Lezione 5 del 21 marzo 2006 - Università degli Studi di Parma

Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo III – Analisi del contenuto dei Libri degli Elementi.
Carlo Marchini
Lezione 5 del 21 marzo 2006
Capitolo III – Analisi del contenuto dei Libri degli Elementi.
III.1. Il Libro I.
Il Libro I degli Elementi di Euclide è stato in parte analizzato in precedenza, riportando, di fatto, gli
enunciati di tutte le Proposizioni presenti in esso. Sicuramente dall’antichità in poi è stato quello
che ha attirato più l’attenzione, in quanto in esso si pongono le basi per tutta la trattazione
successiva, stabilendo lo stile espositivo che verrà adottato nei tredici Libri. Inoltre è quello che
contiene Postulati e Nozioni comuni valide in tutti i Libri.
III.1.1. La struttura del Libro I. Si possono vedere ‘momenti’ diversi nella costruzione del libro che
si analizzano separatamente. Una suddivisione grossolana delle Proposizioni è la seguente:
I.1 – I.3
Costruzioni per il problema del trasporto di segmenti.
I.4 – I.9
Proprietà dei triangoli.
I.10 – I.12 Costruzioni legate alla perpendicolarità ed ai triangoli.
I.13 – I.15 + corollario Proprietà degli angoli.
I.16 – I.17 Studio degli angoli interni di un triangolo (senza parallelismo)
I.18 – I.22 Proprietà dei lati ed angoli di un triangolo.
I.23 – I.26 Altre proprietà dei triangoli.
I-27 – I.33 Rette parallele e loro proprietà (compresa la Prop. I.32 sugli angoli
interni di un triangolo).
I.34 – I.46 Parallelogrammi (gnomoni e triangoli visti come metà di un
parallelogramma).
I.47 – I.48 Teorema di Pitagora.
La traduzione italiana del testo degli Elementi reca utili informazioni. Infatti al termine di ogni
dimostrazione è presente una specie di specchietto in cui vengono specificati i risultati (precedenti)
impiegati nella dimostrazione (Postulati e Proposizioni) e poi le Proposizioni in cui il risultato
appena provato viene utilizzato. Queste informazioni permettono allora, con un semplice controllo,
di costruire una specie di albero delle derivazioni delle Proposizioni, trovando così quale sia la
Proposizione che viene utilizzata solo all’interno del Libro in cui è presentata, qual è quella più
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citata nel seguito. Ne risulta una strutturazione sintetica del Libro in esame. E’ da notare che lo
specchietto non è sempre affidabile, potendosi trovare esempi nel contesto degli interi Elementi, in
cui vengono utilizzati risultati non riportati poi esplicitamente nello specchietto posto al termine
della dimostrazione.
Una possibile presentazione dei risultati del Libro primo è sintetizzata dalla seguente tabella:
In essa, con Z si indicano i prerequisiti e con X le applicazioni.
Questa analisi è comunque interessante ed importante perché permette, ad esempio, di evidenziare i
risultati che sono inseriti come Proposizioni, ma che di fatto sono dei Postulati, non indicati come
tali dal testo euclideo. Nel Libro I ciò avviene per la Prop. I.4. che non dipende da alcun altro
risultato precedente, ma da essa ne dipendono poi altri.
Con * sono indicate le Proposizioni che non sono usate altri Libri, nel Libro I ciò avviene solo per
la Prop. I.40 (cfr. II.4.6.) che ha, evidentemente, motivazioni di carattere ‘metafisico’, piuttosto che
geometrico, in quanto non è più utilizzata negli Elementi. Per questo Heiberg pone dubbi sulla sua
autenticità, essa sarebbe stata introdotta per una sorta di ‘proporzionalità’ teorica, in quanto la Prop.
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I.35 ‘sta alla’ Prop. I.36 come la Prop. I.37 ‘sta alla’ Prop. I.38 (cfr. II.4.6.) e bisognava proseguire
questa catena di ‘proporzioni’ con le Propp. I.39 (cfr. II.4.6) e I.40.
