Diritto del lavoro Vallebona

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Diritto del lavoro
Principi costituzionali:
Il lavoro occupa una posizione centrale nella costituzione repubblicana, al quale dedica alcuni
principi preliminare. Già all’art 1 si enuncia che la stessa repubblica è fondata sul lavoro, tutelato
in tutte le sue forme come detto nell’art 35.
Il lavoro inoltre nel comma 1 dell’art 4 è considerato un dovere di ogni cittadino, che oltre ad
indicare un orientamento etico, inoltre al comma 2 detta un’ampia definizione di lavoro, inteso
come un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società,
senza alcuna distinzione del tipo di lavoro svolto. Il cittadino è infatti libero di adempiere al
dovere del lavoro, attraverso l’attività che meglio crede secondo le proprie possibilità e la proprie
scelte. Dall’art 4 ne consegue quindi un principio di pari dignità sociale ad ogni forma di lavoro.
Il diritto del lavoro storicamente nasce da disuguaglianze sostanziali, definite dalla costituzione,
all’art 3 come un ostacolo di ordine economico e sociale che limita di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impedendo così l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica,
economica e sociale del paese. L’obiettivo che, quindi, la costituzione si pone, tornando all’art 4, è
quello di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto di lavoro, impegnandosi quindi
contro la disoccupazione.
I tempi e i modi per la graduale realizzazione di quello che è il programma costituzionale è affidata
al legislatore e orientata dal complesso e mutevole quadro economico del paese.
Anche nel titolo III della costituzione, dedicato ai rapporti economici, viene tutelato il lavoro,
infatti, In particolare il primo art, cioè l’art 35, rileva importanti questioni, al comma primo
prevede che la repubblica debba impegnarsi a tutelare il lavoro in tutte le sue forme e
applicazioni, al secondo comma deve curare la formazione e l’elevata professionalità dei
lavoratori, al terzo comma deve favorire gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad
affermare e regolare i diritti dei cittadini, mentre al quarto comma riconosce la libertà di
emigrazione, impegnandosi a tutelare l’italiano che lavora all’estero.
All’art 35 succede l’art 36 che stabilisce il diritto del lavoratore a percepire una retribuzione che sia
proporzionale alla quantità e qualità del lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla
propria famiglia una vita libera e dignitosa. E nei commi seguenti detta dei limiti massimi
irrinunciabili sull’orario di lavoro massimo, sul riposo settimanale e sulle ferie annuali retribuite.
Per quando riguarda l’ art 38, questo si occupa degli aspetti previdenziali e di assistenza al
lavoratore, che vengono affidati, dalla stessa norma al comma 4, agli organi e istituti previsti dallo
stato. Secondo tale art. ogni cittadino inabile e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale. Inoltre spetta al lavoratore il diritto che di aver assicurato i
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, qualora venga a mancare definitivamente o
temporaneamente il reddito da lavoro, come nei casi di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia o
disoccupazione involontaria.
Importantissimo sono poi gli artt 39 e 40 che riconoscono la libertà sindacale e il diritto di
sciopero, entrambi esclusi dall’ordinamento corporativo, sostenendo che sia meglio raggiungere
gli equilibri dei conflitti economici collettivi mediante il libero confronto tra le parti sociali.
Infine l’art 41 pone dei limiti all’autonomia privata a tutela del lavoratore, infatti questa non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità
umana del lavoratore.
La libertà e l’attività sindacale
La liberta sindacale è un diritto soggettivo pubblico di libertà, accolto dall’ordinamento nell’art 39
della costituzione, secondo cui “l’organizzazione sindacale è libera”.
Libertà sindacale vuol dire facoltà di coalizione e di azione per la difesa di interessi collettivi
professionali, riguarda la posizione dei singoli nella loro facoltà di scelta, adesione e partecipazione
alla attività della coalizione. Ed in questo aspetto è tutelata la libertà sia di affiliarsi sia di non
affiliarsi ad alcun sindacato. Inoltre la libertà sindacale non è materia solo dei lavoratori, ma bensì
anche degli imprenditori, poiché l’art 39 non distingue sindacati contrapposti e li considera tutti
sullo stesso piano.
