NATALE PER TUTTI - Caritas Italiana

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M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L - N U M E RO 1 0 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
dicembre 2007 / gennaio 2008
Italia Caritas
SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI
NATALE PER TUTTI
POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO
MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?
ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE
sommario
ANNO XL NUMERO 10
IN COPERTINA
Organismo Pastorale della Cei
via Aurelia, 796
00165 Roma
www.caritasitaliana.it
email:
[email protected]
M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L - N U M E RO 1 0 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
dicembre 2007 / gennaio 2008
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
Bambini somali, rifugiati
nei campi spontanei
sorti a poche decine
di chilometri dalla capitale
Mogadiscio, da cui
in autunno sono fuggite
centinaia di migliaia di persone
foto Davide Bernocchi
Mensile della Caritas Italiana
Italia Caritas
Italia Caritas
direttore
Vittorio Nozza
direttore responsabile
Ferruccio Ferrante
SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI
NATALE PER TUTTI
coordinatore di redazione
POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO
MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?
ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE
editoriale
di Vittorio Nozza
UN DOPPIO CORAGGIO
VINCE LE VITTORIE DEL MALE
Paolo Brivio
in redazione
Danilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,
Salvatore Ferdinandi, Andrea La Regina, Renato
Marinaro, Francesco Marsico, Walter Nanni,
Giancarlo Perego, Domenico Rosati
editoriale di Vittorio Nozza
UN DOPPIO CORAGGIO VINCE LE VITTORIE DEL MALE
parola e parole di Giovanni Nicolini
LA STELLA CHE PREVIENE I VIAGGIATORI DELLA NOTTE
paese caritas di Flavio Ricci
LE SBARRE E LA RETE, COSÌ SI BATTE IL PREGIUDIZIO
3
progetto grafico e impaginazione
Francesco Camagna ([email protected])
Simona Corvaia ([email protected])
5
stampa
Omnimedia
via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)
Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408
6
sede legale
nazionale
CONDANNA A VITA? COSÌ SI BATTE LA POVERTÀ
di Walter Nanni
BUONE NUOVE IN FINANZIARIA, RESTA LA LOGICA DELL’EMERGENZA
di Francesco Marsico
database di Walter Nanni
I MUTUI CHE RIVELANO UN POPOLO DI INDEBITATI
di Andrea La Regina
dall’altro mondo di Antonio Ricci
CREARE CULTURA E RETI PER VINCERE IL LAMENTO
di Liberato Canadà
contrappunto di Domenico Rosati
gli appelli GUERRA IN SOMALIA, CICLONE IN BANGLADESH
panoramacaritas MARCIA, SERVIZIO CIVILE, COOPERAZIONE
progetti PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI
via Aurelia, 796 - 00165 Roma
8
redazione
tel. 06 66177226-503
offerte
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tel. 06 66177205-249-287-505
inserimenti e modifiche nominativi
richiesta copie arretrate
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tel. 06 66177202
spedizione
18
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in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)
art.1 comma 2 DCB - Roma
Autorizzazione numero 12478
del 26/11/1968 Tribunale di Roma
Chiuso in redazione il 30/11/2007
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AVVISO AI LETTORI
Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.
internazionale
ALGERIA, L’AFRICA CHE NON ARRIVA AL MIRAGGIO D’OLTREMARE
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servizi di Umberta Fabris, Anna Pozzi e Francesco Spagnolo foto di Hamza Bahri
guerre alla finestra di Francesco Meneghetti
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casa comune di Gianni Borsa
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L'ONDA E LE GUERRE, UNA VITA DA SFOLLATI
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di Giovanna Federici e Gianluca Ranzato
TSUNAMI: DOPO LA CATASTROFE, PROGETTI IN SETTE PAESI
36
di Maria Chiara Cremona
contrappunto di Alberto Bobbio
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agenda territori
villaggio globale
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storie di speranza di Danilo Angelelli
LENTI NUOVE VITA NUOVA E UNA CADUTA CHE CAMBIA LA VITA
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La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può
trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di
organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.
Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:
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Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032
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Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100
conto corrente 11113
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Donazione con Cartasì e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06 66177001
Cartasì anche on line, sul sito
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5 PER MILLE
Per destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primo
dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi
e indicare il codice fiscale 80102590587
i sono volte in cui le notizie si accavallano sotto i nostri occhi, instillando un sovrappiù di tristezza e desolazione. È
successo di nuovo tra ottobre e novembre. La morte della
donna aggredita selvaggiamente a Roma, il suicidio dell’adolescente di Ischia vittima di isolamento e dileggio, la scomparsa
di don Oreste Benzi si sono rincorsi sui mass media nel giro di
pochissime ore. Quasi a suggellare nell’immaginario pubblico
l’eclissi della speranza: il male che inanella nuove vittorie,
C
te già gonfia di odio, è stata la scintilla,
quasi il pretesto che attendevano per
sfogare la loro violenza, sentendosi
“giustizieri”. Il timore è che gesti simili,
in un momento di braci accese sotto
un filo di cenere, possano generare facile e diffusa emulazione. Che altre
bande possano trovare attraente l’idea
di “farla pagare” a qualche malcapitato straniero, fornendo alle proprie frustrazioni e idee xenofobe l’alibi di una
“supplenza” dello stato. È uno scenario di paura, che trova eco nelle parole
di badanti e operai rumeni intervistati
da radio e tv: l’ansia evidente di sopprimere l’accento dell’est, di precisare
che i rom sono altro da loro. L’ansia di
trovarsi in un paese dove ora la gente ti
scruta, apertamente o impercettibilmente ostile.
il bene che perde un araldo impareggiabile come don Oreste.
Nella cronaca certe volte
Crediamo, sappiamo per certo
sembra manifestarsi
che non è così. Ma siamo pure consal’eclissi della speranza.
pevoli che non basta contrapporre
Ma non è vero che
allo scoramento montante la risorsa
i conflitti sono inevitabili.
di una fede soltanto proclamata, o
Che esistono persone
declinata in astratto. Una fede incanon integrabili.Verso
pace di tradursi, come proprio il fonla culla di Betlemme,
datore della comunità Papa Giovanni
tutelando la vita,
XXIII ha insegnato per quarant’anni,
Regredisce, inaridisce
in opere efficaci, costruite sui terreni
L’hanno definita una decisa “risposta
praticando la solidarietà
dove molto ci si sporca le mani e più
alla paura” e, persino, un vaccino
si gioca la maturazione umana.
contro il dilagare delle ronde, espresMa è il delitto di Tor di Quinto, in particolare, a imporre sione di un rischiosissimo fai-da-te della sicurezza pubun supplemento di riflessione. L’Italia ha pianto, si è indi- blica. C’è del vero in entrambe le definizioni, a proposito
gnata, ha sofferto, per l’efferato omicidio compiuto da un del “decreto espulsioni” varato dal governo sull’onda delimmigrato rumeno. Il pianto, la sofferenza, l’indignazione le tragiche emozioni suscitate da una violenza assassina.
sono sentimenti giusti e comprensibili per l’enormità di C’è del vero, perché quando lo stato mostra di voler agire
quanto è accaduto. Così come è giusto ricordare che delitti d’urgenza fa sempre impressione. Ora, aspettando e chiee fatti egualmente gravi avvengono anche in altre città, pas- dendo una politica per la sicurezza ragionata, non ridesando a volte inosservati. La squadraccia che a Tor Bella stata come in un sussulto dal corpo massacrato di una
Monaca ha massacrato un gruppo di rumeni colpevoli so- donna, cerchiamo almeno di non lasciarci stordire dall’olo di essere tali è il segno più vistoso, e terribile, di quei mec- dore ferino della paura, che avvelena i cuori. Di provare
canismi oscuri che scattano in un territorio, quando la con- per quello sconosciuto rumeno colpito con un machete a
vivenza civile non sembra più del tutto garantita. Certa- Tor Bella Monaca da un plotone di falsa e bestiale “giustimente i picchiatori di Roma erano già pronti con le loro zia”, la stessa pietà destinata alla signora Reggiani (e “mespranghe da tempo, e vogliosi di “dare una lezione” agli ritata” anche dall’esemplare, umanissimo comportamenstranieri. L’omicidio di Giovanna Reggiani, per questa gen- to dei familiari). Apparteniamo allo stesso popolo, certi
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editoriale
parola e parole
di Giovanni Nicolini
che il male non è “straniero”, ma è invece da sempre vicino come la nostra ombra, insediato nel profondo di noi.
Per l’Italia, ora, è il momento della riflessione sui due
grandi temi che sono all’ordine del giorno per il prossimo
futuro: sicurezza e solidarietà. Senza la sicurezza la nostra
società regredisce, si riempie di istinti negativi al limite del
razzismo, si colora di facili paure. Senza la solidarietà l’Italia
si inaridisce, perde il senso di accoglienza che ha coltivato
da sempre, svilisce lo spirito di umanità, di attenzione alla
dignità di ogni persona che è alla base di tante iniziative per
l’integrazione di genti e popoli che vengono da lontano.
Unire solidarietà e sicurezza può sembrare difficile, ma
è l’impresa per la quale dobbiamo tutti impegnarci. Per
realizzarla sarebbe auspicabile, e possibile, un accordo tra
le principali forze politiche, perché da essa dipende il futuro del paese. Rendere sicura la vita quotidiana delle persone vuol dire rispettare il contratto sociale minimo che è alla base della convivenza civile; vuol dire evitare la guerra di
tutti contro tutti, nella quale si corre davvero il rischio che
l’uomo diventi nemico per l’altro uomo. Sicurezza e solidarietà o crescono insieme, o insieme naufragano.
Radici cristiane, principi costituzionali
Ma la sicurezza può diventare una realtà stabile soltanto
se accompagnata da un’opera di integrazione che chiede
a tutti, cittadini e immigrati, il rispetto dei doveri di solidarietà che rendono coesa una compagine sociale. Su
questo spesso si sente in giro un forte pessimismo:
l’integrazione è quasi impossibile, occorrono anni, c’è chi
non si integra veramente, i conflitti ideologici e religiosi
sono inevitabili, e via di seguito. Ciò non è vero.
Non è vero che è impossibile realizzare l’integrazione,
perché moltissimi immigrati già si sono integrati e trovano in Italia un’accoglienza che non ricevono in altri paesi.
Non è vero che i conflitti ideologici e religiosi sono inevitabili, perché la nostra identità storica e spirituale è stata
tante volte il presupposto dell’accoglienza degli altri, e di
una positiva convivenza. Non è vero che esistono persone
che per definizione non possono integrarsi nella società,
perché la nostra Costituzione e le nostre leggi prevedono
gli strumenti idonei a fermare chi delinque e favorire chi
agisce nel rispetto degli altri.
A seconda delle situazioni che si presentano, alcune di
queste affermazioni possono apparire ottimistiche o pessimistiche. Eppure occorre tener saldi ragione e sentimenti, anche andando controcorrente. Bisogna avere due
volte coraggio: il coraggio di tutelare sempre la vita e la sicurezza di tutti (non solo quando sentiamo che esse sono
in grave pericolo) e il coraggio di praticare la solidarietà in
ogni momento (non solo quando avvertiamo di averla dimenticata). Le radici cristiane e i principi democratici della Costituzione sono oggi chiamati in causa e costituiscono la fonte più sicura per scelte coraggiose, che affrontino
le sfide delle società multiculturali.
Poiché è il senso del “bene comune” che risulta appannato, non perdiamo l’occasione di augurarci un buon
Natale, ritrovando tutti insieme, come un unico popolo, il
sentiero che porta alla culla di Betlemme.
‘‘
Aspettando una politica per la sicurezza ragionata,
cerchiamo di non lasciarci stordire dall’odore ferino
della paura, che finisce per avvelenare i cuori
’’
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LA STELLA CHE PREVIENE
I VIAGGIATORI DELLA NOTTE
Con il lume celeste, Signore, previenici sempre e dovunque, affinché contempliamo con
sguardo puro e accogliamo con degno affetto il mistero di cui Tu ci hai voluto partecipi
questa un’antica preghiera della liturgia latina, che viene proclamata nell’“Orazione dopo la Comunione” il giorno dell’Epifania.
Purtroppo la versione italiana perde alcune preziosità, che qui ho
mantenuto, dal testo latino. Specialmente quel “previenici”, così bello e
prezioso in questa grande invocazione dello Spirito Santo. Il “lume celeste” domandato in questa preghiera è infatti l’evocazione della stella che
ha condotto i Magi fino a Betlemme. Ma la stella è a sua volta immagine dello Spirito Santo, che conduce tutti e tutto verso il Figlio di Dio.
questo amico: «Sai, la mia compagna
aspetta un bambino... Lo aspettiamo
tutti e due... Io lo aspetto con una gran
gioia e una grande ansia».
Il mistero! “Affinchè contempliamo con sguardo puro e accogliamo
con degno affetto il mistero”. Sono
tentato di reagire con ironia, ma per
grazia di Dio mi fermo in tempo.
Quanto basta per cedere al fatto che
Dio il suo mistero lo regala come vuole. Magari in un bambino che sta naNell’icona natalizia delle Chiese
scendo e che sconvolge il cuore e la vid’Oriente, sullo sfondo, sono sempre
Verso il Natale con
ta di suo padre.
rappresentati i Magi che viaggiano veri “Santi da lontano”.
Allora tutto ritorna a Nazaret, also il Bambino, e con grande slancio
Coloro che cercano,
l’annuncio primordiale: “Ti saluto,
avanzano, fissando la stella che li guida.
nella vicenda della loro
piena di grazia, il Signore è con te!”. Sì,
Mi piace unirmi a questi “Santi da
incredulità. Il Mistero
il primo annuncio è sempre così: la
lontano” e invitare allo stesso viaggio
si regala e sorprende.
meraviglia di un dono da contemplamolti miei amici che cercano la stella
Il Vangelo è atteso.
re e accogliere: “Ecco la serva del Sinella notte della loro incredulità, e ai
E la fede non si possiede,
gnore. Avvenga a me secondo la tua
quali cerco di star vicino con emozioma ci “viene” in dono.
parola”. Spero e prego per un Natale
ne e speranza. La fede è, come dice la
che sia contento di far precedere, a
preghiera antica, un dono da contemPer accogliere il Bambino
tutte le leggi, il dono! Come gli antichi
plare e accogliere. Bisogna consentire,
Magi, i miei amici hanno grandi regali
anzi favorire, un grande ingresso nella
possibilità di contemplare il dono di Dio. Ma lo si può con- da portare al Bambino: lasciamoli viaggiare e arrivare! Non
templare se questo dono viene alla vita di una persona sen- confondiamoli con le paure e gli inganni di Erode.
za condizioni, necessità di passaporti, barriere etiche.
Provate a “dire” il Vangelo: scoprirete che è atteso! ScoQuando Gesù è entrato nella casa di Zaccheo, quando prirete che piacerà! Non chiedetevi subito se il vostro interla salvezza è entrata nella casa di Zaccheo, Zaccheo era an- locutotre “ha la fede”. Nessuno, propriamente, ce l’ha. La fecora... quello che era! Ma, così com'era – un mascalzone – de “viene”. Insieme al dono, viene il gran dono di accoglierha potuto contemplare il dono di Dio. E l’ha potuto acco- lo. Nasce il Bambino. Lasciamo spazio e consenso alla Stelgliere con gioia! “Lo accolse pieno di gioia”: così il Vangelo la che conduce i nostri amici lontani – anche i nostri figli? –
dice di Zaccheo che accoglie Gesù in casa sua.
verso il dono di Dio, il Bambino che nasce, Colui che solo
può far nuove tutte le cose.
Lo aspetto con gioia e ansia
Sento dire che la gente “cammina male”, cioè si comE così anche un mio sciagurato amico può accogliere il Si- porta male. Non è il vero problema. Il problema oggi è non
gnore nella casa della sua vita e della sua storia. Mi dice impedire ai viaggiatori della notte di vedere la Stella.
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paese caritas
di Flavio Ricci
direttore Caritas Ancona
LE SBARRE E LA RETE,
COSÌ SI BATTE IL PREGIUDIZIO
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Italia Caritas
le notizie che contano
un anno con Italia Caritas
Nel 2004 abbiamo cambiato veste.
Da allora abbiamo migliorato sempre.
Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.
Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.
Storie che raccontano l’Italia e il mondo.
Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas”
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dicembre 2007 / gennaio 2008
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
di autorizzazione per svolgere attività
di volontariato dentro il penitenziario; l’ingresso ufficiale dei primi volontari Caritas è avvenuto a gennaio
2003 e ha fatto comprendere quanto
sia importante adoperarsi per modificare la cultura del pregiudizio, spendendo maggiori energie nel settore
della prevenzione.
Intanto nel 2002 si erano costituiti la Conferenza regionale marchigiana “Volontariato e giustizia”, cui adeAnche il viaggio dei volontari Cariscono undici associazioni, e il Coritas, nella realtà di Montacuto, è staIl carcere spesso
mitato carcere-territorio, voluto dal
to in salita. Ma dopo sette anni si può
è concepito come
comune di Ancona e aperto a tutti i
dire che la separazione fisica e natuun mondo a parte.
soggetti (pubblici, privati e del terzo
rale tra i problemi di chi vive dietro le
Ma i detenuti non vanno
settore) impegnati in ambito penisbarre e la società civile si è in parte
considerati un corpo
tenziario. Il comitato ha rappresentacolmata. Gli operatori della Caritas
estraneo al territorio.
to il tentativo, in una logica di coordidiocesana sono entrati a Montacuto
namento, di superare il muro di indifspinti dalle parole di Giovanni Paolo
Il coordinamento tra forze
ferenza e peggio di pregiudizio che
II, che in occasione del Giubileo disse
sociali e istituzionali
da sempre circonda il mondo recluche bisognava visitare anche le “basiè la chiave per superare
liche del dolore”: ospedali, carceri,
so, per far sorgere attorno al carcere
paure e discriminazioni
luoghi dove si vive quotidianamente
una significativa rete di solidarietà.
Un ulteriore frutto della collaboraziol’emarginazione e la sofferenza.
Il primo passo è stato fatto proprio nel 2000, con il ne con il comune sarà Casa Orizzonte, struttura di accocoordinamento di vari soggetti: insieme si è programma- glienza per detenuti in semilibertà o in permesso-premio,
to un corso di formazione, che ha costituito un primo mo- cui è consentito lavorare all’esterno o assaggiare spazi di
mento di sensibilizzazione per il territorio. Il corso è stato libertà piccoli, ma preziosi e necessari per riprendere un
infatti ospitato dalla parrocchia di Santa Maria delle Gra- contatto positivo con il territorio.
I carcerati, insomma, non vanno relegati tra le quattro
zie di Ancona, dove il parroco ha messo a disposizione anche un piccolo appartamento per l’accoglienza. Ricerca e mura che li rinchiudono, quasi fossero un corpo estraneo
offerta si sono incontrate: l’anno successivo è stato il con- alla società, un bubbone che sarebbe bello eliminare, se
siglio pastorale a dare via libera e nel settembre 2001 è sta- fosse possibile. Il carcere racchiude persone, problemi,
ta inaugurata casa “Le Grazie”, che accoglie le famiglie in difficoltà, che solo incontrandosi con il “fuori” diventando
condivise, possono trovare spiragli di soluzione. Fare rete,
visita ai detenuti.
attorno a un carcere, significa proporre progetti di accoglienza più incisivi. Ma anche costruire cultura, contro il
Incontrarsi con il “fuori”
Ma la storia dell’attenzione al carcere non si è esaurita nel- pregiudizio. Che imprigiona la dignità delle persone e della nuova casa. A Natale 2002 sono arrivate le prime lettere le relazioni, e non contribuisce a creare sicurezza.
l carcere di Montacuto è immerso nel verde, ma è come una ferita di
cemento che deturpa, con i suoi cancelli e le sue sbarre, il suggestivo
parco del Conero. La città – Ancona – è lontana, se ne intravede una
parte dalla collina di fronte: anche la natura sembra sancire la separazione tra il mondo civile e quello di chi delinque. Tanto più che parlare di carcere oggi non è facile, perché la gente vive in un clima in cui la percezione
dell’insicurezza e della precarietà della giustizia sono sempre più forti, anche a causa di un’informazione mediatica che suggestiona e condiziona.
Italia Caritas
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SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI
NATALE PER TUTTI
POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO
MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?
ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE
Occasione 2008
ABBONAMENTO CUMULATIVO CON VALORI
È un mensile di economia sociale e finanza etica
promosso da Banca Etica.
Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro. Per fruire dell’offerta
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presso Banca Popolare Etica - Abi 05018 - Cab 12100 - Cin A
Indicare la causale “Valori + Italia Caritas”
e inviare copia dell’avvenuto pagamento al fax 02.67.49.16.91
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di realizzazione, che ammonti ad almeno
15 euro. A partire dalla data di ricevimento
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sarà inviata un’annualità del mensile.
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nazionale
lotta all’esclusione
Il settimo Rapporto sull’esclusione
sociale Caritas-Zancan propone
oltre cento storie di chi
ce l’ha fatta, a rovesciare le sorti
del proprio disagio. Conta
l’aiuto materiale e assistenziale.
Ma anche vicinanza e amicizia
NON DI SOLI EURO
Gli aiuti economici segnano
spesso una svolta nelle
storie di povertà. Ma per
gli ex utenti dei centri d’ascolto
valgono anzitutto le relazioni
di Walter Nanni
a povertà è una condanna a vita? Per molti,
non per tutti. Dal tunnel si può uscire. Con le
proprie forze, reggendosi sulla stampella
dell’aiuto e dell’accompagnamento altrui.
Che la qualifica di escluso non sia irreversibile, anche se le condizioni reddituali, relazionali e psicologiche e i meccanismi sociali ed economici che la giustificano tendono spesso ad autoperpetuarsi e cronicizzarsi, lo dimostrano molte storie di vita.
