Anno XXXIV, n. 3 BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI Dicembre 2016 GRAMSCI E I QUADERNI DEL CARCERE LA QUESTIONE DEL FÜR EWIG ANTONIO CASTRONUOVO Imola N on è raro che una parola gettata su una lettera dia origine a qualche polemica; nemmeno raro è che una sola espressione produca parecchia riflessione. È accaduto anche con Gramsci, ma nel suo caso la riflessione prodotta è stata esorbitante, e non a caso, visto che in ballo è entrata la posizione dell’uomo – figura fondamentale del materialismo storico – nel suo rapporto con la metafisica. In altri termini: la sua posizione rispetto all’ortodossia marxista. Quella che è stata giudicata quasi una svista, se così possiamo chiamarla, si verificò il 19 marzo 1927: Gramsci era stato arrestato a novembre dell’anno precedente e rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli; aveva poi subito un periodo di confino a Ustica e nel febbraio 1927 era stato tradotto nel carcere milanese di San Vittore. L’ingresso nel penitenziario di Turi è del 19 luglio 1928, dopo essere stato condannato per i reati di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile e incitamento all’odio di classe. La lettera appartiene dunque al periodo di San Vittore. Quel giorno, Gramsci scrisse lungamente alla cognata Tatiana Schücht, familiarmente chiamata Tania, e in questa lettera appare, per l’unica volta in cui ciò accade nei suoi scritti, l’espressione incriminata: für ewig. Gramsci descrive a Tania la condizione di uomo capace di pensare e che, in quanto recluso, cerca salvezza nella sola direzione che gli è concessa, la lettura: La mia vita trascorre sempre ugualmente monotona. Anche lo studiare è molto più difficile di quanto non sembrerebbe. Ho ricevuto qualche libro e in verità leggo molto (più di un volume al giorno, oltre i giornali), ma non è a questo che mi riferisco; intendo altro. La frase è preparatoria a un’affermazione di rilievo, quella in cui il politico annuncia per la prima volta (nella forma di studi specifici che intende compiere: la formazione dello spirito pubblico in Italia nel XIX secolo; uno studio di linguistica comparata; uno sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale; uno sul gusto letterario popolare e i romanzi d’appendice) il 199 ANTONIO CASTRONUOVO progetto dei Quaderni del carcere: Sono assillato (è questo fenomeno proprio dei carcerati, penso) da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa “für ewig”, secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto il nostro Pascoli. Insomma, vorrei, secondo un piano prestabilito, occuparmi intensamente e sistematicamente di qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita interiore. Nel prosieguo della lettera, l’espressione appare ancora. Quando spiega il senso del lavoro che vorrebbe compiere sulla formazione dello spirito pubblico in Italia nel XIX secolo, Gramsci argomenta che in altre parole sarebbe [...] una ricerca sugli intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc. Argomento suggestivo in sommo grado, che io naturalmente potrei solo abbozzare nelle grandi linee, data l’assoluta impossibilità di avere a disposizione l’immensa mole di materiale che sarebbe necessaria. Ricordi il rapidissimo e superficialissimo mio scritto sull’Italia meridionale e sulla importanza di B. Croce? Ebbene, vorrei svolgere ampiamente la tesi che avevo allora abbozzato, da un punto di vista “disinteressato”, “für ewig”. Quando poi accenna allo studio di linguistica comparata, commenta: Ma che cosa potrebbe essere più “disinteressato” e für ewig di ciò? Si tratterebbe, naturalmente, di trattare solo la parte metodologica e puramente teorica dell’argomento, che non è stata mai trattata completamente e sistematicamente dal nuovo punto di vista dei neolinguisti contro i