La libertà sindacale è riconosciuta non solo ai lavoratori subordinati, ma a tutti i tipi di lavoro, sia
privato che pubblico, essendo esclusa solo per i militari, mentre è concesso alla polizia di stato di
avere un sindacato ma che sia solo per la categoria e che non abbia collegamenti con altri
sindacati.
La libertà sindacale nei confronti dello stato:
La libertà sindacale è riconosciuta nei confronti dello stato che non può vietare od ostacolare la
formazione di sindacati e le loro attività, oltre a non poterli assorbire nella propria organizzazione.
Facenti parte dell’autonomia privata collettiva ed essendo quindi liberi soggetti di diritto privato, i
sindacati possono creare regole sia per la disciplina interna con gli statuti sindacali, sia per la
disciplina dei rapporti con la controparte e dei rapporti individuali di lavoro, che costituisce il fine
essenziale del fenomeno sindacale, e che fanno riferimento alle clausole dei contratti collettivi.
La libertà sindacale nei confronti del datore di lavoro:
In forza delle disposizioni del titolo II della statuto dei lavoratori, dedicato appunto alla liberta
sindacala, questa opera anche nei confronti del datore di lavoro. Infatti la norma 15 della stat. lav.
Vieta a al datore atti discriminatori che colpiscano un lavoratore per motivi sindacali., sia che
questi avvengano in fase di assunzione sia che avvengano durante il rapporto di lavoro,
travolgendo con la nullità qualunque atto o patto diretto a pregiudicare il lavoratore a causa della
sua affiliazione o attività con un sindacato o alla sua partecipazione ad uno sciopero.
La libertà sindacale è tutela non solo esternamente ma anche interno dei luoghi di lavoro, salvo
che l’esercizio di questa non pregiudichi il normale svolgimento dell’attività aziendale, sacrificata
solo in caso di sciopero.
Inoltre è fatto divieto al datore di lavoro di erogare trattamenti economici collettivi discriminatori
di maggior favore ai dipendenti che si astengono dall’affiliazione o dalla azione sindacale, la
sanzione consiste nella cessazione del comportamento illecito in sede di repressione di condotta
anti sindacale, nonché la condanna del datore, su richiesta di lavoratori discriminati o dai sindacati
mandatari, a pagare al fondo pensioni INPS una somma pari all’importo di maggior favore
illegittimamente corrisposto nel periodo massimo di un anno. Altro divieto, imposto al datore di
lavoro, è quello di costruire o sostenere con mezzi finanziari, sindacati di lavoratori, detti sindacati
di comodo.
Il sindacato come associazione non riconosciuta:
Nell’art 39 della costituzione è previsto che al sindacato venga riconosciuta personalità giudica in
seguitò ad una registrazione, la cui unica condizione è l’ordinamento interno a base democratica, e
in seguito a tale registrazione la possibilità per i sindacati, rappresentati in proporzione ai loro
iscritti, di stipulare contratti collettivi con efficacia generale.
Tuttavia la disposizione dell’art 39 e tutt’ora inattuata, per il timore dei sindacati di rilevanti
ingerenze dello stato, per il rifiuto da parte dei sindacati meno numerosi di comparare gli iscritti, e
il rifiuto di una regolamentazione per legge del diritto di sciopero.
In questo quadro di in attuazione costituzionale, i sindacati sono attualmente associazioni non
riconosciute che possono operare come se avessero personalità giuridica tranne per il fatto che
non possono stipulare contratti collettivi con efficacia generale, infatti queste hanno una propria
soggettività e un fondo comune e possono svolgere attività giuridica e stare in giudizio.
La differenza con le associazioni riconosciute sta nel fatto che queste hanno autonomia
patrimoniale perfetta, mentre per le obbligazioni assunte, le associazioni non riconosciute
rispondono sia con il fondo comune sia personalmente e solidalmente le persone fisiche che
hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Ma per il sindacato, il cui scopo è la tutela dei
lavoratori, che non comporta grandi impegni economici questo è un fatto poco rilevante.
