Profili fiscali della valorizzazione dei beni nelle operazioni

Università degli Studi di Sassari
Profili fiscali della valorizzazione dei beni
nelle operazioni straordinarie
Direttore della scuola di Dottorato:
Prof. Michele M. Comenale Pinto
Tutor:
Prof. Valerio Ficari
Tesi di Dottorato di Ricerca di:
Francesca Faedda
La presente tesi è stata prodotta durante la frequenza del corso di dottorato in Diritto ed Economia dei sistemi
produttivi dell’Università degli Studi di Sassari, a.a. 2011/2012 - XXVII ciclo, con il supporto di una borsa di
studio finanziata con le risorse del P.O.R. SARDEGNA F.S.E. 2007-2013 - Obiettivo competitività regionale
e occupazione, Asse IV Capitale umano, Linea di Attività I.3.1.
Indice
1
ASPETTI VALUTATIVI E CONTABILI DELLE
OPERAZIONI STRAORDINARIE
1
1.1 Premessa
1
1.2 Le operazioni straordinarie tra economia aziendale e diritto tributario 3
1.3 La misurazione del valore dei complessi aziendali oggetto delle
operazioni straordinarie
7
1.4 La rappresentazione in bilancio secondo i principi contabili italiani degli
assets aziendali a seguito dell’effettuazione delle operazioni straordinarie
12
1.4.1
La contabilizzazione della fusione e della scissione
15
1.4.2
La contabilizzazione della cessione d’azienda
19
1.4.3
La contabilizzazione del conferimento d’azienda
21
1.5 La contabilizzazione delle business combinations secondo i principi
contabili internazionali
1.5.1
2
25
Le aggregazioni aziendali under common control
32
LA RILEVANZA FISCALE DEI VALORI SCATURENTI
DALL’EFFETTUAZIONE DELLE OPERAZIONI
STRAORDINARIE TRA REALIZZO E NEUTRALITÀ
41
2.1 Quadro generale
41
2.2 Il trattamento fiscale nelle imposte dirette delle plusvalenze dei beni
delle società fuse o incorporate e del disavanzo di fusione
2.2.1
43
Applicazione della disciplina fiscale alle fusioni contabilizzate in
conformità allo IFRS 3
48
2.3 (segue) le plusvalenze dei beni della società scissa e il disavanzo di
scissione
54
2.4 Il trattamento fiscale della cessione d’azienda nelle imposte dirette
56
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I
2.5 Il trattamento fiscale del conferimento d’azienda nelle imposte dirette 62
2.6 Le operazioni straordinarie nelle imposte indirette
65
2.6.1
Nozioni introduttive
65
2.6.2
Le operazioni soggette ad imposta in misura fissa: fusioni, scissioni e
conferimenti d’azienda
2.6.3
67
Le operazioni soggette ad imposta in misura proporzionale: le cessioni
d’azienda
3
69
IL SINDACATO SULLA VALORIZZAZIONE DEGLI
ELEMENTI PATRIMONIALI DA PARTE
DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
72
3.1 Le rettifiche al valore dei beni ai fini della determinazione del reddito
d’impresa
72
3.1.1
77
La reinterpretazione delle regole contabili per i soggetti IAS/IFRS
3.2 La valorizzazione degli scambi all’interno dei gruppi multinazionali:
l’istituto del transfer price
79
3.2.1
Il transfer price nell’ordinamento italiano
79
3.2.2
Riorganizzazioni aziendali e prezzi di trasferimento nelle Linee Guida
dell’OCSE
87
3.2.3
91
Il c.d. transfer price interno
3.3 L’effetto dell’accertamento di maggior valore nell’imposta di registro
sull’accertamento delle imposte sui redditi
4
100
UNA BREVE RICOGNIZIONE DELLE
CONFIGURAZIONI DI VALORE EMERSE: ANALOGIE E
DIFFERENZE
108
4.1 Premessa
108
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II
4.2 Il valore nella contabilizzazione dei fatti aziendali: dal costo storico al
fair value
109
4.3 Il valore venale e il valore normale: le due espressioni utilizzate dal
legislatore tributario per esprimere lo stesso concetto
115
4.4 (segue) Il valore normale e la (mancata) corrispondenza con l’arm’s
length principle
120
4.5 La parziale coincidenza tra valutazioni al fair value e ad arm’s length 128
BIBLIOGRAFIA
133
Dottrina
133
Giurisprudenza
150
Prassi
153
Principi contabili e documenti correlati
155
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III
1 Aspetti valutativi e contabili delle operazioni
straordinarie
1.1 Premessa
Le valutazioni economiche e contabili assumono notevole rilevanza ai fini
tributari.
In primo luogo, in attuazione del principio di derivazione del reddito d’impresa di
cui all’art. 83 del Tuir1, il reddito civilistico derivante dal bilancio costituisce il
fondamento quantitativo di partenza su cui operare le opportune variazioni fiscali
in aumento e in diminuzione necessarie per la determinazione della base
imponibile delle imposte sui redditi2.
In fatto che non esista un’identità assoluta, ma solamente tendenziale, tra risultato
d’esercizio e imponibile fiscale è giustificato da ragioni di certezza del rapporto
tributario che hanno spinto il legislatore a predeterminare normativamente i criteri
di valutazione di alcuni componenti economici, limitando la discrezionalità del
contribuente e di conseguenza gli effetti che si sarebbero potuti produrre sulla
1
Rubricato “Determinazione del reddito complessivo” e il cui testo prevede che “Il reddito
complessivo è determinato apportando all'utile o alla perdita risultante dal conto economico,
relativo all'esercizio chiuso nel periodo d'imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione
conseguenti all'applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente
sezione. In caso di attività che fruiscono di regimi di parziale o totale detassazione del reddito, le
relative perdite fiscali assumono rilevanza nella stessa misura in cui assumerebbero rilevanza i
risultati positivi. Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali
di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio
2002, anche nella formulazione derivante dalla procedura prevista dall'articolo 4, comma 7-ter,
del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, valgono, anche in deroga alle disposizioni dei
successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e
classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili”.
2
Le modifiche all’utile o alla perdita del conto economico vengono effettuate in attuazione delle
disposizioni della sezione I, capo II, titolo II del Testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917, d’ora in poi TUIR), in materia di determinazione della base imponibile
dell’imposta sul reddito delle società. Le variazioni in aumento rappresentano delle componenti
positive di reddito che non sono state imputate al conto economico sulla base delle norme
civilistiche, ma rilevanti ai fini fiscali, oppure delle componenti negative di reddito imputate al
conto economico, ma la cui deduzione non è ammessa, o viene rinviata agli esercizi futuri dalla
normativa fiscale. Simmetricamente le variazioni in diminuzione sono relative a componenti
positive di reddito imputate tra i ricavi nel conto economico, ma non rilevanti ai fini tributari, e
componenti negative di reddito deducibili ai fini fiscali, ma non imputate tra i costi nel conto
economico, o la cui imputazione è avvenuta in esercizi precedenti.
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1
base imponibile se le ampie scelte estimative permesse e contemplate dalle regole
civilistiche fossero state adottate con il solo scopo di ottimizzare il carico fiscale.
Per quanto riguarda i soggetti tenuti alla redazione del bilancio secondo i principi
contabili internazionali, invece, la discrasia tra reddito contabile e imponibile
fiscale risulta, allo stato attuale, leggermente attenuata, anche se a seguito di
numerosi interventi normativi.
In un primo momento, difatti, si cercò di perseguire il c.d. principio di neutralità
nella determinazione della base imponibile, che era stato introdotto con lo scopo
di attuare anche nei confronti dei soggetti IAS adopter il medesimo prelievo
fiscale che si sarebbe ottenuto con l’applicazione dei principi contabili nazionali
mediante la neutralizzazione delle determinazioni di bilancio derivanti
dall’applicazione dei principi IAS/IFRS3.
L’eccessiva difficoltà e macchinosità delle operazioni che, in questa circostanza,
erano necessarie per trasformare il reddito civilistico in reddito fiscale portarono
però all’abbandono del principio di neutralità che venne sostituito, con il fine di
assicurare una maggiore stabilità al sistema, dall’impostazione attuale.
Correntemente rimane comunque saldo anche per i soggetti IAS adopter il
principio di derivazione del reddito imponibile dal risultato d’esercizio, il quale
viene altresì rafforzato con la previsione di una deroga ai tradizionali principi di
determinazione fiscale nei confronti dei quali viene riconosciuta la prevalenza dei
criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione di bilancio
previsti dai principi IAS/IFRS; tali criteri, rilevando anche in sede di
dichiarazione dei redditi, entrano direttamente all’interno del sistema di regole che
disciplinano la formazione del reddito d’impresa4.
Problematiche differenti, ma comunque connesse a questioni economicovalutative si incontrano in sede di applicazione delle imposte indirette sui
3
Nella precedente formulazione dell’art. 83 TUIR si prevedeva che, prima di effettuare le
variazioni fiscali in aumento e in diminuzione, fosse necessaria un’ulteriore rettifica del risultato
d’esercizio il quale doveva essere “aumentato o diminuito dei componenti che per effetto dei
principi contabili internazionali sono imputati direttamente a patrimonio”.
4
Così G. FRANSONI, L’imputazione a periodo nel reddito d’impresa dei soggetti IAS/IFRS, in
Corr. trib., 2008, p. 3149 e D. STEVANATO, Profili tributari delle classificazioni di bilancio, in
Corr. trib., 2008, p. 3157.
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2
trasferimenti, per le quali il valore dei beni oggetto dell’atto rappresenta l’importo
sul quale viene parametrato il tributo5.
In questa circostanza, le controversie più frequenti si incontrano quando l’oggetto
del contratto è costituito da un’azienda che essendo, per sua natura, un bene
complesso, non può essere valutata facendo esclusivo riferimento alla mera
somma algebrica dei suoi componenti, dovendo essere apprezzata anche la
relazione strutturale che ogni singolo bene assume nel complesso aziendale.
Da queste premesse discende il motivo per cui, nel trattare i profili fiscali legati
alla valorizzazione dei beni nelle operazioni straordinarie, non è possibile
trascurare come questi valori vengano misurati, né tantomeno ignorare le regole
contabili che ne disciplinano l’allocazione in bilancio in base sia alla normativa
nazionale che secondo i principi contabili internazionali6.
1.2 Le operazioni straordinarie tra economia aziendale e diritto
tributario
Prima di trattare le problematiche relative alla valutazione dei beni e dei compendi
aziendali e alla loro rappresentazione in bilancio in dipendenza della realizzazione
di aggregazioni o riorganizzazioni aziendali, è necessario circoscrivere l’ambito di
interesse cercando di definire brevemente cosa si intende quando si parla di
operazioni straordinarie.
5
L’art. 43, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico del registro), nell’individuare la base
imponibile dell’imposta di registro fa riferimento al valore del bene oggetto dell’atto di
trasferimento, che viene identificato, nell’art. 51 seguente, con il valore dichiarato dalle parti
nell’atto oppure con il valore venale in comune commercio nella circostanza in cui il bene oggetto
del contratto sia un’azienda. Tali disposizioni valgono anche per le imposte ipotecaria e catastale,
a norma del rinvio espresso effettuato dagli artt. 2 e 10 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347.
6
Sebbene, come si vedrà più avanti, in base alla formulazione dell’art. 83 TUIR, l’eccezione alla
normativa sulla determinazione del reddito d’impresa relativa ai criteri di qualificazione,
imputazione temporale e classificazione in bilancio per i soggetti che adottano i principi IAS/IFRS
sia limitata “alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione” (ovvero Titolo II, Capo
II, sez. I) e pertanto non si estenderebbe anche alle operazioni straordinarie la cui disciplina si
trova non solo in un’altra sezione, ma persino in un altro titolo (Titolo III, Capo III per le
operazioni nazionali e Capo IV per operazioni transfrontaliere), non si può negare che ciò
nonostante, la modalità con cui viene determinato il costo d’acquisto di un’aggregazione aziendale
assume notevole rilevanza per l’applicazione delle norme tributarie di cui agli artt. 172, 173 e 176
del TUIR. Per alcuni esempi numerici cfr. A. FRANCO, Il regime fiscale delle operazioni
straordinarie per i soggetti Ias alla luce delle disposizioni recate dal decreto Ias-Ires, in Riv. dott.
comm., n. 2, 2009, p. 299.
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3
L’espressione “operazioni straordinarie” rappresenta un contenitore eterogeneo
all’interno del quale è possibile rinvenire numerosi istituti che, mediante l’utilizzo
di forme giuridiche differenti e per le più disparate finalità economiche, incidono
sull’assetto societario modificandolo in maniera più o meno netta.
La locuzione “straordinarie” sottolinea il carattere di eccezionalità di questi eventi
durante la vita societaria, enfatizzandone la contrapposizione con la gestione
corrente.
Da un punto di vista economico-aziendale, le operazioni straordinarie
costituiscono per le imprese uno strumento di attuazione delle scelte strategiche
attraverso le quali perseguire il tipico obiettivo di fondo della propria azione,
ovvero la creazione del valore. In questo contesto, ciò che assume rilevanza è
pertanto la motivazione che spinge il soggetto economico a modificare, in modo
più o meno marcato, l’architettura preesistente attraverso il mutamento del
contratto e del tipo sociale e/o della struttura patrimoniale.
La realizzazione di una strategia di sviluppo finalizzata alla crescita dimensionale
tramite l’aumento della capacità produttiva o la conquista di nuovi mercati, può
avvenire, per esempio, attraverso fusioni, acquisizioni e conferimenti. Allo stesso
modo, anche se per scopi opposti, operazioni come cessioni, scissioni e
liquidazioni assumono un ruolo fondamentale per perseguire una strategia di
contrazione dettata dalla necessità di razionalizzare la struttura operativa o
abbandonare business non più redditizi7.
Cambiando prospettiva, l’interesse del diritto tributario alle operazioni
straordinarie si sposta dallo studio delle ragioni che ne inducono il compimento
per concentrarsi sulla forma giuridica adottata e il conseguente risultato ottenuto,
in quanto idoneo a generare materia imponibile.
7
Per una più completa esposizione delle motivazioni che sottendono alla realizzazione delle
operazioni straordinarie si veda L. POTITO, Le operazioni straordinarie nell’economia delle
imprese, IV ed., Torino, 2013.
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4
Nell’assenza di una definizione giuridica organica che le identifichi, differenti
sono stati i tentativi della dottrina di ricondurre ad unità sistematica la categoria
delle operazioni straordinarie, ma con esiti assai incerti8.
Una prima tesi, sostenuta in passato da alcuni studiosi di diritto commerciale,
riteneva le operazioni straordinarie delle vicende estintive del soggetto
preesistente con contestuale nascita di un nuovo soggetto, ma tale teoria è stata
presto abbandonata in quanto attribuiva rilievo solamente ad alcune caratteristiche
peculiari di taluni istituti, in particolare della fusione, non riscontrabili in tutti gli
altri9.
In seguito si è tentato di racchiudere tutte le operazioni straordinarie nella famiglia
degli atti aventi natura di riorganizzazione, i quali determinerebbero una mera
modifica statutaria, senza mutare i vincoli di destinazione e lo svolgimento
continuato dell’attività.
Neanche questa impostazione consente, però, di tratteggiare una categoria unitaria
con principi e regole comuni in quanto l’ordinamento interno, improntato ad una
regolamentazione casistica, non permette di individuare un complesso di
fattispecie i cui effetti siano omogenei10.
La discordante disciplina con cui vengono regolate le molteplici vicende
straordinarie societarie non consente neppure di adottare la tradizionale
distinzione tra operazioni relative ai beni e operazioni relative ai soggetti11. I tratti
discriminanti tra cessioni e conferimenti da un lato, generatrici di nuova ricchezza
8
Per una più approfondita rassegna dei vari contributi in merito si veda F. PAPARELLA, Le
operazioni straordinarie nell’ordinamento tributario, in Il regime fiscale delle operazioni
straordinarie, a cura di E. DELLA VALLE, V. FICARI, G. MARINI, Torino, 2009, p. 3.
9
Cfr. C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, Milano, 1925, p. 480; G. FERRI, La fusione
delle società commerciali, Roma, 1936; M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, p. 965.
10
In proposito si veda M. MICCINESI, Le plusvalenze di impresa, Milano, 1993, p. 303; F.
PAPARELLA, Conferimenti (dir. trib.), in Enc. giur., vol. VIII, Roma, 1995; G. ZIZZO, Le
riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi, Milano, 1996, p. 13; R. ESPOSITO, Profili
sostanziali e funzionali dei conferimenti in natura. Analogie con le cosiddette operazioni
straordinarie ed esigenza di una disciplina comune, in Riv. dir. trib., I, 1997, p. 455; A. FEDELE,
Riorganizzazione delle attività produttive e imposizione tributaria, in Riv. dir. trib., 2000, I, p.
488; R. ESPOSITO, I conferimenti in natura. Contributo allo studio degli atti di riorganizzazione
nel diritto tributario, Roma, 2004, p. 216; G. ZIZZO, Operazioni societarie straordinarie (dir.
tribut.), in Enc. dir., Annali I, Milano, 2007, pp. 876 e 890; G. CORASANITI, Profili tributari dei
conferimenti in natura e degli apporti in società, Padova, 2008, p. 270.
11
La cui prima teorizzazione, in seguito ampiamente sostenuta dalla dottrina, è da attribuire a R.
LUPI, Profili tributari della fusione di società, Padova, 1989.
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imponibile in quanto consentirebbero una mutazione del patrimonio sociale
attraverso un atto di trasferimento di natura corrispettiva e onerosa, e
trasformazioni, fusioni e scissioni dall’altro, che opererebbero solamente una
variazione della natura giuridica o della compagine sociale, sono venuti meno a
seguito dell’emanazione della direttiva 23 luglio 1990, n. 434, successivamente
modificata dalla direttiva 17 febbraio 2005, n. 1912 che, una volta recepita13, ha
riconosciuto la possibilità di effettuare conferimenti comunitari in regime di
neutralità.
Basandosi su questi presupposti si inserisce dunque un’ulteriore dottrina secondo
la quale è possibile dividere le operazioni straordinarie in due distinte tipologie:
da una parte quelle realizzative, in quanto determinano una conversione dei cespiti
in moneta, e dall’altra quelle che non comportando tale conversione, ma al
massimo una sostituzione tra cespiti, risulterebbero tendenzialmente neutrali ai
fini reddituali14.
Tale ultima impostazione non consente comunque di chiarire le motivazioni delle
diverse deroghe presenti nel nostro ordinamento e pertanto non può essere
pienamente adottata con l’intento di organizzare sistematicamente la materia.
In conclusione di questa breve rassegna, posto che allo stato attuale non è
possibile identificare un corpus di regole generali che codifichi in modo compiuto
le operazioni straordinarie, occorre rammentare la ragione principale per cui lo
studio di queste vicende è di interesse per il diritto tributario, ovvero la loro
attitudine a produrre materia imponibile.
12
Per una maggiore completezza sui caratteri che caratterizzano la direttiva si veda A. SILVESTRI,
Il regime tributario delle operazioni di riorganizzazione transnazionale in ambito Cee, in Riv. dir.
fin., I, 1996, p. 640; D. STEVANATO, Le riorganizzazioni internazionali di imprese, in Corso di
diritto tributario internazionale, a cura di V. UCKMAR, Padova, 2005, p. 511; G. RAGUCCI, Schemi
di attuazione della neutralità delle operazioni straordinarie di impresa, in Rass. trib., 2007, p.
1386.
13
Avvenuto con il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 544.
14
Per un esame più approfondito del punto cfr. G. ZIZZO, Operazioni societarie straordinarie, cit.,
p. 875.
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6
1.3 La misurazione del valore dei complessi aziendali oggetto
delle operazioni straordinarie
Come detto, la realizzazione di un’operazione straordinaria, soprattutto se
integrata all’interno di un adeguato disegno strategico, rappresenta un mezzo
funzionale al perseguimento dell’obiettivo primario delle imprese, ovvero la
generazione di nuova ricchezza e la creazione del valore.
Ponendosi, per definizione, in contrasto con quella che è la gestione ordinaria, il
compimento di un’operazione straordinaria provoca una sorta di interruzione della
normale conduzione dell’attività. Per fotografare adeguatamente, nel momento in
esame, il reale valore assunto dall’entità aziendale non è quindi appropriato
l’utilizzo dei consueti criteri di valutazione previsti dalle regole giuridico-formali
che presiedono la formazione del bilancio d’esercizio o i meri risultati contabili, i
quali sono oltretutto fondamentalmente orientati al passato e spesso condizionati
dal perseguimento di politiche di bilancio.
Le ragioni per le quali è richiesto l’accertamento dell’entità del valore
dell’impresa, al momento dell’effettuazione dell’operazione straordinaria, sono
molteplici.
A titolo esemplificativo, conoscere il valore dell’impresa costituisce da una parte
uno strumento di garanzia societaria rivolto principalmente alla tutela dei soci di
minoranza e degli altri soggetti portatori di interessi che, pur influenzando
l’iniziativa economica essendone attivamente coinvolti, sono privi di un diretto
potere di controllo sulla stessa. Ciò in quanto la realizzazione di tali operazioni
spesso stravolge l’assetto societario originario, modificando i rapporti esistenti tra
i soci, oppure attirandone di nuovi attraverso la dimostrazione ai diversi
stakeholders o ai mercati finanziari dell’esistenza di un determinato valore del
capitale.
Dall’altra parte, esigenze valutative nascono tutte le volte in cui il complesso
aziendale è oggetto di scambio, dato che il valore economico rappresenta la base
di partenza per la determinazione di un prezzo, la cui definizione finale risente
dell’influenza della forza contrattuale delle parti.
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Ancora, per ragioni meramente tecnico-contabili, nelle vicende realizzative, la
delimitazione del valore aziendale assume il fondamentale ruolo di parametro di
riferimento per la successiva iscrizione degli assets aziendali al loro valore
corrente nel primo bilancio posteriore all’operazione.
Le metodologie di misurazione del valore dell’impresa elaborate dalla dottrina
economico-aziendale sono vari ed articolati15, pertanto in questa sede verrà
fornito, senza pretesa di esaustività, solo un breve elenco, dai più semplici ai più
elaborati, dei metodi più utilizzati nella prassi.
Partendo dal presupposto che non è pensabile effettuare una valutazione credibile
di un’azienda se non la si conosce a fondo in tutti i suoi aspetti, che siano storici,
attuali o prospettici, è necessario altresì precisare che il valore che si ricava
dall’applicazione delle varie formule, per la cui individuazione delle più adeguate
sarà necessario far riferimento di volta in volta al caso concreto, è il frutto di una
sintesi di diverse grandezze, spesso stimate, e che pertanto non può essere
considerato certo e univoco, ma piuttosto il più probabile valore di mercato.
Tradizionalmente molto utilizzato, stante la sua agevole applicazione, è il metodo
patrimoniale, che tuttavia appare carente sul piano della razionalità, in quanto in
maniera del tutto statica lega il valore dell’azienda semplicemente alla
riespressione a valori correnti degli elementi patrimoniali che la compongono,
tanto da non essere più considerato un vero e proprio metodo di valutazione, ma
piuttosto un utile strumento di informazione16.
Si parla di metodo patrimoniale semplice quando sostanzialmente si fa coincidere
il valore dell’azienda con il patrimonio netto rettificato costituito dalla somma
degli elementi materiali espressi al loro valore corrente, ovvero:
𝐾 = 𝐢 + [(𝑃1 + 𝑃2 + β‹― ) − (𝑀1 + 𝑀2 + β‹― )](1 − 𝑑)
dove:
C = capitale netto contabile
P = plusvalenze accertate
15
Per una completa esposizione dei metodi si veda su tutti L. GUATRI, M. BINI, Nuovo trattato
sulla valutazione delle aziende, Milano, 2005.
16
Così L. GUATRI, M. BINI, Nuovo trattato, cit., p. 63.
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8
M = minusvalenze accertate
t = aliquota fiscale
Si parla, invece, di metodo patrimoniale complesso quando al capitale netto
rettificato, così come individuato con il metodo patrimoniale semplice, si
aggiunge il valore degli elementi immateriali, ovvero:
𝐾 ′ = 𝐢 + 𝐡𝐼 + [(𝑃1 + 𝑃2 + β‹― ) − (𝑀1 + 𝑀2 + β‹― )](1 − 𝑑)
dove:
BI = valori attribuiti agli intangibili specifici non contabilizzati
Passando ai modelli fondati sui flussi, i quali sono considerati gli unici modelli
valutativi sicuramente razionali e universali, troviamo i metodi reddituali e i
metodi finanziari.
I primi, nella versione più semplice, si pongono l’obiettivo di identificare il valore
economico dell’azienda attraverso l’attualizzazione dei risultati reddituali attesi
nel futuro, sul fondamento di “una capacità di reddito già dimostrata, o
raggiungibile con ragionevole probabilità sulla base di premesse economiche già
in atto e individuate, tenuto conto della dimensione presente degli affari e di
sviluppi certi nel breve termine”17.
La formula più semplice e diffusa per stimare il valore dell’azienda (W) con
questo metodo, assumendo un arco temporale indefinito, è quella della rendita
perpetua, ovvero:
π‘Š=
𝑅
𝑖
mentre, volendo circoscrivere la prospettiva temporale, assumendo che la capacità
reddituale abbia una durata limitata, la formula utilizzata è quella del valore
attuale della rendita annua posticipata, ovvero:
π‘Š = 𝑅 × π‘Žπ‘›¬π‘–
dove:
R = reddito medio atteso
i = tasso di attualizzazione ritenuto congruo
n = numero di esercizi futuri stimati per la rendita temporanea
17
L. GUATRI, M. BINI, Nuovo trattato, cit., p. 479.
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9
In tutti e due i casi si assume a base del calcolo un reddito medio-normale ma, per
una stima più puntuale, si potrebbero prendere in considerazione anche una serie
di redditi futuri prevedibili distinti da attualizzare o ad un unico tasso o a tassi
diversi per ciascun esercizio.
Passando ai metodi finanziari, quello più diffuso e conosciuto è il Discounted
Cash Flow (DCF), il quale si basa sull’idea che non sia possibile che un’impresa,
nel lungo termine, distribuisca dividendi in misura superiore alla sua capacità di
generare flussi di cassa18.
Molto sinteticamente la formula del metodo DCF può essere espressa come il
valore attuale dei flussi di cassa attesi a cui si deve aggiunge il valore terminale
attualizzato del capitale e si deve sottrarre il rapporto tra debiti e crediti finanziari,
ossia la posizione finanziaria netta:
𝑛
π‘Š=∑
𝑖=0
𝐢𝐹𝑖
+ 𝑉𝑛 − 𝑃𝐹𝑁
(1 + π‘Ÿ)𝑖
dove:
CF
= flussi di cassa
r
= tasso di sconto che riflette il profilo di rischio
Vn
= valore attuale del valore residuo o terminale del capitale al tempo n
PFN = posizione finanziaria netta
Solitamente il tasso utilizzato per l’attualizzazione dei flussi è rappresentato dal
CAPM (Capital Asset Pricing Model) o dal WACC (Weighted Average Cost of
Capital).
Il primo rappresenta il costo del capitale proprio ed è dato dalla formula:
𝐢𝐴𝑃𝑀 = π‘Ÿπ‘“ + 𝛽 × (π‘Ÿπ‘š − π‘Ÿπ‘“ )
dove:
rf
= tasso privo di rischio19
β
= coefficiente di rischiosità sistematica specifica della singola azienda
(rm-rf) = premio per il rischio aziendale
18
L. GUATRI, M. BINI, Nuovo trattato, cit., p. 541, anche per una completa disamina dei vantaggi e
limiti di questo modello.
19
Solitamente identificato con il rendimento dei titoli di Stato a lunga scadenza.
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Il secondo, invece, rappresenta la media ponderata dei costi delle diverse fonti di
finanziamento utilizzate dall’impresa, ossia mezzi propri e debiti:
π‘Šπ΄πΆπΆ = 𝐢𝐴𝑃𝑀 ×
𝐸
𝐷
+ 𝐢𝑑 (1 − 𝑑) ×
𝐷+𝐸
𝐷+𝐸
dove:
E = patrimonio netto (Equity)
D = indebitamento (Debt)
Cd = costo dell’indebitamento
t = aliquota fiscale delle imposte sui redditi
Una via di mezzo tra i metodi patrimoniali e quelli basati sui flussi è data dai c.d.
metodi misti, che storicamente hanno rappresentato un compromesso tra
l’obiettività e verificabilità della componente patrimoniale e la razionalità
connessa all’apprezzamento dei flussi reddituali20.
Nella sua versione più semplice, il modello misto può essere illustrato dal metodo
della stima autonoma dell’avviamento, che viene inteso come il differenziale
attualizzato tra il reddito medio e il rendimento del patrimonio, per cui:
π‘Š = 𝐾 + π‘Žπ‘›¬π‘– ′ (𝑅 − 𝑖 ′′ 𝐾)
dove:
K = capitale netto rettificato, che può essere sostituito da K’ qualora si utilizzi la
configurazione comprensiva degli elementi immateriali
R = reddito medio normale atteso
n = numero definito e limitato di anni di durata del reddito differenziale
i’ = tasso di attualizzazione del reddito differenziale
i’’ = costo del capitale
Infine bisogna ricordare che a tutti questi metodi di determinazione del valore c.d.
assoluti basati su formule che, come detto, in questa sede sono stati elencati solo
sinteticamente e in maniera non completa, si affianca sempre più frequentemente
l’approccio c.d. relativo basato sui multipli.
20
L. GUATRI, M. BINI, Nuovo trattato, cit., p. 599.
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I multipli si formano mediante il rapporto tra il prezzo di aziende con
caratteristiche similari desumibile dal mercato21 e particolari grandezze di bilancio
reddituali, finanziarie o patrimoniali. I coefficienti così ottenuti vengono
moltiplicati alla corrispondente grandezza dell’azienda oggetto di valutazione,
ottenendo così il valore dell’impresa22.
1.4 La rappresentazione in bilancio secondo i principi contabili
italiani degli assets aziendali a seguito dell’effettuazione delle
operazioni straordinarie
Spostando l’attenzione sulle problematiche contabili, bisogna in principio
sottolineare che non esiste in Italia una normativa specifica che disciplini la
contabilizzazione delle operazioni straordinarie, pertanto per la loro rilevazione è
necessario fare riferimento alla disciplina contenuta nel codice civile.
Si tratta di una regolamentazione casistica dove ciò che assume rilevanza è la
forma giuridica adottata per effettuare l’operazione a discapito della sua sostanza.
A prescindere se la funzione ricercata dai soggetti che intraprendono l’operazione
sia di natura acquisitiva o riorganizzativa, si rinviene pertanto uno specifico
regime differenziato a seconda della tipologia giuridico-formale prescelta per
effettuarla.
In ossequio a questo principio, come detto, la disciplina applicabile alle differenti
vicende straordinarie d’impresa è racchiusa in molteplici disposizioni del codice
civile. Per le fusioni si fa ricorso agli artt. 2501-2505-quater c.c., per le scissioni
agli artt. 2506-2506-quater c.c., per le cessioni d’azienda agli artt. 2555-2562 c.c.,
mentre per la normativa relativa ai conferimenti d’azienda, in mancanza di una
regolamentazione apposita nel codice civile, si fa riferimento alle disposizioni
21
Solitamente si fa riferimento alle valutazioni borsistiche.
I multipli più utilizzati sono il rapporto prezzo/utile (P/E), prezzo/patrimonio netto (P/PN),
prezzo/flusso di cassa (P/cash flow), prezzo/ricavi (P/sales). L’ulteriore numeratore utilizzato nella
prassi, oltre al prezzo, è l’Enterprise Value (EV) definito dalla somma tra il valore di mercato del
capitale netto (numero di azioni per il prezzo unitario) e la posizione finanziaria netta. L’EV viene
rapportato al margine operativo lordo (EV/EBITDA), al reddito operativo (EV/EBIT) e ai ricavi
(EV/Sales).
22
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generali in materia di conferimento di beni e di crediti, ovvero all’art. 2343 c.c.
per le S.p.A. e all’art. 2465 c.c. per le S.r.l.
Alle norme appena citate devono essere poi affiancati i principi contabili nazionali
la cui vincolatività, tuttavia, deve essere apprezzata mediante il loro preliminare
inquadramento all’interno della gerarchia delle fonti.
Una prima tesi, ormai superata, attribuiva ai principi contabili la natura di usi
normativi dotandoli di valore integrativo rispetto alle leggi e ai regolamenti ai
sensi dell’art. 8 delle Preleggi23.
Si trattava di un’impostazione sorta a seguito del dibattito dottrinale generato
dall’introduzione nell’ordinamento dell’art. 4 del D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136,
in materia di revisione contabile obbligatoria per le società quotate. Sulla base di
questa norma, difatti, le società di revisione erano tenute, nella loro relazione, a
certificare se i fatti di gestione fossero stati esattamente rilevati nelle scritture
“secondo corretti principi contabili”.
Ma se già in un primo momento questa tesi non appariva totalmente convincente
posto che gli usi normativi, così come individuati dall’art. 8 delle preleggi,
rilevano solo se espressamente richiamati dalle leggi che li qualificano come
tali24, il suo definitivo abbandono è avvenuto a seguito dell’abrogazione del citato
articolo 425 per effetto della quale il diretto richiamo normativo ai corretti principi
contabili è stato definitivamente annullato.
Esistono, tuttavia, ulteriori norme che rinviano, anche se in maniera indiretta, ai
principi contabili. Un riferimento alle regole tecniche di ragioneria può difatti
essere rinvenuto nelle clausole generali poste sia dall’art. 2219 c.c. quando si
afferma che “tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di
un’ordinata contabilità”26, che dall’art. 2423 c.c. il quale al terzo comma statuisce
23
Cfr. R. CLARIZIA, L’attività di revisione e certificazione: aspetti giuridici, Milano, 1978, p. 82;
G. TOMASIN, I principi contabili in Italia, in Riv. dott. comm., 1982, I, p. 8.
24
Stabilisce, difatti, l’art. 8 Preleggi che “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli
usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati”.
25
A norma dell’art. 23 del d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127.
26
Cfr. M. CARATOZZOLO, Il bilancio d’esercizio, Milano, 2006, p. 148 ; E. BOCCHINI, Il bilancio
delle imprese, Napoli, 1979, p. 122; G. TOMASIN, I principi contabili: natura ed importanza per
una corretta informazione contabile e per la soluzione di problemi giuridici, civilistici e tributari,
in Atti della giornata di studio nel centenario della nascita di Gino Zappa (Venezia, Ca’ Foscari,
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13
i principi di chiarezza, veridicità e correttezza del bilancio d’esercizio, mentre al
quarto pone una deroga generale statuendo che “se le informazioni richieste da
specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione
veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie
allo scopo”27.
Alla luce di questi richiami, i principi contabili, pur non potendo assumere
rilevanza normativa in senso proprio e pertanto non potendo essere considerati
alla stregua di vere e proprie fonti del diritto, secondo l’impostazione al momento
prevalente28 rappresentano delle mere regole ragionieristiche che, se e in quanto
compatibili con le norme in materia di bilancio, assumono rilievo giuridico
svolgendo una funzione integrativa ed interpretativa di queste ultime29.
4 aprile 1981), Padova, 1982, p. 175; S. FORTUNATO, La certificazione del bilancio, Napoli, 1985,
p. 189.
27
Mediante questa deroga, secondo M. CARATOZZOLO, Il bilancio d’esercizio negli aspetti
contabili e civilistici, Roma, 1992, p. 52, “il legislatore ha stabilito una sorta di preminenza dei
principi contabili sulle norme di legge ordinariamente applicabili, perché è alla stregua dei primi
e non delle seconde che si giudica l’idoneità o la non idoneità di un certo criterio a fornire il
quadro fedele”.
28
Cfr. G. VERNA, I principi contabili: norme tecniche d’integrazione e interpretazione della legge,
in Giur. comm., 2000, I, p. 147; E. BOCCHINI, Manuale di diritto della contabilità, Torino, 1995, p.
11; G. TOMASIN, I principi contabili: natura ed importanza per una corretta informazione
contabile, cit., G. SCOGNAMIGLIO, La ricezione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS ed il
sistema delle fonti del diritto commerciale, in AA. VV., IAS/IFRS. La modernizzazione del diritto
contabile in Italia, Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, 2007, p. 29.
29
A conferma di questa tesi si veda: Consiglio di Stato, Sezione VI, sent. 28 aprile 1998, n. 572,
per cui “il riferimento ai “corretti principi contabili” di cui all’art. 4 D.P.R. 31 marzo 1975, n.
136, anche a seguito della sua eliminazione testuale avvenuta ai sensi dell’art. 23 d.lgs. 9 aprile
1991, n. 127, deve considerarsi implicito anche nella vigente normativa. Infatti, il sistema di
regole tecniche cui detti principi si sostanziano svolge una funzione integrativa delle norme di
legge in tema di formazione del bilancio d’esercizio, il quale deve essere redatto in modo da
fornire con chiarezza la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale,
nonché del risultato economico dell’impresa”; Relazione ministeriale al d.lgs. n. 127/1991 per cui
attraverso l’obbligo di corretta rappresentazione dei fatti di gestione “si è operato un implicito
rinvio ai principi contabili […] e se ne è così chiarito il ruolo di criterio tecnico meramente
interpretativo-integrativo delle norme di legge che disciplinano la formazione e il contenuto dei
documenti contabili”; CONSOB, comunicazione 1 marzo 1994, n. 94001751, nella quale si
osserva che “la nuova disciplina del bilancio d’esercizio e del bilancio consolidato […]
presuppone in via naturale un sub-sistema di regole tecniche (principi contabili) che interpretano
e integrano le norme di legge al fine di fornire con chiarezza la rappresentazione veritiera e
corretta della situazione patrimoniale nonché del risultato economico dell’impresa. Ciò premesso,
la Commissione, […] indica, quale punto di riferimento, i principi contabili fin qui emanati dal
Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e dal Consiglio nazionale dei ragionieri e periti
commerciali, dei quali si potrà tener conto nei limiti in cui risultano compatibili con le norme
vigenti”.
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La prevalenza delle norme giuridiche rispetto ai principi contabili non può essere
negata neanche nel raro caso di deroga prevista dal comma 4 dell’art. 2423 c.c., in
quanto l’insolita sostituzione del precetto di legge inapplicabile con la regola
tecnica più adatta avviene, in questo frangente, per permettere di perseguire il
preminente principio di “rappresentazione veritiera e corretta” che proprio da una
norma giuridica trae il suo rilievo fondamentale.
Dalla supremazia della legge rispetto ai principi contabili, inoltre, discende
l’ulteriore corollario per cui, a prescindere dal fatto che questi vengano emanati da
autorevoli organismi tecnici, la loro correttezza e conformità rispetto alle norme
giuridiche deve essere di volta in volta apprezzata, dapprima dal redattore del
bilancio e, in seconda battuta, dal giudice in caso di controversia.
Ciò premesso, in ambito nazionale lo standard setter deputato all’emanazione dei
principi contabili è l’Organismo Italiano di Contabilità30 che, in materia di
operazioni straordinarie, ha pubblicato nel gennaio 2007 il principio contabile
OIC 4 – Fusione e scissione, il quale integra e arricchisce le norme del codice
civile precedentemente citate31.
1.4.1
La contabilizzazione della fusione e della scissione
Per quanto riguarda la valorizzazione delle attività e passività aziendali
successivamente all’operazione di fusione (e per espresso rinvio da parte dell’art.
2506-quater c.c. anche a seguito dell’operazione di scissione) si applica l’art.
2054-bis, comma 4, c.c., il quale prevede che “Nel primo bilancio successivo alla
fusione le attività e le passività sono iscritte ai valori risultanti dalle scritture
contabili alla data di efficacia della fusione medesima; se alla data di fusione
30
Costituito con la forma giuridica di fondazione il 27 novembre 2001, annovera tra i soci
fondatori per la professione contabile: l’Assirevi, il Consiglio Nazionale dei Dottori
Commercialisti e il Consiglio Nazionale dei Ragionieri; per i preparers: l’Abi, l’Andaf, l’Ania,
l’Assilea, l’Assonime, la Confagricoltura, la Confapi, la Confcommercio, la Confcooperative, la
Confindustria e la Lega delle Cooperative; per gli users: l’Aiaf, l’Assogestioni e la Centrale
Bilanci; per i mercati mobiliari: la Borsa Italiana.
31
Per una visione organica e più corretta della disciplina contabile delle operazioni in oggetto, è
comunque necessario fare riferimento anche a tutti gli altri principi contabili, e in particolare, in
quanto più d’interesse ai fini del nostro studio, all’OIC 30 – I bilanci intermedi, all’OIC 24 –
Immobilizzazioni immateriali, al recentemente aggiornato OIC 16 – Immobilizzazioni materiali e
al nuovo OIC 9 – Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e
immateriali.
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emerge un disavanzo, esso deve essere imputato, ove possibile, agli elementi
dell’attivo e del passivo delle società partecipanti alla fusione e, per la differenza
e nel rispetto delle condizioni previste dal numero 6 dell’articolo 2426, ad
avviamento. […] Se dalla fusione emerge un avanzo, esso è iscritto ad apposita
voce del patrimonio netto, ovvero, quando sia dovuto a previsione di risultati
economici sfavorevoli, in una voce dei fondi rischi ed oneri.”
Il primo problema che si pone è relativo a quale bilancio si sia voluto riferire il
legislatore con l’espressione “primo bilancio successivo alla fusione”, se a quello
di esercizio oppure a quello di apertura.
Tra le due opzioni risulta ormai condivisa la soluzione secondo cui in questa
circostanza la norma richiami il bilancio d’apertura, così come prima rilevato in
dottrina32, e in seguito confermato nel principio contabile OIC 4. Affermare il
contrario, difatti, violerebbe i principi di veridicità, correttezza e chiarezza del
bilancio d’esercizio in quanto implicherebbe l’iscrizione in quest’ultimo di valori
relativi ad una data diversa e spesso antecedente di diversi mesi a quella di
chiusura dell’esercizio.
Aderendo a questa impostazione, inoltre, appare assolutamente ragionevole e
conforme al rispetto dell’ordine temporale e della logica economico-contabile, la
prescrizione dell’acquisizione nella situazione patrimoniale dell’incorporante
delle attività e delle passività agli stessi valori a cui erano iscritti nella contabilità
dell’incorporata33.
32
M. CARATOZZOLO, I criteri di formazione del primo bilancio post fusione: interpretazione
dell’art. 2504 bis, comma 4, c.c., in Le società, n. 12, 2004, p. 1461, il quale definisce addirittura
“perversi” gli effetti che si produrrebbero nel caso in cui per “primo bilancio successivo alla
fusione” si intendesse il bilancio d’esercizio.
33
Come precisato da M. CARATOZZOLO, I criteri di formazione del primo bilancio post fusione,
supra, p. 1462 e in seguito ripreso dall’OIC 4 “Qualunque sia la concezione che si abbia
sull’obbligo di redazione e sulle funzioni di questo bilancio […] esso innegabilmente costituisce
cronologicamente il primo dei bilanci che l’incorporante o la nuova società dovranno redigere
dopo il compimento dell’operazione di fusione. Essendo un bilancio iniziale, di apertura, di una
nuova contabilità (nuova nella sostanza anche se non nella forma), quella del complesso aziendale
unificato, viene riferito alle ore zero del giorno successivo a quello di efficacia della fusione. Si
tratta, dunque, dei valori contabili riferiti al medesimo istante: le ore 24 del giorno di efficacia
della fusione che coincide con le ore zero del giorno successivo, senza alcuna soluzione di
continuità”.
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Valori che comunque possono essere modificati, stante in primo luogo la necessità
di eseguire operazioni di consolidamento dei saldi tramite eliminazioni e
rettifiche, ma soprattutto data la possibilità recata dalla stessa norma di iscrivere le
attività e le passività al loro valore corrente nei limiti del disavanzo34, ove
presente, nonché di imputare l’eventuale somma residua ad avviamento.
Tali valori correnti devono essere effettivamente sussistenti, come si può dedurre
dalla presenza nella norma in commento dell’inciso “ove possibile” subito dopo
averne consentito la scrittura nel bilancio di apertura, e comunque non superiori al
valore economicamente recuperabile di cui all’art. 2426 c.c..
Importante punto di riferimento su cui basarsi per l’individuazione dei maggiori
valori correnti delle attività è costituito sicuramente dalla relazione degli
amministratori ex art. 2501-quinquies c.c., dalla relazione degli esperti sulla
congruità del rapporto di cambio di cui all’art. 2501-sexies c.c., nonché dalla
relazione di stima del patrimonio delle società partecipanti all’operazione,
richiesta dall’art. 2501-sexies, comma 7, c.c., la quale deve essere redatta in
conformità all’art. 2343 c.c. da un revisore legale dei conti o da una società di
revisione, nel caso in cui si abbia la fusione di società di persone in società di
capitali.
