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ORGANIZZAZIONI PROMOTRICI E SPONSORS
MANUALE OERATIVO RISERVATO A INVESTIGATORI E OPERATORI FORENSI DELLE ASSOCIAZIONI PROMOTRICI DELL’OPERA.
Elaborato e diffuso dal Centro Studi CrimeCafé, Roma – agosto 2014 Eventuale ricavato dalla vendita dell’opera viene destinato al finanziamento delle equipe di volontari che si occupano di stalking.
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a cura di
MARCO STRANO e
GIOVANNA BELLINI
VIOLENZA inFINITA
Strategie investigative e di prevenzione di
STALKING, VIOLENZA, FEMMINICIDIO
MANUALE PER INVESTIGATORI E OPERATORI FORENSI
CON I CONTRIBUTI DI:
Marco Strano, Giovanna Bellini, Chiara Badalamenti,
Marianna Chessa, Francesco Caccetta, Sabrina Costantini,
Concetta Gugliotta, Maria Teresa Cotroneo, Enrico Maria Troisi,
Lavinia Rossi, Gaetano Lauro Grotto.
2014
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Il Centro Studi per la Legalità, la Sicurezza e la Giustizia “crimecafé” ha
una sezione specializzata (l'equipe antistalking) che offre, gratuitamente,
dei consigli legali e psico-comportamentali a persone vittime di
persecuzioni e violenza.
Parallelamente, sempre in forma gratuita, il Centro eroga corsi di
formazione a professionisti e volontari che intendono operare, in questo
ambito, nel settore no-profit.
L’esigenza di un Manuale operativo che contenga linee guida per
l’intervento in caso di stalking nasce dalla suddetta esperienza.
L’opera raccoglie contributi di esperti che a vario titolo si occupano della
violenza sulle donne ed è divisa in due parti: nella prima viene descritto il
fenomeno dello stalking, nella seconda parte vengono proposte le
strategie di intervento investigativo, legale e clinico.
Per una precisa scelta dei curatori e degli Autori, anche al fine di evitare
ogni forma di commercio speculando sulla questione della violenza sulle
donne, il libro viene distribuito gratuitamente, in forma elettronica, agli
operatori del settore.
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INDICE
Introduzione (di Marco Strano)
1. Psico-criminologia dello stalking (di Marco Strano)
2. Lo stalking nella relazione di coppia (di Marianna Chessa)
3. Gaslighting (di Francesco Caccetta)
4. Stalking e Cyberstalking: elementi comuni e differenze (di Maria Teresa
Cotroneo)
5. Lo stalking delle celebrità (di Marco Strano)
6. Stalking: il ruolo delle forze di polizia (di Francesco Caccetta)
7. Stalking: una guideline di intervento forense (di Marco Strano)
8. Strategie di intervento nei casi di stalking subito dalle figure professionali di
aiuto (di Marco Strano)
9. Lo stalking nelle professioni d’aiuto: una ricerca esplorativa (di Chiara
Badalamenti)
10.Psicopatologia e stalking (di Giovanna Bellini)
11.Vittimologia e relazione vittima-carnefice (di Enrico Maria Troisi)
12.False victimization syndrome, disturbo istrionico di personalità, querulomania:
quando la vittima è il carnefice (di Lavinia Rossi)
13.La prevenzione dello stalking attraverso la collaborazione tra legali e psicologi
(di Gaetano Lauro Grotto)
14.L’esperienza dello Sportello Antistalking di Pisa: l’osservazione in un anno di
attività. (di Sabrina Costantini)
15.Aspetti normativi del reato di stalking (di Concetta Gugliotta)
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INTRODUZIONE
di Marco Strano
Il “business” delle donne maltrattate
In questi anni ho avuto modo di assistere donne (e anche alcuni uomini)
che stavano subendo stalking e altre forme di violenza e alcune di loro ci
hanno raccontato di essere in precedenza già "incappate" prima di
rivolgersi a noi, in diverse associazioni in difesa della donna. Alcune molto
serie e piene di volenterosa solidarietà, altre (fortunatamente una piccola
percentuale) a mio avviso più interessate al prestigio e al lucro che
all'erogazione di una reale assistenza a persone in difficoltà. Non so se si
tratta di una casualità ma molto spesso le associazioni che nei racconti
delle donne vengono descritte come più accoglienti e utili sono quelle con
minori risorse economiche, senza finanziamenti pubblici e privati e dove
le volontarie offrono quello che hanno per aiutare la gente. Mi riferisco a
molte organizzazioni antiviolenza con cui a volte collaboro, dove i
responsabili arrivano addirittura ad ospitare a casa loro le donne che
fuggono dalla violenza domestica, dove le volontarie non prendono alcun
rimborso e dove la sede dell'associazione viene pagata di tasca propria
dai suoi soci, oppure è addirittura a casa di uno dei soci.
Il ruolo fondamentale delle associazioni in difesa della donna
Sulla tematica stalking e violenze sulle donne occorre riconoscere
purtroppo una certa inerzia istituzionale legata in parte alla scarse risorse
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destinate alle forze di polizia che hanno attualmente serie difficoltà ad
offrire un servizio di ascolto del cittadino che vada al di la della mera
ricezione delle denunce. Va da se che in casi intricati e psicologicamente
complessi, quali appunto quelli che riguardano la violenza sulle donne,
spesso gli uffici di polizia a volte vanno un pò in affanno. In quest'ottica
l'azione delle associazioni di volontariato (serie e preparate) appare
utilissima, sia nella fase dell'accoglienza che nella fase di assistenza nella
preparazione di eventuali interventi legali. Sappiamo che molte donne
hanno ad esempio un comportamento altalenante, sono intimidite (e
spesso hanno anche infondati sensi di colpa), e sono combattute dalla
scelta se continuare a “prendere le botte” o se affrontare un periodo di
difficoltà nell'auto-sostentamento loro e dei loro figli. Insomma una
situazione dove l'aiuto di persone disposte ad accogliere e a supportare
psicologicamente appare utilissima. Che poi coloro che svolgono questa
azione di assistenza nei confronti delle donne debbano essere sempre e
necessariamente altre donne permettetemi di avanzare dei dubbi. A mio
avviso, gli uomini che riescono a prendere consapevolezza della
prepotenza del loro genere nei confronti delle donne avvertono un certo
imbarazzo di fondo e questo può essere una spinta verso un
atteggiamento di particolare accoglienza. Ricerche condotte in Olanda già
all’inizio degli anni 80’ supportano questa mia considerazione.
Volontariato non deve voler dire scarsa professionalità
Il volontariato in questo delicato settore, che viene offerto a "materiale
umano" (e oltretutto in situazione di difficoltà), anche se non prevede un
corrispettivo per gli operatori, deve essere svolto con la massima
professionalità per non incrementare i rischi di una "vittimizzazione
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secondaria" che vuol dire in pratica fare ancora più danni. Per evitare ciò,
ad esempio, sarebbe opportuno che ogni associazione che si occupa di
violenza sulle donne e stalking, avesse in organico almeno uno Psicologo
con almeno 4-5 anni di esperienza che avesse un ruolo attivo in tutti i
primi colloqui (essendo presente) e che poi seguisse con la sua
supervisione l'attività di eventuali volontari non-psicologi. E il curriculum
in pdf del professionista, in formato europeo, (con indicato il numero
delle ore dei corsi frequentati e firmato) dovrebbe essere disponibile e
liberamente consultabile sul sito web dell'associazione. Questa è una mia
opinione personale che potrebbe essere supportata anche dall'Università
attraverso l'invio di giovani psicologi a svolgere il loro tirocinio presso
associazioni meritorie. A tal proposito è importante ricordare che per
svolgere il tirocinio i giovani psicologi devono essere seguiti da un tutor
(Psicologo con almeno 5 anni di iscrizione all'Albo e già operante in modo
stabile nella struttura ospitante).
Volontariato non vuol dire uno spazio per reperire clienti a pagamento
Sempre dal racconto di alcune donne che si sono rivolte alla nostra
equipe di ascolto, è emersa l'abitudine di alcuni professionisti di operare
saltuariamente (raramente) in associazioni no-profit (anche molto
blasonate) per poi incontrare (esternamente alla struttura) le vittime di
violenza che si rivolgono alla struttura di volontariato e offrire loro delle
attività di consulenza psicologica o legale (spesso una perizia nel
processo) facendosi pagare profumatamente migliaia di euro. Secondo il
mio modesto avviso, questo comportamento, che dovrebbe essere in
qualche modo vietato per legge (e duramente sanzionato dagli Ordini
professionali), è qualcosa di veramente disgustoso, una sorta di
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sciacallaggio sulle donne in difficoltà che però sembra essere abbastanza
diffuso.
Volontariato sociale o azienda mascherata?
In questi anni ho avuto modo di conoscere associazioni che aiutano
veramente le donne e lo fanno con risorse economiche pressoché
inesistenti. Collaboro con alcune di loro offrendo consulenza psicologica e
criminologica gratuita per i casi che mi sottopongono. Associazioni che
hanno dei conti correnti in banca con poche centinaia di euro ma che
grazie alla buona volontà delle loro associate riescono ad offrire un
contributo fattivo alle donne che chiedono loro aiuto. Lo fanno con il
cuore. Non chiedono neanche di avere rimborsi spese per la benzina. Ho
visto le volontarie di queste associazioni ospitare nella loro casa delle
donne costrette a fuggire da uomini violenti. Ma è sempre così? Qualche
tempo fa espressi pubblicamente l'opinione che le associazioni di
volontariato dovrebbero rendere pubblico su internet il loro bilancio
anche per i non soci. Soprattutto se tali associazioni ottengono
finanziamenti pubblici o da parte di fondazioni e aziende. L'associazione
“crimecafé” a cui appartengo, con circa 2000 euro in banca e più di 6000
soci già lo fa da circa 10 anni. Ma con queste cifre in ballo i conti sono
assai facili. Alcuni centri anti violenza e associazioni con moltissime
volontarie che conosco personalmente hanno situazioni anche peggiori,
con la sede sociale presso l'abitazione del Presidente e serie difficoltà
quotidiane per andare avanti. E immagino non avrebbero difficoltà a
rendere pubblico il loro bilancio. Occuperebbe a mala pena un paio di
righe di testo sul loro sito. Ma non è così per tutte. Le donne che si
rivolgono a un'associazione di tutela devono subito denunciare colui che
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agisce violenza nei loro confronti? Che le donne maltrattate abbiano
riluttanza a sporgere denuncia è una cosa oramai ampiamente
dimostrata. Il numero oscuro (il sommerso) in questo genere di reato è
elevatissimo e una delle funzioni primarie delle associazioni di difesa delle
donne è proprio quella di convincere le vittime a pubblicizzare la violenza
subita attraverso una denuncia, unica strada civile per uscire dal loop
della violenza. Indurre una donna a sporgere denuncia è però a mio
avviso una cosa che necessita di grande responsabilità e competenza
giuridica. Una denuncia infatti comporta poi un processo penale dove i
giudici valutano le prove e non la solidarietà e la buona volontà. Se le
prove non ci sono la vittima subisce un ulteriore danno e solitamente si
prende una contro-denuncia per calunnia (e se ritorna a casa anche
ulteriori violenze). Ritengo pertanto che uno dei ruoli importanti delle
associazioni di tutela della donna sia viceversa quello di convincere la
vittima a ritardare (un pochino) la presentazione della denuncia e nel
frattempo insegnarle ad acquisire più prove possibili che reggano poi al
dibattimento in aula. Questa cosa che può apparire per certi versi cinica e
per altri scontata, in realtà non lo è. Molte volontarie di associazioni in
difesa della donna sembrano interpretare il giusto motto "se subisci una
violenza, denuncia" con una maledetta fretta. Recentemente mi sono
occupato di un caso di stupro ai danni di una minorenne dove
fortunatamente la vittima ha avuto la prontezza di spirito di fotografarsi
con il telefonino alcuni lividi ed escoriazioni scaturite dalla violenza.
Questa prova, probabilmente, sarà l'unica cosa che consentirà a questa
giovane vittima di ottenere giustizia. Voglio dire che un racconto di
violenze subite rimane un racconto (fatto di parole) e se il racconto non è
supportato da prove rimarrà probabilmente solo un racconto. Stessa cosa
per lo stalking. Conservare mail ed sms (che spesso la vittima cancella per
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rabbia dal proprio telefono) è un elemento fondamentale per poter
dimostrare la persecuzione subita. Riuscire a videoregistrare (con
strumenti elettronici che oramai si trovano a poche decine di euro) la
violenza psicologica subita o la presenza del molestatore sotto casa sono
degli elementi fondamentali per convincere il Pubblico Ministero ad
attivare un ipotetico processo. E queste sono le strategie che insegno nei
corsi gratuiti per volontari e che a mio avviso non sono una competenza
esclusivamente "sbirresca" come qualcuno mi ha contestato ma rientrano
a tutti gli effetti nelle famose “indagini difensive" introdotte in Italia da
anni (ma pochissimo praticate) nel nuovo processo penale.
Quando la tutela della donna diviene una battaglia tra i sessi
Una ultima considerazione sul problema della tutela della donna riguarda
l'elevato numero di false denunce utilizzate come strategia nelle cause di
separazione conflittuali. Le donne che segnalano situazioni di stalking o di
violenza domestica inesistenti, come strategia per ottenere l'affidamento
dei figli o come "vantaggio" da mettere sul piatto della bilancia nella
richiesta di alimenti, gettano un'ombra sulla credibilità di tutte coloro (la
maggioranza) che invece la violenza l'hanno subita davvero e
contribuiscono a generare nei giudici quella diffidenza responsabile a mio
avviso della maggior parte delle archiviazioni dei procedimenti per
violenza domestica e stalking. Come possa una donna sfruttare una simile
piaga sociale per vantaggi personali è una cosa che si fa difficoltà a
comprendere. Resta il fatto che anche le associazioni che tutelano le
donne (quelle serie) sono costrette ad attivare una sorta di “filtro”
quando ricevono una nuova segnalazione, per capire se la presunta
vittima in realtà sta cercando di strumentalizzarle.
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PSICO-CRIMINOLOGIA DELLO STALKING
di Marco Strano
Il numero oscuro rappresenta il numero di reati consumati ma non
denunciati. La letteratura scientifica riferisce che nello stalking è molto
elevato. Solo una parte delle molestie assillanti viene infatti pubblicizzata
da chi le subisce. Moltissime delle persone che ci circondano hanno avuto
probabilmente nella loro vita qualcuno che non ha “digerito” la
separazione e che ha tentato di riavvicinarsi, a volte anche in maniera
insistente, molesta e sgradita. Ovviamente solo in un numero ridotto di
casi questi comportamenti sono stati percepiti come stalking. Su tale
fenomeno permane comunque una notevole confusione. In primo luogo
sul genere degli stalker e delle vittime. Nella maggior parte degli articoli
divulgativi sul fenomeno stalking, e purtroppo anche su diversi articoli
scientifici, si tende ad esempio a connotare lo stalker sempre come
maschio e la vittima sempre come femmina. In realtà, coloro che
possiedono anche solo un’infarinatura di cultura criminologica e in genere
sulle Scienze Sociali dovrebbero affermare che lo stalker “si manifesta
statisticamente maggiormente come uomo” e la vittima “si manifesta
statisticamente maggiormente come donna”. La cosa è ben diversa. La
riluttanza a pubblicizzare il fatto da parte dei soggetti maschi attraverso
una denuncia, o la diversa interpretazione/significazione di un
comportamento (più o meno molesto) è ovviamente soggettiva e legata
alla cultura di “genere”. E’ notorio che i maschi vengono educati con
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principi culturali diversi rispetto alle femmine e se si trovano una ex
fidanzata sotto casa non fanno denuncia ma spesso si vantano del fatto
con gli amici al bar. Certamente, se l’azione di stalking si manifesta in
presenza della nuova compagna magari si vantano un pò meno e magari
attivano una delle poche azioni legali che si registrano promosse da
vittime di sesso maschile. I sociologi chiamano tutto questo “errore
sistematico” che a un famoso non eletto Presidente degli Stati Uniti costò
molto caro avendo fatto un sondaggio elettorale sugli elenchi telefonici e
lasciando quindi fuori dalla sua valutazione tutti i poveri, senza telefono,
che poi hanno votato per l’altro candidato. Diversi modelli culturali
influiscono quindi sul livello di emersione di un fenomeno all’interno di
generi diversi. E’ la ben conosciuta teoria di Sutherland del numero
oscuro in Criminologia ma altre Scienze sociali hanno costruito
teorizzazioni simili. Da Psicologo e da ricercatore sociale ritengo che lo
stalking sia in gran parte legato alla difficoltà di rielaborazione del lutto e
alla bassa autostima e se tale difficoltà è equi-distribuita tra maschi e
femmine, evidentemente le vittime e gli autori di stalking potrebbero
essere in percentuale del 50% tra maschi e femmine. Ma certamente le
statistiche giudiziarie che riportano solo i reati scoperti (denunciati) e
oggetto di procedimento penale non potranno mai darci una risposta. Un
questionario anonimo in corso di distribuzione dalla mia equipe a un
campione randomizzato di popolazione (internazionale) forse potrebbe
darci interessanti sorprese in merito verso la fine del 2014. E in definitiva
bisognerebbe chiedersi: perché gli uomini dovrebbero essere più inclini
delle donne alle molestie assillanti e a non digerire l’abbandono? E’ un
problema culturale?, biologico?, personologico?, affettivo?, emotivo? Le
donne sono forse più fredde e anaffettive e tollerano maggiormente
l’abbandono? Oppure reagiscono in maniera diversa? Probabilmente a
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rendere maggiormente persecutori i maschi è la presenza di una
sciagurata cultura che inculca loro, fin da piccoli, che la donna è una sorta
di proprietà privata (e non una compagna di vita) e l’abbandono può
rappresentare in quest’ottica una ferita narcisistica di più difficile
guarigione. Ma da qui a dire che le istanze persecutorie siano solo ed
esclusivamente maschili a mio avviso si rischia di commettere un grave
errore. Come già ho sottolineato, un altro elemento di confusione è
generato spesso dal mettere sempre in correlazione le violenze
domestiche (fisiche) e lo stalking: il rischio di una confusione semantica,
epistemologica, investigativa e clinica è assai frequente. Aiutare le donne
a trovare il coraggio di denunciare le violenze subite è una cosa utile e
meritoria. Questo è quello che fanno (o che dovrebbero fare) le
Associazioni di volontariato che operano in questo ambito,
rappresentando un’interfaccia tra le vittime e le forze di polizia. Associare
in modo lineare però la violenza (fisica) sulle donne al fenomeno stalking
è a mio avviso pericolosissimo. La categorizzazione semantica,
epistemologica, clinica e recentemente giuridica, dello stalking serve
proprio a definire una categoria interpretativa nuova che quella della
violenza fisica (già normata da molto tempo) non riusciva a considerare
efficacemente. Se associamo lo stalking alla violenza fisica rischiamo di
ingenerare in coloro che dovrebbero rilevare i casi (i poliziotti)
l’aspettativa di trovarsi sempre di fronte dei segni “tangibili” dello stalking
sui corpi delle vittime (lesioni, referti medici ecc.). E questo non è
assolutamente corretto. Lo stalking “vero” (tipico) è il tentativo di
rientrare nella vita di una persona in modo sistematico ma spesso senza
azioni eclatanti di violenza fisica. E’ il tentativo di costringere la vittima a
osservarlo/a attraverso presenze più o meno palesi, è il tentativo di fare
in modo di entrare nei pensieri della vittima, di far in modo che la vittima
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pensi a lui o a lei. I comportamenti aggressivi/distruttivi, quelli finalizzati a
far soffrire la vittima rappresentano tutto sommato forme di stalking
“atipiche” e se pur a volte presenti non costituiscono il focus psicologico
di tutti i comportamenti di stalking. Una persona gretta e violenta per
colpire un ex partner può agire comportamenti aggressivi diretti, una
persona intelligente e pianificatrice può agire comportamenti non violenti
e più sottili. Insomma, un uomo violento è sicuramente uno stalker? Uno
stalker è sicuramente un uomo violento? Lo stalker è sicuramente un
uomo? Ritengo che la risposta a queste domande debba essere
supportata da una seria e articolata ricerca scientifica. Resta il fatto che
chi si occupa di violenze normalmente ha a che fare con vittime donne
perché gli uomini sono fisicamente più robusti e tendono a sfruttare
questo vantaggio. Le donne evitano di tentare di picchiare gli uomini
perché altrimenti spesso soccomberebbero. Insomma le donne
“prendono più botte” in famiglia o dal partner rispetto agli uomini. Le
donne però attuano maggiormente comportamenti violenti di tipo
verbale, compatibili con le loro risorse. Gli uomini che vengono picchiati
dalle donne infine, normalmente si vergognano ad ammetterlo e non lo
raccontano. Queste “banalità” e semplificazioni di questioni assai
complesse rappresentano però delle verità difficilmente negabili e su cui
probabilmente è necessaria un’attenta riflessione. E da queste riflessioni
pongo un altro interrogativo. Le organizzazioni di volontariato e le
strategie da loro attuate per prevenire e per reprimere le forme di
violenza tradizionale sulle vittime sono forse inadatte per prevenire e
combattere lo stalking? In altre parole, coloro che da anni operano nel
settore della prevenzione e della repressione delle violenze fisiche forse
sono impreparati per affrontare il problema stalking, molto più subdolo e
permeato di dimensioni psicologiche? E poi ci sono le guerre “di genere”,
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maschi contro femmine e femmine contro maschi, che si sperava fossero
sopite alla fine degli anni 70’ e che stanno invece ritrovando nuova linfa,
alimentate da gruppi e associazioni varie e forse anche criticizzate da
norme che consentono un ampio spazio di interpretazione.
Personalmente credo che la guerra tra maschi e femmine debba
definitivamente finire perché in questo pianeta abbiamo problemi molto
gravi da affrontare (fame, pandemie, guerre etniche) che entro pochi
decenni ci potrebbero portare in una condizione difficile per tutti e che
l’azione culturale e politica dovrebbe tendere a riunire e non a dividere.
Stalking come malattia mentale?
Stiamo assistendo a mio avvviso a una clinicizzazione esasperata del
problema stalking. Non c’è tesi di laurea in area medica o psicologica che
non contenga una parte predominante nell’elaborato dedicata alla
psicopatologia dello stalker. Non c’è letteratura scientifica recente in cui
lo stalking non è correlato a disturbi di personalità gravi. Mi aspetto una
specifica categorizzazione su uno dei prossimi DSM (Manuali Diagnostici
dei Disturbi Mentali) della “sindrome dell’ex partner molestatore
assillante”. Questa clinicizzazione è forse eccessiva. Se riteniamo che un
substrato caratteriale (e non personologico) possa favorire in alcuni
soggetti comportamenti di stalking come una sorta di esacerbazione del
sintomo in condizioni in cui un fattore stressor (la separazione non
gradita) si manifesta, potrei anche essere d’accordo. Certamente due
partner che (entrambi) non vedevano l’ora di togliersi dai piedi l’altra
parte della diade, scomoda e sgradita, non attueranno comportamenti
tendenti a un recupero forzato. Ma se per stalking consideriamo una fase
temporalmente ridotta (qualche mese) in cui uno dei due ex partner, che
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è ancora affettivamente legato, tenta di convincere l’altro a ricominciare
la storia, anche attraverso comportamenti goffi e intrusivi, sinceramente
sono un pò perplesso riguardo alla reale influenza dei piani caratteriali.
Ma quindi il problema è: dove finisce il comportamento passionale o le
cosiddette “pene d’amore” e dove inizia lo stalking? Quante volte un/una
fidanzato/a lasciato/a deve farsi trovare sotto il balcone del/della ex per
essere definito uno/a stalker e quanti sms deve inviargli? due? cinque?
quaranta? E se attua questi comportamenti, è sicuramente un/una
malato/a di mente? Alcune recenti sentenze in effetti hanno generato
notevoli perplessità, sia rispetto a un eccessivo rigore su comportamenti
poco gravi che rispetto a una insufficiente tutela della vittima da
comportamenti obiettivamente persecutori. In questa fase storica stiamo
assistendo inoltre a una forte normazione del fenomeno stalking. Cresce
l’area dei comportamenti “definiti assillanti” che viene vietata con una
norma. Ma l’area interpretativa è stata mantenuta ovviamente assai
estesa. Non si tratta di violenze fisiche, di percosse o di altre cose che
lasciano segni tangibili. Si tratta di comportamenti “percepiti” come
assillanti. Ma allora mi viene un altro dubbio. Se siamo tutti d’accordo che
lo stalker è un malato di mente allora bisognerebbe ricordare che la
malattia mentale non si tratta efficacemente con una norma penale. Se
abbiamo a che fare con comportamenti di squilibrati la soluzione è il
trattamento psicologico, preventivo e clinico, non il carcere o un
“ammonimento”. Oppure la patata bollente viene passata ai giudici che
devono discriminare in base alla capacità di intendere e di volere del
soggetto? Ma se agli/alle stalker, a parte qualche caso di soggetto
psicotico con deliri, viene normalmente attribuito al massimo un disturbo
in asse II (di personalità) che (in giurisprudenza consolidata) non incide
sulla capacità di intendere e di volere, allora siamo coscienti che anche se
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abbiamo a che fare con dei soggetti disturbati il loro quadro clinico non
può ingerire sulla valutazione del Giudice? E infine, che efficacia può
avere “l’ammonimento del Questore” su un soggetto simile a quello che
“stalkizzava” Jodie Foster e che in pieno delirio psicotico ha sparato al
Presidente degli Stati Uniti (Regan) per attirare su di se l’attenzione della
distratta Jodie? Insomma, al di la delle ipocrisie mediatiche nei talk show
forse sarebbe il caso di interrogarci se sul fenomeno stalking stiamo
prendendo la strada giusta e se stiamo costruendo gli strumenti giuridici
realmente efficaci per risolvere il problema. La conclusione di questo
contributo introduttivo, fatto più di interrogativi che di soluzioni, è legata
alle strategie possibili per incidere sul problema in maniera etica ed
efficace. In tal senso la soluzione deve venire necessariamente dalla
Legge e dalla Psicologia, difficilmente da una delle due sfere di intervento
disgiunta dall’altra. E forse questa sinergia tra saperi diversi, giuridici e
psicologici, dovrebbe animare anche le possibili modifiche normative che
probabilmente, dopo questa prima fase esperenziale di applicazione della
legge sullo stalking, dovranno necessariamente giungere.
lo stalking: un fenomeno antico
Nonostante il clamore mediatico degli ultimi anni, lo stalking è un
fenomeno antico. I Criminologi conoscono infatti oramai da tempo il
fenomeno del “molestatore assillante”. Già nei primi del ‘900 infatti, lo
Psichiatra de Clérambault aveva descritto una tipologia di soggetti con
disturbi mentali che assediavano le loro prede con finalità sessuali,
incuranti del loro diniego, in un quadro di vero e proprio delirio di
passione erotica e di gelosia. Più di recente, nel mondo anglosassone a
seguito di fatti di sangue eclatanti eseguiti da squilibrati soprattutto ai
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danni di attrici e divi dello spettacolo il fenomeno ha trovato nuove
attenzioni anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori ed è stato
ridefinito con il termine stalking, preso in prestito dal mondo dei
cacciatori (letteralmente to stalk: fare la posta). Galeazzi e Curci (2001)
del Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale dell’Università di
Modena hanno coniato il termine di “molestatore assillante” e
propongono 13 anni fa la seguente definizione: “..un insieme di
comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca
di contatto e comunicazione nei confronti di una vittima che risulta
infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non
graditi..”. In Italia esiste ora una normativa specifica per lo stalking che
però è ancora in fase evolutiva. Il comportamento di stalking presenta
comunque numerose sfaccettature e solo in alcuni casi è ascrivibile ad un
conclamato disturbo psichiatrico con manifestazioni deliranti o con
anomalie patologiche della personalità. Nella prevalenza dei casi si
rilevano infatti motivazioni razionali attinenti ad un desiderio di vendetta
o all’incapacità di digerire ed elaborare cognitivamente l’abbandono di un
partner o di un’altra figura significativa a cui lo stalker è legato (es. uno
psicoterapeuta). Gli strumenti tradizionali degli stalker sono
primariamente il telefono e la presenza fisica incombente nei luoghi
frequentati dalla vittima. Sono stati descritte però anche tecniche diverse
come i danneggiamenti a cose di proprietà della vittima o l’uccisione dei
suoi animali domestici.