Mentre è rilevante il potere riconosciuto alle associazioni non riconosciute di poter stipulare
contratti collettivi di diritto comune, strumento grazie al quale fin’ora anno ricercato il proprio
scopo di tutela del lavoratore.
Come associazione non riconosciuta, elemento fondamentale dei sindacati è lo statuto, dove viene
individuata la categoria professionale tutelata, oltre che l’organizzazione e l’ordinamento interno. I
singoli soci accettano le clausole dello statuto al momento dell’iscrizione, ma possono recedere in
qualsiasi momento, il recesso può essere differito se lo statuto lo prevede, ma solo ai i fini del
pagamento della quota associativa sino alla scadenza stabilita.
L’organizzazione sindacale in Italia:
Fondamentale aspetto dell’organizzazione sindacale nel nostro paese è l’assetto pluralistico che ha
assunto, consentito dall’ordinamento, ma non certo obbligato dal principio di libertà sindacale, a
differenza i altri paesi europei dove il fenomeno sindacale si presenta in forma unitaria.
Tale pluralismo è dovuto ad una divisione dei sindacati per ramo di industria, e quindi costituiti per
la tutela degli addetti a determinate attività economiche e i sindacati di mestiere e quindi
coalizazione di lavoratori con particolari professionalità all’interno di un determinato settore.
Ma il pluralismo diventa ancora più rilevante per la presenza di più sindacati per ogni ramo di
industria, come conseguente divisione del movimento sindacale in confederazioni che
rispecchiano diverse ideologie politiche. Queste sono CISL, UIL, CGIL, CISNAL E UGL, al quale si
aggiungono le cosiddette autonome come CISAL E CONFSAL, nonché i sindacati non confederali,
FABI e SNALS.
All’interno di questa grandi confederazioni possiamo distinguere, un’organizzazione verticale di
categoria composta da sindacati provinciali, regionale e nazionali, e un’organizzazione orizzontale
itercategoriale a livello provinciale e regionale.
Mentre l’organizzazione sul territori è completamente affidata ai sindacati, la presenza di questi
all’interno delle aziende, che deve essere subita da datore di lavoro, è regolata da accordi e dalla
legge. Cosi in Italia, prima e dopo il periodo corporativo era prevista la presenza di commissioni
interne all’azienda. Queste furono poi sostituite alla fine degli anni ’60 dal consiglio di fabbrica,
che riuniva i delegati dell’unità produttiva, eletti liberamente da gruppi omogenei di lavoratori, e
che avevano il potere di contrattazione collettiva.
Pur trattandosi di strutture non associative i rapporti con i sindacati territoriali si rafforzarono,
anche in virtù del sostegno legale che da allora garantisce la costituzione di RSA (rappresentanze
sindacali aziendali) per ogni sindacato avente diritto.
Ma con le grandi frammentazione che le grandi confederazioni subirono negli anni ’80, nel ’95 fu
abrogata il privilegio di cui queste godevano per la costituzioni di RSA, e ancora prima, nel ’93
furono introdotte le RSU (rappresentanze sindacali unitarie). La rappresentanza era perciò unica, i
sindacati mantennero il monopolio della presentazione delle liste, e la possibilità di potersi
ripartire 1/3 dei seggi, mentre gli altri 2/3 sono riservati all’elezione da parte dei lavoratori
Quindi se prima del ’95 la rappresentatività, cioè l’idoneità del sindacato a tutelare l’interesse
collettivo professionale, spettava alle confederazioni, con l’abolizione di questo privilegio nel ’93,
possono acquisire la rappresentatività all’interno dell’azienda il sindacato che abbia stipulato un
contratto collettivo con questa.
