Patto commissorio e contratto di mutuo: ancora una pronuncia sul divieto dell'art. 2744 c.c. di Avv. Antonio Matarrese e Dott.ssa Eugenia Notarangelo, Loconte & Partners Studio Legale e Tributario Integra gli elementi del vietato patto commissorio, di cui all'art. 2744 c.c., la clausola del contratto di mutuo con la quale le parti stabiliscono che, in caso di inadempimento dell'obbligazione restitutoria pecuniaria oggetto dell'accordo, il mutuatario si impegna a trasferire al mutuante, la proprietà dell'immobile acquistato con le somme date in prestito. Ad affermarlo è la recente sentenza n. 2442/2016, pronunciata dal Tribunale di Taranto – II Sezione Civile che rinforza il principio di carattere generale di cui all'art. 2744 c.c., volto a sanzionare i patti con i quali le parti convengono che, in caso di inadempimento dell'obbligazione, il bene dato o promesso in garanzia passi in proprietà del creditore. In altre parole il Legislatore vieta quel negozio traslativo subordinato alla condizione sospensiva dell'inadempimento, il cui effetto solutorio si realizza con il trasferimento del diritto di proprietà in capo al creditore nel momento in cui il debitore non adempia al pagamento del proprio debito nel termine pattuito. Nel caso oggetto della sentenza in commento, le parti in causa concludevano con scrittura privata un contratto di "prestito di denaro ex art. 1813 e ss. c.c." - riconducibile alla più classica forma del contratto di mutuo - con il quale i mutuanti convenivano di prestare e versare la somma in denaro accordata alla mutuataria contestualmente alla sottoscrizione dell'atto per l'acquisto di un immobile; al contempo, la debitrice-mutuataria si obbligava a restituire la suddetta somma alla realizzazione della vendita dello stesso. Con apposita clausola contrattuale le parti prevedevano inoltre che, in caso di mancata restituzione delle somme anticipate alla scadenza pattuita, la mutuataria avrebbe trasferito la proprietà del suddetto immobile ai mutuanti. Alla scadenza del termine, le somme prestate non venivano rese, e pertanto i mutuanti, con rituale ricorso per decreto ingiuntivo, ottenevano ingiunzione di pagamento per la somma prestata in danno della mutuataria, la quale si opponeva con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo. L'adito giudice del merito, con propria ordinanza, rilevava d'ufficio la nullità della clausola contrattuale contenuta nella scrittura privata per violazione del divieto del patto commissorio ex art. 2744 c.c. (il quale letteralmente recita che "è nullo qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, con cui si conviene che, la proprietà dell'immobile passi al creditore nel caso di mancato pagamento del debito"). Il Tribunale di Taranto, nel dichiarare nulla la suddetta clausola, interpreta l'art. 2744 c.c. uniformandosi alle più recenti sentenze della giurisprudenza di legittimità sul tema. E' lo stesso giudice tarantino infatti che, nel motivare la nullità della anteposta clausola contrattuale, ricostruisce come la giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata sull'argomento. Viene infatti richiamata anche una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sez. Civile, n. 1075/2016 , che individua precisamente l'attuale interpretazione della ratio della norma. Essendo pacifico che la funzione perseguita dal disposto normativo è quella di individuare un divieto di risultato, è logica conseguenza affermare che la sua applicazione non è limitata - come letteralmente si evince dalla norma - alle singole ipotesi di "cosa ipotecata o data in pegno al creditore"; al contrario, il divieto ex art. 2744 c.c. è espressione di un generale principio che sancisce la nullità di qualsiasi patto commissorio, sia esso accessorio o autonomo rispetto al diverso contratto interposto tra le parti. La richiamata pronuncia della Suprema Corte di Cassazione - alla quale si è serenamente conformato anche il Giudice tarantino - si iscrive nel solco dell'orientamento giurisprudenziale prevalente. Storicamente sul punto dottrina e giurisprudenza erano divise: vi era una tesi minoritaria tradizionale che individuava nel divieto del patto commissorio una esigenza di tutela del contraente debole nel rapporto obbligatorio, come soggetto esposto al rischio di approfittamento del creditore. Secondo tale indirizzo, la funzione concretamente perseguita dell'art. 2744 c.c. era quindi quella di evitare il disequilibrio normativo economico a danno del debitore che, a fronte del mancato pagamento di un credito, vedeva trasferita a favore del creditore la proprietà di un bene di valore superiore all'entità del debito. Secondo altro orientamento, invece, il divieto di patto commissorio, garantirebbe l'esigenza di tutelare la par condicio creditorum, evitando un soddisfacimento preferenziale di un creditore al di fuori delle cause legittime di prelazione, realizzando un conseguente pregiudizio degli altri creditori che vedevano sottratto al patrimonio del comune debitore un bene su cui potersi rivalere. Inoltre, è ragionevole evidenziare che il divieto di patto commissorio rinvia al divieto di autotutela privata da parte del creditore (principio secondo il quale, egli stesso non può provvedere autonomamente al fine di soddisfare le proprie ragioni, in quanto la funzione esecutiva è di esclusiva competenza dello Stato). La tesi attualmente prevalente invece è rinvenibile nella sintesi delle predette esigenze ed identifica la ratio del divieto del patto commissorio come volta a realizzare un risultato concretamente illecito, indipendentemente dalla struttura negoziale predisposta. Pertanto il Legislatore, con la disposizione dell'art. 2744 c.c., vuol evitare che la volontà del debitore venga illecitamente coartata dal creditore, al fine di conseguire il trasferimento del bene del debitore in conseguenza della mancata estinzione di un debito. Il risultato vietato dal Legislatore si realizza quindi nel momento in cui lo schema tipico contrattuale interposto viene ripiegato al raggiungimento di uno scopo diverso, qualificandolo come illecito. La Sentenza della Cassazione n. 1075/2016 - così come poi ribadito anche dal Tribunale di Taranto nella sentenza in commento che estende l'anzidetta interpretazione della norma anche al contratto di mutuo oggetto di causa - evidenzia che: "Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il divieto del patto commissorio, sancito dall'art. 2744 c.c., si estende a qualsiasi negozio, ancorchè di per sé astrattamente lecito, che venga impiegato per conseguire il concreto risultato vietato dall'ordinamento, di assoggettare il debitore all'illecita coercizione da parte del creditore, sottostando alla volontà del medesimo di conseguire il trasferimento della proprietà di un suo bene, quale conseguenza della mancata estinzione di un debito. In particolare è stato puntualizzato che la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia, nell'ambito della quale il versamento del denaro, da parte del compratore non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo e il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o meno l'obbligo di restituire le somme ricevute. La predetta vendita, infatti, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall'art. 2744 c.c., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprimere, perciò, una causa illecita che rende applicabile l'intero contratto, la sanzione dell'art. 1344 c.c.". Dunque, nel caso di cui alla sentenza in commento, nel contratto di mutuo conclusosi tra le parti il divieto di cui all'art. 2744 c.c. è pienamente integrato nella misura in cui le parti contraenti prevedono, in caso di mancata restituzione di quanto concesso, che la parte debitrice trasferisca la proprietà dell'immobile acquistato con le somme prestate dai mutuanti, agli stessi. Pertanto il Giudice tarantino dichiara giustamente nulla la clausola che prevede il trasferimento del bene in caso di inadempimento, tracciando una nullità di tipo parziale ex art. 1419 c.c. del contratto in oggetto: se da un lato il contratto di mutuo in sé resterà valido, dall'altro la mutuataria rimarrà proprietaria dell'immobile acquistato con l'obbligo di restituzione delle somme ricevute.