A cominciare da quelle che oggi, per fortuna, possono
raccontare molte persone accolte e seguite dai centri di
ascolto Caritas sparsi in tutta Italia. La recente, settima
edizione del Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale
di Caritas Italiana e Fondazione Zancan, significativamente siglata da un titolo interrogativo (Rassegnarsi alla
povertà?), evidenzia che esistono percorsi possibili di
uscita dalla povertà. Lo dimostrano le 124 interviste ri-
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
volte a ex utenti delle Caritas diocesane in tutta Italia (53
italiani e 71 stranieri), persone uscite “definitivamente”
da situazioni acute di disagio, che non presentano più
necessità urgente di intervento da parte delle Caritas o di
altri enti assistenziali o caritativi. Due costanti emergono
dai racconti: nella storia personale esiste sempre un
“punto di svolta”; per uscire dallo stato di povertà è importante poter contare (anche) su un aiuto assistenziale.
Il momento della svolta
Non sempre il momento di svolta è connotato in termini positivi. In alcuni casi gli avvenimenti-chiave si riferiscono ad eventi negativi: lutti, licenziamenti, malattie.
In virtù del forte impatto sul soggetto, questi eventi determinano però in qualche modo una “inversione di
rotta” nella biografia personale. Per gli stranieri il “punto di svolta” più frequente si riferisce al tema del lavoro.
La copertina di Rassegnarsi
alla povertà? Il settimo
Rapporto su povertà
ed esclusione sociale in Italia
di Caritas Italiana e Fondazione
Zancan (Il Mulino, Bologna,
ottobre 2007, euro 20)
non si limita ad analizzare
gli squilibri del nostro sistema
di welfare, ma illustra
i percorsi di uscita dalla povertà
compiuti da ex utenti
dei centri d’ascolto Caritas
Conta molto il riuscire ad “avviare un’attività imprenditoriale in proprio”: la possibilità di sviluppare una professionalità autonoma è una risposta efficace, che migliora l’autostima della persona e mitiga alcuni degli effetti negativi determinati dall’inserimento degli immigrati in ambienti lavorativi potenzialmente respingenti.
Segue la risoluzione dei problemi alloggiativi, che consente di accogliere le famiglie e sviluppare una dimensione personale di vita. Importante è anche la dimensione familiare: i punti di svolta possono essere legati a
eventi lieti (l’arrivo in Italia dei figli per ricongiungimento familiare) ma anche negativi (il distacco dalla famiglia o dalla patria di origine). Per alcuni immigrati, il
momento di svolta è avvenuto in occasione di un viaggio nel proprio paese: il confronto tra le dure condizioni di vita in patria e la situazione italiana ha determinato la decisione di rimanere nel nostro paese e impe-
ROMANO SICILIANI
CONDANNA
A VITA?
COSÌ
SI BATTE
LA POVERTÀ
DENUNCIA
SENZA RASSEGNAZIONE
gnarsi più a fondo nel processo di integrazione e inserimento sociale.
Per gli ex utenti italiani, il punto di svolta non è mai
rappresentato dal miglioramento della propria condizione economica: più che l’aiuto in denaro risulta strategico il riuscire a trovare un lavoro o ad avviare un’attività
produttiva o lavorativa autonoma. Nell’ambito degli
eventi familiari, alcuni fattori di svolta sono costituiti da
episodi negativi, ma segnati da un forte impatto emotivo: la fuga da casa, la separazione dal partner, la morte di
un genitore o di un altro familiare. Significativi sono
inoltre gli aspetti psicologici e motivazionali:
l’inversione di rotta dalla povertà scatta nel momento in
cui il soggetto matura una capacità di discernimento e
forti motivazioni di cambiamento; importante, in proposito, sono il “sostegno morale” e la “fiducia ricevuta”
dagli operatori Caritas. Anche la questione abitativa si rivela importante, sia in casi negativi, come la perdita della casa o lo sfratto, sia in relazione a eventi drammatici,
che hanno in qualche modo avviato una maggiore determinazione nel voler risolvere i propri problemi e un
più elevato livello di coinvolgimento di parenti e amici.
Non sentirsi abbandonati
Quali sono gli interventi che hanno favorito, tra i 124 intervistati, l’uscita dalla povertà? Il sostegno ricevuto dalla Caritas è giudicato importante, con particolare riguardo agli aiuti alimentari ed economici e alla ricerca di una
sistemazione lavorativa. Ma gli ex utenti segnalano soprattutto l’importanza del “rapporto di amicizia” venutosi a creare con alcune figure Caritas: un sacerdote, un
operatore, un volontario. La possibilità di sviluppare un
rapporto affettivo, il “non sentirsi abbandonati”, “non essere lasciati soli”, si confermano aspetti essenziali del
percorso di rinascita, elementi che caratterizzano in senso positivo il modello di aiuto Caritas rispetto a quello di
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nazionale
lotta all’esclusione
altre organizzazioni o servizi socio-assistenziali.
Nel complesso, il valore aggiunto individuabile nel
modello di intervento Caritas risiede nell’approccio
complessivo che viene offerto, all’interno del quale si
tenta di coniugare l’aspetto concreto dell’aiuto al sostegno psicologico e affettivo. Va inoltre rilevata
l’importanza degli aspetti motivazionali e psicologici:
accanto ad alcuni tipi di aiuto materiale, si evidenziano
una serie di momenti ed eventi biografici (anche drammatici) che possono determinare di per sé un cambiamento di rotta. Tale peculiarità evidenzia la necessità di
accostare ai tradizionali interventi materiali di contrasto
alla povertà economica anche azioni di rimotivazione,
ri-socializzazione e di ricerca del senso della vita, come
già avviene da parte di alcune Caritas diocesane della
nostra penisola. Oltre alla canna, per tornare a pescare, è
importante la fiducia in chi la porge, e la cura che costui
dimostra nell’insegnare ad usarla.
Buone nuove in Finanziaria,
ma resta la logica dell’emergenza
Il “pacchetto welfare” guarda solo alla previdenza. E nella manovra 2008
troppe misure una tantum. Le politiche sociali necessitano di visione strategica
iflettere sulla legge finanziaria, in particolare per
quanto riguarda gli specifici strumenti di contrasto alla povertà, mentre nelle aule parlamentari
si è già sviluppata la consueta straziante guerriglia che ne costella l’iter di approvazione, può
apparire un vuoto esercizio di stile. Però è necessario sviluppare una riflessione critica in materia. Partendo da un
dato essenziale: il nostro paese non offre ai cittadini risposte, in termini di servizi e risorse economiche, efficaci
e uniformi a livello nazionale. A differenza della grande
maggioranza dei paesi dell’Unione europea, non si è costruito un sistema organico di risposte sociali adeguato ai
rischi di povertà, esclusione o disagio.
Le politiche sociali non possono risolversi in interventi
isolati, di carattere solo previdenziale, rivolti a categorie
specifiche, costituiti solo da trasferimenti monetari. In Italia si è discusso per settimane sul cosiddetto “pacchetto
welfare”, in realtà un mero “pacchetto previdenza”, che riguarda il tema – fondamentale, non esclusivo – del futuro
pensionistico. Di vere e proprie politiche di contrasto alla
povertà nessuno ha parlato in maniera altrettanto esplicita. Questi limiti culturali si mischiano al risanamento dei
conti pubblici: poche risorse e idee confuse creano un mix
micidiale, al quale si aggiunge l’instabilità politica, che erode capacità progettuale e visione strategica.
La principale conseguenza è l’immobilità del dato sulla povertà assoluta e relativa, che l’Istat offre ogni anno alla riflessione del paese. Nel 2006 il 13% della popolazione,
ovvero l’11% delle famiglie italiane, viveva in condizioni di
povertà: il dato non varia da anni, se non per impercetti-
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
bili scostamenti decimali. Senza demagogia: non sarebbe
degno di essere assunto come priorità politica, invece di
procedere secondo una perenne logica di emergenza e
con provvedimenti una tantum?
ROMANO SICILIANI
di Francesco Marsico
PASSAGGI PERICOLOSI
E chi non è neanche incapiente?
Venendo allo specifico della manovra finanziaria per il
2008, le linee di investimento sociale prescelte sono essenzialmente quattro: sostegno al reddito delle famiglie
meno abbienti; contrasto del disagio abitativo; emanazione di livelli essenziali di assistenza, progressivamente esigibili, nel campo della non autosufficienza; consolidamento senza arretramenti dei principali fondi dedicati ai
servizi socio-assistenziali e socio-educativi.
Entrando nel dettaglio, il governo aveva già stabilito
che 1.900 milioni di euro, provenienti dal cosiddetto “tesoretto”, fossero destinati per il 2007 al sostegno dei contribuenti a basso reddito, detti “incapienti”. Si tratta di una
misura una tantum, che dovrebbe portare già a dicembre
2007 a un’erogazione di 150 euro come rimborso forfettario, per i contribuenti che, pur avendovi titolo, non hanno
potuto beneficiare nel 2006 di esenzioni fiscali Irpef, in
quanto titolari di redditi così bassi da non essere stati assoggettati all’imposta. La somma aumenterà di 150 euro
per ciascun familiare a carico. È significativo che per la
prima volta si prendano in considerazione gli “incapienti”.
È quanto Caritas, tra gli altri, va chiedendo da anni.
L’impatto effettivo della misura è tuttavia reso poco più
che simbolico da due fattori: si tratta di una misura una
tantum (la cui ripetizione non è prevista dal disegno di
Palazzo Madama, sede del
Senato. Qui si gioca la sorte di
Finanziaria e pacchetto welfare
legge finanziaria per il
2008); sono escluse le
persone in condizioni di
povertà estrema, le quali, non presentando denunce dei
redditi (e spesso neppure essendo iscritte all’anagrafe fiscale), non beneficeranno di contributi. Cosa ben diversa
sarebbe stata la previsione, per un certo periodo parsa
possibile, di un fondo nazionale contro la povertà, da distribuirsi secondo un apposito piano strategico.
Il governo lancia poi, grazie a 550 milioni di euro per il
2008, un piano straordinario di edilizia residenziale pubblica, con destinazione prioritaria per gli sfrattati, e prevede, sempre per il 2008, un fondo di 150 milioni per costituire una società pubblica che agevoli e stimoli i proprietari ad affittare i propri appartamenti nei comuni a più alta densità abitativa; inoltre è prevista la costituzione di osservatori nazionale e regionali sul disagio abitativo. Si tratta di misure di cosiddetto housing sociale, ossia destinate
ad affrontare il grave problema del disagio abitativo: anche in questo caso la strada intrapresa appare corretta,
sebbene il fatto che si tratti di interventi straordinari, per
quanto non irrilevanti, rischia di vanificare l’obiettivo,
cioè il varo di una politica abitativa degna di tal nome, fino a oggi quasi del tutto assente. La destinazione prioritaria agli sfrattati, per quanto comprensibile, rischia inoltre
Sara, che fa ballare la figlia
«Mangio poco, sono una regina»
Sara ha 37 anni, da quando ne aveva 14 soffre
di anoressia nervosa. «Mia madre è rimasta incinta
molto giovane, ma alle prime botte di mio padre…
lei da una parte, lui dall’altra. Lui l’ho conosciuto
solo qualche anno fa: è sempre stato un poco di buono;
entra ed esce dal carcere, non si contano i soldi
che ha, tutti guadagnati con i suoi traffici.
Ma io quei soldi non li ho mai voluti».
A un certo punto, Sara ha una relazione affettiva.
Ma scopre che l’amore può essere una sfortuna.
Lui è un tossicodipendente, lei comincia a drogarsi.
E rimane incinta. «Speravo che mi salvasse, mi portasse
via da tutto lo schifo. Invece mi sono ritrovata
con un delinquente. Quando ho saputo di essere incinta
sono andata fuori di testa: mi sono precipitata al Sert,
volevo aiuto, volevo smettere. Mia figlia è nata al sesto
mese, perché il mio ex voleva che abortissi: una sera,
dopo una lite furibonda, mi ha preso a calci nella pancia
e stavo per partorire a casa. Hanno fatto appena
in tempo a tirarmi fuori la bimba e me l’hanno subito
portata via. Mi hanno portato in una casa di accoglienza
Caritas, la bambina è arrivata tre mesi dopo.
Doveva arrivare più tardi, ma l’assistente sociale
ha visto che ero pelle e ossa, se non la vedevo morivo».
Il percorso di uscita dalla povertà è cominciato grazie
a un lavoro e al completamento degli studi.
«Sono diventata infermiera professionale e ho vinto
il concorso. Intanto la Caritas mi aveva messa
in contatto con la parrocchia vicina: abbiamo trovato
una famiglia che ci ha un po’ adottate, me
e la bambina. La svolta è venuta quando ho comprato
la casa e ci siamo legate a questa famiglia. Sono brave
persone, hanno una figlia che ha quasi l’età di mia
figlia, è come se fosse una sorellina, no? Oggi la mia
bimba ha 8 anni, ma delle volte mi fa da mamma,
sembra che ne abbia 18! A scuola è bravissima, quando
vado a parlare con le maestre sono solo complimenti,
l’ho iscritta a danza, faccio gli straordinari per
mandarcela, le piace tanto. Adesso stiamo bene,
abbiamo la nostra casa, nessuno ci manda via. A fine
mese è dura, io mangio poco ma a lei non manca nulla.
A volte prendo i vestiti dalla Caritas, non mi vergogno.
Ma rispetto a qualche anno fa, mi sento una regina…».
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nazionale
nazionale
database
esclusione
politiche
sociale
sociali
lotta all’esclusione
Fatima ha una tavola calda
«Ce l’ho fatta grazie ai volontari»
Fatima proviene dall’Iraq. Ha 37 anni ed è dovuta
fuggire verso la Germania, insieme al marito, nel 2002.
Da sola, con il figlio di 12 anni, è arrivata a Roma,
dove si sono dichiarati rifugiati politici. «Con i soldi
che mi mandava mio marito pagavo l’affitto di una casa
in via Inghilterra e compravo il necessario. Ho il diploma
di scuola alberghiera e ho cercato lavoro, ma dopo due
mesi in una pizzeria non mi pagavano e sono andata
via. Poi, un’estate, sono stata due mesi in Germania,
ma quando sono tornata avevo lo sfratto. Non stavo
bene, ero in difficoltà. Mio marito non poteva
più mandarmi soldi».
Fatima trova il coraggio di rivolgersi al centro
d’ascolto Caritas. «Avevo paura che mi facessero
delle domande, ma sapevo che ci andava altra gente…
Sono stata ospitata per 23 giorni in un centro
di accoglienza parrocchiale, poi sono andata ad abitare
con mio figlio presso un’anziana che si era rivolta
al centro di ascolto, offrendo vitto e alloggio in cambio
di compagnia e piccoli servizi. Un mese dopo
sono stata ricoverata per un intervento chirurgico
e le volontarie della Caritas si sono occupate
della mia assistenza e di mio figlio. Lo hanno ospitato,
accompagnato a scuola e seguito nei compiti, lo hanno
portato in ospedale per farci incontrare. Faceva freddo,
gli hanno dato dei vestiti pesanti, lo hanno fatto
dormire da una famiglia che avevamo conosciuto
al centro di accoglienza…».
Il punto di svolta arriva con la possibilità di avviare
un’attività. «Quando sono guarita, insieme a una
volontaria mi sono informata su cosa dovevo fare
per aprire una tavola calda, quali pratiche dovevo fare,
se c’erano aiuti per le donne. Ce l’ho fatta: oggi cucino
cibo del mio paese. Non è stato importante solo poter
contare su un aiuto materiale. Certo, il cibo, i vestiti,
i libri e lo zaino per il ragazzo... Ma soprattutto
i volontari mi hanno spiegato cosa dovevo fare
per aprire l’attività, dove dovevo andare per le carte.
Hanno garantito per me con il padrone del locale.
La tavola calda è andata subito abbastanza bene,
poi è venuto mio marito. Un mese fa abbiamo avuto
una bambina. Lavoriamo e il fratello più grande la guarda.
Oggi viviamo tutti insieme. E ci sentiamo abbastanza tranquilli».
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CURARSI È IMPOVERIRSI
LA SALUTE CI COSTA CARA
di Walter Nanni
e spese sanitarie? Salvano la vita. Ma possono impoverire. Il
quinto Rapporto Ceis Sanità 2007, realizzato dal Centro di ricerca della facoltà di economia dell’Università di Roma Tor
Vergata, mette in evidenza alcuni dati relativi agli effetti negativi
che le spese sanitarie possono avere sui bilanci delle famiglie italiane. Dal rapporto emerge che è in crescita il rischio di impoverimento di chi deve sostenere spese sanitarie non coperte dal Servizio sanitario nazionale, in particolare per le cure odontoiatriche e
l’assistenza alle persone non autosufficienti.
L
ASCOLTARE, SVOLTARE
Colloquio in un centro d’ascolto
a Genova. La relazione è cruciale
per aiutare a superare il disagio
di trasformarsi in un
boomerang, in termini
di tensioni sociali, nelle
realtà ove vi siano lunghe liste di attesa, che bisognerà
stravolgere per seguire tale priorità.
In terzo luogo, viene portato da 100 e 400 milioni il fondo nazionale per la non autosufficienza, con la dichiarata
intenzione di fissare, con decreto collegato alla Finanziaria, i Livelli essenziali, da rendere esigibili nell’arco di un
triennio, aumentando progressivamente il fondo sino al
punto necessario (circa 2 miliardi di euro l’anno di fonte
statale, da aggiungere ai fondi regionali). L’incremento è significativo, e si spera rivelatore di un’effettiva volontà politica di fissare, almeno in questo ambito, i Liveas-Lea previsti dall’articolo 117 della Costituzione e sinora inattuati.
Infine, vengono incrementati di 25 milioni per il 2008 il
fondo nazionale per le politiche sociali e i fondi destinati al
piano straordinario per lo sviluppo del sistema territoriale
dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, previsti
dalla Finanziaria 2007. Anche in questo caso si tratta di un
segnale apprezzabile nelle intenzioni e sotto il profilo culturale, ma insufficiente dal punto di vista quantitativo.
Prospettive per una “grande opera”
Segnalare mancanze è sempre più facile che fornire prospettive. Caritas Italiana e Fondazione Zancan hanno però
provato a porre la questione di una graduale definizione di
un piano di contrasto organico delle povertà (vedi IC
7/2007). In concreto, bisognerebbe chiarire durata o progressività delle misure adottate, gli strumenti per valutarle,
lo scenario complessivo in cui si collocano. E coordinare le
misure della Finanziaria a livello nazionale, accordandole
anche agli strumenti che regioni ed enti locali mettono in
atto. Sarebbe una “grande opera”, capace di dare dignità,
futuro e diritti a ogni cittadino di questo paese.
2,9% e 2,3%). Ma l’impoverimento colpisce sempre più anche le coppie con
figli: la percentuale di famiglie impoverite è passata dallo 0,6% all’1,2% per
le coppie con un figlio, dall’1,1%
all’1,9% per quelle con tre o più figli.
Una situazione che si accompagna
peraltro a una crescita dell’incidenza
della povertà (dal 22,4% al 24,1%).
Una maggiore qualità?
Sono sempre di più, ben 948.253
L’indagine Ceis si sofferma anche
(il 4,1% del totale), le famiglie gravate
sulla de-ospedalizzazione. Dal 2000
Aumenta il numero
da spese definite “catastrofiche” soal 2005 si è realizzata in Italia (con
di famiglie italiane
stenute per la salute. Notevoli le diffeeccezione di Molise, Abruzzo e Siciche vedono dissestato
renze regionali: rischio massimo in
lia) una drastica riduzione dei posti
il proprio bilancio
Calabria, dove il fenomeno colpisce
letto ospedalieri: si è passati da una
dalle spese sanitarie
l’11,2% delle famiglie, minimo in
disponibilità di 5,1 posti letto per
sostenute in strutture
Emilia Romagna (1,2%). Le spese “camille
abitanti a una del 4,6; inoltre si
private. Intanto negli
tastrofiche” sono più frequenti tra i
è
ridotta
la quota di spesa per
ospedali meno posti letto
meno abbienti (lo sono per il 14,1% di
l’assistenza
ospedaliera (il 47% della
e più personale:
quanti stanno nel primo quintile di
spesa
sanitaria
nel 2005).
la spesa ospedaliera
ricchezza, per il 2,2% di chi sta nel seAlla
contrazione
dei posti letto
non è razionale
condo quintile), ma il fenomeno incinon è corrisposta però una riduziode anche sui cosiddetti ceti medi (nel
ne degli organici. Ciò sembra preluterzo quintile le famiglie colpite sono l’1,2%). Nonostante dere a una maggiore qualità dell’assistenza, ma suscita
sia riservato al settore privato quasi il 25% della spesa sa- preoccupazioni per la razionalizzazione complessiva
nitaria, i dati disponibili confermano che solo il 6,1% delle dell’assistenza ospedaliera. I medici delle strutture di rifamiglie (prevalentemente abbienti) hanno coperture as- covero sono infatti aumentati, a livello nazionale, del
sicurative. E fra queste c’è una bassa incidenza di polizze 7,7%, mentre gli infermieri, nonostante sia aumentata la
che coprono l’intero nucleo familiare (il 31,3%).
loro disponibilità per posto letto, si sono ridotti del 2,3%:
Il fenomeno dell’impoverimento dovuto in gran par- in particolare si è passati, per quanto riguarda i medici,
te alle spese sanitarie private è in costante crescita: le fa- da 0,36 per posto letto nel 2000 a 0,43 nel 2005, mentre
miglie già concretamente impoverite per motivi sanita- per quanto riguarda gli infermieri si è passati da 0,88 a 1
ri sono 346.069 (1,5% della popolazione italiana). Forti, unità di personale per posto letto.
anche in questo caso, le differenze regionali: si va dallo
A livello regionale i dati disegnano una situazione
0,3% della Toscana al 4,9% della Calabria.
estremamente differenziata: si passa da 0,31 medici per
Più a rischio di impoverimento sono gli anziani, in par- posto letto nella provincia autonoma di Trento a 0,62 in
ticolare le persone sole over 65 e le coppie senza figli con Valle d’Aosta; quanto agli infermieri, si va dallo 0,78 in
uno dei due coniugi anziano (il rischio è, nei due casi, del Calabria all’1,34 in Liguria.