Ma se le prime due relazioni citate possono mancare nel caso in cui vi rinuncino
l’unanimità dei soci e i possessori di altri strumenti finanziari che attribuiscono il
diritto di voto di ciascuna società partecipante alla fusione35, quella di stima del
34
Il disavanzo rappresenta una tipologia di differenze di fusione che a loro volta si distinguono in
differenze “da concambio” e differenze “da annullamento”. Le prime sorgono nelle fusioni tra
soggetti indipendenti in presenza di divergenze tra il valore dell’aumento di capitale sociale della
società incorporante e la quota di patrimonio netto contabile della incorporata di competenza di
soci terzi. In particolare si ha disavanzo da concambio quando il valore dell’aumento di capitale
sociale dell’incorporante è maggiore della corrispondente quota di patrimonio netto
dell’incorporata spettante ai soci terzi.
Le differenze da annullamento, invece, sorgono nelle fusioni tra soggetti legati tra loro da rapporti
di partecipazione, in caso di differenze tra il valore della partecipazione nella società incorporata
iscritto nel bilancio della società incorporante e la quota di patrimonio netto contabile della
incorporata di competenza dell’incorporante. Il disavanzo da concambio si origina se il valore
contabile della partecipazione annullata è maggiore della quota di pertinenza nel patrimonio netto
contabile dell’incorporata.
35
E nell’ulteriore ipotesi di fusione per incorporazione di società interamente posseduta ex art.
2505 c.c., in quanto non previste dalla norma.
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patrimonio della società incorporata ex art. 2343 c.c. si ritiene necessaria36 in caso
di emersione del disavanzo e di sua imputazione agli assets patrimoniali, per
assicurare l’effettività del nuovo capitale sociale.
È altresì doveroso precisare che la previsione della conversione del disavanzo con
il maggior valore corrente delle attività e il minor valore corrente delle passività,
non implica che le poste che figureranno nel bilancio di apertura della
incorporante siano solamente quelle già iscritte nella situazione patrimoniale di
chiusura dell’incorporata, dovendo essere incluse anche tutte le altre attività e
passività realmente esistenti alla data di efficacia della fusione37.
Dalle disposizioni brevemente esposte emerge che la normativa nazionale
permette una rivalutazione dei beni delle società partecipanti all’operazione38,
anche se solo nei limiti dei loro valori reali ed esclusivamente in presenza di un
disavanzo la cui natura ne permetta l’allocazione alle maggiori consistenze delle
attività39, sia nel caso in cui la fusione o la scissione siano state effettuate con
intento acquisitivo, sia quando abbiano avuto una funzione di riorganizzazione.
Il trattamento contabile applicabile, per la disciplina italiana, è pertanto
indifferente alla finalità perseguita da coloro che attuano l’operazione. A
conferma dell’irrilevanza della circostanza per cui questa venga effettuata tra
soggetti terzi o all’interno del medesimo gruppo societario40 è data dall’esplicita
36
Così la Massima n. 72 del Consiglio Notarile di Milano del 15 novembre 2005 in tema di
“Imputazione del disavanzo da concambio nella fusione e nella scissione (art. 2504-bis, comma 4,
c.c.)” secondo la quale l’ipotesi in cui la fusione dia luogo alla creazione di capitale sociale
mediante l’imputazione di valori non già iscritti nel bilancio della società incorporata,
richiederebbe l’applicazione analogica dell’art. 2501-sexies, comma 7, c.c.
37
Oltre, naturalmente, all’avviamento, il principio contabile OIC 4 fa l’esempio delle
immobilizzazioni materiali completamente ammortizzate, ma ancora utilizzate nell’attività
produttiva e dotate di valore economico positivo, nonché le entità non iscritte nel bilancio
dell’incorporata come il know-how e i software, ma iscrivibili in base al codice civile e al principio
contabile 24 sulle immobilizzazioni immateriali.
38
La regolamentazione è analoga sia per la fusione che per la scissione.
39
Come precisato dal principio OIC 4 “né i maggiori valori correnti delle attività, né l’avviamento
possono essere iscritti nelle ipotesi in cui il disavanzo corrisponda all’importo di perdite
pregresse dell’incorporata o di un “eccesso di costo” nell’acquisto della partecipazione, perché
tale differenza non rappresenterebbe valori economici effettivamente esistenti e recuperabili con
lo svolgimento della gestione”.
40
Come del resto inequivocabilmente avvalorato dal principio OIC 4 nell’enunciazione iniziale del
suo scopo e contenuto.
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possibilità che la fusione per incorporazione avvenga in presenza di un rapporto di
partecipazione tra le società interessate alla vicenda.
In questo caso, se la controllante negli esercizi precedenti a quello dell’operazione
era, a norma di legge, nella condizione di redigere il bilancio consolidato, regola
generale per la predisposizione del primo bilancio successivo alla fusione è che
vengano mantenute le medesime imputazioni già presenti nel consolidato in
ossequio al principio della “continuità dei valori”, sempre che siano state
effettuate in conformità al principio contabile relativo41 e che nel frattempo non si
siano verificati avvenimenti che ne richiedano la modifica.
1.4.2
La contabilizzazione della cessione d’azienda
Il codice civile si limita all’art. 2555 a dare una definizione di azienda, per poi,
negli articoli successivi, disporre sinteticamente su alcuni aspetti conseguenti al
suo trasferimento, come per esempio il divieto di concorrenza a carico
dell’alienante e le regole da seguire in materia di successione dei contratti, dei
crediti e dei debiti, ma nulla dice sulla disciplina a cui far ricorso per la sua
rilevazione in bilancio.
Le implicazioni contabili sono differenti per il cedente e il cessionario: il primo
dovrà registrare il trasferimento del complesso dei beni ai terzi e determinare la
plusvalenza o minusvalenza derivante dall’operazione, mentre il secondo dovrà
prendere in carico le attività e passività acquisite ai valori di cessione con
l’evidenziazione di quanto corrisposto a titolo di avviamento.
Partendo con l’esaminare l’ottica del cedente, il primo passo da compiere consiste
nella predisposizione di una situazione patrimoniale da riferire alla data di
effettività dell’operazione, in quanto essenziale per la determinazione del suo
risultato
economico42.
L’emersione
della
plusvalenza
o
dell’eventuale
minusvalenza, difatti, si ottiene sottraendo dall’ammontare del corrispettivo
pattuito, il valore contabile delle attività e passività oggetto della cessione.
41
Ossia l’OIC 17 – Il bilancio consolidato.
Cfr. L.F. FRANCESCHI, La cessione d’azienda – Profili economici aziendali e procedurali,
Padova, 2007, p. 115 ss.
42
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19
Sarà pertanto necessario effettuare tutte le scritture di assestamento43 con
l’intento, da un lato, di rilevare i costi e i ricavi ancora non iscritti in contabilità,
ma di competenza della frazione di esercizio che si concluderà alla data di
efficacia del trasferimento, e dall’altro di rinviare alla seconda parte dell’esercizio
tutti i costi e i ricavi già contabilizzati, ma la cui competenza non è attribuibile al
periodo pre-cessione44.
Quello che viene redatto è, perciò, un vero e proprio bilancio straordinario
costituito dalla sola situazione patrimoniale, per la cui formazione si può fare
riferimento all’OIC 30 riguardante i bilanci intermedi. A norma di detto principio
contabile, il periodo intermedio deve essere considerato come un autonomo
esercizio, ancorché di durata inferiore all’anno, pertanto per la formazione della
situazione patrimoniale relativa devono essere utilizzate le medesime regole
statuite per la costruzione del bilancio d’esercizio.
Una volta fotografato lo stato dell’attività al momento del trasferimento,
rettificare il bilancio di cessione a valori contabili assumendo in sostituzione di
questi ultimi i valori correnti dei beni risulta sicuramente necessario sia per il
cedente che per il cessionario, il quale dovrà in seguito accogliere nella sua
contabilità le attività e passività oggetto dell’acquisizione al loro valore reale.
Il bilancio di cessione a valori correnti non è richiesto dalla normativa civilistica,
ma ha l’importante funzione di determinare il prezzo globale al quale vendere il
complesso aziendale, nonché di stabilire l’esistenza o meno dell’avviamento e in
caso affermativo calcolarne l’importo.
Qualora quest’ultimo bilancio non sia stato redatto e nell’atto di cessione sia
indicato solamente il corrispettivo complessivamente pattuito, o al massimo
all’interno del compenso globalmente concordato sia specificata la quota del
prezzo afferente all’avviamento, il cessionario è comunque tenuto a ripartire il
43
Per alcuni esempi di scritture di assestamento del cedente si veda A. COTTO, L. FORNERO, G.
ODETTO, Cessione, conferimento, affitto e donazione d’azienda, Milano, 2007, p. 116.
44
Come precisato da E. ZANETTI, Le scritture contabili del cedente e cessionario nella cessione
d’azienda, in Contabilità, finanza e controllo, n. 7, 2005, p. 610, tali scritture devono essere
effettuate solo con riferimento alle attività e passività aziendali che risultano comprese nel
trasferimento dell’azienda come, ad esempio, i cespiti ammortizzabili e i dipendenti che per effetto
della cessione vengono traslati al cessionario e i costi e ricavi cui i corrispondenti crediti o debiti
confluiscono nel complesso ceduto.
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costo complessivamente sostenuto tra i singoli elementi dell’attivo e del passivo
coerentemente al loro valore effettivo, non potendo essere considerata
ammissibile una ripartizione arbitraria45.
1.4.3
La contabilizzazione del conferimento d’azienda
Come precedentemente accennato, per il conferimento d’azienda non è possibile
rinvenire una disciplina espressamente dedicata all’interno del codice civile, né
tanto meno è stato elaborato un principio contabile nazionale che ne regoli
compiutamente i vari aspetti.
I problemi valutativi che emergono in sede di conferimento d’azienda sono
molteplici e, come nel caso della cessione, si differenziano a seconda che si
assuma il punto di vista della società conferitaria o quello della conferente. Se per
la prima si pone la questione del valore al quale devono essere iscritti i beni
ricevuti, se in misura uguale o maggiore ai valori contabili a cui erano iscritti nel
bilancio della conferente, per quest’ultima si pone un analogo interrogativo, ma
con oggetto il valore di iscrizione della partecipazione ricevuta.
Assumendo l’ottica del conferitario, da un punto di vista contabile, a seguito
dell’effettuazione dell’operazione, esso sarà tenuto ad iscrivere nel proprio attivo
e passivo tutti gli elementi oggetto dell’apporto e contestualmente procedere
all’aumento del proprio patrimonio netto attraverso l’emissione di azioni o quote
di partecipazione da attribuire in contropartita al conferente.
Per individuare i valori del compendio oggetto della vicenda il riferimento
imprescindibile in sede di conferimento è la stima effettuata dall’esperto che, a
norma dell’art. 2343 c.c., per le S.p.A., deve contenere “la descrizione dei beni o
dei crediti conferiti, l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad
essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale
soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti”46.
In prima battuta, occorre pertanto appurare se, al momento della formazione del
bilancio di apertura della società conferitaria, gli amministratori abbiano la facoltà
45
46
Cfr. L. MIELE, V. RUSSO, Cessione e conferimento d’azienda, Milano, 2009, p. 78.
La medesima disposizione è rinvenibile nell’art. 2465 c.c. per le S.r.l.
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di tralasciare quanto attestato dall’esperto ed assegnare alle attività e passività un
valore differente da quello di perizia.
Se la sopravvalutazione del conferimento e la conseguente iscrizione di maggiori
valori delle attività e minori valori delle passività, rispetto a quanto individuato in
sede di stima da parte dell’esperto, è oramai pacificamente considerata illegittima,
lo stesso non può dirsi per l’ipotesi opposta della sottovalutazione.
Una prima opzione percorribile in sede di iscrizione dell’apporto ottenuto è,
difatti, quella dell’imputazione in bilancio delle attività e passività ricevute ai
valori contabili originari, anche se inferiori ai valori determinati dalla perizia di
stima. Si tratta di un’impostazione sicuramente lecita in quanto non violerebbe
alcuna disposizione normativa in materia di conferimento, a condizione però che
il valore economico effettivo dell’azienda oggetto dell’operazione sia almeno pari
o superiore a quello contabile. In caso contrario si contravverrebbe alla
disposizione di cui all’art. 2343 c.c., venendo meno il principio di effettività del
capitale sociale47.
Al di fuori di questa eventualità, autorevole dottrina48 ritiene che i valori
evidenziati nella perizia siano quelli da riportare tassativamente nel bilancio di
apertura della conferitaria49, mentre altri Autori50 attribuiscono al valore di stima
47
Osserva M. CARATOZZOLO, I bilanci straordinari, Milano, 2009, p. 280, che la valutazione “a
valore di libro” è stata innanzitutto prevista espressamente dalla legge in alcune circostanze
passate, come per esempio in materia di ristrutturazione delle banche e di trasformazione di enti
pubblici in società per azioni. Ma è nel caso in cui non si abbia uno scambio effettivo fra parti
indipendenti, come nel conferimento dell’azienda in una società che diviene controllata al 100%
della conferente o in occasione del conferimento in società controllate al 100% sia direttamente
che indirettamente, che la valutazione debba essere necessariamente eseguita ai valori contabili
d’origine, se inferiori al valore economico effettivo.
48
M. CARATOZZOLO, I bilanci straordinari, supra, p. 304; M. MIOLA, I conferimenti in natura, in
Trattato delle società per azioni, a cura di G.E. COLOMBO, G.B. PORTALE, Torino, 2004, p. 397.
49
Come riassunto da R. PEROTTA, Il conferimento d’azienda, Milano, 2005, p. 151, il presupposto
su cui si basa questa tesi è che “nel caso in cui ad essere recepiti a valori inferiori a quelli peritali
fossero, ad esempio, elementi dell’attivo soggetti ad ammortamento, la sottovalutazione
causerebbe l’evidenziazione di minori componenti negativi di reddito (ammortamenti) nonché la
conseguente sopravvalutazione del reddito d’esercizio. La sottovalutazione, quindi, permetterebbe
la formazione di riserve occulte nonché farebbe emergere utili fittizi la cui successiva
distribuzione provocherebbe un impoverimento patrimoniale della conferitaria, dal momento che,
nella sostanza, non verrebbero ripartiti utili effettivamente realizzati, bensì parti dell’attivo posto
a copertura del patrimonio netto aziendale”.
50
B. QUATRARO, A.G. MAURI, L’aumento di capitale con conferimenti di beni in natura o di
crediti. La relazione ex art. 2343 c.c. – Contenuto – La revisione della stima – Le responsabilità
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solo la funzione di limite massimo alla valutazione delle poste oggetto
dell’apporto, in quanto coerentemente al criterio del costo, l’iscrizione dei beni
debba avvenire sulla base del prezzo effettivamente pagato51.
Su questi presupposti, si è recentemente espressa l’Assonime52 la quale, partendo
dal presupposto che non ci siano dubbi sul fatto che ai beni possa essere attribuito
un valore inferiore a quello di stima, ha individuato quale punto di partenza da
tenere in considerazione per l’iscrizione del conferimento nel bilancio della
società
conferitaria
l’ammontare
complessivo
fissato
dai
soci
per
la
determinazione del valore nominale del capitale sociale, a cui si deve aggiungere
l’eventuale sovrapprezzo. L’Associazione fra le Società italiane per Azioni ritiene
che la ripartizione di questo valore complessivo tra i singoli beni debba essere
effettuata riportando, in un primo momento, gli stessi valori contabili originari
presenti nel bilancio del conferente, per poi assegnare, in una fase successiva,
l’eventuale differenza tra quanto già allocato e il valore complessivo pattuito tra i
soci alle varie attività nei limiti del valore normale di ciascun bene. Infine, del pari
a quanto previsto per la destinazione del disavanzo in caso di fusione, qualora a
questo punto dovesse residuare ulteriormente una parte dell’entità del
conferimento
non
ancora
riassorbita,
si
può
procedere
all’iscrizione
dell’avviamento, ma solo se questo divario derivi dal maggior valore del
complesso aziendale rispetto alla somma del valore dei singoli beni.
Sempre in materia di conferimento, ulteriore aspetto rilevante consiste nella
modalità di rilevazione contabile delle poste dell’attivo patrimoniale il cui valore
iniziale di iscrizione venga rettificato da fondi di svalutazione o di ammortamento.
civili e penali dell’esperto, in Riv. dott. comm., n. 3, 1993, p. 448; R. PEROTTA, Il conferimento
d’azienda, cit., p. 82; M. CONFALONIERI, Trasformazione, fusione, conferimento, scissione e
liquidazione delle società, Milano, 2011, p. 391.
51
Ha sottolineato R. PEROTTA, Il conferimento d’azienda, cit., p. 173 che i beni conferiti devono
“essere recepiti nei conti della conferitaria in conformità al criterio del costo effettivamente
sostenuto; ciò, nell’ambito dell’operazione di conferimento, comporta l’iscrizione degli elementi
patrimoniali relativi alla combinazione economica conferita al valore di scambio definito dalle
parti, che non necessariamente coincide con quello attribuito dall’esperto nella perizia di stima ex
artt. 2343 e 2465 c.c., ma che nello stesso trova un limite superiore invalicabile”.
52
Il Caso 4/2014, La valutazione in bilancio del conferimento di azienda, dell’11 marzo 2014.
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La contabilizzazione può, difatti, avvenire secondo due differenti modalità: a saldi
“chiusi” o a saldi “aperti”.
Adottando il primo sistema, la società conferitaria recepisce nel proprio bilancio
le attività al loro valore netto, senza evidenziare i relativi fondi di svalutazione o
di ammortamento, così che a seguito dell’operazione di conferimento la
svalutazione o l’ammortamento del bene ricominci da zero53.
Con il modello a saldi “aperti”, invece, si realizza una sorta di continuità dei
valori contabili tra conferente e conferitaria, la quale assume nella propria
situazione patrimoniale il valore lordo dei beni conferiti, eventualmente rivalutati,
e i fondi rettificativi relativi preesistenti in capo al conferente.
La scelta di quale dei due metodi utilizzare sarà influenzata dal regime fiscale
adottato e dal differente contesto operativo. La contabilizzazione a saldi “chiusi”,
difatti, si presterebbe meglio alla situazione in cui il conferimento avvenga tra
terzi indipendenti e sia pertanto riconducibile al “modello cessione” in quanto
avverrebbe un vero e proprio scambio realizzativo, mentre la contabilizzazione a
saldi “aperti” parrebbe più corretta quando l’operazione venga effettuata tra
società appartenenti al medesimo gruppo, assumendo il “modello trasformazione”,
ovvero una semplice sostituzione, effettuata con scopo riorganizzativo, del
compendio conferito con una partecipazione che ne è la mera ri-espressione
indiretta54.
Passando brevemente ai riflessi contabili in capo al conferente, si deve
innanzitutto evidenziare che esso è tenuto, in primo luogo, ad eliminare dallo stato
patrimoniale tutti gli elementi dell’attivo e del passivo che sono stati oggetto di
53
Evidenziano a tal proposito A. COTTO, L. FORNERO, G. ODETTO, Cessione, conferimento, affitto
e donazione d’azienda, cit., p. 168, che in questa circostanza “i beni relativamente ai quali la
perizia fa emergere dei minusvalori latenti devono necessariamente essere iscritti dalla
conferitaria ai minori valori di perizia; i beni relativamente ai quali la perizia fa emergere dei
plusvalori latenti non devono necessariamente essere iscritti dalla conferitaria ai maggiori valori
di perizia, potendo le parti scegliere di attenersi ai minori valori contabili risultanti in capo al
conferente; in ogni caso, qualora la conferitaria iscriva l’azienda sulla base del maggiore valore
risultante dalla perizia, l’evidenziazione nella sua contabilità dei plusvalori latenti in capo al
conferente deve essere coerente con quanto evidenziato nella perizia di stima predisposta ai fini
degli artt. 2343 e 2465 c.c.”.
54
Sul punto si veda anche A. DODERO, G. FERRANTI, B. IZZO, L. MIELE, Imposta sul reddito delle
società, Milano, 2008, p. 1212.
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scorporo a favore della società conferitaria, per poi iscrivere tra le attività
patrimoniali la partecipazione ricevuta in cambio.
A questo punto, in linea di principio, il conferente ha tre diverse possibilità:
-
assumere la partecipazione allo stesso valore netto contabile del
compendio trasferito alla conferitaria, senza rilevare alcuna differenza da
conferimento;
-
assumere la partecipazione al maggior valore, rispetto a quello contabile,
cui il compendio trasferito è stato valutato, rilevando una plusvalenza da
imputare a conto economico;
-
assumere la partecipazione al maggior valore, rispetto a quello contabile,
cui il compendio trasferito è stato valutato, rilevando una plusvalenza da
imputare in un’apposita riserva di patrimonio netto.
La scelta della metodologia di contabilizzazione più appropriata avverrà a seconda
del valore al quale è avvenuta l’iscrizione contabile dell’azienda nella situazione
patrimoniale della conferitaria e, anche in questo caso, del regime fiscale che le
parti hanno inteso adottare e del contesto operativo nel quale l’operazione di
conferimento è stata effettuata55.
1.5 La contabilizzazione delle business combinations secondo i
principi contabili internazionali
L’impostazione dei principi contabili internazionali per la contabilizzazione delle
operazioni straordinarie è completamente opposta a quella domestica sinora
esaminata.
Se in base alla normativa italiana la forma contrattuale prescelta per effettuare una
determinata operazione influenza il relativo trattamento contabile, per la prassi
internazionale, invece, ciò che conta è la sostanza della vicenda, per cui si
riconosce che transazioni con similare contenuto economico possano essere
concretizzate attraverso distinti strumenti legali. Di conseguenza, al fine di evitare
55
Cfr. A. COTTO, L. FORNERO, G. ODETTO, Cessione, conferimento, affitto e donazione d’azienda,
cit., p. 176.
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che fatti economici equivalenti vengano raffigurati in bilancio in modo diverso, si
deve adottare un corpo unitario di regole di contabilizzazione per la totalità di
questi avvenimenti, con l’intento di non pregiudicare la capacità informativa del
bilancio e la sua comparabilità56.
Questo proposito è stato perseguito dallo IASB57 attraverso l’emanazione
dell’IFRS 358 intitolato business combinations, destinato alla regolamentazione
contabile di tutte le aggregazioni aziendali ad eccezione della costituzione di joint
ventures, delle acquisizioni con oggetto un’attività o un gruppo di attività che a
norma del principio in esame non costituiscono un’attività aziendale e infine nel
caso di aggregazioni di entità o attività aziendali sotto controllo comune.
Per delimitare in maniera più chiara l’ambito di applicazione dell’IFRS 3 è
necessario ricorrere alle definizioni dallo stesso riportate nell’appendice A.
In prima battuta occorre individuare cosa si intende per aggregazione aziendale,
ossia “una operazione o altro evento in cui un acquirente acquisisce il controllo
di una o più attività aziendali”59 e a questo punto appurare il significato di attività
aziendale la quale viene descritta come “un insieme integrato di attività e beni che
può essere condotto e gestito allo scopo di assicurare un rendimento sotto forma
di dividendi, di minori costi o di altri benefici economici direttamente agli
investitori o ad altri soci, membri o partecipanti”60.
Chiarire ulteriormente il concetto di attività aziendale risulta molto importante,
posto che, quando l’aggregazione ha ad oggetto un’attività le cui caratteristiche
56
In ottica IAS/IFRS assume una priorità assoluta la funzione informativa del bilancio, come
affermato, tra gli altri, da R. DI PIETRA, La cultura contabile nella scenario internazionale.
Istituzioni, principi ed esperienze, Padova, 2002; L.M. MARINIELLO FIUME, L’applicazione degli
IFRS e la valutazione delle performance d’impresa, in AA. VV., IAS/IFRS. L’applicazione nelle
banche, Roma, 2004, p. 17; M.T. BIANCHI, M. DI SIENA, IAS/IFRS e fiscalità d’impresa, Milano,
2006.
57
International Accounting Standards Board, organismo responsabile dell’emanazione dei
principi contabili internazionali denominati IAS (International Accounting Standard) e IFRS
(International Financial Reporting Standard).
58
L’ultima versione in commento deve essere applicata alle aggregazioni aziendali la cui data di
acquisizione corrisponde o è successiva all’inizio del primo esercizio con inizio dal 1° luglio 2009
e sostituisce il precedente IFRS 3 Aggregazioni aziendali risalente al 2004 di cui, per un’analisi
approfondita si vedano AA.VV., Le aggregazioni aziendali. Guida all’applicazione degli IFRS, a
cura di E. ABATE, A. VIRGILIO, Milano, 2008; M. CARATOZZOLO, Gli IAS/IFRS e la
rappresentazione contabile delle operazioni straordinarie, in Le società, n. 7, 2007, p. 796.
59
IFRS 3, Appendice A, Definizione dei termini.
60
IFRS 3, supra.
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non consentono di definirla aziendale, deve essere contabilizzata diversamente,
ovvero ripartendo il costo sostenuto complessivamente per la sua acquisizione
sulla base del peso relativo dei fair value della stessa alla data di alienazione,
senza la possibilità di iscrivere alcun avviamento61.
L’attività aziendale, per essere considerata tale, deve, in linea di massima, essere
costituita da tre elementi: i fattori di produzione, il processo e la produzione62. Ma
mentre la presenza dei primi due componenti è necessaria, lo stesso non si può
dire per il terzo, potendo essere definita come attività aziendale anche un insieme
integrato di attività in cui la produzione sia mancante.
In aggiunta, non è tantomeno indispensabile l’esistenza della totalità dei fattori di
produzione e dei processi che permettano l’autosufficienza dell’attività operativa,
essendo sufficiente che l’acquirente sia in grado, una volta rilevata l’attività
aziendale, di continuare a produrre, anche, ad esempio, attraverso l’integrazione di
propri fattori e processi63.
Ulteriore concetto da definire è quello di controllo, essendo in presenza di
un’aggregazione aziendale solo quando a seguito di un’operazione vi sia stata la
sua acquisizione da parte dell’acquirente.
61
S. AZZALI, M. ALLEGRINI, A. GAETANO, M. PIZZO, A. QUAGLI, Principi contabili internazionali,
Torino, 2006, p. 339.
62
Definiti nell’appendice B dell’IFRS 3 rispettivamente come “fattori di produzione: qualsiasi
risorsa economica che crei, o sia in grado di creare, produzione quando le vengono applicati uno
o più processi. Tra gli esempi vi sono attività non correnti (incluso attività immateriali o diritti di
utilizzo di attività non correnti), proprietà intellettuale, la capacità di avere accesso ai materiali o
ai diritti necessari e i dipendenti; processo: qualsiasi sistema, standard, protocollo, convenzione o
regola che, se applicato ai fattori di produzione, crei o sia in grado di creare produzione. Tra gli
esempi vi sono processi di gestione strategiche, processi operativi e processi di gestione delle
risorse. Generalmente questi processi sono documentati, ma una forza lavoro organizzata che
disponga delle competenze e dell’esperienza necessarie in base alle regole e alle convenzioni, può
fornire processi tali da poter essere applicati a fattori di produzione e creare produzione.
(Contabilità, fatturazione, libro paga e altri sistemi amministrativi generalmente non sono
processi utilizzati per creare produzione); produzione: il risultato di fattori di produzione e di
processi applicati ai fattori di produzione che forniscono, o sono in grado di fornire, un profitto
sotto forma di dividendi, di minori costi o altri benefici economici direttamente agli investitori o
ad altri soci, membri o partecipanti”.
63
È stato osservato, già in sede di ultima revisione dell’IFRS 3, in AA.VV., Le aggregazioni
aziendali. Guida all’applicazione degli IFRS, cit., p. 210, che un’interpretazione letterale del
principio in esame potrebbe causare un eccessivo allargamento del suo ambito di applicazione,
portando a trattare come aggregazioni di imprese diverse operazioni di acquisizione di singole
attività.
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Ai fini dell’applicazione dell’IFRS 3, si ha controllo quando si dispone del
“potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali di un’entità al fine di
ottenere benefici dalle sue attività”64.
Si tratta di una definizione abbastanza ampia che comprende sia il controllo c.d.
formale, legato all’ottenimento di più della metà dei diritti di voto dell’entità
acquisita, che il controllo c.d. sostanziale, il quale, anche quando manchi il
conseguimento di più della metà dei diritti di voto, viene esercitato tramite accordi
con altri investitori che ne permettano comunque il raggiungimento, oppure
attraverso il potere di nominare o sostituire la maggioranza dei membri del
consiglio di amministrazione o dell’equivalente organo di governo o di disporre
della maggioranza dei voti alle loro riunioni, nonché per mezzo di qualsiasi altro
accordo o in forza di uno statuto che sia idoneo a concedere il potere di
determinare le politiche finanziarie e gestionali della società acquisita65.
Ribadendo ulteriormente l’indifferenza della modalità, della struttura adottata o
della finalità per cui si intraprende l’operazione66, ogni aggregazione aziendale
deve essere contabilizzata ricorrendo al metodo dell’acquisizione67 il quale
richiede l’espletamento di diverse fasi.
64
IFRS 3, Appendice A.
Questa definizione di controllo è presente nel paragrafo 13 dello IAS 27 Bilancio consolidato e
separato.
66
Si chiarisce, ai paragrafi B5 e B6 dell’IFRS 3, che “un acquirente può acquisire il controllo di
un’acquisita in molteplici modi, per esempio:
a) trasferendo disponibilità liquide, mezzi equivalenti o altre attività (incluse le attività nette
che costituiscono un’attività aziendale);
b) assumendo passività;
c) emettendo interessenze;
d) fornendo più tipi di corrispettivi; o
e) senza trasferimento di corrispettivi, inclusa l’acquisizione unicamente per contratto.
Una aggregazione aziendale può essere strutturata con modalità diverse determinate da motivi
legali, fiscali o di altro genere che comprendono le seguenti, ma non sono a queste limitate:
a) una o più attività aziendali diventano controllate di un acquirente oppure viene realizzata
una fusione dell’attivo netto di una o più attività aziendali nell’acquirente;
b) una entità aggregante trasferisce il proprio attivo netto, o i suoi soci trasferiscono le
proprie interessenze, ad altra entità aggregante o ai suoi soci;
c) tutte le entità aggreganti trasferiscono il proprio attivo netto, o i soci di dette entità
trasferiscono le proprie interessenze, a una entità costituita di recente (talvolta
denominata operazione di accorpamento); o
d) un gruppo di precedenti soci di una delle entità aggreganti acquisisce il controllo di
maggioranza dell’entità risultante dall’aggregazione”.
67
O purchase method nella versione originale in inglese dell’IFRS 3.
65
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Un primo passo da compiere per la sua applicazione consiste nell’identificazione
dell’acquirente, ovvero dell’entità che assume il controllo dell’acquisita. Per
assolvere questo compito occorre fare ricorso alla guida contenuta nello IAS 27
sul bilancio consolidato e separato e, qualora non bastasse, si deve far riferimento
a diversi fattori. A titolo esemplificativo, riprendendo alcune delle stesse ipotesi
previste dall’IFRS 3:
-
in caso di aggregazione aziendale effettuata attraverso il trasferimento di
disponibilità liquide o attività diverse, nonché tramite l’assunzione di
passività, l’acquirente viene generalmente individuato con l’entità che
trasferisce le disponibilità liquide o le diverse attività o che assume le
passività;
-
in caso di aggregazione aziendale effettuata essenzialmente attraverso lo
scambio di interessenze, l’acquirente è generalmente colui che emette le
interessenze (ad eccezione delle acquisizioni inverse nelle quali l’entità
che effettua l’emissione è l’acquisita);
-
l’acquirente è generalmente l’entità aggregante con le dimensioni relative
notevolmente superiori a quelle delle altre entità aggreganti.
Il secondo passaggio consiste nell’identificazione della data di acquisizione, ossia
la data in cui si ottiene effettivamente il controllo dell’acquisita, che non
necessariamente coincide con quella in cui viene chiuso il contratto68.
In seguito, nodo centrale è assunto dall’applicazione dei principi di rilevazione e
valutazione alle attività identificabili69 acquisite, alle passività identificabili
assunte e a qualsiasi partecipazione di minoranza nell’acquisita.
Per poter soddisfare le condizioni di rilevazione previste ai fini dell’applicazione
del metodo dell’acquisizione, per attività e passività alla data di conseguimento si
68
È il caso, ad esempio, della presenza nel contratto di clausole sospensive.
Una attività può essere definita identificabile ai sensi dell’appendice A dell’IFRS 3 quando “è
separabile, ossia può essere separata o scorporata dall’entità e venduta, trasferita, data in
licenza, locata o scambiata, individualmente o nel contesto di un relativo contratto, attività o
passività identificabile, indipendentemente dal fatto che l’entità intenda farlo o meno; o deriva da
diritti contrattuali o da altri diritti legali, indipendentemente dal fatto che tali diritti siano
trasferibili o separabili dall’entità o da altri diritti e obbligazioni”.
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devono intendere rispettivamente le “risorse controllate dall’impresa, risultato di
operazioni svolte in passato, dalle quali sono attesi futuri benefici economici per
l’impresa” e le “obbligazioni attuali dell’impresa nascenti da operazioni svolte in
passato, il cui regolamento porterà alla fuoriuscita dall’impresa di risorse
economiche che costituiscono benefici economici” in ottemperanza alle
definizioni fornite nel Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione
del bilancio70. Inoltre dette attività e passività devono essere parte dello scambio
avvenuto tra acquirente e acquisita nell’ambito dell’operazione di aggregazione
aziendale, e non il risultato di operazioni distinte.
A seguito dell’utilizzazione del principio e delle condizioni di rilevazione
potrebbe accadere che vengano evidenziate delle attività e passività che non
figuravano nel bilancio dell’acquisita, come ad esempio alcuni beni immateriali
che, essendo stati sviluppati internamente e non acquistati a titolo oneroso, non
apparivano tra le immobilizzazioni nello stato patrimoniale, ma solamente nel
conto economico a seguito dell’imputazione del relativo costo d’esercizio.
Dopo essersi attenuti alle condizioni di rilevazione, è necessario classificare o
designare le attività acquisite e le passività assunte identificabili facendo
riferimento ai termini contrattuali, alle condizioni economiche, ai principi
operativi o contabili e a tutte le altre condizioni che possano essere considerate
attinenti a tal fine alla data di acquisizione71.
A questo punto si deve attuare la valutazione vera e propria del complesso
oggetto dell’aggregazione aziendale in base ai fair value di ogni attività e
passività sempre con riferimento alla data in cui viene ottenuto il controllo. Si
deve pertanto fare riferimento al recente IFRS 13 Valutazione del fair value,
70
Ossia il c.d. Framework IASB nel quale sono esposti i concetti base dei principi contabili
internazionali.
71
Si ha un eccezione a questo principio in sede di classificazione di un contratto di leasing come
operativo o come finanziario, conformemente allo IAS 17 Leasing e per la classificazione di un
contratto assicurativo in base all’IFRS 4 Contratti assicurativi, per la cui classificazione
l’acquirente deve fare riferimento esclusivamente ai termini contrattuali e agli altri fattori in essere
al momento della stipula del contratto.
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30
emanato con lo scopo di fornire una definizione più puntuale di “valore equo”72,
di ridurre la difficoltà nella sua determinazione e migliorare la coerenza fra i vari
standard che ne richiedono l’applicazione.
Con lo stesso principio devono essere valutate, a meno che altri specifici IFRS
non richiedano l’impiego di un criterio differente, anche tutte le altre componenti
delle partecipazioni di minoranza.
La rilevazione e valutazione del complesso aziendale oggetto di aggregazione
mediante l’impiego dei relativi principi73, costituiscono la base e l’ultimo
adempimento da assolvere prima di procedere con l’ultimo step previsto dal
metodo dell’acquisizione, ovvero la rilevazione e valutazione dell’avviamento o
di un utile derivante da un acquisto a prezzi favorevoli.
L’emersione dell’avviamento deriverà dalla differenza positiva tra il corrispettivo
trasferito che, a parte limitate eccezioni, deve essere valutato al fair value74, al
quale deve essere sommato l’importo di eventuali partecipazioni di minoranza
nell’acquisita e, in caso di aggregazione aziendale realizzata in più fasi75, il fair
value
delle
interessenze
nell’acquisita
precedentemente
72
possedute
Ossia “il prezzo che si percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il
trasferimento di una passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di
valutazione”.
73
Nei paragrafi dal 21 al 31 dell’IFRS 3 sono previste diverse eccezioni all’applicazione del
principio di rilevazione e di valutazione così distinte: eccezione al principio di rilevazione (parr.
22-23) per le passività potenziali; eccezioni ai principi di rilevazione e valutazione (parr. 24-28)
per le imposte sul reddito, i benefici ai dipendenti e le attività derivanti da indennizzi; eccezioni al
principio di valutazione (parr. 29-31) per diritti riacquisiti, operazioni con pagamento basato su
azioni e attività possedute per la vendita.
74
Principio generale posto dall’IFRS 3 nel paragrafo 37 è che “il corrispettivo trasferito in una
aggregazione aziendale deve essere valutato al fair value (valore equo) calcolato come la somma
dei fair value (valori equi), alla data di acquisizione, delle attività trasferite dall’acquirente ai
precedenti soci dell’acquisita, delle passività sostenute dall’acquirente per tali soggetti e delle
interessenze emesse dall’acquirente. […] Esempi di potenziali forme di corrispettivo includono
disponibilità liquide, altre attività, una attività aziendale o una controllata dell’acquirente,
corrispettivi potenziali, strumenti rappresentativi di capitale ordinari o privilegiati, opzioni,
warrant, e partecipazioni in entità di tipo mutualistico”.
75
Dispone l’IFRS 3 al paragrafo 41 che si è in presenza di un’aggregazione aziendale realizzata in
più fasi quando “un acquirente ottiene il controllo di un’acquisita in cui deteneva un’interessenza
immediatamente prima della data di acquisizione. Per esempio, il 31 dicembre 20X1, l’Entità A
detiene una partecipazione di minoranza del 35 per cento nell’Entità B. In tale data, l’Entità A
acquista un’ulteriore partecipazione del 40 per cento nell’Entità B, che le dà il controllo
dell’Entità B.” In questa circostanza “l’acquirente deve ricalcolare l’interessenza che deteneva in
precedenza nell’acquisita al rispettivo fair value (valore equo) alla data di acquisizione e rilevare
nel prospetto dell’utile (perdita) d’esercizio un eventuale utile o perdita risultante”.
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dall’acquirente, meno il valore netto degli importi, alla data di acquisizione, delle
attività identificabili acquisite e delle passività identificabili assunte valutate con
il procedimento anteriormente esposto.
Nella circostanza opposta in cui da questa differenza scaturisca un importo
negativo, l’acquirente ha effettuato un acquisto a prezzi favorevoli ed è perciò
tenuto a rilevare l’utile risultante nel prospetto dell’utile (perdita) d’esercizio, ma
a condizione che verifichi di aver identificato correttamente tutte le attività
acquisite e le passività assunte ed esamini che le procedure impiegate per la
valutazione di tutti gli importi siano conformi a quanto disposto dal principio
contabile in esame.
Infine, effettuata l’aggregazione aziendale, l’acquirente dovrà valutare e
contabilizzare tutto ciò che ha conseguito e gli strumenti rappresentativi di
capitale che ha emesso secondo quanto disposto dai diversi IFRS applicabili ai
singoli elementi secondo la loro natura e dovrà fornire tutte le informazioni
integrative che consentano agli utilizzatori del suo bilancio di valutare
correttamente la natura e gli effetti economico-finanziari dell’operazione quando
effettuata in corso d’esercizio o dopo la sua chiusura, ma prima che sia
autorizzata la pubblicazione del bilancio, nonché gli effetti delle rettifiche rilevate
nell’esercizio corrente a causa di aggregazioni aziendali avvenute nello stesso
esercizio o in esercizi precedenti76.
1.5.1
Le aggregazioni aziendali under common control
Per previsione espressa, l’IFRS 3 non si applica alle aggregazioni aziendali di
entità o attività aziendali sotto controllo comune, definite come quelle business
combinations “in cui tutte le entità o attività aziendali partecipanti sono in
definitiva controllate dalla stessa parte o dalle stesse parti sia prima sia dopo
l’aggregazione e tale controllo non è transitorio”.
Le motivazioni sottese a questa esclusione sono da ricercare nel fatto che le
operazioni in commento, non comportando alcuno scambio con soggetti terzi,
76
Per una completa elencazione delle informazioni richieste si vedano i paragrafi B64-B67
dell’IFRS 3.
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32
hanno una finalità differente da quella di acquisizione e di ottenimento del
controllo di entità diverse, ma piuttosto vengono realizzate con lo scopo di
riorganizzazione e razionalizzazione del gruppo societario per le ragioni più
disparate (ad esempio finanziarie, fiscali, ecc.).
La carenza di una regolamentazione specifica della materia da parte dello IASB
rende ostico perseguire il proposito dell’armonizzazione contabile internazionale e
della comparabilità dei bilanci, posto che nell’attuale scenario globale, operazioni
di questo tipo sono sempre più frequenti.
Se in prima battuta si pensasse di sopperire a tale mancanza facendo ricorso alla
normativa italiana, bisognerebbe preliminarmente considerare che, a differenza di
quanto visto per i principi contabili nazionali, conformemente al Regolamento
comunitario del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1606/2002 e ai successivi
Regolamenti della Commissione che, insieme al d.lgs. n. 38/2005, ne
rappresentano delle misure di attuazione, i principi contabili internazionali
omologati e adottati assumono il rango di norme giuridiche comunitarie,
direttamente ed immediatamente efficaci nell’ordinamento interno e prevalenti
sulle norme nazionali difformi. Formando un complesso di disposizioni di diritto
speciale, non possono inoltre essere integrate per analogia ai sensi degli artt. 12 e
14 delle Preleggi al codice civile77.
A questo punto appare chiaro che la soluzione per colmare questa lacuna debba
essere cercata innanzitutto all’interno del sistema dei principi contabili IAS/IFRS,
il quale, comunque, non lascia gli operatori alle prese con la contabilizzazione di
un’aggregazione aziendale sotto controllo comune completamente privi di
riferimenti, prevedendo nei paragrafi dal 10 al 12 dello IAS 8 Principi contabili,
cambiamenti nelle stime contabili ed errori, una serie di regole a cui deve
attenersi la direzione aziendale nel caso in cui non sia presente un principio
specifico o una interpretazione applicabile ad una determinata fattispecie.
77
Per un esame più approfondito dell’efficacia giuridica dei principi contabili internazionali M.
CARATOZZOLO, Principi contabili internazionali (dir. comm. e dir. tribut.), par. 27, in Enc. dir.,
Annali I, Milano, 2007, p. 944; G. SCOGNAMIGLIO, La ricezione dei principi contabili
internazionali IAS/IFRS ed il sistema delle fonti del diritto contabile, cit.
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33
I redattori del bilancio devono comunque, in primo luogo, utilizzare un principio
contabile che consenta di fornire un’informativa rilevante e attendibile78,
verificare la possibilità di applicare per analogia IFRS che trattano casi simili79 o
adottare principi contabili emanati da organismi diversi dallo IASB, ma
compatibili con il suo framework e non in conflitto con qualsiasi altra
disposizione o interpretazione IAS/IFRS80.
Stante l’inesistenza di altri principi contabili internazionali o loro interpretazioni
che disciplinino le operazioni tra soggetti sotto comune controllo, né sono presenti
tra i principi generali indicazioni sufficienti ad elaborare una soluzione univoca
alla questione, l’unica alternativa percorribile risulta essere l’ultima.
Considerata l’inutilizzabilità della disciplina nazionale a causa dell’inconciliabilità
dell’impostazione italiana con il framework IASB81, una strada praticabile sarebbe
78
IAS 8, par. 10: “In assenza di un Principio o di una Interpretazione che si applichi
specificatamente a una operazione, altro evento o circostanza, la direzione aziendale deve fare
uso del proprio giudizio nello sviluppare e applicare un principio contabile al fine di fornire una
informativa che sia:
a) rilevante ai fini delle decisioni economiche da parte degli utilizzatori; e
b) attendibile, in modo che il bilancio:
i)
rappresenti fedelmente la situazione patrimoniale-finanziaria, il risultato
economico e i flussi finanziari dell’entità;
ii)
rifletta la sostanza economica delle operazioni, altri eventi e circostanze, e non
meramente la forma legale;
iii)
sia neutrale, cioè scevro da pregiudizi;
iv)
sia prudente; e
v)
sia completo con riferimento a tutti gli aspetti rilevanti”.
79
IAS 8, par. 11: “Nell’esercitare il giudizio descritto nel paragrafo 10, la direzione aziendale
deve fare riferimento e considerare l’applicabilità delle seguenti fonti in ordine gerarchicamente
decrescente:
a) le disposizioni degli IFRS che trattano casi simili e correlati; e
b) le definizioni, i criteri di rilevazione e i concetti di valutazione per la contabilizzazione di
attività, passività, ricavi e costi contenuti nel Quadro sistematico”.
80
IAS 8, par. 12: “Nell’esprimere un giudizio descritto nel paragrafo 10, la direzione aziendale
può inoltre considerare le disposizioni più recenti emanate da altri organismi di formazione
contabile che utilizzano un quadro sistematico concettualmente simile per sviluppare principi
contabili, altra letteratura contabile e prassi consolidate nel settore, nella misura in cui queste
non siano in conflitto con le fonti del paragrafo 11”.