La repressione della condotta antisindacale
Nel diritto sindacale, un importante ruolo è occupato da un particolare procedimento per la
repressione della condotta antisindacale, come previsto dall’art 28 stat. Lav., strumento
indispensabile per l’effettiva tutela giurisdizionale della libertà e attività sindacale e del diritto di
sciopero. Infatti, la condotta antisindacale è definita dal legislatore come “quei comportamenti
diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di
sciopero”.
Il divieto di condotta antisindacale non significa però che il datore di lavoro debba comportarsi nel
modo più conveniente al sindacato, ma viceversa questo ha diritto di perseguire i propri fini, anche
se l’interesse di questi contrasta con quelli del sindacato, l’ordinamento infatti tutela entrambi gli
interessi, reprimendo solo quei comportamenti che ostacolino l’azione lecita della controparte.
La condotta antisindacale infatti riguarda, non solo la violazione dei diritti sindacali tipici, ma
anche qualsiasi comportamento del datore di lavoro, lesivo dell’interesse lecito del sindacato, la
cosiddetta condotto antisindacale atipica.
La condotta antisindacale di solito confinata nel rapporto tra datore e sindacato, a volte si
intreccia nel rapporto tra datore e singoli lavoratori, ma a tale proposito non sarà applicabile l’art
28 stat. Lav. Poiché tale art. è volto a tutelare l’interesse dei sindacati.
L’azione in giudizio per condotta antisindacale può essere quindi intrapreso solo dai sindacati, con
il loro organismi locali, il procedimento si apre con una fase sommaria davanti al giudice di primo
grado del luogo dove è stato posto in essere il comportamento denunziato, questo entro 2 giorni
dovrà convocare il datore di lavoro per consentire il contraddittorio, ed essendo in questa fase un
procedimento sommario l’istruttoria sui fatti non sarà svolta approfonditamente con i normali
mezzi di prova, ma solo raccogliendo sommarie informazioni. La decisione di questa fase avviene
con un decreto motivato immediatamente esecutivo, e se l’azione del sindacato trova
accoglimento il datore dovrà conformarsi alle decisioni del giudice. La parte soccombente invece,
sia esso sindacato o datore di lavoro, può proporre opposizione verso il decreto entro 15 giorni
dalla comunicazione di cancelleria. La competenza per l’opposizione è stata affidata allo stesso
giudice di primo grado che però non può essere la stessa persona fisica che ha emanato il decreto
della fase sommaria. Nel giudizio di opposizione la fattispecie dedotta nella fase sommaria non
può essere modificata, il giudizio è regolato stavolta dal rito del lavoro e si conclude con sentenza
immediatamente esecutiva, impugnabile con un normale appello.
Qualora sia accertata in primo e in secondo grado la condotta antisindacale, il giudice ordina al
datore di lavoro l’immediata cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti,
per rendere effettiva la tutela dell’interesse sindacale, è prevista come misura coercitiva, una
sanzione penale a carico del datore di lavoro inottemperante all’ordine del giudice.
Il contratto collettivo
Il contratto collettivo è un accordo tra un gruppo di lavoratori ed un datore di lavoro, o un gruppo di datori
di lavoro per condizioni applicabili a ciascun rapporto individuale. In tal modo alla debolezza contrattuale
del singolo lavoratore si sostituisce la forza della coalizione.
Il contratto collettivo è un contratto di diritto comune che ha una funzione normativa di disciplina dei
rapporti individuali di lavoro, ed è espressamente nominato nella costituzione e in molte leggi ordinarie.
Soggetti, forma e contenuto del contratto collettivo:
Il soggetto stipulante il contratto collettivo, da parte dei lavoratori, è sempre un esponente di un gruppo, se
no non si tratterebbe di un contratto collettivo ma individuale, mentre dal lato dell’imprenditore, il
soggetto stipulante può essere un esponente di un gruppo, ma è anche ammessa la stipulazione da parte
del singolo datore di lavoro in caso di contratto collettivo aziendale.
Sia i lavoratori che i datori di lavoro hanno piena libertà di scelta della controparte contrattuale, ed è
possibile anche che la trattativa si concluda senza un accordo o con l’accordo solo di alcuni dei sindacati
partecipanti, perciò non c’è l’obbligo a contrarre.