Una tipologia di stalkers
Alla luce delle ricerche più recenti, sviluppate in prevalenza nel mondo
scientifico statunitense, è possibile sintetizzare una tipologia semplificata
di persecutori:
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A. soggetti che non riescono ad accettare l’abbandono del partner o di
altre figure significative e attuano una vera e propria persecuzione nel
tentativo maldestro di ristabilire il rapporto o semplicemente vendicarsi
dei torti subiti nel corso del distacco (la maggior parte dei casi). Sono i
molestatori statisticamente più pericolosi per quanto riguarda la
possibilità che lo stalking degeneri in atti di violenza fisica nei confronti
della vittima;
B. soggetti che sfogano attraverso lo stalking un rancore dovuto a cause
molteplici nei confronti di una persona con cui sono entrati in conflitto, al
di fuori di un rapporto affettivo. Tipico il caso dell’ex collega di lavoro
“che si è comportato male con lui” o del professionista (es. un medico)
che gli ha provocato un danno giudicato grave. Normalmente questi
stalker presentano in livello di pericolosità contenuta per ipotesi di
violenza fisica, rappresentata e annunciata attraverso le molestie e gli
insulti ma difficilmente agita;
C. molestatori sessuali abituali o conquistatori maldestri, che individuano
l’oggetto del loro desiderio nella vittima (anche sconosciuta) ed
effettuano una serie di tentativi di approccio incapaci o incuranti dei
segnali di fastidio da parte della vittima. I soggetti appartenenti a questa
categoria talvolta presentano modalità compulsive o possono giungere a
vere e proprie forme di delirio. Per ciò che attiene agli indici di
pericolosità i molestatori sessuali abituali possono divenire potenziali
stupratori mentre la categoria dei cosiddetti conquistatori maldestri
normalmente è pressoché innocua.
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Talvolta si rilevano soggetti che possono essere inseriti parzialmente in
più di una delle tre categorie. Statisticamente, nella maggior parte dei casi
di stalking, la vittima è di sesso femminile ed esiste una relazione
pregressa tra vittima e molestatore. Sulla dimensione statistica del
fenomeno è importante però sottolineare la riluttanza dei maschi a
evidenziare il problema, probabilmente per vergogna. Le molestie
assumono solitamente il carattere di “ondate” o “campagne di stalking”,
di durata variabile da pochi giorni a diversi anni. Normalmente le ondate
durano diversi mesi se non vengono interrotte da un elemento esterno
alla relazione (es. la denuncia da parte della vittima). La consapevolezza
del fenomeno ad “ondate” è importante per non abbassare la guardia
anche quando dopo numerosi mesi di “silenzio” lo stalker sembra sparito.
In realtà l’azione persecutoria può riattivarsi anche a distanza di molto
tempo. Questa considerazione ha rilevanza sia in ottica investigativa che
in ottica clinica. Talvolta poi il comportamento della vittima “rinforza”
involontariamente l’azione dello stalker che può ad esempio equivocare
un tentativo di convincimento a interrompere le molestie fatto con tono
civile e cortese come una implicita accettazione della persecuzione. Altre
volte, specie negli stalker animati da rancore, sono viceversa i segni di
disagio e di paura che rinforzano la sua motivazione.
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La mancata rielaborazione del lutto alla base dello stalking
Ogni perdita di qualcuno (o di qualcosa) affettivamente significativo per
noi necessita di una fase di ricompensazione e di adattamento alla nuova
situazione. Gli Psicologi la chiamano perdita dell’oggetto di investimento
libidico. In questa fase il soggetto che ha subito la perdita normalmente
entra in una fase depressiva (di tipo reattivo) caratterizzata da angoscia e
tristezza. Questa fase può durare più di un anno. Se questo tempo si
dilata eccessivamente il soggetto viene considerato “malato” o comunque
in condizione di disagio psicologico (lutto psicologico). Il tentativo di
riavvicinamento può rappresentare quindi il tentativo di lenire l’angoscia
che scaturisce da un lutto non adeguatamente elaborato.
Base personologica dello stalker
Esistono dei profili di personalità che probabilmente più di altri
favoriscono il comportamento di stalking. Un soggetto con tratti
dipendenti può temere particolarmente che si interrompa una relazione
che ritiene soddisfacente. L’abbandono da parte di qualcuno può inoltre
rappresentare una ferita narcisistica rilevante in soggetti che hanno
problemi di autostima. L’essere abbandonati può evocare in questi
soggetti dei sentimenti di inadeguatezza e una conseguente frustrazione.
Il tentativo ossessivo di riavvicinamento a colui che li ha abbandonati
costituisce quindi l’unica soluzione per riparare la ferita e ridurre la
frustrazione.
23
APPROFONDIMENTI E BIBLIOGRAFIA
Maffeo Vania, Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un primo commento al d.l. n. 11 del 2009 (conv.
con modif. dalla l. n. 38 del 2009), in “Cassazione Penale”, n. 7-8, 2009, p. 2719.
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Strano M., “Cyberstalking”, ICT Security, Edizioni Nuovo Studio Tecna, Roma, 2003.
24
LO STALKING NELLA RELAZIONE DI COPPIA
Di Marianna Chessa
Lo stalking non è un fenomeno solo attuale, ma è un fenomeno antico
che solo negli ultimi decenni è stato studiato e classificato con questo
nome. È stato a lungo sottovalutato mentre ai giorni nostri cresce in
modo esponenziale l’attenzione dei mass media e della sensibilità
collettiva generando un’attenzione che spesso sconfina nell’allarmismo.
Già nel 1921, infatti, uno psichiatra francese pubblicò un trattato
sull’erotomania e sulla sindrome di De Clerambault. In particolare tale
sindrome consiste in un disturbo delirante in cui il paziente ha la
convinzione infondata e ossessiva che un’altra persona famosa provi
sentimenti amorosi nei suoi confronti. Lo studioso Erald Ege nel 2005
tenta di razionalizzare la classificazione e propone tre tipologie di stalking:
• stalking emotivo, associato alla rottura di una relazione tra due
persone quando un componente della coppia non riesce a
rassegnarsi della perdita dell’altro;
• stalking delle celebrità, ovvero perseguitare personaggi famosi;
• stalking occupazionale, persecuzione che inizia nel luogo di lavoro
per poi finire nella propria sfera privata.
Lo stalking è comunque un fenomeno dove è difficile identificare una
tipologia di stalkers. Le tipologie che si trovano in letteratura sono spesso
molto incentrate sulla psicopatologia che in realtà rappresenta un
25
numero ridotto di casi. Marco Strano propone nel 2002 una sua tipologia,
molto cauta, basata su tre aree:
• Difficoltà ad accettare l’abbandono in soggetti senza criticità
psicologiche (la maggior parte dei casi);
• Difficoltà ad accettare l’abbandono in soggetti con quadri psicologici
critici (una percentuale minore);
• Soggetti con quadri psicopatologici significativi in asse I e in asse II
DSM (una minima parte).
Appare evidente che viene ampiamente considerata una percentuale di
persone che attuano comportamenti molesti senza necessariamente
essere interessati da psicopatologie. Ovviamente ci sono casi in cui la
dimensione psicopatologica è presente, a volte in forma anche grave e
legata a disturbi deliranti. Nei casi di “stalking delle celebrità” queste
componenti nettamente psicopatologiche sono più frequenti, Già a
partire dagli anni ’80 si sono verificati alcuni casi in cui la molestia
assillante è stata indirizzata ad alcuni personaggi di spicco dello Star
System, personalità dello spettacolo e dello sport. Ricordiamo le tenniste
Martina Hingis e Serena Williams inseguite in tutti i tornei internazionali
dai propri persecutori; le attrici Theresa Saldana pugnalata dal suo stalker
a Los Angeles nel 1982 e Rebbecca Shaffer assassinata nella sua metropoli
dal suo persecutore nel 1989. Questi episodi hanno ispirato la prima legge
anti-stalking in California in vigore dal 1992. Altre vittime sono state
Sharon Stone, Jodie Foster, Nicole Kidman, Steven Spielberg ed alcuni casi
anche in Italia. In molti di questi casi la mente dello stalker ha “rimosso”
tutti i segnali, a volte molto espliciti, di rifiuto da parte della vittima,
costruendosi un vero e proprio mondo parallelo in cui entrava in possesso
del malcapitato personaggio famoso. Come suggerisce Marco Strano,
26
spesso alla base dello stalking c’è la difficoltà nella rielaborazione del lutto
rispetto alla perdita dell’oggetto di investimento libidico. Nelle situazioni
di separazione o in cui si verifica la fine di un rapporto sentimentale
l’essere umano prova frustrazione e sofferenza trovandosi ad affrontare
un vero e proprio “lutto emotivo”. In quanto tale, i tempi della sua
elaborazione non si differenziano molto da quelli per l’elaborazione della
morte fisica di una persona cara. I tempi fisiologici vanno dai sei mesi a un
anno e si possono dilatare fino a un periodo indefinito. Normalmente in
certe periodi l’angoscia tende a sopirsi ma poi in assenza di una
rielaborazione riaffiora ciclicamente con delle fasi che coincidono con i
comportamenti o campagne di stalking. Ci sono diversi comportamenti
correlati allo stalking che per esigenze tassonomiche possono esser
raggruppati in base alla motivazione sottostante:
1. Tendenti al recupero affettivo (o seduttivi), per esempio regali come
biglietti per il cinema, fiori, sms romantici, iniziative di
corteggiamento.
2. Tendenti a mostrare alla vittima la propria sofferenza (provocanti il
senso di colpa), discorsi sull’inutilità della propria vita senza l’altro e
dell’incapacità di affrontare qualsiasi cosa per la sofferenza causata
dall’interruzione della relazione;
3. Tendenti a impedire temporaneamente alla vittima nuove relazioni,
controllo delle reti sociali amicali dell’ex partner, appostamenti e
pedinamenti per far si che l’altro non si senta libero di intraprendere
altre relazioni;
4. Tendenti a punire la vittima per avergli provocato sofferenze con
messaggi minatori “un giorno soffrirai anche tu per quello che hai
fatto a me”;
5. Tendenti a distruggere e cancellare la vittima.
27
Alcuni di questi comportamenti, soprattutto quelli che rientrano nella
categoria “seduttiva”, se occasionali e non protratti nel tempo, possono
essere normali tentativi di corteggiamento e di riavvicinamento messi in
atto, in maniera goffa, da moltissime persone che affrontano una
separazione non voluta. Altri volte però tali comportamenti sono così
pervasivi, durevoli ed aggressivi da costringere chi li subisce a radicali
modifiche dello stile di vita. Valutare la situazione in base alla tipologia di
comportamenti attuati dallo stalker quindi non è sempre così facile.
L’intervento nei casi di stalking, secondo il protocollo progettato da
Marco Strano, prevede comunque proprio una valutazione iniziale del
caso, della pericolosità dello (o della) stalker e dei danni reali subiti dalla
vittima, attraverso una quantificazione dei comportamenti molesti e
attraverso una valutazione del disagio effettivo percepito dalla vittima.
Poi l’intervento adottato, individualizzato, prevede sempre delle azioni
iniziali nei confronti dello stalker e della vittima per tentare di risolvere la
vicenda bonariamente in via extragiudiziaria. Il primo passo è infatti
aumentare la consapevolezza da parte dello stalker del danno arrecato
(sia alla vittima che a se stesso per le conseguenze legali) con una
progressione di comunicazioni, da quella più informale fino a giungere
alla diffida e poi alla denuncia. Ovviamente se già sono registrate azioni
violente o minacce gravi la via della denuncia è l’unica possibile. La
vittima e lo/la stalker devono essere supportati psicologicamente, se
possibile e necessario, anche attraverso incontri protetti che consentano
una comunicazione più efficace e meno ansiogena dell’intento di chiudere
una relazione. La vittima deve essere seguita e addestrata a gestire la
situazione di molestia assillante: comunicare in maniera inequivocabile
l’intento di interrompere la relazione; imparare a comunicare riducendo
28
le ferite narcisistiche e le ferite all’autostima del soggetto rifiutato,
imparare a controllare la propria situazione psicologica per ridurre il
danno dell’azione di stalking. L’ambivalenza affettiva della vittima è
spesso una componente importante del fenomeno stalking. In molti casi
infatti è proprio la comunicazione ambigua da entrambe le parti, in
particolare un rifiuto non chiaro e assertivo della vittima, a protrarre
queste situazioni nel tempo. Le difficoltà nell’applicazione del protocollo
aumentano in caso di basso livello culturale della vittima e in caso di
grave disagio psicologico del persecutore che può essere refrattario a
prendere coscienza dei danni che arreca alla vittima. Le equipe che si
occupano di stalking dovrebbero infine specificatamente addestrate a
lavorare in team interdisciplinare (legale, psicologico e medico),
nell’accoglienza della vittima e nella gestione dei contatti con lo/la
stalker.
29
GASLIGHTING
Di Francesco Caccetta
È un'incognita ogni sera mia un'attesa pari a un'agonia troppe volte vorrei
dirti no ma poi ti vedo e tanta forza non ce l'ho….
Inizio questo mio contributo sulle note di una famosissima canzone scritta
da un grande artista, che da poco ci ha lasciati, Franco Califano (testo) e
Dario Baldan Bembo (musica), inciso nel 1973 da Mia Martini. Il titolo
della canzone è “Minuetto” ballo originatosi in Francia da una danza
popolare della regione del Poitou, che divenne danza di corte durante il
periodo barocco. La derivazione della parola sembra appunto risalire al
francese e significa "piccolo passo", giacché la danza era appunto
caratterizzata da passi minuti, come quelli che facciamo ogni giorno, nel
contrastare la violenza sulle donne. I giornali e i media in genere, ci hanno
abituati alla spettacolarizzazione, alla mercificazione delle notizie e non
c’è giorno che non leggiamo storie raccapriccianti che abbracciano l’intera
branca dei crimini con dettagli sempre più ricercati e d’effetto. Le persone
si abituano così al sensazionale, al turpe linguaggio mediale degli omicidi,
delle violenze sessuali e sui minori. Sono coniati nuovi termini per
descrivere un tipo di violenza reiterata e costante, infame e indegna di
una società che vuole dichiararsi civile. Uno tra questi, il cosiddetto
“Femminicidio”, ormai utilizzato in tutti i salotti della televisione e in gran
parte dei titoli dei giornali, accompagnato sempre da storie di forte
violenza, impattante e deplorevole. Siamo ormai (purtroppo) abituati a
30
leggere, sentire e vedere storie assurde di violenza sulle donne, spesso
finite con l’omicidio della vittima, il tutto accompagnato da interviste a
parenti e amici che continuano a chiedersi perché è successo. Domanda
legittima, perché è veramente inspiegabile il fatto che una donna possa
morire così, nonostante le denunce e i provvedimenti (deboli?) della
Legge e delle forze dell’ordine sull’offender. Purtroppo le dinamiche di
ogni omicidio sono diverse e peculiari e spesso non è possibile applicare
la Legge in maniera migliore di com’è applicata, anche se, all’occhio del
cittadino profano, sembra sempre inadeguata. Inoltre, non sempre
l’epilogo nefasto è determinato dalla minore efficacia della legge, ma
anche dall’indifferenza delle persone, sempre più evidente in una società
individualista come la nostra. Rispetto al record negativo raggiunto nel
1991 - riferisce lo studio della Fondazione ICSA – il numero di donne
uccise è straordinariamente aumentato. Nel 1991 esse rappresentavano
soltanto l’11% delle vittime, mentre oggi, superano il 25%, come dire che
in Italia oltre ¼ delle vittime è donna. Osservando i dati degli ultimi anni, si
stima che nel nostro Paese ogni 96 ore circa, una donna viene uccisa per
mano del marito, fidanzato, convivente o ex, con una incidenza del
fenomeno che è decisamente maggiore nel nord Italia.[2]. Non si può
neanche dare una risposta ai tanti omicidi, perché la società odierna è
frenetica, siamo continuamente sottoposti a stress psicofisico e i disturbi
di personalità e/o le malattie mentali in genere sono molte più di quanto
immaginiamo, ma io terrei ben distinti gli ambiti degli omicidi da quelli
delle varie forme di violenza. Credo che i primi siano atti spesso irrazionali
dovuti all’istintività del momento e quindi riconducibili alla totale perdita
di controllo da parte dell’autore materiale, mentre le violenze, possono
essere profondamente premeditate, cercate e studiate, per trarne un
piacere personale o un raffinato e orribile modo per raggiungere i propri
31
(terribili) scopi. Solo l’ignoranza e la mancanza di rispetto fanno agire
l’uomo così. Purtroppo, la cultura italiana, ma non solo la nostra, è
impregnata di stereotipi ed errati giudizi, causati da antichi (ma non
tanto) retaggi intellettuali, che portano spesso a confondere
comportamenti di abuso con atti di sana gelosia, tanto iconizzati dalla
nostra ricca cultura cinematografica, arrivando, sciaguratamente ancora
spesso, a legittimare alcuni comportamenti ignorandone il segnale di
pericolo estremo che invece trasmettono. Non da meno, esiste una
letteratura, anche straniera, che, pur logicamente in parte adeguata alle
varie sfaccettature sociologiche di ogni epoca, si è spesso (oggi direi in
maniera inopportuna) prodigata, nel fare apparire le donne come soggetti
da dominare e/o desiderose di essere dominate, sollecitando, a volte, la
mente malata di alcuni potenziali o sistematici offender. Ricordiamo ad
esempio e fra tutti, un brano del famosissimo racconto di Oscar Wilde, “Il
ritratto di Dorian Gray dove l’interprete principale, in un dialogo con Lord
Henry, si sentiva rispondere: “Temo che tutte le donne apprezzino la
crudeltà, la crudeltà pura, più di qualsiasi altra cosa. I loro istinti sono
meravigliosamente primitivi. Le abbiamo emancipate, ma esse rimangono
schiave sempre in cerca di un padrone. Amano essere dominate.”
Nonostante saremo tutti d’accordo, che la nostra società ha ormai una
morale completamente diversa e che la visione è cambiata, credo di poter
dire, che ancora siamo lontani da una sostanziale e proclamata presa di
coscienza. Nello stesso tempo, posso dire che stiamo facendo passi avanti
grazie alla sensibilità di molti addetti ai lavori nel campo della
Criminologia, primo fra tutti Marco Strano (ma anche molti altri), che con
le loro pubblicazioni scientifiche, tradotte in libri di successo, portano alla
luce questa violenza sistematica che gli uomini compiono nei confronti
delle donne. Meritano anche di essere citate le numerose associazioni di
32
volontariato per la difesa delle donne come la famosa e operativa “Donne
per la sicurezza Onlus” con la sua brava Presidente Barbara Cerusico e
l’Associazione “Senza Veli Sulla Lingua” presieduta da Ebla Ahmed (3). Gli
studiosi appena citati, attraverso pubblicazioni e incontri mirati con
potenziali vittime e forze dell’ordine, cercano di contrastare il problema e
sensibilizzare gli addetti ai lavori riguardo queste tematiche di grande
impatto sociale, mentre le associazioni fungono da punto di riferimento,
di informazione e di sostegno psicologico e legale, accompagnando le
donne maltrattate verso il superamento dello stato di disagio provocato
dalle violenze subite. Nei miei studi e nell’esperienza diretta acquisita con
la mia professione, ho avuto modo di costatare che purtroppo, l’impegno
degli operatori della sicurezza e della Giustizia, poco conta, di fronte al
silenzio (spesso voluto) delle vittime e delle persone che le stanno vicine.
Come ormai ho avuto modo di affermare in altre discussioni, che
abbracciavano anche altri ambiti della sicurezza, solo un’attività di
prevenzione condivisa e diffusa può fare la differenza nel contrasto del
crimine in genere. Ci sono reati che potrebbero essere evitati o almeno
contrastati con decisione, se solo se ne venisse a conoscenza in epoca
embrionale. Quelli contro le donne rientrano sicuramente in questa
casistica. Primo fra tutti lo Stalking, sempre più contrastato dalle nuove
norme in vigore, grazie anche al supporto dell’ammonimento e del divieto
di avvicinamento per lo stalker, ma c’è un altro efferato crimine ancora
poco noto ma a mio avviso più permeante dello Stalking perché ha le
fattezze di un pericoloso virus e spesso uccide senza lasciare traccia. Sto
parlando del Gaslighting. Anche se con grandi difficoltà, le violenze fisiche
alle donne alla fine possono emergere, a volte con esiti nefasti, ma per la
loro natura, fortunatamente, non è sempre facile che passino
completamente inosservate, anche a causa degli evidenti segni che le
33
percosse subite lasciano sul corpo. Questo è logicamente di grande aiuto
sia per le vittime, sia per le persone che stanno loro vicine, anche al fine
di attivare le misure del caso, magari parlandone con le forze dell’ordine
o con parenti e amici, innescando comunque un qualcosa destinato a
dare dei risultati o comunque prodromico ad attivare le figure di aiuto.
Ma quando le violenze non sono fisiche? Quando la persona abusante
mette in atto comportamenti mirati a minare con astuzia, la base della
fiducia che la vittima ripone in se stessa, dei suoi giudizi di realtà,
facendola sentire confusa fino a dubitare di stare impazzendo? Questo è il
Gaslighting, una tecnica di crudele e infida manipolazione mentale,
attuata dall’offender, che riesce a mettere in dubbio le percezioni reali
della vittima, facendola dubitare di se stessa. “Il termine deriva da
un'opera teatrale del 1938 Gas light (inizialmente nota come Angel Street
negli Stati Uniti), e dagli adattamenti cinematografici del 1940 e 1944
(quest'ultimo conosciuto in Italia come Angoscia). La trama tratta di un
marito che cerca di portare la moglie alla pazzia manipolando piccoli
elementi dell'ambiente, e insistendo che la moglie si sbaglia o si ricorda
male quando nota questi cambiamenti. Il titolo origina dal subdolo
affievolimento delle luci a gas da parte del marito, cosa che la moglie
accuratamente nota ma che il marito insiste essere solo frutto
dell'immaginazione di lei”.[4] In un influente articolo intitolato “Some
Clinical Consequences of Introjection: Gaslighting” ("Alcune conseguenze
cliniche dell'introiezione: Gaslighting"), gli autori argomentano come il
Gaslighting coinvolga la proiezione e l'introiezione dei conflitti psichici dal
molestatore alla vittima: questa imposizione è basata su un tipo molto
particolare di "trasferimento" di conflitti mentali dolorosi e
potenzialmente dolorosi'[5]. È un crudele comportamento manipolatorio,
con il quale l’offender, tende a far sì che la sua vittima dubiti di se stessa e
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dei suoi giudizi di realtà e inizi a sentirsi confusa, fino a credere di stare
impazzendo; alla vittima è tolta la speranza del domani e ben presto
manifesterà problemi psichici e psicosomatici. Il Gaslighting, è
logicamente possibile solo nelle relazioni dove vi è una base affettiva
precedente molto forte, una storia d’amore che ha preso un’altra piega
per interessi vari (anche economici) da parte del carnefice di turno, una
grave forma di perversione relazionale che rende le vittime talmente
assuefatte e dipendenti da essere nella maggior parte dei casi
inconsapevoli di quello che sta sopraggiungendo. È la trasformazione
dell’amore, una metamorfosi di Kafkiana memoria, con la quale emerge il
lato peggiore dell’uomo, che mette in atto diaboliche e artificiose
tecniche spingendo la donna alla follia con un continuo vero e proprio
lavaggio del cervello. I segnali da captare non sono facili, in queste
situazioni, ma il mio consiglio è di non sottovalutare alcuni piccoli
messaggi che sono inviati sia dalla vittima sia dall’autore del Gaslighting.
In questo ambito alcune frasi rivolte dall’uomo alla sua compagna, sono
tipiche ed esemplificative:
- Sei grassa! (magra, brutta, ecc.)
- Scusatela mia moglie è una deficiente!
- Sbagli sempre tutto! Non ne fai una giusta!
- Ma come non ti ricordi! Me l’hai detto proprio tu!
- Non me l’hai mai detto! Te lo sarai immaginato!
- Le tue amiche sono insignificanti, proprio come te!
- Se ti lascio, rimarrai sola per tutta la vita!
Queste e altre frasi simili, sono tutte riconducibili a una vera e propria
manipolazione mentale dell’offender e spesso sono confuse con un
cattivo ma giustificato come (scelta) personale, rapporto di coppia.
Questo tipo di violenza, a mio avviso più frequente degli atti persecutori
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(Stalking) ma non per questo meno grave, ha un altro svantaggio per le
vittime, poiché anche loro, spesso non si rendono conto di essere ormai
incappate in un gorgo psicologico dai tristi sviluppi. Questa forma di
aggressività è paragonabile a una violenza gratuita, quotidianamente
erogata, capace di annullare la persona che ne è vittima. La donna spesso
giustifica il suo carnefice, perché sente di essere lei quella “sbagliata”,
non ci sono, infatti, litigi, aspre discussioni, tutto sembra normale, il
compagno è amorevole, disponibile, sempre pronto a consolare la sua
donna quando si accorge di avere detto qualcosa di sbagliato (provocata
o indotta dallo stesso offender) che non la biasimerà per la sua
inadeguatezza. La donna si troverà inevitabilmente costretta da questo
comportamento e, piano piano, le sue resistenze si affievoliranno sino a
scomparire del tutto, diventando ignaro complice del suo aguzzino. Un
reato, per questo, tra i più ignobili e meno facilmente qualificabili
giuridicamente, che spesso sfocia nel suicidio della vittima. Quanti delitti
di questo tipo possono potenzialmente restare impuniti? Difficilmente o
almeno non sempre si scopre chi provoca o induce la vittima a porre fine
alle sue sofferenze psicologiche. Le sole forze dell’ordine non potrebbero
contrastare questo delitto, perché troppo spesso le vittime non si
rivolgono alle Istituzioni, e non cercano neanche aiuto, convinte, come già
detto, che siano loro il problema. Per questo occorre una sensibilizzazione
di tutti, bisogna suggerire alle donne che riteniamo vittime di questi
comportamenti, di chiedere aiuto a professionisti: forze di polizia,
psicologi, associazioni di volontariato e di ascolto, avvocati, o magari
proponendo di leggere articoli sull’argomento in modo da fornire loro un
aiuto anche solo empirico che almeno le aiuti ad affrontare il problema
con la consapevolezza della sua esistenza, facendole uscire dal torpore e
dalla confusione tipici del Gaslighting. Bisognerebbe poi agire sui mezzi di
36
comunicazione, in primis sulle scuole, i media in genere, televisione,
giornali, pubblicità, in modo da portare il Gaslighting all’attenzione di più
persone possibili. Non è pensabile che argomenti meno importanti, come
le idee politiche e religiose si siano radicate grazie alla propaganda che se
n’è fatta e non si possa fare lo stesso con una piaga così grave come la
violenza sulle donne. Ritornando all’apertura di questo articolo, voglio
concludere con un’altra frase della citata canzone di Franco Califano, quel
Minuetto cantato dalla grande Mimì, che invito ad ascoltare a tutte le
donne, la quale dice: “Costa cara la felicità…meglio la libertà, piuttosto
che aspettarti nelle sere per elemosinare amore...”
NOTE
[1] Criminologo; Luogotenente dei Carabinieri; Laureato con lode in scienze per l’investigazione e la
Sicurezza; Master in Antropologia Filosofica, Criminologia e Tecniche Investigative Avanzate; grafologo della
consulenza peritale.
[2]
L.