81
Cfr. M. CASÒ, M. MILITELLO, Le operazioni straordinarie tra soggetti sotto comune controllo:
individuazione della disciplina applicabile nel silenzio degli IFRS e compatibilità degli IFRS con
le disposizioni del codice civile, in Riv. dott. comm., n. 2, 2006, p. 458.
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34
l’applicazione degli US GAAP emanati dal FASB82 il cui quadro di riferimento
soddisfa i requisiti richiesti dallo IAS 883.
Il principio contabile statunitense conforme all’IFRS 3 è lo SFAS84 141 Business
Combinations il quale esplicitamente non si applica alle operazioni tra soggetti
sotto comune controllo in quanto queste non vengono neppure considerate delle
aggregazioni aziendali85 e, inoltre, non fornisce alcuna definizione di operazione
under common control, limitandosi ad enunciare un elenco esemplificativo86.
Bisogna pertanto far ricorso al documento interpretativo dell’Emerging Issues
Task Force 90-5 intitolato Exchange of Ownership Interests between Entities
under Common Control (di seguito EITF 90-5) che analizza il caso in cui, prima
di effettuare la transazione, una controllante C possiede il 100% delle società
controllate A e B dando vita alla seguente struttura di gruppo:
100%
100%
Successivamente C trasferisce la sua partecipazione nella controllata B alla
controllata A, che in cambio delibera un aumento di capitale riservato a C, la
82
Financial Accounting Standards Board.
Per completezza, si segnala che anche gli UK GAAP presentano un framework compatibile a
quello IASB e un principio contabile, l’FRS 6 Acquisitions and Mergers coerente con l’IFRS 3,
ma i principi contabili statunitensi sono dotati di una maggiore valenza internazionale.
84
Statement of Financial Accounting Standard.
85
SFAS 141, par. D11: “The term business combination as used in this Statement also excludes
transfers of net assets or exchanges of equity interests between entities under common control”.
86
SFAS 141, par. D11: “The following are examples of those types of transactions:
a) An entity charters a newly formed entity and then transfers some or all of its net assets to
that newly chartered entity;
b) A parent company transfers the net assets of a wholly owned subsidiary into the parent
company and liquidates the subsidiary. That transaction is a change in legal organization
but not a change in the reporting entity;
c) A parent company transfers its interests in several partially owned subsidiaries to a new
wholly owned subsidiary. That also is a change in legal organization but not in the
reporting entity;
d) A parent company exchanges its ownership interests or the net assets of a wholly owned
subsidiary for additional shares issued by the parent’s partially owned subsidiary,
thereby increasing the parent’s percentage of ownership in the partially owned
subsidiary but leaving all of the existing minority interest outstanding”.
83
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35
quale continuerà ad avere il controllo sia di A che di B, ma attraverso la seguente
struttura di gruppo:
100%
100%
L’EITF 90-5 dispone che in questa situazione la società A dovrà assumere nel suo
bilancio consolidato le attività e le passività della sua nuova controllata B in
continuità di valori, non essendoci stato uno scambio con terze economie.
Tuttavia, i valori contabili da iscrivere non sono quelli a cui gli elementi
patrimoniali erano imputati nel bilancio di B, ma i valori che avevano nel bilancio
consolidato della controllante C, e questo perché ciò che interessa è il costo per il
gruppo e non quello per la singola controllata87.
I valori del bilancio consolidato di C, difatti, esprimono le attività e passività di B
al loro fair value e comprendono anche l’eventuale avviamento iscritto nel caso in
cui, all’epoca in cui C abbia acquisito B da terzi, il costo della partecipazione in
quest’ultima fosse superiore alla corrispondente frazione di patrimonio netto
contabile.
Il criterio appena esposto, ossia il c.d. principio della predecessor basis, in quanto
fondato su una logica di continuità di valori a livello di gruppo, sembrerebbe il
procedimento più appropriato per la contabilizzazione di aggregazioni aziendali
sotto comune controllo, tanto che viene implicitamente richiamato dal documento
OIC 4 come metodologia da utilizzare in caso di fusione per incorporazione della
87
EITF 90-5, par. 1: “The Task Force reached a consensus on the first issue that the consolidated
financial statements of Sub A should reflect the assets and the liabilities of Sub B at the historical
cost in the consolidated financial statements of Sub As parent. Task Force members noted that the
parent company is transferring its investment in Sub B to Sub A”.
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36
controllata da parte della società controllante o di fusione tra due società
controllate dalla stessa controllante88.
Al contrario, utilizzare il purchase method, estendendo per analogia alle
operazioni sotto comune controllo la disciplina delineata dall’IFRS 3 ed
evidenziare il fair value del corrispettivo trasferito e dei beni ricevuti,
provocherebbe delle rivalutazioni ingiustificate, stante l’assenza di scambi con
terze economie.
Allo stesso modo, dato che non sembrerebbe dare sufficiente rilevanza
all’appartenenza delle diverse entità al medesimo gruppo89, non appare
convincente l’applicazione del c.d. metodo del pooling of interests in base al quale
le attività e le passività oggetto della transazione vengono assunte dall’acquirente
agli stessi valori contabili storici a cui erano esposti nei bilanci delle entità
partecipanti all’operazione e non a quelli in cui apparivano nel bilancio
consolidato, senza l’emersione dei valori correnti, dell’avviamento e di tutte le
altre differenze che potrebbero emergere (ad esempio gli avanzi e disavanzi di
fusione). Queste ultime, precisamente, devono essere eliminate compensandole
con il patrimonio netto complessivo del complesso unificato alla fine
dell’operazione90.
L’utilizzo del pooling of interests method era ammesso dallo IAS 2291 per la
contabilizzazione delle aggregazioni aziendali che davano luogo ad una uniting of
interests nel caso in cui non fosse stato possibile identificare l’acquirente ai fini
dell’applicazione del metodo dell’acquisizione. Successivamente lo IASB ne ha
esplicitamente escluso l’impiego giustificando questa scelta con il fatto che per le
true mergers e uniting of interests la rilevazione secondo il pooling of interests
88
M. CARATOZZOLO, Gli IAS/IFRS e la rappresentazione contabile delle operazioni straordinarie,
cit., p. 812.
89
Così M. CASÒ, M. MILITELLO, Le operazioni straordinarie tra soggetti sotto comune controllo,
cit., p. 457.
90
Per un’esposizione più completa delle differenze tra pooling of interests e predecessor basis si
veda A. FRANCO, Le operazioni di riorganizzazione infragruppo: profili contabili alla luce dei
principi contabili internazionali, in Riv. dott. comm., n. 1, 2006, p. 109 ss.
91
Principio antecedente all’IFRS 3 e da questo sostituito.
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37
non fornisce nessuna informazione aggiuntiva rispetto a quelle fornite con
l’applicazione del purchase method92.
Parzialmente discordante è la posizione espressa dall’ASSIREVI con la
pubblicazione degli orientamenti preliminari in tema di IFRS OPI 1 Trattamento
contabile delle business combinations under common control nel bilancio
d’esercizio e nel bilancio consolidato e OPI 2 Trattamento contabile delle fusioni
nel bilancio d’esercizio.
Secondo quanto statuito nel primo documento, prima di utilizzare un qualsiasi
metodo di contabilizzazione, è richiesto che si guardi alla sostanza economica
della singola operazione di riorganizzazione, a prescindere dalla forma giuridica
adottata, e in particolare alla sua capacità di influenzare in maniera significativa i
flussi di cassa futuri delle attività nette trasferite93.
Questa idoneità, e pertanto la presenza della sostanza economica dell’operazione,
deve essere dimostrata dagli amministratori delle entità che l’hanno posta in
essere attraverso evidenze adeguate e verificabili ed un’analisi dei flussi di cassa
che, per non violare il principio della prudenza, si deve caratterizzare per
concretezza, ragionevolezza e brevità di attuazione.
Non emergerebbero particolari problemi quando l’operazione abbia una
significativa influenza sui flussi di cassa futuri delle attività nette trasferite, che
dovranno, pertanto, essere iscritte dall’acquirente al fair value, includendo anche
l’avviamento, se esistente, configurando in questo caso una vera e propria
92
IFRS 3, versione 2004, par. BC 50: “[…] each method applied to a specific form of business
combination: the purchase method to those that were acquisitions […] and the pooling of interests
method to those that were “true mergers” or “uniting of interests”. […] The Board concluded that
the pooling of interests method should not be applied to such transactions because in no
circumstances does it provide information superior to that provided by the purchase method”.
93
Stabilisce l’OPI 1 che ”la sostanza economica deve consistere in una generazione di valore
aggiunto per il complesso delle parti interessate (quali ad esempio maggiori ricavi, risparmi di
costi, realizzazioni di sinergie) che si concretizzi in significative variazioni nei flussi di cassa ante
e post operazione delle attività trasferite. A questi fini ha scarsa rilevanza la struttura legale posta
in essere per effettuare l’operazione” precisando, poi, che per individuare il concetto di
significatività bisogna tenere presente la definizione di materialità contenuta nel paragrafo 30 del
Framework IASB, ossia che “l’informazione è rilevante se la sua omissione o errata
presentazione può influenzare le decisioni economiche degli utilizzatori prese sulla base del
bilancio. La rilevanza dipende dalla dimensione quantitativa della posta e dall’errore giudicati
nelle specifiche circostanze di omissione o errata presentazione. Perciò, la rilevanza fornisce una
soglia o un limite piuttosto che rappresentare una caratteristica qualitativa primaria che
l’informazione deve possedere per essere utile”.
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38
business combination da trattare secondo il purchase method come disposto
dall’IFRS 3.
Nella situazione in cui mancasse l’influenza della vicenda sui flussi di cassa
futuri, a contrario, ci si troverebbe di fronte ad una mera operazione di
riorganizzazione infragruppo che di conseguenza deve essere contabilizzata in
continuità di valori come “se le imprese oggetti di aggregazione fossero state
unite da sempre”.
Non è però chiaro se per continuità di valori si debba intendere quella conforme al
principio della predecessor basis o del pooling of interest. Se in un primo
momento si stabilisce che le attività nette delle entità devono essere rilevate agli
stessi valori a cui erano iscritte nelle rispettive contabilità prima dell’operazione,
perciò coerentemente al pooling of interest method, in seguito si precisa che, nel
caso ci sia la disponibilità, le attività nette possono essere trasferite ai valori
risultanti dal bilancio consolidato redatto dall’entità controllante alla data del
trasferimento, aderendo quindi al principio della predecessor basis.
Viene tuttavia puntualizzato che nel caso in cui i valori risultanti dal bilancio
consolidato siano superiori rispetto ai valori che scaturiscono dal bilancio
d’esercizio, deve essere posta particolare attenzione al momento della loro
iscrizione in capo all’entità acquirente, senza, però, specificare nient’altro.
Si ritiene in questa circostanza che, conformemente al Framework IASB e allo
IAS 8, i maggiori valori debbano essere adottati nel bilancio dell’acquirente solo
nel caso in cui siano giustificati dalla presenza di una reale sostanza economica,
mentre nel frangente in cui questa mancasse, l’aggregazione dovrebbe essere
registrata ai minori valori risultanti dal bilancio d’esercizio, in ossequio al
principio di prudenza94.
Ulteriormente, l’OPI 2, nel trattare le fusioni aventi natura di ristrutturazioni,
esordisce ribadendo che debbano essere trattate in conformità al principio
generale della continuità dei valori e si sofferma nell’analisi delle fusioni tra
94
F. ROSSI, Operazioni straordinarie tra IAS/IFRS e principi contabili nazionali, in Il regime
fiscale delle operazioni straordinarie, cit., p. 53.
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società madre e figlia posseduta al 100% adottando pienamente il principio della
predecessor basis.
Attraverso la contabilizzazione di questa operazione, infatti, deve essere dato
risalto in primo luogo alla preesistenza del rapporto di controllo tra le due società,
ma anche al
costo
che l’incorporante
aveva sostenuto
al
momento
dell’acquisizione originaria dell’incorporata da rinvenire nel bilancio consolidato
di gruppo.
Sono comunque consentite allocazioni per valori differenti, purché non superiori
ai corrispondenti valori di bilancio consolidato, i quali esprimono il limite
massimo di iscrizione dato che non essendoci stato nessuno scambio economico
con economie terze, né una vera e propria acquisizione in senso economico,
l’emersione di maggiori valori dei beni o di un ulteriore avviamento sarebbero
ingiustificati.
Infine, occorre sottolineare che lo IASB ha identificato le business combinations
under common control uno dei progetti di ricerca prioritari su cui focalizzare
l’attenzione e che l’EFRAG95 nell’ottobre 2011, accortosi delle preoccupazioni
legate alla mancanza di una regolamentazione puntuale per la rappresentazione in
bilancio delle aggregazioni aziendali sotto controllo comune, ha provveduto,
insieme all’OIC, a predisporre un discussion paper sull’argomento che non ha lo
scopo di dare alcuna risposta o conclusione definitiva, ma l’intento di stimolare la
discussione e il dibattito.
Date queste premesse si auspica di pervenire in tempi relativamente brevi ad una
soluzione univoca alla questione.
95
Per esteso European Financial Reporting Advisory Group, ovvero un comitato di esperti
chiamato ad esaminare i principi contabili IAS/IFRS e a dare pareri di tipo tecnico prima della loro
applicazione nell’Unione Europea.
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40
2 La
rilevanza
fiscale
dei
valori
scaturenti
dall’effettuazione delle operazioni straordinarie
tra realizzo e neutralità
2.1 Quadro generale
Come precedentemente accennato, la normativa fiscale domestica in materia di
imposte sui redditi, così come quella civilistica, adotta un’impostazione casistica
per la regolamentazione delle operazioni straordinarie, ma è comunque possibile
individuare due distinti principi che governano la categoria, delineando due
regimi fiscali contrapposti in cui i valori dei beni trasferiti con l’operazione
assumono maggiore o minore rilevanza: il principio di neutralità e il principio del
realizzo.
Quest’ultimo è il criterio tradizionalmente previsto per le cessioni di aziende e di
rami di aziende effettuati a titolo oneroso, non potendo essere ignorata dal
legislatore l’emersione di materia imponibile derivante dalla monetizzazione dei
plusvalori latenti e la loro acquisizione definitiva da parte del cedente a seguito
della conversione del complesso di beni aziendali in moneta.
Ferma restando la naturale attitudine realizzativa delle cessioni, il cui differente
carattere rispetto alle altre operazioni straordinarie viene sottolineato anche dal
fatto che la relativa disciplina non si trovi all’interno dei Capi III e IV del Titolo
III del TUIR, bensì nell’ambito delle norme sulle plusvalenze di cui agli artt. 68 e
86 dello stesso testo unico, non toglie che esistano comunque diverse deroghe
all’imposizione rappresentate dalla previsione di regimi sostitutivi, esoneri totali o
parziali o rinvii del prelievo, la cui giustificazione è da ricercare in esigenze di
agevolazione nella circolazione della ricchezza produttiva96.
96
Rileva G. ZIZZO, Operazioni societarie straordinarie, cit., p. 875 che “l’adozione di queste
soluzioni, se dissociata da esigenze di carattere congiunturale, è tuttavia difficile da giustificare.
Inoltre, l’asimmetria tra la posizione del venditore (che gode di un regime agevolato) e quella del
compratore (che acquisisce valori fiscalmente riconosciuti spendibili all’interno del regime
ordinario), che le contrassegna, crea forti rischi di strumentalizzazioni, temperabili,
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41
Al modello complementare, basato sul principio di neutralità, si ispira invece la
disciplina delle fusioni e delle scissioni, la cui inidoneità a far emergere materia
imponibile è avvalorata nel sistema normativo vigente attraverso l’espediente
della trasmissione dei medesimi valori fiscalmente riconosciuti tra i soggetti che
effettuano l’operazione97.
Continuità dei valori fiscalmente riconosciuti che, però, non deve essere confusa
con quella dei valori contabili, dalla quale, in ossequio al modello appunto detto
della neutralità contabile98, è possibile prescindere. Un esempio in tal senso è
rinvenibile in caso di eventuale rivalutazione in bilancio dei beni patrimoniali a
seguito dell’allocazione del disavanzo di fusione tra le attività aziendali da parte
della società incorporante, la quale non provocherà alcuna ripercussione sulla base
imponibile delle imposte sui redditi, ma richiederà solamente la predisposizione di
un prospetto di riconciliazione tra i valori contabili e quelli fiscalmente rilevanti
da esporre in dichiarazione.
Una posizione intermedia, a cavallo tra realizzo e neutralità, è infine occupata dai
conferimenti a causa del permanere, da una parte, del principio generale contenuto
nel comma 5 dell’art. 9 TUIR che attraverso un equiparazione legislativa li
assimila alle cessioni a titolo oneroso, e dall’altra, dall’estensione anche a queste
operazioni, quando aventi ad oggetto aziende o rami di aziende, della neutralità
fiscale99, con lo scopo di incentivare le diverse forme di ristrutturazione
imprenditoriale e di rendere ininfluente la disciplina tributaria sulle scelte degli
eventualmente, imponendo una diluizione nell’ammortamento del costo di quegli elementi
patrimoniali che tipicamente emergono in occasione delle operazioni in questione, come
l’avviamento e il marchio”.
97
In tal senso si veda A. FEDELE, Riorganizzazione delle attività produttive e imposizione
tributaria, cit., p. 493, che accentua la connessione tra il principio di neutralità e la “generale
formula della continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, che manterrebbe nel quadro della
razionalità complessiva del sistema eventuali scelte normative per il rinvio dell’imposizione delle
plusvalenze”.
98
Per le differenze tra il modello della “neutralità contabile” e quello del “realizzo contabile” si
veda G. ZIZZO, Operazioni societarie straordinarie, cit., p. 876.
99
Cfr. G. PORCARO, Le ragioni della sistematica neutralità delle recenti norme sulle
ristrutturazioni aziendali: dal trasferimento gratuito, al conferimento, alle fusioni, in Rass. trib.,
1997, p. 1556; R. ESPOSITO, Profili sostanziali e funzionali dei conferimenti in natura., cit.
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operatori economici, come conseguenza dell’adeguamento del sistema normativo
interno a quello comunitario100.
Influenza dell’ordinamento comunitario che è stata ancora più evidente nel settore
delle imposte indirette, tradizionalmente improntato, come si vedrà meglio più
avanti, al principio di alternatività tra IVA e imposta di registro, con quest’ultima
prevalente rispetto alla prima in materia di operazioni straordinarie.
Un lungo processo di armonizzazione e adeguamento ai dettami della comunità
europea ha portato, anche con riguardo alla disciplina delle vicende societarie
nelle imposte indirette sui trasferimenti, all’emersione di una regolamentazione
casistica basata sugli stessi criteri già visti per le imposte dirette.
È così che i conferimenti di azienda sono stati assimilati alle fusioni e alle
scissioni, stante il loro comune carattere riorganizzativo che li esclude
dall’applicazione delle imposte proporzionali di registro, ipotecaria e catastale,
mentre sorte opposta tocca alle cessioni di complessi aziendali effettuate a titolo
oneroso, la cui natura traslativa comporta l’applicazione del tributo in misura
proporzionale al valore dell’azienda alienata.
2.2 Il trattamento fiscale nelle imposte dirette delle plusvalenze
dei beni delle società fuse o incorporate e del disavanzo di
fusione
La neutralità dell’operazione di fusione ai fini delle imposte sul reddito101, per la
società fusa o incorporata, è assicurata nell’ordinamento interno dall’art. 172
100
A tal proposito, sottolineando la non completa razionalità della disciplina dei conferimenti, F.
PAPARELLA, Le operazioni straordinarie nell’ordinamento tributario, cit., p. 13, ha affermato che
“nell’ambito delle operazioni straordinarie ispirate al principio del realizzo sussistono ipotesi
come i conferimenti di dubbia coerenza sistematica frutto di un principio generale codificato in
via normativa che è ripetutamente contraddetto, sempre sotto il profilo legislativo, a causa della
previsione del principio di neutralità con riferimento a determinate fattispecie (che determinano la
piena assimilazione con le trasformazioni, le fusione e le scissioni) oppure talune facoltà
riconosciute alle parti volte ad assicurare la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti”.
101
Tra i numerosi studi sulla disciplina delle fusioni in materia tributaria si segnalano R. LUPI,
Profili tributari della fusione di società, cit.; S. PANSIERI, Fusione di società: II) dir. trib., in Enc.
giur., vol. XIV, Roma, 1988; G. ZIZZO, Le riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi,
cit., passim; M. MICCINESI, Le plusvalenze di impresa, cit., p. 239; R. TOMBOLESI, La fusione di
società, in Il regime fiscale delle operazioni straordinarie, cit., p. 147.
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TUIR il quale al primo comma statuisce che “la fusione tra più società non
costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni
delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze e il
valore di avviamento”.
La ragionevolezza dell’assunto appena enunciato appare palese se si aderisce
all’impostazione per cui la fusione non implicherebbe l’estinzione della società
incorporata, né alcun trasferimento di beni e rapporti giuridici, ma solamente una
mera modifica dell’organizzazione patrimoniale e societaria tramite il subentro
della società incorporante in tutte le situazioni giuridiche che facevano capo alle
società incorporate.
Un’ulteriore giustificazione si desume se si individuano le ipotesi che la legge
all’art. 86 del TUIR ricollega a fatti generatrici di reddito da ricondurre alla
categoria delle plusvalenze patrimoniali, ovvero il realizzo mediante la cessione a
titolo oneroso, l’assegnazione dei beni ai soci o la destinazione a finalità estranee
all’esercizio dell’impresa102. La fusione, difatti, non integra nessuna di queste
fattispecie, mancando, in primo luogo, l’attribuzione di un corrispettivo
patrimoniale, in secondo luogo non essendoci mai il rientro del patrimonio
dell’incorporata nella disponibilità dei soci, stante la diretta trasmissione dello
stesso tra le società partecipanti all’operazione, e, infine, permanendo dopo la
conclusione dell’operazione la destinazione dei beni all’esercizio dell’impresa.
Specularmente alla previsione che sancisce il difetto di attitudine della fusione a
creare componenti positivi o negativi di reddito per la società incorporata o fusa,
assumendo il punto di vista della società risultante dalla fusione o di quella
incorporante questa inidoneità a generare materia imponibile viene ribadita al
102
Solo la prima ipotesi è stata analogamente prevista come fattispecie realizzativa delle
minusvalenze patrimoniali che, a norma del rinvio effettuato dall’art. 101 TUIR, “sono deducibili
se sono realizzate ai sensi dell’art. 86, commi 1, lettere a) e b), e 2”. Non è, pertanto, contemplata,
a seguito dell’elisione del richiamo all’art. 86, comma 1, lett. c) (avvenuta con il d.l. 223/2006
convertito con modificazioni nella l. 248/2006), la possibilità di dedurre le plusvalenze
patrimoniali emerse a seguito della destinazione dei beni al consumo personale o familiare,
all’assegnazione ai soci e alla destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
L’asimmetria di disciplina tra plusvalenze e minusvalenze viene giustificata dal fatto che si ritiene
il legislatore abbia concepito l’ulteriore ipotesi di realizzo di queste componenti positive con
finalità antielusive, piuttosto che per ragioni di corretta misurazione del reddito.
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secondo comma dell’art. 172 TUIR per cui “nella determinazione del reddito
della società risultante dalla fusione o incorporante non si tiene conto
dell’avanzo o disavanzo iscritto in bilancio per effetto del rapporto di cambio
delle azioni o quote o dell’annullamento delle azioni o quote di alcuna delle
società fuse possedute da altre”.
Diretta conseguenza di questa disposizione è la precedentemente accennata
irrilevanza, ai fini delle imposte sui redditi, dell’eventuale imputazione contabile
del disavanzo ai maggiori valori correnti delle attività e la conseguente aderenza
al principio della continuità dei valori fiscalmente riconosciuti103.
L’applicazione di questo principio può tuttavia essere mitigata dal momento che
nell’ordinamento tributario è contemplata la possibilità di ovviare al
disallineamento tra i valori contabili e fiscali a fronte del pagamento di
un’imposta sostitutiva che consente l’affrancamento ai fini delle imposte sui
redditi e dell’IRAP dei maggiori valori iscritti in bilancio a seguito
dell’operazione. La sua introduzione è avvenuta con la legge finanziaria per il
2008104 e la relativa disciplina è regolata nell’art. 176, comma 2-ter, TUIR in tema
di conferimenti d’azienda105, ma applicabile anche alle fusioni ad opera del rinvio
espresso contenuto nell’art. 172, comma 10-bis, TUIR106.
103
Prosegue, difatti, l’art. 172, comma 2, stabilendo che “i maggiori valori iscritti in bilancio per
effetto dell’eventuale imputazione del disavanzo derivante dall’annullamento o dal concambio di
una partecipazione, con riferimento ad elementi patrimoniali della società incorporata o fusa, non
sono imponibili nei confronti dell’incorporante o della società risultante dalla fusione. Tuttavia i
beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all’ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte
sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei
redditi i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti”.
104
Legge 24 dicembre 2007, n. 244.
105
Art. 176, comma 2-ter, TUIR: “in luogo dell’applicazione delle disposizioni dei commi 1, 2 e 2bis, la società conferitaria può optare, nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio nel
corso del quale è stata posta in essere l’operazione o, al più tardi, in quella del periodo d’imposta
successivo, per l’applicazione, in tutto o in parte, sui maggiori valori attribuiti in bilancio agli
elementi dell’attivo costituenti immobilizzazioni materiali e immateriali relativi all’azienda
ricevuta, di un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul
reddito delle società e dell’imposta regionale sulle attività produttive, con aliquota del 12 per
cento sulla parte dei maggiori valori ricompresi nel limite di 5 milioni di euro, del 14 per cento
sulla parte dei maggiori valori che eccede 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro e del 16 per
cento sulla parte dei maggiori valori che eccede i 10 milioni di euro. I maggiori valori
assoggettati a imposta sostitutiva si considerano riconosciuti ai fini dell’ammortamento a partire
dal periodo d’imposta nel corso del quale è esercitata l’opzione; in caso di realizzo dei beni
anteriormente al quarto periodo d’imposta successivo a quello dell’opzione, il costo fiscale è
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L’opzione per l’affrancamento può essere esercitata nella dichiarazione relativa al
periodo d’imposta in cui viene effettuata l’operazione o in quella relativa al
periodo d’imposta successivo e per essere perfezionata richiede il pagamento della
prima delle tre rate annuali previste (30%, 40%, 30%) da calcolarsi in base al
modello della progressività per scaglioni aggiuntivi. Per quanto riguarda il
conteggio degli ammortamenti i maggiori valori assoggettati all’imposta
sostitutiva sono riconosciuti ai fini delle imposte sul reddito e dell’IRAP a partire
dal periodo d’imposta nel corso del quale è stata esercitata l’opzione, mentre ai
fini della determinazione delle plus/minusvalenze da realizzo dei beni oggetto del
riallineamento l’efficacia slitta a partire dal quarto periodo d’imposta successivo a
quello dell’opzione, con l’intento di evitare abusi conseguenti ad arbitraggi tra
imposta sostitutiva assolta e imposta ordinaria risparmiata. In caso di realizzo
anticipato rispetto al quarto periodo d’imposta successivo all’esercizio
dell’opzione, l’imposta sostitutiva già versata viene recuperata mediante
scomputo dall’imposta ordinaria sul reddito, mentre il costo fiscale dei beni
oggetto di rivalutazione deve essere diminuito dei maggiori valori affrancati e
dell’eventuale maggior ammortamento dedotto, depurandolo pertanto da ogni
incidenza che era stata provocata dalla rivalutazione a pagamento107.
ridotto dei maggiori valori assoggettati a imposta sostitutiva e dell’eventuale maggior
ammortamento dedotto e l’imposta sostitutiva versata è scomputata dall’imposta sui redditi ai
sensi degli articoli 22 e 79”.
106
Come sottolineato da G. ZIZZO, Le vicende straordinarie nel reddito d’impresa, in G.
FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte speciale. Il sistema delle imposta in Italia, Padova,
2013, p. 648, la portata del rinvio non appare chiara posto che l’art. 172, comma 10-bis, TUIR
dopo aver stabilito che “il regime dell’imposta sostitutiva di cui al comma 2-ter dell’articolo 176
può essere applicato, con le modalità, le condizioni e i termini ivi stabiliti, anche dalle società
incorporante o risultante dalla fusione” definirebbe poi in maniera autonoma l’ambito di
applicazione al “riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti in bilancio a seguito di tali
operazioni”, presumibilmente ampliando la portata della rivalutazione che per i conferimenti è
circoscritta alle attività classificate tra le immobilizzazioni materiali o immateriali. Rileva dunque
l’Autore che “al fine di rendere uniforme, e perciò non irragionevolmente discriminatoria, la
disciplina del regime sostitutivo, si dovrebbe pertanto assegnare al rinvio al c. 2-ter dell’art. 176
anche l’attitudine a circoscrivere l’opzione esercitabile dall’incorporante ai maggiori valori
relativi alle immobilizzazioni materiali ed immateriali”.
107
Per approfondimenti sul tema, oltre al d.m. 25 luglio 2008 di attuazione della disciplina, si veda
G. ZIZZO, Le operazioni straordinarie e la legge Finanziaria per il 2008, in Finanziaria 2008, a
cura di G. FRANSONI, Milano, 2008, p. 335; D. STEVANATO, L’imposizione sostitutiva sui
disallineamenti provocati da operazioni di riorganizzazione societaria, in Finanziaria 2008, cit.,
p. 325; G. CORASANITI, L’imposta sostitutiva nelle operazioni straordinarie, in Rass. trib., 2008,
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Un ulteriore regime opzionale è stato poi introdotto dall’art. 15 del d.l. 29
novembre 2008, n. 185108 nell’ambito delle misure adottate tra la fine del 2008 e
l’inizio del 2009 per contrastare la crisi economica. Questa complementare
imposta sostitutiva si applica al fine di affrancare i disallineamenti tra valore
d’iscrizione in bilancio e valore fiscale dell’avviamento, dei marchi d’impresa e
delle altre attività immateriali, compresi gli oneri pluriennali 109, e delle altre
attività diverse da quelle nominate nell’art. 176, comma 2-ter110, come ad esempio
i crediti, rivalutati a seguito di operazioni di conferimento d’azienda, fusione e
scissione111 effettuate entro o successivamente al periodo d’imposta in corso al 31
dicembre 2007. Con riferimento all’avviamento e ai marchi, la cui rivalutazione
avviene con il pagamento di un imposta proporzionale del 16% da versare in
p. 662; S. TRETTEL, L’imposizione sostitutiva nei conferimenti d’azienda, in Corr. trib., 2008, p.
760; E. D’ALFONSO, La nuova imposizione sostitutiva per le operazioni straordinarie, in Il regime
fiscale delle operazioni straordinarie, cit., p. 211; nonché la circ. Agenzia delle entrate 25
settembre 2008, n. 57/E; circ. Assonime 12 settembre 2008, n. 51; ris. Agenzia delle entrate 24
febbraio 2009, n. 46/E; ris. Agenzia delle entrate 27 aprile 2009, n. 111/E; circ. Agenzia delle
entrate 4 marzo 2010, n. 8/E.
108
Convertito con modificazioni nella l. 28 gennaio 2009, n. 2.
109
Art. 15, comma 10, d.l. n. 185/2008: “in deroga alle disposizioni del comma 2-ter introdotto
nell’articolo 176 del testo unico delle imposte sui redditi, […] i contribuenti possono assoggettare
in tutto o in parte, i maggiori valori attribuiti in bilancio ad avviamento, ai marchi d’impresa e
alle altre attività immateriali all’imposta sostitutiva di cui al medesimo comma 2-ter, con
l’aliquota del 16 per cento, versando in un’unica soluzione l’importo dovuto entro il termine di
versamento a saldo delle imposte relative all’esercizio nel corso del quale è stata posta in essere
l’operazione. I maggiori valori assoggettati ad imposta sostitutiva si considerano riconosciuti
fiscalmente a partire dall’inizio del periodo d’imposta nel corso del quale è versata l’imposta
sostitutiva. La deduzione di cui all’articolo 103 del citato testo unico e agli articoli 5, 6 e 7 del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, del maggiore valore dell’avviamento e dei marchi
d’impresa può essere effettuata in misura non superiore ad un decimo, a prescindere
dall’imputazione al conto economico a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello nel
corso del quale è versata l’imposta sostitutiva. A partire dal medesimo periodo di imposta sono
deducibili le quote di ammortamento del maggior valore delle altre attività immateriali nel limite
della quota imputata a conto economico”.
110
Art. 15, comma 11, d.l. 29 novembre 2008, n. 185: “le disposizioni del comma 10 sono
applicabili anche per riallineare i valori fiscali ai maggiori valori attribuiti in bilancio ad attività
diverse da quelle indicate nell’articolo 176, comma 2-ter, del testo unico delle imposte sui redditi
[…] In questo caso tali maggiori valori sono assoggettati a tassazione con aliquota ordinaria, ed
eventuali maggiorazioni, rispettivamente, dell’IRPEF, dell’IRES e dell’IRAP, separatamente
dall’imponibile complessivo, versando in unica soluzione l’importo dovuto. Se i maggiori valori
sono relativi ai crediti si applica l’imposta sostitutiva di cui al comma 10 nella misura del 20 per
cento. L’opzione può essere esercitata anche con riguardo a singole fattispecie, come definite dal
comma 5”.
111
In base alla circ. Agenzia delle entrate n. 28/2009, con riferimento alle fusioni e alle scissioni,
ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva, è necessario che l’operazione abbia ad oggetto
l’attribuzione di un compendo aziendale e non singoli beni privi di organizzazione.
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un’unica soluzione, la principale caratteristica conseguente all’applicazione di
questo regime è quella di ridurne il relativo periodo di ammortamento a dieci anni,
consentendone la deducibilità, indipendentemente dall’imputazione a conto
economico, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è versata
l’imposta sostitutiva112. Inoltre, come per il regime di cui all’art. 176, comma 2ter, i maggiori valori dell’avviamento e dei marchi rilevano a partire dal quarto
periodo d’imposta successivo a quello di esercizio dell’opzione relativamente alla
determinazione delle plus/minusvalenze da realizzo. In maniera differente, per
tutte le altre attività diverse da quelle di cui all’art. 176, comma 2-ter, l’aliquota
dell’imposta sostitutiva da versare è pari al 20% con riferimento ai crediti o
altrimenti, in tutti gli altri casi, corrispondente alla misura ordinaria, da erogare
sempre in un un’unica soluzione, e il riconoscimento fiscale del maggior valore
contabile affrancato decorre a partire dal periodo d’imposta nel corso del quale è
stata versata l’imposta, senza alcun differimento.
2.2.1
Applicazione della disciplina fiscale alle fusioni contabilizzate in
conformità allo IFRS 3
Come già ampliamente ribadito, nell’ordinamento civilistico interno, e parimenti
in quello tributario con l’art. 172 TUIR, viene dettata una disciplina univoca ed
uniforme per tutte le operazioni di fusione, indipendentemente che siano effettuate
con intento aggregativo o con finalità riorganizzative, difformemente al principio
della prevalenza della sostanza sulla forma di cui al paradigma IAS/IFRS.
Il coordinamento tra principi contabili internazionali e determinazione del reddito
d’impresa è stato, come detto, oggetto nel tempo di diversi interventi volti, in un
primo momento, a sancire la neutralità fiscale dell’applicazione degli
IAS/IFRS113, per poi, con l’emanazione della legge finanziaria per il 2008114,
112
Sempre la circ. Agenzia delle entrate 11 giugno 2009, n. 28/E, stabilisce che nel periodo in cui
è versata l’imposta sostitutiva non è possibile dedurre alcuna quota di ammortamento del maggior
valore affrancato relativo ad avviamento e marchi, nemmeno la quota ordinaria.
113
Con il d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38 per la cui disamina si rinvia a M.T. BIANCHI, M. DI SIENA,
Il coordinamento tra IAS e disciplina del reddito d’impresa: il principio di derivazione è giunto al
capolinea?, in Dialoghi dir. trib., n. 1, 2005, p. 141; G. ZIZZO, I principi contabili internazionali
nei rapporti tra determinazione del risultato di esercizio e determinazione del reddito imponibile,
in Riv. dir. trib., 2005, I, p. 1165.
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modificare l’art. 83 del TUIR115 e decretare il principio della c.d. stretta
derivazione o derivazione rafforzata del reddito imponibile dal risultato
d’esercizio, attribuendo rilevanza fiscale ai criteri di qualificazione, imputazione
temporale e classificazione previsti dai principi contabili internazionali, anche in
deroga alle norme del TUIR in materia di determinazione della base imponibile
IRES.
Questo principio di derivazione accentuata risulta, però, nettamente limitato per
quanto riguarda le operazioni straordinarie, tenuto conto del fatto che l’eccezione
posta dall’art. 83 TUIR è circoscritta alle norme presenti nella Sezione I
Determinazione della base imponibile del Capo II Determinazione della base
imponibile delle società e degli enti commerciali residenti del Titolo II Imposta
sul reddito delle società del testo unico, mentre la disciplina delle operazioni
straordinarie si trova perfino in un differente titolo, ovvero nel Titolo III
Disposizioni comuni, Capo III Operazioni straordinarie116.
Se, pertanto, da questa circostanza appare già chiaro che per i soggetti IAS/IFRS
adopter non è possibile contravvenire a quanto disposto nell’art. 172 TUIR
adottando in alternativa alle disposizioni del testo unico i criteri di qualificazione,
imputazione temporale e classificazione previsti dagli standards internazionali,
un’ulteriore conferma si trova nell’art. 1, comma 60, lett. c) della legge finanziaria
2008, dove si dispone che il Ministero dell’economia e delle finanze dovrà
114
Per una ricognizione degli esiti dell’intervento della Finanziaria 2008 in materia di IAS/IFRS
cfr. G. ZIZZO, L’ires e i principi contabili internazionali: dalla neutralità sostanziale alla
neutralità procedurale, in Rass. trib., n. 2, 2008, p. 316; mentre per un'analisi critica
dell’evoluzione legislativa in tema di coordinamento tra disciplina contabile e fiscale si veda E.
RUGGIERO, G. MELIS, Pluralità di sistemi contabili, diritto commerciale e diritto tributario:
l’esperienza italiana, in Rass. trib., n. 6, 2008, p. 1624.
115
Mediante l’art. 1, comma 58, lett. a), l. 24 dicembre 2007, n. 244.
116
Rilevano inoltre M. DI SIENA, M.T. BIANCHI, IAS/IFRS ed aggregazioni aziendali: profili
tributari, in Rass. trib., n. 2, 2007, p. 474, che “ non è difficile rilevare, infatti, come – pur in
costanza di un principio di perdurante e formale dipendenza della base imponibile dalle risultanze
del conto economico – siffatto vincolo relazionale, in materia di fusioni acquisitive fra soggetti
che adottino gli standards internazionali, è talmente tenue da apparire quasi inesistente.
L’adozione del purchase method e la conseguente rideterminazione al fair value (nei limiti del
costo sostenuto per l’aggregazione) degli elementi patrimoniali dell’entità acquisita – infatti conduce a divaricazioni così sensibili fra i valori fiscali e quelli civilistici dei singoli componenti
del patrimonio acquisito (con le conseguenze impositive che ciò determina “post” operazione) che
è ben difficile argomentare l’esistenza di una dinamica derivativa del reddito imponibile dal
risultato di conto economico”.
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emanare un decreto che preveda “i criteri di coordinamento dei principi contabili
internazionali in materia di aggregazioni aziendali con la disciplina fiscale in
materia di operazioni straordinarie, anche ai fini del trattamento dei costi di
aggregazione” affermando implicitamente, dunque, che la disciplina di cui agli
artt. 172 e ss. del TUIR avrebbe trovato applicazione anche nei confronti dei
soggetti IAS/IFRS117.
L’emanazione di detto decreto di attuazione e coordinamento è avvenuta solo nel
2009118 e con esso si è tentato di dirimere le varie incertezze e difficoltà di ordine
pratico-operativo sorte nella prassi e in dottrina119 convalidando definitivamente
l’impostazione sino ad allora prospettata, ovvero confermando la neutralità fiscale
per le operazioni di fusione contabilizzate secondo l’IFRS 3 attraverso il rinvio
esplicito alle disposizioni di cui all’art. 172 TUIR.
Il decreto ha avuto l’ulteriore merito di armonizzare la disciplina da un punto di
vista
terminologico.
L’approccio
totalmente
ispirato
alla
modalità
di
contabilizzazione postulata dalle norme domestiche appare evidente, in primo
luogo, quando l’art. 172 TUIR fa riferimento alle società fuse o incorporate o a
quelle risultanti dalla fusione o incorporanti, a differenza dell’IFRS 3 dove sono
contemplate solamente la società acquirente e le società acquisite di cui la prima
ottiene il controllo a seguito dell’operazione. Allo stesso modo viene prevista
l’irrilevanza ai fini dell’imposizione reddituale di poste quali i disavanzi di
fusione che contabilmente non hanno neppure la possibilità di generarsi seguendo
le modalità di rilevazione prevista dai principi contabili internazionali120.
117
Così A. FRANCO, Il regime fiscale delle operazioni straordinarie per i soggetti Ias alla luce
delle disposizioni recate dal decreto Ias-Ires, cit., p. 299.
118
Con il d.m. 1 aprile 2009, n. 48, e, più precisamente, per quello che qui ci interessa, con l’art. 4.
119
Sul punto si veda G. ZIZZO, Le aggregazioni aziendali contabilizzate in base allo IFRS 3, in
Corr. trib., n. 44, 2007, p. 3614; R. LUPI, A. FRANCO, Incorporazione di società, “purchase
method”, IAS e regole fiscali: un coordinamento possibile, in Dialoghi dir. trib., n. 10, 2007, p.
1267; A. FRANCO, Prime considerazioni in tema di IAS-IFRS e determinazione del reddito
d’impresa alla luce delle disposizioni introdotte dalla legge finanziaria 2008, in Riv. dott. comm.,
n. 2, 2008, p. 405.
120
Come ribadito da M. DI SIENA, M.T. BIANCHI, IAS/IFRS ed aggregazioni aziendali: profili
tributari, cit., nota 37, “l’impossibilità di assimilare le differenze da fusione scaturenti dalla prassi
domestica al goodwill e badwill di cui all’IFRS 3 non è solo genetica (nel senso che le prime
derivano dal confronto fra valori contabili mentre le seconde si incentrano sulla differenza fra
valori correnti) ma anche economica. Poiché lo standard internazionale si applica solo alle
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È così che, nell’art. 4, d.m. n. 48/2009, sparisce ogni riferimento all’incorporante
o all’incorporata (o alla società risultante dalla fusione e alla società fusa) che
diventano rispettivamente la società acquirente e la società acquisita, mentre
quando ci si riferisce al disavanzo si chiarisce che bisogna fare riferimento alla
differenza positiva tra il valore complessivo del patrimonio aziendale conseguito,
come iscritto nel bilancio della società acquirente, e il patrimonio netto dell’entità
acquisita.
Nonostante questo tentativo di riconciliazione, permangono comunque aperte
alcune problematiche.
In primo luogo, se il “patrimonio netto dell’entità acquisita” è facilmente
identificabile con il patrimonio netto contabile dell’entità acquisita, il significato
da attribuire al “valore complessivo del patrimonio aziendale” non è altrettanto
immediato. Mancando una riscontro diretto di tale espressione all’interno
dell’IFRS 3, una soluzione plausibile potrebbe essere quella di richiamare il
concetto di corrispettivo trasferito, il quale è costituito dalla somma dei fair value
alla data di acquisizione delle attività trasferite dall’acquirente ai precedenti soci
dell’acquisita, delle passività sostenute dall’acquirente per tali soggetti e delle
interessenze emesse dall’acquirente.
In seconda battuta, l’assimilazione del disavanzo di fusione alla differenza
positiva tra corrispettivo trasferito e patrimonio netto contabile dell’entità
trasferita (che approssimativamente scaturisce dalle plusvalenze da rivalutazione
delle attività acquisite al fair value e dall’eventuale avviamento) provoca rilevanti
differenze tra soggetti IAS e non IAS nella circostanza in cui si proceda
all’affrancamento fiscale dei maggiori valori contabili. In particolare, si può
notare che, in via di principio, la rilevazione contabile a norma dell’IFRS 3
consente di rivalutare le attività in misura tendenzialmente maggiore rispetto alla
transazioni fra parti indipendenti, infatti, in siffatto schema concettuale non sussiste un’entità che
possa essere assimilata al disavanzo o all’avanzo da annullamento. Del pari […] è chiaro che una
eventuale assimilazione “tout court” fra il disavanzo da concambio di cui agli standards
domestici ed il goodwill presupposto dagli IAS/IFRS risulta – in ultima analisi – una forzatura
concettuale; ciò in quanto mentre la determinazione quantitativa della prima grandezza (vale a
dire il disavanzo da concambio) può risultare episodica, alla seconda (il goodwill) è invece
sempre sottesa una “ratio” economica considerato che la stessa rappresenta la differenza fra il
costo complessivo dell’operazione ed il valore corrente del patrimonio acquisito”.