Nella tabella precedente, con $ si indicano le Proposizioni del Libro I che vengono però utilizzate
solo nei Libri successivi: forse tali Proposizioni vengono collocate nel primo Libro per motivi di
contiguità con altri argomenti, ma potrebbero essere spostate in Libri successivi. Ciò avviene per
Proposizione del Libro I
Usata per la prima volta nel Libro
6
II
12
III
17
III
21
III
25
IX
28
IV
32
II
39
VI
45
II
Sono evidenti poi le Proposizioni strumentali, veri e propri Lemmi, che sono impiegate solo nelle
Proposizioni immediatamente successive, come, ad esempio la Prop. I.7, rispetto alla Prop. I.8; lo
stesso per la Prop. I.22.
III.1.2. La geometria del triangolo. Dopo l’introduzione della Geometria analitica e delle
trasformazioni, si identifica abbastanza la cosiddetta Geometria euclidea dei manuali scolastici
come la Geometria del triangolo, ciò può trovare conferma dall’elenco precedente: molti risultati
(almeno 23) sono sul triangolo e le sue proprietà. Anche la Prop. I.1 (cfr. II.4.6.) utilizza un
triangolo equilatero, prodromo del trasporto. Di fatto questa figura geometrica viene vista come
quella “generatrice” di molti risultati e dei poligoni. Eccone spiegata l’importanza.
I triangoli poi intervengono con un nuovo ‘postulato’ quello che viene chiamato Prop. I.4 (cf.
II.4.6.), perché è l’unica del Libro I che non richieda né di Postulati esplicitati, né di Proposizioni
precedenti. E si tratta di un postulato di eguaglianza. Qui è stabilito per i triangoli, ma viene poi
esteso per applicarlo ad altre figure.
Un importante risultato che mette a confronto due diverse uguaglianze (segmenti e angoli) è dato
dalla
«Proposizione I.5. Nei triangoli isosceli gli angoli alla base sono uguali fra loro, e venendo prolungati i lati
uguali gli angoli sotto la base saranno [pure] uguali tra loro.
Dimostrazione. Sia ABC un triangolo isoscele avente il lato AB uguale al lato AC, e si prolunghino per diritto i
lati AB, AC in BD, CE; dico che l’angolo ABC è uguale all’angolo ACB e l’angolo CBD uguale all’angolo BCE.
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Infatti, si prenda su BD un punto a piacere F, dalla retta maggiore AE si
A
sottragga la retta AG uguale alla minore AF (Prop. I.3.) e si traccino le
congiungenti FC, GB (Post. 1.)
Poiché dunque AF è uguale ad AG, ed AB è uguale ad AC, i due lati FA,
AC sono uguali rispettivamente ai due altri GA, AB; e comprendono
B
F
D
[gli uni gli altri] l’angolo FAG comune [ai due triangoli], per cui la
C
base FC è uguale alla base GB, il triangolo AFC sarà uguale al
triangolo AGB, e gli angoli rimanenti del primo saranno uguali ai
G
E
rispettivi angoli rimanenti del secondo, quelli cioè ai lati uguali:
l’angolo ACF uguale all’angolo ABG, e l’angolo AFC uguale all’angolo AGB (Prop. I.4.)
Ora, poiché tutto quanto il lato AF è uguale a tutto quanto il lato AG, e di essi la parte AB è uguale alla parte AC,
le parti restanti, cioè BF, CG, sono uguali (Noz. com. 3). Ma fu dimostrato che pure FC, GB sono uguali: i due
lati BF, FC sono così uguali rispettivamente ai due lati CG, GB; e l’angolo BFC è uguale all’angolo CGB, e BC
è la loro base comune, per cui anche il triangolo BFC sarà uguale al triangolo CGB, e gli angoli rimanenti del
primo saranno uguali ai rispettivi angoli rimanenti del secondo, quelli cioè opposti ai lati uguali: l’angolo FBC è
quindi uguale all’angolo GCB e l’angolo BFC è uguale all’angolo CBG (Prop. I.4.). E poiché fu dimostrato che
tutto l’angolo ABG è uguale a tutto l’angolo ACF, e di essi la parte CBG è uguale alla parte BCF, le parti restanti,
cioè gli angoli ABC, ACB che sono angoli alla base del triangolo ABC, sono uguali (Noz. com. 3.). Ma fu
dimostrato che anche gli angoli FBC, GCB sono uguali, e sono angoli sotto la base. »
Già la Prop. I.4 aveva posto le basi per l’interazione tra lati (segmenti) ed angoli di due triangoli
‘diversi’. Ora si sta lavorando all’interno dello stesso triangolo e si confrontano angoli. E’ questa il
primo caso degli Elementi in cui ciò avviene. Ma la dimostrazione della seconda parte anticipa, di
gran lunga, problemi che saranno poi affrontati nel Libro V. Infatti, forse basandosi troppo
sull’evidenza grafica, qui Euclide utilizza gli angoli come «cose», grandezze, che è possibile
sommare o sottrarre, ed infatti impiega la Noz. com. 3. Ovviamente tutto ciò non porta scompiglio,
visto che poi si può sistemare in modo adeguato la richiesta teorica. Dunque non basta più la sola
uguaglianza tra angoli, desunta da quella dei lati, ma è necessario operare su di essi come se si
trattasse di grandezze o di quantità. Il rapporto tra lati ed angoli di un triangolo viene a costituire
una sorta di corrispondenza con caratteri di omomorfismo, dato che conserva anche le
disuguaglianza, come prova, ad esempio le Propp. I.24 e I.25. (cf. II.4.6.)