La libera scelta della controparte è esclusa solo in relazione di alcuni contratti collettivi riservati dalla legge
ad alcuni sindacati, per garantire l’adeguatezza delle regolamentazioni che comportano il sacrificio di alcuni
interessi dei lavoratori, in questo caso il datore ha l’obbligo di trattare con tutti i sindacati, ma la
stipulazione può avvenire anche solo con alcuni di questi.
La forma del contratto collettivo è in generale una forma libera, ma la funzione normativa svolta, che
disciplina rapporti individuali diversi da chi materialmente stipula il contratto, pone l’esigenza della forma
scritta per questioni di chiarezza e conoscibilità del contratto. Per quanto riguarda il contenuto, questo si
divide in una parte normativa dove vengono fissati i rispettivi diritti e obblighi della parti, e i vari aspetti del
rapporto di lavoro, all’interno dei principi generali dettati dalla legge. L’altra parte è la parte obbligatoria,
che non riguarda la disciplina dei rapporti individuali di lavoro, ma prevede diritti e obblighi in capo agli
stipulanti (es: diritti sindacali di informazione e consultazione).
Il problema dell’efficacia soggettiva:
Conseguenza dell’inattuazione dell’art 39 della cost. è il fatto che i contratti collettivi non hanno
un’efficacia oggettiva ma solo soggettiva, per cui bisogna ricercare qual è il fondamento che vincola i singoli
imprenditori e lavoratori al rispetto della disciplina collettiva.
Questa si fonda sulla manifestazione del consenso a sottoporsi alla disciplina, manifestazione che può
avenire con alcune modalità ricorrenti: la prima ad esempio è l’iscrizione all’associazione che ha stipulato il
contratto collettivo, come previsto dalle clausole statutarie della stessa associazione, effetti che cessano in
caso di recesso dall’associazione, altra tipica forma di manifestazione del consenso consiste semplicemente
nell’esternare alla controparte di voler sottostare al contratto collettivo, esternazione che può venire in
forma orale, per iscritto o per comportamenti concludenti.
Se per i lavoratori il consenso al contratto collettivo è scontato, soprattutto se questo è acquisitivo, i datori
di lavoro invece avrà maggiori riserva accettare l’applicazione del contratto collettivo. Tuttavia questo è
obbligato se fa parte di un’associazione stipulante il contratto collettivo, mentre è più difficile ottenere il
consenso se questo non è iscritto ad alcun sindacato. A tal fine si è cercato di incentivare il consenso del
datore, ponendolo come condizione di accesso a determinati vantaggi, come la riduzione di contributi
previdenziali, che porta una riduzione del costo del lavoro, nell’ottica di una compensazione
dell’accettazione dei vincoli economici che derivano dal contratto collettivo, oltre a ottenere benefici
pubblici o appalti di opere pubbliche o di servizio.
L’inderogabilità:
Essendo un contratto di diritto comune, il contratto collettivo non ha efficacia generale, poiché non hanno
efficacia verso tutti i lavoratori di una determinata categoria, ma solo su quelli iscritti ai sindacati stipulanti,
e inoltre le parti potrebbero quindi cambiarne il contenuto. Si è quindi posta l’esigenza di affermare
l’inderogabilità in peius del contratto collettivo da parte di quello individuale. Questa situazione è stata
risolta con il fondamentale art 2113 sulle rinunzie e transazioni, per il quale i diritti del prestatore di lavoro
non possono essere modificati in peius rispetto ai contratti collettivi di diritto comune.
Inoltre con l’ art 8 dc. lgs 138 del 2011 prevede una efficacia generale all’interno dell’azienda, dei contratti
aziendali sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario, cioè da sindacati che rappresentano la maggior
parte dei lavoratori in quella determinata azienda, tuttavia CGL, CISL E UIL hanno dichiarato che non
prenderanno in considerazione tale norma.