Garofano
“La
prova
regina”
(Uomini
che
uccidono
le
donne)
http://www.convincere.eu/criminologia/item/219-la-prova-regina-uomini-che-uccidono-le-donne
[3] http://www.donneperlasicurezza.it - www.senzavelisullalingua.com
[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Gaslighting
[5] Victor Calef and Edward M. Weinshel, in Edward M. Weinshel/Robert S. Wallerstein, Commitment and
Compassion in Psychoanalysis (Routledge 2003) p. 83
37
STALKING: IL RUOLO DELLE FORZE DI POLIZIA
di Francesco Caccetta
“…non ha più una vita, non può uscire la sera, non può andare a fare una
passeggiata, spese in un supermercato, niente senza il terrore di
trovarselo davanti. O alle spalle. E infatti non esce più. Vive rinchiusa in
casa, come se fosse un carcere. Lui invece può girare indisturbato”.[1]
Questo brano di un bellissimo libro dello scrittore e Magistrato Gianrico
Carofiglio, illustra in maniera icastica, l’angoscia e lo stato d’animo della
vittima di stalking. Il termine Stalking, è di chiara origine venatoria, in
quanto il suo significato è proprio “fare la posta ad una preda” e le
cronache di questi ultimi anni, ci portano spesso a conoscenza di casi di
persone, vittime di quella che viene definita come “sindrome del
molestatore assillante”, il più delle volte, con casi eclatanti, sfociati
nell’atto estremo dell’omicidio. In un recente passato, il persecutore, che
da ora in poi chiameremo stalker, non aveva ancora una posizione precisa
nel nostro ordinamento giuridico, ed i suoi comportamenti, ancorché
illeciti, venivano individuati in un coacervo di reati minori che, anche se
perseguiti penalmente, non sempre riuscivano a farlo desistere dal suo
intento. Questo creava molta insicurezza, rassegnazione e senso di
abbandono per la vittima, che finiva per subire le condotte moleste e
persecutorie senza quasi opporre più alcuna resistenza, nonché delle
38
serie difficoltà oggettive anche alle forze di polizia impegnate a
contrastare questo strano fenomeno con scarsissimi mezzi soprattutto
giuridici e preventivi. Con l’introduzione dell’art.612 bis del codice penale,
avvenuta in data 23 aprile 2009, anche in Italia, lo stalker è finalmente
perseguito con una norma specifica, esaustiva e, a mio parere anche
efficace. Ma una cosa che ritengo utile per i cittadini, è sapere e
comprendere, che lo stalking, non è soltanto quello che culmina
nell’omicidio, ma esiste un cospicuo numero di persone, (soprattutto
donne, anche se il fenomeno riguarda ambo i sessi), vittime di atti
persecutori, che ogni giorno in silenzio e solitudine, subisce,
sottovalutando quelli che in medicina si dicono “prodromi” ossia quelle
manifestazioni morbose che precedono l'insorgere di una sintomatologia
caratteristica che nell’immediato futuro potrebbe rivelarsi fatale. Giova
sapere, che tra lo stalker e la vittima, si viene ad instaurare una relazione
forzata, con una forte componente di controllo, che inevitabilmente va a
condizionare lo svolgimento della vita della persona perseguitata, che
vivrà in un continuo stato di paura e di ansia, con disturbi del sonno, della
concentrazione ed a volte con la comparsa del cosiddetto disturbo posttraumatico da stress, che spesso non termina neanche dopo la cessazione
delle molestie. La vittima è quindi costretta a stravolgere la sua vita
privata, cambia il suo numero di telefono, cambia abitazione ed a volte
lavoro, non va più in palestra ed alla fine non esce più di casa. L’offender
(lo stalker) agisce con minacce, molestie, a volte anche con percosse dagli
esiti lesivi anche importanti, con lo specifico intento di indurre nella sua
vittima un disagio di natura psichica e fisica, ma soprattutto un terribile
senso di paura. Le vittime, non sempre riescono a riconoscere da subito il
pericolo che incombe, di solito minimizzano o giustificano i
comportamenti del/della partner, anche a causa di retaggi culturali, non
39
proprio di vecchia data, confondendo comportamenti malevoli, con quelli
più blandi, tipici della semplice gelosia, tanto iconizzata anche dalla
nostra cultura cinematografica, legittimando alcuni comportamenti e
ignorando così, i segnali del pericolo imminente. La linea di confine tra il
corteggiamento e lo stalking, purtroppo nella fase iniziale, può essere
minimale, impercettibile, ma assume un grande significato, quando inizia
a limitare la vita della vittima, la quale si accorgerà di essere sempre in
uno stato di allerta come se da un momento all’altro potesse
sopraggiungere qualche pericolo. Da quel momento, significa vivere
nell’incubo, costantemente controllati, continuamente guardati a vista,
umiliati/e con gli amici e spesso anche sul luogo di lavoro, con
diffamazioni, divulgazioni di notizie intime o riservate, scritte sui muri dei
luoghi di lavoro. Si subiscono comunicazioni intrusive, tramite lettere,
sms, e-mail, furti di identità sui social network (face book, twitter ecc.)
divulgazione di foto o notizie su internet, in una escalation di problemi
sempre più difficili da affrontare e risolvere da soli! Ci sarebbe molto da
dire sulle categorie degli stalker e anche delle stesse vittime, ma il mio
intervento, anche questa volta vuole essere di taglio pratico, un consiglio
ed un incitamento, ad uscire allo scoperto, per le persone che si
riconoscono in qualche modo vittime di questi comportamenti
persecutori. Per questo, mi limiterò a fare qualche accenno sulle cose da
non fare e quelle invece da fare subito, per uscire presto da queste
terribili situazioni. Prima di tutto, bisogna dire che lo stalker non sempre è
una persona affetta da un disturbo mentale e, anche se esistono alcune
forme di persecuzione agite da psicotici, non sempre esiste una
condizione inquadrabile in un contesto psicopatologico, ne associato ad
abuso di alcol o sostanze stupefacenti. Dal punto di vista psicopatologico,
il fenomeno dello Stalking non essendo omogeneo, non è classificato in
40
una categoria diagnostica definita e non sempre è possibile attribuire la
presenza di una patologia mentale nell’agire dei soggetti che compiono
atti persecutori. Si parla infatti di disturbo della personalità, disturbo
ossessivo o border-line, ma non esiste una precisa diagnosi. È bene
sapere che oggi, le forze dell’ordine, sono più ferrate di un tempo in
questa materia e, sia i Carabinieri sia la Polizia di Stato, hanno attivato dei
servizi ad hoc che trattano l’argomento, con indirizzo di aiuto per le
vittime ed hanno sperimentato una serie di interventi per fare desistere
lo stalker, con provvedimenti di natura penale, ma anche di natura
amministrativa. Andiamo quindi ad esaminare alcuni consigli per le
vittime. Come ho detto prima, a volte (spesso) si tende ad individuare il
reato di stalking anche in altri comportamenti che niente hanno a che
fare con quel delitto, oppure, in casi conclamati, si tende a sottovalutare il
rischio, con conseguenti minori precauzioni, come ad esempio non
adottare comportamenti che scoraggino invece, fin dall’inizio, il
molestatore. Vediamo meglio ed iniziamo con una premessa: Prima di
parlare di stalking, occorre che i comportamenti assillanti e gli atti
persecutori (intesi come un insieme di condotte reiterate nel tempo,
dirette o indirette, indirizzate ad una persona conosciuta o sconosciuta,
che inducono chi le subisce in uno stato di soggezione o grave disagio
fisico o psichico), siano ripetuti e perduranti. Alcune teorie attualmente in
voga, parlano di almeno dieci ripetizioni in uno spazio di almeno un mese,
ma questi termini non sono perentori ed ogni caso deve essere valutato
di volta in volta dalle forze dell’ordine. Se parliamo di rapporti tra ex, se la
relazione è terminata o, per qualsiasi ragione, è indesiderata, bisogna
sapere dire di no, con chiarezza e soprattutto fermezza, evitando
assolutamente di assurgersi alla figura di psicologo improvvisato, o
cercando di avere compassione per l’offender, perché questi
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atteggiamenti (da parte della vittima), rafforzano i comportamenti
persecutori dello stalker, il quale ne trae quindi beneficio! Ormai è
assodato che lo stalker, si rinforza sia con i comportamenti di rabbia, sia
con quelli di paura della persona perseguitata. Rivolgersi da subito alle
forze di polizia, garantirà risultati migliori. Spesso, per quanto possa
apparire assurdo, ma le statistiche dicono così, la preoccupazione delle
vittime è quella di fare del male al loro persecutore, perché magari c’è un
ricordo di un legame affettivo forte, che impedisce di prendere
provvedimenti contro quella persona che una volta si amava, preferendo
continuare a soffrire sottovalutando le conseguenze di questo
comportamento. Per ovviare a questo è bene sapere che sono previsti dei
passaggi meno dolorosi anche per lo stesso stalker, il quale, se si
interviene subito, potrebbe senz’altro uscire indenne da pregiudizi penali.
Mi riferisco all’istituto dell’ammonimento, introdotto dall’art. 8 del
decreto legge 11/2009, il quale prevede che, fino a quando non è
proposta querela per il reato di cui all’art. 612-bis del codice penale (Atti
persecutori, che ricordiamo prevede un periodo di sei mesi al contrario
delle normali querele che prevedono invece il termine di tre mesi), la
persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza
(Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia Locale), avanzando richiesta di
ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta verrà
trasmessa al Questore, il quale, assunte se necessario informazioni dagli
organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga
fondata l’istanza, ”ammonisce” oralmente il soggetto nei cui confronti è
stato richiesto il provvedimento (con provvedimento in forma di verbale),
invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e cessare
immediatamente i comportamenti segnalati. Una cose a mio avviso
importante, prevista con l’ammonimento, consiste inoltre nel potere del
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Questore di valutare l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di
armi e munizioni, in poche parole togliere le armi, ancorché regolarmente
e legittimamente detenute dallo Stalker (che magari è un cacciatore ed ha
quindi facilità di reperire un arma da fuoco), riducendo il potenziale
pericolo di offesa, iniziando quindi a tutelare la vittima e nel contempo,
far capire all’offender che la cosa è seria e che forse sarebbe meglio
davvero desistere dai comportamenti persecutori. Nel caso in cui lo
Stalker, già ammonito, non desista nel suo insano comportamento, la
pena per il delitto di cui all’art. 612-bis del codice penale è aumentata e si
procede d’ufficio (cioè indipendentemente dalla volontà della vittima). In
effetti la norma si caratterizza per la finalità di sventare, nel contesto delle
relazioni affettive e sentimentali, le condotte di per sé violente o
disdicevoli che, pur se non essere tali da integrare (ancora) un reato
contro la persona o il patrimonio, potrebbero degenerare e preludere a
veri e propri comportamenti delinquenziali[2]. Altra cosa importante da
sapere, vero toccasana per le persone perseguitate, è che la cosiddetta
“legge sullo Stalking”, ha anche introdotto un articolo nel codice di
procedura penale, che concorre a tutelare ancora di più la vittima.
L’articolo in questione è il 282 ter c.p.p. che consiste nel divieto di
avvicinamento e nell’obbligo di mantenere una certa distanza dai luoghi
abitualmente frequentati dalla persona offesa o dai propri cari. Nel corso
delle indagini preliminari o durante il dibattimento (siamo quindi nella
fase successiva all’ammonimento o in quella comunque dove già è stata
presentata una denuncia contro lo stalker), il Pubblico Ministero può
chiedere al Giudice competente (g.i.p.) l’emissione del provvedimento
suddetto. A questo punto, anche se non ritengo di avere completamente
esaurito l’argomento, spero sia chiaro, che non esistono remore a
ricorrere alle Forze dell’ordine qualora ci si sentisse in qualche modo
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vittime di atti persecutori. Vorrei informare le persone che leggono
questo articolo, che in questo modo, sarà più facile, per le forze di polizia,
tutelare sia la vittima che i propri cari, da atti inconsulti dello stalker e, nel
contempo, aiutare anche lo stesso molestatore che è per primo vittima
egli stesso della persecuzione ossessiva che mette in atto nei confronti
dell’altra persona. Agli strumenti repressivi nei confronti dello stalker,
potranno infatti essere affiancate terapie e forme di vigilanza al fine di
fargli recuperare l’ormai compromesso equilibrio psichico. Le vittime
invece, potrebbero uscire da un incubo, dal quale da sole, sarà difficile
svegliarsi! Rivolgetevi alle forze di polizia…possiamo aiutarvi!
NOTE
[1] G. Carofiglio “Ad occhi chiusi”, Sellerio editore, Palermo 2007
[2] Tar Campania – Sentenza n. 114/2011
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STALKING E CYBERSTALKING: ELEMENTI COMUNI E DIFFERENZE
di Maria Teresa Cotroneo
L’evoluzione delle tecnologie informatiche e della comunicazione, ha
introdotto un nuovo modo di comunicare nella realtà quotidiana in un
nuovo luogo: il cyberspazio. Il cyberspazio è una proiezione della vita
reale ed in quanto tale in esso vengono svolte le normali attività
quotidiane, come stringere nuove amicizie o condividere informazioni.
Ma come nella vita reale, anche nello spazio cibernetico, ci si può
imbattere in persone ritenute affidabili ma che in realtà non lo sono. Il
cyberspazio consente a tutti di essere contatti, consente quindi anche di
subire comportamenti molesti come lo stalking, ovvero il cyberstalking.
Gli attori nel caso dello stalking sono gli stalkers, per il cyberstalking sono
i cyberstalkers. Ciò che li differenzia sono gli strumenti utilizzati per
perpetrare questi comportamenti molesti.
Nel caso dello stalking tradizionale gli strumenti più usati sono:
1. pedinamenti
2. comparse sotto casa, ufficio , scuola, chiese
3. telefonate assillanti
Nel caso del cyberstalking si ha prevalentemente:
1. quelli che sono i pedinamenti per lo stalking diventano pedinamenti
virtuali perpetrati attraverso l’uso di softwares di controllo come
spyware, il GPS (Global Positioning System, ovvero il sistema di
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posizionamento globale), attraverso i social networks come
Facebook, Linkedin, Twitter etc.;
2. le “presenze” e i pedinamenti possono essere perpetrate sempre sui
social networks o attraverso l’invio di mail anonime e/o di
messaggistica istantanea come WhatsApp, Skype, Goggle talk,
Snapchat , Viber etc.;
3. le telefonate assillanti sono sostituite dall’invio di mail anonime e
dalla messaggistica istantanea;
4. La diffamazione della vittima avviene su siti web o attraverso
l’impersonificazione della vittima attraverso l’invio di mail anonime;
Nel caso dello stalking si parla di molestia, nel caso del cyberstalking si
parla di cybermolestia, ma entrambe sono accomunate dall’avere lo
stesso effetto reale di suscitare terrore e avere un impatto sulla libertà e
la vita privata della vittima. Il rischio è poi che il cyberstalker può decidere
di passare dalla vita virtuale, cibernetica, a quella reale, e quindi la
cybermolestia può diventare una molestia fisica, concreta e pericolosa.
Cyberstalking: come viene perpetrato
I pedinamenti virtuali possono essere perpetrati (da un persecutore
relativamente esperto di informatica) attraverso un accesso illegale al
dispositivo elettronico della vittima (smartphone, tablet, computer).
Questo accesso può essere eseguito mediante l’invio di mails contenenti
dei codici malevoli, attraverso il bluetooth o il contatto diretto con il
dispositivo della vittima. Una volta realizzato l’accesso, (senza il consenso
dell’utente del dispositivo elettronico) si possono installare softwares di
intercettazione, eseguiti in background senza che la vittima se ne possa
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accorgere. Un esempio di questo tipo di software è lo spyware. Lo scopo
degli spyware è quello raccogliere dati sulle attività svolte, come il
controllo del registro delle chiamate nonché il loro ascolto, il controllo del
registro degli sms e degli mms nonché i loro contenuti, il controllo del
funzionamento delle applicazioni come l’attivazione da remoto delle
webcams o delle fotocamere, dei microfoni, il controllo dell’agenda
quindi degli impegni della vittima, i siti webs che vengono visitati. Tutte
queste informazioni vengono raccolte e inviate via internet. Questo dato
è da sottolineare perché verrà utilizzato nelle attività investigative per la
ricerca della sorgente, quindi il cyberstalker, da cui le cybermolestie
hanno avuto origine. Un altro esempio di software di intercettazione sono
i Keyloggers, ovvero degli strumenti di sniffing (intercettazione), che
possono essere sia a livello hardware, e in questo caso il cyberstalker ha
avuto il contatto diretto con il dispositivo della vittima, che software.
Questo strumento intercetta quello che un utente digita sulla tastiera del
proprio smartphone, tablet o computer. Anche in questo caso i dati
vengono raccolti e inviati via internet. Altri software di intercettazione
sono quelli che forniscono la geolocalizzazione del telefono, utilizzando i
dati forniti dal sistema di posizionamento globale, il GPS. Anche in questo
caso i dati vengono raccolti e inviati via internet. Un altro modo di
eseguire i pedinamenti virtuali potrebbe essere fornito dalla vittima
stessa con un’autoreferenziazione sul luogo in cui si trova attraverso un
uso non protetto dei social networks. Un esempio è la funzione di
geotagging attiva, che fornisce in automatico le informazioni sul luogo in
cui ci si trova. Il cyberstalking può essere perpetrato attraverso l’invio di
mail anonime contenenti messaggi indesiderati e/o minacciosi
(spamming) o utilizzando allo stesso modo la messaggistica istantanea,
diffamando la vittima pubblicando contenuti offensivi su siti web
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(soprattutto siti erotici), impersonificando la vittima in chat o inviando
mail con allegati dannosi a contatti personali o professionali.
Qualche suggerimento preventivo
Vengono riportati alcuni suggerimenti preventivi per ridurre la probabilità
di essere potenziali vittime di un cyberstalker:
1. non lasciare mai incustoditi i propri dispositivi elettronici
(smartphones, tablets, PC, penne USB)
2. usare codici di accesso (Password, Pin)
3. Essere informati su eventuali exploit di sicurezza (vulnerabilità) dei
sistemi operativi e delle applicazioni installate
4. eseguire l’aggiornamento dei software antivirus, antispyware e
firewall hardware/software
5. usare il Bluetooth solo quando necessario
6. disattivare la funzione di geotagging
7. Informarsi sulle impostazioni di privacy dei Social Networks
qualche suggerimento in presenza di cybermolestie
Nel caso in cui si ritiene di essere vittime di cyberstalkers, si consiglia di
fare la denuncia alle forze dell’ordine e di seguire i seguenti suggerimenti:
1. conservare e-mails ed sms;
2. nel registro chiamate impostare il salvataggio della cronologia dei
programmi di chat e ISM (messaggisica istantanea);
3. Conservare l’URL dei siti web (ovvero l’indirizzo web della pagina
contenente le minacce o le possibili offese) e se possibile fare anche
delle foto;
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4. non disattivare le proprie utenze (chat, ISM, Social Networks) per
poter continuare a collezionare prove.
Queste informazioni saranno poi preziose nell’attività investigativa e in
caso di processo penale e civile.
Attività investigativa e illusione di anonimizzazione
Il cyberstalking è classificabile come un reato riconducibile all’art. 612-Bis.
C.p. "atti persecutori". In quanto reato l’obiettivo è quindi quello di
identificare il potenziale reo attraverso la prova informatica, ovvero
attraverso l’identificazione di un indirizzo IP, il quale “marca” quindi
univocamente uno specifico computer o nodo di rete. L’indirizzo può
essere visto come una sorta di Carta d’identità digitale in rete. Nel caso di
pedinamenti virtuali eseguiti attraverso l’uso di software
d’intercettazione (spyware, Keylogger, GPS), si è visto che questi
raccolgono dati e li inviano via internet. Analizzando il percorso che porta
al destinatario, si può risalire all’IP del cyberstalker e quindi alla sua
identificazione. Nel caso di mail anonime, messaggistica istantanea ISM,
siti web con offese, minacce o molestie, si distinguono due diversi scenari
per le attività investigative, ovvero lo scenario di rete di telefonia mobile
e quello di telefonia fissa. Nel caso dello scenario investigativo di rete di
telefonia mobile, l’indirizzo IP è fornito dall’ISP (Internet Service Provider,
il fornitore del servizio internet) del gestore di telefonia mobile. In questo
caso si ha un’utenza specifica e quindi l’identificazione del cyberstalker.
L’identificazione dell’indirizzo IP può essere però complicata
dall’anonimizzazione (spoofing) permessa dal cyberspace. Questa
anonimizzazione dell’indirizzo IP può essere fatta in connessione, ovvero
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prima dell’accesso nella rete internet, o in navigazione, ovvero dopo
l’accesso alla rete internet, per esempio utilizzando dei proxy servers. Lo
scenario investigativo dell’anonimizzazione viene suddiviso in due
sottoscenari: quello in cui l’anonimizzazione può avvenire in navigazione
e quello in cui può avvenire in connessione. Nel caso di anonimizzazione
in navigazione il cyberstalker si connette alla rete internet con il suo
indirizzo IP, successivamente lo potrebbe alterare passando per esempio
attraverso uno o più server proxy. Le cybermolestie saranno
caratterizzate da un indirizzo IP finale. Eseguendo un’analisi di IP
traceback, ovvero un’analisi all’indietro del percorso seguito dalla
cybermolestia partendo dall’indirizzo IP finale, assieme ad un’analisi
incrociata dei dati raccolti, come i file di log degli ISP (file contenenti tutte
le attività eseguite in ordine cronologico e contenenti informazioni sul
tipo di hardware usato, il sistema operativo, la versione del browser
utilizzato e la lingua), o le informazioni sugli elementi di rete interessate
dal percorso, si ha una buona probabilità di risalire all’IP sorgente, ovvero
a quella del cyberstalker. Si ha quindi una buona probabilità di
identificazione del cyberstalker. Nel caso di anonimizzazione in
connessione il cyberstalker si connette alla rete con l’indirizzo IP già
modificato. Successivamente potrebbe anonimizzare ulteriormente
l’indirizzo IP, passando anche in questo caso attraverso uno o più server
proxy. Una possibile attività investigativa potrebbe consistere nel far
sempre uso delle metodologie di IP traceback, ma in questo caso
servirebbe riuscire a individuare ulteriori dati utente/macchina che siano
ricorrenti e associabili alla navigazione in internet vista come un oggetto
da analizzare, e del quale quindi risulta utile individuarne proprietà e
caratteristiche. Questo aiuterebbe a identificare con buona probabilità
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l’indirizzo IP da cui ha avuto origine la cybermolestia, e quindi ad
identificare il possibile cyberstalkers.
Conclusioni
L’attività investigativa può fornire un’identificazione certa del potenziale
reo, o comunque fornisce una buona probabilità di identificazione di
questo, anche nei casi di cyberstalking. Questo permette di giungere alla
conclusione che è possibile parlare di “illusione di anonimizzazione”,
malgrado il cyberspazio consente a volte la possibilità di nascondere l
propria identità a un’osservazione superficiale, in quanto la navigazione in
internet lascia sempre e comunque delle tracce della propria attività, e
queste tracce vengono in aiuto alle attività investigative per
l’identificazione del reo.
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LO STALKING DELLE CELEBRITA’
Di Marco Strano
Tra gli stalker rientrano anche molestatori di celebrità che in alcuni casi
hanno seguito e perseguitato per anni stars del cinema, campioni dello
sport, artisti ecc.. Si tratta sovente di molestatori sessuali abituali o
conquistatori maldestri, che individuano l’oggetto del loro desiderio nella
vittima (anche sconosciuta) ed effettuano una serie di tentativi di entrare
in contatto con lei. A nulla valgono i dinieghi e le palesi dichiarazioni della
vittima. Alcuni casi esemplificativi, ai danni di personaggi famosi, ci
possono essere utili per comprendere questa tipologia di stalking.
Il caso di Pamela Anderson
Siamo nell’estate del 2005 a Los Angeles, per oltre un mese la famosa
attrice di origine canadese Pamela Anderson, protagonista di diverse serie
televisive di successo, i suoi figli di 7 e 9 anni e alcuni membri della sua
famiglia, vengono avvicinati da un uomo di 29 anni, William Stansfield di
New Castle – Inghilterra - mentre si trovano in vacanza a Malibu. Stanfield
tenta di convincere la Anderson a licenziare il suo attuale manager per
assumere lui per badare ai suoi interessi di attrice. Stanfield si spinge
davvero oltre ogni limite ragionevole. Contatta infatti direttamente il
figlio minore della Anderson mentre si trova a scuola. Quando riesce ad
avvicinarsi a Pamela le chiede con insistenza di lasciare la serie Tv per cui
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sta lavorando per impersonare il ruolo della protagonista di un film che lui
ha scritto appositamente per lei. Poi Stansfield diventa sempre più
insistente, invadente, ossessivo. Un giorno segue la madre della Anderson
e i due figli dell’attrice mentre sono in fila all’ufficio postale di Malibu.
L’anziana donna si spaventa molto perché l’uomo la obbliga a prendere
con sé dei documenti da portare a Pamela. Ma la madre dell’attrice non è
stata l’unica parente della Anderson ad essere stata avvicinata dallo
stalker. Anche la cognata dell’attrice e la sua babysitter sono state in più
occasioni importunate dall’uomo. Questo è decisamente troppo e la
Anderson decide di denunciare l’uomo per ottenere un ordine restrittivo
nei suoi confronti.
Il caso di Jody Foster
I soggetti appartenenti a questa categoria talvolta presentano modalità
compulsive o possono giungere a vere e proprie forme di delirio. Si tratta
in questo caso di soggetti gravemente disturbati che nei loro deliri
immaginano che una persona possa desiderarli ardentemente. John
Warnock Hinckley è nato ad Ardmore, in Oklahoma, il 29 maggio 1955 da
una famiglia apparentemente normale. Il padre di Hinckley era infatti il
presidente di un’importante organizzazione locale mentre sua madre
stava a casa ad occuparsi dei bambini. Quando John aveva 4 anni la sua
famiglia si trasferì a Dallas, Texas. Durante gli anni della scuola superiore
John comincia a mettere in mostra una certa tendenza progressiva verso
l’isolamento sociale. Passava infatti ore e ore da solo a casa a suonare la
sua chitarra e ad ascoltare musica. Nel 1973, dopo essersi diplomato,
John e la sua famiglia si sono spostati a Evergreen, in Colorado per seguire
la carriera del padre. Nel 1976 però John lascia il college e decide di
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andare in California per realizzare il suo sogno di diventare autore di
canzoni di successo. Mentre è nel suo appartamento a Hollywood, John
vede per la prima volta il film “Taxi Driver”, con una giovanissima Jodie
Foster come protagonista. Quell’estate John vedrà quel film
ossessivamente almeno una quindicina di volte e parallelamente
comincerà a scrivere ai genitori raccontando di una fantomatica ragazza
di nome Lynn Collins, come la protagonista del film. Il disagio mentale di
John comincia ad essere preoccupante e nel 1976 viene richiamato
all’ordine dalla famiglia e torna quindi ad Evergreen, dove lavora per un
po’ come cameriere in un lussuoso ristorante della cittadina per qualche
mese. Nella primavera successiva però torna in California e poi
nuovamente in Texas dove si iscrive al college. La sua spiccata
propensione alla solitudine non passa inosservata nemmeno qui.
Parallelamente comincia a collezionare armi da fuoco. Le sue condizioni
mentali continuano a peggiorare e nel 1980 gli vengono prescritti degli
antidepressivi e dei tranquillanti. La sua ossessione per Jodie Foster, nata
molti anni prima, non accenna a diminuire nemmeno con l’aiuto dei
farmaci. Nel 1980 scopre dai giornali che Jodie Foster avrebbe
frequentato la Yale University quell’anno e decide di iscriversi per stare il
più vicino possibile alla ragazza che tanto l’aveva impressionato anni
prima. Una volta a Yale John tenta più volte di mettersi in contatto con
Jodie lasciando lettere e poesie nella sua buca per le lettere. Riesce
persino a parlare per due volte al telefono con lei cercando di rassicurarla
sul fatto che lei non aveva niente da temere da lui. La sua ossessione per
Jodie era pari solo alla sua crescente ossessione nei confronti
dell’omicidio. Ad un certo punto Hinckley comincia a pensare che solo
l’assassinio del presidente degli Stati uniti gli avrebbe garantito una
notorietà sufficiente in grado di guadagnarsi finalmente l’amore e il
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rispetto della sua tanto amata Jodie. Ed è per questo che nel 1980 decide
di cominciare a perseguitare il Presidente Carter durante le sue uscite
pubbliche. In più occasioni viene fermato dai servizi di sicurezza in
possesso di armi da fuoco e segnalato per questo a più riprese. A questo
punto la famiglia obbliga Hinckley a farsi vedere da uno psichiatra che
suggerisce di lasciare che John cominci a vedersela da solo perché solo
così poteva davvero crescere e guarire. Nel marzo del 1981 John, che
all’epoca si era recato a Washington D.C, scrive una lettera a Jodie Foster
in cui descrive nel dettaglio il suo piano per assassinare il Presidente
Reagan per tentare di impressionarla. Una volta inviata a lettera John si
reca in taxi al Washington Hilton Hotel in cui Reagan stava per tenere un
discorso durante una convention. Alle 13.30 del 29 marzo del 1981 John
Hinckley Jr sbuca fuori da una folla di sostenitori di Reagan e spara sei
colpi dal suo revolver che colpiscono il Presidente Reagan in pieno petto e
anche altri membri del suo staff. Hinckley viene immediatamente
arrestato. In seguito, nel 1982 venne internato in un ospedale psichiatrico
perché ritenuto incapace di intendere e di volere.
Il caso di Brad Pitt
Ma non solo le donne famose divengono vittime dei stalking. Anche
alcuni uomini famosi sono stati molestati. Athena Marie Rolando, 20 anni,
nel febbraio del 1999 viene infatti arrestata per aver violato i termini della
libertà sulla parola per un altro crimine e per aver violato un ordine di
restrizione che le impediva di avvicinarsi a Brad Pitt ed alla sua abitazione.
Alla ragazza dopo una serie di tentativi di avvicinarsi alla star, viene
ordinato di stare ad almeno 100 meri di distanza dall’attore che l’aveva
più volte denunciata già a partire dal 1996. Il 7 gennaio dello stesso anno
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infatti una delle domestiche di Pitt aveva trovato la Rolando che dormiva
in una delle camere del piano superiore della villa dell’attore con indosso
alcuni abiti di Pitt. Si era introdotta nell’abitazione attraverso una finestra
aperta sul retro. La Rolando era rimasta all’interno dell’abitazione per
almeno 10 ore prima di venire scoperta e aveva avuto modo di frugare
indisturbata tra gli oggetti personali dell’attore ed indossarne svariati
abiti ed indumenti. Pitt non era però a casa in quel momento perché era
in Grecia in visita ai parenti della fidanzata dell’epoca. Questa non era
certo la prima volta che la Rolando aveva tentato di avvicinare l’attore.
Nel periodo precedente infatti aveva lasciato tutta una serie di lettere e
messaggi dal contenuto bizzarro e minaccioso sul cancello dell’abitazione
di Brad Pitt già a partire dal settembre del 1996.
