Campania 256/2015/PRSP REPUBBLICA ITALIANA CORTE DEI CONTI SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA CAMPANIA composta dai magistrati: dott. Ciro Valentino Presidente dott. Silvano Di Salvo Consigliere dott. Tommaso Viciglione Consigliere dott.ssa Rossella Bocci Primo Referendario dott.ssa Innocenza Zaffina Primo Referendario dott. Francesco Sucameli Primo Referendario (relatore) dott. Carla Serbassi Primo Referendario dott. Raffaele Maienza Referendario nell’adunanza del 9 dicembre 2015 Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; vista la Legge 21 marzo 1953, n. 161; vista la Legge 14 gennaio 1994, n. 20; vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti; visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL); vista la Legge 5 giugno 2003, n. 131; vista la Legge 23 dicembre 2005, n.266, art.1, comma 173; vista la Legge 24 dicembre 2007, n. 244, art. 3, commi da 54 a 57; visto l’art. 46 del decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella Legge del 6 agosto 2008 n. 133; Udito il relatore, referendario dott. Francesco Sucameli. FATTO A seguito delle deliberazioni n. 182/2014/PRSP, n. 244/2014/PRSP e n. 161/2015/PRSP, a valle delle quali l’Ente ha dichiarato lo stato di dissesto e autodeterminato il blocco della spesa 1 non discrezionale, questa approfondimento istruttorio Sezione ha afferente agli avviato sul incarichi Comune esterni, di San anche in Marcellino ragione di un una segnalazione di irregolarità proveniente da soggetti esterni all’Ente (prot. C.d.C. n. 4118 del 3 settembre 2015) in cui si assumeva essere stata violata la disciplina finanziaria in merito agli incarichi esterni, con particolare riferimento all’assoggettamento del Comune al divieto di assunzioni a qualunque titolo conseguente all’accertata violazione del Patto di stabilità 2012 e 2013. Si rammenta che l’Ente, data la condizione di dissesto, in materia di personale è tenuto a: - rideterminare la dotazione organica del personale (dichiarando l’eccedenza di personale in servizio che risulti in sovrannumero rispetto al rapporto medio dipendenti/popolazione (vedi DM 9/12/2008); - collocare in disponibilità l’eventuale personale in eccedenza; - ridurre la spesa per personale a tempo determinato nel limite del 50% rispetto alla spesa media del triennio antecedente l’anno in ipotesi; - dichiarare la cessazione ope legis degli incarichi ex art. 110 TUEL; - rispettare il divieto di assumere con contratto a tempo determinato collaboratori esterni per uffici di staff ex art. 90 TUEL. Inoltre, in ragione dell’accertamento della violazione del Patto di stabilità con deliberazione n. 244/2015/PRSP, nell’anno successivo a quello della richiamata pronuncia (ergo nel 2015, art. 31, comma 28, della L. n. 183/2011), Il Comune di San Marcellino doveva osservare un divieto assoluto di assunzioni; segnatamente è vietato reclutare soggetti “a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione”. E' fatto altresì divieto agli enti di “stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione” (art. 31, comma 26 della L. n. 183/2011). 2. Tanto premesso, è stata inviata al ridetto Ente una specifica richiesta istruttoria (nota prot. C.d.C. n. 4332, del 25/09/2015). Si evidenzia, ancora, che lo stesso Comune è attualmente in stato di commissariamento prefettizio a causa della mancata approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato. Su richiesta dei rappresentanti dell’Amministrazione comunale, in data 28 ottobre 2015, il Magistrato istruttore ha ricevuto in audizione il sub commissario prefettizio dott.ssa omissis e il collaboratore dott.omissis, alla presenza della dott.ssa omissis (verbalizzante - verbale n. 48/2015 doc. interno C.d.C. n. 51691545 del 30/11/2015). Dietro manifestazione di massima disponibilità a rivedere l’azione amministrativa, i ridetti rappresentanti hanno in particolare evidenziato che il quadro normativo in materia di incarichi per servizi legali non è chiaro e che l’intento del Commissario prefettizio era perseguire una riduzione di spesa per attività comunque necessarie (giudizi e contenziosi pendenti). 2 Il dott. omissis in particolare, ricordava che l’opzione per l’affidamento diretto era stata ritenuta, su indicazione del Segretario Comunale, compatibile col quadro normativo vigente (appalto in economia). Il Magistrato istruttore, per contro, avvertiva come permanessero dubbi sulla legittimità della spesa, attesa la tendenziale assimilabilità della collaborazione ad una forma atipica di assunzione; sollecitava peraltro il Comune a fornire una puntuale risposta alla richiesta istruttoria. L’Ente ha risposto con nota prot. C.d.C. n. 4791 del 13/11/2014. Il Revisore unico ha risposto con nota prot. C.d.C. n. 4802 del 16/11/2015. Il Magistrato istruttore ritenute non superate le criticità rilevate, attesa l’incompletezza della documentazione prodotta ed il carattere insoddisfacente delle deduzioni, ha chiesto al Presidente della Sezione il deferimento in sede collegiale della questione. Segnatamente, l’analisi istruttoria si è soffermata sui seguenti punti relativi agli incarichi seguenti: i. richiesta di chiarimenti rispetto alla determina dirigenziale n. 43/226 del 30/06/2015, nonché alla correlata convenzione stipulata il 07/07/2015, ed ancora alla delibera di affidamento e/o provvedimento del Commissario prefettizio con cui si è provveduto al conferimento dell’incarico di collaborazione giuridico legale affidato all’Avv. omissis per un compenso mensile di € 4.000,00, oltre iva e cpa. Si chiedeva, in particolare, di: a. relazionare, fornendo la relativa documentazione a supporto, sulla procedura comparativa seguita per l’attribuzione dell’incarico (cfr. in proposito sentenza Tar della Campania – sezione distaccata di Salerno - n. 1383/2014). Il Comune ha relazionato (cfr. infra) assumendo trattarsi di incarico conferito in economia ai sensi del codice degli appalti, in affidamento diretto, quindi senza procedura selettiva; b. dedurre sul rispetto dell’art. 96 del “Regolamento comunale sull’ordinamento generale degli Uffici e dei Servizi – dotazione organica – norme di accesso” deliberato dalla Giunta Comunale dell’Ente in data 28/12/2009 con delibera n. 167. Il Comune non ha dedotto ed in particolare non ha prodotto il richiamato regolamento, non ricavabile dal sito, sul quale non risulta presente. c. produrre la determina ed i provvedimenti amministrativi di incarico. Il provvedimento è stato prodotto con le memorie unite alla convezione. In esso è previsto un incarico semestrale, salvo rinnovo, per 6 mesi, con l’obbligo di presenza presso l’Ente per 5 ore giornaliere, anche a mezzo di collaboratori; d. di fornire l’attestazione sulla copertura finanziaria rilasciata dal competente Responsabile dei servizi finanziari, come da art. 96 ultimo comma del citato Regolamento comunale. Il Comune non ha fornito l’attestazione; ii. det. n. 270/2015 (registro generale) n. 02/2015 (registro dell’ufficio) per affidamento di incarico a professionista esterno su “servizi di supporto aree tecniche per verifica, adeguamento