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contabilizzazione in base ai principi civilistici in quanto l’applicazione del metodo
dell’acquisizione consente di esprimere le attività dell’incorporata al loro valore
equo, nonché di evidenziare l’eventuale goodwill, a prescindere dall’esistenza di
un disavanzo da concambio o da annullamento. Emersione del disavanzo che
invece è essenziale, ai sensi dell’art. 2504-bis, per poter procedere ad una
rivalutazione delle attività e solo successivamente, in presenza di una capienza
residua, all’imputazione ad avviamento121.
Infine, ulteriore dubbio riguarda il riconoscimento fiscale delle attività e passività
che non esistevano nel bilancio della società acquisita, ma che sono emersi a
seguito dell’effettuazione dell’operazione contabilizzata in base agli standards
internazionali. L’Amministrazione finanziaria aveva espresso parere negativo con
riferimento ad un caso analogo122 con una risoluzione, tuttavia, antecedente
all’introduzione del principio della derivazione rafforzata e risalente al periodo in
cui operava ancora il principio di neutralità per i soggetti IAS/IFRS. A seguito del
cambiamento di impostazione avvenuto nell’ordinamento fiscale italiano, tale
risoluzione si potrebbe ritenere superata per propendere verso la rilevanza anche
ai fini tributari della classificazione e qualificazione degli elementi dell’attivo
patrimoniale scaturenti dall’applicazione degli IAS/IFRS e, quindi, della
riclassificazione operata in sede di iscrizione dei valori dell’attivo patrimoniale in
forza di una fusione nei limiti del costo fiscale riconosciuto nel bilancio
dell’incorporata123.
La necessità di gestire il c.d. doppio binario, originato dal rapporto tra le
valutazioni contabili IAS/IFRS e le norme per la determinazione del reddito
d’impresa, indipendentemente dal fatto che possa rivelarsi un’operazione
oltremodo complessa, appare pertanto fisiologica tutte le volte che la fusione,
121
In tal senso A. FRANCO, Il regime fiscale delle operazioni straordinarie per i soggetti Ias alla
luce delle disposizioni recate dal decreto Ias-Ires, cit.
122
Ris. Agenzia delle entrate 29 luglio 2005, n. 111/E riguardante la riclassificazione
dell’avviamento in diritti di sfruttamento commerciale di un software operata in sede di prima
applicazione dei principi contabili internazionali.
123
Così M. GHIRINGHELLI, Le aggregazioni aziendali, in La fiscalità degli IAS, a cura di F.
CROVATO, Milano, 2011, p. 381.
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avente finalità acquisitive, avviene tra soggetti indipendenti124. Ma nella
circostanza in cui la vicenda assuma caratteri riorganizzativi, e in particolare nel
caso di aggregazioni aziendali under common control, tale discrasia appare
attenuata, tanto che la norma di coordinamento IAS/IRES non si preoccupa
neanche di disciplinare puntualmente i riflessi delle fusioni tra società sotto
comune controllo125, ritenendo tali operazioni delle mere riorganizzazioni non
realizzative, sia per la disciplina fiscale che per i principi contabili
internazionali126.
A ben vedere, sia che si utilizzi la rilevazione contabile delle aggregazioni under
common control basata sul pooling of interest o il principio della predecessor
basis127, le eventuali differenze derivanti dall’operazione e le variazioni del
patrimonio netto che si produrrebbero non sarebbero esattamente coincidenti con
quelle ricollegabili all’adozione della normativa domestica, ma ciò nonostante
sembrerebbe comunque corretto dal punto di vista sistematico applicare le
124
È importante rilevare, come sottolineato da M. DI SIENA, M.T. BIANCHI, IAS/IFRS ed
aggregazioni aziendali: profili tributari, cit., nota 33, che “l’ordinamento fiscale domestico già
prevedesse, a prescindere dall’adozione degli standards contabili internazionali, situazioni di
accentuata separazione fra valori civilistici e fiscali dei cespiti come, a titolo esemplificativo,
quelle connesse all’effettuazione di conferimenti in sospensione d’imposta ai sensi dell’art. 176
del Tuir ovvero quelle derivanti dall’allocazione dell’eventuale disavanzo da fusione o scissione
senza riconoscimento fiscale (cfr. artt. 172 e 173 del Tuir). È pur vero, tuttavia, come – nel
contesto delle business combinations – tali situazioni di divaricazione valoriale finiscono per
assumere un carattere del tutto ordinario allorquando, invece, per i soggetti tenuti all’adozione
degli standards domestici esse rappresentano pur sempre un eccezione”.
125
La relazione al d.m. n. 48/2009 osserva infatti che “allo stato attuale, non sono del tutto chiari i
criteri di contabilizzazione da adottare per queste operazioni. Alcune posizioni dottrinali
propendono per l’adozione di una contabilizzazione secondo il criterio della continuità dei valori
che, pertanto, non consentirebbe all’impresa beneficiaria dell’acquisto di attribuire ai beni il
valore corrispondente al prezzo pagato. Si è ritenuto opportuno, a prescindere dalla validità o
meno delle suddette posizioni, ribadire che ai fini fiscali valgono i principi ordinari, giusta i quali
i valori fiscali dei beni dell’azienda ricevuta corrispondono al costo sostenuto”.
126
Tuttavia, come rilevato da L.A. BIANCHI, Il primo bilancio successivo alla fusione, in
Trasformazione – Fusione – Scissione a cura di L.A. BIANCHI, in Commentario alla riforma delle
società diretto da P. MARCHETTI, L.A. BIANCHI, F. GHEZZI, M. NOTARI, Milano, 2006, p. 893, ciò
sarebbe corretto solo nel caso in cui l’operazione sia rilevata in maniera conforma alla normativa
civilistica, in quanto solamente in questa circostanza si potrebbe avere l’emersione di avanzi e
disavanzi di fusione con modalità del tutto analoghe a quelli che si avrebbero se l’operazione
venisse contabilizzata da un soggetto non IAS/IFRS.
127
Per approfondimenti in merito cfr. R. PEROTTA, L’applicazione dei principi contabili
internazionali alle business combinations, Milano, 2006, pp. 177-179; M. CASÒ, M. MILITELLO,
Le operazioni straordinarie tra soggetti sotto comune controllo, cit.; M. CASÒ, M. MILITELLO,
Fusioni e conferimenti nei bilanci Ifrs: verso il tramonto del codice civile?, in La valutazione delle
aziende, n. 38, 2005, p. 58.
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disposizioni che regolano le operazioni tra soggetti indipendenti contenute
nell’art. 4 del d.m. 48/2009, sebbene al comma 2 di detta norma si faccia esplicito
riferimento solo a “i soggetti che, per effetto degli IAS, applicano il metodo
dell’acquisto128”.
2.3 (segue) le plusvalenze dei beni della società scissa e il
disavanzo di scissione
Considerazioni analoghe a quelle appena esposte, possono essere formulate anche
per la scissione la cui disciplina non si discosta in maniera significativa da quella
della fusione a cui spesso rinvia129.
Specularmente a quanto disposto nell’art. 172, in base all’art. 173 TUIR, difatti,
“la scissione totale o parziale di una società in altre preesistenti o di nuova
costituzione non dà luogo a realizzo né a distribuzione di plusvalenze e
minusvalenze dei beni della società scissa, comprese quelle relative alle
rimanenze e al valore di avviamento”.
In merito a questa disposizione, le stesse riflessioni svolte sopra a proposito della
fusione possono essere riportate in caso di scissione, avendo il rapporto tra scissa
e beneficiaria lo stesso carattere di neutralità esistente tra incorporata ed
incorporante, stante il passaggio alla beneficiaria di tutte le posizioni soggettive
che facevano capo alla scissa, in presenza di scissione totale, o la divisione e il
trasferimento di una parte di esse tra le due società, in caso di scissione
parziale130.
128
Divenuto poi metodo dell’acquisizione a seguito della traduzione italiana dell’ultima versione
dell’IFRS 3.
129
Tra gli studi concernenti la disciplina tributaria della scissione si segnalano: P. PACITTO,
Fusioni, scissioni e scambi di partecipazioni, in Imposta sul reddito delle società (IRES), a cura di
F. TESAURO, Bologna, 2007, p. 837; G. ZIZZO, Le riorganizzazioni, cit., passim; G. RAGUCCI, La
scissione di società nell’imposizione diretta, Milano, 1997; R. LUPI, Scissione di società (dir.
trib.), in Enc. giur., vol. XVIII, Roma, 1996; F. NAPOLITANO, Aspetti fiscali di fusioni e scissioni,
in AA. VV., Fusioni e scissioni di società, Milano, 1993, p. 109; M. MICCINESI, Le plusvalenze di
impresa, cit., p. 285; M. DI SIENA, La scissione di società, in Il regime fiscale delle operazioni
straordinarie, cit., p. 168.
130
La differenza fondamentale tra le due forme di scissione è che in caso di scissione totale la
società scissa si svuota completamente ed è pertanto destinata ad estinguersi, mentre in caso di
scissione parziale, non si estingue, venendo meno solo una parte del suo patrimonio.
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Simmetricamente alla regolamentazione prevista per gli avanzi e i disavanzi di
fusione, il comma 2 dell’art. 173 TUIR statuisce l’irrilevanza ai fini della
determinazione del reddito delle società degli avanzi e disavanzi da concambio e
da
annullamento
che
possono
scaturire
a
seguito
dell’effettuazione
dell’operazione, nonché la non imponibilità dei maggiori valori iscritti nel
bilancio della beneficiaria per effetto dell’imputazione del disavanzo di scissione
alle attività della scissa, considerato che tutti i beni ricevuti devono essere assunti
all’ultimo valore fiscalmente riconosciuto, facendo risultare le eventuali
differenze tra i dati di bilancio e quelli della dichiarazione in un apposito
prospetto di riconciliazione131.
Anche in questa circostanza valgono le medesime considerazioni svolte in merito
alla fusione, a cui si rinvia vista l’affinità di disciplina e di conseguenza di
problemi e soluzioni comuni alle due fattispecie, compresa la possibilità di optare,
per la società beneficiaria della scissione, all’affrancamento dei maggiori valori
iscritti in bilancio mediante l’applicazione dei regimi di imposta sostitutiva
previsti dal comma 2-ter, art. 176 TUIR132 e dall’art. 15 del d.l. n. 185/2008.
Infine, prendendo atto del riferimento esplicito anche alle previsioni in materia di
scissioni di cui all’art. 173 TUIR effettuato da parte dell’art. 4, d.m. 48/2009 in
materia di coordinamento tra la disciplina IRES e principi contabili internazionali,
valgono per queste operazioni le stesse indicazioni già espresse per le fusioni,
compresi i relativi dubbi applicativi. Rimane pertanto fermo anche per la scissione
posta in essere dai soggetti IAS/IFRS il principio di neutralità ai fini delle imposte
sul reddito, indipendentemente dalla natura e dalle finalità ricercate con
l’effettuazione dell’operazione, confermando l’immodificabilità dei valori fiscali
131
Art. 173, comma 2, TUIR: “nella determinazione del reddito delle società partecipanti alla
scissione non si tiene conto dell’avanzo o del disavanzo conseguenti al rapporto di cambio delle
azioni o quote ovvero all’annullamento di azioni o quote a norma dell’art. 2506-ter del codice
civile. In questa ultima ipotesi i maggiori valori iscritti per effetto dell’eventuale imputazione del
disavanzo riferibile all’annullamento o al concambio di una partecipazione, con riferimento ad
elementi patrimoniali della società scissa, non sono imponibili nei confronti della beneficiaria.
Tuttavia i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all’ultimo valore riconosciuto ai fini delle
imposte sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione
dei redditi, i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti”.
132
Per il richiamo espresso da parte del comma 15-bis dell’art. 173 TUIR.
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degli elementi patrimoniali oggetto di aggregazione anche quando siano stati
soggetti a variazioni contabili conseguenti all’applicazione del purchase method
(che, si ricorda, non permette l’emersione di differenze di scissione assimilabili a
quelle previste dalla disciplina domestica) e la corrispondente necessità di
gestione del doppio binario considerata altresì l’irrilevanza ai fini delle imposte
sul reddito dell’eventuale goodwill (o badwill) scaturente a seguito della
contabilizzazione a norma dell’IFRS 3.
2.4 Il trattamento fiscale della cessione d’azienda nelle imposte
dirette
A differenza delle operazioni di fusione e scissione appena esaminate, il cui tratto
caratterizzante è la neutralità ai fini fiscali, la cessione d’azienda rappresenta una
vicenda sempre realizzativa, quando effettuata a fronte del pagamento di un
corrispettivo in denaro, idonea a generare plusvalenze o minusvalenze in capo al
cedente133.
La disciplina generale è racchiusa tra le disposizioni per la formazione della base
imponibile dell’imposta sul reddito delle società e più precisamente nell’art. 86
TUIR134 che, dopo aver elencato le fattispecie realizzative di plusvalenze
patrimoniali imponibili, al comma 2 precisa che “concorrono alla formazione del
reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento,
realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso”, contemplando poi
l’evenienza in cui la cessione si realizzi tramite permuta con altri beni
133
Per approfondimenti sulla disciplina tributaria della cessione d’azienda G. PORCARO, D.
STEVANATO, La cessione di azienda, in La fiscalità delle operazioni straordinarie d’impresa, a
cura di R. LUPI, D. STEVANATO, Milano, 2002, p. 161; A. DI DIO, La cessione e la permuta di
azienda, in Il regime fiscale delle operazioni straordinarie, cit., p. 58.
134
Lo stesso articolo, al comma 4, prevede un regime di tassazione alternativo nel caso in cui il
cedente abbia posseduto l’azienda per un periodo di almeno tre anni. Soddisfacendo questo
requisito il contribuente ha la facoltà di scegliere se far concorrere la plusvalenza alla formazione
del reddito per intero nell’esercizio di realizzo o frazionarla in quote costanti nell’esercizio stesso e
nei successivi, ma non oltre il quarto. Ai sensi dell’art. 58 TUIR, invece, il cedente imprenditore
individuale può optare per la tassazione separata della plusvalenza a norma dell’art. 17, comma 2,
TUIR, se l’azienda è stata posseduta per almeno cinque anni. In entrambi i casi, la scelta di
avvalersi del regime impositivo alternativo a quello ordinario deve essere manifestata nella
dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta al quale le plusvalenze sarebbero imputabili
come reddito di impresa.
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ammortizzabili, configurando in questo caso, a condizione che venga rispettata la
continuità dei valori fiscalmente riconosciuti attraverso l’iscrizione in bilancio di
detti beni allo stesso valore al quale vi erano iscritti i beni ceduti, un’operazione
tendenzialmente neutrale se non per l’eventuale conguaglio in denaro pattuito che,
in questo particolare frangente, configurerebbe l’unica plusvalenza imponibile.
Ulteriore circostanza esplicitamente prevista dalla norma in commento in cui la
cessione del compendio aziendale non costituisce realizzo di plusvalenze è il
trasferimento dell’azienda per causa di morte o per atto gratuito in quanto il
successore o il donatario vengono considerati dal legislatore dei meri continuatori
dell’attività del dante causa, i quali devono assumere il complesso aziendale ai
medesimi valori fiscalmente riconosciuti in capo al de cuius o al donante135.
Quest’ultima disposizione è il frutto di un lungo processo evolutivo caratterizzato
da due antecedenti normativi essenziali136 che hanno alimentato un acceso
dibattito dottrinale sulla natura agevolativa o sistemica di questo tipo di
previsione.
La circostanza che nella formulazione odierna della disposizione, a differenza
delle precedenti ipotesi normative, non si faccia riferimento tra i presupposti per il
trasferimento dell’azienda in continuità di valori né alla necessità di un rapporto di
familiarità
tra
cedente
e
cessionario,
né
tantomeno
all’indispensabile
continuazione dell’attività da parte dei destinatari dell’impresa, farebbe
propendere per la tesi della valenza strutturale, piuttosto che agevolativa, della
neutralità fiscale del trasferimento gratuito dell’azienda nell’ordinamento
tributario137.
135
Per un’analisi più approfondita di alcuni aspetti peculiari di questa disciplina si rinvia a M.
BEGHIN, Il patto di famiglia tra profili strutturali e aspetti problematici, in Corr. trib., 2006, p.
3543; V. CAPOZZI, Il passaggio generazionale dell’impresa nella nuova disciplina codicistica, in
Riv. dir. trib., 2006, p. 578.
136
Da una parte l’art. 3, comma 25, lett. a), l. 23 dicembre 1996, n. 662 che aveva introdotto nel
comma 5, dell’art. 54 del vecchio TUIR un regime di neutralità per i trasferimenti gratuiti
d’azienda esclusivamente se operati in favore di familiari, e dall’altra l’art. 16, comma 2, l. 18
ottobre 2001, n. 383 che, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di parentela, riconosceva
la neutralità della cessione d’azienda per donazione o per successione a causa di morte a
condizione che il beneficiario o gli eredi proseguissero l’attività d’impresa.
137
Osserva comunque G. GIRELLI, Art. 58, D.P.R. n. 917/1986, in Commentario al testo unico
delle imposte sui redditi, a cura di G. TINELLI, Padova, 2009, p. 534 che “l’afferenza dell’azienda
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Passando all’esame della fattispecie ordinaria in cui la cessione dell’azienda
assume carattere realizzativo, per il calcolo della componente positiva di reddito
tassabile in capo al cedente138 bisogna fare riferimento alla differenza tra il
corrispettivo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, ed il
costo non ammortizzato dell’azienda inteso nel suo complesso 139, non avendo più
valore, in questa situazione, la suddivisione dei beni relativi all’impresa tra benimerce, la cui cessione genera ricavi, e beni strumentali e meramente patrimoniali,
la cui cessione genera plusvalenze o minusvalenze, divenendo l’azienda nella sua
unitarietà un compendio il cui trasferimento risulta autonomamente idoneo a dar
vita a componenti straordinarie positive e negative di reddito.
Assume dunque piena rilevanza la determinazione del corrispettivo pattuito tra le
parti in sede di cessione che, oltre alle fluttuazioni che può subire a causa
dell’influenza esercitata dalla rispettiva forza contrattuale dei due contraenti, non
deve essere computato solamente sulla base della mera sommatoria dei valori
correnti delle singole componenti che costituiscono l’azienda, ma deve tenere
conto anche della potenzialità economica dei beni dipendente dalla loro
organizzazione sistemica140.
al regime fiscale dei beni d’impresa viene, difatti, meno, a parere di chi scrive, qualora il
donatario o l’erede non continuino una qualche attività imprenditoriale servendosi del complesso
ricevuto. La decisione dell’erede o del donatario di non voler utilizzare il cespite per produrre il
reddito esclude ogni ragione di ordine fiscale che giustifichi il mantenimento del collegamento al
regime d’impresa in quanto ormai quest’ultimo non ha alcuna funzione. In tale momento, quindi,
emergono i plusvalori latenti, causati dalla destinazione a finalità estranee all’esercizio
dell’impresa, che trovano giustificazione impositiva nella deduzione del costo dei beni a suo
tempo operata dall’imprenditore e a cui, quindi, devono essere imputati”.
138
Per l’analisi di diverse questioni scaturenti dal computo della plusvalenza cfr. G. GIRELLI,
Aspetti problematici in tema di determinazione della plusvalenza derivante dal trasferimento a
titolo oneroso dell’azienda nell’ambito del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 1295.
139
Con il tentativo di individuare una nozione di azienda ai fini tributari si veda G. TREMONTI,
Conferimenti ed ammortamenti di beni aziendali, in Boll. trib., 1991, p. 261; G. TINELLI, Azienda
nel diritto tributario, in Digesto disc. priv., sez. comm., vol. II, Torino, 1995, p. 99; A. CARINCI, Il
trasferimento di azienda ai fini IVA e registro: il problema della nozione di azienda ai fini fiscali,
in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 1167; G.M. CIPOLLA, La valutazione delle aziende nel sistema della
tassazione delle imposte sui redditi, in I bilanci straordinari. Atti della Giornata di Studi. Cassino,
9 novembre 2012, Quaderni di giurisprudenza commerciale, a cura di C. MONTAGNANI, 2013, p.
88.
140
Questo surplus di valore dell’azienda rispetto alla somma dei singoli beni che la compongono,
assimilabile ad una capacità di profitto che fa acquistare al compendio aziendale un valore di
mercato superiore al suo valore netto patrimoniale, può essere identificato con l’avviamento come
definito da G. AULETTA, Avviamento, in Enc. giur., vol. IV, Roma, 1988.
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Oltre a costituire il parametro di riferimento insieme al costo non ammortizzato
dell’azienda ceduta, dal cui confronto scaturisce l’emersione della plusvalenza
imponibile per il cedente, il prezzo di cessione rappresenta il valore fiscalmente
riconosciuto in capo al cessionario, iscrivibile in bilancio, che dovrà essere
ripartito tra i diversi componenti del complesso aziendale ad operazione
conclusa141.
Nell’adempiere a questa operazione, colui che ha ricevuto il compendio oggetto
del trasferimento potrà decidere di assumere i cespiti nella sua contabilità allo
stesso valore che assumevano nel bilancio del cedente, ed eventualmente imputare
la frazione residua del corrispettivo ad avviamento, oppure prescindere
completamente dai valori storici dei beni e allocare il costo fiscale dell’azienda
nel modo che ritenga più opportuno142.
Non potendo essere considerata vincolante, come espresso da autorevole
dottrina143, neppure la ripartizione del corrispettivo di cessione come risultante dal
contratto stipulato dalle parti144, bisogna tuttavia precisare che la discrezionalità
concessa al cessionario, stante il silenzio in merito dell’ordinamento tributario,
trova un limite invalicabile nel principio civilistico di corretta valorizzazione dei
beni che, come precedentemente esposto, a tutela del principio di correttezza e
veridicità del bilancio, nonché di integrità del patrimonio, non permette
l’iscrizione di poste inesistenti o sopravvalutate.
Infine, è opportuno anche per la cessione d’azienda effettuare una breve
ricognizione delle problematiche che scaturiscono dal coordinamento della
141
Cfr. G. PORCARO, D. STEVANATO, La determinazione del prezzo nella cessione di un complesso
aziendale. Casi particolari di determinazione del “prezzo” ed allocazione di un corrispettivo
pattuito unitariamente, in La fiscalità delle operazioni straordinarie d’impresa, cit., p. 170.
142
A tal proposito si veda G. SEPIO, Imputazione del prezzo di acquisto dell’azienda e accollo di
debiti aziendali tra fisiologia e patologia, in La fiscalità delle operazioni straordinarie d’impresa,
cit., p. 180; R. LUPI, A. TRAVAIN, D. STEVANATO, G. SEPIO, Il sindacato del fisco sulla ripartizione
del prezzo d’acquisto dell’azienda tra i vari cespiti che lo compongono, in Dialoghi trib., n. 4,
2008, p. 89.
143
Così R. LUPI, Acquisti di aziende: la valorizzazione analitica è superflua e non vincola
nell’attribuzione dei valori fiscalmente riconosciuti, in Rass. trib., 1994, p. 993, secondo cui anche
nel caso siano state convenute, in sede negoziale, indicazioni specifiche sulla valorizzazione dei
beni, non sussisterebbero comunque delle motivazioni giuridiche che impediscano di
discostarsene.
144
Circostanza che avviene spesso nella prassi, soprattutto per i rilevanti riflessi in materia di
imposizione indiretta.
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disciplina tributaria domestica con la contabilizzazione di queste operazioni
secondo gli standards internazionali.
Il tentativo di ricreare un quadro coerente è stato perseguito anche per il
trasferimento del compendio aziendale con l’emanazione del d.m. n. 48/2009 il
quale, al terzo comma dell’articolo 4, stabilisce che “per le operazioni di cessione
di azienda […] rileva il regime fiscale disposto dal testo unico, anche ove dalla
rappresentazione in bilancio non emergano i relativi componenti positivi e
negativi o attività e passività fiscalmente rilevanti”.
Se questa previsione, in linea di massima, non crea particolari complicazioni
quando l’operazione avvenga tra parti indipendenti, in quanto sia secondo la
prassi contabile nazionale che quella internazionale si avrebbe una valorizzazione
del compendio a valori correnti145, lo stesso non si può dire in caso di cessione
d’azienda effettuata tra soggetti sotto comune controllo, posto che configurando
una mera riorganizzazione a norma dei principi IAS/IFRS, deve essere adottato un
trattamento contabile basato sulla continuità dei valori.
In maniera completamente opposta a quanto visto per le fusioni e le scissioni, si
pone pertanto il problema di gestione di un doppio binario per coordinare la
disciplina di un’operazione che ai fini fiscali è realizzativa, ma neutrale ai fini
contabili.
Da una parte il cedente, assumendo come abitualmente accade nella realtà che il
complesso aziendale abbia un valore di mercato superiore al valore fiscalmente
riconosciuto, dovrà stornare dalla propria contabilità i beni oggetto di cessione al
loro costo storico, rilevare il corrispettivo ricevuto al fair value e successivamente
145
Fattispecie di scostamento tra i valori degli elementi iscritti in bilancio a seguito della
contabilizzazione secondo il purchase method e quelli fiscalmente rilevanti si avrebbero nel caso
di una diversa classificazione degli elementi dell’azienda trasferita se, in base allo IFRS 3,
venissero evidenziati elementi dell’attivo o del passivo non rilevati o rilevabili al momento del
trasferimento (che comunque, per il principio di derivazione rafforzata, dovrebbero assumere
rilevanza fiscale), oppure nell’ulteriore situazione in cui il fair value dei beni dell’azienda sia
differente dal costo sostenuto per il suo acquisto. Se il fair value è superiore al costo, il cessionario
dovrebbe tassare la differenza tra fair value e costo riconosciuto al cedente con l’intento di
ottenere il riconoscimento fiscale dei maggior valori. Nell’ipotesi opposta, in cui il fair value sia
inferiore al costo, il cessionario può iscrivere la differenza negativa come avviamento che
dovrebbe assumere rilevanza ai fini fiscali, ovvero come componente negativo di reddito nel conto
economico se lo scostamento è causato da un suo errore di valutazione.
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imputare a riserva di patrimonio netto l'eventuale plusvalenza che scaturisce dal
confronto di questi due valori, la quale, anche se non iscritta nel conto economico,
concorrerà comunque alla formazione dell'imponibile come variazione in aumento
del reddito d'impresa146.
Dall'altra parte, invece, il cessionario si troverà nella particolare situazione in cui i
valori fiscalmente riconosciuti dei beni sarebbero maggiori dei valori a cui gli
stessi beni sono iscritti nel suo bilancio, dato che la somma dei primi sarebbe
complessivamente pari al corrispettivo pattuito, mentre i secondi non potrebbero
essere rivalutati (e l'eventuale avviamento non comparirebbe neanche) perché
assunti allo stesso valore che avevano nel bilancio del cedente, se l'operazione
viene contabilizzata secondo il pooling of interest method, o nel consolidato, se
adottato il principio della predecessor basis.
Ma se questi maggior valori, traducendosi in maggiori ammortamenti, devono
comunque essere considerati fiscalmente deducibili, nonostante non ne venga data
evidenza nel conto economico, per la disposizione contenuta nell'art. 109, comma
4, TUIR, per cui “si considerano imputati a conto economico i componenti
imputati
direttamente a patrimonio per effetto dei
principi contabili
internazionali”147, l'ulteriore questione che si pone è di come dare risalto
dell'allocazione del prezzo di acquisto dell'azienda sui beni facenti parte della
stessa da parte del cessionario, mancando, in questa specifica evenienza, il
riscontro che solitamente si ha nel primo bilancio post cessione.
Se una soluzione potrebbe essere quella di riferirsi a diversi documenti come
perizie di stima o situazioni patrimoniali di cessione, bisogna evidenziare che, non
essendo documenti previsti obbligatoriamente dalla legge per le operazioni di
cessione, potrebbero pacificamente essere assenti. Ma nemmeno la loro presenza
consentirebbe di risolvere la problematica in esame, soprattutto se più atti, redatti
spesso per scopi pratici nei rapporti tra i contraenti, fossero contemporaneamente
146
Così C. RICCI, IAS/IFRS e fiscalità delle operazioni straordinarie: qualificazione, imputazione
temporale e classificazione, in Rass. Trib., n. 1, 2011, p. 124.
147
Allo stesso modo l'art. 2, comma 2, d.m. n. 48/2009 stabilisce che “concorrono comunque alla
formazione del reddito imponibile i componenti positivi e negativi, fiscalmente rilevanti ai sensi
delle disposizioni dello stesso testo unico, imputati direttamente a patrimonio per effetto
dell'applicazione degli IAS”.
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disponibili, dato che nella circostanza in cui non presentassero un contenuto
analogo, come spesso accade, non ci sarebbero indicazioni precise su quale, fra i
tanti, debba prevalere sugli altri. Ma anche se si riuscisse a definire una gerarchia
tra i vari documenti o ne fosse presente soltanto uno, bisogna ricordare che ciò
non incide sulla facoltà del cessionario, come accennato, di prescindere da
qualsiasi pattuizione avvenuta tra le parti al momento dell'imputazione del valore
fiscalmente rilevante tra i beni dell'azienda acquisita148.
2.5 Il trattamento fiscale del conferimento d’azienda nelle
imposte dirette
Per lungo tempo la disciplina appena esposta prevista per le cessioni d’azienda è
stata
estesa
anche
al
conferimento
di
complessi
aziendali
per
via
dell’equiparazione tra le due fattispecie, che tutt’ora permane in via generale,
contenuta nell’art. 9, comma 5, TUIR in base al quale “ai fini delle imposte sui
redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche […]
per i conferimenti in società”.
Prima di giungere al regime attuale si sono susseguiti diversi interventi
normativi149 che progressivamente hanno completamente ribaltato la concezione
148
Come precedentemente rilevato da R. LUPI, Acquisti di aziende: la valorizzazione analitica è
superflua e non vincola nell’attribuzione dei valori fiscalmente riconosciuti, cit., p. 993, e
successivamente ribadito da A. FRANCO, Il regime fiscale delle operazioni straordinarie tra
soggetti IAS, cit., “non sembra agevole pervenire ad una soluzione univoca in merito a tale
questione, e in questa sede ci si limita a rilevare che forse sembra più corretto sostenere che il
cessionario non debba automaticamente adottare i valori dei singoli beni eventualmente risultanti
da altri documenti ma possa anche utilizzare altri criteri – purché, come sopra accennato, logici e
ragionevoli –, sia perché tali documenti sono redatti per altri scopi (di ordine pratico e negoziale)
né sono previsti da alcuna norma giuridica, sia perché generalmente le pattuizioni intercorse tra
le parti, peraltro solo eventuali, in merito al valore dei singoli beni non sembrano avere
conseguenze sul regime impositivo previsto per il cedente ed il cessionario”.
149
Il primo provvedimento in materia, limitato agli istituti di credito, è stato la legge 30 luglio
1990, n. 218 (c.d. legge Amato), poi seguito dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, che ha
riconosciuto la neutralità dei conferimenti di azienda effettuati tra società di Stati membri
comunitari. In seguito, la l. 23 dicembre, 1996, n. 662 conteneva una delega al governo per
l’individuazione di una disciplina fiscale dei conferimenti d’azienda che individuasse le analogie
con le altre operazioni societarie aggregative neutrali. Delega che è stata attuata con l’emanazione
degli artt. 3 e 4, d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, la cui disciplina essenziale è stata riproposta negli
artt. 175 e 176 TUIR infine modificati ad opera della legge finanziaria per il 2008 (l. n. 244/2007).
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dell’operazione in esame che, da evento realizzativo, ha finito per essere
assimilato alle altre vicende fiscalmente neutrali come le fusioni e le scissioni150.
È così che ai sensi dell’art. 176 del TUIR “i conferimenti di aziende effettuati tra
soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali,
non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze”, in maniera del tutto
equivalente a quanto accade a seguito delle operazioni di fusione e scissione151.
Presupposto per l’applicazione del regime di neutralità è il permanere del valore
fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita in capo alla partecipazione
ricevuta dal soggetto conferente, mentre il soggetto conferitario subentra nella
posizione della controparte in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo
dell’azienda stessa152.
Naturalmente, anche in questo caso, alla continuità dei valori fiscali è probabile
non corrisponda quella dei valori contabili, posta la possibilità per il conferitario,
come visto, di iscrivere in bilancio il compendio ricevuto a valori correnti
(presumibilmente quelli risultanti dalla perizia di stima), nonché di evidenziare
eventuali poste immateriali, tra cui l’avviamento e i marchi, che neanche
comparivano nella situazione patrimoniale del conferente. In presenza di tale
disallineamento tra valori contabili e fiscali, l’unico onere posto a carico del
conferitario sarà quello di predisporre un prospetto di riconciliazione da allegare
alla dichiarazione dei redditi.
150
Sul tema G. PORCARO, Le ragioni della sistematica neutralità delle recenti norme sulle
ristrutturazioni aziendali: dal trasferimento gratuito, al conferimento, alle fusioni, cit.; R.
ESPOSITO, Profili sostanziali e funzionali dei conferimenti in natura., cit., p. 455; A. TURCHI, I
conferimenti, in Imposta sul reddito delle società, cit., p. 731; CORASANITI G., Profili tributari dei
conferimenti in natura e degli apporti in società, cit., p. 222; A. TURCHI, Conferimenti ed apporti
nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, p. 331; P. PURI, Le concentrazioni di aziende
tra bonus aggregativi ed imposta sostitutiva, in Il regime fiscale delle operazioni straordinarie,
cit., p. 539.
151
Questa scelta normativa è stata criticata da D. STEVANATO, Lo smantellamento del
conferimento realizzativo d’azienda ancorato ai valori contabili: i passi indietro di un legislatore
frettoloso, in Dialoghi dir. trib., n. 3, 2008, p. 129.
152
A norma del comma 2, art. 176 TUIR, le stesse disposizioni si applicano anche se uno dei due
soggetti partecipanti all’operazione non sia un soggetto residente, quando oggetto del
conferimento è un’azienda situata nel territorio dello Stato. L’amministrazione finanziaria con la
circolare n. 57/2008 ha ritenuto ulteriormente ampliabile l’ambito di applicazione della disciplina
anche nel caso in cui tutti e due i soggetti siano non residenti.
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Rimane comunque ferma la possibilità di affrancare i maggiori valori risultanti dal
bilancio ai fini delle imposte sul reddito e dell’IRAP mediante il pagamento delle
imposte sostitutive trattate con riferimento alle fusioni e alle scissioni di cui
all’art. 176, comma 2-ter, TUIR, la cui disciplina peraltro è stata concepita
originariamente proprio per i conferimenti d’azienda153, e all’art. 15, d.l. n.
185/2008.
Se uno dei motivi che ha portato la parificazione dei conferimenti alle vicende che
non comportano la monetizzazione dei plusvalori e minusvalori potrebbe essere la
considerazione che, a differenza della compravendita, permane in questo caso il
nesso tra l’azienda e il suo titolare, anche se non più in maniera diretta, ma
indirettamente attraverso la partecipazione ricevuta, si ritiene che la vera ragione
ad aver portato all’emanazione di tale intervento normativo sia quella di evitare i
margini di pianificazione fiscale che risultavano possibili con la vecchia disciplina
c.d. a realizzo controllato154155.
Per i contribuenti, invece, il regime della neutralità da un lato porta il beneficio
del rinvio del prelievo156, mentre dall’altro provoca l’inconveniente della doppia
tassazione dei plusvalori aziendali sotto forma di minori ammortamenti, maggiori
plusvalenze e minori minusvalenze in capo alla conferitaria, e sotto forma di
153
Cfr. R. LUPI, Un’imposta sostitutiva “consapevole”, anche se non logicamente necessitata, in
Dialoghi dir. trib., n. 9, 2007, p. 1122; D. STEVANATO, L’imposizione sostitutiva sulle
riorganizzazioni aziendali, in Corr. trib., n. 46, 2007, p. 3742; M. BEGHIN, Conferimenti d’azienda
e nuove imposte “sostitutive”, in Corr. trib., n. 3, 2008, p. 185.
154
Fino all’entrata in vigore della finanziaria 2008, era previsto un’ulteriore regime, oltre a quello
di neutralità, per cui il valore di realizzo al quale riferirsi per la determinazione dell’eventuale
plusvalenza corrispondeva al maggiore tra il valore di iscrizione delle partecipazioni nella
contabilità del conferente e il valore di iscrizione dell’azienda nella contabilità del conferitario. Al
riguardo si veda G. PORCARO, Il conferimento in società tra neutralità e simmetria, in La fiscalità
delle operazioni straordinarie d’impresa, cit., p. 277.
155
Questa impostazione pare confermata dalla relazione al d.d.l. n. 1817 finanziaria 2008 secondo
cui l’estensione del regime di neutralità al conferimento e l’introduzione dell’imposizione
sostitutiva “comporta, da un lato, che si evitino arbitraggi – quali quelli possibili nell’ambito
dell’attuale regime – consistenti nel sottoporre ad imposizione i conferimenti nei periodi in cui
sono utilizzabili perdite fiscali – e, dall’altro che la base imponibile dell’imposta sostitutiva possa
essere determinata per differenza tra i plusvalori e i minusvalori degli elementi dell’attivo e del
passivo del compendio aziendale; situazione, questa, che si presta ad incertezze valutative e anche
al riconoscimento di rilevanza fiscale a fondi diversi da quelli espressamente considerati nel testo
unico”.
156
Si avrà tassazione dei plusvalori latenti solo nel momento in cui il conferente cederà la
partecipazione o la società conferitaria cederà l’azienda.
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plusvalenza da cessione della partecipazione ricevuta per il soggetto conferente a
seguito dello sdoppiamento del valore dell’azienda che assume la veste di
parametro di riferimento per la valutazione sia del compendio apportato che della
partecipazione157.
In conclusione, occorre ricordare che anche il conferimento di azienda, quando
contabilizzato in conformità all’IFRS 3 ed effettuato tra parti indipendenti,
configura un’operazione realizzativa da rilevare secondo il purchase method con
la conseguenza che a seguito della sua effettuazione sarà pertanto necessario
occuparsi della gestione del doppio binario contabile-fiscale, con tutte le difficolta
tecnico-operative che comporta. Problematica che invece non si presenterà se
l’operazione viene effettuata tra soggetti sotto comune controllo, stante la
conformità al principio di neutralità che sostanzialmente accomuna in questa
circostanza sia la disciplina contabile che quella fiscale.
2.6 Le operazioni straordinarie nelle imposte indirette
2.6.1
Nozioni introduttive
Il diritto comunitario ha assunto un ruolo fondamentale nella riforma del settore
dell’imposizione indiretta. Fattore determinante che ha portato alla modifica della
gerarchia nel comparto in esame è stata in prima istanza l’introduzione dell’IVA
che divenendo l’imposta dominante sui consumi, ha escluso, quando
un’operazione rientri nel suo campo di applicazione, che possa realizzarsi il
presupposto delle altre imposte indirette, sancendo il principio di alternatività
rinvenibile nell’art. 40 del D.P.R. n. 131/1986.
In base a tale articolo, in modo da evitare la duplicazione del prelievo tributario,
l’imposta di registro può essere applicata solamente in misura fissa tutte le volte
157
Così G. ZIZZO, Le vicende straordinarie nel reddito d’impresa, cit., p. 603, secondo cui la
doppia imposizione è “un maleficio che potrebbe essere impedito, circoscrivendo la continuità al
piano della conferitaria (ossia ai valori dell’azienda), e così ammettendo l’assegnazione alla
partecipazione ricevuta dalla conferente di un valore fiscalmente riconosciuto allineato al valore
attuale dell’azienda conferita. La cancellazione del prelievo sulla plusvalenza della
partecipazione, avrebbe, infatti, un impatto sistematico molto meno significativo di quello che
avrebbe la cancellazione del prelievo sulla plusvalenza dell’azienda, e risulterebbe perciò
probabilmente tollerabile”.
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in cui l’atto soggetto a registrazione ha ad oggetto cessioni di beni o prestazioni di
servizi soggette all’IVA.
Le operazioni che escludono l’applicazione dell’imposta di registro in misura
proporzionale non sono solamente quelle imponibili, ma anche quelle non
imponibili ed esenti, non risultando pertanto rilevante, ai fini dell’alternatività,
l’effettiva corresponsione dell’imposta sul valore aggiunto158.
Il principio di alternatività, fino ad allora perfettamente operante, ha incontrato
delle prime attenuazioni con l’introduzione del d.l. 4 luglio 2006, n. 223,
convertito con modificazioni nella l. 4 agosto 2006, n. 248159, che ha dato il via al
progressivo ampliamento dei casi di applicazione dell’imposta di registro in
misura proporzionale anche in presenza di alcune operazioni effettivamente
assoggettate ad IVA, con l’intento di sostituire all’imposta sul valore aggiunto
normalmente neutrale il maggior gettito derivante dalle imposte di registro,
ipotecaria e catastale, ma di fatto facendo perdere coerenza al sistema rendendolo
più incerto e complesso160.
Tornando alle operazioni straordinarie, il principio di alternatività non ha subito
deroghe, mantenendo, almeno con riguardo a questa materia, piena operatività.
Coerentemente alla direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE e ai suoi successivi
aggiornamenti161, il comma 3 dell’art. 2 (lett. b) e f)) e il comma 4 dell’art. 6 (lett.
d)) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, prevedono che l’imposta sul valore
158
Secondo A. MONTESANO, B. IANNELLO, Imposte di registro ipotecaria e catastale, Milano,
2008, p. 205, la scelta del legislatore di non far gravare l’imposta di registro in misura
proporzionale anche alle operazioni esenti le quali, seppur rientranti nell’ambito di applicazione
dell’IVA non fanno sorgere l’obbligo di versamento del tributo, si giustifica con l’esigenza di non
contraddire le ragioni che lo hanno precedentemente indotto a prevedere per le stesse il particolare
regime agevolativo in sede di promulgazione dell’imposta sul valore aggiunto.
159
Come sottolineato da M.P. NASTRI, Art. 40 D.P.R. n. 131/1986, in Commentario breve alle
leggi tributarie, a cura di G. MARONGIU, Tomo IV, Padova, 2011, p. 860 “il principio è, infatti,
derogabile essendo stato introdotto con legge ordinaria, vincolante per il legislatore delegato del
1972/73, quindi sotto il profilo meramente tecnico, è modificabile da parte del legislatore
successivo con legge ordinaria”.
160
Per una disamina più completa delle deroghe poste dall’intervento legislativo del 2006 si veda
M. BASILAVECCHIA, Problematiche concernenti il nuovo sistema di alternatività tra Iva e imposte
sui trasferimenti della ricchezza, in Novità e problemi nell’imposizione tributaria relativa agli
immobili. I quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, n. 4, 2006, p. 101.
161
Direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE.
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aggiunto non si applichi alle cessioni e ai conferimenti di aziende, nonché alle
fusioni e alle scissioni, sulla base della c.d. regola della non avvenuta cessione.
Pertanto, in questa circostanza, l’attenzione deve essere spostata sul sistema delle
imposte indirette sui trasferimenti, in cui i riflessi comunitari si sono avvertiti a
seguito del processo di armonizzazione fondato sulla direttiva 17 luglio 1969, n.
69/335/CEE e sui successivi provvedimenti162, che in materia di operazioni
straordinarie hanno delineato un complesso di criteri distintivi simili a quelli
tracciati per le imposte dirette.
2.6.2
Le operazioni soggette ad imposta in misura fissa: fusioni, scissioni e
conferimenti d’azienda
Per quanto riguarda l’imposizione degli atti societari, come appena brevemente
accennato, la disciplina vigente è il risultato di un lungo processo che ha portato
l’adeguamento dell’ordinamento interno ai dettami delle diverse direttive
comunitarie che si sono susseguite sulla materia, soprattutto con riferimento ai
conferimenti163.
La prima direttiva ad intervenire sull’argomento è stata la n. 335 del 17 luglio
1969, che imponeva agli Stati membri dell’Unione europea di istituire un’imposta
indiretta sulla raccolta di capitali, con l’intento di favorirne la libera circolazione
all’interno della comunità e di armonizzare la disciplina dei vari paesi; tale
imposta doveva avere come presupposto la costituzione di una società di capitali,
anche mediante trasformazione di un’associazione, persona giuridica o altra
società non di capitali, l’aumento di capitale o patrimonio sociale, nonché il
trasferimento della sede di una società da o verso un paese terzo all’U.E.164.
162
Direttiva del Consiglio del 9 aprile 1973, n. 73/79/CEE, direttiva del Consiglio del 7 novembre
1974, n. 74/553/CEE, direttiva del Consiglio del 10 giugno 1985, n. 85/303/CEE, direttiva del
Consiglio del 20 novembre 2006, n. 2006/98/CE e infine direttiva del Consiglio del 12 febbraio
2008, n. 2008/7/CE.
163
Sulla materia si vedano AA.VV., Atti societari ed imposizione indiretta, a cura di A. DI PIETRO,
Padova, 2005; D. BUONO, L’imposizione indiretta e le operazioni straordinarie, in Il regime
fiscale delle operazioni straordinarie, cit., p. 390.