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nazionale
finanza e famiglie
ATTENTI
AL TASSO
Giovane coppia
alla ricerca
di una casa.
Ma i mutui
più recenti
hanno riservato
cattive sorprese
La crisi “importata” dagli Stati Uniti.
E il sovraindebitamento dovuto
allo scriteriato accesso al credito
al consumo. Gli italiani non sono
più risparmiatori? Servono maggiore
trasparenza e nuovi strumenti
da parte di banche e finanziarie
strumenti innovativi. Ciò vale soprattutto per molte famiglie di lavoratori atipici, che nonostante la garanzia reale
costituita dal bene immobile, non trovano accesso al credito a causa della instabilità del rapporto di lavoro.
ROMANO SICILIANI
Sviluppo positivo, impatto letale
I MUTUI CHE RIVELANO
UN POPOLO DI INDEBITATI
di Andrea La Regina
e famiglie italiane si trovano ogni giorno di
fronte a complesse emergenze sociali ed
economiche, che creano un clima di insicurezza. Le istituzioni, non solo finanziarie, non riescono a monitorare queste
emergenze se non dopo la loro insorgenza
e non approntano gli ammortizzatori sociali, né adottano le misure strutturali che sarebbero di
vero e concreto aiuto alle famiglie. Ultima emergenza
in ordine di tempo, la crisi dei mutui americani.
Nonostante le rassicurazioni manifestate da più parti, essa ha avuto conseguenze almeno indirette sulla
L
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
realtà italiana: l’aumento del tasso di interesse variabile
ha colpito molte persone e famiglie, perché il ritocco dei
tassi ha innescato aumenti anche considerevoli delle
rate dei mutui sottoscritti (soprattutto per l’acquisto
della casa) con tasso variabile.
Le associazioni dei consumatori accusano le banche
di avere preferito e “spinto” il tasso variabile, proponendolo ai cittadini consumatori pur in previsione di un futuro rialzo dei tassi. Questo fenomeno pone in evidenza il
tema più generale dell’accesso al credito in Italia: molte
famiglie vivono nell’esclusione “finanziaria” per varie cause e le istituzioni bancarie non sono in grado di proporre
In passato l’esclusione dall’accesso al credito, da parte
delle banche, riguardava soprattutto chi non poteva offrire garanzie reali o non era “sicuro”, perché protestato
o inaffidabile, senza che si procedesse a un accurato
esame delle potenzialità reali di restituzione del denaro.
In seguito questo spazio d’accesso al credito è stato occupato dalle finanziarie, la cui propaganda punta a intercettare la domanda dei soggetti più fragili ed esclusi.
Molte famiglie hanno così incrementato l’uso di un
nuovo strumento, il credito al consumo, senza tener
conto delle spesse fisse molto alte che comporta e del
tasso di interesse che le finanziarie, legalmente, possono praticare fino al 24%. Tutto ciò si è sommato, negli
ultimi mesi, alla crisi dei mutui: molte famiglie si sono
così trovate in condizione di sovraindebitamento.
Gli esperti del settore ricordano che in Italia il ricorso al credito al consumo era molto basso e che il recente incremento rappresenta uno sviluppo positivo del
mercato. Ma l’impatto su molte famiglie è stato letale:
una propaganda ossessiva e a portata di mano, senza
consulenza responsabile, può ingannare il cittadino
consumatore, che si vede offrire su un piatto d’argento
un accesso al credito certamente non a buon mercato e
che ben presto può rivelarsi insostenibile.
Così oggi i centri di ascolto Caritas e i soggetti antiusura e di microcredito si trovano a dover affrontare incombenze non specifiche: da un lato la tutela sociale di
ha “acceso” fino a dieci finanziamenti (e in assenza di
una giurisdizione chiara spesso deve fronteggiare contemporaneamente il peso del mutuo casa su cui incombe il pignoramento e il procedimento di vendita all’asta
a causa della pressione smodata dei processi di recupe-
ro credito); d’altro canto, la ricerca di soluzioni tramite
fideiussioni, così che associazioni e fondazioni finiscono per assumersi rischi economici, per conto dell’indebitato, a causa del mancato intervento delle istituzioni.
Ma non è possibile continuare a proporre soluzioni assistenzialistiche. Bisogna varare misure promozionali,
anche tramite interventi legislativi ad hoc, capaci di andare oltre le emergenze e le proclamazioni di principio,
che lasciano nell’abbandono le famiglie.
Il fenomeno del sovraindebitamento viene spiegato
da diverse tesi: c’è chi parla di decisioni sbagliate da parte del consumatore dovute alla carenza di informazioni;
chi mette l’accento sulla irresponsabilità di consumatori, che finiscono per far gravare i propri problemi sull’intero sistema finanziario e sociale; chi accenna alla dipendenza indotta da una propaganda ossessiva che incoraggia il consumo; chi punta il dito contro la mancanza di un’educazione finanziaria diffusa. Ma l’eccessivo
ricorso al credito non è solo un dinamismo del mercato
economico, è segno delle difficoltà generalizzate di un
sistema, che minacciano soprattutto le famiglie.
Intermedi e sperimentali
Di recente la Banca d’Italia ha fatto notare che la percentuale di famiglie che ha visto peggiorata la propria
situazione reddituale è gradualmente ma notevolmente
aumentata negli ultimi anni. Ci possono dunque essere
state forme di irresponsabilità. Ma molti mutui casa sono stati contratti perché il costo degli affitti è elevatissimo, oltre che per assicurarsi abitazioni decenti e
confortevoli. E così oggi ci si trova di fronte a casi molto
frequenti di vendita all’asta, da parte delle banche, di
case appartenute a famiglie in sofferenza economica. In
campo nazionale, il numero di pignoramenti ed esecuzioni immobiliari interessa tantissime famiglie, come si
può evincere dal numero elevato di procedimenti in
corso presso i tribunali.
Occorrerebbe che banche e finanziarie, in nome della propria responsabilità sociale d’impresa, affrontassero la crisi con strumenti intermedi e sperimentali, ai
quali il legislatore – ove si dimostrassero funzionanti –
potrebbe dare poi il placet istituzionale. In qualche paese europeo si prevedono già tre passaggi (tesi a verificare la possibilità di solvenza finanziaria del debitore) prima di arrivare alla vendita degli immobili, ma anche la
possibilità di concordati successivi, in presenza di un
terzo soggetto, non di tipo giurisdizionale ma capaci di
realizzare tecnicamente un riordino delle pendenze,
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nazionale
finanza e famiglie
dando un’ulteriore possibilità a chi, per un motivo grave, si è trovato in una difficoltà imprevista.
Le istituzioni finanziarie devono tenere conto delle
esigenze di diversi “portatori di interessi”: bisogna rendere conto agli azionisti della banca e a chi ha affidato il
denaro per l’investimento, ma occorre anche affinare la
procedura di intermediazione finanziaria per consentire
un responsabile accesso al credito da parte dei cittadini.
Molte cose devono migliorare in Italia; la chiarezza
dei patti iniziali, perché nonostante le iniziative attuate
si può fare molto meglio; la consulenza, che dev’essere
corretta e professionale; la possibilità e le procedure di
concordato o rinegoziazione in presenza di situazioni
non prevedibili; il costo, ancora alto, dei servizi bancari;
l’applicazione delle recenti direttive Bersani sulla portabilità dei mutui; la sostenibilità del prestito, che va certificata e non affidata alla discrezionalità delle banche.
La crisi dei mutui ha rappresentato un inquietante campanello d’allarme: occorre che tutti (istituzioni legislative e di controllo, imprese bancarie e finanziarie, associazioni dei risparmiatori, strumenti di informazione,
agenzie educative) facciano la propria parte, perché gli
italiani tornino a essere un popolo di risparmiatori. E
non di indebitati.
CONSIGLI PER
GLI ACQUISTI
Funzionaria
di banca con
un cliente.
Dopo la crisi
dei mutui
a tasso variabile,
gli istituti
di credito stanno
consigliando
il tasso fisso.
Ma anche questa
strada può
rivelarsi
pericolosa
ROMANO SICILIANI
«Le banche sbagliano ancora,
ma i consumatori si informino»
Fabio Picciolini, segretario nazionale di Adiconsum, analizza gli effetti della crisi
dei mutui sulle famiglie italiane. E indica gli strumenti per evitare nuovi problemi
di Ettore Sutti
ent’anni a difesa dei cittadini consumatori.
Adiconsum, associazione promossa dalla Cisl,
li festeggia proprio nel momento in cui molti
italiani sono alle prese con l’inasprimento dei
mutui per l’acquisto della casa. Fabio Picciolini, segretario nazionale di Adiconsum, chiarisce meccanismi ed effetti, in Italia, della crisi importata dall’America. E ragiona su come evitarne altre.
V
Crisi dei mutui cosiddetti subprime. Negli Stati
Uniti migliaia di famiglie sono rimaste senza una
casa. Da noi qual è la situazione reale?
Se da un lato possiamo stare tranquilli (le banche italiane non accendono mutui a chi non è effettivamente è in
grado di rimborsarli), d’altro canto la crisi si sta facendo
sentire, e pesantemente, sui tassi d’interesse a livello
globale. Euribor (l’indice europeo di riferimento per i
tassi variabili) risente non poco della crisi dei subprime.
E in Italia lo spread (in pratica il guadagno della banca)
in molti casi è al 2%, percentuale altissima, che incide
non poco sull’entità della rata. Così, se tra 2002 e 2004 i
tassi di interesse erano compresi tra il 2 e il 3% e un mutuo costava 3,5-4% al massimo, oggi è al 5,5-6%. Le rate
sono aumentate dal 30 al 50% rispetto a quando si è ac16
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ceso il mutuo. Invece i redditi non sono aumentati: secondo una ricerca di Nomisma, circa 400 mila famiglie
italiane hanno difficoltà a rimborsare i mutui.
Quali sono gli interventi da mettere in campo?
Penso essenzialmente a tre cose: un intervento normativo chiaro e inappellabile; un’effettiva entrata in vigore
della legge 40 (che parla di surrogazione del mutuo a costo zero); la possibilità per i cittadini di avere un rapporto più vantaggioso con i gruppi bancari.
Neanche tanto…
Stiamo aspettando il decreto “Bersani 3”, quantomeno
per aggiustare il tiro su alcune norme poco chiare contenute dal precedente a proposito di penali e portabilità
del mutuo. Inoltre le 16 maggiori associazioni di consumatori italiane (tra cui Adiconsum) hanno portato
avanti una battaglia con le banche sui costi della portabilità del mutuo. Finalmente, il 21 novembre,
l’esecutivo dell’Abi (associazione di categoria degli istituti bancari) ha accolto la richiesta e ha raccomandato
alle banche di non applicare spese o commissioni. A noi
non interessano gli accordi stipulati tra le banche,
l’importante è che il consumatore non debba pagare un
euro per trasportare il mutuo da una banca all’altra.
E in tema di rapporti più vantaggiosi?
Oggi la possibilità di rinegoziare un mutuo è lasciata alla buona volontà di un’agenzia o del direttore. Non è più
accettabile. Adiconsum si è attivata con i principali
gruppi bancari italiani per raggiungere una soluzione:
l’obiettivo è fissare regole certe, chiare e convenienti per
tutti. Anche le banche, nonostante possano contare sulle ipoteche, sono interessate al fatto che i propri clienti
siano solvibili. La soluzione più semplice sarebbe allungare la scadenza del mutuo, oppure abbassare lo spread
a livelli accettabili. Nessuno pretende di non pagare, ma
si chiede di poter affrontare rate sostenibili.
La situazione attuale è tutta imputabile alle banche?
Le banche hanno le loro responsabilità. La maggior parte degli istituti, anche se non bisogna generalizzare, fino
a qualche anno fa vendeva e consigliava solo mutui a
tasso variabile. In quel periodo il consumatore ha pagato meno, ma in prospettiva non si è rivelata la scelta migliore. E le banche continuano a sbagliare anche oggi
(anche se qualcuno lo chiama scelta commerciale) perché consigliano di accendere mutui a tasso fisso, obbli-
gando le persone a sopportare per 30 o 40 anni un tasso
ai livelli massimi. Ma spesso anche i consumatori ci mettono del loro. È vero che la bolla immobiliare degli ultimi anni ha più che raddoppiato i prezzi delle case, ma è
altrettanto vero che talvolta le rate di mutuo superano la
soglia del 70% del reddito di una famiglia. In casi simili,
prima o poi, in 25 o più anni di mutuo, si è destinati ad
andare in sofferenza. È difficile, ma bisognerebbe sempre accantonare una riserva, almeno 50-100 euro al mese, per affrontare con serenità i momenti duri.
Che consigli dare a chi accende un mutuo?
Bisogna informarsi. Girando più sportelli bancari e richiedendo il contratto di mutuo comprensivo delle
condizioni economiche. È un documento poco pubblicizzato; le banche sono obbligate a rilasciarlo, ma solo
su richiesta del consumatore. Sul prospetto c’è scritto
tutto: tasso, durata, condizioni, Isc (Indice sintetico di
costo, la vecchia Taeg), spese. Così è possibile confrontare le proposte e scegliere la banca che offre le condizioni migliori. In caso di difficoltà ci si può rivolgere alle associazioni di consumatori. Non costano nulla,
spesso hanno già affrontato la questione e offrono ottimi servizi di consulenza.
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nazionale
nazionale
dall’altro mondo
DAVID E I SUOI FRATELLI
I ROMENI, NOSTRO SPECCHIO
di Antonio Ricci Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes
l primo nato a Roma nel 2007 è stato un bimbo romeno (lo stes- limbo della clandestinità. Nelle società di accoglienza, però, a più ripreso è avvenuto nell’altra capitale dei romeni in Italia, Torino): si
se si è paventata un’invasione di lavochiama David, i suoi genitori sono un fabbro e una badante. La ratori romeni. In realtà la Romania è
presenza romena in Italia è un fenomeno recente, ma ricco di signi- un piccolo paese di 22 milioni di abificati e suggestioni. Caritas approfondirà l’argomento all’inizio del tanti, di cui il 10% già ora vive all’este2008 in uno studio monografico. Ma già ora si può affermare che i ro. Diversi fattori dovrebbero dunque
contribuire in breve a smorzare le cauromeni rappresentano il gruppo maggioritario tra gli stranieri in Ita- se di partenza: il vivace ritmo di crescilia: 556 mila persone all’inizio del 2007.
ta odierno dell’economia, gli investiLa maggioranza proviene dai villaggi rurali della Moldavia, regione menti diretti esteri, l’afflusso dei finanziamenti europei, l’innalzamento dei
orientale, una delle più povere della
salari medi, l’apporto delle rimesse e
Romania. Il livello di istruzione è
Sono il gruppo
dei capitali dei migranti di ritorno,
comunque medio-alto per 6 immimaggioritario tra
non ultimo l’invecchiamento della
grati romeni ogni 10 (molto supegli stranieri in Italia.
popolazione e il conseguente declino
riore rispetto al 40% del totale degli
Si scontrano con gravi
demografico.
stranieri e al 33% degli italiani), anproblemi di accoglienza
Per i migranti, la prima fase di sogche se i laureati sono uno ogni 10. Il
e integrazione. Sono nel
giorno
in Italia resta comunque se75% dei romeni in Italia è titolare di
mirino di media e politici.
gnata
da
fattori negativi: alloggi inapermesso di soggiorno per lavoro e
Eppure, la loro vicenda
deguati, caporalato e lavoro nero, nespesso ha alle spalle una pregressa
migratoria potrebbe
gazione dei diritti sindacali, morti
esperienza migratoria. Facilità dei
aiutarci a rileggere
bianche nei cantieri, mancato accestrasporti e abolizione del visto turila nostra storia…
so ai servizi, discriminazioni e violenstico all’interno della Ue hanno faze, tratta dei minori e delle ragazze a
vorito l’affermarsi in Italia di un
fini di sfruttamento. Ma informazione e mondo politico
modello migratorio pendolare.
Le premesse storiche e sociali dei flussi attuali vanno sembrano preferire un approccio sicuritario alla questiocercate nel trasferimento forzato di migliaia di contadini ne, per dare sfogo alle ansie dell’opinione pubblica, ferita
nelle periferie delle città romene, voluto da Ceauses˛cu e da esecrabili fatti di cronaca. La sindrome da invasione
attuato negli anni Settanta e Ottanta tramite un piano di conduce a rappresentare l’immigrato romeno come il cacancellazione di 7 mila villaggi rurali. Dopo il 1989 e la pro espiatorio dei mali della vita quotidiana, come avvenchiusura delle fabbriche dove lavoravano, molti si sono ne per i polacchi negli anni Ottanta e gli albanesi nei primi
trovati a scegliere tra un mesto ritorno nelle campagne o anni Novanta. I media sono lo specchio deformato di una
società incapace di contemplare prospettive concrete di
la trasformazione in pendolari transnazionali.
convivenza interculturale. Invece basterebbe pensare che
la Romania, un secolo fa, accoglieva 60 mila emigranti itaImmagine riflessa
L’ingresso nella Ue dal 1° gennaio 2007 ha comportato per liani, per considerare che i flussi migratori attuali rapprei migranti romeni non solo l’emancipazione dal poco fun- sentano l’immagine riflessa della nostra storia. E la migliozionale sistema della programmazione delle quote di in- re occasione dal basso per superare i pregiudizi, aprirsi algresso, ma soprattutto l’occasione definitiva per uscire dal l’accoglienza e riscattare le sofferenze del passato.
I
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viaggio al sud
CREARE CULTURA E RETI
PER VINCERE IL LAMENTO
di Liberato Canadà
S
viluppo locale? Per parlarne, a proposito della Basilicata, così come del mezzogiorno d’Italia,
cuore del Mediterraneo, bisogna partire da un semplice ma radicale rovesciamento. E cioè
smettere di chiedere cosa l’Italia e l’Europa possono fare per il sud e la Basilicata, per chiedersi invece cosa la Basilicata e il mezzogiorno possono fare per l’Italia e per l’Europa.
Sul mezzogiorno d’Italia (compresa la Basilicata) esercitano ancora una forte influenza
alcune dinamiche storiche, in primo luogo quel processo di emarginazione del Mediterraneo, iniziato con lo spostamento del cuore della storia moderna prima verso il nord Europa, poi verso l’ovest lungo le grandi rotte oceaniche. Bisogna pertanto partire dal presupposto che se non si investe sul Mediterraneo non ci potrà essere sviluppo nel mezzogiorno, e neanche in Basilicata. Senza una politica estera coraggiosa, senza colpire al cuore quell’antica marginalità, sarà molto difficile rimuovere le barriere tra il sud dell’Italia e la normalità del paese, per poi moltiplicare tutte le buone esperienze esistenti nel mezzogiorno e in Basilicata, che sono tante, numerose e significative.
Il settentrione d’Italia è composto da regioni che si sentono nel cuore dell’Europa. Si può pensare davvero di affrontare con successo quella
che una volta veniva definita “questione meri- Come fare sviluppo in Basilicata,
dionale”, se non si costruisce una grande area
terra lontana dal cuore d’Europa? Servono
di sviluppo euromediterranea, in territori segnati da una distanza ben superiore dal cen- coraggiose politiche di valorizzazione
tro del continente?
del Mediterraneo. Ma soprattutto
Il “sudditoso” vive e vegeta
connessioni tra i soggetti locali attivi,
per cancellare la parola “sud”…
La Basilicata e i mezzogiorni d’Italia erano
meno lontani dal resto d’Europa con i Borboni, nel Settecento e nel primo Ottocento. Eppure non si
tratta di dipingere un quadro a tinte fosche della Basilicata; piuttosto, occorre esaltarne l’irrimediabile diversità, pur confrontandosi con le patologie e la durezza
dei problemi, ma evitando di alimentare una brutta malattia che perdura nel mezzogiorno d’Italia, quindi anche in Basilicata. Occorre, in altri termini, cancellare la
parola “sud”, perché evoca sudditanza e subalternità. E
il subalterno non fa, ma aspetta che si faccia; non è causa del suo bene e del suo male, ma solo effetto dell’azione e del pensiero altrui; non decide, ma è deciso. Il “sudditoso”, sia in maniera individuale che in forma collettiva, vive e vegeta nella comunità dei sudditi: sconta su di
sé il peso antico di dominazioni, di un colonialismo politico e religioso, economico e tecnologico.
Di alibi giustificativi ce ne sarebbero a bizzeffe:
l’emigrazione degli anni Sessanta e quella più recente
del 2006, la povertà, le dinamiche del processo unitario
dell’Italia (e poi di quello europeo), l’assenza di infrastrutture sociali e materiali... Ma l’atteggiamento di sudditanza è un sonnifero, produce paralisi, quantomeno
lentezza. In Basilicata alcune iniziative, amministrative
ed economiche, sono state rese possibili dalle emergenze (sisma, alluvioni, frane), che spesso diventano condizione strutturata, modalità sociale di comportamento,
incapace di progettare e programmare azioni di sviluppo. La lentezza, stancante e asfissiante, produce depressione e accidia, generando il lamento. Una delle principali manifestazioni della sudditanza; un atteggiamento
che ha contaminato parti sociali, economiche, religiose
e politiche, persino educative; una posa che contraddistingue i professionisti del meridionalismo, il quale arI TA L I A C A R I TA S
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nazionale
nazionale
contrappunto
viaggio al sud
OLTRE LA GRANDE INDUSTRIA
Interno degli stabilimenti Fiat a Melfi (Potenza).
I grandi progetti industriali sono importanti,
ma non bastano a garantire lo sviluppo della Basilicata,
come delle altre regioni meridionali
ruola quanti giustificano l’inerzia dolente e fatalista, attribuendola a fattori esterni.