e digitalizzazione delle procedure” per un importo di euro 4.187,00 lordo 3 mensile. Si richiedevano: delibere di affidamento di incarico, procedura adottata, copertura finanziaria. iii. det. n. 282/2015 (registro generale) n. 42/2015 (registro dell’ufficio) per affidamento incarico a professionista esterno su “servizi di supporto area economico- finanziaria e tributi per verifica, adeguamento e digitalizzazione delle procedure” per un importo di euro 3.172,00 lordo mensile. Si richiedeva di fornire le analoghe informazioni di cui al punto i (delibere di affidamento di incarico, procedura adottata, copertura finanziaria). Il Comune ha prodotto, in limine all’udienza pubblica, le proprie memorie con nota prot. C.d.C. n. 6150 del 9 dicembre 2015. La memoria contiene la documentazione dell’intervenuta revoca in autotutela degli incarichi sub ii e iii per il supporto ai servizi per la digitalizzazione delle procedure, la cui esecuzione non era ancora iniziata. Inoltre fornisce la documentazione per l’incarico sub i (determina e convenzione) ad eccezione del regolamento. All’adunanza pubblica sono intervenuti il Segretario comunale omissis, il Responsabile del servizio economico finanziario omissis nonché il Revisore unico, dott.omissis. Il Segretario comunale rinviava al contenuto delle memorie giunte in limine all’udienza, ritenendo comunque corretta la procedura adottata ai sensi del Codice dei contratti pubblici. DIRITTO 1. Il controllo è stato svolto a doppio titolo, come prosecuzione della precedente attività di controllo ed ai sensi degli artt. 1, commi 53-57 della Legge finanziaria n. 244/2007 (L.F. 2008) e dell’art. 1, comma 173, Legge finanziaria n. 266/2005 (L.F. 2006). Atteso lo stato di dissesto e la violazione del Patto di stabilità 2012 e 2013, il Comune è tenuto a riequilibrare il proprio bilancio, comprimendo la spesa corrente non necessaria. Il Legislatore ha previsto un controllo dedicato alla spesa per incarichi esterni in quanto essa costituisce una componente importante della spesa corrente, spesso fonte di sprechi nella misura in cui effettuata in assenza dei presupposti di legge. Si tratta quindi di controlli volti a verificare la legittimità finanziaria dei flussi di spesa in materia di incarichi, attraverso il focus su due fasi amministrative, rispettivamente, a monte, sui regolamenti degli incarichi e, a valle, sull’attività amministrativa di emanazione di incarichi a soggetti esterni. Numerose novelle legislative, infatti, hanno inciso sulla disciplina degli atti di affidamento delle consulenze da parte degli enti locali e sono accomunate da un indiscusso principio ispiratore: l’amministrazione deve svolgere le sue funzioni con la propria organizzazione ed il proprio personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti di collaborazione con “soggetti esterni è consentito solo nei casi previsti dalla Legge, od in relazione ad eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica esistente” (in questo senso, si veda la sentenza della Corte dei Conti, II Sez. App., del 20 marzo 2006). Si vedano, ad esempio, le disposizioni di cui agli artt. 34 della Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3 della Legge 24 dicembre 2003, n. 350 e 1, commi 9 e 11 del decreto Legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito con Legge 30 4 luglio 2004, n. 191 (sostituite, a decorrere dal 1 gennaio 2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311) con l’introduzione di fattispecie tipizzate di illecito amministrativo contabile, per cui la violazione del disposto normativo “costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”. In questo contesto va inquadrata la funzione di controllo esercitata dalle sezioni regionali della Corte dei conti sugli atti di affidamento di consulenze esterne ai sensi dell’art. 3, comma 57, della Legge n. 244/2007 e dell’art. 1, comma 173, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266; funzione che la magistratura svolge su due livelli, ovvero su quello più generale che investe l’esercizio della potestà regolamentare dell’ente locale conferente, nonché su quello più specifico che attiene la singola determina di affidamento dell’incarico. Si tratta, per la naturale vocazione di ciascuna magistratura e per il collegamento di tale controllo con quello esercitato sui bilanci ai sensi dell’art. 1, comma 168 e ss. della L. n. 266/2005, di un controllo “dicotomico” nell’ottica specificata dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 179 del 2007 e n. 60 del 2013: si tratta di un controllo tipicamente dichiarativo secondo lo schema vero/falso (contrariamente al controllo sulla gestione che si caratterizza per un carattere spiccatamente valutativo) da cui, a seconda dell’esito di tale alternativa, conseguono poteri e conseguenze precise, tra cui, segnatamente: - in base ai principi generali del sistema giuridico italiano, a) laddove ancora possibile, un obbligo di autotutela vincolata (si tratta di uno dei casi eccezionali di autotutela doverosa riconosciuti dalla giurisprudenza, cfr. SRC Lombardia, n. 244/08, Consiglio di Stato VI, sentenza 17 gennaio 2008, n. 106”, nonché T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, Sent., 03-042012, n. 1527); b) l’eventuale obbligo restitutorio correlato al principio generale di contabilità pubblica secondo cui vanno ripristinate le spese non regolarmente rendicontate (sent. C. cost. n. 39/2014); - conseguenze tipiche e testuali di legge. In tale senso di possono citare, in relazione ad irregolarità finanziarie idonee a pregiudicare gli equilibri di bilancio, il c.d. “blocco della spesa” ed il “dissesto guidato”, art. 148-bis TUEL e art. 6, coma 2 D.lgs. 149/2011. I) Il controllo della sezione regionale di controllo sui regolamenti adottati dagli Enti locali per l’affidamento di incarichi di collaborazione autonoma. 1.1. Per quanto concerne i regolamenti, è sufficiente ricordare che l’art. 3 della Legge Finanziaria per l’anno 2008 (Legge 24 dicembre 2007 n. 244), come sostituito dall’art. 46, comma 3, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, al comma 56 recita che “con il regolamento di cui all’articolo 89 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali”. Il successivo comma 57, poi, sancisce che “le disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono trasmesse, per 5 estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro adozione”. La giurisprudenza delle Sezioni regionali di controllo, ha individuato alcuni principi che devono informare le disposizioni regolamentari in materia e che, in questa sede, è sufficiente richiamare per sommi capi (cfr. SRC Lombardia 4 marzo 2008, n. 37; 6 novembre 2008, n. 224 e 11 febbraio 2009, n. 37). Nelle richiamate delibere, innanzitutto, è stato affermato che l’ente locale deve adottare o modificare il regolamento previsto dal quarto comma dell’art. 89 del T.U.E.L. per adeguarsi al disposto del comma 56 dell’art. 3 della Legge n. 244/2007, rispettando i criteri di riparto del potere regolamentare tra Consiglio e Giunta nella materia: ”in mancanza di norme statutarie derogatorie la competenza ad adottare regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto però dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, ed art. 42, secondo comma, lett. a) t.u.e.l.)”