La funzione del contratto collettivo è quindi quella di fissare dei minimi di trattamento e non degli standard,
e ciò rende ammissibile deroghe migliorative alle condizioni previste dal contratto collettivo.
L’efficacia nel tempo:
Il contratto collettivo di diritto comune può essere stipulato con o senza termine di durata, nel primo caso
l’efficacia del contratto termina alla scadenza, a meno che le parti non prevedano un’ultrattività per la
stipulazione di un nuovo contratto.
I contratti collettivi senza termine di durata di solito sono diretti a disciplinare a livello nazionale o
aziendale una determinata materia e cessano di avere efficacia solo mediante il mutuo consenso o per il
recesso di una della parti.
I livelli del contratto collettivo e il loro rapporto:
Il contratto collettivo può riguardare ambiti di diversa ampiezza e quindi diversi livelli di contrattazione,
distinguendo così contratti collettivi: interconfederali (commercio, industria, agricoltura), nazionali ( per
determinate categorie), territoriali e aziendali.
Con l’esistenza di più livelli, ad un medesimo rapporto di lavoro potrebbero essere applicabili più contratti
collettivi di diverso livello. Ricordato l’art 8 del d. lgs. 138 sulla derogabilità del contratto nazionale da parte
dei contratti aziendali o territoriali, il criterio di scelta sarà quello cronologico.
Il conflitto collettivo (lo sciopero)
Lo sciopero ha avuto una evoluzione storica importantissima, infatti inizialmente era visto come un delitto
punito penalmente dal legislatore, in seguito lo sciopero diventò un libertà che quindi non prevedeva reato
penale, ma un illecito contrattuale con conseguente provvedimento disciplinare ed eventuale risarcimento
del danno, ora invece lo sciopero è diventato un diritto garantito dalla costituzione nella disposizione
dell’art 40 il quale prevede che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, ma
tuttavia tali leggi non son mai state emanate. A difesa dell’esercizio del diritto di sciopero, anche in
mancanza di leggi regolatrici, la giurisprudenza, in via interpretativa ha elaborato una nozione di sciopero e
quindi dei limiti di tale diritto, questo viene definito come l’astensione collettiva dalla prestazione
lavorativa di una pluralità di lavoratori per la difesa dei propri interessi professionali.
Lo sciopero è quindi uno strumento per l’effettività del diritto sindacale, per l’eliminazione di
disuguaglianze, oltre che strumento di manifestazione e di difesa di diritti fondamentali espressi dalla
costituzione. In quest’ottica il diritto di sciopero è definito come diritto potestativo del lavoratore di
sospendere la prestazione, al quale corrisponde la posizione dell’imprenditore, che come soggetto passivo
deve subire tale sospensione.
La titolarità del diritto di sciopero è riconosciuta ai singoli lavoratori subordinati e pubblici e
parasubordinati, con piena libertà sul concreto esercizio del diritto, tuttavia sebbene la titolarità del diritto
sia individuale, lo sciopero può essere attuato solo a difesa di un interesse collettivo. Dalla titolarità del
diritto di sciopero sono esclusi i militari e gli appartenenti alla polizia di stato.
Come abbiamo detto lo sciopero consiste nell’astensione collettiva dalla prestazione, tuttavia l’astensione
deve essere totale, nel senso che deve riguardare l’intera attività dello scioperante, non essendo permesso
il cosiddetto sciopero delle mansioni, mentre è possibile solo lo sciopero dello straordinario e del cottimo,
sono invece vietati comportamenti di minaccia verso lavoratori non scioperanti da parte dei lavoratori che
aderiscono allo sciopero detto picchettaggio, così come è vietato di ottemperare il disagio dello sciopero
con la sostituzione dei lavoratori scioperanti da parte del datore di lavoro, i cosiddetti lavoratori crumiri,
proprio perché lo sciopero nasce per creare un disaggio al datore di lavoro, in modo che tenga in
considerazione le richieste dei lavoratori.