Questa Prop. I.5 è stata vista nel tempo come uno dei primi e più grandi scogli all’apprendimento
della Geometria, tanto da meritarsi l’epiteto di Pons asinorum, cioè come il primo ostacolo selettivo
tra chi capisce e chi non capisce la Geometria. Anche studiosi
importanti hanno criticato l’approccio di Euclide che qui, lasciate le
prime costruzioni e il postulato non enunciato come tale, Prop. I.4.,
inizia le vere e proprie dimostrazioni, ma in questo caso, di una
Hieronymous Georg Zeuthen
(1839 – 1920)
proprietà evidente dei triangoli. Anzi alcuni hanno criticato non tanto il
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fatto che ci sia una dimostrazione, ma la dimostrazione scelta, che sarebbe stata più semplice
mediante l’uso della bisettrice dell’angolo BAC (eventualmente con l’uso della Noz. com. 6,
spuria). Zeuthen ha trovato in questo la conferma del procedimento genetico,
A
utilizzato da Euclide nella sua presentazione, in quanto la bisettrice verrà
introdotta solo nella Prop. I.9 (cfr. II.4.6.). Ora per ottenere tale Proposizione
servono le Propp. I.1, I.3 e I.8 (cfr. II.4.6.) e la I.8 dipende esclusivamente dalla
B
D
C
Prop. I.5, dunque ci sarebbero problemi a premettere alla Prop. I.5 la Prop. I. 8 e
la Prop. I.9, oppure basterebbe un postulato di continuità che aleggia nel testo euclideo, ma non
viene mai enunciato.
Nella successiva Proposizione si prosegue il trattamento congiunto dei segmenti e degli angoli:
«Proposizione I.6. Se in un triangolo due angoli sono uguali fra loro, anche i lati opposti agli angoli uguali
saranno uguali fra loro.
Dimostrazione. Sia ABC un triangolo avente l’angolo ABC uguale all’angolo ACB; dico che anche il lato AB è
uguale al lato AC. Infatti, se AB fosse disuguale rispetto ad AC, uno dei lati sarebbe
maggiore. Sia maggiore AB, dal lato maggiore AB si sottragga DB uguale al lato minore AC
A
(Prop. I.3.), e si tracci la congiungente DC. Poiché dunque DB è uguale ad AC e BC è
D
comune, i due lati DB, BC sono uguali in tal caso rispettivamente ai due lati AC, CB, e
l’angolo DBC è uguale all’angolo ACB; quindi la base DC è uguale alla base AB, ed il
B
C
triangolo DBC sarà uguale al triangolo ACB (Prop. I.4.), il minore al maggiore: il che è
assurdo (Noz. com. 8); AB non è quindi disuguale rispetto ad AC, e perciò uguale. »
Nella Prop. I.6 c’è la prima esplicita utilizzazione della dimostrazione per assurdo, se si ritiene
spurio l’inciso presente nella Prop. I.4
«Se difatti, mentre B coincide con E e C con F, la base BC non coincidesse con la base EF, due rette verrebbero
a comprendere uno spazio: il che è impossibile.»