. Dunque, anche nell’ipotesi di modifica dei regolamenti, il Consiglio comunale/provinciale deve previamente fissare i criteri ai quali la Giunta dovrà attenersi nell’adozione delle norme regolamentari (SRC Lombardia, deliberazione n. 37/08). In altri termini, con la Legge finanziaria per il 2008 si è stabilito che, affinché il ricorso ad incarichi esterni negli enti locali possa essere considerato legittimo, “occorre che lo stesso sia frutto di un’espressa scelta dell’organo d’indirizzo politico locale tramite una programmazione dell’ente ed una disciplina di dettaglio dettata dal regolamento dell’ente, che, conformemente alla normativa di base in materia, ne impedisca un uso indiscriminato e distorto”. Inoltre, “l’art. 3, commi da 54 a 57, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 ha fissato regole di carattere procedimentale e sostanziale alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca nonché di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione. Le disposizioni vanno inserite ed integrate nel preesistente complesso normativo che disciplina la materia per delineare un quadro degli adempimenti a carico degli enti conferenti” (SRC Lombardia, del. n. 37/08). II) Il controllo delle sezioni regionali sulle singole determine di affidamento di incarichi a soggetti esterni alle amministrazioni locali. 1.2. Parallelamente, l’art. 1, comma 173, della Legge 23 dicembre 2005, n.266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000,00 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione. La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento di legittimità-regolarità dell’attività finanziaria degli enti soggetti al controllo, nella stessa ottica, ormai consolidata, dei controlli ai sensi dell’art. 1, comma 166 e ss. della Legge n. 266/2005. In questo contesto, dal punto di vista dei presupposti sostanziali che legittimano la spesa, le Sezioni sono chiamate a verificare la sussistenza dei presupposti per gli incarichi esterni ai sensi dell’art. 7 D.lgs. n. 165/2001 (TUPI). 6 Tanto premesso si rammenta che sono esclusi da questo controllo: - le “figure professionali sostanzialmente riconducibili al rapporto di lavoro subordinato" (SRC Lombardia, n. 37/08), poiché l’art. 7, comma 6, TUPI tendenzialmente copre l’intera area del lavoro autonomo, salvo l’area attratta nel Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 163/2006 e s.m.i.); - in secondo luogo, le collaborazioni c.d. di staff del sindaco o degli assessori ex art. 90 TUEL (Uffici di supporto agli organi di direzione politica), ovvero quegli incarichi di collaborazione che “possono essere conferiti dal Sindaco o dagli assessori competenti intuitu personae a soggetti che rispondono a determinati requisiti di professionalità entro i limiti, anche di spesa, secondo i criteri e con le modalità previste nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e fermo restando il limite massimo di durata dell’incarico da conformarsi alla permanenza in carica del soggetto competente” (SRC Lombardia, n. 37/08). La norma in parola, infatti, “fa espresso riferimento a dipendenti dell’ente ovvero a collaboratori assunti con contratto a tempo determinato (collocati, se dipendenti da una pubblica amministrazione, in aspettativa senza assegni), cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali e, quindi, a figure professionali sostanzialmente riconducibili al rapporto di lavoro subordinato" (ibidem); - in terzo luogo, sebbene l’obbligo di comunicazione alla Corte dei Conti ex art. 1, comma 173, della L. n. 266/2005 non sussista per tutti i contratti di lavoro autonomo stipulati dall’amministrazione, ma solo per i c.d. incarichi esterni (di studio, ricerca e consulenza) tale controllo può talvolta estendersi ai i co.co.co. (contratti di collaborazione coordinata e continuativa). Ciò avviene qualora il Magistrato istruttore, a seguito di spontanea comunicazione, ovvero in esercizio dei poteri di controllo sui rendiconti della gestione ai sensi dell’art. 1, commi. 166 e ss., Legge 23 dicembre 2005, n. 266, ritenesse opportuno acquisire anche gli atti di spesa per gli affidamenti di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. In tale ipotesi, l’ente locale dovrà adeguarsi alla specifica richiesta istruttoria (SRC Lombardia, n. 488/2012/REG 15 novembre 2011). - In quarto luogo, le disposizioni di legge e quelle regolamentari adottate dall’ente locale non si applicano alla materia dell’appalto di lavori o di beni o di servizi, di cui al D.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), già autonomamente disciplinata. Infatti, secondo giurisprudenza amministrativa consolidata (cfr. ad es. Cons. di St., sez. IV, sentenza n. 263/2008) “l’incarico professionale (di consulenza, studio o ricerca) in linea generale si configura come contratto di prestazione d’opera ex artt. 2222-2238 c.c. riconducibile al modello della locatio operis, rispetto al quale assume rilevanza la personalità della prestazione resa dall’esecutore”. In questo senso cfr. altresì la recente deliberazione SRC Lombardia n. 51/2013/PAR dello scorso 25 febbraio). Tuttavia, è bene precisare che le rispettive aree applicative delle due norme non sono tracciate da linee rette, ma si intersecano e si districano in base al c.d. principio di specialità reciproca. Quest’ultima relazione tra norme ricorre quando nessuna norma è speciale o 7 generale, ma ciascuna è ad un tempo generale e speciale, perché entrambe presentano, accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi specifici ed elementi generici. II.1) Il parametro sostanziale del controllo ai sensi art. 1, comma 173 L. n. 266/2005: il rapporto tra la disciplina degli incarichi ex art. 7 TUPI (e del correlato controllo) con il Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 163/2006) 2.1 In linea tendenziale, l’art. 7 TUPI copre l’area delle collaborazioni con gli uffici pubblici instaurati a titolo di lavoro autonomo, in cui si svolge una prestazione col lavoro prevaletemene proprio sotto l’egida del committente (art. 2222 c.c.). Il Codice dei contratti, invece, in linea tendenziale riguarda l’area del contratto di appalto (Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede di controllo, deliberazione n.6/2005; Corte dei conti, Sezione Autonomie, deliberazione n.6/AUT/2008; SRC Lombardia deliberazione n.38/2008; SRC Lombardia, deliberazione n.355/2012/PAR nonché n. 51/2013/PAR). Peraltro, quanto su riportato si realizza solo in linea tendenziale, in quanto il diritto comunitario, di cui il Codice dei contratti costituisce attuazione, non detta la disciplina sostanziale dei contratti stessi (l’assetto d’interessi delle parti) che resta disciplinata da codice civile, ma la procedura per il loro affidamento (direttive appalti) ed il regime dei limiti amministrativi (c.d. direttiva Bolkestein). La nozione di “appalto