164
Quest’ultima previsione, pur non configurando una vera e propria raccolta di capitali, è stata
annoverata tra le fattispecie generatrici d’imposta per finalità antielusive.
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In seguito la direttiva 9 aprile 1973, n. 80 è intervenuta modificando al ribasso le
aliquote precedentemente previste per l’imposta sui conferimenti dalla direttiva
del 1969, oltre a renderne facoltativa l’introduzione e concedere agli stati membri
la facoltà di prevedere aliquote ulteriormente inferiori fino a permettere la
soppressione del tributo.
La tendenza alla detassazione si è rivelata in maniera più marcata, in seguito,
prima con la direttiva 10 giugno 1985, n. 303 che, equiparando i conferimenti alle
fusioni e alle scissioni, ne ha disposto l’esclusione dal prelievo, e successivamente
con la direttiva 12 febbraio 2008, n. 7 che ha negato la possibilità di introdurre
l’imposta sulla raccolta dei capitali se non già prevista dai singoli stati entro il 1°
gennaio 2006, o di reintrodurla nel caso in cui fosse stata abolita nel frattempo.
Per quanto riguarda l’ordinamento nazionale, il primo tentativo di adeguamento
alla disciplina comunitaria è avvenuto con l’introduzione dell’imposta di registro
di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634. Non si trattava, però, di un intervento
totalmente conforme alle regole imposte dalla comunità europea, dato che erano
previste delle aliquote proporzionali differenziate per le diverse operazioni, invece
che un’aliquota unitaria come prescritto dalla direttiva comunitaria. Per questo
motivo si rese necessaria l’emanazione dell’art. 7, legge 16 dicembre 1977, n.
904, che stabilì, sia per le fusioni che per i conferimenti di aziende, l’applicazione
dell’imposta di registro nella misura dell’1%.
Neanche l’adeguamento al successivo regime di detassazione di cui alla direttiva
n. 303/1985 è stato immediato, ma è avvenuto solo a seguito dell’intervento da
parte della Corte di Giustizia europea165 che ha decretato l’illegittimità
dell’imposizione proporzionale sino ad allora ancora contemplata per le
operazioni di fusione, scissione166 e conferimento d’azienda, così che il legislatore
165
Sentenza 13 febbraio 1996, cause C-197/94 e C-252/94.
L’introduzione nella disciplina dell’imposta di registro dell’operazione di scissione è avvenuta
a seguito delle modifiche apportate al Testo unico del registro da parte dell’art. 16, comma 13,
della legge 24 dicembre 1993, n. 537 che ha equiparato il trattamento di questa operazione a quello
riservato alle fusioni.
166
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è dovuto intervenire con il d.l. 20 giugno 1996, n. 323167 sancendo per le vicende
in esame l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.
Per i conferimenti d’azienda permanevano comunque alcune limitazioni, dato che
la tassazione appena introdotta era prevista solamente nei casi in cui l’operazione
veniva effettuata da una società in favore di un’altra, sia che fosse già esistente o
da costituire.
Un primo ampliamento dell’ambito dei soggetti che potevano usufruire della
tassazione in misura fissa avvenne pertanto con l’art. 25 della legge 8 maggio
1998, n. 146, che ne ha esteso l’applicabilità anche ai conferimenti d’azienda
effettuati dall’imprenditore individuale in sede di costituzione di società, ma solo
con la legge 23 dicembre 1999, n. 488, si pervenne alla definitiva
generalizzazione della disciplina168, con l’adozione dell’imposizione di registro in
misura fissa indipendentemente dalla configurazione soggettiva assunta dal
conferente o dal conferitario.
Sulla scia di questi interventi, l’esclusione dall’applicazione dell’imposta
proporzionale per i conferimenti d’azienda, le fusioni e le scissioni è stata stabilita
anche ai fini delle imposte ipotecaria e catastale169.
2.6.3
Le operazioni soggette ad imposta in misura proporzionale: le cessioni
d’azienda
Quanto appena detto non vale per le cessioni di azienda, stante la diversa natura
che
viene
tradizionalmente
attribuita
a
queste
operazioni
all’interno
dell’ordinamento tributario nazionale.
Gli atti di trasferimento del complesso aziendale, difatti, scontano l’imposta di
registro in misura proporzionale e non fissa, ma non è prevista dal testo unico del
registro una specifica aliquota da applicare a queste operazioni, dovendosi fare
riferimento di volta in volta alle differenti percentuali previste dalla tariffa per i
beni immobili, i beni mobili in genere, i crediti e le unità da diporto.
167
Convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1996, n. 425.
Permane tuttora solamente una deroga per i conferimenti di immobili e di diritti reali
immobiliari.
169
Rispettivamente nell’art. 1 della tariffa allegata e nell’art. 10 del d.lgs. n. 347/1990.
168
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Dalla regola di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 131/1986, secondo cui “se una
disposizione ha ad oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote
diverse, si applica l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti
siano stati pattuiti corrispettivi distinti”, deriva la buona prassi da parte dei
contraenti di indicare nell’atto di trasferimento il valore dei singoli beni che
compongono il compendio, così da evitare, ad esempio, che alla cessione di
un’azienda in cui siano presenti anche beni immobili venga imposta
complessivamente la più gravosa tassazione prevista per questa tipologia di beni.
La base imponibile sui cui parametrare l’imposta di registro è costituita dal valore
venale in comune commercio170 dell’azienda per la determinazione del quale si
deve comprendere l’eventuale avviamento e devono essere dedotte le passività
risultanti dalla scritture contabili o dagli altri atti aventi data certa a norma del
codice civile171.
La definizione del valore d’avviamento è il punto su cui l’amministrazione
finanziaria concentra maggiormente la sua attenzione e che spesso costituisce
oggetto di contestazione, mancando dei criteri univoci stabiliti dalla legge o dalla
pratica per il calcolo di tale qualità specifica del complesso di beni organizzato
dall’imprenditore, la cui valutazione non può prescindere dal novero di situazioni
che possono presentarsi nell’esame concreto della realtà aziendale che deve essere
svolto caso per caso.
Nonostante questo, è prassi dell’Agenzia delle entrate fare riferimento a quanto
disposto nell’art. 2 del D.P.R. 31 luglio 1996, n. 460 in materia di accertamento
con adesione per le imposte indirette, secondo cui “per le aziende e per i diritti
reali su di esse il valore di avviamento è determinato sulla base degli elementi
desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di
redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai
fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello
170
Come disposto dal comma 2 dell’art. 51, D.P.R. n. 131/1986 in deroga al principio generale
stabilito dal primo comma che “assume come valore dei beni o dei diritti […] quello dichiarato
dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l’intera durata del
contratto”.
171
Così dispone l’ultimo comma dell’art. 51, D.P.R. n. 131/1986.
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in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3. La percentuale di
redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d’impresa e i ricavi
accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo
periodo” 172.
Il criterio forfettario appena riportato costituisce comunque un parametro minimo
a cui l’amministrazione finanziaria può riferirsi durante il procedimento di
accertamento con adesione, avendo comunque il diritto di utilizzare qualsiasi altra
metodologia di accertamento, purché provveda a darne adeguata motivazione
nell’atto impositivo173.
Per quanto riguarda invece le passività aziendali174, queste devono essere ripartite
tra i diversi beni che compongono il compendio oggetto di cessione
proporzionalmente al loro rispettivo valore175, anziché decurtare direttamente il
valore dello specifico bene per il quale sono state sostenute, non assumendo
rilievo in questa circostanza alcun eventuale vincolo di inerenza176.
Infine, occorre rimarcare che nel caso in cui l’azienda comprenda anche beni
immobili o diritti reali immobiliari, sul valore di questi, calcolato con riferimento
alla base imponibile determinata ai fini dell’imposta di registro177, devono essere
applicate in misura proporzionale anche le imposte ipotecaria e catastale.
172
L’articolo prosegue statuendo che “il moltiplicatore è ridotto a 2 nel caso in cui ricorra almeno
una delle seguenti situazioni:
a) l’attività sia stata iniziata entro i tre periodi d’imposta precedenti a quello in cui è
intervenuto il trasferimento;
b) l’attività non sia stata esercitata, nell’ultimo periodo precedente a quello in cui è
intervenuto il trasferimento, per almeno la metà del normale periodo di svolgimento
dell’attività stessa;
c) la durata residua del contratto di locazione dei locali, nei quali è svolta l’attività, sia
inferiore a dodici mesi”.
173
Così si è espressa anche recentemente la Cass, 27 marzo 2012, n. 4931 e precedentemente la
Cass., 17 febbraio 2006, n. 3505, Cass., 27 luglio 2007, n. 16705, Cass., 23 luglio 2008, n. 20280.
174
Per l’analisi di alcune situazioni particolari si veda A. TAGLIONI, Rilevanza della passività
trasferite in cessione di complessi aziendali, in Corr. trib., n. 32, 2006, p. 2532.
175
Dispone l’art. 23, comma 4, D.P.R. n. 131/1968 che “nelle cessioni di aziende o di complessi
aziendali relativi a singoli rami dell’impresa, ai fini dell’applicazione delle diverse aliquote, le
passività si imputano ai diversi beni sia mobili che immobili in proporzione del loro rispettivo
valore”.
176
Un esempio di passività inerente ad uno specifico bene potrebbe essere il mutuo ipotecario
gravante su un immobile.
177
A norma degli artt. 2 e 10, d.lgs. n. 347/1990.
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Profili fiscali della valorizzazione dei beni nelle operazioni straordinarie
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3 Il sindacato sulla valorizzazione degli elementi
patrimoniali
da
parte
dell’amministrazione
finanziaria
3.1 Le rettifiche al valore dei beni ai fini della determinazione del
reddito d’impresa
I criteri seguiti per l’allocazione dei valori tra le attività aziendali in seguito alla
realizzazione delle operazioni straordinarie178 hanno degli importantissimi riflessi
fiscali, influenzando, ad esempio, la misura dei componenti negativi di reddito da
dedurre nell’esercizio in essere e in quelli futuri rappresentati dalle quote di
ammortamento che, in rapporto al valore attribuito alle immobilizzazioni,
potranno essere più o meno consistenti.
In quanto è proprio la ricerca del risparmio d’imposta a rappresentare spesso uno
degli obiettivi che guidano le scelte dei soggetti nel particolare momento della vita
sociale rappresentato dalla realizzazione di un’operazione straordinaria, ci si
chiede se l’amministrazione finanziaria possa operare delle contestazioni e
rettificare la ripartizione dei valori derivanti, sindacando delle decisioni che
tradizionalmente rientrano nella discrezionalità degli organi amministrativi
societari179.
Sono già state esaminate le disposizioni che regolano questa materia dal punto di
vista civilistico e di veritiera e corretta rappresentazione delle informazioni nel
bilancio d’esercizio, pervenendo alla conclusione che non esista una misura da
considerare univocamente esatta quando si provvede all’iscrizione dei beni
178
Soprattutto da parte del cessionario nella cessione d’azienda in quanto operazione direttamente
realizzativa, ma anche dal conferitario per il conferimento e dalla società incorporante o risultante
dalla fusione o da quella risultante dalla scissione nelle altre operazioni straordinarie, in caso di
affrancamento dei maggiori valori fiscalmente riconosciuti tramite il pagamento delle imposte
sostitutive.
179
Per una disamina più completa dell’argomento si veda E. D’ALFONSO, Operazioni
straordinarie e potere di ingerenza dell’amministrazione finanziaria nella valorizzazione degli
assets acquisiti, in L’avviamento nel diritto tributario, a cura di E. DELLA VALLE, V. FICARI, G.
MARINI, Torino, 2012, p. 389.
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materiali e immateriali nell’attivo patrimoniale, fermo restando il limite massimo,
che non può essere superato in nessun caso, rappresentato dal valore
recuperabile180.
Soglie corrispondenti a quella appena enunciata non sono presenti all’interno della
normativa tributaria, improntata, a parte alcune deroghe181, al criterio del costo182,
sicché si ritiene che anche in ambito fiscale, per appurare la ragionevolezza della
valorizzazione dei cespiti, si debba fare riferimento ai postulati civilistici, come
del resto si potrebbe desumere dal principio precedentemente più volte citato di
derivazione contabile del reddito d’impresa di cui all’art. 83 TUIR.
Ciò detto, non si deve però ritenere che l’amministrazione finanziaria abbia il
potere di sostituirsi completamente al contribuente entrando nel merito delle sue
scelte imprenditoriali, quando conformi ai principi che regolano la redazione del
bilancio, posto inoltre che i margini tracciati dalla normativa civilistica e contabile
a tal riguardo risultano talmente ampi da non giustificare un corrispondente potere
discrezionale da parte degli organi accertatori.
Di conseguenza, si reputa ammissibile un intervento dell’amministrazione
finanziaria, rettificativo rispetto alle scelte di valorizzazione contabile effettuate
dal contribuente, circoscritto alle ipotesi in cui queste non siano la conseguenza
della rappresentazione veritiera e corretta delle vicissitudini aziendali, ma siano
state elaborate con il solo scopo di ottenere un indebito risparmio fiscale183.
180
La definizione di valore recuperabile è contenuta nella versione 2014 del nuovo OIC 9
Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, e
presenta alcuni aggiornamenti e modifiche rispetto al passato apportate con l’intento,
esplicitamente manifestato nell’appendice D tra le motivazioni delle scelte operate nel principio
contabile, di perseguire “un approccio di universale accettazione e adottato dagli standard setters
più importanti a livello globale”. Il valore recuperabile di un’attività o di un’unità generatrice di
flussi di cassa è pertanto rappresentato da “il maggiore tra il suo valore d’uso e il suo valore equo
(fair value), al netto dei costi di vendita” con il valore d’uso e il valore equo che sono definiti
rispettivamente come “il valore attuale dei flussi di cassa attesi da un’attività o da un’unità
generatrice di flussi di cassa” e “l’ammontare ottenibile dalla vendita di un’attività in una
transazione ordinaria tra operatori di mercato alla data di valutazione” con la precisazione che
“la transazione ordinaria non è una vendita forzata”.
181
Un esempio in tal senso può essere identificato nel criterio del valore normale previsto dall’art.
9 TUIR e richiamato dall’art. 110, comma 7, TUIR che regola nell’ordinamento italiano l’istituto
del transfer price, di cui si parlerà più avanti.
182
Che solitamente corrisponde al corrispettivo pattuito dalle parti.
183
In tal senso E. ARTUSO, La sindacabilità del fisco nelle scelte di rappresentazione bilancistica
delle operazioni imprenditoriali: il caso delle spese di manutenzione, in Riv. dir. trib., 2010, II, p.
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Un comportamento del genere, privo di valide ragioni economiche e preordinato
unicamente al conseguimento della riduzione delle imposte, potrebbe essere
contrastato attraverso l’applicazione dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973,
n. 600, che rappresenta, all’interno dell’ordinamento italiano, la norma di
recepimento della clausola antielusiva prevista dall’art. 11 della direttiva
comunitaria n. 90/434184.
La portata di tale disposizione non può però essere considerata generale, e
pertanto applicabile in tutte le circostanze in cui gli organi accertatori considerino
abusivo il vantaggio fiscale ottenuto, stante l’elenco puntuale, contenuto nel terzo
comma, delle operazioni che devono essere utilizzate per far sì che
l’amministrazione finanziaria possa disconoscere il comportamento tenuto dal
contribuente185.
L’inopponibilità all’amministrazione finanziaria delle valutazioni e classificazioni
di bilancio elusive è esplicitamente previsto dall’art. 37-bis solo relativamente alle
partecipazioni in società e ai rapporti finanziari, sicché si potrebbe ritenere che
questi siano gli unici elementi suscettibili di sindacato da parte degli organi
278; F. MARRONE, Cessione di azienda e ripartizione contabile del prezzo di acquisto, in Rass.
trib., n. 6, 1994, p. 987; G. SEPIO, Imputazione del prezzo di acquisto dell’azienda e accollo di
debiti aziendali tra fisiologia e patologia, cit., p. 187; L. MIELE, Redistribuzione di valori fiscali
nel trasferimento d’azienda a titolo gratuito, in Corr. trib., n. 43, 2005, p. 3367.
184
Dispone il primo comma dell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973 che “sono inopponibili
all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide
ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad
ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.
185
Art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973, comma 3: “le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a
condizione che, nell’ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle
seguenti operazioni:
a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme
prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;
b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento
di aziende;
c) cessioni di crediti;
d) cessioni di eccedenze d’imposta;
e) operazioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per
l’adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime di fusioni, scissioni,
conferimenti d’attivo e scambi di azioni, nonché il trasferimento della residenza fiscale
all’estero da parte di una società;
f) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni di bilancio,
aventi ad oggetto i beni ed i rapporti di cui all’art. 81, comma 1,(divenuto poi art. 67)
lettere da c) a c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; […]”
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accertatori, che non avrebbero pertanto il potere di rettificare la valutazione e
classificazione di tutte le altre poste contabili186.
Di diverso avviso è la Corte di cassazione che, interpretando estensivamente la
previsione della norma antielusiva e in maniera difforme rispetto al concetto di
abuso codificato dalla Corte di Giustizia Europea187, ha disconosciuto la
rappresentazione in bilancio del disavanzo di fusione ad incremento del valore
delle
immobilizzazioni
dell’operazione di fusione
immateriali,
188
contestando
a
monte
l’opportunità
.
Date le circostanze, non convincendo del tutto l’ammissibilità di un potere di
rettifica da parte dell’amministrazione finanziaria basato sull’applicazione della
normativa antielusiva, si è provato a sfruttare il sempre più nutrito filone
186
Così A. VIOTTO, Le classificazioni di bilancio tra determinazione del reddito d’impresa e
applicabilità delle norme antielusive, in Riv. dir. trib., 2006, I, p. 69.
187
La Corte di Giustizia nella sentenza Leur-Bloem, causa C-28/95 del 17 luglio 1997, ha
affermato che quando il legislatore di uno Stato membro si uniformi totalmente allo schema della
direttiva, per evitare divergenze di interpretazione, anche alle fattispecie interne saranno
pienamente applicabili i precetti delle disposizioni comunitarie. Lo stesso principio si applica
anche per la clausola antielusiva di cui all’art. 11, direttiva 90/434, su cui è modellato l’art. 37-bis
del D.P.R. n. 600/1973, come chiaramente asserito dalla stessa Corte al punto 20 della sentenza del
10 novembre 2011, causa C-126/10 dove, nell’intento di dare corretta interpretazione a detta
norma, precisa ulteriormente che “le nozioni di ristrutturazione e di razionalizzazione devono
quindi essere comprese nel senso che trascendono la mera ricerca di un’agevolazione puramente
fiscale e qualsiasi operazione di ristrutturazione e di razionalizzazione che fosse intesa solo a
realizzare un obiettivo siffatto non potrebbe costituire una valida ragione economica ai sensi di
detta disposizione. Pertanto, nulla osta, in linea di principio, a che un’operazione di fusione
proceda ad una ristrutturazione o a una razionalizzazione di un gruppo che consentono di ridurre
le spese amministrative e di gestione di quest’ultimo possa perseguire valide ragioni economiche”.
Nel commentare quest’ultima sentenza, A. VISCONTI, I limiti “esterni” all’applicazione delle
disposizioni antielusive/abuso per le operazioni di riorganizzazione societaria tra soggetti
residenti, in Riv. dir. trib., n. 1, 2012, p. 13, sostiene che “in particolare, ciò che emerge dalle
interpretazioni fornite dalla Corte rispetto all’effettivo valore della clausola antielusiva contenuta
nella direttiva è che la stessa debba trovare applicazione da parte degli Stati membri tutte le volte
in cui l’operazione sottoposta a valutazione venga realizzata per motivazioni estranee agli
obiettivi di “ristrutturazione e razionalizzazione” previsti dalla norma, ossia, al solo scopo di
consentire alle parti interessate l’ottenimento di indebiti e ingiustificati vantaggi fiscali. Tuttavia,
tale divieto non opera ove le operazioni poste in essere possano spiegarsi per il conseguimento di
vantaggi “economici, finanziari e fiscali” conseguenti l’attuazione delle operazioni secondo gli
scopi previsti (ristrutturazione e razionalizzazione delle attività). […] Alla luce di tali valutazioni,
non può ammettersi l’ampliamento dell’ambito di applicazione delle clausole
antielusive/antiabusive sino a comprendere quelle attività che sebbene dotate di ragioni
economiche perfettamente in linea con la ratio della norma, tuttavia consentono all’operatore di
beneficiare di un minor carico impositivo”.
188
Cass., 15 settembre 2008, n. 23633: “non possono trarsi benefici da operazioni che, seppur
realmente volute ed immuni da invalidità, risultino, da un insieme di elementi obiettivi, compiute
essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale”.
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dell’inerenza e della c.d. antieconomicità189, equiparando l’inadeguata ripartizione
dei valori tra le attività aziendali alle altre fattispecie in cui il discostamento
dell’importo a cui i beni sono iscritti nella contabilità rispetto al loro valore
normale viene considerato dall’amministrazione finanziaria frutto di scelte
imprenditoriali non conformi al perseguimento dell’economicità della gestione
aziendale e, come tale, elevato a presupposto sufficiente per l’innesco dell’attività
di accertamento190.
La Corte di cassazione, infine, ha espresso parere favorevole rispetto alla
possibilità per l’amministrazione finanziaria di rettificare i valori ai quali erano
stati iscritti i cespiti aziendali, e in particolare l’avviamento, a seguito di una
cessione di ramo d’azienda. Variazione, però, non giustificata dal ricorso a norme
fiscali, che sul punto tacciono, ma dalla violazione delle norme civilistiche che
non consentono l’iscrizione nella contabilità di poste inesistenti o sopravvalutate,
in ossequio ai più volte citati principi di correttezza e veridicità posti a tutela
dell’interesse dei terzi e della collettività191.
Il presupposto che legittima l’intervento rettificativo dell’amministrazione
finanziaria può pertanto essere costituito solamente dall’inosservanza delle regole
contabili, sicché la valorizzazione effettuata dal contribuente, quando conforme
alle disposizioni del codice civile e dei principi contabili, assume anche la qualità
di valore fiscalmente rilevante senza possibilità di contestazione, come affermato
189
Il frequentissimo e spesso ingiustificato ricorso a questo principio da parte della giurisprudenza
è stato aspramente criticato da R. LUPI, L’oggetto economico delle imposte nella giurisprudenza
sull’antieconomicità, in Corr. trib., n. 4, 2009, p. 258, il quale ha oltretutto ritenuto
l’antieconomicità come un argomento non autosufficiente a giustificare un rilievo da parte
dell’amministrazione finanziaria, come pure successivamente confermato da M. BEGHIN, Reddito
d’impresa ed economicità delle operazioni, in Corr. trib., n. 44, 2009, p. 3626 e precedentemente
in tal senso A. FANTOZZI, Sindacabilità delle scelte imprenditoriali e funzione nomofilattica della
Cassazione, in Riv. dir. trib., 2003, II, p. 552; G. TINELLI, Il principio di inerenza nella
determinazione del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 437; R. LUPI, Equivoci in tema
di sindacato del fisco sull’economicità della gestione aziendale, in Rass. trib., 2001, II, p. 211; A.
PANIZZOLO, Il principio di insindacabilità delle scelte imprenditoriali in diritto tributario:
conferme e limiti, in GT Riv. giur. trib., n. 8, 2001, p. 1033.
190
In tal senso, con particolare riferimento alle cessioni d’azienda, D. STEVANATO, Il sindacato del
fisco sulla ripartizione del prezzo di acquisto dell’azienda tra i vari cespiti che la compongono,
cit., p. 95.
191
Cass., 16 aprile 2008, n. 9950 con commento di M. BEGHIN, Il sindacato del fisco sui criteri di
ripartizione interna, in capo al cessionario, del costo sopportato per l’acquisto dell’azienda, in
Riv. dir. trib., n. 3, 2009, p. 140.
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dalla stessa amministrazione finanziaria192, in quanto non è concepibile che gli
organi accertatori si sostituiscano all’imprenditore quando questo ha assunto delle
decisioni che, seppur discrezionali193, sono ammesse e aderenti alla normativa.
3.1.1
La reinterpretazione delle regole contabili per i soggetti IAS/IFRS
Il principio di derivazione rafforzata del reddito d’impresa dal risultato d’esercizio
posto dall’art. 83 TUIR per i soggetti che redigono il bilancio sulla base dei
principi contabili internazionali, si limita ad elevare la validità di detti principi
rispetto alle disposizioni del testo unico solo con riferimento ai criteri di
qualificazione, imputazione temporale e classificazione.
Sembrerebbero pertanto esclusi dalla deroga posta alle regole proprie per la
determinazione della base imponibile IRES, i fenomeni di valutazione e
quantificazione dei componenti di reddito, come puntualizzato in prima istanza
anche dall’Agenzia delle entrate194.
La stessa amministrazione osserva, però, che non risulta sempre agevole scindere
il procedimento di qualificazione, classificazione e imputazione temporale delle
operazioni aziendali dalla fase relativa alla loro valutazione, la quale spesso ne
costituisce il presupposto logico195. Di conseguenza, tutte le volte in cui la
rappresentazione secondo i principi contabili internazionali evidenzia delle
qualificazioni, classificazioni e imputazioni temporali difformi da quelle previste
dai criteri giuridico-formali del TUIR, a maggior ragione non sarà in linea di
192
L’Agenzia delle entrate, nella risoluzione 15 dicembre 2004, n. 154/E, ha dichiarato che “il
valore dell’avviamento, iscritto in bilancio secondo corretti principi contabili, debba essere
assunto a base dell’ammortamento fiscalmente ammesso”.
193
Nel tentativo di circoscrivere la ragionevolezza della discrezionalità delle scelte imprenditoriali,
F. CROVATO, Ias e controlli fiscali¸ in La fiscalità degli Ias, cit., p. 453, precisa che “proprio in
quanto valutazioni discrezionali, è possibile effettuarne un sindacato. La discrezionalità non deve,
infatti, essere confusa con la facoltatività, intesa nella totale libertà di azione sussistente per
quelle condotte di cui non si deve rendere conto a nessuno. Si inizia anzi a parlare di
discrezionalità, proprio quando esiste un soggetto che, a certe condizioni, può sindacare il
comportamento tenuto dal titolare del potere. D’altra parte, il titolare di un potere discrezionale
potrà comunque effettuare più o meno ampie valutazioni di convenienza”.
194
Circ. 28 febbraio 2011, n. 7/E.
195
Così si era espresso precedentemente anche D. STEVANATO, Profili tributari delle
classificazioni di bilancio, cit., p. 3155.
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principio possibile prescindere anche dalla diversa modalità di valutazione
contemplata in detti standards196.
In ogni caso, la circostanza che per i soggetti IAS/IFRS adopter il richiamo alla
validità delle regole di contabilizzazione ai fini della determinazione del reddito
d’impresa sia solo parziale, lascia aperti dei margini più ampi per interventi
rettificativi da parte dell’amministrazione finanziaria, non riconducibili solamente
alle circostanze di errata applicazione dei principi stessi, come visto
precedentemente per coloro che redigono il bilancio sulla base delle disposizioni
civilistiche197.
Le valutazioni contabili potranno pertanto essere contestate in sede di
accertamento, fermo restando l’onere dell’amministrazione di motivare in maniera
esaustiva le ragioni che hanno portato la rilevazione di tali scostamenti, tenendo
oltretutto in considerazione che nell’operare simili quantificazioni difformi dalle
risultanze contabili dovrà fare riferimento meramente ai dati e alle informazioni
che erano disponibili al momento della redazione del bilancio e non di elementi
emersi successivamente198.
196
Operazioni aventi tali caratteristiche, indicate a titolo esemplificativo nella circolare n. 7/2011,
sono il leasing finanziario e l’acquisto di un bene con pagamento differito. Per entrambe queste
fattispecie i valori fiscalmente riconosciuti corrispondono a quelli risultanti dalla contabilizzazione
secondo i principi contabili internazionali.
197
Cfr. G. ZIZZO, Ias/Ifrs, attività di accertamento e abuso del diritto, in Corr. trib., n. 15, 2011, p.
1210; R. LUPI, R. ACERNESE, D. STEVANATO, S. DUS, M. DAMIANI, Sostituzione dei principi
contabili alle regole fiscali e possibile reinterpretazione degli organi verificatori, in Dialoghi
trib., n. 5, 2008, p. 29; I. VACCA, L’impatto degli Ias sul principio di derivazione dei redditi
d’impresa dalle risultanze di bilancio, in Corr. trib., n. 44, 2007, p. 3559.
198
Sempre nella circolare n. 7/2011, l’Agenzia delle entrate ha difatti affermato che “resta fermo
che la rilevanza fiscale dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione
adottati nei bilanci IAS compliant presuppone che i principi contabili internazionali di riferimento
siano stati correttamente applicati. Ciò deve essere valutato in base agli elementi di fatto delle
concrete fattispecie, tenendo conto dei dati e delle informazioni disponibili al momento della
redazione del bilancio”.
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3.2 La valorizzazione degli scambi all’interno dei gruppi
multinazionali: l’istituto del transfer price
3.2.1
Il transfer price nell’ordinamento italiano
Le ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali, quando effettuate all’interno di un
gruppo multinazionale, attirano l’attenzione del fisco, in quanto suscettibili di
modificare la ripartizione dei redditi imponibili tra i vari paesi in cui sono stabilite
le diverse entità aggregate, anche nel caso in cui tali operazioni vengano effettuate
esclusivamente al fine di razionalizzare la struttura societaria e non
necessariamente per il perseguimento di un risparmio d’imposta.
In questo contesto, trova difatti applicazione la disciplina dei prezzi di
trasferimento199 attualmente rinvenibile nell’art. 110, comma 7, TUIR la cui
formulazione corrente è il frutto di un lungo processo evolutivo della normativa
partito nel 1936 e che negli ultimi 35 anni ha risentito dell’influenza esercitata
dall’OCSE200 con la pubblicazione, nel 1979, del rapporto Transfer Price and
Multinational Enterprises al quale le amministrazioni finanziarie dei vari paesi
contraenti sono state invitate a conformarsi201.
Dispone il comma 7, art. 110, TUIR che “i componenti del reddito derivanti da
operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o
indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla
stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei
beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma
del comma 2 (ovvero secondo le disposizioni di cui all’art. 9 TUIR), se ne deriva
aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una
diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le
autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali “procedure
199
Per una visione globale dell’argomento G. MAISTO, Il “transfer price” nel diritto tributario
italiano e comparato, Padova, 1985.
200
Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
201
Per una dettagliata rassegna delle disposizioni in materia di prezzi di trasferimento che si sono
susseguite nel tempo si veda C. GARBARINO, Transfer price, in Digesto disc. priv., sez. comm., vol.
XVI, Torino, 1999, p. 3.
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amichevoli” previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie
imposizioni sui redditi”.
In sintesi, al fine del calcolo del reddito d’impresa da assoggettare ad IRES,
quando cessioni di beni o prestazioni di servizi vengano effettuate all’interno di
un gruppo di imprese e alla realizzazione partecipino, oltre all’entità residente,
anche una società consociata non residente, per la valutazione di tali operazioni si
contravviene al principio generale di rilevanza fiscale del corrispettivo pattuito tra
le parti e risultante dalla contabilità, il quale viene inderogabilmente sostituito dal
valore normale di detti beni e servizi, senza possibilità da parte del contribuente di
addurre alcuna motivazione per ottenere la disapplicazione di quest’ultimo criterio
di valutazione.
La norma appena esposta non può essere qualificata come una presunzione
assoluta202, sebbene questa fosse l’interpretazione fornita dalla storica circolare
ministeriale 22 settembre 1980, n. 32, che tutt’ora rappresenta il più importante
punto di riferimento espresso dall’amministrazione finanziaria sul tema del
transfer price, ma opera come disposizione di diritto sostanziale per se stessa
direttamente coercibile203.
Aderendo a questa impostazione si nega, peraltro, che la norma di cui al comma 7
dell’art. 110, abbia natura procedimentale e sia pertanto destinata solamente
202
Si veda sul punto R. CORDEIRO GUERRA, La disciplina del transfer price nell’ordinamento
italiano, in Riv. dir. trib.¸ n. 4, 2000, p. 421, per cui “è a nostro avviso errato qualificare iuris et
de iure quella recata dall’art. 76, comma 5 (ovvero l’attuale art. 110, comma 7) giacché così
facendo si opera un’indebita contaminazione tra la ratio della disposizione ed il modo in cui essa
e tecnicamente configurata. […] Certo è, quale che sia la ratio della disciplina, che ad essa si è
scelto di dare attuazione tramite una disposizione che, lungi dall’assumerne la configurazione di
una presunzione, articolata sulla deduzione, da un fatto noto, di altro ignoto, opera piuttosto, in
via diretta, sulla base imponibile, mutandone il criterio ordinario di determinazione (quantum
percepito o corrisposto) con altro radicalmente diverso (valore normale determinato alla stregua
dell’art. 9). Di fronte ad una norma di questo genere, non ha dunque senso parlare di
presunzione”. Di questo avviso anche la Cass., 31 marzo 2011, n. 7343, la quale ha affermato che
“la norma non contiene per nulla una presunzione (sia pure legale; quand’anche iuris tantum,
comunque questa suscettibile di prova contraria), di percezione di un corrispettivo diverso da
quello convenuto perché, semplicemente, detta l’unico criterio legale da adottare per la
valutazione reddituale della particolare operazione economica, a prescindere, quindi, dal
corrispettivo effettivamente pattuito e, di conseguenza, con assoluta irrilevanza delle concrete
ragioni economiche per le quali lo stesso è stato fissato dai contraenti in misura minore”.
203
Così A. BALLANCIN, Natura e ratio della disciplina italiana sui prezzi di trasferimento
internazionali, in Rass. trib., n. 1, 2014, p. 73.
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all’amministrazione finanziaria al fine dell’efficace espletamento dell’attività di
accertamento officioso, essendo invece indirizzata in primo luogo al contribuente
rappresentando uno strumento di auto-accertamento da utilizzare in sede di
adempimento spontaneo204.
Per quanto riguarda le motivazioni che hanno spinto il legislatore ad introdurre la
normativa sui prezzi di trasferimento, non si può negare che ratio ispiratrice fosse
quella di arginare fenomeni di manipolazione dei corrispettivi nelle transazioni
infragruppo effettuati con l’intento di sfruttare, a danno del fisco italiano, i
differenti regimi impositivi presenti negli Stati in cui opera il gruppo societario.
Tramite la disposizione in commento, pertanto, si agisce eliminando alla radice, al
momento della determinazione della base imponibile205, il potenziale vantaggio
fiscale derivante da un’eventuale alterazione dei corrispettivi, sostituendo al
valore disposto dalle parti, che rappresenta comunque un compenso effettivo e
non simulato, il valore normale dei beni e servizi scambiati.
Basandosi su questo presupposto, al fine dell’inquadramento della norma in
esame in ambito eminentemente domestico, si ritiene correttamente che la
disciplina sul transfer price abbia una valenza lato sensu antielusiva206, ma ad una
più attenta analisi, restringere il campo di intervento della normativa in commento
204
Sottolinea M. BEGHIN, La disciplina del transfer pricing, tra profili sostanziali, profili
procedimentali, fattispecie di evasione e abuso del diritto, in Lezioni di diritto tributario
sostanziale e processuale (Atti dei Corsi di perfezionamento e di alta formazione permanente per
magistrati tributari e professionisti abilitati al patrocinio avanti al giudice tributario), a cura di G.
GAFFURI, M. SCUFFI, Milano, 2009, p. 349, che “l’art. 110, comma 7, DPR n. 917/1986 non
conferisce ai funzionari fiscali nuovi, ulteriori, poteri accertativi, deputati ad aggiungersi a quelli
che a tali soggetti sono stati riconosciuti attraverso le disposizioni del DPR n. 600/1973. La
disposizione nemmeno conferisce al Fisco il potere di sindacare i prezzi che si siano formati
nell’ambito delle operazioni infragruppo. Al contrario, essa è rivolta direttamente al contribuente,
vale a dire alla società che, avendo intrattenuto rapporti commerciali con consociate estere, si
ponga il problema di comporre la dichiarazione tributaria secondo i parametri fissati sul piano
sostanziale”.
205
La norma è difatti inserita tra le regole riguardanti la valutazione delle componenti del reddito
d’impresa ed è rubricata Norme generali sulle valutazioni.
206
Così G. ZIZZO, Regole generali per la determinazione del reddito d’impresa, in Giurisprudenza
sistematica di diritto tributario. Imposta sul reddito delle persone fisiche, a cura di F. TESAURO,
tomo II, Torino, 1994, p. 578, per cui “riguardata esclusivamente sotto il profilo del diritto interno
la norma in questione si rivela pertanto essenzialmente come una norma antielusione, destinata ad
impedire la sottrazione di gettito per l’erario italiano”.
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solamente al contrasto di quei comportamenti in linea di principio leciti, ma
forieri di procurare indebiti vantaggi d’imposta, parrebbe riduttivo.
A conferma del fatto che ritenere la ratio della disciplina sui prezzi di
trasferimento strettamente a carattere antielusivo sia limitante e semplicistico,
bisogna sottolineare che dopo una più accorta disamina della normativa interna
non si rileva mai un esplicito riferimento al perseguimento di vantaggi fiscali.
Inoltre, qualsiasi sia la ragione che porti allo scostamento dei corrispettivi pattuiti
dal valore normale, fiscale o extrafiscale che sia, la norma sul transfer price sarà
in ogni caso operativa e si avrà comunque l’applicazione dei prezzi di mercato alle
transazioni207, anche nel caso in cui il risultato del divario tra prezzi reali e prezzi
normali abbia alla fine effetti penalizzanti sul carico fiscale complessivo del
gruppo, avvalorando la tesi che l’interesse preminente perseguito dalla normativa
sia quello di un’equa allocazione del reddito tra gli Stati e di tutela dei loro
interessi finanziari208.
207
Così recentemente la Cass., 8 maggio 2013, n. 10742, la quale ha affermato che per applicare la
disciplina finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing,
l’amministrazione non deve provare l’elusione, ma è sufficiente l’esistenza di transazioni tra
imprese collegate. Contrarie a questa impostazione le precedenti sentenze Cass., 13 ottobre 2006,
n. 22023; Cass., 13 luglio 2012, n. 11949; Cass., 27 febbraio 2013, n. 4927; Cass., 27 marzo 2013,
n. 7716.
208
Commentando le sentenze della Corte di cassazione 27 febbraio 2013, n. 4927 e 13 luglio 2012,
n. 11949, che definiscono il transfer pricing come un fenomeno che ha carattere elusivo fiscale, D.
STEVANATO, Il “transfer pricing” tra evasione ed elusione, in GT Riv. giur. trib., n. 4, 2013, p.
314, rileva che la disciplina sui prezzi di trasferimento non può essere ascritta interamente alle
prassi elusive in quanto “che sia questo il fenomeno avuto in mente dal legislatore è corretto;
tuttavia, la norma presidia un’esigenza di affidabile ed equa determinazione della base imponibile
che prescinde dai moventi per i quali il gruppo multinazionale si è indotto a fissare corrispettivi
non in linea con i valori di mercato, ed anche laddove ciò sia avvenuto in modo inconsapevole,
oppure per perseguire obiettivi extrafiscali. La norma sul transfer pricing non contiene del resto
alcun riferimento ai “vantaggi fiscali” ipoteticamente raggiunti dal gruppo o dall’impresa
italiana che ne fa parte, limitandosi a presidiare una corretta determinazione del reddito tassabile
in Italia, assumendo a tal fine quale parametro per la misurazione della ricchezza il “valore
normale” dei beni o dei servizi scambiati. […] Il singolo Stato ha l’interesse ad una corretta
determinazione e misurazione della porzione di ricchezza prodotta sul proprio territorio,
indipendentemente dal carico fiscale complessivo gravante sul gruppo di società e dalla situazione
in cui versano le consociate di altri Paesi. Ed è per questa ragione che le normative sul transfer
pricing, diversamente da altri strumenti di contrasto all’elusione/evasione internazionale,
prescindono dai livelli di tassazione cui sono assoggettate le diverse consociate, ed operano anche
in ipotesi di invarianza del prelievo complessivo gravante sul gruppo a seguito di una
determinazione non corretta dei prezzi di trasferimento. Le normative sul transfer pricing
contenute nelle leggi dei singoli Stati hanno insomma un obiettivo di tutela degli interessi
finanziari dello Stato in cui risiede l’impresa, appartenente ad un gruppo multinazionale, per
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Tale impostazione viene ulteriormente confermata se si analizza la funzione che
tradizionalmente è stata riconosciuta alla disciplina del transfer price in ambito
internazionale. Bisogna infatti ricordare che l’Italia, alla pari di molti altri paesi,
ha provveduto a stipulare numerosi trattati bilaterali contro le doppie imposizioni
che si basano sul modello di convenzione predisposto dall’OCSE, il quale
contiene al suo interno, nell’art. 9, una disposizione convivente con quella
nazionale riguardante la distribuzione del reddito tra imprese associate209, per la
cui corretta implementazione da parte degli Stati contraenti, lo stesso OCSE ha
provveduto, come brevemente accennato in precedenza, ad elaborare delle linee
guida in materia di transfer pricing sin dal 1979 e la cui ultima versione risale al
2010.
Già dall’edizione più datata, fino alla più recente, l’OCSE ha inquadrato la
disciplina dei prezzi di trasferimento non tra le fattispecie votate a contrastare
fenomeni elusivi, benché anche questa potrebbe essere considerata tra le
prospettive che ne giustifichino l’utilizzo210, ma piuttosto come mezzo per
garantire la corretta distribuzione del reddito tra i diversi Stati ed evitare la doppia
tassazione economica211.
scoraggiarla dal porre in essere strategie di riduzione della propria base imponibile, o dal porle
in essere inconsapevolmente e addirittura a proprio svantaggio”.
209
Dispone l’art. 9 del Modello di convenzione elaborato dall’OCSE:
“Where
a) an enterprise of a Contracting State participates directly or indirectly in the management,
control or capital of an enterprise of the other Contracting State, or
b) the same persons participate directly or indirectly in the management, control or capital
of an enterprise of a Contracting State and an enterprise of the other Contracting State,
and in either case conditions are made or imposed between the two enterprises in their
commercial or financial relations which differ from those which would be made between
independent enterprises, then any profits which would, but for those conditions, have accrued to
one of the enterprises, but, by reason of those conditions, have not so accrued, may be included in
the profits of that enterprise and taxed accordingly”.
210
OECD, Linee Guida dell'OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le
amministrazioni fiscali, Parigi, 2010, par. 1.2: “La valutazione del transfer pricing non deve essere
confusa con la valutazione dei problemi relativi alla frode o all’elusione fiscale, anche se le
politiche in materia di prezzi di trasferimento possono essere utilizzate a tali scopi”.
211
OECD, Linee Guida dell'OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le
amministrazioni fiscali, supra, prefazione, par. 7: “Tali principi (ovvero il principio di libera
concorrenza e l’approccio per entità separate) sono stati scelti dai Paesi membri dell’OCSE per
rispondere a un duplice obiettivo: garantire la corretta base imponibile in ciascuna giurisdizione
ed evitare la doppia imposizione, in modo da minimizzare i conflitti tra amministrazioni fiscali e
promuovere gli scambi e gli investimenti internazionali”.
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Se il ricorso alla regolamentazione della materia in ambito internazionale risulta
utile per appurare la funzione preminente da riconoscere alla disciplina sui prezzi
di trasferimento, la convivenza tra la previsione contenuta nel TUIR e quella
rinvenibile nel Modello di convenzione tipo dell’OCSE fa sorgere alcuni problemi
di coordinamento.
Il campo di applicazione di quest’ultima disposizione, in primo luogo, risulta più
ampio rispetto alla regola interna212, e neanche vi è corrispondenza tra i valori da
utilizzare per determinare il prezzo considerato congruo in sostituzione di quello
stabilito dalle parti. Se l’art. 110, comma 7, TUIR, rinvia al valore normale così
come definito ai sensi dell’art. 9 dello stesso testo unico, l’OCSE nell’art. 9 del
modello di convenzione, si riferisce genericamente agli utili conseguibili da
imprese indipendenti, identificando questo come principio di libera concorrenza, o
c.d. arm’s length principle per la cui puntuale determinazione è necessario fare
riferimento alle Linee Guida sui prezzi di trasferimento predisposte dallo stesso
organismo internazionale213.
Benché i due criteri di determinazione del prezzo di trasferimento non coincidano,
la circolare ministeriale n. 32/1980 ritiene che “il concetto di valore normale così
legislativamente definito già recepisce il principio del prezzo di libera
concorrenza consigliato dall’OCSE” e pertanto accoglie anche in ambito
domestico l’adozione dei criteri elaborati nelle Linee Guida per l’individuazione
del transfer price.
Questa impostazione non è però stata pacificamente accettata dalla dottrina214 che
si è divisa tra coloro che negano in maniera assoluta tale possibilità215, e chi
212
Per l’art. 9 del Modello OCSE non è infatti necessario, ai fini dell’applicazione della disciplina,
che le imprese associate siano società, e neanche è necessaria la sussistenza di un rapporto di
controllo, essendo sufficiente anche la partecipazione diretta o indiretta al capitale o al
management.