Per quanto riguarda il triangolo introdotte diverse nomenclature o definizioni, Deff. I.19, I.20 e I.21,
a riprova dell’importanza del triangolo e della distinzione tra i suoi caratteri geometrici, mentre per i
quadrilateri bastano due Definizioni (Deff. I.19 e I.22.).
Le proprietà del triangolo danno modo a Euclide di sfoggiare varie tecniche di dimostrazione. Ad
esempio la Prop. I.5 e la Prop. I.6 sono teoremi uno inverso dell’altro, ottenuti scambiando ipotesi e
tesi.
A proposito della dimostrazione della Prop. I.9 si osservi che Euclide cita la Prop. I.3, ma potrebbe
applicare solo il Postulato 3. Però ci sarebbe poi da aprire il compasso con una arbitraria ampiezza e
questo provoca problemi ad Euclide in quanto non è chiaro come individuarla.
III.1.3. Il parallelismo. Euclide ha ben chiaro che uno degli obiettivi del Libro I è quello di stabilire
una teoria delle parallele, teoria per chi ha forgiato il Postulato 5. Si tratta della richiesta che più di
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altre richiama l’infinito ed utilizza un quantificatore esistenziale non costruttivo. Per questo il nostro
autore non sembra trovarsi a suo agio ed allora lo vediamo provare il maggior numero possibile di
risultati, anche relativi al parallelismo, senza per altro, utilizzare il Postulato 5.
Sono in questa condizione le Propp. I.27 e I.28 che parlano di rette parallele e ne provano proprietà,
senza far uso del Postulato.
«Proposizione I.27. Se una retta che venga a cadere su altre due rette forma gli angoli alterni interni uguali fra
loro, le due rette saranno fra loro parallele.
Dimostrazione. Infatti, la retta EF cadendo sulle due rette AB, CD, formi gli angoli alterni AEF, EFD uguali fra
loro: dico che AB è parallela a CD.
E
A
Se difatti non lo fosse, le rette AB, CD, prolungate, si incontrerebbero
B
dalla parte di B, D, o da quella di A, C. Si prolunghino e vengano ad
G
F
C
D
incontrarsi dalla parte di B, D nel punto G. Dunque, nel triangolo GEF
l’angolo esterno AEF è in tal caso uguale all’angolo interno ed opposto
EFG: il che è impossibile (Prop. I.16.); quindi AB, CD, prolungate non
potranno incontrasi dalla parte di D. Similmente si potrà dimostrare che non verranno ad incontrarsi neppure
dalla parte di A, C; ma rette che non si incontrano da nessuna delle due parti sono parallele (Def. I.23.), per cui
AB è parallela a CD. »
Talvolta ci si riferisce a questa Proposizione (ed alla successiva Prop. I.28.) col nome di teorema
diretto delle parallele. Nella dimostrazione si adopera la contronominale della Prop. I.16 (cfr.
II.4.6.). Nella dimostrazione infatti si è assunta l’ipotesi che è negazione della tesi della Prop. I.16 e
se ne desume la negazione dell’ipotesi della Prop. I.16, vale a dire che le due rette AB e CD si
incontrino e con EF costituiscano un triangolo.
La Prop. I.28 è del tutto analoga alla Prop. I.27 e si ottiene sostituendo gli angoli alterni interni con
quelli alterni esterni oppure i con i corrispondenti.
Come detto anche il precedenza, la prima occasione di uso del Postulato 5 è dato dalla
«Proposizione I.29. Una retta che cada su due rette parallele forma gli angoli alterni uguali tra loro, l’angolo
esterno uguale all’angolo interno ed opposto, ed angoli interni dalla stessa parte la cui somma è uguale a due
retti.
Dimostrazione. Infatti, la retta EF venga a cadere sulle rette parallele AB, CD; dico che essa forma gli angoli
alterni AGH, GHD uguali, l’angolo esterno EGB uguale all’angolo interno ed opposto GHD, e gli angoli interni
BGH, GHD, dalla stessa parte, la cui somma è uguale a due retti.