di servizi”, di cui all’art. 3, comma 10, del Codice dei contratti pubblici (emanato in attuazione di diverse direttive comunitarie assai specifiche), peraltro, è una nozione frammentaria, che si ricava per rinvio alle elencazioni di cui all’Allegato II (A e B,) salvo la chiusura sistemica effettuata con la categoria 27 dell’Allegato II/B (“altri servizi”), cui però non corrisponde una definizione generale. In quest’ultimo allegato si riscontrano infatti prestazioni che sono normalmente, per il diritto interno, dal punto di vista della disciplina sostanziale, prestazioni professionali, normalmente ricadenti sotto l’egida dell’art. 2222 e dell’art. 2229 c.c.. È questo il caso previsto dagli art. 90 e ss. del D.lgs. n. 163/2006 per gli incarichi di progettazione (servizi di ingegneria e di architettura di cui alla lett. f-bis dell’art. 90, presenti nell’’Allegato II/A, cioè elencati nel novero dei servizi assoggettati, in linea tendenziale, all’intera disciplina del Codice) e gli incarichi per i servizi legali (cfr. gli artt. 20, comma 1 e Allegato II/B). Tale nozione più ampia e onnicomprensiva si ravvisa anche nella direttiva 2006/123/CE (“Bolkestein”) relativa ai servizi nel mercato interno, che, con una definizione stipulativa generale, all’art. 8 precisa che si intende “servizio: qualsiasi prestazione anche a carattere intellettuale svolta in forma imprenditoriale o professionale, fornita senza vincolo di subordinazione e normalmente fornita dietro retribuzione” (la definizione è riportata immutata dall’art. 8, par. 1, lett. a, del D.lgs. n. 59/2010, attuativo della ridetta direttiva). In altre parole, le fonti comunitarie citate evidenziano una comune sottostante nozione di base di servizio non sempre coincidente con il diritto interno che, nell’art. 1655 c.c., si struttura sull’esistenza di un’organizzazione di impresa (art. 2082 c.c.). 8 In definitiva, per il diritto comunitario, è indifferente la qualifica interna di un servizio come prestazione di lavoro autonomo o di appalto, ma nell’ottica della tutela della concorrenza e della libertà di stabilimento e prestazione di servizi, ciò che rileva è la realizzazione di un mercato e la concorrenza all’interno di esso. Per ciò stesso, se la prestazione assume una dimensione economica tale da influire in modo rilevante sulle dinamiche di mercato, la relativa commessa deve essere assoggetta alle procedure competitive di cui al Codice dei contratti (concorrenza “per” il mercato). Può perciò accadere che prestazioni erogate da soggetti che non hanno le caratteristiche di un’impresa ai sensi dell’art. 2082 c.c. (e correlativamente difetti, in sede contrattuale, dell’organizzazione di mezzi a proprio rischio di cui all’art. 1655 c.c.) vengano attratte dal Codice dei contratti, pur essendo configurabili, per il diritto interno, prestazioni di lavoro autonomo e professionale. Il Codice dei contratti, quindi, è dotato di una naturale vis expansiva, che gli deriva dalla vocazione sostanzialistica del diritto comunitario rispetto ai fini che esso intende perseguire (in questo caso la concorrenza che ha riguardo dell’oggetto della prestazione e non della qualità del soggetto). Detto questo, per le prestazioni di lavoro autonomo, e quindi per gli incarichi esterni a favore di soggetti estranei alla P.A., la disciplina generale è costituita dall’art. 7 TUPI. Tuttavia in quei limitati casi in cui la prestazione autonoma e professionale (art. 2229 c.c.) è assoggetta alla disciplina del Codice dei contratti occorre tenere conto che tra le due norme sussiste un rapporto di specialità reciproca, per ambito soggettivo e finalità, che può determinare, nei casi di deroga alla rigorosa disciplina competitiva del Codice, l’applicazione dello standard minimo di concorsualità di cui all’art. 7 TUPI. Giova rammentare che la fattispecie di una norma è data dall’insieme degli elementi in presenza dei quali si determina un determinato effetto (obbligo, divieto, attribuzione di di situazioni giuridiche soggettive). Essa ricomprende sia la rappresentazione ipostatica del fatto che lo scopo (la c.d. ratio) in presenza della quale la norma deve essere applicata. Il nucleo comune di applicazione delle norme (art. 7 TUPI, Codice dei contratti) è dato dai limitati casi un cui una prestazione di servizi a carattere personale ed a carattere autonomo (artt. 2222 e 2229 c.c.) è ricompresa negli elenchi allegati del Codice dei contratti. Peraltro, le due norme si caratterizzano per i seguenti elementi specializzanti. La disciplina prevista dal Testo unico del pubblico impiego, infatti, dal punto di vista soggettivo non si applica a tutti gli “organismi di diritto pubblico”, ma solo alle pubbliche amministrazioni in senso tradizionale, definite dall’art. 1, comma 2 TUPI. La ratio non è assicurare la concorrenza, ma garantire, anche per le forme di collaborazione atipiche rispetto al modello burocratizzato e subordinato, il principio della concorsualità e pubblicità dell’accesso agli uffici (art. 97 Cost.). Il Codice dei contratti pubblici, invece, si applica ad una congerie di soggetti disparati, anche di natura privatistica, ma sotto l’influenza pubblica (cfr. art. 3 Codice e sent. Corte di Giustizia CE, 15 maggio 2003, in causa C-214/2000) con l’intento di favorire la concorrenza ed 9 evitare la distorsione del mercato con il condizionamento “politico” delle pubbliche risorse, alle quali deve essere garantita la parità di accesso. Ed infatti, la disciplina in questione diventa applicabile quando la prestazione, per le sue caratteristiche perde l’intuitu personae e acquisisce caratteristiche di fungibilità tali da configurare una possibile concorrenza di offerte. In questo senso, viene predisposta una disciplina per l’aggiudicazione della commessa assai più rigorosa. Infatti, in proposito, si osservi che entrambe le procedure comparative del Codice dei contratti e dell’art. 7 TUPI, seppur ispirate alla comune esigenza di assicurare la par condicio dei contendenti il servizio, non sono tecnicamente equivalenti sul piano della neutralità della pubblica amministrazione (cfr. infra, sui preposti sostanziali e procedurali dell’art. 7 TUPI), in quanto il Codice dei contratti si concentra sulle caratteristiche oggettive delle prestazione e “marginalizza” i requisiti soggettivi, rilevanti per la fiducia nell’operatore, alla fase di ammissione alla contesa. Detto in altri termini, se il servizio venisse affidato ai sensi del Codice dei contratti, il curriculum dei candidati potrebbe rilevare solo come requisito di ammissione alla selezione, giammai di affidamento/aggiudicazione ed il prezzo non dovrebbe essere oggetto di unilaterale determinazione del committente, sulla base di una mera valutazione di congruità, ma oggetto di una contesa tra i candidati secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa o del prezzo più basso. Ne consegue, che il Codice dei contratti, quando la prestazione deve essere resa a favore di una delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, D.lgs, 165/2001, prevale solo nella misura in cui siano