Il caso di Madonna
La rock star Madonna è una delle persone che ha dovuto più di una volta
“lottare” con molestatori assillanti….. Robert Dewey Hoskins, nato in
Oregon nel 1957, trsportatore, nel 1995 viene arrestato e condannato per
aver perseguitato, minacciato e tentato di uccidere la pop star americana
Madonna. Hoskins tenta di avvicinare Madonna per la prima volta nel
1995 quando scavalca le mura di recinzione dell’abitazione della cantante
a Los Angeles. Una volta nel giardino della pop star viene fermato da una
delle bodyguard ma Hoskins riesce a fuggire. Il giorno dopo avvicina
l’assistente personale di Madonna, Caresse Henry, per riferirle tutta una
serie di minacce rivolte contro la cantante. Lo stesso giorno lascia un
biglietto attaccato sul cancello principale dell’abitazione di Madonna in
cui professa tutto il suo amore per la cantante ed in cui le chiede di
diventare sua moglie. Qualche tempo dopo Hoskins tenta nuovamente di
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introdursi all’interno dell’abitazione della star ma viene nuovamente
intercettato dalla bodyguard. In quell’occasione Hoskins dice alla
bodyguard che lui è lì per tagliare la gola a Madonna “da un’orecchio
all’altro” se la cantante non avesse accettato di sposarlo quel giorno
stesso. Ciò accade proprio mentre Madonna sta tornando a casa sulla sua
bicicletta ma Hoskins non la riconosce e si allontana. A quel punto viene
contattata la polizia ma dell’aggressore nessuna traccia. 7 settimane più
tardi, il 29 maggio del 1995, Hoskins si introduce nuovamente all’interno
della proprietà di Madonna mentre lei però è a New York. Anche questa
volta però si imbatte nella guardia del corpo di Madonna che gli spara e lo
ferisce. Subito dopo Hoskins viene arrestato. Il processo si apre nel
gennaio del 1996. Madonna testimonia al processo il 2 gennaio e lamenta
tutta una serie di problemi fisici e psicologici causatole dalla persecuzione
subita da Hoskins. Il 9 gennaio, a dispetto dei tentativi della difesa di
dipingere Hoskins come un soggetto bisognoso di cure psichiatriche,
viene emesso un verdetto di condanna verso lo stalker di ben 10 anni. Ma
le disavventure di Madonna con gli stalker non sono finite. Nel 2002,
mentre Madonna è a Londra, un altro fan ossessivo della star, con un
passato di disturbi mentali, riesce a farsi assumere come gelataio
all’interno del teatro di posa in cui l’attrice sta lavorando ad un suo nuovo
video. Questa volta si tratta di Marcus Sessions, 28 anni. I reporter del
Sun riescono a scoprire il suo passato di stalking nei confronti della star e
pubblicano la notizia in prima pagina. I giornali riportano anche che
session aveva allestito un vero e proprio “santuario” della star all’interno
della sua abitazione e che era persino solito vestire come lei in privato.
Nel 2000 era tra i sospettati di un furto all’interno dell’abitazione della
star a Notting Hill ma nessuno venne arrestato per quella vicenda.
Naturalmente i gestori dello Wyndham Theatre di Londra, dove Madonna
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stava registrando, non erano a conoscenza del suo passato. Dal modo in
cui il biglietto era stato scritto si denota una sorta di delirio religioso ed
infatti Hoskins, sempre nella nota, scrive anche che coloro che si vestono
in maniera inappropriata dovrebbero essere puniti e che i “fornicatori”
dovrebbero essere uccisi.
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STALKING: UNA GUIDELINE DI INTERVENTO FORENSE
di Marco Strano
La realizzazione di linee-guida per l’intervento nei casi di stalking
rappresenta un obiettivo importante nell’ambito della comunità
scientifica. Il protocollo di intervento nei casi di stalking, progettato dallo
scrivente nel 2001, prevede l’intervento valutativo di una equipe
multidisciplinare che agisce con approccio progressivo ed equilibrato (a
fianco del Legale) composta dalle seguenti professionalità:
1. Investigativa (un investigatore privato)
2. Psicologico/psichiatrica (uno o più Psicologi/Psichiatri abilitati)
3. Medica (uno o più Medici Legali)
4. Tecnologica (un esperto di telefonia e computers)
Nei casi in cui non si manifesta un rischio imminente per l’incolumità
fisica della vittima si tenta inizialmente un percorso di risoluzione della
situazione attraverso un supporto psicologico della vittima e mediante un
progressivo intervento nei confronti dello/a stalker. I coordinatori delle
equipe che si occupano di stalking e che applicano il metodo proposto
dovrebbero infatti essere degli Psicologi iscritti all’Albo professionale con
provata formazione ed esperienza.
L’approccio al fenomeno stalking prevede i seguenti 6 steps:
1. Ricezione e valutazione della richiesta di aiuto;
59
2. Appuntamento al richiedente (entro 7 giorni dalla richiesta);
3. Primo colloquio: Presa in carico, compilazione di una scheda
informativa standardizzata e analisi collegiale del caso;
4. Secondo colloquio: erogazione dei primi consigli legali e psicocomportamentali;
5. Intervento strategico (in base al protocollo) attraverso l’invio a
Professionisti di area Legale e Psicologica convenzionati con
l’equipe.
6. Monitoraggio del caso ed erogazione di ulteriori consigli
I sei steps vengono indicati su una scheda diagnostica e trattamentale
(SDTS) che contiene parti strutturate e parti di libera compilazione. La
scheda SDTS (fornita gratuitamente su richiesta agli operatori e ai
professionisti) rappresenta una sorta di cartella clinica sul caso trattato e
contiene quindi sia le valutazioni diagnostiche iniziali che i risultati
dell’intervento. Il protocollo di intervento, che nasce in seno alle equipe
di volontari che operano sul territorio, può essere adottato anche dagli
Studi Legali privati che dovranno però stringere collaborazioni stabili con
Psicologi abilitati e specificatamente formati sulla tematica. In tale ottica
la mia equipe sta svolgendo da numerosi anni attività di formazione e
sensibilizzazione diffusa degli Avvocati e degli Psicologi in tutta Italia e
all’estero. L’obiettivo è quello di fornire strumenti di gestione psicologica
di casi particolarmente complessi e coinvolgenti quali sono abitualmente
quelli di stalking.
60
L’approccio alla vittima
Il contatto iniziale con una vittima di stalking è un momento
estremamente delicato da cui spesso deriva la decisione di affidarsi o
meno alla struttura ospitante. Nel protocollo adottato il primo colloquio
viene preso su appuntamento (telefonico), è gratuito e finalizzato a:
• Classificazione della vittima (ambivalenza, distorsioni cognitive ecc.)
in base a un’apposita griglia (griglia A, fornita gratuitamente ai
professionisti);
• Classificazione dello stalker in base a un’apposita griglia (griglia B,
fornita gratuitamente ai professionisti);
• Valutazione della eventuale psicopatologia stalker (fino al delirio di
possesso);
• Definizione di un profilo criminale dello/a stalker (la tipologia
criminale può comunque avere un substrato psicologico del
comportamento di stalking legato allo sfruttamento, al desiderio di
possesso, alla preservazione dell’autostima);
• Valutazione dell’incapacità di elaborazione del distacco/abbandono
da parte dello stalker;
• Valutazione del rischio della vittima (e dell’urgenza) in base a
un’apposita griglia (griglia C). La griglia C è rappresentata da una
speciale intervista strutturata (fornita gratuitamente su richiesta nel
corso di corsi di formazione per operatori).
Griglia di analisi C
La griglia C è uno degli strumenti dell’assessment sullo stalking (M.
Strano, 2001) e propone una analisi del rischio basata su tre categorie:
1. HR (high risk) Elevato: incolumità fisica della vittima;
61
2. MR (meaddle risk) Medio: incolumità psicologica della vittima,
modifiche radicali dello stile di vita della vittima;
3. LR (low risk) Basso: fastidio e parziale limitazione dei comportamenti
abitudinari della vittima.
L’urgenza dell’intervento dovrebbe essere definita in base alla
classificazione e quantificazione del rischio subito da parte della vittima:
• HR (high risk) elevato: azione legale (denuncia penale) immediata
(cautelare);
• MR (meaddle risk) medio: azione legale entro 30 gg;
• LR (low risk) basso: tentativi di risoluzione extragiudiziaria e azione
legale entro 6 mesi.
Nei casi che rientrano nel rischio medio e nel rischio basso l’obiettivo è
quindi quello di tentare – prima di giungere alla denuncia - risoluzioni
extragiudiziarie attraverso il supporto psicologico e la coscientizzazione
dello/a stalker mediante comunicazioni progressive prima informali e poi
sempre più formali.
Come si è detto le griglie di analisi A, B e C vengono fornite gratuitamente
agli operatori (Psicologi abilitati) nell’ambito di interventi specifici di
formazione.
Dopo la fase diagnostica e di inquadramento del problema, viene attivata
una fase di intervento che prevede le seguenti tipologie di azione:
A. Supporto psicologico alla vittima
• Psicologia di consultazione e Psicoterapia con la vittima;
62
• Contatti mirati di coscientizzazione con lo/la stalker attraverso
lettere legali e incontri con l’equipe;
• Incontri protetti tra vittima e stalker (approcci: terapia di coppia,
terapia sistemico-relazionale, terapia neorogersiana) per favorire un
distacco funzionale;
• valutazione medico-legale del danno subito dalla vittima.
B. Supporto legale alla vittima;
• training alla vittima sui comportamenti funzionali da tenere con
lo/la stalker;
• training per aiutare la vittima nell’acquisizione delle prove (per una
eventuale successiva denuncia);
• denuncia e azioni di richiesta di risarcimento;
L’Intervento strategico (step 5) viene suggerito anche in base alla
classificazione dello stalker:
• in caso di psicopatologia: tentativi di colloqui clinici con lo stalker (in
accordo con la vittima);
• in caso di scenario criminale (presenza di reati documentabili):
predisposizione e deposito immediato della denuncia (in accordo
con la vittima);
• in caso di incapacità dello stalker di elaborazione del
distacco/abbandono: colloqui con lo/la stalker e se opportuno
tentativi di incontri protetti (al cospetto dell’equipe) tra vittima e
stalker (in accordo con la vittima);
Il protocollo antistalking (M. Strano 2001) è uno strumento dinamico in
continua evoluzione in base alle esperienze e ai casi reali trattati.
63
Periodicamente vengono analizzati i casi trattati per integrarlo. Ogni caso
preso in carico dalle equipe periferiche viene trasmesso in forma anonima
alla sede centrale di Roma attraverso la compilazione di una scheda. Le
valutazioni di rischio e la classificazione di vittima e stalker, vengono
necessariamente fatte da coloro che svolgono i colloqui e che possono
quindi sfruttare anche il canale intuitivo. Nello stile della mia equipe,
però, il Gruppo centrale coordinato dal Direttore Scientifico si riserva la
facoltà di fornire indicazioni sull’opportunità di presa in carico e sulle
strategie da adottare. La raccolta centralizzata delle schede è utile anche
per eventuali pubblicazioni scientifiche e per documentare l’attività delle
equipe.
stalking: una guideline investigativa
A. Prima di presentare una querela per stalking è necessario per la vittima
reperire il maggior numero di prove che possano poi reggere in
dibattimento. Gli elementi probatori possono essere reperiti
autonomamente dalla vittima o sotto la supervisione (consigliata) di un
Investigatore privato abilitato alle indagini penali difensive. Questi gli
elementi che andrebbero acquisiti e conservati (e allegati alla denuncia):
1. messaggi SMS, messaggi face book, schermate di chat, twitter, email
e ogni altro messaggio elettronico acquisiti in forma forense;
2. tabulati telefonici;
3. filmati e fotografie della presenza dello/a stalker in prossimità
dell’abitazione;
4. registrazioni audio di telefonate (specificando all’interlocutore che si
sta registrando la conversazione);
64
5. documentazione fotografica di danneggiamenti, scritte sui muri e
altri segni della presenza dello/a stalker;
6. testimonianze scritte (e firmate) di azioni denigratorie dello stalker
fornite da parenti e conoscenti;
7. referti medici e psicologici di eventuali violenze subite.
B. Gli elementi probatori dovrebbero essere in grado di dimostrare che le
azioni poste in essere dallo/a stalker sono finalizzate alla persecuzione e
non hanno carattere di casualità;
C. L’elemento probatorio fondamentale da acquisire è legato alla
“reiterazione” del comportamento e sulla sua capacità (il più possibile
oggettiva) di provocare un disagio;
D. Sarebbe anche auspicabile che il Legale che assiste la vittima (qualora
le risorse economiche fossero sufficienti) desse un regolare mandato a un
Investigatore Privato (in possesso di regolare licenza per le indagini
penali) che possa effettuare una relazione tecnica corredata di
documentazione fotografica.
65
EX-PAZIENTI ED EX-CLIENTI: LO STALKING SUBITO DALLE FIGURE
PROFESSIONALI
Di Marco Strano
Il fenomeno dello stalking esaminato nel presente capitolo è quello che
trae origine da rapporti di tipo professionale: attività lavorative come
quella dello Psicologo, dell'Avvocato, del Giudice, del Docente, o del
Medico, possono favorire l'instaurarsi di comportamenti di stalking da
parte del cliente, sia per la natura intensa della relazione che si è creata
con il professionista, sia per l'eventuale delusione relativa all'esito di
un'azione intrapresa. Anche nello stalking professionale le minacce e le
persecuzioni possono arrivare fino all'omicidio della vittima. Elemento
degno di rilevanza criminologica e criminogenetica è quello secondo cui la
categoria vittimologica ad alto tasso di rischio di stalking risulta essere
quella denominata "help profession", ovvero tutte le professioni in cui gli
operatori si adoperano per aiutare gli altri, fra cui: medici, psichiatri,
psicologi, assistenti sociali. Sovente anche i poliziotti che svolgono servizio
al pubblico possono rientrare in questa categoria vittimologica. Alcuni
pazienti che molestano i loro terapeuti sono portati ad esempio a
scambiare come personale un interesse esclusivamente professionale,
pertanto, sperimentando la frustrazione che deriva da questa aspettativa,
iniziano ad attuare comportamenti intrusivi per stabilire un contatto; in
queste situazioni, i limiti imposti dalla relazione professionale, come ad
esempio gli orari degli incontri prestabiliti e le telefonate solo per
66
emergenza, vengono superati. Il paziente inizia a telefonare
insistentemente, invia lettere, si presenta a studio senza appuntamento,
ritenendo di non sentirsi compreso o di sentirsi trattato male. Un aspetto
rilevante è quello secondo il quale i professionisti di area psicologica sono
molto riluttanti ad ammettere di aver bisogno di un aiuto per poter
gestire la situazione, spesso per timore di essere ritenuti poco capaci dai
colleghi, e perdere quindi di credibilità, oppure negano il problema e
giustificano il paziente, attribuendo la molestia alla "malattia" del
paziente. L'incidenza di stalking nei confronti delle “help profession” si
può attribuire ad una serie di motivi, tra cui:
1. il professionista può diventare, nella mente del cliente, una persona
"buona" o "cattiva", e sulla base di tali fantasie egli può dare origine
a dei comportamenti "assillanti e molesti" nei confronti dello stesso,
allo scopo di attirare l'attenzione e non separarsi mai da lui; gli
incontri con il professionista sono attesi ed auspicati dal cliente
come un momento positivi ed ansiogeno;
2. questi professionisti entrano in contatto con i bisogni più profondi
del cliente, pertanto, possono divenire più facilmente oggetto di
proiezioni, affetti e fantasie a diverso contenuto da parte dello
stesso, tanto che, la riconoscenza si può trasformare
progressivamente nel desiderio di un legame affettivo/amicale del
quale non si può fare a meno.
Come affermato da numerosi studiosi del settore (Popolla P.), è proprio
dal concetto di bisogni da soddisfare da cui occorre partire per meglio
comprendere cosa spinge un soggetto a perseguitare, fino all'aggressione
fisica, un'altra persona: lo psicologo statunitense A. Maslow, tra il 1943 e
il 1954 teorizzò la cosiddetta "piramide dei bisogni", che caratterizzano il
67
comportamento umano, da quelli più elementari, o fisiologici, che
riguardano la sopravvivenza, a quelli più complessi che sono di carattere
sociale. Nello stalking possiamo individuare alcuni di questi bisogni che
sono quello di comunicare, di instaurare delle relazioni, di essere
ascoltato. Nelle professioni d’aiuto il cliente normalmente viene ascoltato
con attenzione dal professionista che di fatto soddisfa con efficacia il
bisogno di comunicare del cliente. In soggetti con quadri critici di
personalità, tali bisogni possono essere molto pressanti perché il soggetto
non riesce a soddisfarli in una maniera adeguata al di fuori della relazione
terapeutica, poiché presenta dei disturbi relazionali e, pertanto, la
frustrazione che deriverebbe da un rifiuto “dall’unica persona al mondo
che lo ascolta” sarebbe intollerabile. Progressivamente il soggetto non
riesce a fare a meno di quella persona e lo spazio dell'altro diventa allora
il suo terreno di conquista. Esistono in letteratura numerosi casi di
stalking ai danni di professionisti, ma ciò che li accomuna è la presenza di
una anomalia relazionale, che trae la sua origine in equivoci ed
incomprensioni nei rapporti e nella non accettazione della risoluzione del
rapporto da parte del cliente. Lo stalking delle professioni d’aiuto è
comunque un fenomeno ancora oscuro ma di interesse oggettivo per il
professionista. Le categorie maggiormente a rischio sembrano essere
quelle che “risolvono problemi”, che riducono il dolore fisico e psichico,
che offrono un supporto e un aiuto. Psicolgi, Medici, Fisioterapisti,
Poliziotti ma anche Avvocati e altri professionisti che raggiungono un
rapporto stretto con il paziente/cliente/cittadino. Gli studi sul fenomeno
dello stalking nelle professioni d’aiuto sono comunque abbastanza rari e
poco sistematici. Il professionista avrà vantaggi a conoscere il problema e
a imparare a ridurre le conseguenze negative. Si ha motivo di ritenere che
molti professionisti subiscono tentativi di intrusione (molesti) nella loro
68
sfera privata e che alcuni loro utenti tendano a far “virare” la relazione
professionale in relazione amicale creando loro un disagio. Spesso ciò
rimane nell’ambito del numero oscuro. Alcuni di questi casi sono però
molto fastidiosi per il professionista e possono provocargli danni notevoli
di immagine, relazionali, economici e fisici.
Dimensioni psicologiche delle professioni d’aiuto
L’utente nel rapporto con un professionista ottiene:
1. Soddisfazione del bisogno di comunicare (Maslow), di essere
ascoltato;
2. Acquisizione (e tentativo di mantenimento) del ruolo ritenuto
soddisfacente nella interazione/relazione. L’utente indica uno
scenario e il professionista “esegue”.
Lo stalker può compiere diverse azioni per tentare di entrare nella vita
privata del professionista, sia mentre il rapporto professionale è ancora in
corso che in previsione della fine di tale rapporto:
1. Azioni per entrare nella vita personale (nella sfera privata) del
professionista al fine di ottenere un canale privilegiato e poter
disporre di lui al di fuori del contesto/orario di prestazione
professionale normale;
2. Azioni per entrare nella vita personale (nella sfera privata) del
professionista per mantenere un contatto/relazione anche dopo la
fine dell’interazione professionale.
Dall’esperienza operativa sono emerse due fasi ricorrenti nel corso delle
quali lo stalker tenta prima un avvicinamento e, se non ci riesce, tenta poi
69
di sminuire o addirittura “distruggere” la sua vittima. E’ importante
saperle individuare:
• Fase di avvicinamento/seduzione
• Fase di sminuizione/distruzione (che in alcuni casi è giunta
all’omicidio del professionista).
Case study: L’omicidio della D.ssa Monica Moretti.
Le professioni sanitarie implicano spesso un rapporto profondo con il
paziente. Alcune strutture di personalità (es. dipendente) possono vivere
il distacco come un vero e proprio trauma e imputano al professionista la
responsabilità di avergli provocato tanto dolore. Lo stalking ai danni di
professionisti di area sanitaria è sfociato in alcuni casi nell’omicidio del
professionista, come nel caso di Monica Moretti, medico urologo di 38
anni, nubile, che lavorava presso l’ospedale Santissima Annunziata di
Sassari. Una ragazza mora, piccola di statura ma piuttosto avvenente, che
viveva a Sassari, da sola, in una mansarda in via Amendola n. 13. Il
cadavere viene trovato nel pomeriggio del 23 Giugno 2002. La porta
dell’appartamento non risulta forzata. La vittima indossa soltanto un
bikini. Il corpo è stato trovato in camera da letto riverso sul materasso
con ancora il coltello trafitto in gola mentre il materasso stava prendendo
fuoco. Nella camera da letto non vi è traccia di lotta; sono spariti però il
telefono cellulare della vittima ed il telefono fisso con la segreteria.
Vengono trovate tracce di sangue non compatibili con quello della
vittima. I vicini affermano che verso le 14.30 di Domenica hanno sentito
provenire dall’appartamento della vittima rumori ed urla che facevano
pensare ad un violento litigio. Mezz’ora dopo una inquilina ha visto del
fumo uscire dalla porta esterna dell’appartamento ed ha chiamato i vigili
70
del fuoco. Intervenuti sul posto sono stati proprio questi ultimi a trovare il
cadavere della dottoressa. L’assassino è Raimondo Gaspa, 31 anni,
incensurato, separato, senza un lavoro fisso, un figlio di 9 anni disabile.
Gaspa aveva conosciuto l’urologa (che lo teneva in cura) in ospedale nel
marzo del 2002 e aveva cominciato a perseguitarla al punto che la
dottoressa aveva deciso di andare a sporgere denuncia contro l’anonimo,
per lei, molestatore. Gli investigatori risalgono all’assassino grazie ai
tabulati telefonici della vittima. Davanti all’evidenza Gaspa non ha potuto
fare altro che confessare l’omicidio.
Una guideline diagnostica
La capacità di individuare il livello di intrusività dello stalker è importante
per progettare degli interventi di prevenzione e contenimento. Per
esigenze tassonomiche (ma anche operative) proponiamo diversi possibili
livelli di intrusività:
• LEVEL 1: l’utente non rispetta le prescrizioni formali dettate dal
rapporto (non rispetto degli orari, presentarsi senza appuntamento,
“dare del tu”, manipolazione oggetti personali del professionista,
entrare nello spazio intimo, contatto fisico, richiesta amicizia face
book e following twitter, telefonate fuori orario ecc.);
• LEVEL 2: l’utente entra nel merito di questioni private del
professionista con domande e verifiche;
• LEVEL 3: l’utente si avvicina (tenta un contatto) il professionista in
luoghi e contesti esterni allo studio/ufficio;
• LEVEL 4: l’utente tenta di creare difficoltà nel rapporto di coppia e/o
con i colleghi d’ufficio per avere “campo libero” e subentrare come
partner/amico;
71
• LEVEL 5: l’utente opera azioni distruttive nei confronti del
professionista (invio di esposti anonimi, false denunce, simulazione
di reati, danneggiamenti di beni, minacce, omicidio).
Le situazioni che connotano i vari livelli di rischio possono manifestarsi
progressivamente o subito tutte insieme.
Strumenti di avvicinamento da parte dell’utente
Lo stalker può inizialmente utilizzare diversi metodi per avvicinarsi alla
vittima e raggiungere un livello di confidenza utile ad attivare un legame.
Una delle strategie preventive fondamentali è il riconoscimento
anticipatorio di situazioni e comportamenti che possono poi “virare” in
forme persecutorie:
1. Affetto-simpatia-complimenti;
2. Interesse per le problematiche personali del professionista;
3. Inviti ad attività esterne (bar, cene ecc.);
4. Regali (oggetti);
5. Seduttività su base sessuale.
E’ quindi importante, in ottica preventiva e contentiva, saper individuare
prontamente tali comportamenti.
Comportamento del professionista e attivazione dello stalking
Uno degli elementi fondamentali nella prevenzione/contenimento dei
contesti di stalking nelle professioni d’aiuto è la possibilità di individuare
delle variabili significative nel comportamento della vittima. Esiste un
comportamento volontario/conscio del professionista che possa in
72
qualche modo attivare l’azione di stalking? O la questione è tutta
racchiusa nel profilo psicologico/psicopatologico dell’utente? Dipende
dalla quantità e tipologia di investimento affettivo e coinvolgimento
emotivo dell’utente? Può incidere la natura del problema dell’utente?
Influisce solo l’efficacia della soluzione fornita dal professionista o anche
la modalità di relazione umana che si costruisce tra i due?
La prima cosa che viene spesso imputata al professionista vittima di
stalking è di avere troppa confidenza con l’utente, favorendo così il suo
attaccamento patologico. Ma questo non è sempre vero. La presenza di
azioni/atteggiamenti
in
area
rossa
(amicalità/confidenzialità),
73
sembrerebbe non sia sempre significativa per l’instaurarsi di un
attaccamento anomalo da parte dell’utente. Nelle ricerche svolte dallo
scrivente (ad esempio nella ricerca pilota condotta nel 2012) sono stati
individuati scenari di attaccamento anomalo anche in casi in cui il
professionista si è limitato ad erogare un servizio (professionalmente
soddisfacente) in maniera assolutamente asettica e rimanendo
rigidamente all’interno dei confini dell’intervento tecnico-professionale.
In altri termini se qualcuno vi solleva da un problema/dolore/angoscia,
normalmente siamo riconoscenti e la riconoscenza è una dimensione
affettiva. La riconoscenza non dipende quindi dall’atteggiamento del
nostro “salvatore” ma in prevalenza dalle sue azioni che oggettivamente
ci hanno provocato beneficio.
Indicatori della psicopatologia dello stalker
Non c'è una diagnosi psichiatrica in letteratura, non ci sono segnali
inequivocabili (sintomi apprezzabili dall’osservazione superficiale) che
consentano di capire con certezza che una persona è uno stalker all’inizio
della relazione professionale. Occorre quindi concentrarsi su indicatori
comportamentali oggettivi (dei tentativi di intrusione nella vita privata del
professionista) che possono manifestarsi durante la relazione
professionale. Tali tentativi vanno ostacolati con garbo gestendo la
situazione con consapevolezza e segnalando immediatamente la
situazione attraverso relazioni scritte e datate. Lo stalking presenta
numerose sfaccettature e non sempre è ascrivibile a conclamati disturbi
psichiatrici; tuttavia esistono dei quadri personologici critici che possono
rappresentare un fattore di maggior rischio riguardo l'instaurarsi di una
relazione professionista/cliente caratterizzata dalla possessività e dal
74
timore del distacco; tali quadri sono rappresentati da soggetti dipendenti,
dai paranoici, dai depressivi, e da soggetti con bassa autostima. Si può
comunque affermare che quasi sempre l’instaurarsi di un rapporto
patologico tra professionista e cliente (stalker), fonda le sue basi su di una
incapacità/possibilità da parte di quest’ultimo di stabilire e mantenere
una relazione interpersonale basata sulla mera fruizione di un servizio ed
accettarne poi la necessaria interruzione. Non si può però attribuire
importanza alle sole caratteristiche di personalità, psicologiche o
psicopatologiche dell'autore, ma occorre evidenziare anche alcune
condizioni socio-ambientali e di vita, che possono rappresentare delle
concause significative nella manifestazione del comportamento di
stalking: facciamo riferimento a condizioni di solitudine, all'uso/abuso di
alcol e droghe, alla presenza di ambienti familiari altamente conflittuali.
Strategie di prevenzione
Le azioni possibili sul piano preventivo da parte del professionista,
riguardano quindi solo in parte l’auto monitoraggio nel corso della
relazione professionale che dovrebbe essere sufficientemente distaccata
per evitare di ingenerare equivoci. Quello che invece sembra essere
fondamentale è il monitoraggio dell’utente per cogliere indicatori di
rischio. Ma allora, quando un professionista che ha modi gentili
percepisce che l’utente sta sviluppando delle modalità di attaccamento
patologico è sufficiente modificare l’atteggiamento rendendolo più
ruvido/scostante/antipatico? I comportamentisti dicono di no.
Soprattutto se inizialmente l’atteggiamento era amichevole, un cambio
repentino e altalenante può sortire l’effetto opposto. (Il rinforzo
intermittente). La strategia di prevenzione proposta dallo scrivente
75
necessita della capacità del professionista (incrementata attraverso
percorsi di formazione mirata) di cogliere segnali anticipatori del
degenerare del rapporto professionale, l'adozione di un codice di
condotta che si pone come obiettivo la riduzione dei rischi connessi allo
stesso, strategie e tecniche di “autotutela” da adottare quando il
rapporto professionale è già degenerato e si è manifestato lo stalking. Il
professionista può quindi incrementare la sua capacità di prevenire e
gestire casi di stalking ai suoi danni con un’apposita formazione. Lo
scrivente ha progettato una specifica una guideline e propone corsi di
formazione rivolti a diversi professionisti, coinvolgendo anche i diversi
Ordini professionali.