neogrammatici1. Apriti cielo. Für ewig – traducibile ‘per sempre’ o ‘per l’eternità’ – è, per la sua innegabile sonorità idealistica e per la sua allusiva piega metafisica, espressione assai perigliosa nell’ambito della concezione marxista della società. Cosa era accaduto a Gramsci? Un lapsus, un momento di disattenzione teorica? Oppure una più rilevante e celata presenza all’interno della propria riflessione di un elemento estraneo e temibile? Fu ben presto necessario, per i commentatori del suo pensiero, correre ai ripari: ne è sorta una questione che 1 A. Gramsci, Lettere dal carcere 1926-1930, a cura di A. A. Santucci, Palermo: Sellerio, 1996, Vol. I, pp. 55-56. 200 LA QUESTIONE DEL FÜR EWIG ha tenuto banco per lungo tempo, e che ancora oggi solleva disagio2. Si corse ai ripari fin dalle prime battute, esattamente a partire dall’edizione einaudiana delle Opere di Antonio Gramsci. Varate nel 1947 con le Lettere dal carcere, il progetto editoriale raggiunse i dodici volumi nel 1971. Il secondo volume, edito nel 1948, raccoglie appunti presi in carcere (dunque un preludio all’edizione critica dei Quaderni del carcere). Tali scritti, annuncia il prefatore, sono “il coronamento di tutte le ricerche condotte da Gramsci negli anni del carcere, la giustificazione teorica, filosofica della impostazione data al problema degli intellettuali e della cultura”, e commenta che “non potrebbero essere compresi e valutati nel loro giusto significato se non si dessero per acquisiti i progressi compiuti dalla concezione marxista nei primi tre decenni di questo secolo, grazie all’attività teorica e pratica di Lenin e di Stalin. Il marxismo di Gramsci è marxismo-leninismo”. Aggiunge infine: Gramsci era un capo, un grande capo della classe operaia e tale rimane anche nella sua attività più specificamente filosofica e culturale, anche quando si propone uno studio disinteressato, für ewig, e questi suoi quaderni del carcere sono un nuovo contributo – e, in sede teorica, il più alto contributo – della classe operaia italiana alla cultura italiana e universale. Anche nel carcere Gramsci ha continuato a far lavorare il suo cervello per questa classe. Per rafforzarla, per farla progredire, per darle nuovi strumenti di lotta e nuove armi. Ciò non significa certo che egli sia venuto meno all’esigenza della obbiettività, della probità e serietà scientifica e della ricerca disinteressata della verità. Egli sentì sempre fortissimamente quest’esigenza3. Il disagio è perdurato nelle edizioni che si sono susseguite delle Lettere dal carcere e dei Quaderni del carcere, finché in quella critica dei Quaderni dell’Istituto Gramsci, uscita nella magnifica collana NUE della Einaudi, il curatore Valentino Gerratana afferma nella lunga prefazione: Questa insistenza sul “für ewig”, sul carattere “disinteressato” della ricerca, dovrà poi provocare in qualcuno non poche perplessità, derivanti 2 Una prima guida alla discussione sul concetto è il lemma für ewig che Eleonora Forenza firma sul Dizionario Gramsciano, 1926-1937, a cura di G. Liguori, P. Voza, Roma: Carocci, 2009, pp. 338-339. Un’attenta ricostruzione della questione, con attraversamento dei passi che affrontano la questione e che in parte riprenderemo, è quella di G. Mastroianni, “Gramsci, il für ewig e la questione dei Quaderni”, Giornale di storia contemporanea, n. 1, 2003, pp. 206-231. 