superate le esigenze di mera concorsualità dell’accesso agli uffici pubblici e prevalga quella di assicurare, secondo criteri ancora più rigorosi, la concorrenza sul mercato. Diversamente, in un’ottica tra l’altro costituzionalmente orientata, per assicurare il rispetto dei principio di pubblicità e concorsualità dell’accesso alla P.A., in ragione della natura del soggetto a favore del quale è svolta la prestazione, in punto di procedura, deve comunque applicarsi, quantomeno, l’art. 7 TUPI. L’art. 125, comma 11, per le prestazioni d’opera professionale contemplate dagli allegati al Codice dei contratti, rimane applicabile soli agli “organismi di diritto pubblico” diversi dalle Pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, TUPI. 2.2. In buona sostanza, l’art. 7 TUPI costituisce lo standard sostanziale e procedurale non derogabile per le pubbliche amministrazioni in senso stretto, anche quando sarebbe normalmente applicabile il Codice dei contratti e questo prevede delle deroghe alla procedura competitiva; pertanto esso si applica nei casi eccezionali in cui è previsto l’affidamento diretto, come ad esempio, nel caso dei “servizi in economia” sotto la soglia di valore di cui all’art. 125, comma 11, del Codice dei contratti. L’eccezione alla regola della concorsualità, nel caso del TUPI, è infatti ammessa solo per i casi in cui vi sia un’impossibilità oggettiva e constata di instaurare una competizione. La giurisprudenza della Corte dei conti ha tipizzato, in proposito, tre ipotesi in cui l’ente locale può procedere ad affidamento diretto: a) procedura concorsuale andata deserta; b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo (in questo caso, l’amministrazione deve dimostrare 10 “di avere necessità di prestazioni professionali tali da non consentire forme di comparazione con riguardo alla natura dell’incarico, all’oggetto della prestazione ovvero alle abilità/conoscenze/qualificazioni dell’incaricato” Delib. Sez. contr. Prov. Trento, n. 5/10, n. 8/10); c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la particolare urgenza deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico” (SRC Prov. Trento, n. 5/10, n. 8/10). Non sono ammesse altre deroghe, come la fissazione di limiti per valore esattamente come si verifica indirettamente tramite l’art. 125, comma 1 del Codice dei contratti, deroga che però riguarda l’ambito soggettivo (organismi di diritto pubblico diversi dalle P.A. di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. 165/2001) e finalità (ergo una fattispecie) diversa da quella che è invece oggetto dell’art. 7 TUPI. Infatti «la normativa primaria di cui all’art. 7, comma 6-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 non consente alcuna deroga alle procedure comparative, se non con successiva norma di pari rango, allo stato attuale non esistente. Atteso poi che la richiamata norma è espressione dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità delle amministrazioni pubbliche – attraverso, appunto, la previsione di procedura concorsuale per l’affidamento di tali incarichi – se ne deve dedurre che, ferma restando la sua applicazione da parte di ogni soggetto pubblico destinatario della norma, vengano rimessi ai relativi ordinamenti le sole modalità e pubblicità delle procedure comparative […]. La doverosa osservanza della norma primaria non consente, quindi alcuna deroga da parte degli ordinamenti [delle amministrazioni conferenti]. Diversamente opinando, invero, si consentirebbe agli enti pubblici in questione di stabilire “ad libitum”, attraverso i propri statuti e regolamenti, la soglia minima consentita per evitare procedure concorsuali» (ex plurimis, Sez. centr. contr. leg. n. 12/2011). III) I parametri sostanziali e procedurali del controllo sui regolamenti e sugli incarichi a valle. 3. In primo luogo, l’art. 7, comma 6, TUPI, ormai da diversi anni (cfr. la modifica di cui all’art. 3, comma 76 della Legge finanziaria per il 2008 che imposto il requisito della «particolare e comprovata specializzazione universitaria»; con la successiva integrale riscrittura e sostituzione, avvenuta con l’art. 46, comma 1, della Legge n. 133 del 2008, nonché di recente con la modifica dell’art. 1, comma 147, Legge n. 228 del 2012, per quanto concerne il secondo inciso della lettera d, in materia di rinnovo) costituisce la codificazione di principi che sono stati consolidati da massime giurisprudenziali in merito ai presupposti di legittimità ed ai requisiti per il conferimento di incarichi esterni (già in tal senso cfr. SRC Lombardia, delib. n. 224/08). Questi presupposti e requisiti elaborati dalla giurisprudenza amministrativa e contabile – nonché recepiti dal Legislatore – possono essere esaminati da tre punti di vista: quello dell’amministrazione conferente, quello del contenuto dell’incarico e, infine, quello del soggetto esterno all’amministrazione a cui viene affidato l’incarico medesimo. 11 4.1. Nella prima prospettiva (amministrazione conferente), la predetta disposizione prevede che le amministrazioni, per esigenze cui non siano in grado di far fronte con personale in servizio, possano ricorrere al conferimento di incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo di natura occasionale o coordinata e continuativa. A tal fine, l’amministrazione conferente, ai sensi dell’art. 7, comma 6, TUPI, deve: a) verificare che la prestazione richiesta sia inerente alle proprie finalità istituzionali, determinate, come è noto, dalla legge e da altre fonti del diritto aventi pari forza o superiore (c.d. inerenza); b) avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno (c.d. non intraneità). In proposito, si è detto che il presupposto dell’assenza di strutture organizzative o di professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi oggetto di incarico esterno deve essere valutato in senso rigoroso. Tale interpretazione è imposta sia un’ottica funzionale (in quanto il presupposto de quo “è diretto a salvaguardare la funzione degli apparati amministrativi in uno con l’imparzialità e il buon andamento dei pubblici uffici”), sia alla luce della formulazione letterale della norma che recita che “l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno” (si veda l’art. 7, comma 6, lett. b, D.lgs. n. 165/2001, come sostituito dall’art. 32 D.L. n. 223/2006 conv. in L. n. 248/2006). Quest’ultima locuzione, infatti, “non può che significare che tale accertamento (che investe la possibilità di utilizzare le risorse e non solo l’esistenza o meno di queste) deve avvenire in base a parametri oggettivi e verificabili a posteriori” (in questi termini, SRC Piemonte, parere n. 23 del 18 marzo); c) aver verificato che per la espletazione dell’incarico sia necessaria una particolare expertise di carattere particolarmente qualificato (c.d. specialità). Inoltre, dalla combinazione di questi ultimi due elementi (non intraneità e specialità), la giurisprudenza consolidata ne ricava che: c.1. la non intraneità deve essere in linea di principio qualitativa (cfr. Sez. centr. prev. leg. n. 356/2012 del 4 gennaio 2012); tuttavia