Cascina Macondo
Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce e Poetica Haiku
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IL MODELLO 43
di Antonella Filippi
Cascina Macondo - Scritturalia, domenica 12 giugno 2011
L’Antonio buonanima, classe 1909, quel che l’era venuto via dal so paes per
andare prima a Recetto, poi a Biandrà, poi a Nuara a cercare di far quadrare
pranzo e cena, ché non era facile per uno che si era sposato a 20 anni con la Stella,
la figlia di uno che era proprietario e non mezzadro a Filattiera e che a 21 aveva
già l’Armando e a 23 l’Anna Maria, non era proprio facile per uno che era stato
contadino decidere di andarsene e staccarsi dalla terra e pure dai 10 fratelli di
primo letto e dai 9 del secondo e di venire in Piemonte, dove già c’era uno dei
fratelli della moglie che stava iniziando a fare affari con le stoffe e che adesso è
morto, ma i figli hanno messo su un grosso magazzino di vestiti che lo vedeste,
insomma, l’Antonio buonanima, quando veniva all’osteria dopo cena o la
domenica nel pomeriggio a giocare a scopa e mica a quei giochi per signorine di
adesso, aveva sempre qualche storia da raccontare.
Come quella della coppia nel cui casale erano andati ad abitare lui e la Stella
appena sposini e poco prima della nascita dell’Armando, dei conoscenti di Caprio
che avevano una stanza libera che, come succedeva, veniva affittati ai “giovani”,
quelli non ancora sposati, o agli sposi che volevano stare vicini alla famiglia, ma
non così vicini da rimanere nella stessa cascina. L’Antonio diceva che questi
conoscenti erano molto religiosi e che tutti i venerdì dopo la cena sgranavano
insieme il rosario e l’uomo era quello che “comandava” le preghiere e al termine
non la finiva mai di ordinare “Un Padre Nostro per San Giuseppe, un Padre
Nostro per San Michele, un Padre Nostro per San Giovanni, un Padre Nostro per
San Biagio,....” tanto che una volta l’Antonio si era stufato e gli aveva detto “Ma
dinne solo uno per tutti e che il più svelto se lo prenda!”
Un’altra storia che ci piaceva sentire e risentire, ché lo sapete tutti che le belle
storie, specialmente quelle che fanno ridere, fa piacere ascoltarle da uno che le
conta bene e ogni volta ci mette dentro un particolare in più, visto che in questo
mondo lo spazio è così grande e i pensieri piccoli e ci stanno bene in un cestino di
parole ben dette, un’altra storia, vi dicevo, è quella della Stella che vendeva gli
occhiali e le corone, i rosari. Poi si sono messi a vendere anche loro le stoffe, ma
questa è un’altra storia.
Nel 1936, lasciato l’Armando da alcuni cugini a La Spezia perché andasse a
scuola mentre loro cercavano casa e lavoro al nord, se n’erano venuti a Riciàt, con
la necessità di riempire pancia e panciotto, come si dice, e non far scordare
all’Armando, che aveva solo sei anni, la sua famiglia, che pure se stai dai parenti
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però non è la tua famiglia, che magari ti vogliono anche più bene, ma non sono
madre e padre e se combini qualcosa e le prendi lo sopporti meglio dai tuoi.
La Stella l’andava in bicicletta nelle campagne a vendere, una volta una vecchia le
aveva comprato un paio di occhiali, poi aveva toccato le lenti con le dita e quando
lei era tornata da quelle parti le aveva detto che ci vedeva bene quando lei era lì,
ma poi dopo ci vedeva male e la Stella le aveva risposto che le era calata di nuovo
la vista e gliene aveva venduto un altro paio! Uno studente prete le aveva detto
che lei ci guadagnava tanto, al che la Stella aveva ribadito che anche loro quando
fanno messa si fanno pagare e non ci avevano da calcolare spese di trasporto o
tasse da aggiungere al prezzo al loro servizio.
Vendeva pure corone di semi fatte da alcuni frati, con un crocifisso apribile che
conteneva della terra. La Stella ne vendeva una grossa, cioè dodici dozzine, in due
settimane. Lei per piazzarle raccontava che era terra delle catacombe e che si
acquistava indulgenza. Una volta una che l’aveva già comprata le dice di
dargliene un’altra perché l’ha persa e qualche tempo dopo le racconta che era
andata poi nell’orto e aveva visto nuove piantine e tirando su c’era il rosario
attaccato!
Il fratello Ettore, quello del banco di stoffe, le diceva sempre che vale più avere la
lingua buona e la roba grama che la roba buona e la lingua grama! E devo dire che
aveva ragione, se i figli adesso hanno un magazzino di vestiti che è conosciuto
anche fuori dal paese, perfino a Novara, che è una città e che ha negozi di ogni
cosa, mica come qui in paese, che c’è solo il Nello con quell’antipatica della
Mariuccia, ma anche questa è un’altra storia.