Se l’angolo AGH fosse difatti disuguale rispetto all’angolo GHD, uno di essi
E
G
A
C
H
B
D
sarebbe maggiore. Sia maggiore l’angolo AGH; si aggiunga in comune l’angolo
BGH; la somma degli angoli AGH, BGH è quindi maggiore della somma degli
angoli BGH, GHD (Noz. com. IV). Ma la somma di AGH, BGH è uguale a due
F
retti (Prop. I.13.). La somma di BGH, GHD è perciò minore di due retti. Ma rette
che vengono prolungate illimitatamente a partire da angoli la cui somma sia minore di due retti, si incontrano
(Post. 5); quindi AB, CD, prolungate illimitatamente, si incontreranno; ma non si incontreranno invece, poiché
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per ipotesi sono parallele; l’angolo AGH non è perciò disuguale rispetto all’angolo GHD, e dunque è uguale. Ma
l’angolo AGH è uguale all’angolo EGB (Prop. I.15); quindi sono uguali pure gli angoli AGB, GHD (Noz. com.
1). Si aggiunga in comune [ad essi] l’angolo BGH; la somma di EGB, BGH risulta allora uguale alla somma
BGH, GHD. E poiché la somma degli angoli EGB, BHG è uguale a due retti (Prop. I.13.), anche la somma degli
angoli BGH, GHD è uguale a due retti (Noz. com. 1). »
Questo risultato, forse la forma più usata del Post. 5, viene detta teorema inverso delle parallele.
Nella Prop. I.29, dall’ipotesi di parallelismo si ottengono le relazioni angolari. Ma si tratta di una
dimostrazione puramente logica, non geometrica, perché si riduce a provare la contronominale del
Post. 5.
Per alcuni commentatori questa Proposizione è la prima della Geometria che si può dire euclidea, in
contrapposizione alle Geometrie non euclidee.
Uno dei punti più importanti in tutto di questo Libro è rappresentato dalla Prop. I.32, di cui qui si
ripete l’enunciato, integrandolo con la dimostrazione.
«Proposizione I.32. In ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, l’angolo esterno è uguale alla somma dei due
angoli interni ed opposti, e la somma dei tre angoli interni del triangolo è uguale a due retti.
Dimostrazione. Sia ABC un triangolo, ed un suo lato BC sia prolungato oltre C sino a D; dico che l’angolo
esterno ACD è uguale alla somma dei due angoli interni ed opposti CAB, ABC, e che la somma dei tre angoli
interni del triangolo, ABC, BCA, CAB, è uguale a due angoli retti.
Infatti, per il punto C si conduca la parallela CE alla retta AB (Prop.
I.31.).
A
E poiché AB è parallela a CE, e su essa cade AC, gli angoli alterni BAC,
E
ACE sono uguali fra loro (Prop. I.29.). Di nuovo, poiché AB è parallela a
CE, e su esse cade la retta BD, l’angolo esterno ACD è uguale all’angolo
B
C
D
interno ed opposto ABC (Prop. I.29.). Ma fu dimostrato che pure gli
angoli ACE, BAC sono uguali; quindi tutto quanto l’angolo ACD è uguale alla somma dei due angoli interni ed
opposti BAC, ABC (Noz.com. 2).
Si aggiunga in comune l’angolo ACB [all’angolo ACD e alla somma degli altri due]; la somma degli angoli
ACD, ACB è perciò uguale alla somma dei tre angoli ABC, BCA, CAB (Noz.com. 3). Ma la somma degli angoli
ACD, ACB è uguale a due retti (Prop. I.13.); quindi anche la somma degli angoli ACB, CBA, CAB è uguale a due
retti (Noz.com. 1).»
La proprietà è centrale nell’economia degli Elementi: Euclide vuole mettere alla prova la sua teoria
delle parallele dimostrando una delle proprietà più ‘indubitabili’ della Geometria, tanto da essere
ritenuta da Aristotele come l’essenza del concetto (universale) di triangolo, posizione reiterata quasi
2000 anni dopo da Kant. In un certo senso questa proprietà dei triangoli sembra ‘rassicurare’
Euclide sui dubbi e tentennamenti nati dalla scarsa evidenza del Postulato delle parallele, nella
versione da lui scelta: se in quella forma si riesce a provare la proprietà degli angoli interni di un
triangolo, allora potrebbe davvero funzionare.