non si esclude che essa possa essere anche quantitativa laddove sia comprovata l’insufficienza di risorse umane in ragione di specifiche circostanze, ad esempio compiti nuovi o temporanei servizi. Il presupposto dell'affidamento di un incarico esterno da parte degli enti locali, infatti, non è la radicale assenza della professionalità interna ma l'impossibilità oggettiva (non autogenerata), date le circostanze di tempo e di fatto, di far fronte all'esigenza con l'utilizzo delle risorse a propria disposizione, cfr Sez. centr. prev. leg. N. 25/2010 del 19 novembre 2010; c.2. non può farsi ricorso ad un incarico di collaborazione autonoma per le c.d. collaborazioni “normali” (c.d. ”non ordinarietà”), ovvero per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente. Infatti, le funzioni “ordinarie” dell’ente hanno ad oggetto “prestazioni che presentano un contenuto 12 professionale ordinario, privo della particolare competenza specialistica degli incarichi di studio, ricerca e consulenza, essendo finalizzate a soddisfare esigenze ordinarie proprie del funzionamento della struttura amministrativa comunale” (Sez. contr. Lombardia, parere n. 10/08). Ne consegue che per le funzioni ordinarie “rimane fermo il principio generale della cosiddetta autosufficienza dell’organizzazione degli enti, i quali devono svolgere le funzioni e i servizi di loro competenza mediante il personale in servizio” (Sez. contr. Lombardia, parere n. 10/08); d) la prestazione deve avere carattere temporaneo (lett. d ed e del comma 6) (c.d. temporaneità). Il collegamento dell’esigenza di cui al richiamato comma dell’articolo 7 TUPI ad uno specifico progetto, nonché il collegamento essenziale della possibilità di una proroga (eccezionale ed ammesso entro stretti termini temporali e sostanziali) a tale progetto, nonché, altresì, il divieto di rinnovo, è stato codificato dal Legislatore con la recente novella di fine 2012 (art.1, comma 147, Legge n. 228 del 2012), la quale ha prescritto, alla lett. d, che «non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico» (in precedenza, in questi termini, Sezione Centrale del controllo preventivo di legittimità, deliberazione Sez. centr. prev. leg. nn. 1/2012/PREV e 24/2011/PREV, così anche T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, sent. n. 1453 del 15 marzo 2010, nonché n. 26815 del 6 dicembre 2010. Se l’esigenza cui l’ente fa fronte con l’incarico cessa di essere temporanea e si stabilizza o tende a porsi nei fatti come funzione “a regime”, l’ente dovrà perciò sondare la possibilità di stabilizzare il rapporto in forme di lavoro subordinato ovvero, sempre che ne sussistano gli estremi ai sensi dell’art. 6-bis TUPI (cfr. SRC Lombardia n. 355/2012/PAR del 30 luglio 2012), esternalizzare l’attività in regime di appalto. e) Sul piano procedurale, il Legislatore, infine, ha introdotto una serie di obblighi di pubblicità e trasparenza, volti a garantire la trasparenza nella materia di affidamento di incarichi esterni. Le amministrazioni conferenti, pertanto, devono osservare i seguenti canoni: e.1. Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7 D.lgs. n. 165/2001). Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n. 494/2007). Una parte della giurisprudenza amministrativa ha ricordato che “l’affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., sez. V, sent. 28 maggio 2010, n. 3405). Dunque, “il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale ed adeguatamente pubblicizzata” (SRC Lombardia, n. 37/09). 13 È onere della amministrazione conferente verificare che la fattispecie oggetto di incarichi non ricada nell’ambito di applicazione del Codice dei contratti. Infatti, «la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri» (SRC Lombardia, n. 37/09; SRC Prov. Trento, n. 2/10 e n. 8/10). La procedura compartiva ai sensi dell’art. 7 TUPI deve essere effettuata anche in caso di applicabilità alla prestazione personale del Codice dei contratti, nel caso ricorra la deroga “per valore” di cui all’art. 125, comma 1, del Codice dei contratti (cfr. § 2.2.). e.2. Obbligo di motivazione della determina con cui viene affidato l’incarico esterno. Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delib. n. 6/05) hanno già ricordato che “il conferimento degli incarichi deve essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi. L’affidamento dell’incarico deve essere preceduto perciò da un accertamento reale, che coinvolge la responsabilità del dirigente competente, sull’assenza di servizi o di professionalità, interne all’ente, che siano in grado di adempiere l’incarico”. In buona sostanza, “l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico” (SRC Lombardia, n. 37/09). L’obbligo di motivazione, inoltre, non può non sussistere altresì in ordine alle ragioni che, nel contesto della procedura comparativa, hanno portato a scegliere e preferire il soggetto destinatario dell’incarico. Tali motivazioni, oltre che dai verbali della procedura, devono emergere, anche per relationem, in sede di determinazione dirigenziale d’incarico. e.3. La valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei conti. In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno ribadito che le disposizioni della Legge 311/2004 (finanziaria 2005, art. 1, comma 42) concernenti la valutazione dell’organo interno di revisione, non sono state né abrogate esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente, pertanto tale obbligo permane (Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 231/2009/par del 14 maggio 2009; Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 506/2010/par. del 23 aprile 2010; cfr. anche sez. reg. contr. Piemonte n. 69/2011/par; contra, ma con affermazione apodittica, delibera in data 17 febbraio 2006 della Sezione delle Autonomie). L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla gestione di pertinenza della magistratura contabile. L’intervento del revisore contabile è necessario quale titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di raccordo con gli organi di controllo esterno (Corte 14 Conti, SRC Lombardia, delib. n. 506/2010/PAR del 23 aprile 2010; SRC Piemonte, deliberazione n. 23/2010/PAR del 18 marzo 2010). e.4. L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web. Già a partire dalla Legge finanziaria per il 2008 (art. 3, comma 54 modificando il comma 127, art. 1, della Legge n. 662/1996), è stato imposto alle amministrazioni (tra cui anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato. Tale disposizione di legge, ora espressamente abrogata e sostituita dall’art. 15 del D.lgs. 33/2013 emanato in attuazione della Legge “anticorruzione” (L. n. 190/2012), prevede un vincolo sull’efficacia del provvedimento d’incarico, che fino alla pubblicazione sul sito, non può produrre i suoi effetti. In caso di omessa pubblicazione, infatti, la sanzione è la nullità testuale, di legge del provvedimento d’incarico e la responsabilità del dirigente che lo ha predisposto. Siffatto obbligo di pubblicità costituisce uno dei contenuti necessari dei siti web istituzionali indicati dall’articolo 54 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale). IV) La base normativa dell’attività di controllo svolta sugli incarichi nel Comune di San Marcellino. 