Arginare l’inclinazione alla lagna, stimolando e promuovendo iniziativa, creatività, scelte educative e culturali capaci di far emergere un pensiero aperto al Mediterraneo, all’Italia, all’Europa: è questa la leva strategica per poter parlare di sviluppo, non nelle intenzioni ma
in azioni prive di ambiguità e di demagogia.
Paninoteche, non librerie
Gli ostacoli allo sviluppo sono insomma anzitutto culturali. Ma la Basilicata è culturalmente arretrata? Guardando alla fioritura delle idee e al fervore delle intelligenze, alle forme di espressione vitale costituite dalla
cultura locale e dalla tradizione popolare e folcloristica,
si può dire che la regione non è spenta. C’è vivacità, magari meno cultura civica, ma certo un vivo reticolo di solidarietà familiare e comunitaria, che deriva anche da
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valori e radici cristiane. Si può dire che esista un familismo virtuoso, che consente di ammortizzare disoccupazione, miseria e squilibri sociali dove esistono. Permane inoltre una memoria condivisa, fatta di linguaggi,
retaggi e paesaggi comuni.
Se per cultura invece si intende l’elaborazione intellettuale dei dotti e l’azione di una classe dirigente, allora
si notano le arretratezze. Invece di teatri, librerie, circoli
culturali e sociali, quasi ovunque sono nate negli ultimi
anni banche, gioiellerie, paninoteche. A riprova del fatto
che i soldi (in Basilicata nelle banche sono depositate ingenti somme di denaro) dove ci sono non portano automaticamente cultura. Inoltre nel mezzogiorno d’Italia, e
soprattutto in Basilicata, non esistono media (tv e giornali) di dimensione nazionale che parlino all’Italia; la Basilicata non è vista, non è letta. Come l’intero mezzogiorno d’Italia, è sottorappresentata; il baricentro della politica, dell’economia e dei media è spostato nel settentrione
d’Italia, cuore d’Europa.
Con altre parole, si può dire che in Basilicata si è seccato l’albero delle élite, la pianta che produce classe dirigente. In passato erano i notabili, il clero, gli agrari; poi è
arrivata la borghesia statale, decorosa e rispettabile: la
maestra, il maresciallo, il segretario comunale, l’impiegato
alle poste o alle ferrovie. Oggi, declinate le precedenti classi dirigenti e tramontato il ceto cresciuto all’ombra dei
partiti, chi emerge lo fa per proprio conto, indipendentemente e individualmente. Il tessuto delle relazioni sociali
è sfilacciato, quello civico è debole, e all’orizzonte non si
vede una classe dirigente in formazione, impiantata in un
terreno culturale originale e meridionale.
Parlare di sviluppo, in Basilicata oggi, significa dunque promuovere e favorire le connessioni (che mancano) tra soggetti (della cultura, della società, dell’imprenditoria) attivi e creativi; ovvero favorire e promuovere
connessioni per dare vita a reti fatte non di rapporti subalterni, ma virtuosi. Fatte anche da una buona politica,
oltre che da una libera mediazione culturale, da una sana e competente imprenditoria.
In Basilicata, come nel resto del mezzogiorno, chi riuscirà a riconnettere questi rapporti virtuosi potrà guidare
processi di sviluppo locale autentici, duraturi e rispettosi
delle persone e delle comunità locali. Non c’è altra strada,
per voltare la pagina della sudditanza e del lamento.
MAFIA, IMPRESA ANTICA
IL PIZZO È UN MALE INCURABILE?
di Domenico Rosati
ntroduzione leggera. Leggerlo in francese fa un certo effetto.
“Usure, racket, fraude: la mafia, première entreprise d'Italie”. Ma
suscita un amaro compiacimento. Dopotutto è sempre esportazione d’immagine. Che parlino di noi, anche male, purché ne parlino. Non è la prima regola della comunicazione pubblicitaria?
La recente inchiesta della Confesercenti, che segnala il volume
degli affari mafiosi, è stata ampiamente divulgata in Italia. Ma pure
all’estero, per esempio dal compassato Le Figaro, pronto a evidenziare che les italiens dopotutto non devono essere così pigri e fannulloni, se mettono in campo un volume annuo di più di 90 miliardi
I
dei collegi elettorali”. Pure in Sicilia
“non è possibile a un candidato vincere un’elezione politica o amministrativa se (la mafia) non assicura la
sua protezione”; vi sono “patroni”
della mafia in parlamento e “il governo ha le sue bene intese relazioni coi grandi elettori mafiosi”.
Rafforzamento delle strutture
Vicenda immutabile? Priva di segni di
speranza? Se il presente rivela non un
di euro di profitti, pari al 7% del Pil
indebolimento, ma un rafforzamento
peninsulare (senza contare i proventi
delle strutture mafiose e camorriste (e
Un sistema economico
dei traffici di armi e droga), in un quaciò rinvia anche alla connivenza
grandioso, una vicenda
dro di economia diffusa che coinvolesplicita o tacita con il potere di turdi intrecci perversi
ge, secondo l’indagine, 160 mila comno), vi sono tuttavia recenti episodi e
con la politica.
mercianti, puntuali pagatori del piztestimonianze che, prima delle leggi e
Le notizie di oggi
zo, import mafieux corrisposto a Madopo le leggi, lasciano immaginare
non si discostano dalle
fia Spa, impresa agile e capillare.
una possibile evoluzione, della cultuanalisi di un secolo fa.
Dopo l’introduzione leggera, inra prima che delle abitudini. Il primo
Ma ci sono segni
episodio è il gesto del vescovo (uscentermezzo archeologico (in inglese).
di evoluzione
te) di Locri, Giancarlo Bregantini, che
Quando si discute dei mali d’Italia,
della cultura. Che
consulto un’altra inchiesta, L’Italia
va a Duisburg a chiedere perdono per
alimentano la speranza
di oggi, datata 1904 e curata dai
una sanguinaria vendetta di ‘ndrangiornalisti inglesi Bolton King e
gheta e nel contempo invita al perdoThomas Okey. Cosa si pensava un secolo fa del crimine no reciproco, chiedendolo in primo luogo alle donne calaorganizzato in Italia? L’impressione è quella di un bene- bresi, delle quali, lui trentino, ha compreso il ruolo di cuvolo ottimismo. Intanto si parlava solo di camorra na- stodi delle regole d’onore che includono la morte per chi
poletana e mafia siciliana, senza citare la ‘ndrangheta abbia fatto sgarbo alla famiglia. Il secondo è l’annuncio decalabrese. Inoltre ci si sbilanciava alquanto nel descri- gli industriali di Agrigento, che intendono espellere dall’asvere in negativo la camorra e nel concedere alla mafia sociazione gli imprenditori che pagano il pizzo.
(da intendersi persino come “forma degenerata di caPoca cosa, anche considerando i recenti arresti ecvalleria”, “aristocrazia criminale”) addirittura un velato cellenti in Sicilia, a fronte del “sistema economico” deapprezzamento dei metodi praticati.
scritto e delle sue capacità di riproduzione in un conteUn punto di sovrapposizione tra camorra e mafia ve- sto di disoccupazione e di precariato sovrabbondante; e
niva comunque rintracciato nella comune propensione anche di fronte al triste teatro dei conflitti tra figure istia usare la politica per proteggere traffici e affari illeciti. A tuzionali pagate per stroncare la criminalità organizzaNapoli e dintorni “il governo dà il suo tacito appoggio a ta. Ma i segni restano e, spesso, sostengono la pazienza,
un sistema che a sua volta gli assicura la maggioranza contrastano l’indifferenza e alimentano la speranza.
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panoramacaritas
L’APPELLO
L’APPELLO
Sidr sconvolge
il Bangladesh,
bisogna pensare
a ricostruire
Somalia verso
la catastrofe,
gli sfollati
sono un milione
I
a crisi in atto in Somalia? Una “catastrofe umanitaria”.
Per la quale il 21 novembre anche papa Benedetto XVI
ha lanciato un appello “affinchè si trovino soluzioni
pacifiche e si rechi sollievo a quella cara popolazione”. Il conflitto
tra milizie islamiste antigovernative e truppe occupanti etiopi
(intervenute nel paese a inizio anno a supporto del governo
transitorio) ha l’epicentro a Mogadiscio, ma lacera l’intero paese.
Il totale di sfollati e rifugiati, a causa dei combattimenti, è ormai
di un milione di persone, compresi 400 mila sfollati di vecchia
data. Ma tra ottobre e novembre, in sole tre settimane
da Mogadiscio sono scappate almeno 200 mila persone.
Quaranta ong attive nel paese (tra cui Caritas Somalia)
hanno sottoscritto una dichiarazione comune, denunciando
di non poter “rispondere efficacemente alla crisi, perché
l’accesso e la sicurezza si deteriorano in modo drammatico,
mentre i bisogni aumentano. La comunità internazionale e le
parti coinvolte nel conflitto hanno la responsabilità di proteggere
i civili, consentire l’azione di aiuto, rispettare lo spazio umanitario”.
Le Nazioni Unite, che hanno dichiarato che la Somalia è la
peggior crisi in atto in Africa, calcolano che nella sola prima metà
di novembre gli sfollati da Mogadiscio verso le campagne, dove
non trovano sostentamento, siano stati circa 173 mila. Cosa sta
accadendo? Abbandonata l’azione politica, il governo somalo
e l’alleata Etiopia puntano sul pugno di ferro per schiacciare
le resistenze di Mogadiscio; senza troppi scrupoli per la sorte
dei civili, stando ai rapporti di Human Rights Watch. Monsignor
Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio
e presidente di Caritas Somalia, ha riconosciuto a metà novembre
che «al momento è difficile intravedere una soluzione. Il dramma
somalo va però inserito nel contesto regionale e internazionale.
Le crisi dell’Africa orientale, un arco che va dalla Somalia
al Sudan, hanno almeno due elementi comuni: il diffondersi
di un certo estremismo, che usa in maniera irresponsabile
la religione per perseguire i propri scopi politici, e la lotta
di diverse potenze per il controllo delle risorse locali».
Caritas Somalia, con altre organizzazioni, tra cui Islamic
Relief (organizzazione umanitaria islamica basata in Inghilterra),
ha promosso il progetto “Aiuto d’urgenza agli sfollati”: prevede
la distribuzione di viveri, acqua potabile, teli di plastica per rifugi
e beni non alimentari in un campo spontaneo di sfollati
a una ventina chilometri da Mogadiscio. Permetterà di assistere
1.080 famiglie per tre mesi; Caritas Italiana intende contribuire
con 30 mila euro e per farlo si rivolge alla solidarietà degli italiani.
l ciclone Sidr, abbattutosi sulle coste meridionali
del Bangladesh a metà novembre, ha lasciato dietro
di sé cifre impressionanti, specchio di una distruzione
radicale e diffusa. Migliaia le vittime (forse diecimila, o più:
a fine novembre non erano ancora noti i dati ufficiali),
circa 5 milioni le persone interessate dal fenomeno, oltre
un milione di esse rimaste senza tetto, per aver visto spazzata
via o fortemente danneggiata la propria abitazione.
Di fronte a un’emergenza tanto acuta, la Caritas locale si è
subito messa all’opera, con il supporto della rete internazionale
Caritas. Caritas Bangladesh ha potenziato la distribuzione
di aiuti di emergenza avviata già in estate, dopo le alluvioni
che avevano preceduto Sidr, e intensificato l’attività dei 35
dispensari medici che coordina nel paese. Caritas Italiana
ha lanciato un appello a fedeli, cittadini, gruppi e istituzioni
perché sostengano l’intervento d’emergenza, ma soprattutto
il Programma di ricostruzione che Caritas Bangladesh e il network
internazionale Caritas hanno delineato. Esso prevede aiuti per
circa 6,5 milioni di euro e si articola in tre fasi, di breve, medio
e lungo periodo, in nove distretti (Khulna, Bagerhat, Satkhira,
Barguna, Potuakhali, Barisal, Gopalganj, Madaripur, Chittagong).
La prima fase durerà per 3-4 mesi: verranno distribuiti
a 51 mila famiglie aiuti alimentari e generi di prima necessità
non alimentari (teli di plastica, utensili per cucina, zanzariere,
vestiario, coperte, lenzuola, saponi); inoltre a 18 mila famiglie
sarà data l’opportunità di lavorare nei progetti in atto
e si provvederà alla distribuzione di sementi e utensili agricoli,
per la piscicoltura e l’allevamento di pollame a circa 4.500
famiglie. Nella seconda fase, di ricostruzione e riabilitazione,
oltre 24 mila famiglie riceveranno generi di conforto essenziali
alla ripresa delle normali attività quotidiane, verranno ricostruite
o ristrutturate abitazioni e servizi igienici per 10.100 famiglie,
saranno riparate o ricostruite 57 scuole. Infine la terza fase
riguarda un piano di prevenzione di futuri disastri,
con la costruzione di altri 50 rifugi anticiclone (che si aggiungono
ai 200 già esistenti costruiti negli anni grazie al contributo,
tra gli altri, di tante Caritas e anche di Caritas Italiana),
di cui potranno beneficiare 100 mila persone, utilizzabili
anche come centri comunitari, nei periodi non di emergenza.
Caritas Italiana ha stanziato, per i primi aiuti, 200 mila
euro; le realtà Caritas attive nel paese faranno da riferimento
anche per l’impiego dei 2 milioni di euro, stanziati
per l’emergenza dalla Conferenza episcopale italiana.
INFO www.caritasitaliana.it
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L
MARCIA
SERVIZIO CIVILE
Papa Giovanni
“guida” i passi
per la pace
Bando speciale,
Napoli investe
sulla legalità
La Marcia
della pace
di fine anno
(la 40ª
organizzata
da Caritas
Italiana, Pax
Christi,
Commissione episcopale
per problemi sociali, giustizia
e pace, con il concorso
della diocesi locale) si svolgerà
il 31 dicembre tra Sotto
il Monte e Bergamo, “Sulle orme
del beato Papa Giovanni XXIII”.
Il 2008 sarà infatti l’Anno
giovanneo: la marcia rivisiterà
l’insegnamento sulla pace
del pontefice nato a Sotto
il Monte, approfondendo
nel contempo il Messaggio
dell’attuale papa, Benedetto
XVI, per la celebrazione
della 41ª Giornata mondiale
della pace (in programma
il 1° gennaio 2008), dedicato
al tema “Famiglia umana:
comunità di pace”.
L’appuntamento è per
il pomeriggio del 31 dicembre
a Sotto il Monte e Seriate,
alle porte di Bergamo, verso
cui si snoderà la marcia.
Annunciato nel novembre
2006, nel periodo “caldo”
dell’emergenza criminalità
in Campania, il Bando speciale
di servizio civile per Napoli
sulla legalità è stato pubblicato
il 25 settembre, dopo una
lunga preparazione. L’obiettivo
era coinvolgere duemila giovani
residenti in Campania
in progetti di utilità sociale,
in particolare iniziative
a sostegno della legalità.
Per la prima volta una quota
di posti, il 20%, è stata
riservata a ragazzi provenienti
da situazioni disagiate
e con bassa scolarità. Caritas
Italiana, attraverso le Caritas
diocesane campane (Napoli,
Pozzuoli, Pompei e Acerra),
ha proposto sette progetti (tre
a Napoli, quattro in provincia),
che vedranno in servizio ben
176 giovani. Tutti i progetti
partono agli inizi di dicembre.
INFO www.caritasitaliana.it
www.chiesacattolica.it/lavoro
Giornate di intense relazioni
e approfondito confronto.
CONVEGNO CARITAS
Il cuore vede,
ecco gli atti
di Montecatini
Con un filo conduttore:
la riflessione sul ruolo
di animazione alla carità
nei territori, alla luce dell’enciclica
papale Deus Caritas est.
Il 31° Convegno nazionale delle
Caritas diocesane, svoltosi
a Montecatini nello scorso
giugno, aveva
per titolo Al di
sopra di tutto.
“Un cuore
che vede”
per educare
alla carità.
Ora gli atti
dell’assise nazionale sono
raccolti in un volume,
pubblicato da Caritas Italiana,
che reca lo stesso titolo
e ricostruisce con fedeltà
i contenuti del confronto
di Montecatini.
INFO Caritas Italiana,
tel. 06.66.17.70.01
COOPERAZIONE
Sviluppo,
iscrizioni
a Spices 2008
Scade sabato 22 dicembre
il termine per iscriversi a Spices
2008. La Scuola di Politica
internazionale Cooperazione
e Sviluppo, che inaugura
il suo 17° anno di lezioni,
è promossa da Volontari nel
mondo-Focsiv, in collaborazione
con Caritas Italiana e Ucsei
(Ufficio centrale studenti
esteri in italia), con
il patrocinio della Pontificia
Università Gregoriana.
Spices è una scuola
di perfezionamento, la cui
offerta formativa è strutturata
in due percorsi: area politicogiuridica internazionale
e area socio-economica
internazionale, introdotti
da un ciclo propedeutico.
La Scuola ha nella dottrina
sociale della Chiesa uno
dei riferimenti fondamentali
e si avvale della collaborazione
di docenti universitari,
funzionari governativi
e personale di organizzazioni
internazionali e ong. I corsi
sono destinati a persone
in possesso di diploma
di laurea e a chi è impegnato
nel mondo dell’associazionismo,
delle istituzioni, della scuola,
delle ong o a chi, pur
lavorando in altri settori, voglia
approfondire tematiche legate
alla solidarietà internazionale
e alla cooperazione allo
sviluppo. I corsi hanno durata
annuale e prevedono 160 ore
di lezione da gennaio
a giugno, seminari su temi
di attualità, stage in Italia
o all’estero; esame finale
tra novembre e dicembre.
INFO [email protected] www.focsiv.it
INFO www.caritasitaliana.it
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internazionale
progetti > promozione dei diritti umani
MICROPROGETTI
La sanguinosa repressione delle manifestazioni
per la democrazia in Myanmar ci ricorda
che ancora oggi – nel 2007, Anno europeo
delle pari opportunità per tutti, a quasi
50 anni dalla Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo – nel mondo vengono
sistematicamente violati i diritti umani.
Che sono un concetto in continua evoluzione
e comprendono i diritti civili, politici, economici,
sociali e culturali, ma anche i diritti di solidarietà
per i popoli, come il diritto alla pace o allo
sviluppo. E riguardano anche gli aspetti legati
al rispetto dell’esistenza umana, al cospetto
delle nuove tecnologie e della manipolazione
genetica. Un campo d’azione vastissimo per chi,
come Caritas Italiana, cerca di farsi paladina
della dignità di ogni uomo.
[
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COSTA D’AVORIO
Contro la mutilazione femminile
Marahandallah è una zona di savana erbosa.
La gente (circa duemila abitanti nei villaggi) è stremata
a causa della lunga guerra civile e delle malattie,
in particolare l’Aids. La povertà diffusa si accompagna
spesso a una progressiva emarginazione delle donne.
Con l’aiuto di alcuni missionari, il programma prevede
l’acquisto di materiali utili ad avviare attività agricole
e di allevamento domestico che consentano,
contestualmente, il varo di un progetto
di sensibilizzazione contro la mutilazione
genitale femminile.
> Costo 4.618 euro
> Causale MP 327/07 Costa d’Avorio
Bosnia
Erzegovina
Nicaragua
Costa d’Avorio
]
Bangladesh
CAMERUN
Un minimo di dignità per i detenuti
La prigione di Bafoussam è stata costruita agli inizi
degli anni Cinquanta. I detenuti sono 1.300:
in condizioni di estremo disagio vivono insieme minori,
donne e adulti; ognuno ha a disposizione poco meno
di 2 metri quadrati di spazio. Ogni cella è abitata
da più di 80 detenuti ed è solitamente priva di servizi
sanitari. In questa situazione, si registra in media
un morto a settimana a causa di periodiche epidemie.
Il progetto prevede l’installazione di servizi igienici,
per prevenire la diffusione di infezioni e restituire
un minimo di dignità ai prigionieri.
> Costo 4 mila euro
> Causale MP 319/07 Camerun
NICARAGUA
BOSNIA ERZEGOVINA
Partecipazione comunitaria attorno al lago
Sostegno alle associazioni dei familiari
Le parrocchie tutelano i “fuori casta”
In Nicaragua, in un clima di insicurezza, corruzione e violenza, si segnalano
quotidiane violazioni dei diritti umani, specie dei più poveri ed emarginati.
In questo scenario la Caritas si impegna per promuovere valori di solidarietà,
fratellanza e tolleranza, tramite iniziative che consentano alla popolazione
di prendere coscienza e mobilitarsi in difesa dei propri diritti. Nelle diocesi
di Juigalpa e Granada, intorno al lago Nicaragua, Caritas conduce il progetto
pilota (che potrà essere utile anche per altre diocesi) di durata triennale
“Diritti umani e partecipazione comunitaria”. Esso prevede l’elaborazione
di materiale didattico, la qualificazione di persone che, a loro volta,
saranno formatori nelle comunità, l’attivazione di tavoli di lavoro e agende
sociali sui temi della cultura democratica e dei diritti umani.
> Costo 22 mila euro
> Causale America centrale / Nicaragua
In Bosnia Erzegovina il “Progetto
per il supporto alle vittime di violenza
attraverso il rafforzamento delle
associazioni dei familiari” è rivolto
a diverse comunità (croate, serbe,
musulmane) ed è mirato a potenziare
le capacità di associazioni nate
spontaneamente, che riuniscono
i genitori e familiari degli scomparsi
e più in generale delle vittime di violenza
della guerra. Lo scopo finale è offrire
sostegno qualificato alle famiglie che
hanno subito sofferenze e promuovere
È la parrocchia l’unità chiave per la promozione dei diritti umani che Caritas
Bangladesh valorizza nel suo “Programma di educazione ai diritti umani”:
i parroci e i ministri di giustizia e pace operanti nelle parrocchie diventano
strumenti di educazione per le comunità vittime di abusi e ingiustizie,
legati in particolare alla proprietà della terra, al lavoro e subiti soprattutto
dai “fuori casta”. Caritas Italiana dal 2001 supporta questo progetto,
che nelle fasi precedenti ha visto la formazione degli operatori di giustizia
e pace a livello diocesano e parrocchiale. La prossima fase vedrà
la realizzazione di programmi di educazione ai diritti umani e supporto legale
nelle parrocchie e la creazione di diversi strumenti di sensibilizzazione
(newsletter, poster, ecc).