213
I metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento previsti dal capitolo II delle Linee Guida
OCSE si dividono in metodi tradizionali basati sulla transazione e metodi basati sull’utile delle
transazioni. Fanno parte della prima categoria il metodo del confronto del prezzo sul libero
mercato, o c.d. metodo CUP, il metodo del prezzo di rivendita e il metodo del costo maggiorato.
Sono invece ascrivibili alla seconda classe il metodo del margine netto della transazione e il
metodo di ripartizione dell’utile.
214
Per una rassegna delle varie opinioni sull’argomento si veda A. MUSSELLI, A.C. MUSSELLI,
Transfer pricing, Milano, 2011.
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invece ritiene, in modo più o meno graduato, compatibile l’applicazione delle
metodologie convenzionali con la modalità di determinazione del valore normale
di cui al testo unico216.
Un tentativo di risoluzione di questo contrasto, anche se indirettamente, può
essere effettuato tenendo conto che il legislatore nazionale ha progressivamente
accolto le previsioni contenute nelle Guidelines dell’OCSE nell’ordinamento
interno, dapprima introducendo una procedura di ruling internazionale217 ispirata
ai Metodi amministrativi per evitare e risolvere le controversie in materia di
prezzi di trasferimento di cui al capitolo IV delle suddette Linee Guida, e in
seguito attraverso la previsione dell’esimente dalle sanzioni amministrative in
caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento infragruppo se il
contribuente consegni all’amministrazione finanziaria la documentazione,
piuttosto articolata e il cui contenuto è improntato a quanto indicato nel capitolo V
della direttiva OCSE, idonea a dimostrare la legittimità del suo operato218.
Con riferimento al ruling internazionale, si rileva difatti che la circostanza per cui
tra le materie oggetto della procedura rientri la determinazione concordata dei
metodi per il calcolo del valore normale, possa trovare giustificazione solamente
se ci si riferisce all’ampio e complesso novero di criteri contemplati nelle
Guidelines, e non alle striminzite indicazioni per la determinazione del valore
215
Contrario a questa impostazione R. CORDEIRO GUERRA, La disciplina del transfer price
nell’ordinamento italiano, cit., secondo cui “da escludere, ovviamente, è invece qualsiasi
integrazione della norma interna con quella convenzionale al fine di ampliarne l’operatività;
possibile appare tutt’al più, sebbene in termini più limitati di quanto diffuso nella prassi,
l’interpretazione della disciplina domestica con l’ausilio di nozioni esplicitate in quella pattizia o
nel relativo commentario. […] così, ad esempio, il tentativo dell’amministrazione italiana di dare
pieno ingresso, quanto alla determinazione del transfer price, ai criteri elaborati dall’Ocse, si
risolve per l’appunto in un ampliamento della norma impositiva interna erroneo alla luce delle
precedenti considerazioni”.
216
Cfr. G. MAISTO, Il progetto di rapporto OCSE sui prezzi di trasferimento, in Riv. dir. trib.,
1995, p. 357; M. PIAZZA, Guida alla fiscalità internazionale, Milano, 2004; C. GARBARINO,
Transfer price, cit., p. 10; F. VITALE, Art. 110 D.P.R. n. 917/1986, in Commentario breve alle
leggi tributarie, a cura di A. FANTOZZI, Tomo III, Padova, 2010, p. 604.
217
All’art. 8 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre
2003, n. 326.
218
Art. 26, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella l. 30 luglio 2010, n. 122,
e rubricato Adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di
trasferimento.
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normale ricavabili dall’art. 9 TUIR219, e lo stesso si può affermare anche in
relazione all’onere documentale richiesto per “consentire il riscontro della
conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati”220.
Nonostante questi richiami effettuati da parte del legislatore alle direttive OCSE,
permangono comunque dei dubbi sulla loro piena rilevanza all’interno
dell’ordinamento nazionale221 stante la permanenza e costanza nella loro
formulazione originaria degli articoli 9 e 110 del TUIR222, in mancanza oltretutto
di posizioni idonee a dirimere la questione espresse in modo chiaro e univoco da
parte della giurisprudenza di legittimità, che pare peraltro orientata nel senso
dell’interpretazione letterale e più limitata delle disposizioni interne sui prezzi di
219
Così E. DELLA VALLE, Art. 110, commi 7-12-bis, D.P.R. n. 917/1986, in Commentario al testo
unico delle imposte sui redditi, a cura di G. TINELLI, Padova, 2009, p. 1043.
220
Testualmente l’art. 26, d.l. n. 78/2010.
221
Anche recentemente S. MAYR, G. FORT, Il progetto BEPS ed i beni immateriali, in Corr. trib.,
n. 7, 2014, p. 552, a seguito della diffusione da parte dell’OCSE, in esecuzione del progetto BEPS
(Base erosion and profit shifting), del Revised Discussion Draft on Transfer Pricing Aspects of
Intangibles che mira ad ampliare l’applicabilità dei metodi non tradizionali di determinazione dei
prezzi di trasferimento anche alle transazioni aventi ad oggetto i beni immateriali, hanno precisato
che “se questi principi risulteranno poi definitivamente acquisiti ad esito del progetto BEPS,
rimane comunque altamente dubbio che gli stessi (insieme ad altri sviluppati negli ultimi anni
dall’OCSE) siano compatibili con le norma italiane vigenti. Tali principi, difatti, possono solo
incidere sulla ripartizione del potere impositivo nei trattati stipulati dall’Italia ma non possono
“allargare” la base imponibile attraverso categorizzazioni e metodi che non siano previsti dalla
norma interna. È anche lo stesso OCSE ad affermarlo (par. 48 del Revised Draft) quando, come
visto, ribadisce che il contenuto del nuovo Capitolo VI (delle Linee Guida sui prezzi di
trasferimento) non è rilevante per la tassabilità in concreto del reddito (o per la deduzione del
costo), circostanza che viene a dipendere esclusivamente dalla legislazione domestica”.
222
Rileva E. DELLA VALLE, Transfer price: l’esimente relativa alla rettifica del valore normale, in
Riv. trim. dir. trib., n. 1, 2012, p. 76 che “potrebbe in effetti dubitarsi circa la legittimità di una
siffatta rilevanza. La norma sostanziale relativa alla determinazione del valore normale dei beni e
dei servizi scambiati nelle transazioni infragruppo transnazionali ossia l’art. 9 del Tuir (cui
rinviano i commi 2 e 7 dell’art. 110 del medesimo Tuir) non è cambiata con l’introduzione
dell’esimente e dunque i criteri di determinazione del suddetto valore normale dovrebbero essere
solo quelli ivi indicati (salvo forse il caso in cui i metodi OCSE trovino ingresso per l’operare
della copertura di un trattato contro la doppia imposizione tipo OCSE). Si potrebbe insomma
sostenere che un conto è la funzione esimente della documentazione conforme agli standard
OCSE, un altro imporre al contribuente le previsioni di cui alle Guidelines dell’OCSE che
impattano sulla determinazione dell’imponibile […]. Una tale impostazione non potendo
realizzarsi, né operando sulla concreta disciplina dell’esimente, né a livello di ruling
internazionale, bensì con una diretta modifica vuoi dell’art. 110, comma 7, del Tuir, vuoi dell’art.
9 dello stesso Tuir”.
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trasferimento, e tutt’al più indirizzata nel senso dell’accoglimento del solo metodo
del confronto del prezzo223.
3.2.2
Riorganizzazioni aziendali e prezzi di trasferimento nelle Linee Guida
dell’OCSE
Per quanto di nostro interesse, indipendentemente da come verrà risolta la
questione del coordinamento tra normativa domestica e direttive internazionali, è
comunque importante rilevare che nell’ultima versione delle Linee Guida OCSE
sul transfer pricing è stato inserito un nuovo capitolo, ovvero il capitolo IX,
specificatamente rivolto all’esame delle problematiche relative ai prezzi di
trasferimento nelle riorganizzazioni aziendali224.
L’obiettivo che l’organismo internazionale si propone di risolvere con
l’introduzione di questo nuovo capitolo è quello di esaminare se la distribuzione
degli utili tra i membri del gruppo multinazionale, che solitamente avviene in
seguito alla realizzazione di un’operazione di riorganizzazione aziendale, sia
conforme al principio di libera concorrenza, nonché, in maniera più generale,
analizzare come tale principio si rapporti a questo tipo di vicende.
Prima di fare ciò, è però necessario fornire una definizione di riorganizzazione
aziendale funzionale a delimitare l’ambito di applicazione del capitolo delle
Guidelines in esame. Così l’OCSE, premettendo l’inesistenza di una nozione
giuridica
univoca
e
universalmente
accettata,
ha
statuito
che
“una
riorganizzazione aziendale è definita come lo spostamento transnazionale delle
funzioni, dei beni e dei rischi da parte di un gruppo multinazionale”225.
223
Oltre alle già citate Cass., n. 22023/2006 e Cass., n. 7343/2011, cfr. Cass., 16 maggio 2007, n.
11226; Cass., 19 ottobre 2012, n. 17953; Cass., 25 settembre 2013, n. 22010; Cass., 23 ottobre
2013, n. 24005.
224
Per la disamina delle differenze tra il Discussion Draft e la versione definitiva del capitolo IX
pubblicata nell’edizione 2010 delle Transfer Price Guidelines, nonché degli eventuali sviluppi
futuri, si veda M. D’AVOSSA, L’avviamento nel transfer pricing, in L’avviamento nel diritto
tributario, cit., p. 271.
225
OECD, Linee Guida, cit., par. 9.1.
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Si tratta, in verità, di una definizione piuttosto ampia, in quanto ampio è il novero
delle modalità con cui queste operazioni possono essere effettuate, come pure
molteplici sono le motivazioni e i risultati a cui possono portare226.
Al fine della valutazione degli elementi di valore in dipendenza di un’operazione
di riorganizzazione aziendale, le Linee Guida distinguono tra il trasferimento da
un’entità ristrutturata ad una consociata estera di beni materiali, beni immateriali e
attività.
Per quanto riguarda i primi, l’OCSE ritiene che non si pongano delle particolari
difficoltà per l’identificazione del prezzo di trasferimento, in quanto generalmente
l’individuazione dei fattori che determinano l’analisi di comparabilità 227, su cui si
basa l’applicazione del principio di libera concorrenza228, risultano in linea di
massima agevoli.
Lo stesso non si può dire in caso di trasferimento di beni immateriali che, in sede
di determinazione del prezzo di trasferimento, stante la loro eterogeneità,
presentano questioni piuttosto articolate, non solo legate alla loro valutazione, ma
connesse, a monte, alla loro identificazione229.
226
OECD, Linee Guida, cit., par. 9.1: “Una riorganizzazione aziendale può comportare il
trasferimento all’estero di beni immateriali di valore, anche se non è sempre così, e comportare,
in aggiunta o in alternativa, la rottura o la rinegoziazione di accordi già esistenti. Le
riorganizzazioni che rientrano nell’oggetto del presente capitolo sono principalmente le
operazioni di trasferimento infragruppo di funzioni, beni e rischi all’interno di uno stesso gruppo
multinazionale. Una riorganizzazione può tuttavia essere anche motivata o condizionata da
relazioni con terze parti (ad esempio fornitori, subappaltatori, clienti)”.
227
I fattori che determinano la comparabilità, per la cui analisi approfondita si rimanda ai parr.
1.38-1.63 delle Linee Guida, sono cinque e sono: le caratteristiche dei beni o dei servizi, l’analisi
funzionale, le condizioni contrattuali, le condizioni economiche e le strategie aziendali.
228
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.33: “L’applicazione del principio di libera concorrenza è
generalmente basata su un confronto tra le condizioni di una transazione tra imprese associate e
quelle di una transazione tra imprese indipendenti. Affinché siano utilizzabili per un tale
confronto, le caratteristiche economicamente rilevanti delle situazioni da confrontare devono
essere sufficientemente comparabili. Ciò significa che nessuna delle differenze (nel caso esistano)
tra le situazioni oggetto del confronto può influenzare in maniera significativa l’elemento
esaminato dal punto di vista metodologico (ad esempio, il prezzo o il margine), oppure che si
possono effettuare delle rettifiche ragionevolmente accurate per eliminare gli effetti di tali
differenze”.
229
OECD, Linee Guida, cit., par. 9.80: “Il trasferimento di beni immateriali pone problemi
complessi che riguardano sia l’identificazione dei beni trasferiti che la loro valutazione.
L’identificazione può rivelarsi difficile in quanto non tutti i beni immateriali di valore godono di
protezione giuridica e sono registrati, e non tutti sono iscritti a bilancio. I beni immateriali
possono comprendere i diritti di utilizzazione di beni industriali quali brevetti, marchi di fabbrica,
o di commercio, disegni o modelli, nonché diritti d’autore su opere letterarie, artistiche o
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Per la corretta applicazione del principio di libera concorrenza è necessario in
questo caso tenere in considerazione sia il punto di vista del cedente che quello
del cessionario230, nonché tutta la molteplicità di fattori che possono incidere sulla
determinazione del prezzo come, ad esempio, “l’importo degli utili attesi dallo
sfruttamento del bene immateriale, la loro durata e il rischio ad esse associato; la
natura del titolo di proprietà e le restrizioni a cui potrebbe essere soggetto; la
copertura e la durata residua della (eventuale) tutela giuridica e le possibili
clausole di esclusività legate al titolo”231.
La complessità e le incertezze legate alla valutazione degli intangibles sono tali
che dal 1996 all’interno delle Linee Guida è presente un capitolo specificatamente
dedicato alle osservazioni particolari in tema di beni immateriali, per il quale, a
seguito dei numerosi commenti ricevuti, dal 2011 il working party n. 6 del
Committee on Fiscal Affairs dell’OCSE ha avviato un progetto volto alla sua
revisione che ha portato nel 2013 alla pubblicazione del Revised Discussion Draft
on Transfer Pricing Aspects of Intangibles. In quest’ultimo documento, tenendo
conto delle numerose osservazioni ricevute in sede di consultazioni pubbliche
dopo la diffusione della prima bozza di revisione, si è cercato di definire in
maniera più puntuale cosa si intende per bene immateriale al fine
dell’applicazione delle disciplina sui prezzi di trasferimento, oltre a fornire
direttive supplementari per un più preciso espletamento dell’analisi di
comparabilità e aggiungere numerosi esempi, nonché modificare alcuni di quelli
già presenti, utili per illustrare l’utilizzo delle Linee Guida in sede di valutazione
scientifiche (ivi compreso il software) e la proprietà intellettuale come il know-how e i secreti
industriali o commerciali. Possono anche essere elenchi di clienti, reti di distribuzione,
denominazioni uniche, simboli o immagini. Un aspetto essenziale dell’analisi di una
riorganizzazione aziendale consiste nell’identificare i beni immateriali significativi che sono stati
eventualmente trasferiti, e nel determinare se soggetti indipendenti avrebbero remunerato il loro
trasferimento e qual è il loro valore normale”.
230
OECD, Linee Guida, cit., par. 6.14: “Per determinare il prezzo di libera concorrenza in caso di
trasferimento di beni immateriali, e ai fini della comparabilità, occorre considerare sia il punto di
vista del cedente che quello del cessionario. Dal punto di vista del cedente, per applicare il
principio di libera concorrenza bisognerebbe ricercare il prezzo al quale un’impresa indipendente
comparabile sarebbe disposta a trasferire il bene. Dal punto di vista del cessionario, un’impresa
indipendente comparabile può più o meno essere disposta a pagare un determinato prezzo per
quel bene, a seconda del valore e dell’utilità che il bene immateriale presenta per essa nel quadro
delle sue attività”.
231
OECD, Linee Guida, cit., par. 9.81.
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dei beni immateriali, cercando di coprire in maniera più completa possibile
l’ampio spettro di situazioni che si possono presentare nella pratica, soprattutto
quando il risultato della valutazione risulta molto incerto232.
Se, come appena visto, già il passaggio esclusivo di beni immateriali tra l’entità
oggetto di riorganizzazione e la sua consociata estera provoca molteplici problemi
e dubbi, la situazione risulta ancora più complessa nella terza, e molto frequente,
fattispecie di trasferimento di elementi di valore contemplata nelle Guidelines,
ovvero il trasferimento di un’attività, la quale viene definita come “un’unità
operativa economicamente integrata”233.
L’attività è infatti un bene complesso a cui è associata la capacità di svolgere certe
funzioni e di sostenere certi rischi234, per la cui valutazione bisogna fare
riferimento a tutti gli elementi di valore che la compongono e suscettibili di
generare una remunerazione in una transazione tra imprese indipendenti in
circostanze comparabili.
Non è però sufficiente, per la definizione del prezzo di libera concorrenza di
un’attività, riferirsi alla mera sommatoria dei singoli valori di tutte le componenti
che la costituiscono, dovendosi invece procedere alla formulazione di una stima
su base aggregata che tenga conto delle interazioni tra i vari elementi, potendo
trovare applicazione in questa circostanza i metodi di valutazione che
tradizionalmente vengono utilizzati nelle operazioni di acquisizione da parti
indipendenti235.
232
Il 22 ottobre 2013 l’OCSE ha pubblicato i commenti ricevuti a seguito della consultazione
pubblica sul Revised Discussion Draft on Transfer Pricing Aspects of Intangibles. Gli inputs
ricevuti verranno discussi dal working party n. 6 del Committee on Fiscal Affairs nei successivi
incontri quadrimestrali.
233
OECD, Linee Guida, cit., par. 9.93.
234
Così il par. 9.93 delle Linee Guida per cui “tali funzioni, beni e rischi possono includere in
particolare: beni materiali e immateriali; passività associate al possesso di taluni beni e allo
svolgimento di talune funzioni, quali le attività di R&S e di produzione; la capacità di eseguire le
attività svolte dal cedente prima del trasferimento; nonché eventuali risorse, capacità e diritti”.
235
OECD, Linee Guida, cit., par. 9.95: “citiamo ad esempio il caso in cui un’attività di produzione
precedentemente svolta da M1, entità di un gruppo multinazionale, è trasferita a un’altra entità
(ad esempio, per realizzare economie di localizzazione). Si supponga che M1 trasferisca a M2 i
suoi impianti e le sue macchine, nonché scorte, brevetti, processi di produzione e know-how, e i
principali contratti che ha concluso con i suoi fornitori e clienti. Si presuma che diversi dipendenti
di M1 siano ricollocati in M2 per aiutarla ad avviare l’attività di produzione trasferita.
Supponiamo che tale trasferimento sarebbe considerato come un trasferimento di attività se fosse
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90
In conclusione di questa breve rassegna è utile puntualizzare come, anche in
materia di riorganizzazioni aziendali, la disciplina sui prezzi di trasferimento, così
come delineata ai sensi dell’art. 9 del modello di convenzione OCSE, non può
essere considerata una regolamentazione avente ratio esclusivamente antielusiva
in quanto, come esplicitamente affermato nelle Linee Guida, non è possibile
identificare automaticamente non conforme al principio di libera concorrenza
un’operazione di riorganizzazione per il solo fatto che sia stata realizzata con
l’intento di ottenere dei benefici fiscali nel momento in cui la ristrutturazione sia
effettivamente avvenuta236.
3.2.3
Il c.d. transfer price interno
Anche in ambito domestico è possibile che l’amministrazione finanziaria si ponga
il problema di verificare la congruità dei prezzi di trasferimento nelle operazioni
effettuate tra entità residenti nel territorio nazionale ed appartenenti allo stesso
gruppo.
La questione non si porrebbe se il quadro tributario di riferimento fosse
improntato alla simmetria fiscale237, ovvero se i costi deducibili per un soggetto
rappresentassero dei ricavi tassabili per un altro, ma nella realtà sono presenti
numerose deroghe a questo modello che, rompendo l’equilibrio tra deduzione e
avvenuto tra imprese indipendenti. Per determinare l’eventuale remunerazione di libera
concorrenza di un tale trasferimento tra imprese associate, esso dovrebbe essere confrontato con
un trasferimento di attività tra imprese indipendenti, e non con il trasferimento di beni isolati”.
236
OECD, Linee Guida, cit., par. 9.182: “dal momento in cui le funzioni, i beni e/o i rischi sono
effettivamente trasferiti, per un gruppo multinazionale può essere ragionevole, ai sensi
dell’articolo 9, ristrutturarsi al fine di realizzare dei risparmi fiscali. Tuttavia, questa
considerazione non rileva ai fini di determinare se il principio di piena concorrenza è rispettato, a
livello di entità, per un contribuente interessato alla riorganizzazione”.
237
Osserva M. BEGHIN, La disciplina del transfer pricing, tra profili sostanziali, profili
procedimentali, fattispecie di evasione e abuso del diritto, cit., p. 353, che “la simmetria
rappresenta, a mio modo di vedere, un dato puramente tendenziale del sistema, caratterizzato dal
fatto che ciò che per un soggetto è deducibile rappresenta, in capo ad un altro soggetto, materia
tassabile. Il dato tendenziale non vieta, peraltro, l’innesto di alcune eccezioni, fermo rimanendo,
in ogni caso, che non si può elevare la simmetria a principio “immanente” del sistema e tanto
meno le si può attribuire dignità di principio costituzionale. In altre parole, la simmetria è
soltanto uno strumento attraverso il quale si possono leggere talune disposizioni in materia di
fiscalità societaria, con il vincolo, tuttavia, che tale strumento non può sovrapporsi al (né in alcun
modo scardinare il) principio della capacità contributiva. […] Sino a quando la situazione di
riferimento è simmetrica, il problema di intervento sui prezzi applicati infragruppo da società
domestiche non dovrebbe porsi, dato che la fattispecie non genera riduzioni del gettito fiscale”.
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91
tassazione, permettono ai gruppi di imprese di realizzare arbitraggi, per il cui
contrasto l’amministrazione finanziaria non dispone, allo stato attuale, di mezzi
univocamente riconosciuti idonei238.
Sicuramente non può essere utilizzato l’art. 110, comma 7, TUIR, il cui
presupposto soggettivo di applicazione è espressamente rappresentato dalla
transazione tra un’impresa residente e una società non residente.
Stante la specialità e il tenore letterale della norma, neppure si può pensare di
procedere ad un’applicazione analogica o ad un’interpretazione estensiva della
disposizione, osservando inoltre che se il legislatore avesse voluto ampliare
l’ambito della disciplina sui prezzi di trasferimento anche agli scambi infragruppo
domestici, avrebbe potuto farlo esplicitamente239, come del resto ne è evidenza la
previsione di cui all’art. 160, comma 2, TUIR in materia della c.d. tonnage tax240.
Attraverso questo rinvio è stato difatti perseguito in modo evidente l’intento di
evitare la concentrazione dei redditi sulle imprese del gruppo, anche se formato
solamente da entità residenti, che determinano i redditi in misura forfettaria, o al
contrario di dirigere i costi deducibili verso le imprese, sempre facenti parte della
medesima aggregazione societaria, sottoposte al regime ordinario di tassazione.
238
Si rileva che nella bozza originaria del TUIR era prevista l’estensione della disciplina sui prezzi
di trasferimento anche alle transazioni effettuate nell’ambito di gruppo tra imprese italiane, ma
successivamente, al momento della stesura definitiva, tale previsione venne eliminata, come
suggerito dalla Commissione parlamentare dei Trenta per “evitare l’introduzione nel sistema di
incontrollabili poteri discrezionali prevedendo la possibilità di ricorrere a presunzioni iuris
tantum e introducendo la facoltà per l’amministrazione finanziaria di ricorrere al valore normale
anche nei casi di diminuzione del reddito imponibile quando si renda necessario per concludere
procedure amichevoli in sede di trattative internazionali contro le doppie imposizioni”.
239
La scelta di non includere nella disciplina dei prezzi di trasferimento gli scambi che avvengono
all’interno dei gruppi domestici viene giustificata da R. CORDEIRO GUERRA, La disciplina del
transfer price nell’ordinamento italiano, cit., per cui “considerato tuttavia che rispetto alle
transazioni interne non sussiste uno di quegli elementi (differente regime impositivo nei due Paesi)
che è spesso all’origine della tendenza a fissare i prezzi di trasferimento in misura diversa dal
valore normale, del tutto equilibrata appare la scelta legislativa compiuta al riguardo. Da un lato,
infatti, il modo più efficace per combattere talune condotte patologiche è senz’altro quello di
eliminare le carenze legislative che ne sono alla base, rappresentate nella specie dall’inesistenza
di regole in punto di consolidazione (a livello di imponibile o quantomeno finanziario) dei risultati
del gruppo; dall’altro neanche va dimenticato che macroscopiche divergenze dal valore di
mercato possono essere combattute con strumenti diversi”.
240
Dispone il comma 2 dell’art. 160 del TUIR che “alle cessioni di beni ed alle prestazioni di
servizi fra le società in cui il reddito è determinato anche parzialmente ai sensi dell’art. 156 e le
altre imprese, anche se residenti nel territorio dello Stato, si applica, ricorrendone le altre
condizioni, la disciplina del valore normale prevista dall’art. 110, comma 7”.
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92
Alla mancanza di una previsione specifica atta ad inibire il fenomeno del transfer
pricing interno241, ha cercato di porre rimedio l’amministrazione finanziaria
dapprima nella risoluzione 10 marzo 1982, n. 198 dove ha affermato che “non
può, peraltro, escludersi, in linea di principio, che gli Uffici possano far ricorso,
in sede di accertamento, al criterio del “valore normale” anche in ipotesi diverse
da quelle previste dal succitato art. 75 (attuale art. 110) con la precisazione che,
in questo caso, la presunzione assume soltanto valore di presunzione relativa”242.
Successivamente nella circolare 26 febbraio 1999, n. 53, dopo aver constatato che
“allo stato della legislazione” non è possibile perseguire i comportamenti in
esame attraverso lo strumento di cui all’art. 110, comma 7, TUIR, né mediante
l’applicazione delle disposizioni antielusive previste dall’art. 37-bis del D.P.R. n.
600/1973 “che ineriscono a fattispecie diverse”, suggerisce a tal fine il tentativo
di ricorrere alla disposizione sull’accertamento analitico-induttivo contenuta
nell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, all’interposizione fittizia di
persona prevista dall’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, alla norma in materia
di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o, infine, alla
riqualificazione della fattispecie in termini di negozio misto di vendita e
donazione.
Avvalersi di tali strumenti alternativi non è però così semplice e intuitivo, posto
che sono presenti numerose difficoltà ed incongruenze.
241
Il Centre for Tax Policy and Administration dell’OCSE, nel rapporto Multicountry analysis of
existing transfer pricing simplification measures, ha sottolineato tale carenza nell’ordinamento
italiano, a differenza della maggior parte degli Stati europei e degli Stati Uniti i quali prevedono
l’applicazione del criterio del valore normale anche agli scambi infragruppo interni.
242
Sottolinea L. CARPENTIERI, Valore normale e transfer pricing “interno” ovvero alla ricerca
dell’arma accertativa perduta, in Riv. dir. trib., n. 9, 2013, II, p. 453, che “sostenere l’operatività
del valore normale, negli scambi infragruppo nazionali, come “presunzione relativa” è una
contraddizione in termini, perché introduce una tematica probatoria (quella della presunzione
relativa, appunto) in una materia in cui non c’è alcun occultamento da dimostrare e in cui tutto
(anche la pattuizione di corrispettivi diversi da quelli di mercato) avviene alla luce del sole.
L’affermazione dell’amministrazione finanziaria secondo la quale gli uffici potrebbero fare
comunque ricorso, in sede di accertamento, al valore normale come presunzione relativa si
traduce di fatto nel confermare l’inutilizzabilità del valore normale in tutti i casi in cui non vi sia
da provare un occultamento di corrispettivo, ma si intenda solo contrastare l’utilizzo di prezzi di
trasferimento effettivi, ma svincolati dal valore di mercato in ragione del rapporto sussistente tra
le parti oggetto dell’operazione”.
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93
In primis, l’art. 39, D.P.R. n. 600/1973243, mira a contrastare fenomeni evasivi
d’imposta e identifica quale presupposto per l’applicazione dell’accertamento
analitico induttivo, alla lett. d), gravi incongruenze, ad esempio tra quanto esposto
in dichiarazione e le scritture contabili, oppure l’occultamento di materia
imponibile deducibile attraverso l’utilizzo di presunzioni dotate dei requisiti di
gravità, precisione e concordanza. Posto però che il prezzo di trasferimento
adottato nell’operazione infragruppo identifica il compenso che è stato
effettivamente corrisposto dalle parti, in questa circostanza non si è in presenza di
alcun occultamento, né tantomeno il mero scostamento dei corrispettivi pattuiti
dal valore normale degli stessi può assumere il rango di presunzione qualificata.
Tutt’al più potrà costituire semplicemente un indizio della sussistenza di un
disegno elusivo, la cui prova da parte dell’amministrazione finanziaria dovrà
essere supportata tramite l’integrazione con ulteriori elementi.
L’effettività delle operazioni tre le entità del gruppo costituisce un ostacolo anche
per l’applicazione della norma desumibile dall’art. 37, comma 3, D.P.R. n.
600/1973, atta a contrastare l’interposizione fittizia di persona244. Difatti, nella
circostanza in esame non si è in presenza di alcuna simulazione o occultamento
né, come appena detto, del concreto ammontare della transazione, né tantomeno
dei soggetti che la effettuano245.
Allo stesso modo appare arduo riqualificare il trasferimento non a valore normale
come un negozio misto di vendita e donazione, sia perché il codice civile nell’art.
782 prevede che la donazione debba essere fatta, a pena di nullità, nella forma
243
Il quale dispone testualmente che l’ufficio procede alla rettifica “se l’incompletezza, la falsità o
l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione
delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della
completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli
altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei
modi previsti dall’art. 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività
dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi,
precise e concordanti”.
244
Art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973: “in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono
imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato,
anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore
per interposta persona”.
245
Così, G. FERRANTI, Il “transfer pricing interno” secondo la Corte di cassazione tra elusione e
inerenza, in Corr. trib., n. 33, 2013, p. 2606, e L. CARPENTIERI, Valore normale e transfer pricing
“interno” ovvero alla ricerca dell’arma accertativa perduta, cit., p. 454.
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dell’atto pubblico246, sia perché per poter interpretare il contratto in maniera
difforme al dato letterale è necessario indagare sulla comune intenzione delle
parti, per cui l’organo accertatore, in questa circostanza, dovrebbe provare
l’esistenza dell’animus donandi, il quale non è generalmente ravvisabile nelle
operazioni concluse tra società appartenenti al medesimo gruppo247.
La stessa amministrazione finanziaria, resasi conto dell’eventualità che “il ricorso
alle suddette norme risultasse di difficile praticabilità”, suggeriva l’opportunità di
estendere, attraverso un intervento normativo, l’applicabilità dell’art. 110, comma
7, TUIR, anche alle società residenti. Tuttavia, tale proposta è rimasta inattuata,
così che un ulteriore tentativo di individuare un principio idoneo a risolvere la
questione, a prescindere dalla lacuna della legge, è stato avanzato dalla Corte di
cassazione.
Esemplare in materia è la recente sentenza del 24 luglio 2013, n. 17955, che si
inserisce in questo contesto elevando il valore normale di cui all’art. 9 del TUIR a
principio avente valore generale, il cui scostamento dal prezzo stabilito dalle parti
costituisce parametro sufficiente alla contestazione dell’antieconomicità del
comportamento del contribuente, idoneo inoltre a concretizzare la prova
dell’abuso del diritto.
Tale orientamento risulta non in linea con quanto affermato poco tempo prima
dalla stessa Corte nella sentenza 20 dicembre 2012, n. 23551 dove, escludendo
qualsiasi tipo di estensione analogica, i giudici di legittimità ritenevano non
246
Cfr. G. FERRANTI, Il “transfer pricing interno” secondo la Corte di cassazione tra elusione e
inerenza, cit., p. 2606.
247
Così G. RUSSO, Transfer pricing interno, valore normale e deducibilità delle componenti
negative di reddito, in Riv. dir. trib., n. 4, 2003, p. 361 per il quale “l’applicazione delle suddette
norme generali in tema di interpretazione dei contratti, ossia degli artt. 1362 ss., c.c., non
determina l’inopponibilità delle intese perfezionate dalle parti. In applicazione di tale disciplina,
infatti, l’individuazione della natura giuridica di un contratto deve essere condotta in termini
tanto oggettivi, quanto, e soprattutto, soggettivi. La qualificazione giuridica di un contratto, cioè,
non può prescindere dall’accertamento della comune volontà delle parti. In applicazione delle
regole di diritto comune, pertanto, qualora l’esame del profilo soggettivo non permettesse di
intravedere un intento liberale nella complessiva operazione conclusa dalle parti, sarebbe
preclusa all’amministrazione finanziaria la qualificazione del contratto quale negozio misto con
donazione. Non esiste nell’ordinamento delle imposte dirette una norma antielusiva generale che
permetta di prescindere dal suddetto dato soggettivo. Conseguentemente, nell’ipotesi di transfer
pricing interno, a meno che l’amministrazione finanziaria non dimostri l’intento liberale della
società pretesa donante, l’operazione perfezionata dai contribuenti non potrebbe essere
suscettibile di diversa qualificazione giuridica”.
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applicabile il criterio del valore normale alle cessioni di beni avvenute tra società
del medesimo gruppo aventi tutte sede in Italia, il quale può tutt’al più costituire
una misura di ricostruzione induttiva della base imponibile in caso di provato
occultamento dei corrispettivi.
La posizione espressa dalla Corte di cassazione ha suscitato numerose critiche, in
primo luogo legate all’innalzamento del parametro del valore normale a clausola
antielusiva avente carattere generale e costituente il criterio di valutazione di
riferimento per la sostituzione dei corrispettivi contrattuali248.
Come è stato più volte ribadito, la determinazione del reddito d’impresa deriva
dalle risultanze della contabilità aziendale e del bilancio, al quale vengono poi
applicate le variazioni in aumento e in diminuzione tipiche della disciplina fiscale,
ma la base di partenza, in conformità alle regole contabili, è in linea di massima
sempre costituita dal corrispettivo delle transazioni pattuito dalle parti249.
Il valore normale non ha la funzione di costituire uno strumento generale di
controllo dei compensi, ma assume, nell’ordinamento tributario, in prima battuta
il ruolo di criterio di valutazione negli scambi privi di corrispettivo o per i quali il
corrispettivo è rappresentato da beni diversi dal denaro, e solo in via residuale, nei
casi tassativamente individuati dalla legge, può essere sostituito al prezzo
determinato dai contribuenti, come per l’appunto avviene negli scambi
infragruppo internazionali a norma dell’art. 110, comma 7, TUIR250.
248
La Corte di cassazione ha difatti formulato il seguente principio di diritto: “Per la valutazione a
fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni, costituenti il c.d. transfer pricing
domestico, va applicato il principio, avente valore generale, stabilito dall’art. 9 del D.P.R. n.
917/1986, che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il
riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione
dal contribuente”.
249
Come rilevato da E. DELLA VALLE, R. TOMBOLESI, “Transfer price interno” tra corrispettivo e
valore normale, in GT Riv. giur. trib., n. 12, 2013, p. 964, “assumere ai fini fiscali, come valore
delle transazioni, il corrispettivo concretamente applicato consente di tutelare la certezza del
rapporto tributario, la quale risponde, tanto ad un interesse dei contribuenti a non restare esposti
all’azione accertatrice dell’Amministrazione, quanto ad un interesse della collettività all’agevole
e sollecita riscossione dei tributi”.
250
Così L. CARPENTIERI, Valore normale e transfer pricing “interno” ovvero alla ricerca
dell’arma accertativa perduta, cit., p. 459, secondo la quale “questo suo secondo ruolo può
teoricamente riguardare tanto la fase di determinazione dell’imponibile – come avviene nel
transfer pricing – quanto la fase dell’accertamento, ove il valore normale rileva quale parametro
cui raffrontare i corrispettivi dichiarati dalle parti per valutarne la congruità; ma dovrebbe, in
ogni caso, trattarsi di un ruolo che il valore normale ricopre in casi residuali, posto che l’attuale
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Per quanto riguarda poi l’opportunità di ricorrere al principio non scritto
dell’abuso del diritto251 le opinioni espresse dalla dottrina sono contrastanti. Da
una parte si ritiene che l’abuso del diritto rappresenti “una specie di grimaldello
per tutti i casi di contestazioni interpretative”252 il cui appello da parte della Corte
di cassazione in questa circostanza potrebbe trovare giustificazione “sulla base
della adozione di un orientamento giurisprudenziale e amministrativo sempre più
frequente per il contrasto alle distorsioni nelle pratiche negoziali adottate dai
contribuenti”253.
Dall’altra parte, si ritiene che il ricorso all’abuso del diritto rappresenti uno
strumento d’intervento spropositato in rapporto al problema dei prezzi di
sistema fiscale considera generalmente fidifacenti i corrispettivi contrattuali dichiarati dalle
parti”.
251
Il principio dell’abuso del diritto è stato elaborato da parte della Corte di Giustizia europea
originariamente per alcuni settori del diritto comunitario oggetto di un’accurata regolamentazione
normativa e solo più recentemente è approdato nel settore fiscale a seguito della sentenza 21
febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, in materia di IVA, per la quale perché si possa parlare di
comportamento abusivo “le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale
delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione
nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria
all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni. Non solo, deve altresì risultare da un
insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente
l’ottenimento di un vantaggio fiscale”. Nonostante la sentenza appena citata sia stata qualificata
dalla Corte di cassazione come leading case in materia di abuso del diritto, i giudici di legittimità
domestici si sono discostati dal modello tratteggiato dalla Corte di giustizia ampliandolo e, come
osservato da M. BEGHIN, La disciplina del transfer pricing, tra profili sostanziali, profili
procedimentali, fattispecie di evasione e abuso del diritto, cit., p. 358, “le sentenze pronunciate
dalla Corte di cassazione nel corso del 2008 […] si incentrano su un concetto di vantaggio che
non è affatto sovrapponibile a quello delineato dalla Corte di Giustizia. Non è sovrapponibile in
quanto, per i giudici italiani, non esiste la benché minima differenza (differenza che, invece, i
giudici europei valorizzano in modo assai accurato) tra vantaggi fiscali compatibili con il sistema
tributario e vantaggi che, al contrario, contrastano con il sistema medesimo”.
252
Così R. LUPI, Abuso del diritto e valore normale, in Dialoghi trib., n. 5, 2013, p. 511, il quale
afferma: “cosa fa, del resto, se non “abusare del diritto” di determinare liberamente i corrispettivi
palesi, chi effettua perequazioni reddituali tra soggetti diversi del gruppo, in funzione di
convenienza fiscale, semplicemente agendo sui corrispettivi reali di vendita? È questa, e non il
valore normale, la strada maestra per contrastare quello che l’articolo precedente chiama
correttamente “arbitraggio fiscale”. Se si fosse usato correttamente l’abuso del diritto, forse le
stesse disposizioni sui prezzi di trasferimento sarebbero state superflue, o forse sarebbero state
addirittura meglio mirate le loro applicazioni”.
253
Così P. BORIA, Il transfer pricing interno come possibile operazione elusiva e l’abuso del
diritto, in Riv. dir. trib., n. 9, 2013, II, p. 441, il quale aggiunge che “va rilevato, peraltro, che
nella giurisprudenza della Suprema Corte è frequente l’accostamento delle transazioni
infragruppo (pur se riconducibili al livello internazionale) alla figura dell’abuso del diritto a
dimostrazione di una linea di pensiero in qualche modo ricorrente”.
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trasferimento interni254, ritenendo più adatto e sufficiente allo scopo l’invocazione
del principio di inerenza “quantitativa” e dell’antieconomicità delle operazioni255,
la cui combinazione con l’elusione, come effettuata dalla Corte di cassazione nella
motivazione della sentenza in oggetto, provoca peraltro problematiche pratiche di
applicazione riconducibili alla difforme disciplina dell’onere della prova256.
In conclusione, stante la non convincente posizione assunta recentemente dalla
Corte di cassazione, in attesa di un intervento normativo chiarificatore,
sembrerebbe che per sindacare i prezzi di trasferimento nelle transazioni
infragruppo interne, allo stato attuale, l’arma più appropriata a favore
dell’amministrazione finanziaria sia quella di negare l’inerenza all’attività
d’impresa di una parte dei costi sostenuti attraverso la contestazione
dell’economicità dei comportamenti tenuti dai contribuenti257.
254
Secondo L. CARPENTIERI, Valore normale e transfer pricing “interno” ovvero alla ricerca
dell’arma accertativa perduta, cit., p. 456, “richiamare l’abuso del diritto per contrastare le
ipotesi di transfer pricing interno è come sparare ad un passero con una granata; è troppo ed è
inutile”.
255
Favorevole a questa impostazione D. STEVANATO, Inerenza quantitativa e destinazione a fini
estranei all’impresa quali antidoti al “transfer pricing interno”, in Dialoghi trib., n. 5, 2013, p.
513, che osserva: “non mi pare vi sia il bisogno di evocare il principio non scritto dell’abuso del
diritto, essendo a mio avviso sufficienti le regole scritte da tempo presenti nel sistema: […] Se
invece si tratta di un prezzo fissato ad un livello irragionevolmente alto, al solo fine di dotare la
società a fiscalità ordinaria di un costo più elevato, ben potrebbe esservi un sindacato
sull’inerenza di una parte del costo, per la sua estraneità ad una logica economica d’impresa”.
Sul punto anche P. BORIA, Il transfer pricing interno come possibile operazione elusiva e l’abuso
del diritto, cit., p. 441, per cui “vale la pena osservare a tal riguardo che la Corte di cassazione ha
optato per il ricorso allo strumento dell’abuso del diritto, rinunciando a contrastare
l’antieconomicità dell’operazione attraverso il concetto di inerenza; ed invero, il trasferimento di
componenti reddituali da parte della società con il trattamento ordinario (che riceve dunque costi
più elevati rispetto al “valore normale”) si sarebbe potuto contestare in sede di accertamento
tributario proprio in ragione dell’antieconomicità dei corrispettivi con ripresa a tassazione dei
costi indeducibili (per mancanza d’inerenza)”.
256
Sottolinea G. FERRANTI, Il “transfer pricing interno” secondo la Corte di cassazione tra
elusione e inerenza, cit., p. 2609, che “ritenere applicabili alla fattispecie in esame sia il principio
dell’inerenza “quantitativa” che quello dell’elusione/abuso fa sorgere il problema di quale
disciplina dell’onere probatorio risulti applicabile. La Corte di cassazione ha, infatti, affermato,
con giurisprudenza costante, che l’onere della prova dell’inerenza dei costi grava sul
contribuente, trattandosi di uno dei presupposti per la deducibilità dei componenti negativi,
mentre in presenza di fenomeni elusivi incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di
provare la “anomalia” del comportamento del contribuente che induce a ritenere che lo stesso
abbia conseguito indebiti vantaggi fiscali”.
257
Secondo M. BEGHIN, La disciplina del transfer pricing, tra profili sostanziali, profili
procedimentali, fattispecie di evasione e abuso del diritto, cit., p. 357, “l’antieconomicità
dell’operazione si trasforma in una sorta di passepartout che, collocato nella mani del
funzionario, è capace di aprire qualsiasi porta: nel nostro caso, la porta è il contratto
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La stessa giurisprudenza degli ultimi anni, oltre a legittimare la contestazione
dell’inerenza di costi ritenuti irragionevoli258, ha addirittura suffragato la
possibilità di procedere ad accertamento analitico induttivo del reddito d’impresa
anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette259, in quanto
l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che nella fattispecie in
esame sarebbe rappresentata dallo scostamento dei corrispettivi pattuiti dal loro
valore normale260, confliggerebbe con i criteri di ragionevolezza in modo tale da
rendere la contabilità complessivamente inattendibile.
intercompany che, scandagliato attraverso questa particolare lente, viene limitato nei propri
effetti giuridici”.
258
G. RUSSO, Transfer pricing interno, valore normale e deducibilità delle componenti negative di
reddito, cit., p. 361, ritiene ammissibile esclusivamente il giudizio da parte dell’amministrazione
finanziaria sull’inerenza c.d. qualitativa, ovvero “sussistenza della suddetta relazione tra costo e
attività d’impresa, ossia dell’esistenza di un atto dell’imprenditore da cui il costo derivi e, quindi,
della idoneità concreta di tale atto al perseguimento dello scopo sociale. […] Inoltre,
riconoscendo in capo all’amministrazione finanziaria il potere di prescindere dai corrispettivi
dichiarati dai contribuenti, si accetterebbe una diversa visione economica della medesima
operazione, con tutti i rischi che ciò comporta in termini di lesione della libera determinazione
delle scelte imprenditoriali e di discrezionalità amministrativa”. Contrario a questa impostazione
D. STEVANATO, Inerenza quantitativa e destinazione a fini estranei all’impresa quali antidoti al
“transfer pricing interno”, cit., p. 513, per cui “la polemica sorta a questo riguardo tra inerenza
“qualitativa” ed inerenza “quantitativa”, e la tesi secondo cui ai fini del giudizio di inerenza
all’impresa si dovrebbe guardare soltanto alla tipologia della spesa, essendo invece precluso
contestarne l’ammontare, è palesemente fuorviante e causidica, come peraltro dimostra la
pacifica sussistenza di beni suscettibili di un utilizzo promiscuo, d’impresa ed
extraimprenditoriale, i cui costi sono deducibili solo in parte. Se dunque il prezzo di acquisto di un
bene o di un servizio tra parti correlate è fissato ad un livello irragionevolmente alto, in funzione
di una convenienza fiscale del gruppo, non vedo quali ostacoli vi siano nell’ipotizzare il
disconoscimento di quella parte del costo non rispondente ad una logica imprenditoriale, con
riferimento all’interesse dell’impresa acquirente a sostenere un costo più elevato di quello che
sarebbe stato altrimenti fissato”.