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Come si vede le nozioni di parallelismo di rette ed angoli sono strettamente connesse, pertanto si
tornerà a parlare di parallelismo e angoli nel paragrafo III.1.6.
Analizzando la dimostrazione della Prop. I.32 si osserva che il postulato delle parallele non è
utilizzato esplicitamente, ma si fa ricorso alla Prop. I.29 che ne è la versione contronominale, ed alle
conseguenze dirette di quest’ultima Proposizione.
Secondo Enriques
«Si osservi che essa esprime uno dei due teoremi veramente significativi del libro primo (l’altro è la prop. 47,
cioè il teorema di Pitagora), ed anzi i due teoremi di cui si parla sembrano costituire i due fuochi rispetto a cui
viene ordinata la trattazione euclidea.»
Il teorema si presenta duplice: la proprietà dell’angolo esterno e la sua conseguenza immediata della
somma degli angoli interni. Per quanto riguarda l’angolo esterno esso ha come conseguenza le
Propp. I.16 e I.17 (cfr. II.4.6.). Infatti con la Prop. I.16, si ha che l’angolo esterno è maggiore di
ciascuno degli angoli non adiacenti, mentre con la Prop. I.17, la somma di due angoli di un
triangolo è sempre minore di due retti. Ma tali Proposizioni si dimostrano senza fare ricorso al
Postulato delle parallele. Si possono quindi vedere le due ultime proposizioni citate come il punto di
maggiore avvicinamento possibile, alla proprietà della somma degli angoli interni di un triangolo,
senza fare uso del 5° postulato.
Di fatto Legendre proverà il risultato sulla somma degli angoli interni del
triangolo (cfr. VI.3.4.2.), reiterando risultati analoghi alla Prop. I.16 e con
l’ausilio della Prop. X.1 (cfr. III.8.3.2.), equivalente al cosiddetto Principio
di Eudosso-Archimede (cfr. III.5.2.2.), senza il postulato delle parallele,
Adrien-Marie Legendre
(1752 – 1833)
ma applicando il concetto di limite (e, di fatto, la struttura dei numeri
reali). Ora, come mostrato anche da Wantzel, l’insieme numerico che
risulta dalle costruzioni euclidee non esaurisce l’insieme dei numeri reali. Per giungere a tale tipo di
struttura, indispensabile per poter parlare di limiti, punti di accumulazione, continuità, ecc, bisogna
aggiungere altre richieste ed è sfruttando queste che si riesce a prescindere dal postulato delle
parallele.
Prima di Legendre, padre Giovanni Girolamo Saccheri (1667 – 1733), gesuita ed insegnante a
Pavia, nella sua opera Euclides ab omni nævo vindicatus, aveva tentato di dimostrare in modo
sintattico, cercando di provare la contraddittorietà della negazione del quinto postulato rispetto agli
altri quattro.
A
D
β1 α γ1
E
Proclo riferisce che a parere di Eudemo (350 – 290 a.C.), il risultato
relativo alla somma degli angoli interni del triangolo sarebbe stato
β
B
γ
intuito e dimostrato dai pitagorici, conducendo dal vertice opposto alla
C
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base una retta parallela alla base stessa, e sfruttando l’uguaglianza degli angoli alterni interni.
III.1.4. La Geometria dei parallelogrammi. Come detto sopra (cfr. II.2.2.), Aristotele lamentava la
poca elaborazione della teoria delle parallele per cui gli sembrava che i risultati trovati in essa
fossero poco affidabili. Era quindi una necessità che si è presentata ad Euclide, di fondare questa
parte così importante (che forse nei suoi aspetti generali era già nota a Talete ed ai pitagorici). La
scelta cade sul Post. 5 che utilizza l’infinito, seppure in via potenziale, ed una quantificazione
esistenziale non costruttiva.
Una delle esigenze fondamentali della teoria delle parallele è quella di offrire una buona descrizione
delle proprietà dei quadrilateri ‘interessanti’ ed in particolare dei parallelogrammi. Ed infatti, l’altro
argomento frequente nel primo Libro è dato dai quadrilateri, figure introdotte e descritte nella Def.
