C.2 – CASI DI OMISSIONE DELL’ASCOLTO
In alcuni casi l’ascolto del minore si può omettere.
Per l’art. 336 bis cc. l’ascolto può essere omesso in due casi: quando é
superfluo o in contrasto con l’interesse del minore.
L’individuazione dell’esatto perimetro applicativo di entrambi non è agevole.
** Supefluo
Diceva Antonio Gramsci che quando uno ti propone una soluzione
semplice per un problema complicato vuol dire che ti sta imbrogliando.
In primo luogo lascia perplessi la possibilità data al giudice di omettere
l'ascolto quando esso appaia "manifestamente superfluo" specie considerando
che il diritto convenzionale, là dove fa riferimento all'ascolto del minore in
sede giurisdizionale, e le stesse Linee guida stabiliscono che il giudice può
legittimamente non ascoltarlo, solo quando tale adempimento sia "in contrasto
con l'interesse del minore". Ancora, le perplessità sono alimentate dalla
constatazione che la delega affidava al Governo soltanto il potere di disciplinare
"le modalità" dell'ascolto e non anche di stabilire i presupposti per esercitare
tale diritto.
Ora volendo dare alcune indicazioni operative si può ammettere che è
manifestamente superfluo l’ascolto nei procedimenti che non coinvolgono
l'interesse superiore del minore e quindi là dove oggetto del procedimento non
sono rapporti familiari, ovvero ancora che appaia superfluo quando venga
chiesto nell'àmbito di un procedimento in cui l'ascolto del minore è già
avvenuto. Ma, fuori di queste ipotesi, l'ascolto non è mai "superfluo", anzi è un
atto doveroso che il giudice non può evitare di compiere se non quando lo
ritenga contrario all'interesse del minore.
La relazione illustrativa che accompagna lo schema del decreto legislativo
preparato dalla commissione presieduta da Bianca, nel voler spiegare quando
ricorrono i presupposti della manifesta superfluità dell'ascolto, rischia di trarre
in errore l'interprete là dove vuol precisare che l'ascolto è "manifestamente
superfluo" quando verta, come dice testualmente la relazione, "su circostanze
acclarate o non contestate". Si tratta di una precisazione che non si può
condividere poiché evoca l'applicazione di norme del codice di rito possibile
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 52
- Settore Civile -
- settore civile -
solo attribuendo finalità istruttorie all'ascolto del minore, considerandolo
erroneamente una dichiarazione di scienza, in sostanza un mezzo di prova
assoggettato ai principi generali che reggono la disciplina delle prove: in
particolare, a quanto disposto dagli artt. 115 e 209 cod. proc. civ. per cui solo i
fatti non specificatamente contestati sono oggetto dell'onere di prova e ancora
quando il giudice, per i risultati già raggiunti, "ravvisa superflua" ogni ulteriore
assunzione.
** In contrasto con l’interesse del minore
In materia minorile si fa riferimento all’interesse del minore e non può non
rilevarsi come vada delineandosi con tratti marcati una mutazione genetica della
gestione giurisdizionale che si sta conformando quale “giurisdizione per risultati” :
una giurisdizione work in progress che trova spiegazione in un contesto culturale –
giuridico nel quale – come disse il filosofo Ernst Cassirer nel libro Sostanza e
Funzione: “… le cose valgono non più per il loro essere o per la loro propria ragione
ma per l’effetto che producono”. In tale contesto la tipicità della fattispecie legale va
sempre più evaporando.
Abbiamo già avuto modo di vedere sopra come l’espressione “interesse del minore”
sia anfibologica potendosi attribuire alla stessa due significazioni.
La prima si riferisce alla necessità che ogni decisione riguardante una persona
minore di età debba essere adottata in considerazione del suo esclusivo benessere questo il senso assunto dalla espressione nell’art. 3 della Convenzione di New York del
20 novembre 1989 sui diritti del minore (‹‹In tutte le decisioni relative al minore
l’interesse superiore del minore deve avere una considerazione prevalente››); onde
risulta dotata di pregnanza e rilevanza tali da eludere ogni possibile tentativo di posta in
discussione. Ivi “l’interesse del minore” conserva la dignità di una categoria giuridica.