3 A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce [Opere di Antonio Gramsci, 2], Torino: Einaudi, 1948, pp. XVI-XVII. 201 ANTONIO CASTRONUOVO soprattutto dalla propensione ad accreditare una versione pragmatica del marxismo. Un segno di disimpegno politico, una tentazione metafisica? In realtà, rispetto a una interpretazione così semplificante Gramsci si era preventivamente premurato di sottolineare la complessità della concezione goethiana del “für ewig”; ma neanche può sfuggire quel suo richiamo inconsueto a Pascoli, un autore a lui così poco congeniale, se si pensa che proprio in una lirica pascoliana il significato di “per sempre” è legato all’idea della morte. [...] Ma i due canali principali di cui si era servito, prima dell’arresto, per diffondere queste sue convinzioni – la conversazione orale e la parola scritta sul giornale –, si erano ora ostruiti, e non era facile sostituirli. Se per il primo, il canale della conversazione orale [...] poteva sforzarsi di trovare un succedaneo nella scarna corrispondenza che gli era concesso di tenere, per il secondo il problema della trasformazione appariva ancor più complesso e difficile. Bisognava scrivere, non per un pubblico immediato, per raggiungere effetti immediati, su argomenti condizionati da circostanze esterne immediate, ma per lettori ideali presuntivi, senza sapere se e quando essi si sarebbero incarnati in lettori reali. La scelta degli argomenti, e in primo luogo del “piano” della ricerca, doveva essere quindi svincolata dai limiti dell’immediatezza e non poteva che scaturire da uno sforzo di approfondimento teorico di tutta la sua esperienza (dalla centralizzazione della sua vita interiore, secondo l’espressione dello stesso Gramsci)4. Il curatore della citata e più completa edizione delle Lettere dal carcere, Antonio A. Santucci, tenta di spegnere la brace tagliando corto: Nel marzo 1927, a quattro mesi dall’arresto, Gramsci scrive a Tatania Schucht di essere “assillato” dall’idea di far qualcosa für ewig, di applicarsi a un lavoro “disinteressato”, libero dalla contingenza, destinato appunto all’eternità. Per capire a cosa alludesse, non occorre esercitarsi in ipotesi ermeneutiche. Quella lettera famosa contiene il primo progetto dei futuri Quaderni del carcere […]5. * Ora, Gramsci scrive nella lettera a Tania che “bisognerebbe fare qualcosa für ewig, secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto il nostro Pascoli”. Sembra dunque necessario interpretare 4 A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino: Einaudi, 1975, pp. XVI-XVIII. 5 ID., Lettere dal carcere 1926-1930, cit., Vol. I, p. XI. 202 LA QUESTIONE DEL FÜR EWIG l’espressione alla luce di questi nomi. Ma l’analisi non porta a risultati di rilievo. Goethe è scrittore molto frequentato e anche tradotto da Gramsci: parecchie le citazioni nei Quaderni, mentre una esplicita dichiarazione di ammirazione si trova nella lettera alla moglie Iulca (Julija Schücht, sorella di Tania) del 5 settembre 1932. In questo documento Gramsci confessa la stima per Goethe, attuando però una precisa distinzione tra il godimento estetico che uno scrittore può sollevare e l’entusiasmo morale che sorge “dalla compartecipazione al mondo ideologico dell’artista, distinzione che mi pare criticamente giusta e necessaria”6. Solo se un autore – nella fattispecie Goethe ma anche un Dante, uno Shakespeare o un Tolstoj – è capace di far coincidere i due livelli estetico e morale, riesce a produrre ammirazione estetica e condivisione di sostanza ideologica, può diventare per Gramsci un vademecum, un livre de chevet. Tra le tante da lui scritte, Goethe è autore di una lirica intitolata proprio Für ewig. La conosceva Gramsci? Improbabile, e se anche fosse: il testo della poesia può ispirare un po’ di godimento estetico ma non certo quell’entusiasmo morale, quella condivisione ideologica che egli cercava nell’opera letteraria. Per cui è difficile arguire che la lettura di quei versi possa in qualche modo aver suggerito l’uso dell’espressione für ewig; è sufficiente leggerli per capirlo: “Quello che l’uomo nei suoi limiti terrestri / chiama con nomi divini felicità intensa, / l’armonia della fedeltà che non vacilla, / dell’amicizia che ignora l’ansia