I.22, che rispetto ai gusti di oggi sembra un poco strana. In essa infatti si specificano i quadrati, i
rettangoli, distinguendoli espressamente dai quadrati, i rombi (le trottole), i romboidi, di fatto
scomparsi dalla ‘scena’ successivamente. E poi i trapezi (tavolini), ben diversi da quelli che noi
oggi chiamiamo con tale nome, ma di fatto mai considerati indipendentemente nel resto degli
Elementi.
Per quanto riguarda la distinzione in due classi disgiunte di quadrati e rettangoli, nella tavola delle
categorie pitagoriche o tavola degli opposti di Filolao (470 - 385. a.C.), riportata da Aristotele nella
Metafisica, sono presenti dieci casi:
determinato - indeterminato,
pari - dispari,
unità - pluralità,
destro - sinistro,
maschio - femmina,
quiete - movimento,
diritto - curvo,
luce - tenebre,
bene - male,
quadrato - figure con lati diseguali.
Quindi anche in questa definizione ci sarebbe una reminiscenza della antica Geometria pitagorica.
Ma ben presto ci si accorge che la figura più frequente è il parallelogramma, cui sono dedicate 13
Proposizioni, a scapito del rettangolo (che però verrà trattato altrove), ma manca la definizione di
tale figura. Essa compare nella
«Proposizione I.34. I parallelogrammi hanno i lati ed angoli opposti eguali tra loro, e sono divisi dalla diagonale
in due parti uguali.
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Dimostrazione. Sia ABCD un parallelogrammo, e sia BC una sua diagonale; dico che i lati e gli angoli opposti
del parallelogrammo ABCD sono uguali tra loro, e che la diagonale BC
lo divide in due parti uguali.
A
B
Infatti, poiché AB è parallela a CD, e su esse cade la retta BC, gli
angoli alterni ABC, BCD sono uguali fra loro (Prop. I.29). Di nuovo,
poiché AC è parallela a BD, e BC cade su esse, gli angoli alterni ACB,
D
C
CBD sono uguali fra loro (id.) Dunque, ABC, BCD sono due triangoli
che hanno i due angoli ABC, BCA uguali, rispettivamente ai due angoli BCD, CBD, ed un lato uguale a un lato,
ossia quello adiacente agli angoli uguali e che è loro comune, cioè BC: avranno quindi uguali rispettivamente
anche i lati rimanenti ai lati rimanenti e l’angolo rimanente all’angolo rimanente (Prop. I.26), per cui il lato AB è
uguale al lato CD, il lato AC è uguale al lato BD, ed infine l’angolo BAC è uguale all’angolo CDB. Ora, poiché
l’angolo ABC è uguale all’angolo BCD, e l’angolo CBD all’angolo ACB, tutto quanto l’angolo ABD è uguale a
tutto quanto l’angolo ACD (Noz. com. 2). E fu dimostrato che pure gli angoli BAC, CDB sono uguali.
Dunque, i parallelogrammi hanno lati ed angoli opposti uguali fra loro.
Dico adesso che la diagonale divide il parallelogrammo in due parti uguali. Infatti, poiché AB è uguale a CD, e
BC è comune, i due lati AB, BC sono uguali rispettivamente ai due lati CD, BC; e l’angolo ABC è uguale
all’angolo BCD (Prop. I.29.). Quindi anche la base AC è uguale alla base DB, ed il triangolo ABC è uguale al
triangolo BCD (Prop. I.4.). »
La dimostrazione di tale risultato è semplice, si potrebbe dire ‘visuale’ e si avvale dei cosiddetti
Criteri di congruenza dei triangoli (Prop. I.26. e Prop. I.4.). Utilizza inoltre la Prop. I.29 e quindi il
Post. 5.
Può sembrare strano l’andamento della dimostrazione: prima si adopera il cosiddetto secondo
Criterio di congruenza dei triangoli (Prop. I.26.), per mostrare l’uguaglianza dei triangoli ABD e
ACB perché la diagonale genera tali triangoli che hanno un lato in comune e due angoli uguali, in
virtù del fatto che sono alterni interni rispetto a rette parallele tagliate da trasversale. Grazie a tale
Criterio si ottiene l’uguaglianza del restante angolo e dei restanti lati. Così facendo i triangoli ABD
e ACB hanno tutte le caratteristiche uguali (congruenti). Dunque non ci sarebbe bisogno di provare
che la diagonale divide il parallelogrammo in due parti uguali. Ed invece Euclide torna sui suoi
passi e ridimostra che gli stessi triangoli sono uguali, ma stavolta utilizzando il primo Criterio di
congruenza dei triangoli (Prop. I.4.).