La seconda, riduttiva e talora ambigua, invece tende (può tendere) ad evidenziare la
duplice circostanza che “la valutazione di ciò che è bene o male per un minore
appartenga all’area della pura discrezionalità” e che la stessa risulti sottratta a qualsiasi
onere di verifica dialettica o di confronto. Onde “in questo secondo significato
l’espressione interesse del minore non ha alcuna connotazione giuridica ma è una
espressione paternalistica ad alto rischio di approssimazione e di falsificazione (..) Una
categoria insufficiente ed inadeguata - rispetto alla stessa necessaria funzione di
orientamento assegnatale dalla giurisprudenza - che ha subito una ormai definitiva
erosione dei suoi primitivi significati di tutela”.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 53
- Settore Civile -
- settore civile -
E’ convinzione di molti che la plausibilità giuridica e la coerenza sistematica della
categoria “interesse del minore” siano ormai ridotte al minino e sussistano numerosi
indizi che rendano necessario assumere il diritto soggettivo come categoria centrale per
una diversa e nuova strategia di tutela e di protezione del minore di età.
Convinzione questa tratta da una riflessione sistematica intorno ai principali settori
nei quali il giudice (ordinario o minorile) è chiamato ad adottare decisioni nell’interesse
del minore: 1) la separazione ed il divorzio (artt. 155, 158 c.c. e art. 6 l. div.); 2) gli
interventi di controllo sulla potestà genitoriale (artt. 330 ss. c.c.); 3) l’accertamento della
situazione di abbandono e la dichiarazione di adottabilità (art. 1 e 8 della legge 1983, n.
184); 4) il riconoscimento della filiazione naturale e la dichiarazione giudiziale di
paternità (artt. 250, 269- 279 c.c.), nonché dalla analisi della differente terminologia
adoperata dallo stesso legislatore il quale, in riferimento alla protezione della minore
età, talora usa la parola “diritti” (a titolo esemplificativo, si pensi all’art. 30 Cost.;
all’art. 147 c.c.; o alla Convenzione sui diritti del minore, ratificata con legge 22 maggio
1991, n. 176); talaltra l’espressione “interesse del minore” (es. l’ art. 155 c.c.; l’art. 6
della legge sul divorzio; gli artt. 11,15,19 34,46 della legge 1983, n. 184
sull’affidamento ed adozione dei minori). Diversa terminologia, invero, motivabile solo
alla luce della sussistenza di una differenza strutturale e normativa tra l’area
dell’interesse e l’area del diritto.
L’interesse fornisce, infatti, una precisa indicazione del criterio attraverso cui
tutelare il diritto del minore, prius logico dell’interesse, non identificabile con esso.
Esso, dunque, non sostituisce la categoria dei diritti soggettivi del minore, né si
confonde o sovrappone con essa, come taluni in passato sosteneva, cagionando il
sacrificio di talune significative conseguenze di una corretta impostazione giuridica,
quali, in primis, quella secondo cui il diritto soggettivo (a differenza dell’interesse)
risulta tutelato solo dalla giurisdizione. Del resto la distinzione è ben nota anche nel
diritto amministrativo: ‹‹se una situazione giuridica soggettiva è definita di diritto
soggettivo essa troverà di fronte la giurisdizione, con le sue regole, i suoi principi, le
sue garanzie. L’interesse, invece, quando assume la qualifica di legittimo, può
configurarsi unicamente come pretesa al corretto esercizio del potere, sia pure a pena
di risarcibilità delle lesioni eventualmente cagionate per comportamento illegittimo››
(Cass. Sez. Un., 22 luglio 1999, 500).
Ciò detto, evidente risulta la questione centrale che la giustizia minorile è chiamata a
risolvere: il passaggio da una giustizia intesa come amministrazione dell’interesse del
minore, dipendente solo dalla sensibilità dei singoli giudici, delle loro esperienze
personali, dei valori condivisi (l’interesse del minore svolge ivi una “funzione di
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 54
- Settore Civile -
- settore civile -
cuscinetto, di passepartout discrezionale in nome del quale da un capo all’altro della
penisola sono prese quotidianamente, attingendo al soggettivismo e alla discrezionalità,
decisioni una diversa dall’altra”), ad una giustizia che si configuri come giurisdizione
sui diritti del minore. Il ché può realizzarsi solo attraverso una allocazione della
giurisdizione minorile e familiare all’interno delle regole principali processuali della
giurisdizione ordinaria.
Indizi significativi del siffatto passaggio (dall’interesse del minore ai diritti
soggettivi) sono, del resto, rinvenibili altresì nella Convenzione sui diritti della infanzia
del 1989 (l. 1991, n. 176) e nella Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del
minore del 1996 (l. 2003, n. 77), la quale, in specie, prevede il riconoscimento al minore
dotato di sufficiente capacità di discernimento di specifiche capacità processuali ossia
capacità, nelle procedure in cui il relativo interesse risulta in conflitto necessario con
quello proprio dei genitori, di stare autonomamente in giudizio con un proprio
rappresentante legale. Contrariamente il riconoscimento del diritto non avrebbe senso
alcuno.