259
Cfr. senza pretesa di esaustività Cass., 9 febbraio 2001, n. 1821; Cass., 24 luglio 2002, n.
10802; Cass., 8 luglio 2005, n. 14428; Cass., 18 maggio 2007, n. 11599; Cass., 11 aprile 2008, n.
9497; Cass., 15 settembre 2008, n. 23633; Cass., 16 gennaio 2009, n. 951; Cass., 25 maggio 2009,
n. 12044; Cass., 18 maggio 2012, n. 7871; Cass., 24 luglio 2012, n. 13027; Cass., 14 giugno 2013,
n. 14941; Cass., 30 maggio 2014, n. 12167; Cass., 20 giugno 2014, n. 14068.
260
È stato osservata da M. BEGHIN, La Cassazione legittima la rettifica della dichiarazione per
diversità tra prezzo e valore, in Corr. trib., n. 24, 2008, p. 1948; F. CROVATO, Il controllo a valore
normale nei rapporti commerciali tra mancanza di un “transfer pricing interno” ed esigenze di
simmetria impositiva, in Dialoghi trib., n. 6, 2008, p. 82 e D. STEVANATO, Una conferma delle
insufficienti riflessioni sulla derivazione contrattuale del concetto di reddito, in Dialoghi trib., n.
6, 2008, p. 86, nel commentare la sentenza n. 9497/2008, la particolarità delle operazioni effettuate
tra soggetti non indipendenti, nelle quali la dissociazione tra corrispettivo e valore potrebbe essere
giustificata dall’attuazione di più ampie politiche di gruppo, per cui per poter ritenere tale
scostamento palesemente spropositato è altresì necessaria la presenza di ulteriori anomalie e
irragionevolezze nella determinazione dei corrispettivi.
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Ma se, come è stato detto, il criterio del valore normale non rappresenta una
norma sostanziale atta a controllare la congruità dei corrispettivi e nel transfer
pricing interno non ci sarebbero i presupposti per l’applicazione del metodo
induttivo, mancando nel caso di specie l’evasione, la discrepanza tra i prezzi di
trasferimento e il valore di mercato può assumere il ruolo di mero indizio a cui
l’amministrazione dovrà affiancare ulteriori elementi per poter provare la
sussistenza di un assetto evasivo o di un disegno elusivo261.
Infine, occorre comunque rilevare che nel caso si ritenga ammissibile la
conversione al valore normale del corrispettivo delle operazioni infragruppo
domestiche, al fine di evitare l’insorgenza di fenomeni di doppia imposizione, è
necessario assicurare alla controparte la possibilità di operare degli aggiustamenti
corrispondenti volti a rettificare in diminuzione i suoi ricavi, in modo da garantire
la simmetria delle posizioni fiscali delle due parti negoziali262.
In mancanza di un provvedimento amministrativo apposito deputato a svolgere
questa funzione, parrebbe opportuna l’esistenza di un atto d’impulso da parte del
contribuente interessato alla correzione del proprio reddito imponibile costituito o
dalla presentazione di una dichiarazione rettificativa, o dalla proposizione di
un’istanza di rimborso263.
3.3 L’effetto dell’accertamento di maggior valore nell’imposta di
registro sull’accertamento delle imposte sui redditi
Oltre al caso dei prezzi di trasferimento interni, vi è un’ulteriore circostanza in cui
l’amministrazione finanziaria assume lo scostamento tra valore normale e
corrispettivo pattuito tra le parti come presupposto per un intervento accertativo
261
Si veda in proposito A. BALLANCIN, L’antieconomicità tra occultamento di capacità
contributiva, elusione fiscale ed il “dover essere” tributario, in Riv. dir. trib., 2012, II, p. 153.
262
A maggior ragione dato che in questa circostanza non è possibile avvalersi delle procedure
amichevoli (MAP Mutual Agreement Procedures) previste dalle Convenzioni bilaterali contro le
doppie imposizioni e dalla Convenzione arbitrale UE o degli accordi con l’amministrazione
finanziaria (APA Advance Pricing Agreement) come rilevato da G. FERRANTI, Il “transfer pricing
interno” secondo la Corte di cassazione tra elusione e inerenza, cit., p. 2610.
263
Così P. BORIA, Il transfer pricing interno come possibile operazione elusiva e l’abuso del
diritto, cit., p. 445 che sottolinea la tendenziale inutilizzabilità da parte dell’amministrazione
finanziaria di accertamenti in bonis.
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nei confronti dei contribuenti, in quanto sufficiente a provare l’occultamento di
materia imponibile. Si tratta più specificatamente della situazione in cui, in
dipendenza di una cessione di azienda, sia stato definito un maggior valore
dell’avviamento ai fini dell’imposta di registro e, in base all’indirizzo
giurisprudenziale
prevalente264,
tale
rideterminazione
legittimerebbe
l’amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento induttivo del reddito
d’impresa per la plusvalenza realizzata a seguito dell’operazione.
Il collegamento tra corrispettivo della cessione e valore definitivamente accertato
ai fini dell’imposta di registro avviene a seguito di un ragionamento presuntivo.
Dal divario tra questi due valori l’amministrazione finanziaria, difatti, inferisce la
percezione di un maggior corrispettivo occultato dal cedente, sul quale oltretutto
grava l’onere di provare di aver in concreto venduto ad un prezzo inferiore.
Secondo un primo orientamento265, il principio secondo cui, agli effetti fiscali,
uno stesso bene nello stesso momento e contesto non possa avere due valori
diversi, presuppone l’automatica rilevanza del valore definito per l’imposta di
registro come base di calcolo della plusvalenza rilevante per le imposte sui redditi,
riscontrandosi, in caso contrario, la violazione dei principi costituzionali di
uguaglianza, capacità contributiva e imparzialità.
La tesi appena indicata si rifà ad un indirizzo assunto dalla Corte Costituzionale
chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità o meno ai principi costituzionali della
valutazione non conforme di uno stesso bene ai fini dell’imposta di registro e
dell’abrogata INVIM266. Ma se detto ragionamento può essere considerato
264
Cfr. Cass., 1 agosto 1986, n. 4914; Cass., 14 marzo 1990, n. 2101; Cass., 6 novembre 2000, n.
14448; Cass., 20 novembre 2001, n. 14581; Cass., 22 marzo 2002, n. 4117; Cass., 28 ottobre 2005,
n. 21055; Cass., Cass., 21 febbraio 2007, n. 4057; Cass., 18 giugno 2008, n. 16440; Cass., 4
dicembre 2008, n. 28791; Cass., 30 settembre 2009, n. 21020; Cass., 2 marzo 2011, n. 5078; Cass.,
11 novembre 2011, n. 23608; Cass., 21 dicembre 2011, n. 27989; Cass., 15 aprile 2014, n. 8711.
265
Accolto dalla sentenza della Cassazione n. 4117/2002.
266
Dispone la Corte Costituzionale nella sentenza 31 ottobre 1995, n. 473 che “il principio di
uguaglianza impone, infatti, che se il valore dello stesso immobile viene riconosciuto per ragioni
obiettive nei confronti di un debitore d’imposta, esso non può essere diverso ove si tratti del
contribuente di un’altra imposta connessa nello stesso contesto, che pur si riferisce al
trasferimento dello stesso bene. Il principio della capacità contributiva esige che la medesima
situazione di fatto non può che essere rilevatrice della stessa capacità contributiva e quindi
dell’analogo prelievo fiscale. Infine, quella della imparzialità della pubblica amministrazione
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legittimo e comprensibile a fronte del rapporto che esisteva tra questi ultimi due
tributi, i quali condividevano il medesimo presupposto e utilizzavano i medesimi
valori per il calcolo dell’imponibile267, perde ragionevolezza se si considera la
differente relazione esistente tra l’imposta di registro e l’imposta sui redditi che,
oltre ad essere caratterizzate da un diverso presupposto e da diversi criteri di
determinazione della base imponibile, intendono colpire fenomeni distinti268.
Per questi motivi, l’automatica sostituzione del valore venale accertato per il
registro al corrispettivo ricevuto per la cessione potrebbe essere considerata
legittima solo in presenza di una specifica disposizione normativa che la preveda,
ma in assenza di una regola esplicita a riguardo, tale possibilità deve pertanto
essere negata269.
Ad ulteriore prova di ciò si rileva che quando il legislatore ha voluto, ha
esplicitamente legato il risultato dell’accertamento di maggior valore ai fini
dell’imposta di registro alla determinazione dell’imposizione reddituale 270, ed un
sancisce il dovere per essa di conformarsi al giudicato che ha riconosciuto la illegittimità
oggettiva del valore dato dall’atto all’atto amministrativo ad un immobile”.
267
L’abrogata imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, a norma dell’art. 2,
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, si applicava “all’atto di alienazione a titolo oneroso o
dell’acquisto a titolo gratuito” e, come previsto dal successivo art. 6, comma 2, per la
determinazione dell’incremento di valore bisognava assumere “quale valore finale quello
dichiarato o quello maggiore definitivamente accertato per il trasferimento del bene ai fini
dell’imposta di registro o di successione e quale valore iniziale quella analogamente dichiarato o
accertato per il precedente acquisto”.
268
Come rilevato da A. TERLIZZI, Il valore determinato in sede di applicazione del registro è
configurabile come plusvalenza tassabile, in Diritto e Giustizia online, 2012, p. 646, “L’imposta di
registro, come imposta indiretta sui trasferimenti, intende assoggettare a prelievo il valore della
transazione oggettivamente considerato (valore del bene in sé) e non il corrispettivo del rapporto
sinallagmatico. In altri termini, l’incremento di patrimonio realizzatosi per le parti. Viceversa, il
presupposto d’imposta della imposta diretta è costituito dall’incremento di reddito realizzato
mediante la transazione”.
269
Afferma G. MARINI, L’accertamento di maggior valore dell’avviamento nell’imposta di
registro: eventuali effetti ai fini delle imposte sui redditi, in L’avviamento nel diritto tributario,
cit., p. 378, che “in realtà l’affermazione di base di questo indirizzo è messa in crisi dalla
innegabile constatazione che l’automatica sostituzione dei valori da assoggettare a tassazione,
come assunti dalle singole leggi d’imposta, non rinviene a fondamento, nella specie, alcun, pur
necessario, aggancio normativo”.
270
Come sostenuto da G. D’ANGELO, Note (critiche) sull’utilizzo del valore definito ai fini
dell’imposta di registro per l’accertamento ai fini delle imposte sui redditi, in Riv. dir. trib., n. 2,
2009, p. 59, “Tale meccanismo, per il quale un dato valore rettificato e definito ai fini dell’imposta
di registro rileva per la determinazione del reddito imponibile in capo al cedente, proprio perché
derogatorio rispetto al fisiologico operare dell’imposizione sui redditi, è stato specificato in
quanto eccezione ad un sistema in cui l’imposizione sui redditi ed imposizione del registro
viaggiano su binari tendenzialmente separati”.
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esempio in tal senso può essere riscontrato nell’art. 68 del TUIR, in materia di
redditi diversi, per il calcolo delle plusvalenze derivanti da alienazioni di immobili
provenienti da successioni e donazioni271.
Appurata la disomogeneità dei criteri di determinazione del valore nelle due
imposte e la carenza di un vincolo assoluto che obblighi l’amministrazione
finanziaria a ritenere coincidente il valore accertato ai fini dell’imposta di registro
con quello da accertare ai fini delle imposte sui redditi, la giurisprudenza ha
perseguito l’intento di rendere ragionevole la determinazione in via induttiva della
plusvalenza da cessione in questa circostanza, spostando il ragionamento sulla
premessa, che la Corte ha spesso elevato a principio generale, dell’esistenza di
una proporzione tra gli apporti nei contratti a prestazioni corrispettive272, da cui
discenderebbe una coincidenza tra il valore di mercato, identificabile nel valore
venale in comune commercio assunto per il calcolo dell’imposta di registro, e il
corrispettivo scambiato dalle parti273.
Anche questa impostazione, tuttavia, non appare del tutto convincente, sia perché,
come abbiamo visto nel caso delle operazioni infragruppo, vi sono nella pratica
tutta una serie di circostanze in cui si ritiene giustificabile uno scostamento tra
271
Stabilisce il secondo comma dell’art. 68, TUIR, che “per i terreni acquistati per effetto di
successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative
denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo
successivo inerente, nonché dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili e di
successione”.
272
Afferma la Corte di cassazione nella sentenza n. 14448/2000 che “non c’è dubbio che i principi
relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda
dell’imposta che si deve applicare, sicché quando si discute di imposta di registro si ha riguardo
al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito
di una impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di
cessione del bene medesimo, ma non è altresì dubbio che nell’ordinamento esiste il principio
generale secondo il quale in un contratto con prestazioni corrispettive si presume che tra le due
prestazioni vi sia una proporzione, tanto che è prevista una azione generale di rescissione per le
ipotesi in cui ciò non si verifica”.
273
Sottolinea M. BEGHIN, Il differenziale prezzo-valore nella cessione d’azienda: i cortocircuiti
argomentativi della Suprema Corte, in Rass. trib., n. 4, 2008, p. 1087, che “nel procedere in
questa direzione, il Fisco sia costretto a far leva sulla regola di esperienza in virtù della quale,
con riguardo alle operazioni effettuate da imprenditori commerciali, i prezzi ed i valori di mercato
tendono a sovrapporsi. Dobbiamo sottolineare l’impiego del verbo “tendere” e altresì precisare
come codesto schema inferenziale si adagi su quella astratta legge della microeconomia secondo
cui i corrispettivi si formano attraverso l’incrocio tra domanda e offerta, rispecchiando, in tal
modo, l’andamento del mercato. È questa la porta attraverso la quale i valori commerciali
entrano nei meccanismi di determinazione dei prezzi”.
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valore di mercato e corrispettivo, sia perché bisogna tenere in considerazione
altresì il principio dell’autonomia e della libertà dei privati contraenti 274 i quali,
anche se si dovessero comportare in modo ritenuto irrazionale vendendo ad un
importo inferiore a quello che il mercato potrebbe garantirgli, non potrebbero
essere automaticamente bollati come evasori in mancanza di ulteriori elementi
idonei ad implementare tale impianto accusatorio275.
In aggiunta, non è convincente neppure la presunta identità, più volte assunta a
fondamento del ragionamento dai giudici di legittimità, tra valore di mercato e
valore definito ai fini dell’imposta di registro, posto che nel concreto tali
fattispecie tendono spesso a discostarsi per svariate ragioni.
In prima battuta bisogna evidenziare come nella pratica non ci sia corrispondenza
nelle metodologie assunte dai privati e quelle utilizzate dall’amministrazione
finanziaria per la determinazione del valore dei complessi aziendali, e più
specificatamente del valore dell’avviamento che, oltre a rappresentare una
caratteristica propria e distinta per ogni compendio aziendale, data la sua incerta
valutazione deve essere oggetto di una stima276.
274
Rileva G. MARINI, L’accertamento di maggior valore dell’avviamento nell’imposta di registro:
eventuali effetti ai fini delle imposte sui redditi, cit., p. 380, che “sembra comunque decisamente
da escludere, in omaggio all’autonomia e alla libertà dei privati contraenti, l’esistenza di un
principio generale di necessaria equivalenza oggettiva tra le contrapposte attribuzioni, che,
secondo questa tesi, riceverebbe un’indiretta conferma dalla previsione dell’azione generale di
rescissione per lesione. Che il principio sia invece quello della libertà contrattuale, da cui
consegue la tendenziale insindacabilità dell’adeguatezza economica dello scambio, risulta con
chiarezza dal sistema. La disciplina della rescissione conferma che lo squilibrio economico dello
scambio contrattuale non è rilevante, se non nei casi in cui la determinazione della misura di
scambio risulti viziata da circostanze anomale e penalizzanti (stati di pericolo e bisogno). La
regola è ribadita anche in ambiti disciplinari caratterizzati da specifiche finalità di protezione:
l’art. 1469-ter c.c. precisa infatti che la qualifica di vessatorietà delle clausole predisposte di
norma “non attiene … all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi””.
275
Come indicato da M. BEGHIN, La cristallizzazione del valore dell’azienda ceduta ai fini
dell’imposta di registro e la conseguente, automatica rettifica della plusvalenza dichiarata ai fini
delle imposte sul reddito: spunti per un ripensamento dello schema argomentativo abbracciato
dalla Suprema Corte, in Riv. dir. trib., n. 7-8, 2010, p. 401, “Se il mercato ti offre 100, è
palesemente irragionevole vendere a 50, a 60 oppure a 70: l’irragionevolezza non si trasforma
però, secondo schemi di automatismo, in evasione fiscale, e lo scarto prezzo-valore non basta, da
solo, ad integrare tout court i requisiti di “gravità”, “precisione” e “concordanza” richiesti per
l’impiego di presunzioni semplici”.
276
Osserva G.M. CIPOLLA, La valutazione delle aziende nel sistema della tassazione delle imposte
sui redditi, cit., p. 81, “stabilire il valore di un’azienda significa stabilire, di regola, il suo valore
di avviamento. Mentre gli altri elementi componenti l’azienda trovano riscontro nella contabilità
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Se le metodologie elaborate nell’ambito delle discipline aziendalistiche sono
molteplici e danno sovente luogo a risultati non omogenei, motivo per cui di volta
in volta la loro applicazione in sede di perizia discende da un’attenta analisi della
situazione concreta, è invece prassi dell’amministrazione effettuare delle mere
moltiplicazioni degli utili o di medie reddituali per dei coefficienti
discrezionalmente individuati dagli stessi uffici277.
In aggiunta, valore di mercato e valore definito per l’imposta di registro possono
non coincidere in quanto quest’ultimo rappresenta frequentemente il risultato dei
comportamenti tenuti dalle parti o dei più disparati eventi che possono intervenire
durante la fase procedimentale o processuale, portando ad una determinazione che
non tiene conto dell’andamento del mercato, ed anzi, da cui spesso ben si
discosta278.
Riprendendo il discorso dall’origine, è stato in precedenza affermato che la tesi
portata avanti dalla Corte di cassazione si basa su un ragionamento presuntivo.
Posto che, come visto, in linea generale il rapporto tra valore venale e
corrispettivo non è rinvenibile in nessuna disposizione normativa, è chiaro che
dell’impresa e sono di più agevole determinazione, l’avviamento è più di ogni altro componente
determinabile solo in base ad una stima”.
277
Così M. BEGHIN, La cristallizzazione del valore dell’azienda ceduta ai fini dell’imposta di
registro e la conseguente, automatica rettifica della plusvalenza dichiarata ai fini delle imposte
sul reddito: spunti per un ripensamento dello schema argomentativo abbracciato dalla Suprema
Corte, cit., che aggiunge “l’avverbio “discrezionalmente” è da me impiegato in senso poco
realistico, perché sarebbe più appropriato dire “arbitrariamente”. Non voglio sostenere che tanto
varrebbe, a questo punto, stabilire il valore dell’azienda con il lancio di una monetina, lasciando
in tal modo alla sorte il compito di intercettare, tra più valori astratti, quello meglio adattabile
alla fattispecie concreta. È però agevole comprendere che la metodologia impiegata dalla nostra
amministrazione finanziaria non sembra offrire adeguate garanzie scientifiche in punto di
corrispondenza tra il valore di mercato dell’azienda e il valore ab origine determinato, per la
stessa azienda, ai fini dell’imposta di registro”.
278
A tal riguardo M. BEGHIN, Il differenziale prezzo-valore nella cessione d’azienda: i
cortocircuiti argomentativi della Suprema Corte, cit., per cui “il disallineamento tra il valore di
mercato e il valore definito ai fini fiscali può altresì dipendere dall’atteggiamento dei coobbligati,.
dalla loro propensione a coltivare il contenzioso fiscale, da vicende di stampo processuale o
preprocessuale sulle quali non è il caso di intrattenersi in questa sede (avvisi di rettifica lasciati
nel cassetto; sentenze non impugnate; errori compiuti dalle parti nella fase dell’impugnazione,
tali da comportare – in ipotesi - l’inammissibilità del ricorso e così via). Se da una parte, dunque
il valore dell’azienda viene talvolta stimato con un certo grado di approssimazione, dall’altra
possono darsi situazioni nelle quali, per ragioni di mera opportunità, ai contribuenti appare più
conveniente adeguarsi ad imponibili sommariamente accertati (ancorché distanti dalla realtà),
evitando, in tal modo, l’instaurazione del contenzioso su questioni estimative dall’esito pur sempre
incerto”.
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non siamo in presenza di una presunzione legale, ma tutt’al più di una presunzione
semplice.
La presunzione semplice nel diritto tributario279, rappresentando il meccanismo
deduttivo attraverso il quale partendo da un fatto noto si risale ad un fatto ignoto,
pone in capo all’amministrazione finanziaria l’onere di provare i fatti sui quali
essa si fonda, mediante l’ulteriore dimostrazione che gli elementi presuntivi posti
alla base della pretesa impositiva abbiano i caratteri di gravità, precisione e
concordanza.
Nella circostanza in esame, invece, vi è un capovolgimento del modello
paradigmatico, dato che l’onere della prova viene posto in capo al contribuente il
quale è tenuto a dimostrare l’effettività del corrispettivo ricevuto. Per queste
ragioni, stante lo scostamento dallo schema generale, si potrebbe ritenere il
ragionamento portato avanti dai giudici di legittimità frutto non di una
presunzione semplice, bensì di una presunzione giurisprudenziale280, ovvero
un’elaborazione utilizzata dai giudici, in situazioni complesse, per cui in presenza
di determinati fatti noti, vi è un’inversione della regola generale in materia di
onere probatorio281.
Premettendo che in ogni caso il meccanismo presuntivo, per essere considerato
valido, deve basarsi su di un fatto certo e non ricavabile da altre presunzioni,
mentre nella situazione in esame la certezza del punto di partenza dal quale
discende il ragionamento effettuato dalla Corte, ovvero il maggior valore definito
279
Per una disamina più ampia del tema delle presunzioni si rinvia, senza pretesa di esaustività, a
G. GENTILLI, Le presunzioni nel diritto tributario, Padova, 1984; G. TINELLI, Presunzioni (dir.
trib.), in Enc. giur., vol. XXIV, Roma, 1991; M. TRIMELONI, Le presunzioni tributarie, in Trattato
di diritto tributario, a cura di A. AMATUCCI, Padova, 2001; A. MARCHESELLI, Le presunzioni nel
diritto tributario: dalle stime agli studi di settore, Torino, 2008.
280
Cfr. per l’inquadramento generale dell’istituto G. VERDE, Le presunzioni giurisprudenziali
(Introduzione a un rinnovato studio sull’onere della prova), in Foro it., n. 11, 1971, V, p. 177; M.
TARUFFO, Presunzioni, inversioni, prova del fatto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1992, p. 733; M.
TARUFFO, Onere della prova, in Digesto disc. priv., sez. civ., vol. XIII, Torino, 1995, p. 77; E.
BENIGNI, Presunzioni giurisprudenziali e riparto dell’onere probatorio, Torino, 2014.
281
Rileva G. D’ANGELO, Note (critiche) sull’utilizzo del valore definito ai fini dell’imposta di
registro per l’accertamento ai fini delle imposte sui redditi, cit., che “in definitiva, sul piano degli
effetti, le presunzioni giurisprudenziali tendono a distaccarsi dal tipo delle presunzioni semplici, e
ancorché non possano essere equiparate alle presunzioni legali, una loro applicazione acritica e
consolidata da parte della giurisprudenza porta inevitabilmente ad invertire l’onere della prova,
ponendo a carico del contribuente la prova (negativa in questo caso) e facendo avvicinare la
presunzione giurisprudenziale al tipo delle presunzioni legali relative”.
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106
ai fini dell’imposta di registro, non sembrerebbe così palese282, altro elemento da
considerare per preservare la razionalità della presunzione, anche ritenendo
legittima l’inversione dell’onere della prova, è che l’adempimento di tale onere
deve comunque essere possibile o non particolarmente gravoso, altrimenti si
violerebbe il diritto alla difesa del contribuente e il principio di effettività della
capacità contributiva, tutelati dagli articoli 24 e 53 della Costituzione 283.
In conclusione284, non si ritiene che lo scarto tra prezzo e presunto valore di
mercato non assuma alcuna rilevanza ai fini dell’accertamento, ma sicuramente
non deve essere considerato un segnale inequivocabile del comportamento
evasivo, potendo piuttosto costituire un sintomo o un indizio di occultamento di
materia imponibile, alla cui emersione l’amministrazione deve far seguire
un’apposita attività istruttoria che esamini la situazione concreta, anche mediante
il coinvolgimento del contribuente nel contraddittorio285.
282
Come sottolineato da M. BEGHIN, La cristallizzazione del valore dell’azienda ceduta ai fini
dell’imposta di registro e la conseguente, automatica rettifica della plusvalenza dichiarata ai fini
delle imposte sul reddito: spunti per un ripensamento dello schema argomentativo abbracciato
dalla Suprema Corte, cit., “per il funzionamento di quella legge causale è infatti necessario
disporre di un fatto “noto” rappresentato dal valore commerciale del complesso produttivo,
mentre il valore definito ai fini dell’imposta di registro è un’altra cosa. […] È, in sostanza, un
fatto “quasi noto”, “quasi certo”, sotto taluni profili “auspicabile” da parte
dell’amministrazione, che certamente avrebbe vita più facile se si potesse sostenere, appunto, che
i due valori sono in concreto intercambiabili”.
283
Al riguardo M. BEGHIN, La cristallizzazione, cit., si pone i seguenti interrogativi: “come potrà il
contribuente provare di aver venduto per davvero al prezzo indicato nelle scritture contabili e nel
bilancio se codesto prezzo diverge, per difetto, dal valore cristallizzato ai fini dell’imposta di
registro? Come potrà dimostrare che non c’è occultamento, se non presentando al funzionario
quella contabilità, quel bilancio e quella documentazione di supporto che è tuttavia smentita dalla
ferrea presunzione giurisprudenziale di corrispondenza tra prezzo e valore di registro?”.
284
Una sintesi di quanto riportato è contenuta nella norma di comportamento 1 ottobre 2008, n.
171 dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti.
285
Così R. LUPI, Sentenze giuste, generalizzazioni sbagliate, in Dialoghi trib., n. 2, 2011, p. 158,
secondo cui “l’onere dell’Ufficio, sul piano della correttezza del potere amministrativo, è quello di
valutare imparzialmente la situazione economica in tutti i suoi aspetti rilevanti, e quindi offrire un
contraddittorio procedimentale al contribuente, per farne valere altri”.
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107
4 Una breve ricognizione delle configurazioni di
valore emerse: analogie e differenze
4.1 Premessa
La trattazione svolta ha portato alla luce differenti forme attraverso le quali viene
rappresentato il valore dei beni e dei compendi aziendali a seguito della
realizzazione delle operazioni straordinarie.
Le ragioni di tale varietà sono da ricercare, come consapevolmente rilevato da
attenta dottrina già negli studi economici dei primi del novecento286, dai
molteplici scopi che ci si prefigge di raggiungere con la valutazione287:
l’applicazione di un criterio valutativo piuttosto che un altro e, di conseguenza, la
relatività del valore che può essere attribuito ai beni, risente della finalità
conoscitiva che si vuole perseguire.
Il recente processo di trasformazione che, stravolgendo il previgente contesto
socio-economico, ha contribuito a far sorgere nuove esigenze informative e nuove
problematiche da risolvere, ha altresì originato la necessità di intraprendere un
parallelo processo di mutamento dei tradizionali criteri valutativi che, nei diversi
settori, sono sempre più spesso oggetto di studio, nel tentativo di attuare un
progressivo rinnovamento che li renda più adatti al sistema attuale.
Le conseguenze di questa evoluzione possono essere riscontrate, ad esempio per
quanto riguarda la rappresentazione contabile dei fatti economici, nella sempre
maggiore rilevanza assunta dal criterio del fair value in contrapposizione al
tradizionale principio del costo storico a causa dell’elezione degli investitori come
destinatari privilegiati dell’informativa di bilancio, oppure, in ambito fiscale, nel
286
Cfr. F. BESTA, La ragioneria, Milano, 1893, p. 12; U. GOBBI¸ Sul principio della convenienza
economica, Memorie dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano, 1900; M. PANTALEONI,
Alcune osservazioni sulla attribuzioni di valori in assenza di formazione di prezzi di mercato, in
Giornale degli economisti, 1904, p. 205.
287
Osserva U. GOBBI¸ Sul principio della convenienza economica, cit., come “Una valutazione in
moneta ha sempre un carattere ipotetico: non si può attribuire alle cose un determinato prezzo se
non relativamente ad una dato impiego che se ne debba fare […] il valore monetario di una cosa
può essere diverso secondo la persona cui appartiene, per ciò che a seconda della persona stessa
può variare lo scopo rispetto a cui la valutazione è fatta”.
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bisogno, sempre più pressante e strettamente legato alla proliferazione delle
società multinazionali, di individuare un metodo condiviso per la determinazione
del c.d. prezzo di libera concorrenza nelle transazioni infragruppo, palesato
dall’esigenza di perseguire la più corretta ripartizione dei carichi tributari tra i
diversi Stati.
Ma proprio perché le numerose finalità che si cercano di raggiungere attraverso la
configurazione di altrettanto numerosi criteri di valutazione sono difformi, allo
stesso modo i risultati che si ottengono dalla loro applicazione, nella maggior
parte dei casi, non sono coincidenti, creando problematiche di raccordo e
incertezza negli operatori.
4.2 Il valore nella contabilizzazione dei fatti aziendali: dal costo
storico al fair value
Come disposto dall’art. 32 della IV direttiva europea in materia societaria288, di
cui la disciplina codicistica costituisce attuazione nel nostro ordinamento, il
criterio del costo storico rappresenta il principio guida che deve essere adottato
per le valutazioni di bilancio289.
Tale criterio generale non viene esplicitamente riportato all’interno del codice
civile, ma può essere desunto dal contenuto dell’art. 2426 c.c. il quale, rubricato
criteri di valutazione, nell’elencare le modalità di determinazione dei valori
aziendali fa più volte riferimento al costo, sia di acquisto che di produzione.
In attuazione del criterio del costo storico le attività vengono pertanto iscritte in
contabilità al momento della loro acquisizione per un ammontare pari all’importo
monetario pagato, mentre le passività figurano nelle scritture contabili nella
misura del corrispettivo ricevuto in cambio dell’assunzione della corrispondente
obbligazione.
Sebbene, in realtà, il valore che i beni hanno per l’impresa non è sicuramente dato
dal loro costo, ma piuttosto dalla capacità che hanno di contribuire alla
288
Direttiva 25 luglio 1978, n. 78/660/CEE
In tal senso F. DI SABATO, I criteri di valutazione: profili giuridici, in Il progetto italiano di
attuazione delle IV direttiva CEE, a cura di A. JORIO, Milano, 1988, p. 32.
289
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produttività, è comunque possibile attribuire valenza dinamica al costo dei cespiti
considerandolo come un indice rappresentativo di una componente negativa di
reddito che consente di realizzare, anche se indirettamente, dei ricavi mediante la
successiva vendita dei prodotti che ha contribuito a produrre290.
Caratteristica peculiare del metodo del costo storico, che contemporaneamente ne
costituisce sia punto di forza che di debolezza, è che le eventuali modificazioni al
valore delle attività e delle passività che potrebbero manifestarsi successivamente
alla prima iscrizione non assumeranno alcuna rilevanza, lasciando inalterato
l’importo originariamente annotato al momento dell’acquisizione o della
sottoscrizione291.
Proprio la “staticità” e la certezza sono i caratteri distintivi che, nello scenario che
si delinea in seguito alla rivoluzione industriale e allo sviluppo delle grandi
compagnie mercantili, permettono al criterio del costo storico di assumere la
tradizionale prevalenza, che verrà mantenuta per lungo tempo, sugli altri criteri di
valutazione e soprattutto su quelli ancorati ai prezzi correnti di scambio. Questo in
quanto, in principio, la contabilità aveva più che altro una valenza informativa
interna di supporto alle scelte gestionali degli amministratori.
Il fondamento della piena rilevanza del sistema di contabilità a costi storici è così
rinvenibile nell’autorevole dottrina economico-aziendale dei primi del novecento,
che individua nella determinazione degli utili distribuibili lo scopo principale
della redazione del bilancio292.
290
Cfr. B. VISENTINI, Le valutazioni legali dei beni nei bilanci delle società e le rivalutazioni
monetarie, in Banca, borsa, tit. cred., 1955, I, p. 12.
291
Una prima parziale deroga a questo principio è data dalla ripartizione del costo sostenuto,
nell’esercizio di acquisizione e in quelli successivi, mediante il rinvio di una quota di detto costo al
conto economico con il meccanismo dell’ammortamento, ma solo in presenza di beni aventi utilità
pluriennale. Ulteriore eccezione alla cristallizzazione del costo storico è prevista nel caso
eccezionale in cui l’attività presenti durevolmente un valore inferiore a quello di prima iscrizione.
In questa circostanza si renderà opportuno effettuare una svalutazione, ma tale minor valore non
potrà comunque essere mantenuto qualora vengano meno i presupposti che hanno richiesto la
rettifica.
292
Così G. ZAPPA, Le valutazioni di bilancio, Milano, 1927, p. 44, per cui “nelle imprese collettive
di ogni fatta, ed in quelle appartenenti a società per azioni in ispecie, tra tutti gli scopi
dell’inventario, assurge ad importanza tutta particolare la determinazione degli utili
distribuibili”; ma si veda anche F. DE GOBBIS, Il bilancio delle società anonime, Milano, 1931, p.
95 e A. DE GREGORIO, I bilanci delle società anonime, Milano, 1938, p. 34.
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Il costo storico, difatti, in funzione di perseguire tale finalità, avrebbe il pregio di
costituire un dato oggettivo, certo e documentabile, non influenzato da valutazioni
arbitrarie ed aleatorie o condizionato da considerazioni soggettive293.
Inoltre, il principio del costo ben si sposa con la classica impostazione civilistica
votata alla salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale e alla tutela dei terzi,
secondo il tradizionale approccio prudenziale, il quale si traduce nell’asimmetrica
valutazione dei fenomeni aziendali per cui da una parte si ha l’evidenziazione in
contabilità di tutti i costi sostenuti, sia certi che probabili, mentre dall’altra
vengono indicati solamente i ricavi effettivamente conseguiti.
Ma se tale impostazione poteva essere considerata accettabile in un contesto
stabile, il susseguirsi di processi di cambiamento e l’esponenziale crescita
economica hanno modificato radicalmente lo scenario di riferimento, mettendo in
crisi la convenzionale supremazia del costo storico, in quanto l’estrema dinamicità
del panorama attuale richiede che le valutazioni siano dotate di una maggiore
significatività, anche se a discapito dell’affidabilità294.
È così che i destinatari della comunicazione economico-finanziaria sono mutati, le
informazioni contabili, e non solo, non sono più esclusivamente indirizzate ai
soggetti interni come soci e amministratori, ma soprattutto a tutti gli altri individui
esterni i cui interessi, a vario titolo, convergono nella società, adottando una
visione sempre più globale.
293
In tal senso G. ZAPPA, Le valutazioni di bilancio, cit., p. 76, secondo cui “si può asserire che,
negli inventari aventi gli scopi da me chiariti, il criterio di valutazione dei presunti valori attuali
di scambio e dei prezzi correnti debba sempre ed in ogni caso respingersi, non fosse per altro
almeno perché essi valori e prezzi sono indice più che malsicuro della situazione attuale
dell’impresa, perché in ispecie essi non presentano garanzia alcuna conta la eventuale
distribuzione di utili puramente sperati”.
294
S. FORTUNATO, Dal costo storico al “fair value”: al di là della rivoluzione contabile, in Riv.
soc., n. 5, 2007, p. 941, ritiene che gli eventi che hanno contribuito al passaggio dal sistema del
costo storico a quella basato sul fair value possono essere identificati: “a) nel fenomeno di alta
inflazione degli anni Settanta che pone in termini tragici il problema della significatività
(“relevance”) del costo storico piuttosto che della sua affidabilità (“reliability”); b) nella
straordinaria crescita dei mercati finanziari nelle economie occidentali ma anche in quelle
orientali e negli stessi paesi in via di sviluppo; c) nel conseguente sviluppo dell’informazione
societaria come “bene pubblico” che si appoggia in primo luogo sulla stessa “informazione
contabile” e ne travolge in qualche modo la tradizionale funzione interna ed organizzativa […];
d) e soprattutto nei processi di trasformazione che hanno modificato la stessa “natura
dell’impresa” nell’attuale contesto socio-economico”.
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Da questa spinta all’internazionalizzazione nasce così l’esigenza di armonizzare il
linguaggio contabile attraverso la progressiva emanazione dei principi contabili
internazionali. In base ad essi il criterio del fair value assume un ruolo preminente
nel sistema di rilevazione economico-finanziaria in quanto, rispecchiando i valori
correnti di scambio del patrimonio aziendale, è in grado di fornire al lettore del
bilancio interessato a prendere delle decisioni riferite alla società delle
informazioni qualitative molto più rilevanti, in opposizione a quelle, seppur più
oggettive, che potevano essere ritratte dalle situazioni economico-patrimoniali
redatte secondo il criterio del costo storico.
Fino a poco tempo fa non esisteva una definizione univoca di fair value295, ma nel
tentativo di inquadrarne la nozione si doveva far riferimento di volta in volta ai
295
Come riportato nel Documento Aristeia n. 30 Le valutazioni di bilancio secondo il criterio del
fair value del giugno 2003, il concetto di fair value è stato reso in termini di:
“- “valore corretto”, ossia determinato e migliore. La debolezza di fondo di tale accezione è la
qualificazione in chiave assoluta e deterministica, che postula una condizione di certezza ed
univocità del dato contabile in realtà non verificabile;
- “valore equo”, come recita la stessa traduzione italiana della Direttiva 2001/65/CE,
intendendosi come tale il prezzo al quale un’attività potrebbe essere scambiata o una passività
regolata tra due parti informate agenti in tutta libertà in un’operazione realizzata alle condizioni
di mercato. Il limite principale di tale interpretazione è il richiamo all’idea di equità, la quale
postula implicitamente che configurazioni alternative del valore di un’attività o passività siano
inique, non giustificate e razionali;
- “valore neutrale”, ossia come valore tendenzialmente neutro ed oggettivo, equidistante dalle
diverse particolari categorie di stakeholder e verificabile. Anche tale costruzione, che pure
generalmente trova accordo tra gli interpreti, non è esente da obiezioni, soprattutto perché
postula l’ipotesi di un valore per così dire medio, asettico, che difficilmente può trovare conferma
nella vasta dottrina aziendalistica che postula l’irriducibile soggettività e relatività di qualsiasi
configurazione e metrica del valore;
- “valore coerente o congruo”, in considerazione del rispetto di un insieme di principi contabili e
giuridici. Tale definizione appare condivisibile e, almeno superficialmente, non particolarmente
criticabile sul piano concettuale. Tuttavia, a ben vedere, essa risulta sostanzialmente
autoreferenziale e formalistica, in quanto nulla dice nel merito dell’indirizzo valutativo
concretamente promanante dai principi contabili e giuridici assunti a riferimento e potrebbe, anzi,
essere sottoposta alla contestazione secondo cui, specialmente nei confronti delle valutazioni al
fair value, il ruolo omogeneizzante degli standards appare relativamente “debole”;
- “valore corrente” (current value) o “valore di mercato” (market value), in quanto corrisponde
alle quotazioni ed ai prezzi desumibili da fenomeni e processi di negoziazione relativamente
stabili, omogenei ed efficienti. Il limite principale di tale impostazione è nel postulare l’esistenza
di un mercato attivo, affidabile ed efficiente per qualsiasi attività, con la conseguente
banalizzazione del concetto di fair value a quello di mero prezzo rinvenibile sul mercato in un
dato istante. In realtà, tale coincidenza può verificarsi in condizioni particolari, ma non esprime
la regola definitoria e, quindi, il contenuto più consistente della nozione di fair value. In ogni
caso, l’istituzione di una corrispondenza biunivoca tra fair value e valore di mercato postulerebbe
il riferimento ad una configurazione di valore estremamente volatile, instabile e precaria, soggetta
alla massima storicità spazio-temporale;
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diversi principi contabili internazionali che ne richiamavano l’applicazione, primo
tra tutti lo IAS 32 che, in materia di strumenti finanziari, qualificava il fair value
come “il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata, o una passività
estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in un’operazione fra terzi
indipendenti”.
Solo con l’emanazione del recente IFRS 13 – Valutazione del fair value296 è stato
univocamente definito il concetto di fair value297 come “il prezzo che si
percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il
trasferimento di una passività in una regolare operazione tra operatori di
mercato alla data di valutazione”298.
È stata pertanto definitivamente chiarita la finalità della valutazione del fair
value299 che consiste nello “stimare il prezzo al quale una regolare operazione per
la vendita dell’attività o il trasferimento della passività avrebbe luogo tra gli
operatori di mercato alla data di valutazione alle condizioni di mercato correnti
(ossia un prezzo di chiusura alla data di valutazione dal punto di vista
dell’operatore di mercato che detiene l’attività o la passività)”300.
- “valore adeguato”, qualificato come indicazione documentabile e non tendente a privilegiare
alcun particolare tipo di stakeholder dell’utilità di un determinato oggetto, la quale tiene conto sia
delle condizioni di mercato sia delle caratteristiche specifiche del singolo bene nel momento e
nelle condizioni assunti a riferimento per la sua valutazione. Tale accezione presenta un deciso
avanzamento e ampliamento rispetto al mero concetto di valore di mercato, perché introduce la
specificità della singola potenziale transazione e del suo contenuto. Tuttavia, essa contiene ancora
una non celata aspirazione alla neutralità, all’equidistanza, addirittura all’oggettività, sia pure
tendenziale, che non consentono una completa adesione. In altre parole, il costante riferimento
all’assenza di vincoli, distorsioni e asimmetrie informative e/o negoziali tra le parti sembra
richiamare con forse eccessiva insistenza il concetto dello scambio in ipotesi di ideale perfezione
ed efficienza dei mercati, condizioni difficilmente rinvenibili nella realtà;
- “valore normale”, nel senso di valore più probabile, ragionevole e verosimile rispetto ad una
distribuzione attesa e prevista di possibili valori, dipendenti da diversi scenari di riferimento”.
296
La cui pubblicazione è avvenuta il 12 maggio 2011 con applicazione a partire dai bilanci degli
esercizi che hanno avuto inizio dal 1° gennaio 2013.
297
La definizione e il relativo quadro di riferimento per la valutazione del fair value esposti
nell’IFRS 13 devono essere utilizzati ogni qualvolta un principio contabile internazionale richieda
o consenta valutazioni del fair value, ad eccezione delle operazioni con pagamento basato su
azioni e delle operazioni di leasing, per cui restano valide le disposizioni stabilite nei principi
IAS/IFRS ad esse relativi.
298
IFRS 13, par. 9.
299
La quale oltretutto rimane la medesima a prescindere dalla circostanza che siano o meno
disponibili delle transazioni o delle informazioni di mercato osservabili.
300
IFRS 13, par. 2.
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Sul piano operativo, l’IFRS 13 ha avuto il merito di delineare tutta una serie di
nozioni puntuali con il tentativo di rendere il più oggettivo possibile il processo
valutativo di determinazione del fair value.
Esempi in tal senso sono:
-
la specificazione del mercato di riferimento in cui si suppone abbia luogo
la vendita dell’attività o il trasferimento della passività, ovvero il mercato
principale301 o, in sua assenza, il mercato più vantaggioso302 per l’attività o
la passività;
-
l’assunzione, in presenza di attività non finanziarie, che l’operatore di
mercato abbia la capacità di generare benefici economici impiegando
l’attività nel suo massimo e miglior utilizzo303 o vendendola ad un altro
operatore di mercato che la impiegherebbe nel suo massimo e miglior
utilizzo;
-
ma soprattutto l’introduzione della gerarchia del fair value che classifica in
tre livelli gli input delle tecniche di valutazione adottate per determinare il
fair value, da quelli più osservabili, ai quali viene attribuita la massima
priorità, a quelli più soggettivi, ai quali viene attribuita minima priorità304.