Si tratta dunque di una dimostrazione strana, per la ripetizione di parte della dimostrazione.
Secondo alcuni commentatori, questo mostrerebbe che anche Euclide ritenesse la Prop. I.4 come
una sorta di postulato. Il fatto di aver introdotto eccezionalmente il movimento per provarlo non lo
deve soddisfare troppo. La coincidenza, frutto del movimento, porta con sé l’applicazione della
Noz. com. 7, che è presente nella ‘dimostrazione’ della Prop. I.4, mentre è assente nella
dimostrazione della Prop. I.26. Dunque Euclide non si accontenta dell’avere provato che i triangoli
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo III – Analisi del contenuto dei Libri degli Elementi.
Carlo Marchini
hanno gli stessi caratteri, per cui è bastato utilizzare la Prop. I.26, ma vuole proprio la loro
coincidenza, e per questo si trova costretto a ricorrere alla Prop. I.4.
Un’altra possibile interpretazione è che la dimostrazione della Prop. I.34 sia una sorta di prova che
se si riesce a dimostrare l’uguaglianza (congruenza) di due triangoli mediante un Criterio, allora
anche l’altro Criterio conferma l’uguaglianza (congruenza) delle figure interessate.
E’ sorprendente che il parallelogrammo non sia definito. Ma bisogna porre attenzione. Per noi
‘parallelogrammo’ è un sostantivo, in greco si parla di
, spazio
parallelogrammo, quindi di un aggettivo, riferendosi allo spazio compreso tra
rette parallele (che però potrebbe anche essere non un quadrilatero, come
l’esagono della figura a fianco. Questo è uno dei pochi punti in cui appare in
filigrana il concetto di spazio in Euclide, un altro lo si trova nella Prop. XI. 3.
(cfr. III.9.2.2.) e, in modo meno appariscente, nella Prop. I.4. (cf. II.4.6.).
Euclide aveva a disposizione il termine di romboide (
)
«è quella [figura] che ha i lati e gli angoli opposti uguali fra loro, ma non è equilatera né ha gli angoli retti»
Quindi la prima parte della Prop. I.34 potrebbe essere letta come l’affermazione che un
parallelogramma è un romboide, ma Euclide lo evita. Resta aperto il problema (di facile soluzione,
ma non affrontato direttamente da Euclide) se un romboide sia un parallelogrammo, togliendo così
definitivamente di mezzo questo termine, romboide, del tutto inutile. Probabilmente i nomi dei
quadrilateri rombo, romboide e trapezio sono un tributo alla geometria precedente, in cui tali figure
forse venivano analizzate, ma nell’economia degli Elementi risultano superflue.
Non vengono neppure mostrate altre proprietà fondamentali del parallelogramma, ad esempio il
fatto che il punto di incontro delle diagonali coincide col punto di incontro delle mediane dei lati (il
baricentro), e neppure il fatto che diagonali si bisecano. Tutte queste proprietà appaiono sui manuali
odierni e vengono solitamente fatti rientrare in quel complesso di Geometria che viene talvolta,
scorrettamente, chiamata euclidea.
Per quanto riguarda la diagonale, anch’essa definita con la Prop. I.34, Euclide forse non ritiene di
definirla esplicitamente, in quanto usa la parola greca
, diametro, il cui uso per indicare la
diagonale è attestato anche da Platone nel Menone, in cui il filosofo spiega che i sapienti (o i sofisti)
chiamano diametro la linea retta congiungente due vertici opposti di un quadrato.
Forse l’esigenza di introdurre prima i romboidi e poi i parallelogrammi deriva dalla ‘ritrosia’ di
Euclide all’uso del Post. 5, in quanto c’è bisogno delle rette parallele per definire la figura.
La definizione di diagonale sarà presa da Joseph Diez Gergonne (1771 – 1859), come esempio e
punto di partenza per la sua proposta del concetto di definizione implicita.
Altre proprietà dei parallelogrammi sono illustrate in III.2.
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