Autotutela del professionista
Quando il professionista si rende conto che l’utente sta generando delle
modalità di attaccamento patologiche è necessario come prima cosa
attivare un’azione di autotutela, cercando di documentare il più possibile
l’atteggiamento disfunzionale dell’utente. In primo luogo informando
colleghi e superiori ma anche attraverso atti formali nelle situazioni più a
rischio (relazione di servizio, registrazione dei colloqui, presenza di
testimoni agli incontri ecc.). Documentare a posteriori alcune situazioni
può infatti essere a volte complicato. Contemporaneamente è necessario
attivare un disinnesco della situazione attraverso la facilitazione
nell’elaborazione del lutto, favorendo un distacco progressivo,
coinvolgendo se necessario altri professionisti nella relazione con l’utente
(relazione che diviene meno esclusiva e quindi meno invischiante).
Comportamenti aggressivi e scostanti non sono necessariamente efficaci.
Fondamentale informare i familiari (soprattutto il partner) della
76
situazione al fine di prevenire contrasti che potrebbero manifestarsi
quando lo/a stalker organizza delle attività mirate a minare il rapporto di
coppia del professionista.
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STALKING NELLE PROFESSIONI D’AIUTO: UN’INDAGINE ESPLORATIVA
di Chiara Badalamenti
Il fenomeno dello stalking viene definito per la prima volta nella norma
giuridica italiana attraverso il D.L. 11/2009 con cui il legislatore disciplina
il reato introducendolo tra i delitti contro la libertà morale attraverso il
nuovo art. 612-bis c.p. per il quale è punito con reclusione da sei a
quattro anni “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta
taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o paura
ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un
prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione
affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di
vita”. La normativa penale italiana, prima dell’introduzione del D.L.
11/2009, si era rivelata inadeguata nella tutela delle vittime di molestie
assillanti, in quanto riconduceva gli atteggiamenti ed i comportamenti
tipici dello stalking all’interno di altre fattispecie giuridiche disciplinate dal
codice penale, come per esempio calunnia, minaccia, danneggiamento,
violenza privata, ecc. Da quanto emerge dai vari studi che la letteratura
ha offerto negli ultimi anni, lo stalking si configura come un fenomeno
patologico di tipo relazionale, anche se risulta necessario non pensare a
tale fenomeno come una nuova patologia, ma come una nuova
sistematizzazione di fatti e condotte già esistenti e noti che in precedenza
non riuscivano a trovare una collocazione e categorizzazione oltre che
scientifica, anche giurisprudenziale. La condotta molesta, secondo gli
78
esperti, generalmente trova una sua genesi all’interno di incomprensioni
ed equivoci nati da una relazione sentimentale o amorosa di tipo intimo,
per esempio nella non accettazione dell’interruzione di un rapporto di
coppia da parte di uno dei due soggetti che vi partecipano, assumendo la
tipica forma di stalking post-relazionale. In realtà però le evidenze degli
ultimi anni sottolineano l’incremento della prevalenza del fenomeno dello
stalking all’interno di un altro spettro relazionale, ovvero quello relativo
alla relazione tra professionista e cliente/paziente/utente, con particolare
attenzione alle categorie professionali che possono essere definite
“professioni d’aiuto”, includendo in tale categorizzazione occupazionale
una ampia classe di lavoratori che, proprio per le caratteristiche
intrinseche della professione che esercitano, si ritrovano a risolvere
problematiche che a vario titolo e con diversa gravità si manifestano nella
vita del paziente/cliente/utente, causandogli una condizione di notevole
disagio, tanto da richiedere l’aiuto, il supporto e l’intervento di un
professionista che possa trovare una soluzione alla luce delle sue
specifiche competenze. Gli specialisti che svolgono professioni d’aiuto
possono essere fraintesi da parte dei loro pazienti/clienti/utenti, che
potrebbero interpretare le attenzioni rivolte al “caso” come uno speciale
interessamento privato e personale, riversando sul professionista un
interesse di tipo romantico, che può essere fomentato dall’atteggiamento
cortese e accogliente del professionista. Così l’attività persecutoria del
soggetto viene perpetuata all’interno della vita privata dello specialista
oggetto di interesse, partendo da una condizione semplicemente legata al
rapporto professionale. Elementi scatenanti la modifica del
coinvolgimento da parte del soggetto da un rapporto strettamente
professionale e lavorativo ad uno maggiormente intimo e privato può
ricollegarsi alla volontà da parte dell’utente di ottenere un canale
79
comunicativo privilegiato con l’esperto o da un interesse che va oltre il
semplice rapporto lavorativo, e dunque l’intenzione di intraprendere una
relazione sentimentale, incrementata dal fascino esercitato dalla
posizione di rilievo sociale del professionista. Tutto ciò risulta in linea con
la maggior parte dell’evidenza empirica degli ultimi anni che sottolinea
come buona parte degli stalker che conducono attività di tipo
persecutorio e rivolgono attenzioni ossessive verso uno specialista,
appartengono alla categoria dei ricercatori di intimità o degli
incompetenti. Gli autori Mullen, Pathé, Purcell et al. (1999), attraverso
uno studio su un consistente campione di stalkers, hanno creato una
classificazione di cinque diverse tipologie molestatori:
1. Stalker rejected/rifiutati: che hanno messo in atto attività persecutoria
in seguito alla rottura di un legame intimo;
2. Stalker intimacy seeking/ricercatori di intimità: soggetti che ritengono
che la propria vittima sia il loro “vero amore”;
3. Stalker incompetent/incompetenti: perseverano nella ricerca ossessiva
dell’altro nonostante la consapevolezza di non essere ricambiati;
4. Stalker resentful/risentiti: vogliono spaventare o provocare angoscia
nella vittima;
5. Stalker predatory/predatori: traggono piacere dal prefigurarsi la
persecuzione e dal potere che ne deriva.
Partendo da tali presupposti, risulta evidente come professionisti
esercitanti il lavoro di medico, psicologo o operatore della salute mentale,
vivano una condizione di maggiore esposizione al rischio di divenire
vittime di stalking da parte dei propri pazienti, in quanto si relazionano
con evidente frequenza con soggetti portatori di disturbi psichici, emotivi
e/o comportamentali di vario genere che possono veicolare ed essere
80
causa di false interpretazioni del rapporto professionale oltre che di
convinzioni deliranti riguardo interessi romantici dei professionisti, o di
irrealistiche e inappropriate aspettative di intimità con il proprio clinico,
quando questi, al contrario, sta svolgendo esclusivamente il proprio ruolo
professionale all’interno della relazione terapeutica. I pazienti possono
inoltre diventare degli stalker risentiti quando si percepiscano come
vittime di irregolarità o mancanze da parte del professionista che li ha in
cura, sviluppando del rancore nei suoi confronti che potrebbe portare
all’attuazione di minacce o altri comportamenti assillanti. Medici,
psicologi e professionisti della salute mentale potrebbero essere portati a
minimizzare l’entità e la gravità di comportamenti assillanti o aggressivi
persistenti a causa della frequente necessità di confrontarsi con tali
comportamenti all’interno della pratica clinica quotidiana, o potrebbero
ritenere che tali condotte possano risolversi all’interno della pratica
clinica nel tentativo di ottenere un esito trattamentale positivo.
Potrebbero inoltre svilupparsi sentimenti di colpa o di inadeguatezza
riguardo al proprio ruolo professionale, che porterebbero lo specialista ad
evitare il confronto con le forze dell’ordine o con il sistema giudiziario
penale, insistendo nel mantenere la gestione del problema solo
all’interno e nei limiti della relazione clinica. Lo stalking nelle professioni
d’aiuto è un rischio professionale comune, ma rimane sottostimato
nonostante possa anche provocare lo sviluppo di importanti
problematiche personali, sociali e professionali nel clinico che ne diviene
vittima, il quale, nei casi più gravi, potrebbe persino sviluppare una
sintomatologia associabile al Disturbo Post-Traumatico da Stress DPTS (o,
in inglese PTSD, Post-Traumatic Stress Disorder). Nel Disturbo PostTraumatico da Stress (DPTS) si ha una risposta estrema ad un fattore
fortemente stressogeno, che comporta un incremento notevole del livello
81
d’ansia, l’evitamento degli stimoli associati al trauma e un indebolimento
della reattività emozionale.
Analisi della letteratura scientifica in materia
Uno dei primi studi riguardanti lo stalking professionale è stato svolto nel
1996 da Romans et al. dimostrando come all’interno di un centro di
counselling universitario, ben il 6% degli impiegati fosse stato vittima di
stalking in senso stretto, mentre il 64% degli intervistati riferiva di aver
subito una molestia di qualche tipo. Nel 1997, all’interno di una ricerca in
cui i soggetti dovevano auto-riferirsi come vittime di stalking, Pathé e
Mullen riscontrano che tra coloro che riferivano di aver subito condotte
moleste persistenti, i medici e in generale i professionisti della salute
erano sovrarappresentati. Sandberg, McNiel e Binder, in una ricerca del
1998 sottolineano come i soggetti che tipicamente attuavano condotte
moleste nei confronti dello staff medico dopo la dimissione erano
soggetti con patologie di personalità gravi e/o disturbo paranoide, o deliri
erotomanici. I dati suggeriscono che essi avevano più probabilità di essere
di sesso maschile e di non essere sposati e di avere una storia clinica di
ospedalizzazioni multiple, tentati suicidi o comportamenti autolesivi,
abuso di sostanze o dipendenza. Nel 2001 Purcell et al. dimostravano
come fossero soprattutto stalkers donne a indirizzare le loro attenzioni
ossessive nei confronti della categoria professionale, mentre in uno
studio del 2005 sostengono, in linea con la ricerca del 1998, che siano
soprattutto i pazienti di sesso maschile a rendere vittima di molestie
l’èquipe medica che ha avuto in cura il soggetto stesso. Sempre Sandberg,
McNiel e Binder, nel 2002, attuano uno studio su un campione di soggetti
facenti parte di uno staff ospedaliero per determinare con quale
82
frequenza i professionisti dell’ospedale fossero vittime di stalking,
minacce o comportamenti molesti da parte dei pazienti, dimostrando
come il 53% dei professionisti fossero stati vittima di qualche tipo di
molestia durante la loro carriera. Il 3% degli intervistati aveva fatto
esperienza di stalking così come previsto dalla definizione giuridica e
normativa. Gentile et al. (2002) in uno studio su un campione di psicologi
americani documentano che il 10% degli intervistati aveva subìto molestie
durante la propria carriera, dimostrando che anche la categoria
professionale degli psicologi è esposta ad un rischio elevato. Inoltre i dati
sottolineano come non vi fossero caratteristiche specifiche dello
psicologo tali da indurli a divenire vittima di stalking, tali specialisti hanno
successivamente assunto misure di sicurezza maggiori rispetto agli altri
colleghi e il paziente che attuava condotte moleste era in genere un
soggetto con disturbo dell’umore e/o diagnosi di disturbo di personalità o
disturbi relazionali con esordio nell’infanzia. Anche Purcell et al., nel 2005,
indagano l’incidenza dello stalking nei confronti di psicologi australiani,
evidenziando come il 19,5% degli intervistati avesse subìto
comportamenti molesti da parte dei pazienti per un periodo di tempo
equivalente o superiore alle due settimane. Gli specialisti riferivano che lo
stalking era derivante da sentimenti di risentimento (42%) o da una
infatuazione (19%), e, la maggior parte dei professionisti, ha modificato la
sua pratica professionale in conseguenza dell’aggressione, considerando
(nel 29% dei casi) di abbandonare la professione. In una ricerca svolta nel
Regno Unito (McIvor 2008) è risultato evidente come il 21% degli
psichiatri intervistati fosse stata vittima di stalking da parte di uno o più
dei propri pazienti, questi risultavano essere soprattutto uomini con
disturbo di personalità. Abrams e Robinson nel 2011 prendono in esame i
medici operanti all’interno di un’area urbana del Canada e dimostrano
83
come il 15% degli intervistati fosse stato vittima di stalking soprattutto da
parte di pazienti che avevano sviluppato nei confronti del clinico
sentimenti di rabbia o risentimento o, al contrario, una sorta di
innamoramento. Così come in altre parti del mondo, anche in Irlanda uno
studio condotto nel 2012 ha dimostrato come il 25% dei clinici intervistati
fosse stata in qualche modo, durante la sua carriera, vittima di molestie
assillanti da parte di uno o più dei suoi pazienti. Le ricerche svolte in Italia
riguardo lo stalking nei confronti di professionisti delle relazioni d’aiuto
non sono molte anche se è bene menzionare quella svolta dal gruppo di
ricerca di Galeazzi (2005) che ha riscontrato che un terzo dei
professionisti intervistati, tra cui medici, psichiatri, infermieri e psicologi,
tutti professionisti della salute mentale, era stato vittima di un qualche
tipo di molestia o stalking da parte di un paziente, in particolare ne
risultava vittime soprattutto il personale infermieristico. Nel 2006 sempre
Galeazzi et al. evidenziano come non sia possibile effettuare un confronto
tra i vari studi che analizzano il fenomeno dello stalking nei confronti dei
clinici a causa dell’utilizzo di diverse definizioni operative che ostacolano il
confronto tra le varie ricerche. Marco Strano nel 2012 propone una serie
di guideline operative per riconoscere anticipatamente i pazienti che
tendono a rapporti invischianti e persecutori. Tuttavia la maggior parte
degli studi mette in luce in modo inequivocabile il rischio di
vittimizzazione professionale, mentre le strategie di prevenzione e di
intervento non risultano ancora applicate all’interno dei contesti
professionali e lavorativi.
84
Una ricerca esplorativa sullo stalking nelle professioni d’aiuto
Il gruppo di ricerca italiano facente riferimento al professore Marco
Strano ha promosso a partire dal 2011 una prima indagine esplorativa sul
fenomeno dello stalking all’interno delle professioni d’aiuto presso la città
di Palermo (e altre città in Italia). L’obiettivo della ricerca è stato quello di
far luce su uno degli aspetti più significativi del comportamento di stalking
nei confronti dei professionisti, e cioè l’incidenza delle condotte moleste
in riferimento a determinate categorie professionali che per motivazioni
intrinseche alla loro attività lavorativa devono instaurare un rapporto
empatico ed accogliente con il paziente/cliente/utente. Da una prima
ricerca pilota, condotta dalla Dott.ssa Gabriella Marchese (Psicologa
dell’equipe del Prof. Strano) all’interno della città di Palermo,
comprendente cinque categorie professionali: avvocati, commercialisti,
psicologi/psicoterapeuti/psichiatri, medici e fisioterapisti, è emerso che le
ultime tre categorie di specialisti erano maggiormente colpite da
comportamenti molesti da parte della loro utenza. Successivamente si è
stabilito di ridurre il campione da indagare alla specificità della relazione
di
cura
clinica
tra
medico
e
paziente
e
tra
psicologo/psichiatra/psicoterapeuta e paziente, poiché si caratterizza per
elementi di specificità che possono indurre il soggetto a sviluppare con
maggiore facilità una sorta di dipendenza relazionale dal clinico, essendo
in gioco problematiche relative alla salute fisica o psichica del paziente
che ne amplificano risonanze e implicazioni emozionali individuali.
Obiettivo primario della ricerca è stato quindi l’indagine sull’incidenza del
fenomeno dello stalking all’interno delle professioni d’aiuto prettamente
cliniche mettendo in luce nello specifico le modalità attraverso cui il
molestatore attuava il comportamento di stalking e quali fossero le
reazioni del clinico derivanti dalla necessità di ridurre il malessere
provocato dalla perpetuazione di tali comportamenti da parte del
paziente. La ricerca ha previsto l’utilizzo del Questionario sulla
Valutazione dell’Incidenza Sociale dello Stalking Professionale (QVISSP)
strumento pilota ideato dal professore Marco Strano (2011),
85
somministrandolo ai partecipanti attraverso la tecnica dell’intervista
strutturata, escludendo la possibilità di procedere attraverso la tecnica
dell’autocompilazione. Tale modalità di somministrazione prevede
l’esposizione delle domande agli intervistati secondo un ordine fisso, nella
stessa modalità di somministrazione e nella stessa sequenza. Si tratta di
un approccio che permette di raccogliere informazioni in modo
standardizzato, ma anche di ottenere delle risposte aperte e
destrutturate.
Il questionario è suddiviso in quattro sezioni:
• la prima parte indaga le caratteristiche demografiche del campione
di professionisti (età, sesso e professione), necessaria alla
compilazione della statistica generale riguardante l’incidenza del
fenomeno;
• la seconda parte analizza se il professionista è stato vittima di
comportamenti molesti e attraverso quali specifiche modalità tale
condotta è stata svolta dal molestatore, in modo da rilevare, per
quanto possibile, le peculiarità del caso.
• La terza parte indaga quali sono le reazioni e i cambiamenti che il
professionista ha dovuto adottare nella propria vita, sia privata che
lavorativa, per contenere l’ingerenza effettuata dal paziente nella
sua vita.
• La quarta parte fa riferimento ai dati demografici dello stalker.
La compilazione del questionario avviene in forma del tutto anonima e
richiede un impegno temporale di 5-10 minuti per questionario. Il
protocollo è stato somministrato ad un campione di 100 professionisti
delle relazioni d’aiuto suddivisi in 50 medici (non psichiatri) e 50
psicoterapeuti operanti la loro attività lavorativa nella città di Palermo. I
86
medici intervistati sono stati selezionati in modo casuale all’interno dei
diversi dipartimenti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “P.
Giaccone” di Palermo ed in alcuni uffici della Az. Sanitaria Provinciale N. 6
della città. Gli psicologi/psicoterapeuti sono stati selezionati in modo
casuale all’interno di diversi studi di psicologia ubicati nella città di
Palermo. Il campione generale era composto per il 59% da professionisti
di sesso femminile (32 psicologi/psicoterapeuti/psichiatri e 27 medici) e
per
il
41%
da
professionisti
di
sesso
maschile
(18
psicologi/psicoterapeuti/psichiatri e 23 medici). Non sono stati stabiliti
criteri di esclusione dal campione di ricerca. La somministrazione dei 100
protocolli e la successiva elaborazione dei dati hanno permesso di rilevare
che il 27% di professionisti è o è stato vittima di molestie assillanti, da
parte di uno o più tra i suoi pazienti, mentre il restante 73% non ha mai
ricevuto comportamenti molesti di alcun tipo. Dei 27 professionisti che
sono risultati vittime di stalking il 59% è di genere femminile, mentre il
41% di sesso maschile. Per ciò che concerne il genere dei molestatori, il
63% è di sesso femminile, il restante 37% è di genere maschile.
Dall’analisi dei dati è emerso, inoltre, che il professionista di sesso
maschile riceve più frequentemente molestie da parte di pazienti di sesso
femminile (82% dei casi), ma può subire stalking anche di pazienti del
proprio sesso (18%). I professionisti di genere femminile subiscono
molestie da soggetti di entrambi i sessi in percentuali identiche (nel 50%
dei casi da parte di uomini e nel 50% dei casi da parte di altre donne). Un
dato rilevante fa riferimento alla distribuzione dell’attività di stalking
rispetto all’età e al genere del molestatore. In particolare, dai dati risulta
che mentre le donne attuano molestie assillanti in età più giovanile, gli
uomini si presentano con maggiore frequenza nelle fasce di età più
mature. Attraverso lo studio delle risposte fornite dai clinici che hanno
87
subìto molestie assillanti da parte dei loro pazienti è stato possibile
ricostruire le modalità attraverso cui il comportamento di stalking veniva
effettuato da questi ultimi. Nel dettaglio è risultato che sia uomini che
donne mettono in atto soprattutto chiamate telefoniche nei confronti
della loro vittima sia in riferimento a problematiche e questioni relative al
rapporto professionale, sia per motivi non legati alla relazione clinica.
Altri comportamenti molto frequenti, in particolare quelli attuati da
pazienti donne nei confronti di clinici di sesso maschile, sono l’invio di sms
ed e-mail a contenuto dichiaratamente seduttivo, la ricerca di contatti
con il clinico attraverso il mondo del web tramite il social-network
“facebook”, l’incontro con il clinico in luoghi da lui abitualmente
frequentati. In nessun caso si è verificato l’appostamento sotto
l’abitazione del professionista, mentre con poca frequenza sono state
attuate minacce e comportamenti aggressivi nei confronti del clinico, in
maniera evidente nei casi di clinici di sesso maschile e stalker donne,
risultato questo che va in contraddizione con quanto evidenziato dagli
studi presenti in letteratura. In seguito all’essere divenuti oggetto di
molestie da parte dei loro pazienti alcuni specialisti hanno vissuto
situazioni spiacevoli, nel dettaglio:
• il 33% sostiene di essere stato distratto dall’attività professionale a
causa delle molestie;
• il 30% riporta di aver subìto situazioni di imbarazzo davanti ad amici,
parenti e/o conoscenti;
• il 26% dei clinici vittime di stalking ha vissuto condizioni d’ansia;
• il 19% ha interrotto il rapporto professionale subendo, quindi, una
perdita economica;
• infine, l’11% tra i professionisti che hanno subìto molestie assillanti
ha avuto dei conflitti con il proprio partner.
88
Buona parte dei professionisti riporta, inoltre, di aver dovuto modificare
alcune abitudini inerenti sia alla vita professionale – come non rispondere
a chiamate provenienti da numeri di telefono anonimi, cambiare numero
di lavoro o gli orari di presenza in studio – che alla vita privata – come
cambiare numero di telefono personale ed evitare luoghi abitualmente
frequentati per non correre il rischio di incontrare il molestatore. Solo il
26% tra gli psicologi/psicoterapeuti e i medici che hanno affermato di
essere state vittime di stalking ha ammesso di aver adottato dei
comportamenti di eccessiva confidenza che potrebbero aver indotto il
cliente a decidere di attuare le molestie. In particolare tra le tipologie di
condotta annoverate all’interno dello strumento vengono citati con
maggiore frequenza il dare del tu, il parlare con il paziente di questioni
non propriamente attinenti al rapporto professionale, il dare la propria
disponibilità per incontri o telefonate anche al di fuori degli appuntamenti
programmati.
Conclusioni
In linea con gli studi presenti in letteratura riguardo lo specifico
fenomeno delle molestie assillanti perpetuate a danno di professionisti
della salute, è evidente come, anche nella nostra indagine, a prevalere
siano soprattutto comportamenti di stalking di bassa entità, tanto da non
essere indicati con la suddetta terminologia dagli stessi intervistati anche
se dai loro racconti emergeva chiaramente quanto fossero vissuti come
disturbanti, mentre comportamenti più gravi, violenti e aggressivi sono
stati registrati di rado. Il nostro campione ha evidenziato una discreta
percentuale di comportamenti molesti subiti (27%), tuttavia è possibile
89
che in alcuni casi le vittime possano avere minimizzato alcuni
comportamenti indesiderati e potenzialmente angoscianti creando una
potenziale giustificazione all’intrusività del paziente alla luce della sua
patologia o del suo malessere psico-fisico relativo alle motivazioni che
hanno comportato la creazione della stessa relazione professionale. In
egual modo è possibile che si sia verificato il fenomeno opposto, e che
alcuni clinici abbiano esasperato i comportamenti dei pazienti
riconducendoli a condotte moleste semplicemente perché il tipo di
condotta non risultava piacevole. Fornendo ai partecipanti una lista di
possibili comportamenti di stalking e molestie tra i quali scegliere dando
anche la possibilità di riferire comportamenti avvertiti come tali non
facenti parte dell’elenco attraverso la voce “altro”, è possibile che siano
state incrementate le possibilità di ricordare, da parte dei partecipanti,
alcuni comportamenti che erano solo lievemente o moderatamente
stressanti e sgradevoli. Durante la somministrazione del protocollo gran
parte del campione si è mostrata collaborativa, nonostante si trovasse
impegnata nell’attività lavorativa. Molti clinici sono risultati disponibili ed
aperti al dialogo nonostante la delicatezza della tematica trattata. È
risultato, in linea con le precedenti ricerche, come soggetti di entrambi i
generi possano essere vittime di stalking, ma mentre l’incidenza nei
confronti dei professionisti di sesso maschile vede come protagonisti
pazienti di genere femminile, nei confronti di medici o
psicologi/psicoterapeuti donne si verifica un fenomeno di appiattimento
delle differenze di genere, evidenziando una equivalenza della frequenza
di molestie sia da parte di pazienti di genere femminile che di genere
maschile. Contrariamente a quanto si evince dalle statistiche generali che
vedono le donne come vittime indiscusse di comportamenti di stalking da
parte di uomini violenti ed aggressivi, lo studio dimostra come siano
90
soprattutto pazienti donne ad attuare comportamenti molesti, fino anche
a sfociare in minacce ed aggressioni nei confronti dei professionisti
indiscriminatamente uomini o donne, mentre i pazienti di sesso maschile
attuano comportamenti molesti in percentuali inferiori, soprattutto nei
confronti di clinici di genere femminile, raggiungendo raramente
condotte aggressive. In generale, le condotte indicate come intrusive
riguardano soprattutto telefonate eccessive e quasi mai condotte
esplicitamente aggressive o di pedinamento della vittima, che potrebbero
implicare maggiore ansia e preoccupazione nel clinico. In modo
inconfutabile emerge, d’altronde, come i molestatori uomini siano
soprattutto appartenenti a fasce d’età più mature, mentre le donne
sviluppano condotte morbose soprattutto in età più giovanile. Rispetto
alle due categorie di professioni analizzate emergono differenze
sostanziali nelle reazioni ai comportamenti molesti, probabilmente
derivanti dalle differenze specifiche delle attività lavorative. Mentre
psicologi e psicoterapeuti riferiscono con maggiore frequenza di aver
rinunciato al rapporto professionale e di aver avuto la necessità di
modificare il proprio numero di telefono, privato e professionale, i medici
riferiscono di essersi sentiti soprattutto distratti dall’attività professionale
e di aver evitato l’incontro con il paziente attraverso l’aiuto di un
segretario o di una segretaria, ma in nessun caso di aver interrotto la
relazione clinica. Condizioni di ansia e/o situazioni di imbarazzo con amici,
familiari o conoscenti, sono riportate con percentuali abbastanza rilevanti
in entrambe le categorie professionali. Infine, tra i clinici che hanno
riferito di aver subìto molestie, una bassa percentuale considera di aver
messo in atto condizioni che possono aver agevolato la creazione di una
relazione di maggiore confidenza con il paziente. In realtà si tratta di un
elemento particolarmente delicato all’interno delle dinamiche riguardanti
91
un rapporto clinico incentrato sulle necessità e i bisogni di un essere
umano. Un clinico particolarmente sensibile può infatti essere condotto
dalla sua stessa indole a farsi carico delle problematiche del paziente
mettendosi a totale disposizione dello stesso, quest’ultimo potendo, in tal
modo, mal interpretare le attenzioni del professionista. Queste
complessità si amplificano quando si fa riferimento alla relazione
terapeutica tra psicoterapeuta e paziente all’interno della quale con
frequenza può presentarsi una dipendenza relazionale, se non anche un
innamoramento da transfert e controtransfert. Dalla presente ricerca,
svolta nella città di Palermo attraverso la somministrazione di un
Questionario sulla Valutazione dell’Incidenza Sociale dello Stalking
Professionale (M. Strano) a un campione complessivo di cento
professionisti, equamente distribuiti tra medici e psicologi/psicoterapeuti,
sono emersi dati che confermano, anche se su un campione piuttosto
ristretto, i risultati provenienti dalla letteratura internazionale, che
evidenzia la sovraesposizione di professionisti delle relazioni d’aiuto al
fenomeno delle molestie assillanti attuato dai propri pazienti. Potrebbe
risultare interessante integrare tali dati all’interno di una più ampia
ricerca che si estenda ad un più esteso campione di professionisti della
salute. Lo stalking necessita di strategie di contenimento adeguate che,
partendo da un approccio totalizzante permettano di far fronte alle
complessità intrinseche del fenomeno attraverso interventi poliedrici
miranti non soltanto alla cura e alla presa in carico del singolo individuo,
vittima o stalker che sia, e della sua soggettività, ma anche all’incremento
delle risorse oggettive sociali e di comunità. I medici, gli psicologi e, in
generale, gli specialisti delle professioni d’aiuto ricevono una scarsa
formazione riguardo il fenomeno dello stalking e la sua gestione,
nonostante le specificità professionali incrementino il rischio di rimanerne
92
vittime. Le strategie per la prevenzione e la tutela delle professioni
potenzialmente a rischio devono, ancora oggi, essere progettate e
sviluppate. L’approccio primario deve essere di tipo preventivopromozionale che punti, cioè, non alla rimozione di un deficit nel
sostegno e nella prevenzione, ma che valorizzi le competenze e le risorse
della comunità e del contesto sociale.