Un’altra volta con l’Antonio, che già avevano comprato un camioncino, stavano
passando su una strada di campagna, bella stretta, e sono finiti in un fosso e la
roba che avevano su, tela per coperte e coprimaterassi, si è bagnata. Allora la
Stella è andata in una cascina a chiedere che con il trattore li tirassero su e, intanto
che era lì, ha detto che merce aveva e che ci giuntava e che l’avrebbe venduta a
meno, così si è ripresa il costo della merce. Quelli della cascina fecero un buon
cumèrsi con quelle pezze: lo sanno tutti che il cotone greggio si bagna e si
insapona e si espone di notte alla rugiada e poi di giorno al sole, bagnandolo ogni
quindici minuti, perché non deve asciugare, dopo si sciacqua e diventa
bianchissimo. Se asciuga diventa scarboncito, perché è rimasto troppo tempo lì
senza curarlo; e per mandar via quelle macchie gialle si fa la conegrina forte e
calda e si lava nel sevar e si sciacqua al fiume e poi allora vanno via.
L’Antonio, una di quelle volte in cui ci trovavamo all’osteria, una domenica che
forse gli erano venuti in mente due dei fratelli, uno andato partigiano e poi a
Parigi dopo la guerra e l’altro ucciso dai germanici, s’era ricordato di una storia
che gli era successa quando era stato richiamato, ché adesso non si va più di leva
come noialtri, adesso abbiamo l’esercito professionista, ma una volta a vent’anni
o meno ti mandavano soldato, a chiamare con la cartolina, che dovevi
abbandonare la vigna o la stalla e andare dove che ti mandavano, e c’era chi
veniva dal sud e andava alle montagne o chi scendeva da nord e trovava per errore
il mare sul suo cammino, e ci aveva raccontato la storia del “Modello 43”.
L’Antonio in quel periodo aveva già 32 anni e la Stella, che aveva perso l’Anna
Maria per una gastroenterite, aspettava la Rosalba e non aveva punto piacere che
l’Antonio se ne andasse magari in Libia o in Albania a portare la civiltà romana,
come si diceva, e che aveva paura anzi che non tornasse più, era tanto angustiata
che l’Antonio aveva chiesto all’ufficiale medico di infermità, ferite e lesioni del
suo corpo di appartenenza, la fanteria, che però l’Antonio avrebbe voluto andare
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negli alpini, tanto che dopo la guerra si era comprato il cappello e andava a tutti i
raduni, gli aveva chiesto come fare ad avere una licenza. Il dottore gli aveva
risposto che se per caso aveva male a qualche dente poteva farselo levare e allora
lo mandavano a casa qualche giorno. L’Antonio, che non aveva neanche un dente
malato e aveva lo stomaco che era un vero cimitero di polli, aveva pensato di
sacrificare un paio di denti del giudizio, che si era fatto togliere seduta stante dal
medico, che era anche dentista, per quello che poteva valere su un campo di
battaglia, dopo aver compilato il Modello 43, cioè la richiesta di licenza in seguito
a necessità di salute redatto in duplice copia e firmato dall’ufficiale medico e che
doveva essere firmato anche dal comandante capo, che però non l’aveva firmato,
perché affermava che l’Antonio aveva la camminata della persona sana e anche se
gli aveva fatto vedere la bocca con i crateri scuri dei molari gli aveva ribadito che
non dipendeva da causa di servizio e che se fosse morto gli avrebbe dovuto
concedere la licenza, ma visto che era vivo, anche se mancante di due denti,
doveva partire con il resto della compagnia.
Insomma, era andata così, e l’Antonio era partito e per fortuna era anche ritornato.
Se la rideva affermando che il tempo sempre bello crea il deserto e che la so
mama diceva che se ognuno porta la sua croce su un monte e la confronta con
quella degli altri, alla fine si riporta via la sua.
All’Antonio ci piaceva parlare, se andava per strada e vedeva uno davanti
aumentava il passo per raggiungerlo e parlarci, se c’era uno dietro rallentava e si
faceva raggiungere.
Ci mancano le sue storie, la domenica all’osteria, la voce forte e ferma anche a 89
anni quando raccontava le barzellette o cantava dei pezzi d’opera.
Diceva: “Il mondo c’è da miliardi di anni e siamo arrivati a esserci anche noi,
siamo qui a prendere un po’ d’aria e poi è meglio andare, anche il paradiso, se sei
obbligato a starci, perde fascino”.
È andato a raccontare storie in un’altra osteria, qualche giorno fa. Non aveva mai
avuto una malattia, qualche volta si lamentava di avere la testa pesante e la Stella
gli dava la sua ricetta infallibile: “mettiti una patata in bocca e poi metti la testa
nel forno: vedrai che quando la patata è cotta ti è passato tutto!” Se n’è andato con
la luna piena quasi nascosta dalle nubi di un temporale, un paio di baffi sorridenti
per la prossima storia.
nuvola scura la faccia della luna
ha messo i baffi
Cascina Macondo
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