** Altri casi giurisprudenzialmente individuati
Altri casi nei quali si può omettere l’ascolto del minore espressamente indicati
dalla giurisprudenza di merito nell’ambito di una puntuale esegesi del generico
dato normativo si hanno quando vi sono solo contrasti economici, quando il
minore è provato da una situazione destabilizzante ( Cass. 25.2.2014 n. 4413) o
quando minore è già stato sentito (Il minore non deve essere sentito più del
necessario)
o, ancora, quando non ha discernimento (si pensi al minore
ultradodicenne con grave ritardo mentale) o nel caso estremo e assai delicato in
cui il minore non vuole essere ascoltato. In quest’ultimo caso, infatti, occorre
rilevare che l'ascolto del minore non può mai diventare un'imposizione al
minore di un'attività processuale da assumere coercitivamente e
autoritativamente o addirittura come una violazione del suo habeas corpus.
In punto in numerosi arresti del supremo collegio (Cass. civ. S.V. n. 22238 del
21 ottobre 2009, Cass. civ. sezione I n. 11687 del 15 maggio 2013 e n. 18538
del 2 agosto 2013), sia nelle recenti modifiche legislative, occorse con
l'introduzione dell'articolo 315 bis c.c., da parte della Legge 10 dicembre 2012,
n. 219. È stato ben spiegato che l'ascolto del minore non è una restrizione della
libertà personale costituendo al contrario una espansione del diritto del
minore alla partecipazione al procedimento che lo riguarda.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 55
- Settore Civile -
- settore civile -
L’omissione dell’ascolto, ovviamente, deve essere motivata in modo puntuale
dal momento che è nullo il provvedimento che nega l'audizione del minore se non
adeguatamente motivato come evidenziato da Cass. civ. Sez. I, 15/05/2013, n.
11687 ma anche da Corte di Cassazione civile, sezione prima, sentenza n.
21101 del 7 Ottobre 2014. In quest’ultimo caso nell'ambito di un
procedimento di riconoscimento di paternità, promosso dal padre naturale del
minore – il quale, a seguito di intervenuto ha esperito contestuale azione di
disconoscimento di paternità, ottenendolo – la madre si è opposta adducendo, tra
gli altri motivi (tra cui la carenza di interesse della minore al riconoscimento, dato
che la stessa avrebbe instaurato un legame affettivo stabile con il marito della
madre, che nel frattempo avrebbe anche avviato procedura di adozione) la
mancata audizione della figlia in sede di merito Il ricorso è accolto
parzialmente e la questione rinviata alla Corte d'appello competente. Secondo la
Suprema corte tanto basta per fondare l'illegittimità della decisione presa dal
giudice del merito, nel senso di accogliere la domanda del padre biologico.
Non può, poi, non segnalarsi che in base all’art. 23 lett. b) reg Ue 2201/2003
non possono circolare in ambito comunitario i provvedimenti se non c’è stata
audizione del minore.
Se la nullità è accertata in fase di appello non si tratta di un caso di cui all’art.
354 c.p.c. quindi il giudizio non deve essere rimesso al giudice di primo grado ma
sarà il giudice di appello a provvedere obbligatoriamente all’ascolto.
§ 4.E – LE MODALITÀ DELL’ASCOLTO
La prima domanda da farsi quando si affronta il tema delle modalità di ascolto è
quella se nell’ascolto c’è un aspetto dialogico.
Il giudice dà una comunicazione informativa e allora legge o dice quello che
spetta al minore ignorando tempo e ambiente in un solipsismo scandito dal girare
dei fogli e dalla vuota pronunzia di parole oppure l’ascolto del minore è qualcosa di
diverso?
In vero nell’ascolto del minore vi deve essere un’interazione tra la parola e
l’ascolto che se non deve essere meramente comunicativa non può però neppure
essere performativa: il giudice, in buona sostanza, non deve formare o correggere
il minore o perlustrarne le più recondite problematiche psicologiche ma deve
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 56
- Settore Civile -
- settore civile -
ascoltare i suoi bisogni, le sue esigenze, i suoi timori le sue ansie e le sue speranze
e da qui trarre elementi per la miglior decisione possibile.
Insomma un delicato equilibrio tra la funzione informativa e quella
recettiva tendente ad una funzione omiletica (conversativa).
Una volta chiarito lo sfondo nel quale deve collocarsi l’ascolto può
procedersi ad analizzare le modalità concrete di realizzazione dell’atto.