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96
PSICOPATOLOGIA E STALKING
Di Giovanna Bellini
Premessa
Il termine “stalking” deriva dal verbo to stalk, e nella lingua inglese indica
“l'appostamento, l'inseguimento furtivo” del cacciatore per il controllo e
l’abbattimento della preda. Possiamo quindi assimilare lo stalker ad un
predatore. Gli atteggiamenti intrusivi, persecutori, messi in atto da stalker
rappresentano una fonte di disagio che colpisce, dal 2 al 15% della
popolazione. Lo stalking non rappresenta in modo univoco uno specifico
comportamento predatorio dell’uomo sulla donna, sebbene lo stalker sia
(secondo le statistiche tratte dalle denunce) 81% uomo, esiste infatti uno
stalking compiuto all’interno dello stesso genere e, più raramente, di
donne su uomini (fenomeno quest’ultimo meno denunciato dalle
vittime). Il fenomeno dello stalking se da un punto di vista giuridico si
identifica in uno specifico reato codificato da un articolo del codice
penale, il reato di Atti Persecutori regolato dall'articolo 612-bis, da un
punto di vista psicopatologico-comportamentale non risulta però un
fenomeno omogeneo, bensì un fenomeno complesso ed eterogeneo.
Infatti sebbene vi siano agiti persecutori sottesi da un franco quadro
psicopatologico, talora i molestatori-persecutori sono difficilmente
identificabili in una specifica categoria diagnostica o addirittura non si
riesce ad identificarne una vera e propria patologia mentale poiché non
sempre uno stalker ha un vero disturbo mentale o presenta una condotta
di abuso di sostanze.
97
Aspetti clinici
L'atto persecutorio quindi non è necessariamente espressione fin da
subito di una patologia psichiatrica nota, ma anzi più frequentemente si
innesca su un quadro di normalità, le attenzioni di quello che diventerà
uno stalker si inseriscono nella vita quotidiana della vittima assumendo
l'aspetto attenzioni non gradite, rifiutate fino a vere e proprie molestie, e
successivamente, reiterandosi ed aumentando per frequenza e virulenza,
delineano un vero atto persecutorio. Ne è l'esempio l'innamorato
respinto che con agiti che inizialmente sembrano innocui vuole
comunicare il proprio innamoramento e la proprie sofferenze amorose al
ex con ogni mezzo ed in modo assillante e pervasivo, chiedendo perdono
per errori commessi in passato, facendo regali, dimostrandosi
malinconico e disperato con la vittima ed i conoscenti di questa. Queste
condotte possono quindi assumere carattere molesto, sgradito e persino
persecutorio se reiterate, in assenza di un consenso esplicito del
destinatario o nonostante un suo inequivocabile rifiuto. Con questi
atteggiamenti lo stalker induce o tenta di indurre in alcune tipologie di
vittime sensi di colpa trovando dal canto suo la gratificazione del proprio
narcisismo. Il molestatore persecutore nega se stesso l'abbandono
mettendo in atto una reazione maniacale. L'atto persecutorio quindi può
essere espressione di una patologia psichiatrica o rappresentare l'unico
sintomo dello stalker che presenta un idea ossessiva-pervasiva prima
della propria vita e successivamente della vittima. Anche il profilo della
vittima non è quindi omogeneo, e sebbene dai dati di letteratura sembra
che la maggioranza delle vittime siano donne tra i 18 e i 24 anni anche la
fascia di età varia a seconda del tipo di stalker che abbiamo di fronte, ad
98
esempio la maggior parte delle vittime di Stalker come “il risentito” o e/il
“respinto” sembra avere tra i 35 e i 45 anni, ed essere di sesso femminile
in precedente relazione con lo stalker. E' quindi molto importante tenere
sempre presente che dietro ad un comportamento caratterizzato da atti
persecutori, per utilizzare il termine giuridico, si celano cause e fini molto
diversi tra loro che vanno dal seguire un impulso irrefrenabile, ad
adottare un comportamento strumentale come avviene nelle false accuse
di stalking, in cui la dichiarata “vittima” risulta in realtà quella che ha in di
fatto il comportamento persecutore nei confronti della persona accusata
senza fondamento, accuse che vengono effettuate per rivalsa o per
ottenere un qualche beneficio. E proprio per la presenza di questa
disomogeneità nelle caratteristiche del molestatore-persecutore è
necessaria una attenta analisi di ogni singolo caso per permettere di
mettere in atto idonee misure e successivamente idonei piani terapeutici
sia per la vittima che per lo stalker. Una analisi del fenomeno dello
stalking attraverso la sola categorizzazione psichiatrica dello stalker non è
quindi sufficiente ma necessita di una osservazione da un punto di vista
pluridisciplinare, coinvolgendo la sociologia, la criminologia, la psicologia
e, all'interno della psicologia, la psicoanalisi. In quelle situazioni in cui lo
stalker presenti un franco quadro psicopatologico gli atti persecutori
messi in atto rappresentano un epifenomeno di un disagio mentale che
richiede pertanto un intervento di tipo terapeutico ma dal punto di vista
giuridico i suoi agiti configurano in un reato penale e pertanto lo stalker
va perseguito fermamente e tempestivamente.
99
Stalking e disturbi psichiatrici
Se dovessimo inquadrare le caratteristiche dello stalker dai dati in
letteratura questo è nel 80%-70% dei casi di sesso maschile, nel 55% ha
un’età compresa tra i 18 e i 25 anni, se l'evento scatenante è un
abbandono o amore respinto, superiore ai 55 anni se una separazione o
divorzio. Inizialmente alcuni autori hanno individuato nell'erotomane il
prototipo dello stalker, in cui è presente un Disturbo Delirante con un
delirio erotomanico di tipo passionale, in cui il soggetto è convinto che la
vittima sia innamorata di lui, associati a quelli di rivendicazione, di
vendetta e gelosia. L'erotomania è classificata tra i disturbi psicotici
presenti sull’Asse I del DSM-IV, il soggetto che ne affetto è inaccessibile
alla critica ha come caratteristiche peculiari la persistenza nel tempo
dell'azione persecutoria. Lo stalker erotomane si relaziona con la vittima
in modo altamente intrusivo, giustificando anche gli atteggiamenti più
violenti, perché è convinto che sia la vittima stessa a giustificarlo, a
permetterlo, a volerlo, a desiderarlo, anche se la stessa afferma il
contrario, quindi nessuna protesta da parte della vittima può scalfire
l'intento e le convinzioni che animano lo stalker. Ci sono casi in cui il
“malinteso” relazionale non è presente e il molestatore-persecutore
agisce esclusivamente a seguito delle proprie pulsioni, che lo inducono a
tendere al loro soddisfacimento. Siamo difronte in questo caso ad un
Disturbo con discontrollo degli impulsi in cui non c'è controllo delle
pulsioni, la relazione con la vittima, che può essere una persona
sconosciuta allo stalker, passa in secondo piano rispetto alla necessità di
soddisfacimento dell'impulso e lo stalker, talvolta, comunica con la
vittima senza manifestarsi o farsi riconoscere, rimanendo in anonimato,
ne è un esempio lo stalking che avviene tramite telefonate anonime.
Sembra che molti stalker abbiano riferito non aver provato senso di colpa
100
per i loro agiti ma piuttosto un senso di vergogna al momento in cui sono
stati identificati o denunciati. In altri casi si è riscontrato un Disturbo
Dipendente di Personalità, in cui è la sofferenza per un abbandono subito
a caratterizzare la vita dello stalker, per evitare questa angoscia, e quindi
l'abbandono, utilizzerebbero ogni mezzo. Sono quegli individui in cui è
presente un modello di attaccamento insicuro, in cui per il soggetto l’altra
persona diventa funzionale per la propria vita, indispensabile. Spesso
inoltre nel soggetto che commette stalking è presente anche una
componente ossessiva-compulsiva. Lo stalker, che quindi non è altro che
un molestatore persecutore, mette in atto atteggiamenti reiterati,
ripetitivi, come l’aspettare, l’inseguire, il raccogliere informazioni sulla
vittima e sui suoi movimenti ed interagire con essa. Kienlein, Birmingham
(1997) suddividono gli stalker in due principali gruppi a seconda che ci sia
il disturbo psicotico, caratterizzato da presenza di deliri e sintomi di
psicosi, o che non sia presente come in disturbi di Asse I (Disturbi
dell’Umore, Disturbi dell’Adattamento, Dipendenza da Sostanze) e di Asse
II. Spesso il quadro psicopatologico dello stalker sottende un Disturbo
Borderline di Personalità, del cluster b, antisociale, borderline, istrionico e
narcisistico, che lo porta ad avere comportamenti finalizzati al possesso
della vittima, mancando una lettura oggettiva della realtà che lo porta ad
interpretare talvolta i segnali di rifiuto di questa come una sfida. Se
avverte il rischio dell'abbandono può mettere in atti comportamenti
eteroaggressivi (minacce, ritorsioni dimostrative e intimidatorie), violenze
verso l’altro, tentativi di suicidio, autolesionismi, come ricatto per indurre
l'altro a non separarsi. Kienlein e collaboratori ipotizzano (1998) che alla
base di alcune forme di stalking vi sarebbe lo sviluppo di un attaccamento
patologico in quei soggetti sottoposti da tenera età a maltrattamenti,
assenza emotiva e separazione dal caregiver primario. Dati in letteratura
101
dimostrano che l’80% degli stalker ha subìto dei fattori scatenanti
stressanti nei sette mesi precedenti i comportamenti assillanti. Il soggetto
si sente quindi minato nella propria identità ed autostima da non riuscire
a far fronte all'abbandono, inizia quindi la propria azione persecutoria.
Soggetti invece con tratti tratti narcisistici e antisociali, non accettando il
rifiuto (reale o immaginario) mettono in atto agiti persecutori per
vendetta e rivalsa nei confronti della vittima che li rifiuta. Lo stalker si
sente pertanto umiliato e deriso tanto da essere convinto di essere lui la
vera vittima. L'agito dello stalker in generale si basa su una
comunicazione ripetitiva ed intrusiva, un atto persecutorio appunto,
spinto da un investimento affettivo in una relazione reale o totalmente
immaginaria. La relazione esistente tra molestatore e vittima può avere
gradi di intimità diversi, o i due possono perfino essere dei perfetti
sconosciuti, e la vittima essere stata scelta dal caso. A causa di questo
comportamento la vittima deve cambiare il proprio stile di vita, e se gli
agiti dello stalker hanno una escalation rapida questo avverrà altrettanto
rapidamente ma se l'azione dello stalking avviene in modo più subdolo,
dilazionata in tempi più lunghi e con una lenta ingravescenza per
intrusività e minacciosità, la vittima può non comprendere fin dall'inizio di
essere vittima di un reato e può sottovalutarne la gravità ritardando
talvolta non solo la denuncia agli organi competenti ma anche il confidarsi
con le persone vicine. Nella vittima di atti persecutori si configura un
corredo sintomatologico che va dal vero e proprio disturbo postraumatico
da stress, alla depressione ed ansia fino ad una vera “alienazione”
psichica. L'atto persecutorio può venire attuato attraverso due principali
tipi di comportamento quello attivo e quello diretto. Attraverso il
comportamento attivo lo stalker trasmette in modo pervasivo e
prepotente alla vittima emozioni, bisogni, impulsi e desideri, sostenuti sia
102
da sentimenti di “odio” che di “amore”. Può mettere in atto i propri agiti
attraverso i più disparati mezzi di comunicazione (telefono, lettere, email,
scritte sui muri), la vittima è costretta a subire queste informazioni nel
proprio ambito della vita quotidiana, lo stalker può far riferire alla vittima
notizie anche utilizzando terzi che fanno parte della cerchia di amicizie o
parentela della vittima stessa, coinvolgendoli a loro insaputa nell'azione
di stalking. Attraverso il controllo diretto, carico di una maggior
eteroaggressività, lo stalker mette in atto pedinamenti palesi, o scontri
diretti con la vittima sia verbali che fisici o danneggiamenti di oggetti o
animali della vittima. Alcuni autori (Mullen e Pathé (3) hanno proposto
per il molestatore/persecutore una classificazione in tre assi:
• il primo, tiene conto della sua relazione con la vittima, e delle
strategie messe in atto per attuare la persecuzione;
• il secondo si basa invece sulla relazione esistente prima che la
molestia persecutoria venga messa in atto;
• il terzo, infine si basa su una analisi puramente di tipo
psicopatologica.
Nella classificazione di primo asse gli stalker vengono suddivisi, in
relazione alle modalità relazionali e strategie attuate, in cinque categorie:
rifiutati, cercatori di intimità, rancorosi, predatori e incompetenti.
L'evento scatenante nei rifiutati è chiaramente l'interruzione della
relazione, vera o fantasticata che sia, e le strategie attuate saranno atte a
impedire l'allontanamento della vittima o a prolungare quanto più
possibile il legame sebbene in modo distorto. Lo stalker in questo caso
mira a vendicarsi per dell'affronto subito con il rifiuto e allo stesso tempo
a tentare di ristabilire una relazione con la vittima. I cosiddetti cercatori
d’intimità o bisognosi di affetto ricercano in modo violento, intrusivo, un
103
rapporto per superare la solitudine, sia con persone note che con
sconosciuti; in questo caso non è tanto importante l''identità della vittima
quanto che ce ne sia una. Questo tipo di stalker vuole a tutti i costi
convertire un normale rapporto di conoscenza o amicizia in una relazione
sentimentale nella convinzione che la vittima si convincerà. Nei rancorosi
o “risentiti” l'agito persecutorio è generato, sotteso e sostenuto dalla
ferma convinzione di aver subito dei torti (veri o presunti) da parte della
vittima, ad esempio per traumi affettivi (tipicamente un ex-partner di una
relazione sentimentale); pertanto il molestatore persecutore agisce nella
convinzione di mettere in atto una difesa, di una rivalsa nei confronti di
chi nella sua mente distorta lo ha danneggiato. Il predatore agisce nella
ricerca di un appagamento sessuale e di controllo sulla vittima con cui
instaura un rapporto carico di sadismo che si rafforza dell'ansia, del
panico della sfiducia, della sensazione di impotenza che pervade la
vittima; spesso ne fanno parte voyeur e pedofili. L'incompetente è invece
un soggetto che non in grado di stringere un legame affettivamente
valido con la vittima, è incapace di a mettere in atto un corteggiamento.
Questo tipo di stalker generalmente mette in atto un azione di stalking di
breve durata dovuto alla propria "ignoranza" delle modalità relazionali,
dunque arreca uno stalking quasi “preterintenzionale”. All'interno del
Secondo asse gli stalker sono classificati in base alla relazione che ha con
la vittima in una fase preesistente all'inizio dell'attività persecutoria. La
vittima può essere o essere stata in più o meno stretta relazione con lo
stalker o un perfetto sconosciuto, oppure appartenere alla categoria delle
così dette professioni di aiuto. Da dati della letteratura sembra che i
molestatori più pericolosi siano quelli legati alla loro vittima da una
precedente relazione sessuale, sono questi casi in cui l'atto persecutorio
si trasforma in omicidio. La classificazione in base alla psicopatologia del
104
molestatore persecutore identifica invece il Terzo asse, in cui il
molestatore persecutore rientra nei criteri diagnostici di Disturbi Psicotici
propriamente detti, piuttosto che le Psicosi Affettive, le Psicosi Organiche,
i Disturbi di Personalità, i Disturbi d’Ansia e i Disturbi dell’umore. (tabella
esplicativa).
Ipotesi trattamentali
Alla luce di quanto detto per quanto riguarda l'approccio terapeutico non
si può parlare quindi genericamente di “un trattamento” del molestatorepersecutore, ma piuttosto del trattamento di uno specifico quadro
psicopatologico di un soggetto che ha agiti di molestatore persecutore.
L'armamentario terapeutico comprende quindi terapie farmacologiche,
ma anche psicoterapeutiche. La difficoltà quindi dell'impostare una
strategia terapeutica dello stalker risiede nel fatto che il trattamento non
può essere standardizzato perché diversi sono, come abbiamo visto, i
quadri psicopatologici che sostengono gli agiti di molestie persecutorie,
ma sarà piuttosto indirizzato verso il disturbo psicopatologico specifico di
cui lo stalker che dobbiamo trattare è affetto.
105
VITTIMOLOGIA E RELAZIONE VITTIMA-CARNEFICE
di Enrico Maria Troisi
L’inviolabilità della libertà personale viene sancita dall’art. 13 della
Costituzione Italiana. Rifiutato, cercatore di intimità, corteggiatore
incompetente, rancoroso, predatore. Qualunque etichetta diamo allo
stalker, ci troviamo comunque di fronte ad una persona che non tiene in
alcuna reale considerazione la libertà del suo reciproco, dell’altro; e
calpesta senza freno i suoi bisogni ed i suoi diritti. Ripetitivo, insistente,
intrusivo, sgraziato, minaccioso, sgradevole, al limite violento, lo stalker si
arroga il diritto di scegliere una persona e designarla quale vittima, su cui
riversare un massiccio investimento ideo-affettivo basato sulle pretese di
relazione reale, oppure parzialmente o totalmente immaginata. Lo stalker
è la metafora vivente dell’oppressione. La vittima “stalkizzata” percepisce
intensamente la pressione psicologica legata alla “coazione”
comportamentale del molestatore; prova nervosismo, sconcerto,
preoccupazione e angoscia derivanti dalla paura per la propria incolumità
e, pertanto, vive in uno stato di allerta, di emergenza e di stress
psicologico. La sua esistenza si va rarefacendo, e si scheletrizza.
L’apprensione, l’umiliazione, il dolore, la paura possono confluire in una
condizione di depressione e stress post-traumatico clinicamente
significativi, mentre presto si affacciano serissime preoccupazioni per la
propria incolumità fisica. La prospettiva della vittima è dunque quella di
chi, intrappolato in uno scenario di guerra tenta di sopravvivere
106
asimmetricamente sotto il tiro di un cecchino, dibattendosi fra paura,
speranza, rabbia, delusione. A livello scientifico l’attenzione alla vittima è
comparsa solamente nella metà del novecento con i primi studi di
Mendelson e Van Hentig, e, a livello di percezione sociale, il problema
sembrerebbe aver assunto la consistenza di un mainstream; pertanto la
vittima è stata finalmente considerata per i suoi bisogni con i rischi che
comporta però la medializzazione estensiva del fenomeno. Dall’analisi
della letteratura emerge comunque che, in qualunque forma di violenza, e
nello stalking in particolare, vittima e persecutore possiedono spesso
caratteristiche psicologiche e/o psicopatologiche complementari,
collusive. Le caratteristiche che i due attori della violenza (persecutore e
vittima) hanno in comune, benché declinate in modi speculari possono
riassumersi così:
DISTURBI DELL’ATTACCAMENTO PRIMARIO, ovvero quella forma di
sicurezza (o insicurezza, dipendenza, evitamento, ecc.) che si acquisisce
nelle prime fasi di sviluppo, tra bambino e chi se ne prende cura. Un
attaccamento si considera “sicuro” allorquando si struttura grazie
all'assimilazione di una figura che presta cure pronte e costanti, in assenza
delle quali si può costituire un modello di attaccamento disarmonico, fino
ad assumere caratteristiche patologiche. Nell’età adolescenziale e adulta il
soggetto tenderà ad aspettarsi dal partner quelle modalità relazionali che
ha interiorizzato da bambino, sia offrendo che determinando insicurezza,
dipendenza, evitamento, distanza emozionale, aggressività, così come
sperimentate nelle fasi precedenti dello sviluppo.
DIPENDENZA, ovvero l’incapacità di risolvere relazioni affettive
considerate inadeguate o dolorose. Strettamente connessa al punto
107
precedente, la dipendenza (affettiva) rende i soggetti di una relazione
collusiva codipendenti reciprocamente, manipolativi, non liberi e non
“liberabili”.
PATOLOGIE DELL’IO. Sensazione di estrema rarefazione delle prospettive
individuali future in assenza della persona amata, che, sebbene di fatto è
disfunzionale per una sana relazione, è stata idealizzata nel bene e nel
male, quindi trasformata, rappresentata quale oggetto molto importante,
insopprimibile proprio perché strategica in un rapporto che serve ad
alimentare gli aspetti carenziali e patologici di quell’Io.
Sulla base di queste premesse, si può spiegare come le vittime di stalking
manifestino incapacità a far fronte in maniera proattiva alle richieste
assillanti e alle minacce, riluttanza generale a sembrare inappropriate, che
genera una minore efficacia nell’allontanare e nel prevenire le avances;
necessità di apparire socialmente competenti, che sacrifica l’efficacia
personale (ma anche le persone relazionalmente competenti, potrebbero
essere riluttanti a togliersi di impaccio da relazioni che coinvolgono ad es.
innamorati insistenti, perché questo potrebbe causare dei problemi alla
reputazione degli stessi (Metts, 1992) e si sentono colpevoli e
preoccupate per loro). Di fatto quindi la relazione vittima-carnefice può
essere connotata da un alto grado di regressione e ricalca i modelli
operativi interni e l’organizzazione psichica familiare o parentale. Più in
dettaglio, nella vittima si insinua la inconscia tendenza ad essere
manipolati, ingannati, perseguitati, soffocati, controllati. In altre parole, di
essere oggetti nelle mani di qualcun considerato più forte e più grande,
più degno di amore anche di sè stessa. Il sentimento di indegnità della
vittima è infatti uno dei più dolorosi e dei più immanenti; il carnefice si
108
considera a propria volta come vittima dell'imperativo di esercitare una
coercizione per ottenere amore e affetto, ovvero quel riconoscimento e
quel sostegno che avrebbe voluto e dovuto ricevere dalla figure
significative nelle fasi precoci dello sviluppo e che è drammaticamente
costretto a chiedere con la forza. La vittima dentro di sé coltiva l’idea di
meritarsi un simile trattamento, forte dell'aver appreso il modello
secondo cui l'amore è sofferenza, che il piacere ed il dolore sono due
facce della stessa medaglia, e che in ogni caso è giusto subire un
maltrattamento in quanto è l’unico modo per sentirsi al sicuro: “Se non mi
ribello al chi mi maltratta (in senso traslato al genitore maltrattante), lui
non mi abbandonerà. Se persevero nella condotta che merita punizione,
otterrò maggiori punizioni e sarò utile al bisogno che ha il mio carnefice di
ottenere amore ed affetto solo con la forza”. Fritz Perls parla in questi casi
anche di falsificazione dell’esistenza e di automanipolazione.
L’interferenza avviene in due modi, il bastone e l'ipnosi. “Il bastone” è il
gioco dell’autotortura, il gioco vittima-persecutore. Il persecutore
manipola facendosi saccente e autoritario e va avanti a colpi di “dovresti”,
fa richieste impossibili, perfezionistiche senza mai rivelare l'ideale, che per
antonomasia è qualcosa di impossibile, di irraggiungibile, una scusa per
controllare e far schioccare la frusta. La vittima a sua volta manipola
giustificandosi, frignando e rimandando “domani, hai ragione, mi sono
dimenticato” ecc.; la vittima è impotente ma sottilmente astuta: infatti ha
la meglio sul persecutore che “deve” comportarsi così! Quindi il gioco non
ha mai fine perché entrambe, vittima e persecutore, inconsciamente
competono per la sopravvivenza, e si svolge in un clima da boule de neije
(ipnosi), rarefatto, monotono, esclusivo, alienante. Nel caso dello stalking
la vittima a volte finisce così per ingenerare nel carnefice fraintendimenti
(tentativo di attenuare la limitazione o il rifiuto del rapporto), illusioni di
109
potere, fantasie rivendicative o ipercompensatorie o restaurative, Illusioni
di accoglienza e di accudimento. A questo proposito, una interessante
prospettiva è quella del cosiddetto “triangolo drammatico di Karpman”,
ovvero lo spazio in cui i protagonisti esercitano tre ruoli fondamentali che
si alimentano vicendevolmente: persecutore, vittima, salvatore. Sono ruoli
insiti nel comportamento di ciascuno, utilizzati allo scopo di manipolare gli
altri e il rapporto perverso vittima-carnefice ne è una gigantografia. La
Vittima non ama le responsabilità, tende a cercare qualcuno a cui dare la
colpa, l’altro, il passato, l’inconscio, il carattere; la sua forza è nascosta
accuratamente e prende potere sugli altri mostrandosi debole e
sofferente e instillando il senso di colpa nel persecutore nel quale attiva
un salvatore che la aiuti facendolo sentire utile e di vitale centralità. La
Vittima comunica con gli altri esclusivamente attraverso la propria
debolezza e il proprio dolore, nega la propria forza, professa di non avere
capacità e di poter trasformare la realtà. In buona sostanza, mentendo a
sé stessa, la vittima finge di non essere mai forte. Il Persecutore prende
poi potere esercitando la forza, la minaccia e l’aggressività, il giudizio
forte, la critica il sarcasmo. Se il gioco gli riesce l’altro entra in uno stato di
confusione e si spaventa finendo per fare quello che il persecutore gli
ordina. Le persone arroganti, che criticano e aggrediscono sono spesso le
persone che hanno più paura di essere ferite interiormente, e che
probabilmente sono state più ferite e umiliate; inevitabile dunque
assumere il ruolo di padrone e giustiziere e, lontano dal lambire la propria
vulnerabilità, fingere a sé stesso di essere mai debole. Il Salvatore,
nell'aiutare l'altro aiuta sé stesso indirettamente, proiettando all'esterno i
propri bisogni e fingendo di non avere mai bisogno di alcunchè. Dunque il
“Salvatore” manipola creando legami di dipendenza, (l'altro avrà sempre
bisogno di lui) e finge di non avere mai alcun bisogno per sè, restando
110
sempre da solo e con i propri reali bisogni né riconosciuti né soddisfatti.
La Vittima nasconde la forza, il Persecutore nasconde la debolezza, il
Salvatore nasconde i bisogni. La convinzione sottostante è che quando
emergono sentimenti e convinzioni “da copione” emerge una
rappresentazione del sé che viene interpretata come il vero sé e il
rapporto fra vittima e carnefice finisce per diventare drammaticamente
pervasivo pur nell'alternanza inconsapevole dei ruoli di vittimapersecutore/salvatore. Per riassumere, dunque, nell'analisi vittimologica
dello stalking i fattori che condizionano la risposta della vittima possono
essere così tratteggiati: rapporto interpersonale Autore-Vittima, ruolo che
la vittima può assumere (Von Hentig, Mendelshon, Ellenberger – vittime
attive-partecipanti, Complesso di Abele, Complesso di Erostrato, etc.),
percezione della vittima da parte dell’autore (Sikes e Matza,
autolegittimazione.), percezione dell’autore da parte della vittima e
modalità di comportamento (rapporto vittima/persecutore/salvatore).
L'ascolto della vittima amplifica enormemente la possibilità di uscire dalla
situazione di stress non ricadendo nella stessa identica trappola con un
partner successivo. Nonostante la relativa rigidità copionale, vi è un
momento in cui la vittima si allontana in preda alla caduta di interesse,
alla paura, all’insopportazione e alla “stabile” trasformazione dell’altro da
oggetto buono e salvifico a cattivo e persecutorio; cioè fatalmente e
finalmente percepisce un disagio soprasoglia e tenta, naturalmente in
maniera ambivalente, di venirne fuori. Così, nel processo di
vittimizzazione, per solito l'ascolto si colloca in una fase piuttosto tardiva.
Il processo di vittimizzazione si articola infatti in 4 fasi:
1. Fase del danno. percezione di aver subito un danno, un evento
lesivo. La vittima a) reagisce, b) rinvia;
111
2. Percezione di essere vittima. L’evento subito è considerato ingiusto e
punibile;
3. Ricerca di riconoscimento altrui. Bilancio fra spinte esoimpellenti ed
esorepellenti;
4. Ufficializzazione.
Una spirale di condotte nevrotiche, sostanzialmente perversa, largamente
non mentalizzata, può detonare sia nel caso di rapporti duraturi che
appena abbozzati o immaginati, in condotte pericolosissime, di cui sono
espressione gli atti persecutori ripetuti in risposta un abbandono reale o
temuto; per cui solo attraverso un rapido lavoro di consapevolezza anche
attraverso tecniche che permettano la risoluzione di alcuni nodi transferali
connotati da forti contenuti rimossi, è possibile disinnescare l'ordigno ad
orologeria che si è messo in funzione. Fra amanti perversi, reali, o
immaginati, la realtà resta illusoria, nel senso che l'agenda della relazione
è dettata da un patto implicito, segreto, silenzioso, che quando affiora alla
consapevolezza e si svela quale doloroso autoinganno lascia un senso di
vuoto e di disperazione; a quel punto la rabbia ed il dolore che hanno
preceduto ed alimentato le condotte persecutorie possono confluire o
verso una condotta grave e giuridicamente rilevante, o, ed è auspicabile,
verso una consapevolezza salvifica passando dalla ineluttabilità di un
rapporto dolorosamente malato alla scelta dell'opzione giusta e
dall’interdipendenza finalmente all’intersoggettività.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Gargiullo B. C., Damiani R. (2008). Lo stalker, ovvero il persecutore in agguato. Classificazioni, assessment e
profili psicocomportamentali. Franco Angeli.
Angeli F., Radoce E. Rose al Veleno, Stalking. Storie d'amore e d'odio. Grandi Saggi Bompiani.