> Costo 11 mila euro (contributo Caritas Italiana)
> Causale Bangladesh / diritti umani
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BANGLADESH
azioni di denuncia e protesta
per la tutela dei loro diritti, svolgendo
un’azione di pressione anche nei
confronti delle autorità internazionali.
L’azione della chiesa, a sostegno
delle associazioni di familiari,
serve anche a ritessere legami,
dentro le comunità e tra le comunità,
danneggiati da anni di conflitti
e divisioni.
> Costo 15 mila euro
> Causale Bosnia Erzegovina
/associazioni famiglie
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internazionale
algeria
RETATE TRA LE PIETRE
L’AFRICA
CHE NON ARRIVA
AL MIRAGGIO
D’OLTREMARE
La polizia algerina blocca nel deserto
del Sahara gruppi di migranti
provenienti dai paesi centrafricani
di Umberta Fabris
fotoservizio di Hamza Bahri
L’Algeria, come gli altri paesi
del Maghreb, sempre più spesso
diventa terminale dei flussi di migranti
in fuga dai paesi subsahariani
verso l’Europa. Partiti con grandi
attese, si arenano nel deserto.
In una vita di paura e stenti…
amanrasset è una città di recente costruzione, dominata dal massiccio dell’Hoggar,
che incombe su di essa con i suoi fiabeschi
paesaggi lunari di deserto di pietra. Nel
1966 contava meno di tremila abitanti, oggi
ne ha quasi centomila. È città commerciale
e meta irresistibile per i turisti. È soprattutto
un punto di incontro, nel sud dell’Algeria, delle piste che
arrivano da Mali e Niger: qui si dà appuntamento l’Africa
del Sahel, nell’attesa e nella speranza che si apra una porta
verso il nord. Poco visibili, migliaia di camerunesi e malesi, congolesi e ivoriani, sopravvivono trovando rifugio nelle rocce vicino alla città algerina. Il deserto è attraversato e
vinto, l’Europa sembra più vicina e a portata di mano.
Molti dei migranti sperano in un lavoro che permetta poi di proseguire il viaggio verso la frontiera marocchina seguendo l’asse sud-nord (cioè passando per Algeri, via In Salah e Ghardaia) o il meno frequentato sudnord-ovest (attraverso Orano, passando per Adrar e Béchar). Poi, una volta in Marocco, non resta che attraversare lo stretto di Gibilterra.
Questi sventurati cominciano a esistere per i governi e
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l’opinione pubblica europei quando sbarcano sulle coste
italiane o spagnole, o quando i loro “barconi della morte”
spariscono nel mare; prima, però, uomini e donne e bambini affrontano autentici itinerari della disperazione, percorsi irti di ostacoli e di difficoltà inenarrabili, in cui il sogno
si trasforma spesso in fallimento, in incubo, in tragedia.
Una trentina di nazionalità
Quando giungono in Algeria, hanno già percorso migliaia e migliaia di chilometri e attraversato fino a otto
paesi diversi via terra, utilizzando vari mezzi di trasporto: barca o piroga, autobus, taxi, camion. Gli itinerari variano a seconda del paese di provenienza, ma tutte le
strade, prima di entrare nel grande paese del Maghreb,
convergono verso due città: Gao in Mali e Arlit in Niger.
Da qui il passaggio verso Tamanrasset.
I viaggi durano da un minimo di quindici giorni a
più anni, e non è solo la distanza a determinarne la durata: l’elemento decisivo è quello economico. Sono rari
i casi di chi parte con i mezzi sufficienti per coprire la distanza in una sola volta, e quando si viaggia in famiglia
le cose si complicano ancora di più.
Il popolo dei migranti subsahariani convoglia in Algeria una trentina di nazionalità: i più numerosi sono
nigerini, maliani, camerunesi, nigeriani. Ma quanti sono? Difficile dirlo: le stime ufficiali sono approssimative
e di accesso pressoché impossibile, anche se il fenomeno è sempre più oggetto di studio. Secondo il Cisp (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli), ong
che lavora in Algeria dal 1996 a un progetto in questo
settore, sarebbero più di centomila all’anno le persone
che arrivano nel Maghreb dai paesi a sud del Sahara. Il
vecchio continente rimane l’eldorado, ma le frontiere
europee sono sempre più invalicabili e tanti emigrati finiscono per scegliere di rimanere in Algeria, che non è
più soltanto uno scalo (così come a est Libia e Tunisia e
a ovest le Isole Canarie) in direzione Marocco e poi Spagna. Sono i giovani sotto i 30 anni che non rinunciano
alla traversata del Mediterraneo, mentre le incognite e i
rischi del viaggio dissuadono i più adulti, che spesso
hanno con sé moglie e figli.
Nei confronti dei migranti, poco a poco si è operato un
cambiamento di attitudine da parte delle autorità algerine,
passate da una sorta di passività poco amica a una repres-
sione poliziesca più o meno dura a seconda del periodo. Il
cambiamento non è estraneo alle ferme sollecitazioni dell’Unione europea, che sembra decisa a fare dei paesi del
Maghreb il terreno di repressione di ogni tentativo di passaggio dall’altra parte del Mediterraneo. Così il flusso migratorio risulta ulteriormente rallentato, a causa dei controlli più severi, e ciò spinge a cercare sempre nuove piste
clandestine, meno esposte, ma più pericolose e costose.
Anche rastrellamenti e rimpatri forzati sono sempre più frequenti: per i migranti che raggiungono Algeri, spesso dopo
diversi mesi dal loro arrivo nel paese, è aumentato sensibilmente il rischio di essere rimandati al punto di partenza.
Il rallentamento del flusso migratorio, inoltre, lo rende
più visibile e concorre a dare l’impressione di un aumento del numero dei migranti clandestini subsahariani in
transito. Tale quadro può essere applicato, con qualche distinzione, anche agli altri paesi del Maghreb, che si sono
poco a poco trasformati in paesi di immigrazione. Tutto
ciò aggrava le difficoltà della popolazione migrante: sfruttamento dei pochi uomini che trovano un lavoro per sopravvivere; precario stato di salute fisico e molte volte psichico; ricorso a espedienti e illeciti per garantirsi la soI TA L I A C A R I TA S
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pravvivenza (traffici e falsificazioni di documenti e biglietti, prostituzione, spaccio e consumo di droghe, ecc); gravi
difficoltà di integrazione con la popolazione locale a causa di relazioni spesso conflittuali e atteggiamenti razzisti.
Il desiderio di rientrare
Tra coloro che si occupano dei migranti, ci sono anche la
chiesa protestante e la chiesa cattolica (in essa la Caritas)
algerine, che hanno dato vita all’associazione ecumenica
Rencontre et Developpement (“Incontro e sviluppo”), presieduta da un Padre bianco olandese, Jan Heuft, con presidenti onorari monsignor Henri Teissier, arcivescovo di Algeri, e il reverendo Hugh Johnson, pastore delle Chiese
protestanti d’Algeria. L’obiettivo dell’associazione è aiutare
i molti clandestini che arrivano con mille bisogni, talvolta
in condizioni fisiche o con situazioni familiari compromesse, che richiedono interventi tempestivi. Un giovane
padre bianco italiano, Paolo Maccario, per conto dell’associazione ha realizzato nel 2003 un rapporto-inchiesta sulle
migrazioni clandestine subsahariane attraverso l’Algeria.
Si è trattato di una prima base di studio di un fenomeno la
cui evoluzione va verso l’aggravamento. “All’origine – vi si
legge – ci sono fattori di ordine economico, legati alla povertà, e di ordine politico, legati ai conflitti armati interet-
nici, alle persecuzioni etniche e religiose. (...) Il sistema dei
visti per accedere in Europa e la creazione dello spazio
Schengen hanno contribuito allo sviluppo di organizzazioni migratorie clandestine, soprattutto in Algeria e Marocco. Esse rappresentano ormai, per i candidati all’emigrazione, la sola possibilità di realizzare il loro progetto”.
A Tamanrasset molti migranti incrociano i Piccoli Fratelli di Gesù, minuscola presenza cristiana stabile, composta da una comunità di religiose e una manciata di laici,
che vegliano sui luoghi dove visse e morì Charles de Foucauld. Martine, Piccola Sorella del Sacro Cuore, racconta di
incontri quotidiani, in un clima che sembra di permanente emergenza: «Continuiamo a incontrare persone che arrivano dal sud: alcuni prendono coscienza di essere stati
truffati da reti di “passatori” nei loro paesi di origine, arrivano da noi perché non sanno più come andare avanti. Soprattutto, continuiamo a incrociare quelli che sono rispediti indietro. Magari dopo essere stati in prigione per anni
in Marocco o in Algeria, o essere stati abbandonati al confine con il Mali, alla frontiera di Tinzaouaten, che ha reputazione di inferno: alcuni, che non sanno dove andare e
non hanno i soldi per tornare a Tamanrasset, disperati saltano sui camion, a volte a prezzo della vita. Quelli che hanno i soldi viaggiano in 25 in media su una jeep, sfidando le
piste clandestine e gli imbrogli dell’autista. A volte cadono
dalle macchine e devono farsi a piedi fino a trenta chilometri, prima di arrivare qui…».
A Tamanrasset, l’incubo dei migranti continua. Le
condizioni di vita sono di estrema insicurezza. La prima,
grande paura è farsi prendere dalla polizia: così ci si rende sempre più invisibili. «Basta che nei rifugi sul limitare
del deserto uno di loro gridi nella notte, per paura di un
animale – prosegue Sorella Martine –, che tutti fuggono
allarmati, credendo che arrivi la polizia, e molti si feriscono sulle pietre. A piccoli gruppi alcuni vengono a pregare con noi, se la messa è celebrata in pieno giorno, ma
la sera non rischiano. Oppure li vediamo vicino a un muretto, dove si radunano sperando che qualcuno li ingaggi per un nuovo lavoro, ma di colpo si sparpagliano,
VIVERE
INSABBIATI
Vincent, tredici anni in fuga
ha deciso che è meglio tornare
Migranti
africani a
Tamanrasset.
In molti
restano
bloccati
nei paesi
del Maghreb,
senza risorse
e permessi
per proseguire
Era scappato dal Ruanda. Porta con sé la figlia di tre anni, ma ha perso la moglie.
Chiede aiuto a un centro d’ascolto di Algeri: vuole fare rotta di nuovo verso sud
di Anna Pozzi
incent dimostra almeno 45 anni, forse qualcuno in più. Dal 1994 vaga per l’Africa, da quando
il genocidio che ha devastato il suo popolo lo ha
costretto a lasciare il Ruanda. Racconta di un
periplo infinito, attraverso Tanzania, Centrafrica, Mali, sino ad arrivare ad Algeri. Da qui, dalla capitale
algerina, vuole ripartire. Questa volta per tornare indietro.
Mali, forse. O forse più a sud. «On verra… Inshallah! Si vedrà… se Dio vuole!». È l’unica parola di arabo che ha imparato nei pochi giorni trascorsi ad Algeri; l’unica, inevitabile parola, in un contesto in cui la vita di un migrante è
appesa veramente alla volontà di Dio.
V
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Vincent si presenta, una mattina di ottobre, al centro
d’ascolto di Rencontre et Développement. C’è molta gente,
come tutte le mattine. Quasi tutti migranti subsahariani,
qualche anziano algerino. Tutti con un problema. Molti
sono habitué del luogo. Alcuni vivono qui da diversi anni,
sono sopravvissuti al deserto, alla sete, alla polizia… Hanno rischiato la loro vita per arrivare sin qui e non tornano
indietro. Ma non vanno neppure avanti. Il sogno di tutti è
l’Europa. Ma sono pochi ad ammetterlo. Molti sono senza documenti, alcuni hanno passaporti falsi, una buona
parte ha un foglio dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), che li classifica come “richiedenti asilo”. Po-
quando passa la macchina della polizia…». Da affrontare, poi, c’è una realtà quotidiana ai limiti della sopravvivenza. Per mesi, talvolta per anni: «Una volta in pieno inverno, nel corso di un’uscita nel deserto, ho scoperto una
dozzina di senegalesi. Ero sconvolta: uomini persi come
su un’isola, che da un anno si trovavano in quel posto,
senza potere né proseguire né tornare indietro. Qualche
tempo dopo la polizia è passata a distruggere e a bruciare il loro accampamento di miseria».
Di fronte a tante immani difficoltà, alcuni migranti manifestano il desiderio di rientrare in patria. Rencontre e Développement favorisce questi ritorni (176 nel 2006). Tamanrasset è l’ultima tappa in terra d’Algeria. Nel dicembre
2006 l’associazione vi ha organizzato un incontro, invitando diversi gruppi che operano a favore dei migranti. È stata un’occasione di dialogo, in vista di una migliore collaborazione, con realtà associative e missionarie operanti anche nei paesi di provenienza dei migranti. Così Rencontre
et Développement ha cominciato a progettare l’erogazione
di piccoli finanziamenti, a cui possono accedere i rimpatriati in Congo, Ciad, Togo e Camerun, per realizzare microprogetti di sviluppo. La strada che conduceva verso il
miraggio Europa può concludersi dove era partita. E non è
detto, dopo tanto soffrire, che sia una sconfitta.
do qualche poliziotto poco clemente non lo straccia senza ritegno, sbattendo con un pretesto il malcapitato in prigione. Da queste parti, gli africani non trovano accoglienza calorosa. Specialmente presso le forze dell’ordine.
Neppure uno spicciolo
chissimi lo otterranno: il governo algerino non li favorisce
per nulla; alcuni attendono anni, anche cinque o sei, senza ottenere risultati. Quel foglio di carta, però, garantisce
loro un’identità e una “protezione”. Per lo meno, sin quan-
Vincent è stufo di tutto questo. Ha dormito dentro alcuni
scatoloni in un palazzo in costruzione ed è stato maltrattato dalla polizia. In pochi giorni si è reso conto che non
può farsi una nuova vita ad Algeri. Tanto più con la figlia di
tre anni che si porta appresso. Princesse, Principessa, è
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dolce e gentile, parla un ottimo francese per la sua età, si
vede che è beneducata… Sta incollata al papà senza un lamento o una protesta. Chissà cosa ha già visto e passato.
La storia che Vincent racconta non è del tutto convincente. Ma come molti immigrati, si è abituato a raccontare storie. È un modo per proteggersi, non potendo fidarsi
di nessuno. Ci vuole molto tempo e molta confidenza per
conoscere tutta la verità. Lui dice di essere partito dal Mali insieme alla moglie, che però si è persa chissà dove nel
deserto: è sicuro che, non avendo potuto passare la frontiera, sia rientrata a Bamako, ma da qualche settimana
non ha sue notizie. Spera di incontrarla di nuovo laggiù.
Ed è là che, ad ogni modo, vuole andare.
Per questo si è rivolto a Rencontre et Développement.
Come molti migranti, ha saputo dell’associazione attraverso il passaparola. Non c’è bisogno di farsi pubblicità, in
questi casi. La serietà del lavoro, la capacità di accogliere e
ascoltare, oltre che di aiutare, hanno fatto dell’associazione un punto di riferimento obbligato per moltissimi migranti subsahariani.
Vincent chiede di ripartire. Non sono in molti a farlo,
ma neppure pochissimi: una media di due-tre alla settimana. Ci vuole coraggio per tornare indietro, tanto quanto quello richiesto dal viaggio di andata. Almeno alla partenza c’era speranza, oltre che disperazione, a spingere
verso un viaggio di settimane in condizioni aberranti, at-
traverso il Sahara, con mezzi a dir poco di fortuna… Ma al
ritorno c’è solo la sconfitta. C’è la vergogna di non essere
riusciti a raggiungere l’agognato “paradiso”, di tornare a
mani vuote, di un sogno infranto che la famiglia non potrà fino in fondo capire e accettare.
Vincent pensa forse di essere troppo vecchio per andare avanti e che Princesse è troppo piccola per sopportare altri viaggi e altre difficoltà. Eppure è pronto ad affrontare di nuovo il deserto. Perché quello che offre Rencontre
et Développement è un viaggio via terra, a tappe. Ad ognuna, c’è qualcuno che accoglie e che paga il biglietto per la
tratta successiva: Algeri-Ghardaia, di qui verso Tamanrasset o Adrar, poi Gao e Bamako, in Mali, per proseguire
Le esistenze che si perdono
nel “mare asciutto” della Libia
eventualmente sino ad Abidjan, in Costa d’Avorio, o addirittura a Cotonou, in Benin, e magari in Camerun o persino nella Repubblica democratica del Congo.
Vincent sente di potercela fare. O forse non ha scelta.
Non ha nulla: solo gli abiti che porta addosso, nessun documento, neppure uno spicciolo in tasca. Ma non osa
chiedere niente, solo un po’ di cibo e d’acqua per la bambina. L’incaricato di Rencontre et Développement prepara
un modulo che dovrebbe garantirli dai soprusi della polizia. Dovrebbe… Vincent e Princesse mettono qualche
pezzo di pane e una bottiglia d’acqua in un sacchetto di
plastica. Sono pronti. Viaggio di ritorno verso l’Africa. Forse – finalmente – verso una casa. Inshallah!
VIAGGIO A OSTACOLI
Clandestini intercettati
di notte nel deserto algerino,
passaggio verso le coste
iberiche. I transiti verso
l’Italia avvengono invece
soprattutto tramite la Libia,
dove i migranti africani
ricevono talvolta
un trattamento assai duro
La nostra ex colonia è terra di passaggio dei migranti, spesso alle prese con
il deserto. Ma anche approdo finale per molti stranieri, aiutati dalla Chiesa cattolica
di Francesco Spagnolo
er l’Italia, la Libia è generalmente intesa come
l’altra sponda di uno stesso mare, il “casello
d’ingresso” di un flusso immigratorio costante
e incontrollabile, che ha nelle nostre coste il
punto di arrivo. Nelle parole di monsignor Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli, la Libia torna invece
ad essere descritta con una luce diversa. Forse perché il
vescovo in quella terra c’è pure nato...
Monsignor Martinelli descrive una Libia che è molto
di più di quello che normalmente si conosce. A partire
dal suo ruolo di importante partner commerciale per
l’Italia, tramite la presenza della compagnia petrolifera
Eni. Ma apre uno squarcio anche sui fenomemi di oggi:
immigrazione incontrollata da altri paesi e droga tra i
giovani, problemi simili a quelli che deve affrontare un
paese sviluppato.
La Chiesa cattolica libica, anche tramite la sua Caritas,
è impegnata in questi due ambiti con altrettanti progetti.
Lavora sul problema della tossicodipendenza tra i giovani, in crescita negli ultimi anni per via di una certa agiatezza delle ultime generazioni, che spesso sconfina nella
noia. L’obiettivo, in questo caso, è far prendere coscienza
alla società libica di questa realtà, per poterla prevenire.
P
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L’altro progetto riguarda la questione dell’accoglienza dei tanti immigrati che, provenienti dall’Africa subsahariana, passano le frontiere libiche. Frontiere, a dire il
vero, invisibili, ben marcate solo sulle carte geografiche,
ma che nella realtà del deserto del Sahara hanno la definitezza che possono avere le dune di sabbia. Un “mare
asciutto”, in cui non si sa bene quanti congolesi, eritrei o
nigeriani sono morti, nel tentativo di arrivare nelle città
o sulle coste libiche, per cercare un lavoro o una sistemazione, oppure (ma non necessariamente) per proseguire il viaggio verso l’Europa.
Statistiche precise purtroppo non esistono, anche a
causa dell’atteggiamento del governo libico, che su questo argomento tende a essere elusivo. Si sa comunque
che in Libia molti immigrati (principalmente pakistani e
filippini) arrivano come regolari per lavorare. Altri invece rimangono clandestini, più o meno tollerati dalle autorità locali, che chiudono un occhio se la presenza rimane discreta e non pone problemi di ordine pubblico.
Convertirsi a un amore
È con questi, soprattutto, che la Chiesa cattolica lavora, insieme agli operatori di altre confessioni religiose, soprat-
tutto delle chiese protestanti, nell’offrire accoglienza e
uno sbocco regolare. Si opera innanzitutto cercando di insegnare un lavoro ai clandestini, che in alcuni casi tendono o a stabilirsi in Libia o a tornare nei paesi d’origine, se
le condizioni lo permettono. «L’immigrazione è una
preoccupazione che sta nel mio cuore e desidero che anche la Chiesa Italiana sia attenta a questa realtà, per la
quale comunque fa già tanto – dichiara monsignore Martinelli –. Mi auguro che dall’Italia si guardi alla Libia in positivo, perché quello che già c’è di buono possa crescere,
attraverso le cooperazioni economiche, ma anche tramite piccoli segni di amicizia e solidarietà».
Ma tutto questo come si intreccia
con il tema del dialogo tra le religioni,
che in un paese arabo e musulmano
come la Libia è all’ordine del giorno?
Monsignor Martinelli spiega di una
presenza cristiana, e cattolica in particolare, assolutamente minoritaria
nel paese nordafricano, il quale tuttavia è anche esente da forme religiose
integraliste. Anzi, a livello di istituzioni pubbliche e spirituali il dialogo con
le piccole chiese cristiane è cercato e incentivato, soprattutto per quanto riguarda un certo confronto dottrinale e
la collaborazione concreta su alcuni problemi comuni.
«Guardo con una certa positività – conclude il vescovo – il
popolo libico. Nello spiegare la mia presenza in quel territorio a maggioranza musulmana, richiamo sempre
l’immagine dell’incontro di San Francesco con il sultano.
Vorrei sempre vivere questa dimensione di apertura, di
amicizia, di convivialità con il mondo arabo, perché più
che il convertirci a una fede, conta il convertirci tutti a un
amore. Ecco, dovremmo essere capaci di aiutare anche la
Libia a crescere in questa testimonianza dell’amore».