del dubbio, / la luce che arde solo nei solitari pensieri dei saggi / e solo nelle belle immagini dei poeti – / tutto questo avevo, nelle mie ore migliori, / scoperto in lei e trovato in me”7. La “complessa concezione di Goethe” del concetto di für ewig nasce dunque da altro versante: da quella attualità che deriva allo scrittore tedesco dalla capacità di esprimere il proprio pensiero in nitide forme classiche, mai opache o enigmatiche, e con ciò riuscire a produrre un’opera di solido fondamento, in grado di esprimere la potenzialità sovversiva dell’individualità, “la fiducia nell’attività creatrice dell’uomo, in una natura vista non come nemica e antagonista, ma come una forza da conoscere e dominare”8, forma di pensiero che ha in sé qualcosa che appunto vale für ewig. Non basta: nella lettera a Tania Gramsci aggiunge che la concezione goethiana aveva anche “tormentato molto il nostro Pascoli”. A cosa allude? Anche Pascoli, per singolare casualità, è autore di una lirica che, ricompresa nei Canti di Castelvecchio, è ugualmente intitolata Per sempre!. Gramsci possedeva i Canti nell’edizione Zanichelli del 1914 e proprio leggendo quella lirica sottolinea un’“intima contraddizione”, se non proprio un’interpretazione 6 Ibid., Vol. II, p. 613. Si cita la traduzione di Roberto Fertonani in J. W. Goethe, Tutte le poesie, Milano: A. Mondadori, 1989, Vol. II, p. 957. 8 A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., Quaderno 9, nota 121, p. 1187. 203 7 ANTONIO CASTRONUOVO sbagliata, della concezione dell’ewig9. Ma se leggiamo la lirica – di certo non tra le più belle di Pascoli – la cantilena del verseggiare non offre solidi spunti di riflessione: cantando la fragile eternità dell’amore, il facile cadere delle sue infinite promesse, la poesia termina quando il poeta chiede all’amata se intuisce il senso di ‘per sempre’, al che ella spiega che “Per sempre vuol dire Morire...”. Insomma: i versi pascoliani non ci guidano, come speravamo, alla soluzione dell’enigma gramsciano. Ora, se für ewig allude a una centralizzazione della vita interiore che permetta di occuparsi “intensamente e sistematicamente” di qualche soggetto che assorba le energie intellettuali, il suo significato si amplia nel punto della lettera in cui Gramsci afferma di voler “svolgere ampiamente la tesi che avevo allora abbozzato, da un punto di vista ‘disinteressato’, für ewig”. Dunque l’espressione ha per lui anche il significato di un attributo che si sposa bene con l’azione disinteressata: il modo ‘disinteressato’ è buono per ambire a un risultato che valga ‘per l’eternità’, e può alludere anche all’azione che viene attuata libera da preoccupazioni di natura pratica. Il sostantivo ‘disinteresse’ non va peraltro inteso nell’accezione di ‘indifferenza’: era stato lo stesso Gramsci ad affermarlo quando, nella lettera indirizzata a Iulca il 28 marzo 1932, aveva chiarito che la concezione di azione intellettuale ‘disinteressata’ non equivaleva a “campata nelle nuvole”, ma a “‘interessata’ nel senso non immediato e meccanico della parola”10. Infatti, rifacendosi alla medesima lettera, i curatori di una recente antologia dei Quaderni del carcere commentano: “Disinteresse” non va inteso come “indifferenza” o caduta di tensione. Nelle lettere Gramsci contrappone più volte con decisione quell’appassionato “interesse” che coincide con la ricerca “disinteressata” della verità, all’“errore teorico” o addirittura “metafisico”, consistente nel concepire (secondo le Tesi su Feuerbach) in modo “schmutzig jüdisch”, “sordidamente giudaico”, cioè “troppo ristretto e meccanico”, i concetti di “interesse” e di “utilità”. La ricerca disinteressata della verità coincide, in altre parole, con un interesse inteso in senso non gretto e ristretto, ma proiettato in avanti, universale. La ricerca teorica che non abbia altro scopo che la verità è concepita, in altre parole, come essa stessa una forma di lotta politica. Ne deriva che nel progetto “per l’eternità” non ci sono né rassegnazione estetizzante, né “tentazione metafisica”, ma c’è invece la lucida consapevolezza di 9 Idem, Quaderno 2, nota 51, p. 207. A. Gramsci, Lettere dal carcere 1926-1930, cit., Vol. II, p. 556. 