112
Galeazzi G. M., (2003), Curci P., Sindrome delle molestie assillanti (stalking), Bollati Boringhieri, TorinoModena Group on Stalking (2005), Riconoscimento a modelli di intervento in ambito europeo, Criminologia,
Franco Angeli, Milano.
Paul E. Mullen, Pathè M., Purcell R., (2000), Stalkers and their victims, Cambridge University Press,
Cambridge.
Zona M. A. et al., (1993), A comparative study of erotomanic and obsessional subjects in a forensic sample,
University of Southern California;
Zona M., Palarea R. E., (1998), in Meloy, The psicology of stalking: clinical and forensic perspectives,
Accademic Press, New York.
113
FALSE VICTIMIZATION SYNDROME DISTURBO
PERSONALITA', QUERULOMANIA: QUANDO LA
CARNEFICE.
ISTRIONICO DI
VITTIMA E' IL
di Lavinia Rossi
Definizione
Per False Victimization Syndrome, si definisce un insieme di soggetti che
cercano di convincere gli altri di essere vittime di Stalking attraverso
l'invenzione di fatti, mai accaduti e di circostanze mai verificatesi ( o
verificatesi per caso) per ristabilire un rapporto e/o ottenere
attenzioneGli individui con queste caratteristiche soddisfano spesso i
criteri diagnostici per il Disturbo di Personalità Istrionico (DSM-IV, 1994).
Inquadramento
Dopo la revisione della legge per lo Stalking e le sue modifiche sono
emerse varie realtà scomode. La percentuale di archiviazioni per i reati di
cui agli artt. 388, 570, 572, 612bis (Stalking) supera il 50% (fonte: Procura
della Repubblica di Roma). La percentuale di False Denunce per Stalking:
supera il 50% (fonte: Ministero dell'Interno). Lo Stalking in Italia è una
legge giusta, ma spesso usata per fini strumentali" (Barbara Bresci,
Magistrato). L’uso ingannevole della denuncia per reato di Stalking risulta
prevalente nelle famiglie in crisi. Non di rado accade che il genitore
affidatario, ma non collocatario, non riuscendo a frequentare i figli per
varie problematiche venga denunciato per stalking. Si evince inoltre dai
114
dati in letteratura la realtà di un uso strumentale/contrattuale di stalking
a fini economici remunerativi ovvero la denuncia come arma di ricatto,
soprattutto nei confronti di ex. Il soggetto in questi casi è consapevole
della strumentalizzazione della legge.
Sintomi e segni della FVS
Segni e sintomi ed aspetti clinici compatibili con la False Victimization
Syndrome si ritrovano in varie patologie psichiatriche.
Si trovano tra
questi:
• Disturbi di Personalità prevalentemente del Cluster B, paranoia
(querulomania), simulazione;
• Disturbo dell’Umore di tipo Bipolare I e II (fase ipomaniacale e
maniacale);
• disturbo fittizio;
• sindrome di Munchausen;
• disturbi mentali organici;
• demenza senile.
Per ciò che riguarda le differenze tra Stalking e False Victimization
syndrome, non esistono ancora molti dati nella letteratura scientifica.
La
presenza di questa forma di Stalking “inverso” è una realtà ancora poco
conosciuta in Italia.
Materiale e Metodi
Da una review dei vari articoli scientifici e articoli della stampa emergono
differenze tra la vera vittima e falsa vittima di stalker.
Nel soggetto con
115
False Victimization Syndrome emergerebbe infatti la tendenza a una
maggior manipolazione di fatti non accaduti e/o inventati. Si annotano
anche eventi caratterizzati da irritabilità, impulsività. In questi soggetti è
presente ridotta autostima. Altra differenza consta nella minor brevità tra
ideazione ed azione ovvero il lasso di tempo tra ideazione della falsa
denuncia e la esposizione della denuncia stessa. Il presunto stalker è
spesso incarnato da un ex fidanzato/a, ex amante o partner, un individuo
che ha respinto il soggetto, un nuovo/a partner dell’ex. Possono
evidenziarsi in alcune forme di patologie mentali gravi con deliri di
persecuzione associati o meno a deliri erotomanici, false accuse nei
confronti di persone semi sconosciute o che ricordano una persona amata
in precedenza. Frequentemente nella F.S.V. la falsa vittima appartiene
allo stesso sesso della vittima e tende a seguire, imitare e frequentare i
luoghi dove è possibile vedere ed osservare questa persona.
Comportamenti della falsa vittima
Vengono spesso creati malintesi ad hoc e cercati scontri al fine di
perpetrare l’inganno. La diffusione di gossip e dicerie al fine di svalutare la
credibilità professionale e personale della persona vengono fortemente
sostenute con individui inseriti nella cerchia amicale della vittima. Si
registrano inoltrano, non rare forme di autolesionismo nella falsa vittima
con denuncia dopo l’ottenimento del referto ospedaliero alle autorità.
Sono riportate dalle cronache anche casi di rottura di oggetti propri, come
distruzione di proprietà, atti di vandalismo su auto e possedimenti al fine
di mantenere più alta la credibilità. Con l’avvento di internet il carnefice
opera una sorta di pedinamento e visualizzazione dei profili dei social
network, cv, indirizzi e numeri di telefono al fine di poter seguire e vedere
116
gli spostamenti della vittima accusata.
Si assiste spesso anche da parte
della falsa vittima ad esposizione di denuncia per presunti inseguimenti o
telefonate che poi non risultano essere state effettuate dalla reale
vittima. La dimensione della bugia e dell’autoinganno raggiunge aspetti
spesso deliranti.
Se interrogato “il carnefice” tende all’evasività cercando
di rendere reale la propria fantasia. La costruzione della storia, pianificata
e idealizzata, diventa per lui realtà.
Sfatare questa fantasia diventa molto
arduo e motivo di possibile scompenso per il soggetto in esame, anche
davanti alla mancanza di prove e testimoni.
Riassumendo: Le Caratteristiche dei Falsi Stalker e della vittima sono:
1. Non rilevanti differenze di genere, età, o stato socioeconomico;
2. La falsa vittima spesso è spesso single;
3. Minor descrizione di quantità di episodi correlati allo stalking nella
FVS rispetto alle reali vittime;
4. Assenza o insufficienza di dettagli e testimonianze;
5. Produzione da parte della falsa vittima di meno prove legate a
scrittura a causa di possibili perizia calligrafiche;
6. La sensazione di essere vittima di stalking è più pervasiva, rapida,
violenta;
7. Presenza di differenti condotte parasuicidarie e pensieri suicidari.
Aspetti clinici
Questo fenomeno psicopatologico in psichiatria viene chiamato
pseudologia fantastica ed è caratterizzata dal ricorso abituale alla bugia.
Si ritrova in soggetti istrionici o psicopatici (i cosiddetti "bugiardi
117
patologici") e può riguardare i più disparati eventi o argomenti (per
esempio:
luoghi
meravigliosi,
avventure
galanti,
situazioni
rocambolesche, ecc.), talora amplificati parossisticamente fino a
raggiungere gradi altissimi di inverosimiglianza. E’ una fase di passaggio
quasi obbligatoria nella definizione della personalità infantile: ogni
bambino attraversa un periodo dove le bugie possono sconfinare in un
mondo fantastico e tende ad esaurirsi spontaneamente. Oltre che nel
disturbo istrionico di personalità la tendenza alla manipolazione e al
contrasto si ritrova in altri disturbi di personalità del cluster B ovvero nel
Disturbo Narcisistico e nel Disturbo Borderline. In questo Cluster ricorrono
caratteristiche
comuni
quali
impulsività
e
tendenza
alla
drammatizzazione. Le emozioni appaiono mutevoli esagerate, poco
autentiche e si associa spesso un’affettività piuttosto colorita. Assente
l’insight riguardo l’atteggiamento teatrale e inadeguato; sono persone
dotate di eloquio ricco e fluente, ma superficiale ed evasivo, mostrano
distraibilità, tendenza all’egopatia, appaiono seduttivi, ipergestuali
frequentemente se interrogati cadono in contraddizione. Sia la
psicoterapia che la psicofarmacologia sono difficili da impostare con
questi pazienti che a causa della mancanza di consapevolezza di malattia
giungono all’osservazione psichiatrica su consiglio dei familiari o per
acutizzazione di alcuni sintomi.
Altra forma di denuncia per cosi dire
patologica è la querulomania. La queulomania è una forma di disturbo
delirante cronico dove il soggetto affetto ritiene di aver subito torti, di
diversa natura, per i quali cerca di ottenere giustizia seguendo le vie
legali, con l’istruzione di una o più cause giudiziarie.
Le denunce vengono
spesso portate avanti con abilità forense e plausibilità nonostante
l’inconsistenza delle prove e di testimonianze a favore del querulomane.
Caratteristicamente quando, il paziente perde cause o ricorsi, continua a
118
riproporre opposizioni, appelli o ad aprire nuovi casi legali. Non di rado, si
passa poi alla denuncia, a causa dell’insorgenza di deliri di persecuzione,
anche di avvocati e giudici. La querulomania si trova frequentemente
anche nei soggetti in fase ipomaniacale, sebbene più frequentemente
nella fase maniacale franca nel disturbo Bipolare. Anche il delirio di
nocumento ed erotomanico spesso collegati tra loro possono portare il
soggetto psicotico ad effettuare denunce infondate. Questi deliri possono
ritrovarsi non solo nelle psicosi paranoidee ma anche nel paziente con
diagnosi di disturbo Bipolare con sintomi psicotici durante la fase
maniacale. Spesso sfumati aspetti rivendicativi e l’emergenza di false
accuse possono trovarsi anche nella demenza senile, soprattutto
all’esordio della patologia, associati a deliri di veneficio, deliri
erotomanici, deliri di persecuzione. La tendenza è spesso quella di
incolpare la cerchia famigliare per la scomparsa di oggetti e l’inizio della
perdita della memoria con falsi ricordi che portano il soggetto a
sospettare di tutti coloro che sono intorno arrivando ad esporre denunce
verso le persone che frequentano la dimora del soggetto.
Si riportano le caratteristiche dei disturbi di Personalità piu comuni in
questa entita psicopatologica.
I criteri diagnostici per il Disturbo Istrionico di Personalità secondo il
DSM-IV-TR* sono i seguenti:
• Un quadro pervasivo di emotività eccessiva e di ricerca di attenzione,
che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà
di contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:
• disagio in situazioni nelle quali non è al centro dell’attenzione
• l’interazione con gli altri è spesso caratterizzata da comportamento
sessualmente seducente o provocante
119
• manifesta un’espressione delle emozioni rapidamente mutevole e
superficiale
• costantemente utilizza l’aspetto fisico per attirare l’attenzione su di
sé
• lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di
dettagli
• mostra autodrammatizzazione, teatralità, esagerato nell’emotività
• è suggestionabile, cioè, facilmente influenzato dagli altri e dalle
circostanze
• considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente
American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR: Criteri per Disturbo
Borderline di personalita
• Modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali,
dell'immagine di sé e dell'umore, impulsività, comparse nella prima
età adulta e presenti in vari contesti.
•
•
•
•
Almeno cinque dei seguenti criteri:
la persona mette in atto sforzi disperati per evitare un reale o
immaginario abbandono
un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense,
caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iper-idealizzazione e
svalutazione
alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé
persistentemente instabile
impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose
per il soggetto (spendere eccessivamente, sesso promiscuo, abuso
di sostanze, guida spericolata, abbuffate)
120
• ricorrenti minacce di suicidio, gesti e comportamenti suicidari
comportamento automutilante (autolesionismo).
• instabilità affettiva dovuto ad una marcata reattività dell'umore
• sentimenti cronici di vuoto
• rabbia immotivata ed intensa, difficoltà a controllare la rabbia (es.
ira / rabbia costante, ricorrenti scontri fisici)
• ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo
stress
• mostra autodrammatizzazione, teatralità, ed espressione esagerata
delle emozioni, è suggestionabile, cioè, facilmente influenzato dagli
altri e dalle circostanze
• considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente
Criteri diagnostici per il Disturbo Narcisistico di Personalità
Modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali,
dell'immagine di sé e dell'umore, impulsività, comparse nella prima età
adulta e presenti in vari contesti.
Almeno cinque dei seguenti criteri:
• la persona mette in atto sforzi disperati per evitare un reale o
immaginario abbandono
• un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense,
caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iper-idealizzazione e
svalutazione
• alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé
persistentemente instabile
• impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose
per il soggetto (spendere eccessivamente, sesso promiscuo, abuso
di sostanze, guida spericolata, abbuffate)
121
• ricorrenti minacce di suicidio, gesti e comportamenti suicidari
comportamento automutilante (autolesionismo).
• instabilità affettiva dovuto ad una marcata reattività dell'umore
• sentimenti cronici di vuoto
• rabbia immotivata ed intensa, difficoltà a controllare la rabbia (es.
ira / rabbia costante, ricorrenti scontri fisici)
• ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo
stress
• mostra autodrammatizzazione, teatralità, ed espressione esagerata
delle emozioni, è suggestionabile, cioè, facilmente influenzato dagli
altri e dalle circostanze
• considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente
Possibili interventi migliorativi
La legge 612bis dovrebbe introdurre la possibilità di riconoscere
l’emergenza del fenomeno della False Victimization Syndrome, già
ampiamente documentato all’estero e poco conosciuto in Italia.
Chiaramente il colloquio clinico con entrambi i soggetti potrebbe
agevolare, dopo l’analisi delle risposte ai test neuropsicologici ed alle
scale prescelte, l’individuazione del soggetto affetto da False
Victimization Syndrome, Querulomania o disturbi di asse I o II (Disturbo
Bipolare I, Disturbi paranoidei, Disturbi di personalità) e certificare la
possibilità di una manipolazione della vicenda che ha decretato
successivamente una denuncia. Un’attenta anamnesi psichiatrica
potrebbe, di fatto, portare alla luce sintomi attuali e/o pregressi o la
presenza di danni psichici. Per tale motivo, potrebbe essere richiesta, in
ambito legale e forense una consulenza psichiatrica cui può seguire una
122
perizia e l’esecuzione di test neuropsicologici standardizzati. Un colloquio
clinico strutturato secondo linee guida standard somministrato ad
ambedue gli attori permetterebbe di rivedere se il denunciante ha subito
realmente stalking. Il nostro progetto è quello di individuare un insieme di
scale da sottoporre alla vittima e allo stalker, previo colloquio clinico al
fine di poter avere una distinzione tra FVS e vero stalking. Nella
vittimologia non sembra esistere, sul territorio nazionale, al momento la
possibilità di un “flow chart” standardizzato da proporre a sportelli anti
stalking ad operatori del settore ed ai clinici formato da interviste cliniche
strutturate e soprattutto standard. L’introduzione di un colloquio clinico e
di scale somministrate univocamente nei centri preposti all’ascolto delle
vittime di stalking, permetterebbe inoltre di usufruire una raccolta di dati
e follow up dei casi di stalking propriamente detto e di FVS, in modo di
poter riconoscere ed avere dati su cui poter proporre modifiche
all’attuale legge che non deve essere strumentalizzata, ma fortificata.
L’eventuale raccolta di anamnesi positiva per i disturbi sovramenzionati,
può quindi legarsi ad una riduzione della sintomatologia, grazie all’
introduzione di una terapia farmacologica e al supporto psicoterapeutico.
Inoltre la distinzione potrebbe portare alla riduzione delle denunce e
tutelare le vittime di false accuse e dedicare più tempo alle indagini e
operazioni delle Forze dell’Ordine per i reati realmente commessi.
BIBLIOGRAFIA
L.P Sheridan, E.Blaauw: Characteristics of False Stalking Reports Criminal Justice and Behavior February
2004 31: 55-72.
McMahon, M. (1995) False confessions and police deception: the interrogation,
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Mohandie, K., Hatcher, C., & Raymond, D. (1998). False victimization syndromes in stalking. In J. R. Meloy
(Ed.), The psychology of stalking: Clinical and forensic perspectives
(pp. 225–256). San Diego, CA: Academic
Press.
123
LA PREVENZIONE DELLO STALKING ATTRAVERSO LA COLLABORAZIONE
TRA LEGALI E PSICOLOGI
di Gaetano Lauro Grotto
Il reato definito “atti persecutori” o comunemente “stalking” è stato
recentemente introdotto all’art. 612 bis c.p. con la legge n.38/2009, che
ha convertito il decreto-legge n.11/2009 (già nel 1990 tale reato era
punito negli Stati Uniti, in Australia, in Canada, ed in Inghilterra ed in altri
paesi europei). La finalità di questa norma nasce dalla volontà di dare una
risposta forte a tutti gli “avvenimenti” riportati dalla cronaca giornalistica
e, soprattutto, dall’esigenza di tutelare l’incolumità psico-fisica e
relazionale delle vittime, dei loro familiari e dei loro stretti amici, “presi di
mira”, in modo ossessivo e continuo da altre persone, con le quali le
vittime dello stalking avevano interrotto relazioni sentimentali o rifiutato
di far nascere tali relazioni. Prima dell’introduzione di tale normativa le
condotte che oggi si identificano nello stalking venivano perseguite ricorrendone i presupposti - come reati di violenza privata, percosse,
lesione personale, molestie, ingiuria, diffamazione, minaccia, violenza
sessuale, lesioni gravissime, omicidio preterintenzionale, doloso, delitti
cd.”sessuali”, violazione degli obblighi di assistenza familiare,
maltrattamenti in famiglia. Dopo qualche anno dall’entrata in vigore di
questa normativa occorre - oggi - cercare di analizzarne “le criticità” nel
modo più obiettivo possibile e giudicare se la stessa risponde appieno alle
esigenze per le quali è stata emanata. Questa normativa ha indicato due
previsioni degne di lode:
124
1) l’applicazione in via estensiva della prescrizione contenuta nell’art.5
della legge n.154/2001, relativa ai rapporti tra familiari dell’abusante e
familiari della vittima, cioè la possibilità di inibire allo stalker di
comunicare con la vittima o con le persone vicine ad essa; (trattasi di un
ammonimento formale al quale deve seguire il connesso comportamento,
pena la procedibilità di ufficio del reato) - (Si potrà “invitare
formalmente” lo/a stalker a non avvicinarsi o a tenersi ad una certa
distanza dai luoghi frequentati dalla persona offesa e dalle persone con
essa conviventi, ed anche a non comunicare con qualsiasi mezzo con le
stesse al fine di rafforzare la funzione preventiva ed estendere la garanzia
di tutela anche a familiari della vittima) .
2) la previsione di uno “speciale ausilio” a sostegno delle vittime dello
stalking e cioè i presidi sanitari, le istituzioni pubbliche le forze di polizia
dell’ordine che hanno l’obbligo di fornire assistenza ed informazioni in
merito ai centri di assistenza più vicini alla residenza della vittima; è stato
altresì introdotto un numero verde nazionale a favore delle vittime di
“stalking” sempre attivo ( numero 1522 - gratuito/24 ore).
3. La previsione dell’“ammonimento” è lo strumento più o meno soft con
il quale si cerca di porre termine ab initio a situazioni che configurano lo
stalking: lo/a stalker viene invitato/a dalla P.G. a non porre in essere più
atti molesti e persecutori. Trattasi di un provvedimento di natura
amministrativa, impugnabile in sede gerarchica e davanti al T.A.R.. Tale
provvedimento sta creando delle posizioni contrastanti:
a) discussa è infatti la possibilità di far formalizzare tale diffidaammonimento ad opera di un legale, che però non avrebbe, forse, la
stessa “forza”, ma la medesima finalità;
b) è discusso, altresì, l’esito questo procedimento amministrativo di
ammonimento nel connesso processo penale. La previsione dell’arresto
125
nelle situazioni più gravi e pericolose è sicuramente una “misura forte”,
finalizzata da un lato a dimostrare che la “persona debole in balia dello/a
stalker” viene tutelata e dall’altro che si vogliono prevenire situazioni che
possono diventare molto più gravi e serie. Il problema reale è che in
alcune circostanze (soprattutto in famiglia e nell’ambito dello stesso
luogo di lavoro, o nello stesso quartiere di residenza, un po’ per vergogna,
un po’ nella speranza che la situazione migliori, un po’ per superficialità,
un po’ per paura) non si denuncia subito lo “stalking”: tale
comportamento determina, nella maggior parte dei casi, che lo stalker
“continua imperterrito nella sua azione, che si rafforza e diventa quasi
insopportabile”, e che la vittima non si dimostra risoluta e decisa a
reagire; questo comportamento passivo, contribuisce a fornire linfa vitale
allo/a stalker, favorendolo indirettamente ed incoscientemente.
Purtroppo non è semplice reagire freddamente e legittimamente ad un
comportamento che configura “atti persecutori”, in quanto in queste
circostanze sono coinvolti anche i sentimenti: molte volte la vittima stessa
cerca di giustificare la sua passività con la paura e la speranza che tutto
finisca, oppure che il rapporto torni come prima, non rendendosi conto
che aiuta solo ad aggravare la situazione. Occorrerebbe sempre
mantenere un comportamento deciso, freddo, oggettivo nel rendersi
conto che si sta subendo un’ingiustizia, un danno, perché si viene ad esser
limitati non solo nei propri diritti, ma incisi nel proprio ambito psico-fisico.
Il Legale della “vittima di stalking” dovrebbe sempre intervenire in modo
incisivo ed il suo comportamento dovrebbe esser distinto da “sensibilità
umana e professionalità”. A volte capita che le “vittime” cerchino dal
legale uno strumento “non troppo forte” al fine di far cessare lo stalking
che stanno subendo e che, viceversa, lo/a stalker riferisca che non ritenga
126
così gravi i suoi comportamenti, cercando di giustificarli con l’amore e la
voglia di istaurare un rapporto sentimentale.
Necessità del reperimento delle prove
Un’imputazione per “atti persecutori-stalking” si basa sulla contestazione
di tutti fatti subiti dalla vittima. Per esser tale è necessario che tali
accadimenti siano provati anche “per tabulas”, attraverso testimonianze
dirette ed indirette su episodi di violenza verbale e fisica, annotazione
precisa di vari episodi, con certificati medici e referti di Ospedali
attestanti lesioni, con relazioni medico-legali, con tabulati telefonici
riproducenti sms di minaccia, mms, registrazioni di telefonate, con mail
minatorie e fastidiose, con lettere minatorie, con fotografie, anche con
l’utilizzo di intercettazioni telefoniche attraverso la dimostrazione che
sono stati necessari interventi della P.S., magari l’intervento del Questore,
e l’eventuale arresto dello/a stalker (N.B. risulta effettivamente
essenziale la collaborazione con uno psicologo e con un ingegnereinformatico). Tale “raccolta di elementi probatori” si rende assai ardua
allorquando il rapporto stalker-vittima si sviluppa in famiglia, nel
medesimo luogo di lavoro, nello stesso palazzo o quartiere ove risiedono
entrambi, oppure nei medesimi luoghi ove si pratica sport o altre
tipologie di attività (magari con i medesimi amici e conoscenti). Oltre alle
“perplessità interiori delle vittima”, precedentemente indicate, occorre
focalizzare questa problematica: cosa può accadere in caso di arresto del
presunto/a stalker, quali conseguenza sul suo posto di lavoro? Quali
nell’ambito della sua famiglia? Ovvero nella cerchia delle sue amicizie?
Altra problematica di non poco conto, che emerge dall’analisi della norma
(art. 612 bis c.p.), è che si renderebbe necessaria la presenza di uno
psicologo nel procedimento e nel processo penale, che sia in grado di
127
valutare sempre non solo “lo stato di ansia e di paura” ma anche le
ragioni dirette, indirette, più o meno occulte, che hanno portato un
soggetto a perseguitare un altro soggetto: infatti, né la polizia giudiziaria,
né un avvocato né un giudice terzo saranno in grado di valutare
tecnicamente tale stato psicologico. Il "punto critico e difficile" è
comunque quello di tentare di far cessare gli atti persecutori "ab initio":
sarà onere dell'avvocato (magari assistito da uno psicologo) consigliare
alla vittima di tentare di assumere un comportamento maggiormente
freddo e determinato, in modo da far comprendere allo/a stalker che non
c'è spazio per un rapporto di qualsivoglia genere; oppure l'avvocato dovrà
tentare con una diffida di far comprendere allo stalker che il rischio
concreto che corre nel perseverare nella sua condotta persecutoria è
quello di una denuncia penale. In tale modo si può evitare sia allo/a
stalker che alla vittima l'iter giudiziario (dell'ammonimento, del
procedimento penale e del processo penale) che è obiettivamente
pesante! D'altra parte si presume - fino a prova contraria - che sia la
vittima che lo/a stalker siano "persone sensate", che dinanzi ai predetti
messaggi chiari ed univoci abbiamo la capacità di comprendere al meglio
quale comportamento per loro risulti il più utile e proficuo. A questo
punto, però, emerge questa ulteriore situazione connessa: è possibile
configurare uno/una “stalker seriale”? Cioè un prototipo di soggetto che
agisce sempre in un determinato modo, in precise circostanze ed in
diversificati ambienti? È possibile avere un “prototipo di vittima dello/a
stalker”? Sul punto è assai arduo rispondere ma occorrerà raccogliere
molti altri dati per analizzare “un data base di avvenimenti” dai quali
vedere se si può estrarre questo prototipo. Soprattutto per ciò che
attiene allo stalking verso le professioni d’aiuto un profilo dello/a stalker
potrebbe essere utile in chiave preventiva, per mettere sul chi vive il
128
professionista. Oggi infatti è possibile affermare che tutte le professioni,
che in un certo modo “tentano di risolvere un problema” possono esser
individuate come possibili “vittime di stalking” cioè avvocati, medici,
psicologi, commercialisti, personale della polizia. Poter individuare in
anticipo i soggetti pericolosi è sicuramente uno strumento utile per tali
professioni. Sicuramente il lavoro del Legale, per esser ancor più incisivo,
dovrà esser affiancato da quello dello psicologo, già dalla fase di presa in
carico del caso: un binomio necessario e sufficiente per aiutare la vittima
dello stalking ed anche lo stalker ad uscire da una strada pericolosa
foriera solo di pericoli e danni prima dell’attivazione di un procedimento
penale. Anche per questa ragione da tempo l’AGIFOR, cosciente
dell’importanza di queste nuove problematiche, e sempre in prima fila
nell’aggiornamento professionale, si è organizzata, insieme a qualificati
studi di Psicologia, per promuovere “la formazione psicologica e forense”
di tutti coloro che sono o saranno chiamati ad assistere le vittime dello
stalking ma anche, lo/la stalker e per garantire la più accurata assistenza e
professionalità a chi la cerca. Il binomio studio legale e studio di
psicologia dovrà esser l’arma vincente per trattare lo stalking in tutti i suoi
complessi aspetti. L’unico rammarico che si può avere oggi è che purtroppo - abbiamo ancora poca giurisprudenza di merito consolidata,
prevalentemente pronunce in tema di misure cautelari, relative ad arresti
operati dalla P.G. o ad ammonimenti dei Questori delle varie città
italiane, che però, come detto, non hanno valenza penale ma di
provvedimento sanzionatorio amministrativo. Oltre al predetto
“rammarico” deve esistere lo stimolo a che tutti gli “operatori del sistema
giustizia” contribuiscano a risolvere i problemi seri e delicati, connessi allo
“stalking” e non contribuiscano a crearne altri altrettanto importanti e
drammatici!
129
L’ESPERIENZA DELLO SPORTELLO ANTISTALKING DI PISA
di Sabrina Costantini
L’associazione Oltretutto e lo Sportello Po.St.iT di Pisa, Postazione
Stalking in Toscana, hanno compiuto un anno proprio il 12 maggio 2014.
Quest’anno di attività ha prodotto molti risultati, riflessioni, cambiamenti.
Cercheremo di tradurli in modo sintetico e comprensivo. Dal maggio 2013
al maggio 2014 abbiamo registrato circa 50 contatti, di cui la metà è
afferita al servizio. Se teniamo conto poi, dei familiari o amici che hanno
accompagnato quasi sempre gli utenti e hanno usufruito della consulenza
o parte di essa, gli utenti diventano il doppio o anche più. Non
dimentichiamo infatti che accanto alle vittime primarie vi sono quelle
secondarie, ovvero quelle che lo diventano in quanto parte del contesto
più stretto, familiare, amicale, coabitativo, ecc. Le persone vicine
diventano vittime in quanto anche loro sottoposte a stress in modo
diretto e indiretto, subiscono direttamente le ingiurie, le continua
chiamate, le pressioni, ma anche indirettamente il clima di ansia, stress,
preoccupazione, paura e panico del bersaglio preferenziale. Talvolta
inoltre, chi vive con la vittima o chi condivide tempi e spazi, di fatto è
anch’esso/a a rischio di aggressione e intrusione, oltre che di
manipolazione e raggiro. Guardando nel dettaglio, i nostri utenti
presentavano le seguenti condizioni:
1. Relazioni terminate
2. Stalking condominiale
3. Stalking amicale
130
4. Richiesta improprie (gravi disturbi deliranti, violenza domestica, litigi
non stalking, ecc.)