Anzitutto spetta al giudice eseguire l’audizione in modo che sia protetta da
interferenze, turbamenti o condizionamenti adottando le cautele suggerite dalle
circostanze. Bisogna, infatti, superare la straordinaria asimmetria che si frappone
tra il fanciullo (e il suo stato emotivo) ed il contesto relazionale e ambientale in cui
lo stesso viene ascoltato. (es. vietare l’interlocuzione con i genitori o i difensori,
sentire il minore da solo se a presenza di altri è motivo di turbamento).
L’art. 336 bis c.c. spiega, poi che il giudice informa il minore della natura del
procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è dato processo verbale
ove è descritto anche il contegno del minore. Può essere registrato.
Importante è anche che il minore se possibile sia informato dai genitori
dell’incontro e delle condizioni dello svolgimento, sia messo a proprio agio nonché
informato che chi l’ascolta non può mantenere il segreto sul suo ascolto: in breve il
minore deve avere chiaro che l’ascolto non si svolge in una dimensione privata di
segretezza.
Ma soprattutto il minore deve avere tempo e spazio per raccontare: si deve
stabilire un rapporto empatico con domande aperte, per favorire la narrazione del
minore, linguaggio semplice ed adeguato all’età e domande indirette per non fargli
percepire il peso della decisione o che la decisione è nelle sue mani.
E ancora: nell’ascolto è necessario prestare molta attenzione al linguaggio
utilizzato dal minore ed ai suoi messaggi nascosti (ossia prestare attenzione al non
verbale) ed evitare di illudere il minore con promesse che non si mantengono.
Un breve cenno va rivolto anche alla verbalizzazione: deve essere analitica con
domande e risposte magari (per i più grandicelli) con coinvolgimento del minore
nella verbalizzazione ed interlocuzione sulle modalità con cui riportare nel verbale
la propria opinione.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 57
- Settore Civile -
- settore civile -
Il problema della presenza delle parti e dei difensori è stato risolto dal
legislatore con l’art. 336 bis attraverso un’interlocuzione anteriore del difensore.
Con riguardo, invece, all’ascolto del minore da parte dei servizi sociali si
pone il problema di conciliare la natura dell’attività svolta dai Servizi sociali – ossia
fornire notizie utili al giudice – con l’esigenza del difensore di poter partecipare in
qualche modo ad un atto importante come quello dell’audizione del minore.
A Brescia il Tribunale ordinario ha concordato la presenza del difensore al
primo colloquio che gli operatori avranno con i genitori al fine di raccogliere anche
le esigenze dei difensori ed impostare nel modo più ampio possibile il lavoro di
analisi sistemica del nucleo familiare: successivamente i servizi sociali svolgeranno
il loro lavoro senza alcuna interferenza del difensore limitandosi quest’ultimo,
eventualmente a segnalare argomenti o problematiche da affrontare da parte degli
operatori anche in sede di audizione del minore. Il contradditorio, ovviamente,
sarà posposto davanti al Giudice all’esito dell’indagine dei servizi sociali. Con tale
“protocollo” per un verso non si snatura il lavoro dei servizi sociali e, per altro
verso, si garantisce il diritto della difesa al contraddittorio: il tutto all’interno di
una procedura che si sviluppa su uno sfondo che tiene in preminente
considerazione i bisogni del minore.
** L’ascolto del minore e la deontologia dell’avvocato
L’art. 68 del nuovo codice deontologico, oltre al divieto di assumere
l’incarico dai coniugi o conviventi già assistiti in una prima fase (art. 68.4) è
inserito l’ulteriore divieto per l’avvocato, che abbia assistito un minore in
controversie famigliari, «di astenersi sempre dal prestare la propria assistenza in
favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura e
viceversa» (art. 68.5 cod. deont.).
Per questa infrazione è prevista una sanzione più grave rispetto a quella
precedente (da uno a tre anni, anziché da due a sei mesi).
E’ previsto anche nel nuovo codice deontologico che l’avvocato debba «in
ogni caso assicurare l’anonimato del minore» (artt. 18.2 e 57.2), e al minore infine
è dedicato l’intero art. 56 (ascolto del minore), con obblighi vari previsti a carico
dell’avvocato ed in particolare:
- l’obbligo di non procedere all’ascolto di un minore senza il consenso degli
esercenti la responsabilità genitoriale, e sempre che non sussista conflitto di
interessi con gli stessi;
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 58
- Settore Civile -
- settore civile -
- l’obbligo di astenersi da ogni forma di colloquio o contatto con i figli minori sulle
circostanze oggetto delle controversie familiari.