204 10 LA QUESTIONE DEL FÜR EWIG scrivere “per lettori ideali presuntivi, senza sapere se e quando essi si sarebbero incarnati in lettori reali”; consapevolezza che si accompagna a un forte senso etico dell’immanenza, della terrestrità dell’uomo11. Oggi che la struttura del pensiero di Gramsci è ben conosciuta, nessuna possibilità di allusione metafisica è data per l’uso dell’espressione für ewig: è sufficiente ripercorrere per sommi capi quel che Gramsci pensava della metafisica. Molte sono le note dei Quaderni in cui il concetto viene discusso, e in primo luogo quella nota del Quaderno 8, in cui Gramsci afferma che, essendo la metafisica quella formulazione filosofica che pone le proprie categorie “come un universale astratto, fuori del tempo e dello spazio”12, essa implica il dogmatismo. Il concetto di metafisica si pone per lui in stretta relazione con quello di speculazione, teologia, trascendenza e antistoricismo13. E la polemica contro la metafisica assume infine la forma dell’opposizione all’idealismo di Benedetto Croce, metafisico già a causa della propria natura speculativa14. A tutto ciò Gramsci oppone la propria visione della filosofia, che per lui può dirsi tale solo quando è ‘filosofia della prassi’, forma di pensiero rigorosamente correlata con l’organizzazione delle relazioni sociali, cioè a dire con la politica. * L’espressione für ewig svela insomma in Gramsci una complessità di significato che trascende il valore metafisico immediato del detto. Ponendola alla base del progetto di scrittura dei Quaderni sembra proprio alludere, per l’uomo rinchiuso in una cella (e rammentiamo che nell’inciso della lettera a Tania, Gramsci aveva confessato che il suo assillo – realizzare qualcosa che impegni l’intelletto nella situazione carceraria e aiuti non solo a sopravvivere, anche ad evitare la lenta trasfigurazione della personalità – è un “fenomeno proprio dei carcerati”), alla volontà di edificare un progetto solido, alla dimensione di un disegno che avrà la durata della privazione di libertà, e perciò sottende una sorta di resistenza personale in rapporto allo scorrere del tempo. In altre parole: in carcere tutto acquista un significato diverso, specialmente se si medita sui grandi temi dell’esistenza e della società; diventa pertanto fondamentale concentrare le proprie energie intellettuali in un unico progetto, non disperderle in troppi rivoli. Scrivere für ewig diventa insomma in carcere un imperativo categorico. 11 ID., Filosofia e politica. Antologia dei Quaderni del carcere, a cura di F. Consiglio, F. Frosini, Scandicci: La Nuova Italia, 1997, pp. XXI-XXIV. 12 ID., Quaderni del carcere, cit., Quaderno 8, nota 174, p. 1046. 13 Ibid., Quaderno 8, nota 224, p. 1082; nota 235, p. 1088; nota 219, p. 1079. 14 Ibid., Quaderno 10-I, nota 8, p. 1225. 205 ANTONIO CASTRONUOVO Tanto più chiaro se ci si sofferma sul senso della scrittura in Gramsci, che nella sua vita assunse due direzioni assai diverse, in base alla situazione di uomo libero o sottoposto al regime carcerario. Quando scriveva articoli giornalistici, egli si spendeva nella lotta politica quotidiana pungolato dalla polemica del momento, con scritti che, dominati dalla prevalenza degli elementi contingenti, duravano un giorno. In carcere cambiò la prospettiva della sua scrittura, che dovette assumere un peso ben più duraturo, un criterio ponderato e distaccato, für ewig appunto. Che