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internazionale
casa comune
guerre alla finestra
FRONTIERE SENZA PACE
KIVU, LA PROVINCIA INSTABILE
FINALMENTE IL TRATTATO
MA L’EUROPA AVANZA DIVISA
di Francesco Meneghetti
di Gianni Borsa
e guerre nella Repubblica democratica del Congo hanno causato, nell’ultimo decennio, 4 milioni di morti. Ma la lunga transizione e le elezioni della seconda metà 2006 hanno diffuso la
pace in quasi tutto il paese. Anche il golpe tentato a marzo dall’ex capo ribelle Jean-Pierre Bemba è un ricordo lontano. Democrazia e sviluppo del paese guidato dal presidente Joseph Kabila sono sostenuti
a livello internazionale dai governi dei paesi avanzati (accordi per investimenti economici e commerciali) e dall’Onu (la missione cui
L
ro diventare migliaia. Intanto i campi
profughi di Mugugna, Rutshuru e
Kiwanga e quelli in Uganda contano
decine di migliaia di nuovi sfollati interni, assistiti anche da Caritas.
Omicidi di carattere etnico
Il quadro del conflitto è complesso e
mutevole. Difficile fare previsioni, a
causa delle controverse alleanze internazionali e locali. Per esempio si
Monuc contribuisce alla transazione
registra nuovamente l’attivismo miverso l’unità nazionale, monitoranlitare di gruppi armati stranieri (tra
Posta al confine
do la restituzione delle armi da parte
essi il Fdlr, Forze democratiche di licon il Ruanda, la regione
della popolazione e dei gruppi ribelberazione del Ruanda), mentre il 27
orientale del Congo
li, l’inserimento sociale degli ex bamottobre si è arreso ai caschi blu Onu
da mesi è tornata teatro
bini e adulti soldato, l’integrazione
Kibamba Kasereka, capo delle forze
di combattimenti,
dei miliziani nell’esercito regolare).
patriottiche Mayi Mayi (partigiani
violenze, arruolamenti
filo-Kinshasa, tornati protagonisti
L’unica delle undici province
coatti (anche di minori).
dei combattimenti contro le milizie
congolesi in cui si vivono ancora forLo scenario
di Nkunda). I segnali positivi e neti tensioni è il Nord-Kivu, anticaè imprevedibile.
gativi si alternano: oggi fonti ufficiamente indipendente, ricchissima di
Ma intanto le armi
risorse minerarie e molto fertile, con
li segnalano la deposizione delle araffluiscono…
una composizione etnica e un’orgami e il processo di integrazione di
nizzazione socio-economica molto
centinaia di ribelli di Nkunda, dosimile a quella del piccolo e limitrofo Ruanda, col quale le mani l’arruolamento di altrettanti uomini e bambini.
relazioni politiche e commerciali sono forti. Nel Nord-KiIntanto i fatti di cronaca locale a Goma, capoluogo del
vu da qualche mese si assiste nuovamente a combatti- Kivu, fanno registrare un’escalation di omicidi di carattere
menti pesanti tra i circa 5 mila miliziani fedeli al generale etnico ai danni di persone con ruoli sociali ed economici
dissidente e filo ruandese Laurent Nkunda e l’esercito re- di rilievo (compreso, sembra, il tentato omicidio ai danni
golare (Fardc), che ha dispiegato circa 30 mila militari con del vescovo, monsignor Faustin Ngabu, a fine ottobre) e il
il sostegno logistico dell’Onu. Indipendentemente dalle diffuso brigantaggio notturno, che impone ogni sera il coragioni politiche, la presenza di militari nei villaggi pro- prifuoco alle 18. Si teme inoltre che l’ingente ingresso di
voca insicurezza tra la popolazione: abbandono dei cam- armi pesanti, via terra e via aerea, contribuisca a inasprire
pi, estorsioni di alimentari e animali, violenze sessuali su il conflitto. Non va dimenticato che il Nord-Kivu rappreragazze e arruolamento forzato di ragazzini. Circa que- senta una zona cuscinetto di fondamentale importanza
st’ultimo tema – prioritario per l’azione di Caritas Italiana per il vicino e popolatissimo Ruanda, che guarda al Kivu
in Africa – il rappresentante speciale per i conflitti armati per le sue risorse minerarie e alimentari, oltre che come
dell’Onu, signora Radhika Coomaraswamy, riferisce che sbocco residenziale per la sua popolazione. La pace, in
sono già centinaia i bambini arruolati e presto potrebbe- Congo, rimane una missione impossibile?
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sona fino alle essenziali libertà e protezioni sociali, potranno essere tutelati dalla Corte di giustizia nella stragrande maggioranza dei paesi dell’Unione europea, ma non su tutto il territorio comunitario. Da Lisbona
emerge così una strana Europa, che
estende la “doppia velocità”, oltre che
all’euro e al Trattato di Schengen, anche ai diritti basilari.
Ancora una osservazione dal sapore amaro. Il Trattato che porta il
Il Trattato di Lisbona, in realtà, rinome della capitale portoghese non
calca buona parte del testo costituDopo lo stop di tre anni fa
comprende i “simboli” dell’Ue, già
zionale maturato nella Convenzione
alla Costituzione,
inseriti nella Costituzione: bandiera,
e nella successiva Conferenza interfinalmente l’Ue
inno, motto… Poco male, si potrebgovernativa. Restano alcune imporsi è dotata, a Lisbona,
be superficialmente osservare; in
tanti acquisizioni, come l’istituzione
del testo fondamentale
realtà, quando si intende costruire
di un presidente “stabile” del Consiper le sue istituzioni.
una “unità nella diversità” fra popoli
glio Ue, il rafforzamento dell’Alto rapÈ un progresso storico.
e stati differenti, e fino a ieri fierapresentante per la politica estera (che
Che però sconta
mente distinti (se non nemici), i simsarà anche vicepresidente della Comevidenti limitazioni
boli servono, eccome. L’opinione
missione), l’introduzione di un nuovo
e lascia aperti
pubblica ha bisogno di segni distintisistema di voto in sede di Consiglio,
rilevanti interrogativi
vi per “vedere” l’Europa e per un recil’estensione del voto a maggioranza e
proco riconoscimento.
dunque l’imbrigliamento del diritto
Infine il Trattato – che pure consente all’Ue di superadi veto. Ma, fra le tante novità, spiccano i molti limiti del
corposo articolato (256 pagine): primo fra tutti il permane- re l’impasse istituzionale, per occuparsi finalmente dei
re dello stesso diritto di veto su poche ma essenziali mate- problemi e degli interessi concreti dei cittadini – lascia irrie, a cominciare dalla politica estera. È facile prevedere risolti alcuni interrogativi emersi negli ultimi anni sul fuche l’Ue continuerà a non avere una propria, univoca, ca- turo dell’integrazione. Il primo di essi riguarda l’identità
stessa dell’Europa comunitaria: quali i valori e gli obiettivi
pacità d’azione sulla scena mondiale. Non è poco!
comuni, quali l’identità e i confini ultimi dell’Ue? Con
quale velocità procedere verso nuovi allargamenti? Come
La bandiera dov’è?
Un’altra innovazione di rilievo è il valore vincolante che costruire una politica estera comune, al di là dell’aver daviene assegnato alla Carta dei diritti fondamentali, varata to vita a un Alto rappresentante che, non a caso, non si
da quasi un decennio e che solo ora ottiene potere cogen- chiamerà “ministro degli esteri”? Come rafforzare le aziote in 24 stati; gli altri tre, ossia Regno Unito, Irlanda e Polo- ni e le politiche che possono portare giovamento alla vita
nia, hanno ottenuto, per ragioni diverse, speciali deroghe dei cittadini? E, ultimo ma non per importanza, come far
(“clausole opt-out”). Di fatto, diritti e principi fondamenta- pesare di più la volontà dei cittadini nella democrazia coli, individuali e comunitari, a partire dalla dignità della per- munitaria che si snoda tra Bruxelles e Strasburgo?
pprovazione al summit di Lisbona del 19 ottobre scorso, firma
ufficiale il 13 dicembre. Poi, nel 2008, le ratifiche nazionali, per
entrare in vigore (salvo sorprese) il 1° gennaio 2009. Giusto in
tempo per le elezioni dell’Europarlamento, fissate nel giugno successivo. Sono le tappe del nuovo Trattato Ue, che prenderà il posto
dell’abortita Costituzione, siglata a Roma tre anni or sono e mai entrata in vigore, a causa dell’opposizione palese degli elettori francesi e olandesi e di altri ostacoli subentrati durante l’iter di ratifica.
A
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internazionale
tsunami tre anni dopo
L’ONDA E LE GUERRE,
UNA VITA DA SFOLLATI
MANODOPERA
A BASSO COSTO
Un campo di emigrati
birmani in Tailandia.
Lo tsunami non ha
fatto che peggiorare
la loro condizione
di “invisibili”
precari e sfruttati
di Giovanna Federici e Gianluca Ranzato
P
rofughi, sfollati. Vite sradicate dalla propria casa (molto spesso, insieme alla propria casa) e
dalla terra dei propri avi, per effetto dell’inclemenza degli elementi. O dell’insensatezza degli
uomini. Esistenze stratificatesi nella precarietà, ondate successive di smarrimento, depositate sulla spiaggia del disagio da catastrofi naturali e conflitti armati interminabili.
Lo tsunami è stato solo l’ultima, anche se la più spettacolare e atroce, di quelle ondate. Tutti ricordano le crudeli sofferenze e la terribile contabilità delle vittime generate dal disastro del
26 dicembre 2004, innescato da un terremoto tra i più violenti degli ultimi decenni. Il sud-est asiatico ha
cambiato panorama fisico, dopo quella scossa e quell’onda. Ma soprattutto ha visto sconvolto, in molti paesi e lungo migliaia di chilometri di coste, il suo panorama sociale. Il disordine ancora non è ricomposto: a
tre anni dalla tragedia, migliaia di persone soffrono una quotidianità irrisolta, costrette a vivere in campi o
rifugi provvisori. E il maremoto non ha fatto che sovrapporsi, in molte località, a emergenze e povertà presenti da anni. Popolazione di rifugiati o di sfollati interni che, in alcuni paesi dell’area, vivono in condizioni
disumane. Per loro lo tsunami non ha fatto che peggiorare condizioni di vita già gravi. E il panorama non si
rischiara, nonostante il notevole dispiegamento di aiuti umanitari verificatosi dopo la catastrofe.
I malesseri dello Sri Lanka
A tre anni dallo tsunami, nel sud-est asiatico
I paesi dove più intricato è il groviglio tra sfollati molti attendono di poter fare ritorno alle terre
da tsunami e per effetto di conflitti militari sono
Sri Lanka e Tailandia. Nel primo paese, secondo i d’origine. La precarietà cui sono costretti
dati ufficiali del governo, il numero complessivo si sovrappone a quella di altri gruppi. Provati
degli sfollati interni raggiunge quota 200 mila. La da conflitti, armati e sociali, che durano da anni
cifra comprende le persone che ancora non hanno riavuto un’abitazione, dopo che l’onda anomala aveva occupano di distribuire razioni di cibo e acqua, di costruire
spazzato le loro case nelle aree costiere. Ma moltissimi so- abitazioni temporanee, latrine e pozzi, di offrire supporto
no coloro che hanno dovuto abbandonare il proprio luogo economico e psicologico. Ma ci sono anche sfollati che non
d’origine a causa del conflitto. La maggior parte degli sfolla- vivono nei campi o nei centri di accoglienza e hanno trovati è tamil o musulmana, perché i confini del conflitto sono to accoglienza presso parenti o amici o, se hanno disponisempre stati nel nord-est dell’isola, dove queste comunità bilità economiche, hanno affittato un’altra abitazione.
sono maggioritarie. Una parte si è ristabilita in altre zone del
Gli standard di vita nei centri di accoglienza e nei campaese, dove i rifugi temporanei sono diventati abitazioni pi sono insufficienti, nonostante gli sforzi delle agenzie inpermanenti. Una buona percentuale è stata invece sfollata ternazionali. La dimensione della temporaneità provoca
a ripetizione: sono piuttosto comuni i casi di famiglie che diverse forme di disagio sociale: alcolismo, violenze, abusi
domestici. Si registrano anche parecchi suicidi. Molti sfolhanno cambiato il proprio rifugio più di dieci volte.
In realtà la cifra fornita dal governo non è del tutto at- lati hanno vissuto per anni nei centri; in casi non rari, per i
tendibile, perché si riferisce a persone che ricevono cibo, giovani i campi sono stati l’unico orizzonte di vita.
Anche l’emigrazione verso l’estero (India, ma anche
acqua e altri aiuti per soddisfare i bisogni di base. Un discreto numero di costoro si trova in centri di accoglienza Europa e Canada) resta un fenomeno massiccio. È un’opgestiti dal governo stesso. Altri risiedono nei campi organiz- zione valida soprattutto per le famiglie con maggiori dispozati e supportati dalle organizzazioni internazionali, che si nibilità economiche, anche se spesso avviene illegalmente.
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Da quando (agosto 2006) il conflitto è tornato cruento nella regione del nord-est, i movimenti degli sfollati sono diventati un’emergenza nazionale. E il panorama non promette di rasserenarsi: le agenzie delle Nazioni Unite si preparano a supportare, nel 2008, altri 150 mila sfollati.
Zingari e birmani in Tailandia
Anche in Tailandia gli sfollati da tsunami si sono aggiunti
ad altre generazioni di sradicati. Il governo tailandese, dopo il disastro di fine 2004, si è concentrato nel portare aiuti
ai propri cittadini. Tale sforzo non ha raggiunto le molte
migliaia di persone non in grado di dimostrare la propria
cittadinanza, perché prive dei documenti necessari.
Fra costoro ci sono anzitutto i membri delle popolazioni cosiddette sea gipsies (“zingari del mare”: etnie Moklen,
Moken e Ulaklavoi), gruppi di pescatori nomadi e semistanziali. I sea gipsies sono tendenzialmente privi di identità
legale e tradizionalmente
trascurati dal flusso convenzionale degli aiuti. Gli interventi di emergenza e riabilitazione, nel loro caso, sono
di fatto delegati alla cooperazione internazionale.
Un secondo problema,
storicamente una delle gravi contraddizioni della società tailandese, è rappresentato dagli immigrati birmani. In Tailandia ne risiedono moltissimi da molti
anni; una delle aree di maggior concentrazione è proprio il sud, colpito dallo tsunami, dove i birmani hanno
la possibilità di proporsi come manodopera a basso
costo per il mercato del turismo o della pesca. Una situazione in ogni caso migliore della vita sotto il regime della giunta militare, che da decenni domina il loro paese.
Oggi gli immigrati legalmente registrati in Tailandia sono oltre 700 mila; di essi, oltre 500 mila sono birmani. Ma il
dato può essere realisticamente raddoppiato stimando il
numero dei residenti illegali. Lo status di illegalità rende
impossibile il loro accesso agli aiuti governativi, anche se le
condizioni precarie delle loro vite fanno di loro uno dei
gruppi sociali più emarginati e più colpiti dall’emergenza
tsunami. Limitatissimo accesso ai servizi sanitari ed educativi, costretti a condizioni di precarietà cronica, vulnerabili allo sfruttamento da parte dell’industria del sesso: i birmani vivono perdipiù nel continuo incubo del rimpatrio
forzato, in un paese in cui sono contemporaneamente
sfruttati e considerati criminali per essere espatriati illegalmente. Lo tsunami, per loro, è stato solo un grano del pesantissimo rosario di dolori che vivono ogni giorno.
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tsunami tre anni dopo
Jaffna, carcere a cielo aperto
nell’isola che non conosce tregua
Nella città alla punta nord dello Sri Lanka, la popolazione convive, a causa della
guerra, con precarietà e paura. E c’è chi si fa imprigionare per stare sicuro…
n Sri Lanka le vittime dello tsunami ricostruiscono
le loro vite fianco a fianco degli sfollati e delle vittime di un conflitto che dura dal 1983. Sino a oggi si
stima che la guerra abbia causato 100 mila morti civili e 30 mila militari. Caritas Sri Lanka afferma che
sono 55 mila le famiglie di sfollati a causa della guerra; il
numero è cresciuto notevolmente negli ultimi mesi. Secondo un rapporto di Amnesty International del 5 aprile,
gli sfollati nel paese sarebbero in totale 290 mila.
Jaffna, capitale dello Sri Lanka settentrionale, punta peninsulare a nord del paese, è il cuore dell’area contesa, la regione che il movimento Ltte (Liberation Tigers of Tamil Eelam, più noto come Tigri Tamil) rivendica come patria indipendente. Jaffna è sotto il controllo del governo, ma è separata dal resto dell’isola perché circondata da zone controllate dalle Tigri. Il conflitto armato tra governativi, Ltte e
altri gruppi armati si è ulteriormente intensificato nei primi mesi del 2007, soprattutto nel nord e nell’est del paese.
Per raggiungerla, bisogna affrontare controlli arcigni
all’aeroporto della capitale Colombo e attese interminabili: dieci ore per un volo di 45 minuti. Ma finalmente si arriva in quella che molte tra le persone che vi si incontrano
definiscono “prigione a cielo aperto”. Il rettore del semina-
I
rio maggiore aggiunge con amarezza che un po’ alla volta
diventa anche un “cimitero a cielo aperto”...
Jaffna è un emblema di quanto accade dietro le quinte
di tutti i conflitti cruenti: uccisioni sommarie, sparizioni
(nel paese ammontano, dall’inizio del 2006, a 5.750), agguati ai danni dei militari o dei civili sospettati di essere favorevoli a una fazione o all’altra. Per non parlare dei reclutamenti forzati: sembra che l’Ltte stia conducendo una
grande campagna di reclutamento; si valuta che più di 10
mila persone siano state reclutate negli ultimi otto mesi. La
regola comune è che ogni famiglia deve “consegnare” almeno una persona per la causa tamil.
Fortunati i profughi
A Jaffna la paura è palpabile e serpeggia in ogni dialogo:
con il governatore, i leader comunitari, gli esponenti della
società civile, i profughi nei campi di accoglienza. Ne sono
segno visibile i posti di blocco, ogni poche centinaia di metri, dove i militari sanno di essere il principale bersaglio delle Tigri e vivono con l’arma in pugno, nervosi e ostili, controllando meticolosamente passeggeri dei bus e passanti.
Le carceri sono un mondo a parte. Si dice che sia in crescita il numero dei civili che chiedono di venire incarcera-
Sviluppo dopo la catastrofe,
progetti Caritas in sette paesi
di Maria Chiara Cremona
Dopo la fase dell’emergenza
post-tsunami, l’azione si concentra
sull’aiuto alle categorie vulnerabili,
la ripresa socio-economica
e il rafforzamento delle Caritas locali
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tre anni dalla più grande catastrofe naturale
della storia recente, Caritas Italiana continua la
sua presenza nei paesi colpiti dallo tsunami, lavorando a fianco delle chiese locali. L’impegno
si alimenta di un budget di oltre 33 milioni di
euro (in buona parte già spesi) e dell’azione 9 operatori
presenti in 4 paesi: Indonesia, Sri Lanka, India e Tailandia.
Altri interventi sono in corso nelle Maldive, in Myanmar e
Somalia. In tutti i casi, l’approccio combina la strategia
A
ti per sfuggire al rischio di venire assassinati. Forse hanno
detto qualcosa di troppo o ospitato la persona sbagliata. In
una stanza squallida e sovraffollata della prigione di Jaffna
sfilano decine di uomini logori e rassegnati; dalla rete che
separa una cella attigua e scura affiorano decine di sguardi. Come facciano a dormire tutti contemporaneamente
sdraiati, in spazi angusti, rimane un mistero. La paura li ha
spinti a rinunciare alla dignità e a una quotidianità che la
loro terra sembra non riuscire più a proteggere.
E poi ci sono i campi profughi. Sempre più affollati.
Tanto che diventa sempre più difficile mantenere le condizioni di vita entro standard minimamente accettabili.
Gli sfollati vengono prevalentemente dalle zone della costa, ormai quasi interamente occupate dai militari, perché
sono territorio di scontro fra le due fazioni. Gli sfollati attendono, non si sa bene cosa: l’ipotesi del ritorno ai villaggi di origine è fuori discussione e non esistono prospetti-
ve di miglioramento della situazione.
Nel frattempo l’economia di Jaffna, formale e informale, sta collassando a causa della chiusura dell’unica strada
di accesso alla penisola dal resto dell’isola. Procurarsi le
materie prime è diventato molto caro; contemporaneamente i commerci si sono ristretti al solo mercato locale,
dove i prezzi sono bassi a causa dell’abbondante offerta.
Un ulteriore simbolo del precarizzarsi della situazione
è costituito dall’obbligo di portare sempre con sé un documento d’identità aggiuntivo, rilasciato dall’esercito. Tipo e
numero delle foto richieste obbligano le famiglie, specie
quelle numerose, a spese intollerabili per i già esigui budget familiari, sprofondandole ancor di più nell’indigenza.
L’entità dei danni provocati da questa sorta di blocco
che attanaglia Jaffna la si può misurare dall’impatto sulla
vita dei bambini. I dati della frequenza scolastica peggiorano, perché i genitori hanno paura a mandare i figli a
scuola. Una madre, in un campo profughi, confessa la
(paradossale) fortuna di avere la scuola molto vicina a casa: si può accompagnare il figlio e non temere per la sua
sorte. Chi sta lontano dalla scuola, al contrario, il figlio preferisce averlo sotto gli occhi, tra le mura domestiche, per
non correre il rischio di saperlo scomparso. Magari rapito
dalle Tigri, per farne un bambino soldato.
Con il calare della sera la gente, in grande maggioranza
di religione hindu, abbandona i templi in cui si era recata
per una festività religiosa. Sulle biciclette si affrettano verso
casa, per raggiungerla prima che scatti il coprifuoco. In
lontananza un paio di colpi di granata. Non è un combattimento, sono le fazioni contrapposte che si ricordano l’un
l’altra che ci sono. E sono pronte a fare sul serio.