Lo sciopero può essere classificato rispetto alle finalità per il quale viene invocato:
lo sciopero tradizionale è quello economico a fini contrattuali, diretto ad ottenere dal datore di lavoro un
miglioramento delle condizioni di lavoro, altro tipo di sciopero accolto dall’art 40 cost. è quello economicopolitico, per rivendicazioni contro i poteri pubblici riguardanti gli interessi dei lavoratori nell’ambito dei
rapporti economici. Abbiamo poi lo sciopero di solidarietà, con il quale un gruppo di lavoratori si astiene dal
lavoro per sostenere pretese di un altro gruppo di lavoratori già in sciopero, infine abbiamo lo sciopero
politico, che non riguarda interessi dei lavoratori, ma interessi comuni a tutti i cittadini, questo tipo di
sciopero non si fonda tanto sull’art 40 della cost. ma persegue interessi relativi agli articoli 2 e 3, e cioè
come strumento democratico che consente al lavoratore partecipazione attiva alla vita nazionale. Tuttavia
neanche la libertà di sciopero politico è senza limiti, infatti è considerato reato lo sciopero “che sia diretto a
sovvertire l’ordinamento costituzionale o ad impedire o ad ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi
nei quali si esprime la sovranità popolare”.
Limiti allo sciopero per la tutela di altri interessi costituzionali:
la legislazione inoltre fissa alcuni limiti al diritto di sciopero, per tutelari alcuni interessi esterni dall’art 40,
infatti in linea con l’art 2 che tutela l’integrità fisica e della vita delle persone, è vietato lo sciopero per i
marittimi durante la navigazione e limitato l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Inoltre in linea con l’at 41 che tutela l’autonomia privata, è considerato illecito lo sciopero che causi danno
alla produttività, cioè danni a impianti o persone, da distinguere con il danno alla produzione che invece è
causa naturale dell’astensione dalla prestazione per sciopero.
La disciplina dello sciopero nei servizi pubblici:
Solo dopo 40 anni dalla costituzione viene emanata una legge che regola lo sciopero, la legge 83 del 2000,
volto a disciplinare lo sciopero dei servizi pubblici essenziali a tutela degli utenti.
La stessa legge considera servizi pubblici essenziali “quelli volti a garantire il godimento dei diritti della
persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla sicurezza, alla libertà di circolazione,
all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione”.
La legge quindi cerca di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della
persona.
Al fine di evitare se possibile lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, prima che venga proclamato, la legge
impone, nei contratti o accordi collettivi, la previsione di “procedure di raffreddamento e di conciliazione”
per entrambe le parti, e l’accordo che omette tale procedura sarà considerato inidoneo.
Se tale procedura si rivela vana, la proclamazione dello sciopero dovrà avvenire con un preavviso minimo di
10 giorni, con obbligo di comunicazione scritta, contente durata, motivazioni e modalità dello sciopero. Tali
obblighi gravano sulle organizzazioni di lavoratori che proclamano o aderiscono allo sciopero, ma vincolano
anche i singoli lavoratori che non possono scioperare se non sono stati rispettati questi obblighi.
Questa comunicazione scritta contenente la proclamazione dello sciopero dovrà essere data sia alle
amministrazioni sia alle imprese eroganti sia all’autorità competente per l’eventuale precettazione, la quale
trasmetterà la comunicazione alla commissione di garanzia. Tutta la procedura ha lo scopo di consentire
all’amministrazione e all’impresa erogatrice del servizio, di predisporre le misure per garantire le
prestazioni indispensabili individuate nel contratto collettivo, consentire agli utenti di organizzarsi
tempestivamente avvisandoli almeno 5 giorni prima dello sciopero, e favorire tentativi di conciliazione.
Forma sleale di azione sindacale è definita la revoca spontanea ingiustificata dello sciopero anche legittimo
di cui sia già stata data comunicazione, e verrà punito con le sanzioni per lo sciopero illegittimo, ciò per
evitare il cosiddetto effetto annuncio.