le condizioni imposte dalla detenzione diventino il motivo basilare di un lavoro che abbia stimmate durevoli viene sostenuto anche dai curatori della già citata antologia dei Quaderni: Qui è il punto: senza la necessità di trovare un momento di riscatto e di libertà dall’abbrutimento, senza la forzata inattività politica, non avremmo oggi i Quaderni del carcere, i quali non si esauriscono in questa circostanza, appunto perché non sono semplicemente un fatto reattivo, ma la proclamazione di una libertà. Come per il Machiavelli esiliato in villa, che a notte dialoga in vesti curiali con i grandi uomini e in quello studio perde tutto se stesso (“tucto mi transferisco in loro”), anche per Gramsci l’idea dei Quaderni – cioè di uno studio di largo respiro – si presenta già la prima volta, con un tratto di auto-finalità, di ricerca di “uno scopo superiore, in un risultato perseguito per se stesso”. Ciò accade nella lettera a Tania del 19 marzo 192715. Un’analoga interpretazione dell’uso di für ewig viene anche data da Eleonora Forenza: Non solo, dunque, la necessità, l’assillo di trovare un soggetto che centralizzi la propria vita interiore come forma di resistenza a quel processo molecolare di autodistruzione che può essere indotto dalla routine carceraria. La scrittura diviene anche – appunto “für ewig” – forma di resistenza alla morte [...]. In questo senso i riferimenti letterari, cosi come l’aggettivo “disinteressato”, che nei passaggi successivi Gramsci usa, a “tradurre” quel “per sempre”, in chiave esplicativa del suo “für ewig”, non valgono a suggerire un ripiegamento estetico, e ancor meno un disimpegno, ma al contrario, per Gramsci in carcere, la forma possibile di una presenza, di un intervento, di una funzione nella storia: un piano di studi come piano d’azione, una ricerca svincolata da esigenze immediatistiche come strumento della battaglia egemonica nella guerra di posizione, un dialogo differito, probabilmente 15 Cfr. ID., Filosofia e politica. Antologia dei Quaderni del carcere, cit., pp. XXI-XXIV. 206 LA QUESTIONE DEL FÜR EWIG consegnato alla posterità, in assenza di interlocutori, nell’impossibilità di un dialogo immediato16. Insomma, l’intero progetto delle note che Gramsci si disponeva a prendere – e che avrebbero costituito il complesso corpo della meditazione dei Quaderni del carcere – assunse, col proposito di fare qualcosa für ewig, la coloritura di un rapporto tra pianificazione della scrittura e resistenza intellettuale alla condizione carceraria. L’interpretazione è buona, le inquietudini ortodosse sono pacificate e, forse, si è addirittura trattato di un fuoco di paglia. Tutto sembra risolto sul piano interpretativo. * Se non fosse che lo spirito critico, quando è fondato su una conoscenza profonda e razionale, riesce a svelare lati in ombra, ma pieni di significato. Nel caso di für ewig è stato un ottimo studioso di Gramsci a mescolare le carte in tavola. Giovanni Mastroianni, in prima battuta, ha allargato i confini della questione facendo notare che se l’espressione für ewig appare solo nella lettera a Tania, un deciso riferimento al concetto ricorre in altro punto dell’opera di Gramsci, e con significato ben diverso. In una nota dei Quaderni che tratta di come una rivista debba essere stimolo per tutti, Gramsci termina osservando che se a una certa rivista giungono critiche molteplici ciò è segno che la linea editoriale è buona; se invece il motivo della critica è uno solo allora è necessario interrogarsi se per caso non sussista una deficienza reale o un errore valutativo sulla media dei lettori, avendo in tal modo lavorato a vuoto, cioè ‘per l’eternità’17. Al che Mastroianni conclude: “‘Far qualcosa für ewig’ vuol dire non ‘avere di mira’ nessuno e non ‘riferirsi’ a nessuno: ‘lavorare a vuoto‘”18, ampliando