RICOSTRUIRE, SVILUPPARE
Una casa edificata in Sri Lanka grazie a Caritas.
I progetti del post-tsunami ora puntano allo sviluppo
dei territori colpiti dall’onda. Sopra, guerriglieri
tamil si addestrano nel nord dello Sri Lanka
dell’intervento
di emergenza e
post-emergenza, proprio del
network Caritas Internationalis, con lo stile di affiancamento socio-pastorale delle chiese locali, peculiare di Caritas Italiana.
In Indonesia, oltre a contribuire all’intervento
d’emergenza, Caritas Italiana si è impegnata con un bud-
get di circa 5,5 milioni di euro ed è riferimento per il
network Caritas delle attività di riabilitazione nell’isola di
Nias, diocesi di Sibolga. Alle attività di ricostruzione si sono accompagnati diversi programmi: realizzazione di una
radio comunitaria per l’educazione e la promozione dei
diritti umani; un progetto di prevenzione e lotta alla malnutrizione e percorsi di promozione sanitaria e igiene; attività generanti reddito anche per categorie vulnerabili
(disabili e orfani). Infine, un grande lavoro è stato realizzaI TA L I A C A R I TA S
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internazionale
contrappunto
tsunami tre anni dopo
Tsunami, gli interventi di Caritas Italiana
venti in due aree particolarmente
colpite dallo tsunami: le isole Andamane e la diocesi di Tuticorin,
in Tamil Nadu. Interventi minori
Sri Lanka
8.571.430
Emergenza; animazione; pace; ricostruzione e riabilitazione;
sono stati realizzati anche in altri
vittime di guerra; potenziamento Caritas locale
territori, a fronte di specifiche riIndia
8.976.190
Emergenza; ricostruzione; potenziamento Caritas locale;
chieste, in particolare in Kerala. Gli
promozione socio-economica; formazione giovani
ambiti di intervento sono capacity
Tailandia
3.485.562
Emergenza; strutture socio-pastorali; microfinanza;
building, ricostruzione, promopotenziamento Caritas locale; sanità; minori; tratta e
zione socioeconomica, educazioprostituzione; rifugiati e migranti; pace e riconciliazione
ne e formazione giovanile.
Maldive
3.282.131
Sostegno al sistema socio-sanitario; acquisto di barcheIn Tailandia Caritas Italiana è
ambulanza e attrezzature mediche; personale sanitario
partner accompagnatore della
specializzato; formazione personale locale
Caritas nazionale, a supporto delMyanmar
1.500.000
Sviluppo rurale e promozione della donna; sanità;
la realizzazione dell’intervento di
approvvigionamento idrico; accompagnamento chiesa locale
emergenza e di nuovi progetti,
Somalia
250.000
Emergenza; assistenza profughi; sanità
nati dall’incontro con le povertà
del territorio. Il budget dedicato è
Prevenzione disastri
500.000
Formazione operatori Caritas locali e cittadini su prevenzione
e gestione delle emergenze (in tutti i paesi)
di quasi 3,5 milioni di euro, impiegati anche in questo caso in parte
Spese di gestione
1.703.532
all’interno del programma di inTOTALE
33.845.035
terventi della rete Caritas, in parte
* in euro, in buona parte spesa, comunque già destinata ai progetti
in programmi sviluppati e finanziati direttamente da Caritas Itato per rafforzare Caritas Indonesia, realizzare attività di ca- liana, che si è impegnata a sostenere la diocesi di Supacity building e programmi per la promozione della ratthani nel rispondere alle povertà del suo territorio. Ciò
avviene anche oltre la prospettiva dell’emergenza, in didonna a livello locale.
In Sri Lanka il percorso di ripresa dall’enorme tragedia versi ambiti di lavoro: sostegno e accompagnamento per
è stato complicato da una nuova escalation di violenza gli interventi sociali e d’emergenza a livello diocesano; un
tra truppe governative e ribelli delle Tigri Tamil. Oltre ad progetto di microcredito che garantisce ai villaggi aiutati
aver partecipato ai programmi d’aiuto d’emergenza del- durante l’emergenza prospettive di sostenibilità sociola rete internazionale con circa 3,8 milioni di euro, Cari- economica di lungo periodo; risposta alle criticità sociali e
tas Italiana è presente in Sri Lanka con cinque operatori e sanitarie (campi di profughi birmani, Hiv-Aids) della produe volontari in servizio civile in tre diocesi: a Colombo è vincia di Ranong; attenzione al tema della disabilità; avvio
in corso un programma di riabilitazione socio-economi- di un programma di riabilitazione socio-sanitaria.
co; a Jaffna viene condotto un programma per i minori,
Nelle Maldive l’impegno di Caritas Italiana, con un
vittime dello tsunami e del conflitto; a Chilaw viene rea- budget di 3,2 milioni di euro, si concentra nel settore salizzato un percorso di capacity building e un programma nitario, in particolare a supporto di quattro ospedali lodi educazione, formazione tecnica e supporto psico-so- cali, attraverso la fornitura di attrezzature sanitarie e perciale, rivolto alle fasce povere della popolazione. All’inter- sonale medico specializzato. In Myanmar, grazie a un budno del Programma di animazione sociale di Caritas Sri get di 1,5 milioni di euro, si opera in vari settori: capacity
Lanka, sono state promosse attività di riabilitazione per building della Caritas locale (Karuna), educazione, svidisabili. Infine un’operatrice Caritas è consulente del Pro- luppo rurale e socioeconomico, sanità, approvvigionagramma nazionale di educazione alla pace.
mento idrico, prevenzione della diffusione dell’Aids. Infine in Somalia, insieme alla Caritas locale e con un budget
Dal dispensario al microcredito
di 250 mila euro, vengono erogati aiuti d’urgenza (distriIn India Caritas Italiana ha investito in questi anni un bud- buzione alimentare e assistenza sanitaria) e si sostiene
get di circa 8.5 milioni di euro, concentrando i suoi inter- un dispensario a Baidoa.
PAESE
Indonesia
38
CIFRA ALLOCATA*
5.576.190
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SETTORI DI INTERVENTO
Emergenza; ricostruzione; salute, nutrizione, donne, minori;
potenziamento Caritas locale
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E IL MONDO SI RIAVVICINA
ALLA MEZZANOTTE NUCLEARE
di Alberto Bobbio
conda metà del Novecento di quanto
non fosse mai avvenuto prima. E anche oggi, con la corsa al nucleare riproposta come punto centrale delle
strategie militari, si rischia di registrare
un aumento dei conflitti locali.
Alcune analisi sostengono che la
guerra all’Iraq è stata possibile proprio perché non c’erano le armi di distruzione di massa, anche se
l’opinione pubblica era stata indotta a
credere al contrario. La questione è
decisiva: un paese dotato di bomba
atomica sarebbe più al riparo da un
di produzione) che gli Usa stanno
Le nuove armi di Putin,
conflitto, anche locale, di uno che la
studiando. Inoltre c’è la preoccupalo scudo Usa, le rincorse
bomba non ce l’ha. Ecco quindi la rinzione per un uso più massiccio del
e le scelte di altri paesi.
corsa dell’Iran, le scelta fatta e mai dinucleare civile, che ha sempre riLe lancette dell’orologio
chiarata di Israele, le ammissioni di Insvolti militari, almeno nella ricerca.
della paura tornano
dia e Pakistan. Solo la Corea del Nord
Dal 1947, quando erano ferme sula correre. C’è chi
sembra aver capito che, da altri punti
la mezzanotte meno sette, le lancette
sostiene sia un modo
di vista, soprattutto economici, le tesono state spostate 17 volte. Ora la corper controllare i conflitti. state nucleari non servono e si avvia
sa potrebbe ripartire, dopo un disgelo
L’epoca della
almeno a uno stop della produzione,
nucleare durato quasi vent’anni. L’idea
non proliferazione
controllato a livello internazionale.
della non proliferazione s’affacciò susta andando in archivio?
Ma non può essere la Corea a tebito dopo il lancio delle bombe su Hinere in piedi lo sfilacciato Trattato di
roshima e Nagasaki, primo atto della
“guerra fredda”, oltre che ultimo di una terribile “guerra cal- non proliferazione nucleare, mandato di fatto in penda”. L’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone l’8 ago- sione dagli annunci di Putin e dall’agitarsi americano.
sto, ma gli Stati Uniti sganciarono la prima atomica il 6 ago- L’anno scorso Mosca ha proceduto a ben 16 sperimensto: messaggio preciso ai sovietici circa il futuro della con- tazioni di missili con testata atomica. Poi c’è la nuova
duzione dei conflitti. Gli Usa avevano la bomba, e funzio- Francia di Sarkozy, che rivendica la potenza della Force
de frappe, la forza di dissuasione nucleare francese,
nava, Mosca era ancora al palo.
concetto inventato da De Gaulle nel 1958. E anche la
Nato si regge sull’idea del nuclear sharing, cioè sulla
Solo la Corea ha capito
I sovietici, però, si sbrigarono nella ricerca. La loro prima condivisione delle armi nucleari, imposta durante la
esplosione nucleare avvenne nel 1949. Da allora il mondo guerra fredda agli alleati non nucleari. In Italia ci sono
entrò nella fase del Mad: Mutually assured destruction, di- testate atomiche, così come in Germania e nei paesi
struzione mutua assicurata. È per questo, forse, che la guer- membri del Patto atlantico. Insomma, l’orizzonte non è
ra fredda non cambiò mai temperatura. L’equilibrio nu- sereno. E le lancette dell’orologio della paura tornano
cleare ha prodotto tuttavia più conflitti e più morti nella se- ad avvicinarsi pericolosamente alla mezzanotte.
rmai è un concetto per lo meno traballante. Chi crede ancora alla
non proliferazione nucleare, dopo l’annuncio di Putin sullo sviluppo di nuovi armi atomiche e il progetto americano dello scudo
antimissile in Europa orientale? L’orologio che misura quanto manca alla simbolica mezzanotte della catastrofe nucleare, che gli scienziati del
Bulletin of atomic scientists dell’Università di Chicago hanno realizzato
per mettere in guardia il mondo, ha le lancette ferme su cinque minuti alla mezzanotte. Recentemente sono state spostate in avanti di due minuti, per via delle ambizioni nucleari iraniane, delle dichiarazioni di Putin,
delle nuove bombe atomiche “pulite” (nel senso che non lasciano scorie
O
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agenda territori
ottoxmille
CATANIA
Un centro giovanile a Librino,
relazioni nuove per ragazzi e adulti
Un nuovo centro giovanile, che reca un nome
evangelico, impegnativo ma denso di speranza.
“Talità kum” (“Fanciulla, alzati”) è uno spazio
promosso dalla Caritas di Catania nel quartiere
di Librino, periferia del capoluogo etneo.
È stato inaugurato venerdì 16 novembre
(nella foto, la festa) e «vuole essere – ha dichiarato, padre Valerio Di Trapani,
direttore della Caritas diocesana – una realtà che favorisce l’incontro
e la relazione, nonché una risposta all’emergenza educativa della città».
Vi si svolgeranno attività sportive, ricreative e di sostegno scolastico.
Educatori e volontari aiuteranno bambini e adolescenti a impostare su basi
serene le relazioni di reciprocità con i coetanei, il mondo degli adulti
e soprattutto i familiari. Quanto agli adulti, di mattina potranno partecipare
a laboratori e a spazi di socializzazione, pensati soprattutto per accompagnare
le donne nella definizione di un proprio progetto di vita e responsabilizzarle
nei confronti dell’educazione dei figli. «Librino – ha affermato padre Di Trapani
– spesso a torto è stato dipinto a tinte fosche. Noi vogliamo portare colori,
gioco e festa. Talità kum vuole restituire alla gioia la vita di tanti ragazzi
ed essere segno che la Chiesa sta bene in strada: è il posto che le compete».
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SANREMO-VENTIMIGLIA
MILANO
Preghiera e raccolte,
una domenica
per battere la povertà
Donaphone,
il telefonino solidale
amplia gli orizzonti
La Caritas diocesana ha aderito con
convinzione alla campagna “Prima che
sia troppo tardi”, che rilancia un’iniziativa
internazionale ed è promossa in Italia
da Caritas Italiana e Focsiv. Così in
diocesi la quarta domenica di Avvento
(“Domenica di fraternità, in programma
il 23 dicembre) sarà dedicata proprio
alla campagna e al suo sforzo di
sensibilizzazione riguardo alla necessità
di centrare, su scala globale, gli Obiettivi
di sviluppo del millennio, fissati in sede
Onu nel 2000 in vista del 2015.
I proventi delle raccolte (parrocchiali
e pubbliche) saranno devoluti a favore
dei progetti della diocesi di Kindu, in Congo.
I cellulari, al pari di indumenti e scarpe,
sono fra gli accessori che vengono
sostituiti con maggiore frequenza.
Abitudine particolarmente in voga
in Italia, paese che vanta il primato
della diffusione dei cellulari (1,34 ogni
abitante). Caritas Ambrosiana e il
consorzio di cooperative Farsi Prossimo
si sono chiesti come trasformare un
tale evidente spreco in un’opportunità
e hanno lanciato in estate un’innovativa
campagna (“Donaphone, il telefonino
solidale”) per il riutilizzo a fini sociali dei
cellulari usati. I buoni risultati (diecimila
apparecchi raccolti in un mese e mezzo,
nella fase sperimentale) hanno
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incoraggiato ad ampliare l’iniziativa,
prendendo contatti con enti pubblici
anche al di fuori della diocesi
ambrosiana, proprio mentre il comune
di Milano ha concesso il proprio
patrocinio e sostegno alla campagna.
I telefonini vengono raccolti nei box
esposti in parrocchie, scuole,
biblioteche, palestre, luoghi pubblici,
imprese private. I cellulari raccolti dalla
cooperativa Vesti Solidale, che impiega
personale svantaggiato, vengono
testati, riparati e ricommercializzati;
il ricavato viene utilizzato per finanziare
una casa di accoglienza per madri in
difficoltà, nell’ambito del progetto
sociale di Caritas “Famiglie in marcia”.
VERONA
Mensa e relazioni,
“Il samaritano”
intensifica i servizi
È stato festeggiato a metà novembre
il primo anniversario di apertura della
casa di accoglienza “Il Samaritano”,
promossa dalla Caritas di Verona.
La struttura ospita almeno
una cinquantina di ospiti, persone senza
dimora o con gravi problemi abitativi
e sociali, cui dà accoglienza notturna.
Ora sono sulla rampa di lancio due
nuove iniziative, che completano
il quadro dell’offerta dei servizi,
anche grazie all’opera di 130 volontari.
Il centro diurno pomeridiano servirà
ad approfondire le relazioni
con gli ospiti, per definire percorsi
personalizzati di reinclusione sociale.
La mensa serale offrirà pasti
“fragranti”, grazie a un moderno
sistema di conservazione del cibo,
che ogni giorno viene recuperato, grazie
anche alla collaborazione delle Acli
locali, dalle mense delle scuole
primarie e superiori della città.
di Giuseppe Paruzzo
TRENTO
Non discriminare,
i ragazzi del campo
premiati dalla Ue
I giovani partecipanti al campo estivo
“Il vento e la vela”, proposto dalla
Caritas diocesana di Trento, sono stati
premiati il 20 novembre, Giornata
internazionale dei diritti dell’infanzia,
dalla Rappresentanza italiana della
Commissione europea nell’ambito
del concorso “L’Unione Europea e
la non discriminazione”, rivolto a ragazzi
tra i 12 e i 18 anni dei 27 stati Ue.
Il concorso riguardava il principio di non
discriminazione, sancito nell’ articolo 21
della Carta dei diritti fondamentali della
Ue, e prevedeva
la realizzazione
di un poster. In Italia
hanno partecipato
alla selezione
più di 700 gruppi,
cioè circa 4 mila
giovani: il gruppo
della Caritas diocesana trentina è
risultato vincitore nella categoria 15-18
anni e ora parteciperanno alla selezione
europea, il 17 dicembre. I ragazzi
premiati, guidati da Anita Scolz, sono
Daniela Cunial, Emma Franceschi,
Alex Depedri, Chiara Pellegrini, Giulia
Detassis, Karen Stenico, Giulia Pardi
e Lorenzo Imoscopi.
FIRENZE
Un poliambulatorio
per emarginati
e senza dimora
È stato inaugurato il 19 novembre
il poliambulatorio per persone
emarginate gravi o senza dimora,
italiane e straniere, realizzato
in una nuova ala dell’Albergo Popolare
Come valutarsi con un bollino,
la “Città dei Ragazzi” raddoppia
Come intervenire per arginare il fenomeno del disagio
minorile? Se lo è chiesto, più di due anni fa, la Caritas
diocesana di Caltanissetta. Così, a luglio 2005,
con il progetto “Ragazzi di strada, una risorsa” è stato
avviato un primo intervento rivolto ai minori a rischio,
che considerava la strada come luogo in cui
era possibile intessere o ritessere relazioni.
Gli operatori di strada hanno raggiunto
luoghi che i servizi sociali pubblici non
riescono a (o non possono) raggiungere.
Il lavoro compiuto ha evidenziato la necessità
di ideare un progetto complementare
e continuativo, una proposta educativa
e di prevenzione. È nato così il progetto “Città dei Ragazzi”, che opera
in favore di minori residenti in due quartieri del centro storico. Il progetto
prevede principalmente il supporto didattico a minori tra i 6 e i 14 anni.
L’intenzione è anche quella di avviarli a un percorso di crescita e formazione
consono al loro sviluppo.
Diversa condotta, diverso colore
La giornata tipo alla “Città dei Ragazzi” incomincia alle 15. Appena entrati,
i ragazzi si dispongono in cerchio e si raccontano: il confronto
e la condivisione del proprio vissuto sono fondamentali. Segue la divisione
in gruppi per il doposcuola, almeno due ore, durante le quali i ragazzi vengono
aiutati nello studio e nello svolgimento dei compiti. Poi, dopo un altro
momento di ricreazione, si dà inizio alle attività di laboratorio e ricreative,
durante le quali i ragazzi condividono altri momenti di socializzazione
e sfruttare le loro potenzialità e capacità cognitive. Alla fine del pomeriggio
c’è il “bollino time”: ogni ragazzo racconta la sua giornata e valuta il proprio
comportamento attribuendosi un bollino, di colore diverso in relazione
alla condotta tenuta durante la giornata. Chi accumula tanti bollini “buoni”
partecipa ad attività premio, organizzate periodicamente.
I buoni risultati raggiunti hanno suggerito di estendere il progetto ad altri
due quartieri del centro storico. A marzo 2007, grazie ai fondi otto per mille,
è nato così il progetto “Città dei Ragazzi 2”: le “Città” accolgono in totale
60 minori, seguiti da 7 volontari in servizio civile e 6 operatori Caritas, una
psicologa e un’assistente sociale. Il modello educativo si distingue da altri
soprattutto perchè al centro di ogni attività vi è il benessere dei ragazzi,
garantito dalla passione e dall’entusiasmo degli operatori e dei volontari. Una
strategia dell’attenzione nel presente, che è anche un investimento sul futuro.
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agenda territori
sto in campagna
di Roberta Dragonetti
Verso Doha, per non tradire Monterrey:
è il momento di attivare misure per lo sviluppo
L’appuntamento
Review Conference for the Monterrey Consensus: è il nuovo
appuntamento, a Doha, nel Qatar, che nel 2008 valuterà
risultati e fallimenti del vertice svoltosi a Monterrey,
in Messico, nel 2002. In quella sede l’Onu chiamò
a discutere governi e capi di stato sugli strumenti
e gli impegni da adottare per reperire risorse per combattere
la povertà e facilitare lo sviluppo economico dei paesi
svantaggiati. La 62ª sessione dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite, tenutasi a fine ottobre a New York,
ha dato il via alla preparazione della Conferenza di Doha,
mettendo a confronto i governi e i rappresentanti
della società civile sullo stato di attuazione degli impegni
per gli Obiettivi di sviluppo del millennio.
Caritas Internationalis e Cidse, promotori della campagna internazionale di lotta alla povertà Make Aid Work
(in Italia, “Prima che sia troppo tardi”) hanno colto l’importante occasione per sottoporre una dichiarazione congiunta,
dal titolo “Da Monterrey a Doha: il processo di avanzamento”, al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.
“A cinque anni da Monterrey – si legge nel documento – le sfide richiamate da quell’accordo non sono diminuite
e la verifica di medio termine degli Obiettivi dice che occorrono maggiori sforzi da parte di tutti. Occorre che i leader
mandino un segnale alla comunità internazionale, per sottolineare la gravità della situazione. (…) Caritas Internationalis
e Cidse apprezzano molto il grande valore del processo e della conseguente Conferenza di aggiornamento di Doha. Quale
seguito di Monterrey, essa dovrebbe avere il mandato di accordarsi su misure coerenti in ambiti fondamentali (imposte,
investimenti, commercio, debito, riforme strutturali per accelerare lo sviluppo), allo scopo finale di sradicare la povertà.
Le discussioni, nel processo preparatorio, e la Conferenza stessa, perderebbero dinamismo se fossero solo retrospettive”.
I risultati attesi
Le due grandi reti internazionali si attendono alcuni risultati fondamentali: la mobilitazione delle risorse locali,
che preveda una cooperazione internazionale più efficace, in materia fiscale e di imposte, come già indicato
nella Dichiarazione dell’Accordo di Monterrey, inclusi la lotta ai paradisi fiscali e alla fuga di capitali
e il finanziamento di servizi pubblici, quali sanità ed educazione; l’attivazione di fonti innovative di finanziamento,
per un accesso più equo ai beni pubblici globali e alla loro distribuzione. Nella Dichiarazione si evidenzia inoltre
una forte preoccupazione sulla questione della sostenibilità del debito, che (secondo l’Accordo di Monterrey)
va collegata con i finanziamenti richiesti per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del millennio. “In risposta a questo
mandato – afferma il documento Caritas-Cidse –, le istituzioni finanziarie internazionali hanno prodotto un Quadro
per la Sostenibilità del Debito. Le nostre reti ritengono che questo quadro sia tuttora inadeguato”.