5. Richiesta da parte di familiari, amici, conoscenti (al posto della
vittima effettiva)
6. Richieste di vittime di altre forme di violenza: mobbing e bullismo
Importante sottolineare che anche lo sportello è diventato oggetto di
stalking.
I primi due tipi di stalking (relazioni terminate e stalking condominiale)
sono quelli più frequenti, e spesso si è visto che quando la vittima non
riesce o non vuole chiedere aiuto, lo fanno le persone circostanti che
vivono il conflitto in modo altamente stressante. Questo ci far riflettere
profondamente sul livello della ricaduta della violenza, che va ben oltre di
ciò che si vede o si registra in modo immediato. Relativamente all’ultimo
punto (richieste di vittime di altre forme di violenza: mobbing e bullismo),
ci riferiamo a situazioni in cui l’utente non ha ricevuto la risposta
desiderata e in quanto tale ha prodotto pressioni continue e improprie,
soprattutto attraverso telefonate e mail. Qui si deve aprire una parentesi
sulle richieste e sulle risposte. Non sempre la richiesta dell’utente può
essere accolta così come formulata. Spesso è necessaria una decodifica di
elementi consci e inconsci, di dinamiche inconsapevoli, una comprensione
della situazione e la formulazione della risposta più appropriata a quella
specifica persona, non corrisponde necessariamente a quanto chiesto. Le
domande che pervengono allo sportello, sono quasi sempre confuse per
vari motivi, perché la persona è spaventata, è in ansia, non ha chiaro la
situazione (non è sicura di essere una vittima o di essere un molestatore),
perché collude con l’altro della relazione patologica, perché da una parte
131
è vittima e dall’altra carnefice, in ruoli intercambiabili e così via. Già
apportare una lettura chiara della situazione, riformularla e dare una
risposta altrettanto chiara e funzionale è il primo importante intervento.
Vi sono persone che sanno utilizzare questa riformulazione e la risposta in
modo costruttivo e altre che purtroppo non sono capaci o non sono
pronte per questo. La rispondenza e l’impiego di tale risposta terapeutica
può andare in varie direzioni, in base alla struttura di personalità, alle
risorse personali e sociali, alla struttura patologica o meno. Ed il fatto che
una parte delle vittime, reagiscano alla frustrazione facendo stalking allo
sportello stesso, ci mostra la loro struttura psicopatologia, la relazionalità
disfunzionale e il livello di violenza, attuato da loro stessi, che agiscono il
ruolo di vittima ma anche di carnefice.
Le molestie attuate e subite dagli utenti pervenuti sono state messe in
atto attraverso:
• SMS
• Telefonate
• E-mail
• Facebook
• Distruzione di oggetti
• Controllo dell’altro/pedinamento
• Registrazione dei movimenti con telecamere, foto
• Atti e parole di minaccia
• Aggressioni fisiche
• Ricatti, diffamazione
• Atti legali
132
Dobbiamo ricordarci che lo stalking è primariamente un disturbo della
relazione. L’interazione fra vittima e molestatore assillante infatti è
caratterizzata da confusione, dinamiche insane, dipendenza, asimmetria,
scarsa reciprocità, non rispetto, non libertà. Lo stalker inoltre, presenta
scarsa tolleranza alla frustrazione, ai limiti, l’altro deve sempre essere a
propria disposizione. Se possiamo tradurre in uno slogan siamo nell’ottica
del tutto e subito, usa e getta!. Infatti i casi di stalking che terminano con
lesioni gravi, con omicidio e suicidio sono pochi e comunque
rappresentano l’ultima fase della violenza, all’inizio lo stalker con le sue
azioni pressanti e incessanti ha l’obiettivo di ottenere:
1. Attenzione
2. Risposta
3. Vicinanza
4. Controllo sull’altro
5. Potere
6. La relazione
Come visto in alcune ricerche, la separazione induce sintomi spiacevoli,
analoghi a quelli d’astinenza da oppiacei, dimostrando l’importanza della
relazione, nel suo nutrimento psicologico ma anche bio-chimico. La
difficoltà nella separazione, sia nel carnefice che nella vittima, è tanto più
forte quanto più intensa la stimolazione fornita nel legame, da contatto o
da distanza. (De Zulueta). Quando poi le risposte agli stimoli sono
intermittenti, risultano ancora più intense e adrenergichedopaminergiche. Pensate per esempio alla vittima che per nove volte non
risponde alle chiamate e alla decima cede! Come per le droghe anche qui
non si può pensare “un’altra volta e poi basta”, perché questa “sola”
volta è molto seduttiva psicologicamente e biologicamente, inducendo un
133
rinforzo nella condotta molestante stessa, che ha bisogno solo di essere
intensificata, ma alla lunga ottiene risposta. In certi contesti non è
importante la natura della relazione, il polo che la caratterizza. Un legame
tormentante è comunque fonte di molte stimolazioni, le persone
implicate sono sempre alla prova, sono attive, pronte a cercare cause,
scuse, giustificazioni, riparazioni, ecc. Un legame emotivamente
tormentante-eccitante, permette di fuggire dal vuoto, dalla depressione,
da qualcosa di più interno e sgradito. Guardando le ricerche sullo stile di
attaccamento, si evince che le coppie di bambini dove si manifesta
aggressività, abuso e sfruttamento sono formate dal pattern A
(ambivalente, nel ruolo di carnefice) e dal pattern C (ansioso, nel ruolo di
vittima). I bambini con un attaccamento sicuro invece, non si sono rivelati
né vittime né carnefici. La persona con attaccamento ambivalente
(pattern A), ha avuto una madre rifiutante, quindi una sorta di lutto
precoce di una madre buona e la persona con attaccamento ansioso
(pattern C), avendo avuto una madre distanziante e poco solida,
mantiene una dipendenza affettiva dal genitore e nelle relazioni affettive
successive.
Come vediamo nella realtà dei nostri sportelli e nella letteratura corrente,
in effetti sembra che questo incastro di pattern relazionali, si ritrovi nella
dinamica vittima-stalker.
Gli stalker presentano varietà anagrafiche, sociali, economiche, ma
sembrano accomunati da uno stile di attaccamento ambivalente o
ansioso-evitante, frequentemente con un lutto non elaborato alle spalle.
Inoltre, dovendo cercare i fattori che determinano e favoriscono questa
condotta, insieme alla psicopatologia individuale, alla patologia della
134
relazione, alla famiglia disfunzione, dobbiamo tener conto
dell’importanza del contesto, fra questi abbiamo:
1. Differenza di genere e stereotipi di genere ancora vigenti e ancorati
nella cultura, nel sistema di trasmissione culturale (testi scolastici,
fiabe, TV, internet, ecc.);
2. Innalzamento della soglia della tolleranza alla violenza: fenomeno di
abituazione;
3. Sistema di vita, sistema di valori;
4. Sistema educativo differenziato per genere.
La prevenzione dello stalking
I testi scolastici, la lingua italiana, le fiabe, i cartoni animati, le riviste, le
pubblicità, i modelli inseriti nelle pubblicità, i valori tradotti ed esaltati
parlano di violenza, di uso e abuso, di “oggettivizzazione”, di controllo
dell’altro. Tutti modelli disfunzionali, che perpetuano una diversificazione
di ruolo, una violenza di fondo, una repressione della libera espressione,
della valorizzazione dell’emotività e dell’integrazione, della collaborazione
a favore della competizione. Per ultimo ma non ultimo in termini di
importanza, dobbiamo spendere due parole a favore dell’educazione alla
violenza. L’associazione Oltretutto non si è occupata solo di accogliere
vittime e molestatori, ma ha cercato di andare oltre e di apportare un
intervento a più largo spettro. Spesso si parla di “educazione a
comportamenti non violenti”, io ritengo che si debba partire al contrario
da “un’educazione alla violenza”, che equivale a far vedere, a mostrare, a
educare proprio a ciò che significa violenza. Imparare a riconoscere tutte
le espressioni di violenza aiuta a vederla, riconoscerla, per intervenire in
prima e in seconda persona. Tutti noi quotidianamente attuiamo
135
comportamenti violenti e li subiamo senza rendercene conto, è
fondamentale valorizzare il loro significato per poter cambiare ed
insegnare un comportamento non violento, in modo diretto e indiretto
attraverso l’esempio. Spesso infatti capita che le vittime non si
riconoscano come tali perché sono “abituate” da sempre a relazioni
insane e violente, perché non leggono certe condotte come soprusi e non
si oppongono. Capita che il gruppo dei pari inizi con giochi che possano
finire in atti di violenza verso uno, più compagni, o verso sé, senza
comprendere il confine del gioco, della relazione e quello della derisione,
devastazione, svalutazione, annullamento, ecc. Penso anche ai minori,
alla scarsa tutela nei loro confronti, al mancato riconoscimento della
violenza assistita e non solo, che subiscono continuamente come
conviventi di vittime di stalking. Quando arriva un adulto allo sportello
infatti, non ci si pone mai la questione dei bambini e dei ragazzi, come
vivono la situazione, cosa hanno visto, sentito, subito, quale modello
hanno appreso, hanno paura, si sentono tutelati? Ma ancora sulla scia
della diseducazione o “mala educazione” come direbbero in Spagna,
possiamo inserire la mancata conoscenza e formazione da parte di chi si
occupa delle vittime, quali i sanitari, gli assistenti sociali, gli psicologi, le
forze dell’ordine, volontari, ecc., che spesso attuano un primo contatto
con la vittima poco rispettoso della situazione, talvolta giudicante e
violento esso stesso, producendo un processo di vittimizzazione
secondaria. Sto pensando al modo di formulare le domande, al chiedere
ripetutamente di raccontare, al farlo in un contesto di scarsa accoglienza
e scarsa privacy, penso alle espressioni tendenziose e giudicanti tipo
“com’era vestita?” “Che ora era quando era in strada?”, ecc. Ma penso
anche al mancato riconoscimento dei segni che una vittima porta, senza
farne esplicito riferimento alla violenza e alla cura inadeguata, questo
136
succede spesso col medico di base che è colui/colei che più di tutti riceve
la visita e le richieste delle persone, non dimentichiamo infatti che uno
dei sintomi frequenti di chi subisce violenza è l’insonnia, l’ansia, ma
soprattutto tutta una sequela di somatizzazioni. Ma gli esempi non si
esauriscono qui, anche chi si occupa più propriamente delle relazioni,
spesso ha scambiato la violenza per conflitto, insistendo per proposte di
mediazione familiare, completamente inadeguata in questi casi,
mancando la parità di potere e contrattazione. Ricordo infatti che la
violenza limita la libertà e induce paura, come tale impedisce di poter
mediare in piena autonomia e completezza. Riteniamo quindi che
l’educazione alla violenza debba essere un processo rivolto a tutte le età
e a tutte le fasce, professionali e non. Imparare a riconoscere la violenza,
al di là dei segni espliciti, diventa l’acquisizione di una capacità di lettura
più raffinata e obiettiva, di tutte quelle situazioni più silenti, invisibili o
con un inizio sotterraneo che possono condurre a processi esponenziali.
Non dimentichiamoci infatti che siamo circondati da violenza, a tutte le
età e in tutte le condizioni (scuola, lavoro, relazioni intime, amicali,
contesti sportivi, mass media, mezzi educativi, ecc.).
Conclusioni
Per concludere possiamo fare alcune considerazioni sulla nostra attività
suggerendo delle possibili strategie di intervento nei casi di stalking:
1. Il primo obiettivo è quello di decifrare la domanda: è stalking?
2. Occorre portare l’utente a vincere la paura di parlare e a prendere
visione della propria situazione (una prima forma di denuncia);
3. Occorre conoscere la confusione esistente su cos’è lo stalking, su
cosa significa fare e subire violenza, sulle dipendenze, ecc...
137
4. Occorre conoscere il rischio della confusione di ruoli, i modi, le
comunicazioni e gli strumenti a propria disposizione;
5. Sottolineare l’importanza della rete, della comunicazione fra
operatori, e il forte uso della scissione;
6. Ci sono anche uomini vittime, per lo più nei casi di stalking
condominiale, e spesso ad opera di molestatori insoliti;
7. Nei casi di stalking occorre ricordare l’esigenza della tutela dei
minori.
Importanti anche Le considerazioni sui MOLESTATORI:
• Perché vengono? (spesso per sapere se sono realmente stalker!...);
• Cosa si aspettano? (spesso una pacca sulla spalla e la
deresponsabilizzazione)
• Si manifestano sovente molte problematiche associate (dipendenza
affettiva, problemi d’identità, abuso di sostanze, disturbi di
personalità, problemi familiari, ecc.);
ALTRE CONSIDERAZIONI
• Importante informare!
• Importante eliminare pregiudizi
• Importante sottolineare che essere vittime di stalking non è una
vergogna
• Importante far sapere che anche gli uomini possono essere vittime
• Necessario aiutare a formulare la richiesta di aiuto da parte di
vittime e di stalker
• Importante cercare di evitare le recidive
• Ma soprattutto: Fare educazione alla violenza!
138
ASPETTI GIURIDICI DEL REATO DI STALKING
DI Maria Concetta Gugliotta
Questo manuale sorge anche dalla necessità di fornire agli utenti gli
strumenti giuridici già messi a disposizione dell’ordinamento, ma di
difficile comprensione a chi non è operatore del diritto, per poter, una
volta avuta la forza di denunciare i fatti, comprendere quali siano i passi
da percorrere per ottenere “giustizia” di fronte ad un fenomeno di forte
allarme sociale, che va ad incidere ed a pregiudicare i diritti fondamentali
della vittima. Gli operatori del diritto e della giustizia sono chiamati al
fondamentale compito di offrire tutela e protezione alle vittime per
restituire loro quella libertà di cui lo stalker si è appropriato: il bene della
vita di cui la vittima viene sempre privata è la capacità di
autodeterminarsi nella vita quotidiana, il cui controllo dell’esistenza passa
nelle mani dello stalker (i beni strumentali offesi dalle condotte di stalking
riguardano la tranquillità individuale, la libertà personale, la privacy, però
sullo sfondo, vi è anche l'integrità psicofisica della vittima). Sotto il profilo
della tutela giuridica la reazione punitiva e risarcitoria del nostro
ordinamento è certamente il primo passo per la tutela delle vittime
colpite da stalking e la normativa introdotta dal legislatore italiano, sia
pure con le lacune del caso, è una risposta positiva da guardarsi con
favore. In particolare, con il Decreto legge n.11 del 23 febbraio 2009 (c.d.
decreto antistupro) ex art. 7 è stata introdotta nel nostro ordinamento
una nuova fattispecie penale a tutela e protezione della parte debole
nelle relazioni personali. Tale fattispecie è costituita dall’art. 612-bis c.p.
139
rubricata “ATTI PERSECUTORI”. Il termine stalking è una parola
anglosassone che letteralmente vuol dire “fare la posta”: con essa si è
soliti indicare <<comportamenti reiterati di tipo persecutorio>>, realizzati
dal soggetto persecutore nei confronti della sua vittima: si tratta cioè di
un insieme di condotte vessatorie, sotto forma di minaccia, molestia, atti
lesivi continuati e tali da indurre nella persona che le subisce un disagio
psichico e fisico e un ragionevole senso di timore. In passato è stata anche
detta la <<sindrome del molestatore assillante>>, per sottolinearne quale
aspetto caratterizzante la <<relazione forzata>> e <<controllante>> che si
stabilisce tra persecutore e vittima; trattasi di relazione, quest'ultima, che
finisce per condizionare il normale svolgimento della vita quotidiana della
vittima, ingenerando nella stessa un continuo stato di ansia e paura. Lo
stalking non è un fenomeno omogeneo per cui non solo non è possibile
ricostruire un perfetto modello di condotta tipica, ma nemmeno è
possibile tracciare un profilo tendenziale del c.d. stalker. Nella generalità
dei casi i comportamenti assillanti provengono da uomini, di solito
partner o ex partner della vittima, ma il persecutore potrebbe essere
anche un collaboratore, un amico, un conoscente, un vicino di casa: non
sempre, peraltro, il molestatore assillante tende ad identificarsi in un
soggetto con precedenti penali, affetto da disturbi mentali o, ancora,
dedito all’abuso di sostanze stupefacenti o alcoliche, come solitamente si
pensa. Circa le molteplici condotte che possono ritenersi molestia
assillante o atto persecutorio, la casistica è piuttosto varia. Al di là delle
modalità specifiche che contraddistinguono i singoli episodi di
persecuzione, nella maggior parte dei casi, il reato si realizza attraverso la
combinazione di più azioni moleste: potrebbe, infatti, realizzarsi tramite il
sorvegliare, l’inseguire, l’aspettare, il raccogliere informazioni sulla
vittima, il seguire i suoi movimenti, ed ancora, attraverso le intrusioni, gli
140
appostamenti sotto casa o sul luogo di lavoro, i pedinamenti e i tentativi
di comunicazione e di contatto di vario tipo. Rappresenta stalking anche
la diffusione di dichiarazioni diffamatorie ed oltraggiose a carico della
vittima, ed, ancora, la minaccia di violenza, non solo nei suoi confronti,
ma anche rispetto ai suoi familiari, ad altre persone vicine o contro
animali che le siano cari. Trattasi tuttavia di un’elencazione di condotte,
non tassativa ed individuate tra le più frequentemente denunciate e, in
quanto tale, meramente esemplificativa. Comunque, quel che
contraddistingue le molestie assillanti è un’ossessione <<dinamica>>, in
continua crescita ed evoluzione, alimentata dalla continua esigenza dello
stalker di soddisfare le proprie emozioni, i propri impulsi e desideri con
stimoli crescenti, sempre nuovi, volti al proprio appagamento. In arco
temporale variabile lo stalker pone in essere comportamenti che
originariamente potrebbero essere assolutamente innocui sino a
trasformarsi e degenerare in manifestazioni ossessive e/o in
comportamenti particolarmente aggressivi e violenti. A prescindere dalla
modalità di esternazione, ciò che rileva è il contegno dell’agente che è
idoneo a cagionare nella vittima “un grave disagio psichico” ovvero
determinare “un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di
una persona vicina” o, comunque, a pregiudicare “in maniera rilevante il
suo modo di vivere”. Dunque, affinché la condotta persecutoria sia
penalmente rilevante, è necessario che gli atti reiterati dello stalker
abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio
psicologico della vittima. Tuttavia affinché la condotta possa ritenersi
penalmente rilevante, è essenziale che essa sia reiterata nel tempo: cioè
non rilevano gli atti persecutori perpetuati in sé, ma piuttosto la loro
abitualità e continuità.
141
In dettaglio, l’art. 612 bis c.p., al primo comma, punisce la condotta di
chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da
cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da
ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo
congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero
da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita con la
reclusione da sei mesi a quattro anni, salvo che il fatto non costituisca più
grave reato. Il testo originario è stato modificato dal d.l. 14 agosto 2013
n.93, in vigore dal 17 agosto 2013. La differenza principale rispetto alla
normativa previgente riguardò la circostanza ad effetto comune: infatti la
pena veniva aumentata se il fatto era commesso dal coniuge anche
separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione
affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso
strumenti informatici o telematici (ad esempio mail, facebook, twitter
ecc). L’ultima modifica, avvenuta tramite la legge di conversione 15
ottobre 2013 n. 119 in vigore dal 16 ottobre 2013, intervenne soltanto
due mesi dopo. Rispetto al testo precedente la normativa ora in vigore si
caratterizza per il fatto che, riguardo la circostanza ad effetto comune, la
pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o
divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla
persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti
informatici o telematici. I commi 2 e 3 del prefato articolo prevedono
dunque due <<circostanze aggravanti>>: una ad effetto comune (atti
commessi dal coniuge o dal soggetto legato da relazione affettiva) ed una
ad effetto speciale (che stabilisce l’aumento della pena sino alla metà se il
fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di
gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5
febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata). In
142
particolare, ai sensi del secondo comma, la pena è aumentata se il fatto è
commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che
sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Inoltre, il
comma successivo prevede un aumento della pena fino alla metà se il
fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di
gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5
febbraio 1992,n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto di
stalking è punito a querela della persona offesa con termine di 6 mesi per
la proposizione della stessa (anziché di tre mesi come per tutti gli altri
reati). Il reato diviene poi procedibile d’ufficio quando il soggetto sia stato
ammonito ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 8 del d.l. n. 11/2009. Il
testo originario venne modificato dal d.l. 14 agosto 2013 n.93, in vigore
dal 17 agosto 2013 anche con riguardo al diritto di querela: la querela,
infatti, rispetto alla vecchia disciplina, una volta proposta diviene
irrevocabile. Inoltre, sempre con riferimento al diritto di querela viene
introdotta infatti la novità con la l. di conversione 15 ottobre 2013 n. 119
che la remissione della stessa può essere soltanto processuale. La querela
è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce
reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Gli strumenti
extra-penali per potersi difendere in situazioni di stalking sono
l’ammonimento del questore (art.8 d.l. n.11/2009), un numero verde
(art.12 d.l. n.11/2009) e l’obbligo per le forze dell’ordine, per i presidi
sanitari e sociali, di fornire alle persone interessate da condotte assillanti
tutte le indicazioni sui centri antiviolenza presenti sul territorio (art. 11
d.l. n. 11/2009). In reazione a questo reato il nostro ordinamento prevede
l’allontanamento dalla casa familiare (art.282 bis c.p.p.) ed un nuovo tipo
di misura cautelare personale ossia il divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p., introdotto dall’art. 9
143
d.l. n. 11/2009). Su questo tema si è pronunciata la Cassazione Penale,
Sez. V, con la sentenza n.13568 dell’11 aprile 2012. Secondo la predetta
sentenza il disposto di cui all’articolo 282 ter del c.p.p. non osta ad una
mancata predeterminazione giudiziale dei luoghi su cui vige il divieto; ciò
ove le abitudini della vittima non consentano una simile determinazione.
La misura cautelare dell’allontanamento può, quindi, “seguire” la vittima.
Nel caso in cui la persona offesa, vittima degli atti persecutori, non abbia,
pertanto, luoghi abituali di frequentazione, è compito del giudice “vestire
a misura”, anche se in modo generico, il bisogno di protezione che lo
stesso ordinamento ha inteso consentire di tutelare con la normativa sul
tema. Altre figure incriminatrici, che si integrano e collegano al reato di
stalking sono la violenza privata (art.610 c.p.), la minaccia (art.612 c.p.), la
molestia o disturbo alle persone (art.660 c.p.), le lesioni personali (art.582
c.p.) e le circostanze aggravanti, lesioni gravi e gravissime (art.582 c.p.). Vi
è poi il problema della coesistenza tra art.612 bis e art.660 c.p., ovvero tra
un delitto ed una contravvenzione. Sul tema si è espressa la Cassazione
Penale con sentenza n.1615 dell’11 maggio 2006. La Suprema Corte ha
ritenuto integrato il reato ex art. 660 c.p. nell’invio di sms (reato escluso
ad es. l’invio di messaggi epistolari) perché per utilizzare il telefono gli
sms devono leggersi, mentre una lettera può essere cestinata. Con sms il
mittente raggiunge il suo scopo, che è quello di turbare la quiete della
vittima. Altre sentenze di interesse sono la n.1237 del 27 marzo 2006
dove la Cassazione Penale ha ravvisato nell’art. 615- bis c.p., il reato di
interferenze illecite nella vita privata, per lo scattare di foto con il
cellulare; si trattava del caso di un uomo che per molti giorni si è
appostato fuori da un negozio e scattava foto alla commessa. Situazioni
tutte in cui è stata vista nella condotta dell’agente proprio quella
caratteristica di portare la vittima a credersi una preda braccata, in
144
trappola. La prima sentenza che attribuisce all’imputato una condotta
definita “stalking” è della Corte d'Appello di Lecce del 2008 secondo cui:
“Commette l’illecito di cui al cd. ”stalking”, condotta, peraltro, non ancora
prevista e regolamentata, in quanto tale, in maniera idonea ed esaustiva,
nel nostro ordinamento giuridico nazionale, chiunque, dopo avere (nel
caso di specie) leso l’integrità fisica e morale di una persona, la perseguiti,
altresì, con pedinamenti serrati e assillanti, con frequentissimi
appostamenti, con intrusioni indebite nella vita lavorativa, con atti di
morbosa invasività e di sottile aggressività, generando nel soggetto
passivo uno stato di non irragionevole paura e di continua giustificata
grave apprensione”. Inoltre la Cassazione penale, sez. V, con sentenza
15.05.2013 n° 20993, ha disposto che per integrare il reato di stalking è
sufficiente il dolo generico. Sotto il profilo strettamente civilistico in
presenza del reato di stalking lo stalker è chiamato a risarcire il danno alla
stregua delle norme dettate in tema di responsabilità aquiliana (artt. 2043
e ss. c.c.). Riguardo i danni biologici non c'è dubbio, ma altrettanto
possiamo ritenere sussistere anche danni di tipo esistenziale, alla vita di
relazioni, proprio per i problemi che derivano alla vittima viene per aver
subito uno stalking; trattasi del risarcimento del c.d. danno non
patrimoniale, che comprende le vari voci descrittive di danno all’integrità
pisco-fisica, danno alla vita di relazione, ecc.. Naturalmente da avvocato e
operatore del diritto non posso che evidenziare le criticità dovute alla
incertezza delle condotte per la disomogeneità del fenomeno.
Nonostante l’entrata in vigore della normativa sopracitata, molto ancora
si deve fare per la tutela delle vittime colpite da stalking, con strumenti
maggiormente appropriati e sistema di salvaguardia più efficaci, quali
case di accoglienza e sistemi di stretta vigilanza e di pronto intervento per
le vittime contro lo stalker, il cui approntamento impone l’investimento di
145
risorse sociali all’uopo destinate e che si auspica siano approntate con
solerzia. La richiesta di aiuto della vittima è sicuramente il primo passo
verso la libertà.
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MARCO STRANO
Marco Strano, 54 anni, Psicologo della Polizia di Stato, ha maturato quasi 30 anni di
esperienza nel settore della criminologia, di cui 20 passati come investigatore “di
strada” in ambiti particolarmente complessi come gli omicidi della criminalità
organizzata (negli anni ‘90 era nel nucleo operativo speciale antimafia del Prefetto
Sica all'epoca delle stragi di Palermo). Poi il suo settore di azione si è spostato sulla
pedofilia e sul cybercrime, di cui si è occupato quando dal 2001, dopo quasi 18 anni
nei servizi di intelligence, si è rimesso la divisa e ha diretto per 5 anni l'Unità di
Analisi della Polizia postale e delle comunicazioni. Attualmente dipende dal settore
Sanitario della Polizia di Stato occupandosi di Psicologia investigativa (autopsie
psicologiche) e svolge attività sindacale come Dirigente nazionale UGL Polizia di
Stato come responsabile nazionale della ricerca scientifica e della formazione.
Parallelamente all'attività investigativa Strano, allievo del Prof. Gaetano De Leo, ha
sviluppato alcune ricerche scientifiche pionieristiche che hanno fatto il giro del
mondo come l’applicazione dell’intelligenza artificiale al criminal profiling. E’
considerato uno dei maggiori esperti al mondo di Psicologia investigativa.
Stimatissimo nella comunità scientifica negli ultimi anni è conosciuto anche al
grande pubblico per le sue partecipazioni a trasmissioni televisive dove si è sempre
distinto per la pacatezza dei giudizi e la chiarezza espositiva.
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GIOVANNA BELLINI
Giovanna Bellini è Neurologo e Criminologo.
Laureata in Medicina e Chirurgia nel 1997 e Specializzata in
Neurologia nel 2002 presso l’Università di Pisa. Attualmente
lavora come dirigente medico presso la U.O. di Neurologia
dell'Ospedale di Livorno.
Ha conseguito il Master Universitario di II Livello in Scienze
Forensi, "Criminologia – Investigazione – Security - Intelligence",
presso l'Università di Roma La Sapienza (Dir. Prof. Mario
Fioravanti, Coordinatore Scientifico Prof. Francesco Bruno,
Coordinatore Didattico Prof. Natale Fusaro), con Tesi “Analisi di un omicidio anomalo”,
Relatore Prof. Natale Fusaro. Svolge attività di Consulente Tecnico di Parte in ambito
penale.
Ideatrice del sito www.stalkingtalk.it in collaborazione con Anyweb Consulting Srl di Pisa.
Collabora con l'equipe di ricerca multidisciplinare antistalking del Centro studi “Crime
Café”, per lo sviluppo di un protocollo di intervento.
Autrice di pubblicazioni scientifiche in ambito neurologico è stata segnalata nei
ringraziamenti, in qualità di socio fondatore SIgN, Società Italiana dei giovani Neurologi in
“Quality of neurology residency programmes: an Italian survey.” European Journal of
Neurology, 10; 301-306: 2003.
E’ infine autrice della raccolta di racconti: Pensieri per una notte...non ho mai capito se i
treni ci portano davvero da qualche parte alla fine... “ (Ed. Il Filo, 2008), vincitore del 5°
Premio Nazionale di Arti Letterarie, Arte Città Amica di Torino, 2009.