nettamente lo spazio interpretativo finora descritto. Ma interessano di più le sue conclusioni: se l’espressione appare nella lettera a Tania del 19 marzo 1927 e non più negli stessi termini, è assai arduo edificare una teoria su una sola occorrenza. Anche alla luce di quel che Gramsci scrive alla stessa Tania soltanto due mesi dopo, il 23 maggio 1927, quando si pone di nuovo il problema degli studi che aveva dichiarato di voler affrontare: Un vero e proprio studio credo che mi sia impossibile, per tante ragioni, non solo psicologiche, ma anche tecniche; mi è molto difficile abbandonarmi completamente a un argomento o a una materia e 16 E. Forenza, für ewig, in Dizionario Gramsciano, 1926-1937, cit., p. 338. A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., Quaderno 8, nota 57, pp. 975-976. 18 G. Mastroianni, “Gramsci, il für ewig e la questione dei Quaderni”, cit., p. 228. 207 17 ANTONIO CASTRONUOVO sprofondarmi solo in essa, proprio come si fa quando si studia sul serio, in modo da cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli armonicamente. Qualche cosa in tal senso forse incomincia ad avvenire per lo studio delle lingue, che cerco di fare sistematicamente, cioè non trascurando nessun elemento grammaticale, come non avevo mai fatto sinora, poiché mi ero accontentato di sapere quanto bastava per parlare e specialmente per leggere. [...] Sono proprio deciso a fare dello studio delle lingue la mia occupazione predominante […]19. Commenta giustamente Mastroianni che, scrivendo alla stessa persona, Gramsci confessava ancora di volersi “abbandonare completamente” e “sprofondarsi”, e tuttavia, “se non si serviva della parola d’ordine dell’‘eternità’, vuol dire che la chiave del discorso era cambiata. ‘Studiare sul serio’ significava infatti ‘cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli armonicamente’”20. In poche settimane la prospettiva intellettuale era cambiata: “I Quaderni del carcere non nacquero dall’‘assillo carcerario’ [...], ma dal suo superamento”21. Il lavoro che in una certa disposizione di spirito doveva essere für ewig, avrebbe cominciato a prendere forma due anni dopo, quando nel febbraio del 1929 il detenuto ottenne finalmente nel carcere di Turi l’occorrente per scrivere. E prese a grandi linee la forma di quei sedici temi che aprono il primo dei Quaderni del carcere. La spinta für ewig non era più necessaria: si trattava di affrontare quei soggetti di studio, “cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli armonicamente”. Gramsci assunse una regola: tutti i giorni, per alcune ore, camminò avanti e indietro per la cella riflettendo su cosa e come scrivere, per poi fermarsi al tavolino e stilare frasi già ben corrette. Se infine qualcosa für ewig ottenne da tutto ciò, oggi lo sappiamo: la solida durevolezza della sua opera. __________ 19 A. Gramsci, Lettere dal carcere 1926-1930, cit., Vol. I, p. 87. G. Mastroianni, “Gramsci, il für ewig e la questione dei Quaderni”, cit., p. 228. 21 Ibidem. 208 20 LA QUESTIONE DEL FÜR EWIG BIBLIOGRAFIA Dizionario Gramsciano, 1926-1937, a cura di G. Liguori, P. Voza, Roma: Carocci, 2009. Goethe, J. W. Tutte le poesie, edizione diretta da R. Fertonani con la collaborazione di E. Ganni, premessa di R. Fertonani, Milano: A. Mondadori, 1989. Gramsci, A. Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino: Einaudi, 1948. _____. Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino: Einaudi, 1975. _____. Lettere dal carcere 1926-1930, a cura di A. A. Santucci, Palermo: Sellerio, 1996. _____. Filosofia e politica. Antologia dei Quaderni del carcere, a cura di F. Consiglio, F. Frosini, Scandicci: La Nuova Italia, 1997. Mastroianni, G. “Gramsci, il für ewig e la questione dei Quaderni”, Giornale di storia contemporanea, n. 1, 2003, pp. 206-231. 209