La campagna “Prima che sia troppo tardi”, condotta in Italia da Caritas Italiana e Volontari nel Mondo - Focsiv,
insieme ad altre 16 realtà cattoliche, seguirà con attenzione i lavori di preparazione della prossima Conferenza
di Doha, perché il processo di avanzamento auspicato rappresenti, per 980 milioni di persone che vivono
nel mondo con meno di un dollaro al giorno, una concreta inversione di rotta.
INFO www.primachesiatroppotardi.it
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
dall’associazione di medici cristiani
“Niccolò Stenone”. Evoluzione di alcuni
servizi medici già operanti, si tratta
di un ambulatorio di medicina generale
e odontoiatria, in cui opereranno circa
100 medici e 20 odontoiatri volontari.
Sostenuto dal comune di Firenze,
il poliambulatorio è intitolato al dottor
Vittorio Trancanelli; sarà aperto
il pomeriggio da lunedì a venerdì
e accoglierà anche persone non iscritte
al servizio sanitario nazionale, anche
se entrerà a far parte della rete
dei servizi dell’Azienda sanitaria
di Firenze. La Caritas diocesana
di Firenze collaborerà strettamente
con il nuovo servizio, nell’ambito
della cooperazione organica che
ha in atto con l’associazione “Stenone”.
CROTONE
Arte oltre confine,
dopo lo sbarco
i migranti dipingono
Una mostra di pittura. Ma con artisti
che hanno alle spalle una storia
speciale. I dipinti realizzati dagli ospiti
del centro di accoglienza Sant’Anna
di Isola Capo Rizzuto sono confluiti
nella mostra
“Prove d’arte oltre
confine”, aperta
il 7 novembre (nella
foto, la locandina).
Il centro Sant’Anna
accoglie migranti
e richiedenti asilo
approdati sulle coste calabresi:
la pittura dà sfogo alla loro creatività,
tradottasi in opere di grande
espressività, “figlie” di diverse culture.
Nel Cpt, la Caritas diocesana di Crotone
- Santa Severina, che ha promosso
la mostra, cura attività culturali,
di animazione (in primis l’insegnamento
dell’italiano), di orientamento legale,
psicologico e sociale.
di Daniele Di Pompeo
I GIOVANI CHE SERVONO
Il sole sorge a Casa Nostra,
così lo schifo diventa lavoro
All’inizio c’è pura e semplice necessità, non è il caso
di tirare fuori motivazioni profonde: un po’ di euro e la boa
dei 25 anni doppiata da tempo. Poi c’è una struttura
che è sempre stata un riferimento, per il po’ di volontariato fatto,
per le tante amicizie e conoscenze che le ruotano
intorno. Quando questi due elementi si sommano in quello che viene
chiamato Servizio civile volontario, beh, decido di farmi avanti. E mi dirigo
al Monastero, collettore di cuori e teste della Caritas genovese. Cosa cerco
esattamente, mentre percorro una salita interminabile, non lo so bene;
sono obiettore di coscienza, la Croce Rossa mi ha tenuto con sé quando
non ho voluto entrare in una caserma, ma immagino che questo servizio
sia un po’ diverso dal precedente.
Colloqui, incontri. E la scoperta che a Genova esiste un luogo di cui
non conoscevo l’esistenza, e che mentre mi viene proposto mi mette addosso
paura, ansia, schifo (schifo? Schifo, schifo…): è Casa Nostra, struttura
in cui alloggiano persone malate di Aids. Io non so niente di Aids, l’ignoranza
mi schiaccia, il timore pure, ma il Servizio civile, questo lo ricordo dall’avventura
precedente, è vero servizio se mette alla prova da subito. Così accetto.
La fortuna va dai forti
Iniziano allora mesi intensi, emozionanti, strani. Un periodo con attorno
persone così ultime che più ultime non si può. Spesso senza casa, senza
famiglia, a volte con una pena da scontare, quasi sempre con percorsi decisi
dalla droga. Tutti, con la compagnia di un virus infame, marchio perpetuo,
condanna a vita per errori magari piccoli, comunque lontani nel tempo.
Non credo sia l’etimologia giusta, ma ho sempre pensato che la fortuna
sia quella cosa che va dai forti. Bene, io mi trovo a confrontarmi con persone
schiacciate dalla debolezza. La fortuna è davvero la cosa più lontana.
E a causa della sua assenza, anche la speranza non ha molta voglia
di passare da queste parti. Ma tutte le mattine, più o meno visibile,
il sole sorge e porta con sé la necessità di vivere le ore che verranno.
A Casa Nostra la gente debole, senza fortuna e senza niente, ci si attacca,
a queste ore. E insegna come la semplice voglia di vedere il giorno dopo, spesso
identico al precedente, sia un motivo per resistere tanto grande,
da riempire tutta una vita.
Non so se questo insegnamento l’ho appreso fino in fondo. Ma so
che quando il Servizio civile è finito, e ho avuto la possibilità di fermarmi ancora
in questo luogo, dubbi ne ho avuti pochi. E ancora adesso
non ne ho su ciò che faccio ogni volta che esco di casa per andare a Casa
Nostra. Dove ormai lavoro da due anni.
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villaggio globale
a tu per tu
PUBBLICITÀ
TV
A Spot School la malattia mentale
e un tema dettato da una tv nigeriana
L’Occidente in crisi
nel giro del mondo
di “C’era una volta”
Spot School Award (Premio internazionale
del Mediterraneo) è un premio dedicato a studenti
di corsi di scienze della comunicazione, pubblicità
e materie affini, iscritti a università e scuole in Italia
e all’estero. Nato nel 2001 e giunto alla settima
edizione, è promosso dall’associazione salernitana
CreativisinascE e gode della collaborazione delle più importanti associazioni
di categoria dei pubblicitari e del patrocinio di molte istituzioni. Caritas
Italiana, come sempre dalla seconda edizione in poi, propone il brief (tema)
di carattere sociale, solitamente il più frequentato dagli studenti partecipanti
(nella foto, uno dei lavori vincitori dell’edizione 2007), che possono sviluppare
un messaggio pubblicitario sotto forma di manifesto, spot tv, radio, direct mail
o annuncio web. Il tema dettato da Caritas per il 2008 è “Malattia mentale:
un dolore disabitato. La necessità assoluta di una corretta informazione”.
A questo brief si aggiungono quello di Legambiente sull’attivismo ambientale
e, novità della settima edizione, il primo brief internazionale, proposto dal
network nigeriano BrandWorld Tv, sul tema della condizione femminile e della
discriminazione delle donne. Termine per la consegna dei lavori, il 7 aprile 2008.
INFO www.spotschoolaward.it
CINEMA
Rosso Malpelo,
tragedia senza tempo,
aiuti ai baby minatori
L’ispirazione viene da una delle più belle
novelle di Giovanni Verga. Ma il tema
è senza tempo. Tanto che gli utili
dell’operazione verranno destinati
a un progetto per aiutare alcun tra
i tanti Rosso Malpelo che anche oggi,
in alcune parti del mondo, sono costretti
a sacrificare la propria infanzia
al durissimo lavoro in miniera. Il regista
Pasquale Scimeca ha voluto girare
in Sicilia, nei luoghi dove una volta c’era
il più grande bacino minerario d’Europa
per l’estrazione dello zolfo e oggi c’è
il parco minerario di Floristella-Grottacalda,
l’adattamento cinematografico
del commovente racconto verghiano.
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La dimensione verista della novella
viene superata da una lettura tragica,
che in quanto tale non ha tempo e non
ha storia: lo sfruttamento e la solitudine
dei bambini, infatti, sono di ogni tempo
e di ogni storia. Il coraggioso film
è uscito nelle sale il 19 novembre, ma
prima ancora è stato visto e dibattuto
in centinaia di scuole italiane. I suoi
profitti andranno
a un articolato
programma
nutrizionale
e di scolarizzazione
dei bambini del Potosì, regione mineraria
della Bolivia andina. Il sito internet
dedicato al film dà molte informazioni,
comprese quelle su come richiederlo
e utilizzarlo per scopi didattici e sulla
destinazione umanitaria degli utili.
INFO www.rossomalpelofilm.it
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Un ciclo cominciato con un prologo
a fine settembre, poi sviluppatosi
a novembre e dicembre. La trasmissione
Rai C’era una volta, ideata e condotta
da Silvestro Montanaro, ha cominciato
il suo ideale giro del mondo nel 1999.
Da allora ha scandagliato in maniera
coraggiosa, affidandosi
a temi e immagini inediti
per gli schermi italiani,
i temi sociali e politici più spinosi
della contemporaneità, denunciando
gli inaccettabili squilibri sociali
che dividono le diverse aree del mondo
ai tempi della globalizzazione. Così
la nuova serie di puntate non poteva
che mettere a fuoco una questione
cruciale dei nostri giorni: la crisi
nel rapporto tra l’Occidente e il resto
del pianeta. “Perché non ci amano
più?” è la domanda che echeggia
nelle puntate dedicate al turismo
di massa, al problema della fame,
alle sperimentazioni farmaceutiche
e al turismo dei trapianti, al mercato
del sesso e ad altri temi, che dopo
essere andate in onda il mercoledì
in tarda serata su RaiTre possono essere
riviste dal sito internet della trasmissione.
INFO www.ceraunavolta.rai.it
INTERNET
Il sociale in rete,
poco giovanile e
accessibile ai disabili
Il mondo del volontariato on line è stato
analizzato da un team di esperti
dell’Università di Udine. Il monitoraggio
è giunto alla quarta edizione e nel 2007
ha riguardato 23 siti. Hanno superato
di Danilo Angelelli
Citto Maselli rimette insieme film e documentario:
«Racconto un mondo diviso tra uomini, donne e schiavi»
Ogni film che si proiettava nelle sale doveva essere abbinato a un documentario
di dieci minuti, cui spettava il 3% dell’incasso totale del film. Erano gli anni Quaranta
e una generazione di cineasti nasceva con quella legge. Alcuni nomi: Antonioni, Risi,
Comencini, Lizzani. E Francesco (Citto) Maselli, classe 1930, che si fece alfiere
del realismo lirico con documentari su ambulanti, “stracciaroli”, bambini di strada.
Dopo 60 anni di documentari e film come Gli indifferenti, Storia d’amore e Codice
privato, Maselli torna nelle sale con… un documentario e un film. Propone cioè
una contaminazione dei generi, un ibrido tra fiction e realtà, con ricostruzioni narrative
di tre storie vere. Il lungometraggio si intitola Civico 0 e inquadra in primissimo piano
la povertà urbana del nostro tempo, attraverso le voci narranti dei tre reali protagonisti,
cui danno volto gli attori Ornella Muti, Massimo Ranieri e Letizia Sedrick.
SENZA
DOMICILIO
Il regista
Citto Maselli
con Massimo
Ranieri;
sotto, i tre
protagonisti
dei racconti
di Civico 0
Quali differenze ci sono tra i diseredati di Civico 0 e quelli dei suoi primi
documentari?
Ieri come oggi la situazione di chi vive ai margini è atroce, ma allora c’era l’idea
diffusa che qualcosa si era riavviato dopo la guerra. Oggi manca la speranza.
Le tre storie del film sono ambientate a Roma, ma rappresentano le planetarie
disperazioni messe in moto da una globalizzazione motivata dalle ragioni esclusive
dell’economia e del profitto. Sembra di essere tornati alla barbarie, a una logica
precristiana, a quando Aristotele diceva che il mondo è diviso in uomini, donne e schiavi.
Sono state cento le storie di povertà raccolte. Per il film ne avete scelte tre…
Sì, insieme costituiscono un quadro rappresentativo della povertà di qualsiasi città e sono caratterizzate da
significativi dati materiali, storici e sociali, oltre che psicologici ed esistenziali. Stella è una giovane etiope che,
appena arrivata in Italia, dorme alla Caritas: dopo varie traversie, il comune assegna a lei e all’uomo di cui
nel frattempo si è innamorata un container in un campo all’estrema periferia della città. Nina è una badante
romena che cade in depressione per le difficili condizioni della casa-prigione in cui lavora. Giuliano è un
fruttivendolo di 60 anni che, alla morte della madre, con la quale abita, arriva quasi a perdere la ragione e va a
vivere in strada. Come recita il titolo del film, si tratta di persone senza tetto, non rintracciabili a un domicilio.
I suoi film fanno sempre “meno sconti”, soprattutto oggi che, per età ed esperienza, non teme
di scontentare pubblico, critica e addetti ai lavori…
Tempo ed esperienza rendono più sicuri, danno la convinzione che non si ha poi tanto da perdere, che si è già
dato buona parte di quel che si poteva. Per questo continuo a fare il cinema che voglio, un cinema sociale
aderente alla realtà. E a favorire, con quel poco che può fare un film, la conoscenza e la denuncia della
povertà che abbiamo intorno. Io rifiuto nella maniera più drastica la povertà come condizione fatale. Keynes
ci aveva spiegato che uno sviluppo intelligente di una società moderna si basa sull’eliminazione graduale
e sistematica delle povertà e Hobsbawm ci ha illuminato sulla natura dei processi mortali in corso. Io parto
dai risultati visibili di questi processi: la tragedia di un’immigrazione senza sbocchi, il sempre più frequente
nutrirsi dai cassonetti, le nuove povertà, i lavavetri, i vecchi senza rifugio e senza speranza.
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storie di speranza
villaggio globale
la selezione, tra gli altri, Emergency,
Altromercato, Wwf e Greenpeace,
ma in generale è emerso che la grafica
è sempre penalizzata, c’è scarsa
interazione con gli utenti, prevale
la tendenza a creare prodotti istituzionali
difficilmente fruibili dai navigatori,
in molti casi manca la funzione del
motore di ricerca interno. Non solo:
il volontariato in internet non sa parlare
ai giovani, maggioranza tra gli internauti.
Né va meglio sul fronte dell’accessibilità
per i disabili: solo 6 dei 23 siti hanno
le caratteristiche necessarie per essere
navigabili da tutti. [redattore sociale]
pagine altre pagine
SEGNALAZIONI
Sfide per la Chiesa
e un cardinale
color speranza
Giovanni Filoramo,
La Chiesa e le sfide della
modernità (Laterza, pagine
208). Viviamo in Italia
un rinnovato “scontro”
tra Chiesa cattolica
e modernità, che sembrava appartenere
al passato, “impensabile” in una società
postsecolare e incentrato su temi
cruciali, come la famiglia, la questione
sessuale, il relativismo etico, il rapporto
con la politica, il lavoro, la guerra.
Michele Ferrero,
Il cardinale Zen. Rosso
speranza (Elledici,
pagine 231). Ritratto
del coraggioso impegno
ecclesiale, pastorale
e sociale di uno dei personaggi
più rispettati e influenti di Hong Kong.
Non per nulla il cardinale Zen è stato
identificato da molti come la “coscienza
morale” della ex colonia, tornata
nel 1997 sotto la sovranità
della Repubblica Popolare di Cina.
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
di Francesco Dragonetti
Il mondo che guarda “oltre”,
pagine dalle altre religioni
per aprire spazi di dialogo
Regalare un libro di tema religioso? Natale è tempo di approfondimento
della nostra fede. Ma può essere anche il momento per parlare di altre
religioni, per approfondirne la conoscenza e il dialogo senza pregiudizi né
ingenuità. Dunque per accostarsi a testi che aiutino a scoprire il patrimonio
di spiritualità che è insito nelle varie tradizioni religiose del mondo, anche
quelle più lontane dalla nostra cultura e dalla fede cristiana.
Dalai Lama. L’abbraccio del mondo. Quando scienza
e spiritualità si incontrano (Sperling 2007, pagine 224)
è opera di Tenzin Gyatso: il quattordicesimo Dalai Lama
buddista offre al lettore, tramite parole ponderate, la possibilità
di una crescita spirituale, in grado di far dialogare le risposte
“quantitative” della scienza con quelle “qualitative” della religione.
Sempre in Oriente, i Kami (termine comunemente tradotto
con “divinità”, ma più accuratamente “essenze spirituali”)
sono i mille volti del divino presente nella natura secondo
lo shintoismo giapponese. Di questa religione e del suo ruolo
politico nel Sol Levante tratta Lo shintoismo di Stefano
Vecchia (Xenia 2007, pagine 126): il testo illustra la religione ancestrale
del Giappone, con le sue credenze, i suoi testi sacri e i suoi culti
(la mitologia shinto e la venerazione degli antenati).
Capire il confucianesimo di Jennifer Oldstone-Moore (Feltrinelli
2007, pagine 120) costituisce una succinta e autorevole
introduzione a una delle grandi tradizioni religiose e culturali
del mondo. Il libro è organizzato intorno a nove temi-chiave:
origini e sviluppo storico, aspetti del divino, testi sacri, persone
sacre, principi etici, spazi sacri, tempo sacro, morte e aldilà, società
e religione. Ciascuno di questi temi è arricchito con citazioni
o con riassunti di testi storici, accompagnati da un commento d’autore
che spiega il significato di ciascun testo o lo colloca nel suo contesto.
Infine Islam. Conoscere e capire la religione musulmana
di Augusto Negri (Utet Università 2007, pagine 160)
è un libro agile, che però contiene tutto quello che serve
per avvicinarsi alla religione musulmana. È un testo
per chi ha veramente voglia di capire un mondo
apparentemente così lontano, eppure così vicino non solo
geograficamente, ma anche storicamente. Un piccolo contributo
verso la conoscenza di una delle religioni più diffuse nel mondo.
a cura di Danilo Angelelli
LENTI NUOVE VITA NUOVA
E UNA CADUTA CHE CAMBIA LA VITA
ono appassionata di fotografia. Recentemente, pur restando nella mia città,
ho fotografato donne indiane con i loro caratteristici abiti, gruppi di ivoriani
in preghiera durante il Ramadan, famiglie srilankesi in pellegrinaggio al santuario
di Santa Rosalia. Ho incrociato sguardi di dolore, di tristezza, di nostalgia per il paese
lasciato. Ma anche di speranza e voglia di costruire nel nostro territorio un pezzo
delle proprie tradizioni, del proprio mondo. Spero che l’obiettivo della mia macchina
fotografica abbia colto tutto questo. E quanto, a volte, questi nostri fratelli desiderano
venirci incontro. È il mondo che entra nelle nostre case. E non può che arricchirle.
(Erminia Scaglia, Caritas diocesana di Palermo)
Da tre anni promuoviamo un progetto che vuole offrire ai ragazzi delle scuole superiori
la possibilità di sperimentarsi nel servizio, a diretto contatto con persone in difficoltà.
E sono stati molti i giovani che ci hanno manifestato la loro sorpresa nel rendersi conto
che appena dietro l’angolo c’è una realtà di forte disagio. Molti anche quelli che poi
“insistono” nel contatto con questa realtà, facendola diventare parte della propria vita.
In quei casi l’adesione al nostro progetto ha rappresentato solo l’inizio di un personale
cammino, a contatto con il mondo del disagio e del volontariato.
(Roberto Calzà, vicedirettore Caritas diocesana di Trento)
Ho sentito alcuni rappresentanti dell’associazione del quartiere Isolotto-Torri Cintoia,
periferia di Firenze, parlare con normalità delle famiglie rom loro vicine
di casa, assegnatarie di alloggi popolari. È la prova tangibile di uno sforzo
fatto dalle istituzioni di integrare una componente della popolazione difficile
Il mondo che ci entra
come quella dei rom (che altrove ha creato grandi problemi, all’interno
in casa. Studenti
del tessuto sociale), ma soprattutto della capacità di accoglienza e accettazione
che si avvicinano
da parte di persone che guardano l’altro per ciò che è umanamente, con i suoi
al volontariato.
problemi e le sue risorse, e non per lo stigma che si può portare dietro.
Un quartiere che accoglie
(Annalisa Tonarelli, Caritas diocesana di Firenze)
senza pregiudizi
Alla fine di uno dei corsi di formazione per un approccio nonviolento
famiglie rom.
alle
relazioni, una persona che viveva un grande disagio, sia a livello lavorativo
La quotidianità sa
che
familiare, ha raccontato che aveva provato a mettere in atto gli strumenti
ancora sorprendere:
di
cui
avevamo parlato nel corso. Da quel momento ha avuto l’impressione
non è detto che debbano
di
“cambiare
le lenti dei propri occhiali”: le stesse vicende adesso cercava
prevalere paure e ostilità
di viverle non come minaccia, ma in maniera propositiva. Parlava di lenti
capaci di ricreare in maniera nuova il contesto che lo circondava...
(Paolo Chiavaroli, Caritas diocesana di Pescara-Penne)
Un uomo tunisino, a causa di una caduta da un’impalcatura mentre era sul posto di lavoro,
ha dovuto portare per un certo periodo le stampelle. Improvvisamente si è trovato senza
lavoro e di conseguenza senza casa. Uno straniero con le stampelle: si prevedeva una difficile
integrazione. Invece, per merito della sua onestà e voglia di fare, ha trovato dopo poco un
posto di lavoro da custode. Ce l’ha fatta, nonostante tutto: è uscito dal dormitorio dove nel
frattempo era stato ospitato, ha trovato una casa propria e uno spazio di socializzazione non
dipendente dai nostri servizi. (don Valerio Di Trapani, direttore Caritas diocesana di Catania).
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NATIVITÀ CON SAN GIORGIO E SAN VINCENZO FERRER FILIPPO LIPPI (1450 - 1475), MUSEO CIVICO, PRATO
Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, Figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti: e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, tu che ci ami: nessuno è in comunione col fratello se prima non lo è con te, o Signore.
Noi siamo tutti lontani, smarriti, né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.
Vieni, Signore. Vieni sempre, Signore.
David Maria Turoldo, Vieni di notte
ITALIA CARITAS AUGURA AI SUOI LETTORI UN NATALE E UN ANNO NUOVO RISCHIARATI DALLA VENUTA DI GESÙ
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