Per la violazione di questi doveri e divieti è prevista la sospensione
dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno.
In particolare, per esempio, è stato sanzionato con la sospensione l’avvocato
che nell’esercizio del suo ministero di difensore, nel corso di un giudizio di
separazione tra coniugi, «nell’interesse della propria assistita abbia intrattenuto
colloqui con i figli minori della coppia all’insaputa del padre affidatario e in
violazione delle disposizioni specialmente impartite dal giudice nell’interesse dei
minori stessi»17
Come si vede, il nuovo codice deontologico dedica ampio spazio ai rapporti
famigliari, e in particolare ai rapporti con i minori, nella fondata percezione che
ogni contestazione debba essere affrontata con grande sensibilità ponendo
l’avvocato a contatto con l’essere delle persone (i sentimenti, gli interessi, la stessa
dignità dell’esistenza, ma anche i diritti inespressi e inesprimibili di un minore),
che sono ben più rilevanti dell’avere, che pure occupa in misura talvolta
ingiustificata i contrasti tra le parti.
E’ del tutto condivisibile, quindi, una maggiore attenzione a questi problemi,
tenuto conto anche delle varie modifiche in atto sul piano legislativo e processuale.
Tra l’altro occorre ricordare ancora una volta che i doveri di lealtà e probità
previsti dall’art. 88 c.p.c. (e nei medesimi termini dall’art. 105.4 c.p.p.) sono
imposti non solo alle parti ma anche ai difensori, ed essi esprimono il dovere
giuridico di non alterare il rapporto processuale e, quindi, di assicurare allo stesso
il rispetto della verità. Al medesimo modo devono essere intesi i principi di buona
fede e correttezza che per la loro ormai acquisita costituzionalizzazione...
costituiscono un autonomo dovere giuridico e una clausola generale, che non
attiene soltanto al rapporto obbligatorio e contrattuale, ma si pone come limite
all’agire processuale nei suoi diversi profili.
Infine appare interessante, poi, è rilevare come anche nel codice
deontologico degli psicologi (art.31) si tenga in particolare considerazione
l’interesse del minore tanto da prevedere che prestazioni professionali a persone
17 (Cass., sez. un., 4 febbraio 2009, n. 2637, in Giust. civ., 2009, I, 860, a conferma della decisione del Consiglio naz. forense
22 aprile 2008, n. 17).
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
foglio nr. 59
- Settore Civile -
- settore civile -
minori o interdette sono generalmente subordinate al consenso di chi esercita la
responsabilità genitoriale anche se trattasi di genitori separati o divorziati. Lo
psicologo, addirittura, deve avvisare l’AG se ritiene necessario l’intervento
professionale.
§ 5. – CONCLUSIONE
Nel quadro sopra delineato trarre delle conclusioni sembra oltremodo
complesso. Lo “stato dell’arte” si mostra alquanto fluido o, per usare un
espressione che va di moda “liquido” (sociologo Zigmunt Baumann). Vi è l’anelito,
la tensione verso la ricerca di soluzioni nuove in grado di dare più completa
attuazione all’interesse del minore.
Ma come le scatole di Andy Warhol “Brillo” hanno segnato la scomparsa
della differenza fra oggetti di arte e oggetti che tali non sono, così nel diritto la
molteplicità degli approcci (sociologia , psicologia ecc.) rende complicato tracciare
una linea sicura che consenta di distinguere esattamente quale è l’interesse del
minore e come svolgere nel miglior modo l’attività giurisdizionale.
Una cosa però è sicura : il fil rouge che lega tutto è la tendenza definitiva ed
inscindibile al riconoscimento per il minore dei diritti al profilo pienamente
partecipativo.
Insomma il minore entrando nel circuito giudiziario dovrà percepire
quanto la giustizia non solo possa essere al suo servizio ma anche a sua misura. La
giustizia verso i minori deve, pertanto, essere capace anche di simpatia nel senso
etimologico del termine (comprensione dei bisogni altrui). Se manca di questa
capacità sarà cieca e la sua esibita imparzialità sarà ottusa.
E del resto solo in questo modo è possibile assicurare al minore le
condizioni affinché egli sia messo in grado di svolgere il suo itinerario nella società
e divenire soggetto di storia individuale e collettiva proprio perché - come ha
detto icasticamente la scrittrice brasiliana Lya Luft - “l’infanzia è il suolo sul quale
andremo a camminare per tutta la vita”.
Consiglio Superiore della Magistratura
- Ufficio del referente distrettuale per la formazione –
- Settore Civile -
- settore civile -
foglio nr. 60