4. Il Comune di San Marcellino è stato oggetto di controllo sugli incarichi conferiti non solo e non tanto nell’ottica dei controlli sopra menzionati concernenti il regolamento ed i provvedimenti relativi agli incarichi esterni (§§ 2 e 3), ma anche e soprattutto in considerazione della propria condizione particolare di assoggettamento ai generali poteri di controllo ai sensi dell’art. 148-bis TUEL, nell’esercizio dei quali il Comune è stato oggetto nell’ultimo anno a tre pronunce specifiche, segnatamente: SRC Campania nn. 182 e 244/2014/PRSP e n. 161/2015/PRSP. In tale contesto, è stata accertata la violazione del Patto di stabilità (pronuncia n. 244/2014), con conseguente applicazione delle limitazioni amministrative di legge negli anni successivi all’accertamento; verificata l’insussistenza delle condizioni per il blocco della spesa solo in ragione del fatto che il Responsabile dei servizi finanziari aveva comunicato a questa Sezione il blocco, in autonomia, della spesa discrezionale (pronuncia n. 161/2015/PRSP). Pertanto, tale controllo, si radica essenzialmente in tale attività e solo incidentalmente incontra i limiti d’ambito di cui al controllo generale previsto ai sensi dell’art. 1, comma 173, L. n. 266/2005. In buona sostanza, per questa ragione, il controllo può essere fatto per tali ragioni anche sulle collaborazioni coordinate e continuative, sulla base di espressa richiesta istruttoria, a prescindere dall’obbligo di comunicazione di cui al prefato comma 173, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte. 15 V) Irregolarità finanziarie rilevate. 5. In primo luogo, la Sezione accerta dell’insussistenza agli atti del regolamento incarichi, non prodotto neanche nel corso dell’istruttoria. Dispone pertanto che lo stesso sia tramesso secondo le indicazioni riportate nel dispositivo della presente deliberazione. 6. In merito agli incarichi, a valle dell’istruttoria, permangono criticità unicamente con riferimento all’incarico conferito con determina dirigenziale n. 43/226 del 30 giugno 2015, regolato poi con la convezione del 7 luglio 2015: il provvedimento – preceduto dalla revoca di precedenti patrocini – concerne il conferimento dell’incarico di collaborazione giuridico legale e di supporto avente carattere organizzativo, legale e giudiziario per un totale di € 24.000,00, «salvo proroga» oltre iva e cassa previdenza avvocati (c.d. cpa) affidato all’Avv.omissis. L’incarico ha durata semestrale (a decorrere dal 01/07/2015 fino al 31/12/ 2015 per un compenso mensile di € 4.000,00, oltre iva e cpa). (http://www.comune.sanmarcellino.ce.it/Amministrazione_trasparente/Consulenti%20e%20col laboratori/Consulenti_collaboratori.html ). Ai sensi dell’art. 6 della Convenzione «Il professionista convenzionato, con la sottoscrizione del presente atto, si obbliga a curare per l'Ente qualsiasi giudizio, anche innanzi alle giurisdizioni superiori, senza ulteriore aggravio di spese per lo stesso ed a svolgere l'attività con un minimo obbligatorio di cinque ore settimanali mediante presenza personale o a mezzo collaboratori di studio presso gli uffici che necessitano dell'assistenza specialistica; in caso di superamento di tale minimo, il professionista non ha diritto ad ulteriore richiesta di compenso e l'eventuale attività di prestazione di pareri sulle questioni oggetto di trattazione orale è richiesta espressamente dal Responsabile dell'Ufficio contenzioso e non comporta alcun ulteriore onere per l'Ente». L’Avv. Marciano è stato scelto in via diretta «dopo alcune verifiche sui professionisti che in passato hanno avuto rapporti con l'Ente», per «la sicura idoneità, facilmente desumibile dal curriculum vitae», in quanto «ha già svolto incarico di consulenza esterna in materia amministrativa, civile con particolare riferimento all’emergenza rifiuti in Campania» presso vari Comuni già commissariati (determina n. 43/2015). 6.1. In primo luogo, sotto il profilo procedurale, come correttamente sostenuto dal Comune, laddove le consulenze affidate a legali esterni si traducono non in singoli pareri su questioni specifiche, ma in prestazioni complesse e continuative, a supporto di funzioni ordinarie dell’ente (cfr. art. 6 Convenzione), esse esulano normalmente dall’area degli incarichi ex art. 7 TUPI e, sotto il profilo procedurale (come esposto al paragrafo II.1 di questa deliberazione), vengono attratti sotto la più rigorosa procedura comparativa di cui al Codice dei contratti, in quanto la prestazione assume connotati oggettivi sufficienti alla «predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni […] sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici» (così Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 2730 dell’11 maggio 16 2012 nel determinare il discrimen dell’area applicativa tra la dettagliata disciplina del codice dei contratti pubblici e altre prestazioni legali affidate secondo i principi di imparzialità e trasparenza). Diversamente accade ove lo stesso Codice dei contratti preveda delle eccezioni a tale rigorosa procedura competitiva, consentendo l’affidamento diretto. Questo accade in modo particolare con riferimento all’art. 125, comma 11 del Codice, che consente che i servizi, “sotto soglia” e al di sotto del limite di valore complessivo della prestazione (€ 40 mila), possano essere affidati in via diretta, come il Comune ha inteso essere legittimato a fare nel caso di specie. La deroga alla regola della procedura competitiva è giustificata nel contesto della finalità perseguita dal Codice, ovvero, la tutela della concorrenza. La soglia di € 40 mila esprime la soglia tipica de minimis al di sotto della quale si presume non vi possa essere alterazione delle dinamiche competitive del mercato di riferimento. Invero tale logica e tale eccezione è inestensibile in presenza di contratti che concretano forme di accesso ai pubblici di uffici per cui deve prevalere l’esigenza di concorsualità di cui all’art. 97 Cost. Detto in altri termini, non si discute della qualificazione della fattispecie ai fini dell’applicazione del Codice dei contratti, ma dei limiti alla sua applicabilità in forza del principio di specialità reciproca (cfr. § 3), nel rispetto dell’art. 97 Cost. . In altre parole, la Sezione, pur concordando sulla sussistenza degli estremi per l’applicazione del Codice dei contratti pubblici secondo le indicazioni della più recente giurisprudenza (cfr. sez. V, sentenza n. 2730 dell’11 maggio 2012), rammenta che gli enti di cui all’art 1, comma 2 del D.lgs. 165/2011 non possono sottrarsi alla regola, costituzionale, per cui l’accesso ad uffici pubblici, anche a titolo di collaborazioni occasionali ovvero coordinate e continuative sia presidiato da procedure che assicurino il rispetto dei «principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di difesa da appagare» (ibidem). Queste esigenze sono assicurate, nel nostro ordinamento, dall’art. 7 TUPI (cfr. conformemente, per un caso di specie analogo, Tar della Campania – sezione distaccata di Salerno - sentenza n. 1383/2014), salvi i casi in cui è ammesso l’affidamento diretto per l’impossibilità oggettiva e constata di instaurare una competizione (§ 2.2). 