Le prestazioni indispensabili, per garantire i servizi essenziali, sono individuati nei contratti collettivi
dall’amministrazione, dalle imprese erogatrici e dalle organizzazioni sindacali, con una sorta di supervisione
svolta dalla commissione di garanzia, che ha il compito di valutare l’idoneità degli accordi presi e di
deliberare una regolamentazione provvisoria in caso di mancato accordo.
Per garantire tali prestazioni, verrà quindi imposto o quote di lavoratori che dovranno astenersi dallo
sciopero o erogare il servizio periodicamente. Per il settore dei trasporti è disposto che siano comunicate gli
orari dei servizi attivi, e a tutela dell’esercizio di sciopero è previsto che le prestazioni indispensabili siano
non superiori al 50% delle prestazioni normalmente erogate.
La commissione di garanzia è un’autorità indipendente con la funzione di regolare in modo imparziale
interessi contrapposti, valutando il comportamento delle parti e con il potere di irrogare sanzioni. La
commissione è composta da 9 membri nominati dal presidente della repubblica su designazione dei
presidenti di camera e senato e scelti fra esperti in materia di diritto costituzionale, del lavoro e di relazioni
industriali. Sta in carica 3 anni e i suoi membri possono essere confermati una sola volta.
Il potere di precettazione non spetta alla commissione di garanzia ma bensì al presidente del consiglio o ad
un ministro da lui delegato ed al prefetto per conflitti di ambito più ristretto.
La precettazione consiste in un ordinanza contenente “le misure necessarie a prevenire pregiudizio ai diritti
della persona costituzionalmente tutelati, e ciò avviane quando tali diritti potrebbe essere cagionati
dell’interruzione o dall’alterazione del funzionamento dei servizi pubblici.
l’iniziativa di precettazione spetta alla commissione di garanzia che segnala la situazione di pericolo
all’autorità competente. Una volta avviato il procedimento, l’autorità competente deve invitare la e parti a
desistere da comportamenti che determinano la situazione di pericolo e tentare una conciliazione.
La precettazione riguarda sia le organizzazioni che proclamano lo sciopero, sia i singoli partecipanti, sia le
amministrazioni e le imprese erogatrici, poiché ciascuno deve collaborare per assicurare il funzionamenti
dei servizi pubblici essenziali.
le sanzioni:
Il potere di irrogare sanzioni spetta alla commissione di garanzia, ad esclusione di quelle per l’inosservanza
della precettazione che spetta all’autorità competente.
Sono sanzionati disciplinarmente con sanzioni esclusivamente conservative, i lavoratori se partecipano ad
uno sciopero qualificabile come illegittimo per la violazione di regole prescritte. I sindacati sono sanzionati
se proclamano o aderiscono ad uno sciopero illegittimo sia se revocano ingiustamente uno sciopero già
proclamato e comunicato agli utenti, le sanzioni previste consistono nella perdita dei permessi sindacali
retribuiti e/o dei contributi sindacali, che saranno devoluti all’INPS. I datori di lavoro delle imprese
erogatrici sono puniti con una sanzione amministrativa che va dai 5 ai 10 milioni di lire in caso di omesso
espletamento delle procedure di raffreddamento e conciliazione, per l’omessa comunicazione ai clienti, per
l’omessa assicurazione delle prestazioni indispensabili e per la violazione di qualsiasi obbligo derivante dalla
disciplina di settore applicabile.
La serrata:
la costituzione riconosce il diritto di sciopero, ma tace sulla serrata, che generalmente è considerato il
mezzo di protesta del datore di lavoro, ma non rientra nelle tutele dell’art 40 cost. semmai nel diritto di
libertà sindacale dell’art 39. La serata consiste nella temporanea chiusura dell’azienda con rifiuto di riceve e
retribuire le prestazioni lavorative dei dipendenti, e ciò, non essendo riconosciuto costituzionalmente un
diritto di serrata, comporta un’inadempienza di tipo civili, mentre rientrando nel diritto di libertà sindacale
è considerato lecito sul piano penale. La serrata, diventa penalmente illecita, se compiuta per fini non
contrattuali, ad esempio la serrata per fini politici.
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