6.1.1. In definitiva, nel caso dell’incarico per servizi legali conferiti all’ omissis: - trattandosi di rapporto di lavoro autonomo (vale a dire, ai sensi dell’art. 2222 c.c., di un servizio reso “con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”, qualificazione che permane, quindi, se l’organizzazione del servizio contempli il ricorso a “collaboratori” che incidono sulla prestazione marginalmente ed a livello meramente quantitativo); - poiché si svolge con una Pubblica amministrazione in senso stretto (art. 1, comma 2 D.lgs. 165/2001); 17 - pur “sotto soglia” e al di sotto del limite di € 40 mila, considerato il principio di specialità reciproca che governa il rapporto tra art. 7 TUPI e disciplina del Codice dei contratti doveva applicarsi l’art. 7 TUPI e non era ammesso l’affidamento diretto. L’eccezione alla regola competitiva di cui all’art. 125 comma 11 Codice dei contratti è inconferente, essendo ispirata ad una mera logica relativa al de minimis, che ha senso nell’ottica della tutela della mera concorrenza del mercato, in quanto si presume non in grado di recare turbamento al mercato rilevante, ma non nell’ottica della salvaguardia del principio del pubblico e concorsuale acceso agli uffici pubblici. Del resto si osserva: a) che le procedure competitive richieste dall’art. 7 TUPI richiedono uno sforzo organizzativo ed una tempistica flessibile e comunque più ridotta rispetto al Codice dei contratti, tale da non impattare significativamente sull’organizzazione della pubblica amministrazione interessata; b) che per la natura dell’incarico conferito, per la complessità dei compiti e prevedendo lo stesso incarico la generale assistenza in giudizio dell’Ente (per cui si è proceduto alla revoca di precedenti patrocini conferiti), il quale, come è noto, è afflitto da un lato contenzioso, la stessa durata dell’incarico (appena 6 mesi) appare artificiosamente sottodimensionata e destinata ad essere naturaliter prorogata, come del resto non escluso dal dispositivo della stessa determina di conferimento (punto 3 della determina 43/2015). Pertanto, anche ad applicare esclusivamente l’art. 125 del Codice dei contratti, l’Ente avrebbe violato il comma 13 il quale dispone che «Nessuna prestazione di beni, servizi, lavori, ivi comprese le prestazioni di manutenzione, periodica o non periodica, che non ricade nell'ambito di applicazione del presente articolo, può essere artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia», eludendo lo standard di concorrenzialità da questo comunque richiesto; c) che per assicurare un effettivo risparmio di spesa ed adeguata competenza il Comune avrebbe dovuto applicare integralmente il Codice, introducendo tra i requisiti soggettivi di partecipazione l’esperienza che riteneva determinante, favorendo peraltro la competizione sul corrispettivo e sul contenuto della prestazione (ad esempio in termini di disponibilità oraria). 6.2. Tanto premesso in punto di procedura, ciò che appare dirimetene e certamente preclusivo della possibilità di stipulare il ridetto contratto nel 2015, è il divieto assoluto di effettuare assunzioni “a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione”. È fatto altresì divieto agli enti di “stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione” (art. 31, comma 26 della L. n. 183/2011). Come si ricorderà, infatti, per effetto della pronuncia n. 244/2014/PRSP di questa Sezione, è stata accertata la violazione del Patto, con gli effetti di legge e la decorrenza, di cui all’art. 31, comma 28, della L. n. 183/2011 (secondo cui «Agli enti locali per i quali la violazione del 18 patto di stabilità interno sia accertata successivamente all'anno seguente a quello cui la violazione si riferisce, si applicano, nell'anno successivo a quello in cui è stato accertato il mancato rispetto del patto di stabilità interno, le sanzioni di cui al comma 26. La rideterminazione delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza di cui al comma 2, lettera e), dell'articolo 7 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, è applicata ai soggetti di cui all'articolo 82 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, in carica nell'esercizio in cui è avvenuta la violazione del patto di stabilità interno»). Era pertanto vietato effettuare assunzioni a qualsiasi titolo nel 2015, anche in forma di “contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi” dei ridetto divieto di legge. Seppure non sia astrattamente vietato stipulare veri e propri contratti di appalto che abbiano ad oggetto lo svolgimento di “servizi legali”, rimangono vietati quei contratti che invece dissimulano collaborazioni coordinate e continuative e ne presentano tutti gli indici oggettivi. Infatti, la collabororazione, nella sua concretezza presenta diversi elementi che depongono nel senso della sussistenza della situazione elusiva di cui all’art. 31, comma 26, della L. n. 183/2011: segnatamente, il tipo di collaborazione (svolgimento di funzioni strumentali all’ordinario funzionamento dell’Ente) e la sussistenza di indici tipici del rapporto di lavoro burocratico (compenso fisso commisurato al tempo di diponibilità presso l’Ente) concreta una forma di collaborazione, comunque coordinata e continuativa, vietata dal richiamato articolo di legge e per l’effetto stipulato in assenza di una capacità giuridica speciale. Si soggiunga, inoltre, che il rapporto presenta indici di evidente stabilità nel tempo (continuatività), in quanto non correlato allo svolgimento di uno progetto preciso e determinato, ma volto a fornire un indefinito supporto legale, interno ed esterno, in relazione alla ordinaria attività amministrativa dell’Ente. Come già evidenziato, per la natura delle prestazioni che sono oggetto del rapporto, la durata impressa allo stesso (6 mesi, salvo proroga) appare inidonea ad assicurare l’efficace raggiungimento della sua finalità (risparmio di spesa) ed artificiosamente sottostimata al solo scopo di non soggiacere alle più rigide procedure del Codice dei contratti pubblici nei casi diversi da quelli cui all’art. 125, comma 11. P.Q.M. La Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Campania ACCERTA 1) la mancata trasmissione del regolamento incarichi; 2) l’illegittimità della spesa effettuata in ragione della violazione del divieto di cui all’art. 31, comma 26, della L. n. 183/2011 e della irregolare procedura; 19 DISPONE - che l’Ente adotti in futuro le opportune e conseguenti azioni amministrative, conformandosi all’odierno accertamento; - che, a cura della Segreteria, copia della presente deliberazione sia trasmessa al Commissario prefettizio ed all’Organo di revisione. L’Estensore Il Presidente (dott. Francesco Sucameli) (dott. Ciro Valentino) Depositata in Segreteria 29 dicembre 2015 Il Direttore della Segreteria (dott. Mauro Grimaldi) 20