Nonostante siano stati profusi tutti questi sforzi nel tentativo di ridurre il trade-off
tra affidabilità e rilevanza, cercando di rendere la valutazione al fair value più
oggettiva possibile pur mantenendo intatto il suo potenziale informativo, bisogna
comunque rilevare che permangono delle perplessità sulla conformità del criterio
in oggetto ad assumere il ruolo di principio di valutazione cardine del sistema,
301
Come precisato nell’appendice A dell’IFRS 13 il mercato principale è “il mercato con il
maggior volume e il massimo livello di attività per l’attività o la passività”.
302
IFRS 13, appendice A: il mercato più vantaggioso è “il mercato che massimizza l’ammontare
che si percepirebbe per la vendita dell’attività o che riduce al minimo l’ammontare che si
pagherebbe per il trasferimento della passività, dopo aver considerato i costi dell’operazione e i
costi di trasporto”.
303
IFRS 13, appendice A: il massimo e miglior utilizzo è “l’utilizzo di un’attività non finanziaria
da parte di operatori di mercato che massimizzerebbe il valore dell’attività o del gruppo di attività
o passività (per esempio un’attività aziendale) nell’ambito del quale l’attività sarebbe utilizzata”.
304
Come definiti dall’appendice A dell’IFRS 13, sono input di Livello 1 “i prezzi quotati (non
rettificati) in mercati attivi per attività o passività identiche a cui l’entità può accedere alla data di
valutazione”; input di Livello 2 “input diversi dai prezzi quotati inclusi nel Livello 1, osservabili
direttamente o indirettamente per l’attività o per la passività”; input di Livello 3 “dati di input non
osservabili per l’attività o per la passività”.
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legate ad esempio alla scarsa documentabilità delle valutazioni soprattutto quando
manchi un mercato attivo di riferimento, ma anche nel caso in cui questo sia
presente, alla volatilità che investe il patrimonio netto conseguentemente alle
frequenti oscillazioni delle quotazioni di mercato da cui dipendono le variazioni di
fair value305.
4.3 Il valore venale e il valore normale: le due espressioni
utilizzate dal legislatore tributario per esprimere lo stesso
concetto
Come precedentemente osservato, in linea di principio, le operazioni straordinarie
in ambito tributario possono dividersi in due tipologie, sia per quanto riguarda le
imposte dirette che quelle indirette. Da una parte troviamo, difatti, le vicende
fiscalmente neutrali che scontano le imposte di registro, ipotecaria e catastale in
misura fissa, e dall’altra quelle realizzative alle quali si applicano le imposte sui
trasferimenti in misura proporzionale.
Ogniqualvolta non si verifica l’emersione di plusvalenze o minusvalenze ai fini
reddituali o la parametrazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale alla
base imponibile, tendenzialmente il valore dei beni a seguito dell’operazione sarà
pari a quello che questi avevano precedentemente al compimento della stessa e
spesso coincidente con il costo storico a cui figuravano nel bilancio preoperazione. Quest’ultimo valore, decurtato dagli ammortamenti effettuati anno per
anno in base ai coefficienti fiscali, costituisce il c.d. valore fiscalmente
riconosciuto il quale rappresenta la misura da raffrontare con il corrispettivo
pattuito per la determinazione delle eventuali plusvalenze o minusvalenze.
305
Critico in tal senso R. BALL, International Financial Reporting Standards (IFRS): Pros and
Cons for Investors. Accounting and Business Research, 2006, disponibile nel
sito http://ssrn.com/abstract=929561, p. 20, per cui “on the one hand, this philosophy promises to
incorporate more information in the financial statements than hitherto. On the other hand, it does
not necessarily make investors better off and its usefulness in other contexts has not been clearly
demonstrated. Worse, it could make investors and other users worse off, for a variety of reasons.
The jury is still out on this issue”. Sul punto si veda anche S. FORTUNATO, Dal costo storico al
“fair value”: al di là della rivoluzione contabile, cit.
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In tutte le altre circostanze, come pure nel caso di operazioni effettuate all’interno
di gruppi multinazionali, sorge la necessità, più o meno marcata, di evidenziare un
valore dei beni che sia più vicino a quello corrente di mercato, ed è in questo
contesto che assumono rilevanza le locuzioni di valore venale e valore normale a
cui il legislatore tributario fa frequentemente ricorso.
L’espressione “valore venale”, derivante dal latino venum, ovvero vendita,
identifica un concetto di valore normale legato al mercato proveniente dal diritto
civile e più precisamente rinvenibile nell’art. 726 c.c. che, seppur senza definirlo,
fa riferimento a tale criterio di valutazione per la stima dei beni ereditari in
materia di successioni306.
In campo tributario, il richiamo al valore venale, a cui viene aggiunta
l’espressione “in comune commercio”, implicando un concetto di normalità, si
riscontrava dapprima nell’art. 30 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269307 e
successivamente nell’art. 15 del R.D. 7 agosto 1936, n. 1639 308, e attualmente,
come visto, nella disciplina dell’imposta di registro nell’art. 51309, quale
specificazione del valore da assumere come base imponibile in caso di atti aventi
oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari e aziende.
Mancando allo stato attuale una definizione normativa puntuale di valore venale,
si ritiene che ancora oggi sia funzionale allo scopo quanto stabilito nella circolare
del 10 ottobre 1934, nella quale l’amministrazione finanziaria considerava valore
venale in comune commercio “quello che risulterebbe da una libera
contrattazione di compravendita, indipendente quindi dalle particolari condizioni
del compratore e del venditore, nonché da eventuali brusche perturbazioni del
306
Art. 726 c.c., comma 1: “Fatti i prelevamenti, si provvede alla stima di ciò che rimane nella
massa, secondo il valore venale dei singoli oggetti”.
307
Secondo cui “le tasse progressive e proporzionali di trasferimento e quelle graduali sono
commisurate sul valore venale dei beni in comune commercio, anche quando per essi non si sia
stabilito alcun prezzo o corrispettivo in somma o valori determinati”.
308
In base al quale “le imposte […] di registro, progressive e proporzionali di trasferimento,
nonché le imposte graduali concernenti beni immobili, diritti reali, aziende industriali e
commerciali, quote di compartecipazione in società di commercio, navi, conferimenti di detti beni
nelle società e nelle fusioni di società, sono commisurate sul valore venale in comune commercio
al giorno del trasferimento”.
309
Al quale, come precedentemente osservato, si rinvia per la determinazione della base
imponibile delle imposte ipotecaria e catastale.
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mercato immobiliare o da temporanee anormali oscillazioni dei fattori economici.
In altri termini deve essere un valore normale, e non già un valore eccezionale di
mercato: il tutto pur facendo sempre riferimento all’epoca del trasferimento,
intendendo questa con qualche latitudine, e quindi senza la necessità di
considerare unicamente l’istante del trasferimento. Da questa premessa deriva la
conseguenza che gli elementi di raffronto o di calcolo consigliati dalla legge per
la determinazione del valore venale dei beni in esame devono, indipendentemente
dal metodo di stima prescelto, essere vagliati e discussi, adeguandosi alla realtà
economica dell’epoca del trasferimento e scartando quelli di essi che, per
circostanze estranee a questa realtà, si presentino inattendibili”.
Da questa definizione appare subito chiara la differenza tra valore venale e prezzo,
o meglio corrispettivo pattuito310, in quanto il primo costituisce un parametro di
valutazione indicativamente oggettivo, in qualche modo assimilabile ad un criterio
di medietà, dato che costituisce il risultato di una libera contrattazione che non
tiene conto della situazione particolare delle parti, mentre il secondo, al contrario,
è esattamente il frutto degli interessi, dei bisogni e della forza contrattuale dei
contraenti311.
Passando all’esame delle imposte sui redditi, il legislatore abbandona
l’espressione valore venale, utilizzando invece la locuzione “valore normale” il
quale, nell’ordinamento tributario interno, assume il ruolo di metodo ordinario di
determinazione del reddito da utilizzare tutte le volte in cui quest’ultimo non sia
espresso in termini monetari, oltre a rappresentare il criterio da adottare per la
rilevazione del valore dei beni in caso di ingresso o fuoriuscita dal regime di
310
Che costituisce l’ulteriore parametro di riferimento per l’applicazione dell’imposta di registro.
A tal proposito si veda F. RASI, Il dualismo “corrispettivo” – “valore normale” tra imposte sui
redditi e imposta di registro, in Giur. it., n. 8/9, 2006, p. 1761, per cui “corrispettivo pattuito e
valore normale di un bene, pur potendo, infatti, dal punto di vista quantitativo, coincidere,
differiscono da quello qualitativo, in quanto registrano fenomeni differenti. Per valore venale si
intende il valore di scambio di un bene derivante dall’interazione della domanda e dell’offerta in
una libera contrattazione di mercato, il quale non può corrispondere al prezzo di acquisto. Esso è
un parametro di valutazione di un bene tendenzialmente oggettivo dipendente solo da qualità
intrinseche del bene stesso; il prezzo, invece, benché naturalmente influenzato dal valore oggettivo
del bene, è un parametro per sua natura soggettivo legato alla volontà, alle esigenze e a
circostanze individuali proprie delle parti contraenti. Ne consegue che, in assenza di un’espressa
previsione legislativa, tali due valori non sono intercambiabili”.
311
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impresa e a costituire un parametro di controllo a cui ricorre spesso
l’amministrazione finanziaria per accertare la congruità dei corrispettivi.
Il valore normale viene definito dal comma 3 dell’art. 9 TUIR come “il prezzo o
corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o
similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di
commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati
acquistati o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”312. Lo
stesso comma 3 continua, poi, statuendo che “Per la determinazione del valore
normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto
che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle
camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.
Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai
provvedimenti in vigore”313.
Nonostante il legislatore tributario abbia utilizzato due espressioni letterali
differenti, il valore normale deve comunque essere inteso come un sinonimo di
valore venale in comune commercio314 di cui sembra essere la diretta
derivazione315, stante la sostanziale identità tra le caratteristiche fondamentali
delle due accezioni316.
312
In modo simile, in ambito IVA, l’art. 14 del D.P.R. n. 633/1972, adeguandosi a quanto stabilito
nella direttiva comunitaria n. 2006/112/CE, definisce il valore normale come “l’importo che il
cessionario o il committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene
la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera
concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente per ottenere i beni o servizi in questione nel
tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione”.
313
Il successivo comma 4 dell’art. 9 prevede, in deroga a tale disposizione, delle autonome regole
di determinazione del valore normale per le azioni, obbligazioni e gli altri titoli negoziati nei
mercati regolamentati, nonché per le altre azioni, quote di società non azionarie, titoli o quote di
partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, obbligazioni e gli altri titoli diversi dai
precedenti.
314
In tal senso C. CORRADO OLIVA, Manovra bis: Le novità in materia di accertamenti sui
trasferimenti immobiliari, in Dir e prat. trib., n. 5, 2006, I, p. 1000.
315
Così L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, Milano,
1997, p. 20-23 che successivamente individua nell’elevato numero di controversie sorte sulla
determinazione dei “valori venali” la motivazione che ha spinto il legislatore a fare riferimento ai
listini e alle tariffe in sede di definizione normativa del valore normale, con il tentativo identificare
regole il più possibile oggettive.
316
Che P. BONAZZA, Valore venale, valore normale e valore corrente, sfumature e identità di
significato nel diritto tributario, in Boll. trib., n. 4, 2007, p. 337, individua nella “contrattazione in
condizioni di libertà delle parti e di libera concorrenza sul mercato; indipendenza da particolari
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Il concetto di valore normale costituisce, per espressa definizione normativa,
l’applicazione di un criterio di medietà317, che pertanto presuppone l’esistenza di
quantificazioni che si potrebbero situare al di sotto o al di sotto della media318.
Si ritiene che il concetto di valore normale provenga dalla scienza economica e
basi la sua determinazione sul raffronto con transazioni similari avvenute nel
mercato di riferimento, come si desume dal richiamo allo stadio di
commercializzazione e al tempo e al luogo in cui si è realizzato lo scambio che,
oltre a graduare la quantificazione del valore normale a seconda che la cessione
del bene venga effettuata da parte del produttore, del grossista o del
dettagliante319, delimitano la dimensione del mercato in cui effettuare la
comparazione320.
La locuzione “libera concorrenza”, invece, non deve far pensare che il valore
normale debba corrispondere al prezzo che si determinerebbe dall’incontro tra
domanda e offerta nell’omonimo regime di mercato ideale elaborato dalla teoria
microeconomica classica321, in quanto, come noto, nella realtà le condizioni
richieste in tale situazione non ricorrono mai compiutamente, ma piuttosto deve
condizioni e condizionamenti delle parti; inesistenza di eccezionalità del libero mercato;
prossimità temporale del parametro del valore esterno alla data della concreta operazione”.
L’Autore, inoltre, chiedendosi se per la determinazione del valore normale si debba alludere al
prezzo di acquisto o a quello di vendita del cedente, osserva che l’art. 9 TUIR facendo riferimento
“ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi” chiarisce che “trattarsi di un
“prezzo di vendita” […]. Quindi è un valore stabilito sul venum, cioè è un “valore venale””.
317
Come desumibile dal tenore letterale dell’art. 9 TUIR che identifica il valore normale in termini
di “prezzo o corrispettivo mediamente praticato”. Circostanza che, secondo D. AVOLIO, P.
RUGGIERO, IAS/IFRS e “transfer pricing”: le differenze nelle valutazioni a “fair value” e ad
“arm’s length”, in Corr. trib., n. 44, 2011, p. 3722, “non implica che l’acquirente o il compratore
ritraggano dalla transazione il maggior beneficio economico possibile”.
318
Più precisamente, P. BORIA, Riflessioni sul concetto di valore normale nella sistematicità delle
imposte dirette, in Riv. guardia di finanza, 1992, p. 681, ritiene che il valore normale “non
costituisca tanto un indicatore numerico puntuale, quanto piuttosto una indicazione metodologica
da adottare per determinare una fascia di valori ragionevolmente prospettabili con riferimento ad
una determinata fattispecie”.
319
Così M. LEO, Le imposte sui redditi nel testo unico, I, Milano, 2007, p. 138.
320
In tal senso P. BORIA, Il sistema tributario, Torino, 2008, p. 167.
321
Secondo cui i beni contrattati sul mercato sono perfettamente omogenei, è presente un numero
di venditori e di compratori talmente elevato tale da non permettergli di influire in alcun modo sul
prezzo, vi è assoluta libertà d’ingresso nel mercato, l’informazione è perfetta e tutte le
contrattazioni sono simultanee.
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essere riferito alla modalità di interazione tra acquirenti e venditori, i quali devono
essere indipendenti e liberi da vincoli nell’effettuare la transazione322.
4.4 (segue) Il valore normale e la (mancata) corrispondenza con
l’arm’s length principle
La scelta, effettuata da parte del legislatore domestico, di utilizzare il criterio del
valore normale come parametro di determinazione dei prezzi trasferimento risale
fin dai tempi della riforma tributaria del 1971/73 attraverso la quale è stata
introdotta per la prima volta nell’ordinamento nazionale una disciplina compiuta
ed esaustiva della materia dei prezzi di trasferimento.
Nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, difatti, il quale istituiva e disciplinava
l’imposta sul reddito delle persone fisiche, sono state incluse due distinte
disposizioni, l’art. 53, comma 5, lett. b)323, e l’art. 56, comma 2324, che,
rispettivamente, rettificavano in aumento i ricavi o in diminuzione i costi, in caso
di scostamento tra questi e il loro valore normale325, nelle operazioni intrattenute
con società estere correlate.
Successivamente, sulla scia delle raccomandazioni all’utilizzo del principio di
libera concorrenza contenute nel primo rapporto OCSE sui prezzi di trasferimento
del 16 maggio 1979 e con l’intento di porre rimedio ad alcuni aspetti problematici
322
Come affermano D. AVOLIO, P. RUGGIERO, IAS/IFRS e “transfer pricing”: le differenze nelle
valutazioni a “fair value” e ad “arm’s length”, cit., p. 3722, “in generale, si è dell’avviso che il
richiamo al concetto di mercato in libera concorrenza presuppone che la parte venditrice e la
parte acquirente agiscano liberamente, senza alcuna costrizione o vincolo ed abbiano sufficienti
informazioni circa le caratteristiche del bene o servizio oggetto della transazione”.
323
Il quale disponeva: “Si comprendono tra i ricavi: […] b) la differenza tra il valore normale dei
beni e dei servizi e i corrispettivi delle cessioni e delle prestazioni effettuate a società, non aventi
nel territorio dello Stato la sede legale o amministrativa né l’oggetto principale, che controllano
direttamente o indirettamente l’impresa o che sono controllate dalla stessa società che controlla
l’impresa”.
324
A norma del quale: “Il costo di acquisizione dei beni ceduti e dei servizi prestati dalle società
indicate alla lettera b) del quinto comma dell’art. 53 è diminuito dell’eventuale eccedenza rispetto
al valore normale. La disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società
non aventi nel territorio dello Stato né la sede legale o amministrativa né l’oggetto principale per
conto delle quali l’impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di
fabbricazione o lavorazione di prodotti”.
325
La definizione di valore normale allora recata dall’art. 9 del D.P.R. n. 597/1973 risulta
pressoché identica a quella attualmente riportata nell’art. 9 TUIR.
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sollevati dalla normativa allora vigente326, la lettera b) del quinto comma dell’art.
53 e il secondo comma dell’art. 56 vennero abrogati e contemporaneamente
sostituiti dall’aggiunta di un nuovo ultimo comma nell’art. 75327, il quale
ampliava sia l’ambito soggettivo che quello oggettivo di applicazione della
disciplina, mantenendo comunque fermo il ruolo del valore normale quale criterio
di determinazione dei prezzi di trasferimento328.
Ruolo che ha conservato anche nei vari interventi che si sono susseguiti negli anni
in ambito nazionale in materia di transfer pricing e che tutt’ora riveste
nell’odierna regolamentazione dei prezzi di trasferimento infragruppo a norma del
rinvio espresso contenuto, come visto, nel comma 7 dell’art. 110 TUIR, al valore
normale così come definito dall’art. 9 dello stesso testo unico.
Si deve pertanto notare che, come precedentemente accennato, il criterio del
valore normale convive nell’ordinamento domestico con l’omologo principio, di
derivazione internazionale, dell’arm’s length, tradotto appunto come principio di
libera concorrenza nella versione italiana delle Linee Guida dell’OCSE, il quale
costituisce la “norma internazionale che […] dovrebbe essere applicata a fini
fiscali dai gruppi multinazionali e dalle amministrazioni fiscali per la
determinazione dei prezzi di trasferimento”329.
La non perfetta corrispondenza, immediatamente desumibile anche dal differente
grado di dettaglio con cui vengono esplicitati i due parametri, tra il criterio del
valore normale e le modalità di determinazione del prezzo di trasferimento ad
326
A tal proposito osserva C. GARBARINO, Transfer price, cit., p. 4, che “le norme degli artt. 53 e
56 del D.P.R. 597 del 1973 nell’escludere dalla disciplina dei prezzi di trasferimento le operazioni
tra società italiane controllanti e le loro controllate estere, si ponevano in contrasto con il
principio di “non discriminazione” raccomandato dall’art. 24 della Convenzione Modello
dell’OCSE e generalmente adottato dall’Italia nelle convenzioni contro le doppie imposizioni”.
327
Disposizioni avvenute a norma del D.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897.
328
Dispone l’ultimo comma dell’art. 75, D.P.R. n. 597/1973, che “i componenti del reddito
d’impresa derivanti da operazioni con soggetti non residenti che per i loro rapporti diretti o
indiretti con l’impresa ne subiscono l’influenza dominante o dispongono di influenza dominante su
di essa sono valutati, se ne deriva aumento del reddito imponibile, in base al valore normale dei
beni ceduti, dei servizi prestati o dei beni o servizi ricevuti. La disposizione si applica anche
quando l’impresa e il non residente sono sottoposti all’influenza dominante di uno stesso
soggetto”.
329
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.1.
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arm’s length crea un problema di coordinamento tra queste due disposizioni che
merita di essere approfondito.
Partendo dalla più scarna tra le due previsioni, ovvero quella di cui al comma 3
dell’art. 9 TUIR, si nota che questa può essere divisa in due parti, la prima in cui
si fornisce una definizione di valore normale e la seconda in cui si esplicano
alcune modalità pratiche con cui determinarlo, ossia il confronto con listini, tariffe
e mercuriali.
Per quanto riguarda il rapporto tra le due sezioni della norma, si ritiene che la
funzione ricoperta dalla prima parte non sia da considerare meramente definitoria,
ma piuttosto costituirebbe un criterio generale di determinazione del valore
normale da utilizzare in via residuale qualora manchi, ovvero non sia attendibile,
il riferimento ai listini, alle tariffe e alle mercuriali330.
Dall’altra parte, invece, il principio di libera concorrenza, la cui enunciazione è
contenuta nel paragrafo 1 dell’articolo 9 del Modello di Convenzione Fiscale
dell’OCSE, viene esplicitato in maniera assai puntuale nelle più volte richiamate
Linee guida sui prezzi di trasferimento elaborate del medesimo organismo
internazionale.
L’applicazione dell’arm’s length principle, a norma del quale “nel caso in cui le
due imprese, nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, siano vincolate da
330
In tal senso L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, cit.,
p. 25, per cui “il valore normale dovrà poi sicuramente essere individuato in base ai criteri
“residuali” di cui alla prima parte dell’art. 9, comma 3, quando un prezzo di listino o un tariffario
non siano disponibili; in questi casi la traduzione in denaro della componente reddituale in natura
dovrà essere necessariamente effettuata attraverso l’individuazione del prezzo o del corrispettivo
mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera
concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i
servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”.
Propende per la stessa soluzione anche E. DELLA VALLE, Art. 110, commi 7-12-bis, D.P.R. n.
917/1986, cit., p. 1040, il quale si chiede se la definizione di valore normale “abbia più o meno un
reale valore precettivo e se dalla definizione medesima discenda il principio per cui, in mancanza
di un “prezzo mediamente praticato”, possa non darsi luogo alla sostituzione del corrispettivo
pattuito per lo scambio di beni o servizi. Per l’affermativa dovendo peraltro deporre il criterio
dell’interpretazione utile posto che, diversamente, la prima parte del co. 3 dell’art. 9 verrebbe
ridotto ad una mera proclamazione di un principio. Di qui il corollario consistente in ciò che la
definizione di valore normale di cui alla prima parte del co. 3 ben può svolgere una funzione di
supplenza nel caso in cui il riferimento ai listini, alle tariffe ed alle mercuriali si riveli di nessuna
utilità pratica (vuoi perché non esistono listini, tariffe o mercuriali, vuoi perché i dati in essi
contenuti risultano, per qualche motivo, inattendibili)”.
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condizioni convenute o imposte, diverse da quelle che sarebbero state convenute
tra imprese indipendenti, gli utili che, in mancanza di tali condizioni, sarebbero
stati realizzati da una delle imprese, ma che, a causa di dette condizioni, non sono
stati realizzati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di
conseguenza”331, si basa, in linea generale, “su un confronto tra le condizioni di
una transazione tra imprese associate e quelle di una transazione tra imprese
indipendenti”332.
Le Guidelines OCSE, pertanto, fondano la determinazione dei prezzi di
trasferimento sull’analisi di comparabilità, i cui cinque fattori caratterizzanti sono:
-
le caratteristiche dei beni o dei servizi trasferiti333;
-
l’analisi funzionale (prendendo in considerazione i beni utilizzati e rischi
assunti)334;
-
le condizioni contrattuali335;
331
Dispone in questo modo l’art. 9 del Modello di Convenzione Fiscale OCSE così come riportato
nel glossario delle Guidelines.
332
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.33.
333
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.39: “tra le caratteristiche di cui occorre tener conto figurano
le seguenti: nel caso di trasferimenti di beni materiali, le caratteristiche fisiche del bene, la sua
qualità e la sua affidabilità, nonché la facilità di approvvigionamento e il volume della fornitura;
nel caso di fornitura di servizi, la loro natura e dimensione; nel caso di beni immateriali, la forma
dell’operazione (per esempio concessione di licenze o vendita), il tipo di bene (per esempio
brevetto, marchio di fabbrica o know-how), la durata e il livello di tutela, nonché i benefici attesi
dall’utilizzo del bene in questione”.
334
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.42: “le funzioni che i contribuenti e le amministrazioni fiscali
potrebbero aver necessità di identificare e confrontare comprendono, per esempio, progettazione,
produzione, assemblaggio, ricerca e sviluppo, prestazione di servizi, acquisti, distribuzione,
marketing, pubblicità, trasporti, finanziamento e management. Si dovrebbero identificare le
principali funzioni svolte dalla parte in questione. Si dovrebbero poi apportare gli aggiustamenti
per ogni differenza significativa tra le funzioni esercitate da qualsiasi impresa indipendente con la
quale si confronta quella parte”. Par. 1.45: “l’analisi funzionale risulta incompleta fintantoché
non si siano presi in considerazione i principali rischi assunti da ognuna delle parti, poiché
l’assunzione o la ripartizione dei rischi influenzerebbe le condizioni delle transazioni tra imprese
associate”. Par. 1.46: “i tipi di rischi da prendere in considerazione comprendono i rischi di
mercato, quali le fluttuazioni del costo dei fattori produttivi e dei prezzi di produzione; i rischi di
perdite associati agli investimenti ed all’impiego di beni, impianti e attrezzature; il carattere
aleatorio dei risultati degli investimenti in ricerca e sviluppo; i rischi finanziari come quelli legati
alle variazioni dei tassi di cambio e dei tassi di interesse; i rischi di credito; e così via”.
335
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.52: “le condizioni contrattuali della transazione definiscono
generalmente, in maniera esplicita o implicita, le modalità di ripartizione delle responsabilità, dei
rischi e dei benefici tra le parti. […] Si possono ugualmente dedurre le condizioni contrattuali di
una transazione dalla corrispondenza e dalle comunicazioni tra le parti in mancanza di un
contratto scritto. In mancanza di disposizioni scritte, le relazioni contrattuali tra le parti devono
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123
-
le condizioni economiche336;
-
le strategie aziendali337.
Strettamente legata all’analisi di comparabilità è, poi, la selezione del metodo di
determinazione dei prezzi di trasferimento più appropriato alle circostanze del
caso di specie. Allo stato attuale, l’OCSE ha elaborato cinque metodologie di
determinazione del transfer price a loro volta aggregabili in due distinte
sottocategorie:
-
i metodi tradizionali basi sull’utile delle transazioni:
-
il metodo del confronto di prezzo sul libero mercato o metodo CUP
(Comparable Uncontrolled Price method)338;
-
il metodo del prezzo di rivendita (Resale price method)339;
-
il metodo del costo maggiorato (Cost plus method)340;
dedursi dal loro comportamento e dai principi economici che, in generale, disciplinano le
relazioni tra imprese indipendenti”.
336
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.55: “in primo luogo, è necessario identificare il mercato o i
mercati rilevanti, tenendo conto dei beni o servizi succedanei disponibili. Le condizioni
economiche che possono rivelarsi pertinenti nella determinazione della comparabilità dei mercati
comprendono: la localizzazione geografica; la dimensione dei mercati; il grado di concorrenza
sui mercati e le relative posizioni concorrenziali degli acquirenti e dei venditori; la disponibilità
(e relativi rischi) di beni e servizi succedanei; i livelli dell’offerta e della domanda sul mercato nel
complesso e, se del caso, in regioni particolari; il potere d’acquisto dei consumatori; la natura e
la portata della regolamentazione pubblica del mercato; i costi di produzione, compresi il costo di
terra, lavoro e capitale; i costi legati ai trasporti; la fase di commercializzazione (per esempio
dettaglio o ingrosso); la data e il momento in cui sono state effettuate le transazioni; e così via”.
337
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.59: “le strategie aziendali tengono conto dei numerosi aspetti
di un’impresa, come l’innovazione e lo sviluppo di nuovi prodotti, il grado di diversificazione, la
riluttanza all’assunzione dei rischi, la valutazione dei cambiamenti politici, il ruolo della
normativa giuslavoristica in vigore e in fase di programmazione, la durata degli accordi e altri
fattori che influenzano il funzionamento quotidiano delle imprese”.
338
OECD, Linee Guida, cit., par. 2.13: ”il metodo CUP confronta il prezzo di beni o servizi
trasferiti nel corso di una transazione tra imprese associate con il prezzo applicato a beni o servizi
trasferiti nel corso di una transazione comparabile sul libero mercato in circostanze
comparabili”.
339
OECD, Linee Guida, cit., par. 2.21: “il metodo del prezzo di rivendita si riferisce al prezzo a
cui un prodotto che è stato acquistato da un’impresa associata viene rivenduto ad un’impresa
indipendente. Detto prezzo (“prezzo di rivendita”) viene poi ridotto di un adeguato margine lordo
(“margine del prezzo di rivendita”) che rappresenta la cifra con la quale il rivenditore
cercherebbe di coprire le proprie spese di vendita ed altre spese di gestione e, alla luce delle
funzioni svolte (considerando i beni utilizzati ed i rischi assunti), di ricavare un utile adeguato.
Ciò che rimane dopo la sottrazione del margine lordo può essere considerato, a seguito della
correzione di altri costi associati alla compravendita del prodotto (ad esempio, diritti doganali),
come prezzo di libera concorrenza per il trasferimento originario del bene tra le imprese
associate”.
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-
i metodi basati sull’utile delle transazioni:
-
il metodo del margine netto della transazione (Transactional net
margin method)341;
-
il metodo di ripartizione dell’utile (Profit split method)342.
Da questa brevissima enunciazione dei caratteri essenziali che regolano la
determinazione del prezzo di libera concorrenza secondo quanto disposto dalle
Linee guida sui prezzi di trasferimento, appare subito lampante la circostanza che
il criterio del valore normale, così come delineato dal comma 3, art. 9 TUIR, altro
non faccia che recepire sinteticamente il solo metodo di confronto del prezzo che,
sebbene sia ritenuto dallo stesso OCSE il criterio preferibile rispetto a tutti gli altri
metodi di determinazione del prezzo di libera concorrenza, in concreto risulta
raramente applicabile nella pratica, stante la difficoltà di individuare transazioni
completamente comparabili.
Ciò implica l’emersione della rilevante questione, già brevemente affrontata
precedentemente, dell’ammissibilità o meno dell’utilizzo da parte degli operatori
nazionali degli altri metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento e in
340
OECD, Linee Guida, cit., par. 2.39: “il metodo del costo maggiorato considera innanzitutto i
costi sostenuti dal fornitore di beni (o servizi) nel corso di una transazione controllata per beni
trasferiti o servizi forniti ad un acquirente collegato. Un’appropriata percentuale di ricarico
relativa al costo di produzione (cost plus mark up) viene poi aggiunta a detto costo, così da
ottenere un utile adeguato tenuto conto delle funzioni svolte e delle condizioni di mercato. Il
risultato di tale operazione può essere considerato come prezzo di libera concorrenza della
transazione controllata originaria”.
341
OECD, Linee Guida, cit., par. 2.58: “il metodo basato sul margine netto della transazione
esamina il margine dell’utile netto relativo ad una base adeguata (ad esempio, costi, vendite,
attivi) che un contribuente realizza da una transazione controllata […]. Pertanto, il metodo
basato sul margine netto della transazione opera in maniera simile ai metodi del costo maggiorato
e del prezzo di rivendita”.
342
OECD, Linee Guida, cit., par. 2.108: “il metodo di ripartizione degli utili delle transazioni si
pone l’obiettivo di eliminare gli effetti sugli utili derivanti dalle condizioni speciali convenute o
imposte in una transazione controllata […], determinando la ripartizione degli utili che imprese
indipendenti avrebbero previsto di realizzare ponendo in essere la transazione o le transazioni. Il
metodo di ripartizione degli utili delle transazioni, individua, innanzitutto, gli utili da ripartire tra
le imprese associate derivanti dalle transazioni controllate da queste effettuate (gli “utili
complessivi”). Il termine “utili” deve essere inteso come comprendente anche le perdite. […].
Successivamente si ripartiscono detti utili tra le imprese associate sulla base di un fondamento
economicamente valido, il quale si avvicina alla ripartizione degli utili che sarebbe stata prevista
e considerata in un accordo realizzato secondo il principio di libera concorrenza”.
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particolare di quelli basati sull’utile delle transazioni, la cui compatibilità con il
dato legislativo interno non è palesemente riconosciuta.
A parte questo, vi sono comunque ulteriori profili di differenziazione tra il criterio
del valore normale e il principio dell’arm’s length, come evidenziato da
autorevole dottrina343, riconducibili:
-
alla predeterminazione del momento del conseguimento dei ricavi o del
sostenimento dei costi così come stabiliti dall’art. 109, comma 1 e 2,
TUIR344, a cui l’art. 9 dello stesso testo unico rinvierebbe implicitamente;
tale predeterminazione provocherebbe, difatti, in diversi casi, pericolose
distorsioni valutative345;
-
alla mancanza, nelle modalità di determinazione del valore normale, di
alcun richiamo alle condizioni che vengono stabilite nella transazione tra
343
L’individuazione di tali profili di diversificazione è dovuta a G. MAISTO, Il “transfer price” nel
diritto tributario italiano e comparato, cit., p. 94-95.
344
Ossia “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti
norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito
nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio
di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare
concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza:
a) i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si
considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della
stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla
data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale.
Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà. La locazione con clausola di
trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con
riserva di proprietà;
b) i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione
dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per
quelle dipendenti da contratto di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui
derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi;
c) per le società e gli enti che hanno emesso obbligazioni o titoli similari la differenza tra le
somme dovute alla scadenza e quelle ricevute in dipendenza dell’emissione è deducibile in
ciascun periodo di imposta per una quota determinata in conformità al piano di
ammortamento del prestito”.
345
In tal senso G. MAISTO, op. ult. cit., afferma: “si ponga il caso, ad esempio, di acquisti di merci
sul mercato internazionale a termine da parte di una società italiana tramite la propria consociata
estera. Le oscillazioni di prezzo (anche nell’ambito dello stesso giorno) possono determinare una
notevole differenza tra il prezzo pattuito il giorno della conclusione del contratto e quello della
consegna. Il rigido riferimento a quest’ultimo momento, ai fini della determinazione del valore del
bene darebbe, quindi, luogo, ad una ingiustificata alterazione dell’effettiva situazione del mercato
che deve costituire, invece, alla luce del principio di libera concorrenza, l’elemento determinante
del procedimento di valutazione”.
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parti indipendenti da assumere come modello di riferimento del confronto
con la transazione effettuata tra parti correlate; tali condizioni, invece,
secondo quanto disposto dalle Guidelines OCSE, devono essere identiche
o perlomeno simili tra le due transazioni oggetto di raffronto, in ossequio
alla fondamentale importanza assunta dall’analisi di comparabilità ai fini
della determinazione del principio di libera concorrenza;
-
al riferimento alle tariffe, listini e mercuriali con l’esclusiva indicazione
espressa degli sconti d’uso come variabile di cui tenere conto in sede di
determinazione del valore normale che parrebbe disconoscere la rilevanza
di ogni altra grandezza la cui dinamicità è legata alle ordinarie forze di
mercato.
Una delle ragioni a base del difetto d’identità tra arm’s length principle e criterio
del valore normale è comunque desumibile dalla circostanza che quest’ultimo,
come visto, rappresenta un concetto elaborato originariamente per altre ipotesi di
quantificazione dei componenti reddituali, diversi dalla determinazione dei prezzi
di trasferimento per cui l’estensione di detta disciplina è avvenuta solo
successivamente346, in cui le condizioni della vendita o del servizio non assumono
346
Rileva sempre G. MAISTO, op. ult. cit., p. 97, che la circostanza che il legislatore non abbia
considerato l’ipotesi delle operazioni infragruppo al momento dell’elaborazione normativa della
definizione di valore normale è desumibile dall’evoluzione subita dalla norma stessa durante i
lavori preparatori. L’autore, difatti, osserva che “originariamente, nello schema di decreto
delegato, la definizione di valore normale di cui all’art. 9 era applicabile esclusivamente a
“corrispettivi, proventi, spese ed oneri in natura” mentre l’art. 53, u.c., stabiliva che “ai fini del
presente articolo e delle altre disposizioni di questo Titolo si assume come valore normale, per i
beni destinati alla vendita, il prezzo medio delle vendite fatte, e, per quelli acquistati non destinati
alla vendita, il prezzo medio degli acquisti fatti dall’impresa nell’ultimo trimestre precedente,
senza tenere conto delle vendite e degli acquisti posti in essere con imprese collegate, e, in
mancanza, il valore risultante da mercuriali, listini e tariffe nel luogo e nel tempo più prossimi, al
netto degli sconti d’uso”. Limitata però la disciplina del transfer price alla sola ipotesi di società
controllata dall’estero, fu ritenuta “sufficiente la definizione della lettera c dell’art. 9, anche ad
evitare le remore, le diversità di ipotesi e gli inconvenienti che si sarebbero verificati nell’ipotesi
di una estensione della disciplina alle operazioni poste in essere tra società controllanti italiane
ed affiliate estere”. Il legislatore aveva, quindi, ritenuto che il concetto di valore normale ex art. 9
era sufficiente a disciplinare la materia ma che, tuttavia l’effetto distorsivo conseguente non
avrebbe comportato negative ripercussioni per le imprese a capitale italiano alle quali la
disciplina non era applicabile”.
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particolare rilevanza o non esiste una cessione in quanto i beni sono destinati
all’autoconsumo347.
Nonostante ciò, il problema della mancata corrispondenza tra il criterio di
determinazione dei prezzi di trasferimento posto dal TUIR e quello più articolato
individuato dall’OCSE, potrebbe essere superato se le Guidelines a cui, come
precedentemente accennato, il legislatore fa sempre più spesso riferimento,
venissero formalmente ed esplicitamente considerate uno strumento interpretativo
e integrativo della normativa vigente. In questo modo si sgombrerebbe il
panorama da ogni dubbio riguardante la compatibilità tra le due disposizioni, con
particolare riferimento alla questione pratica connessa alla possibilità di utilizzare
anche da parte dei contribuenti e dell’amministrazione finanziaria nazionale, tutti i
metodi di determinazione del transfer price anche se diversi da quello confronto
del prezzo348.
4.5 La parziale coincidenza tra valutazioni al fair value e ad
arm’s length
In ultima battuta, occorre soffermarsi brevemente sulle similarità e sulle
differenze presenti tra i due criteri di valutazione elaborati in maniera piuttosto
puntuale in ambito internazionale, ovvero il fair value e l’arm’s length principle.
Ciò in quanto, seppure i due standards siano stati emanati da differenti organismi
e con l’intento di soddisfare finalità diverse, hanno comunque dei punti di
contatto349. Da una parte, difatti, le disposizioni in materia di prezzi di
trasferimento si applicano anche ai soggetti IAS/IFRS, mentre dall’altra, quello
347
Così G. MAISTO, op. ult. cit., p. 96 e precedentemente S. MAYR, La rettifica dei costi e dei
ricavi ex artt. 53 e 56 del D.P.R. n. 597/73. II Parte – Presupposti oggettivi, in Boll. trib., 1977, p.
1052, per il quale “la definizione del valore normale contenuta nell’art. 9 del D.P.R. n. 597
sembra non lasciare spazio a commisurazioni di prezzi che siano determinate da motivi
particolari imprenditoriali soggettivi”.
348
A tal proposito A. MUSSELLI, A.C. MUSSELLI, Transfer pricing, cit., p. 271, dopo un’attenta
analisi del processo evolutivo a cui è stata sottoposta la disciplina dei prezzi di trasferimento in
sede nazionale ed internazionale, ritengono pienamente applicabili nel nostro Paese i principi
delineati dall’OCSE, in quanto ormai implicitamente riconosciuti dall’amministrazione finanziaria,
dalla giurisprudenza di merito e di legittimità e dallo stesso legislatore.
349
Per una trattazione più completa dell’argomento si veda J. WITTENDORFF, The arm’s length
principle and fair value: identical twins or just close relatives?, in Tax notes international, 18
aprile 2011, p. 223.
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della rilevazione delle operazioni con parti correlate è sempre stato un tema a cui i
principi contabili internazionali hanno prestato molta attenzione350.
Sebbene ad un primo momento le valutazioni al fair value e secondo il principio
di libera concorrenza possano sembrare identiche, in quanto tutti e due i criteri si
focalizzano sul prezzo che sarebbe stato convenuto tra parti indipendenti, da una
più attenta analisi delle caratteristiche che deve avere la transazione oggetto del
controllo, quella di riferimento e la valutazione vera e propria in base a quanto
stabilito da ciascuno standard, sorge qualche incongruenza.
Per quanto riguarda la transazione controllata, tutti e due i principi si basano sulla
transazione effettivamente realizzata dalle imprese associate, così come da queste
strutturata351.
Le prime diversità emergono quando si osservano le caratteristiche che
identificano la transazione comparabile di riferimento. Quest’ultima, sia per la
corretta applicazione dell’arm’s length principle che del criterio del fair value,
deve essere effettuata tra parti indipendenti352, ma se in ossequio alle Linee guida
OCSE bisogna fare riferimento alle condizioni che si sarebbero verificate in
transazioni comparabili e in circostanze comparabili353, e pertanto si adotta un
approccio soggettivo che tiene conto dello specifico contesto in cui si svolge
l’operazione354, il criterio di valutazione elaborato dallo IASB basa il raffronto su
350
Così D. AVOLIO, P. RUGGIERO, IAS/IFRS e “transfer pricing”: le differenze nelle valutazioni a
“fair value” e ad “arm’s length”, cit. p. 3719.
351
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.64: “Di regola, la verifica effettuata dall’amministrazione
fiscale su una transazione controllata dovrebbe basarsi sulla transazione effettivamente realizzata
dalle imprese associate, così come da queste strutturata, utilizzando i metodi applicati dal
contribuente nella misura in cui questi siano coerenti con i metodi descritti nel capitolo II”; IFRS
13, par. 11: “una valutazione del fair value è riferita ad una particolare attività o passività.
Pertanto, quando valuta il fair value, un’entità deve considerare le caratteristiche di quell’attività
o passività se gli operatori di mercato tengono conto di tali caratteristiche per determinare il
prezzo dell’attività o della passività alla data di valutazione”.
352
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.6: “il principio di libera concorrenza adotta un approccio
consistente nel trattare i membri di un gruppo multinazionale come se operassero quali entità
separate […] secondo l’approccio per entità separate, i membri di un gruppo multinazionale sono
considerati come entità indipendenti”; IFRS 13, Appendice A: “operatori di mercato: […] sono
indipendenti l’uno dall’altro, ossia non sono parti correlate ai sensi dello IAS 24”.
353
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.6: “[…] facendo riferimento alle condizioni che si sarebbero
verificate tra imprese indipendenti in transazioni comparabili e in circostanze comparabili (cioè
in “transazioni comparabili sul libero mercato”)”.
354
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.33: “Affinché siano utilizzabili per un tale confronto, le
caratteristiche economicamente rilevanti delle situazioni da confrontare devono essere
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una transazione ipotetica (una regolare operazione), effettuata su un mercato
ipotetico (il mercato principale o più vantaggioso)355, tra operatori di mercato
ipotetici (ben informati, capaci e disponibili)356, adottando pertanto un approccio
oggettivo357.
Ciò nonostante, tutti e due gli standards si poggiano sull’assunzione della
massimizzazione del profitto358 e, almeno presumibilmente, sulla presenza di
un’informazione tendenziale completa359.
Infine, con riguardo alla valutazione vera e propria, tutti e due i criteri si fondano
sull’analisi transazionale basata sul prezzo360 e riconoscono, inoltre, la possibilità
sufficientemente comparabili. Ciò significa che nessuna delle differenze (nel caso esistano) tra le
situazioni oggetto del confronto può influenzare in maniera significativa l’elemento esaminato dal
punto di vista metodologico (ad esempio, il prezzo o margine), oppure che si possono effettuare
delle rettifiche ragionevolmente accurate per eliminare gli effetti di tali differenze”.
355
IFRS 13, par. 16: “una valutazione del fair value suppone che l’operazione di vendita
dell’attività o di trasferimento della passività abbia luogo: a) nel mercato principale dell’attività o
passività; o b) in assenza di un mercato principale, nel mercato più vantaggioso per l’attività o
passività”.
356
IFRS 13, par. 23: “nello sviluppare tali assunzioni, un’entità non deve necessariamente
individuare operatori di mercato specifici. Piuttosto, essa deve identificare delle caratteristiche
che in genere distinguono gli operatori di mercato”.
357
IFRS 13, par. 2: “il fair value è un criterio di valutazione di mercato, non specifico dell’entità”;
par. 15: “una valutazione del fair value suppone che l’attività o passività venga scambiata in una
regolare operazione tra operatori di mercato per la vendita dell’attività o il trasferimento della
passività alla data di valutazione, alle correnti condizioni di mercato”
358
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.34: “per valutare le condizioni di una potenziale transazione,
le imprese indipendenti confronteranno questa transazione con le altre opzioni realisticamente
disponibili e effettueranno tale transazione soltanto se non individuano nessuna alternativa che
risulti nettamente più vantaggiosa”; IFRS 13, par. 22: “un’entità deve valutare il fair value di
un’attività o passività adottando le assunzioni che gli operatori di mercato utilizzerebbero nella
determinazione del prezzo dell’attività o passività, presumendo che gli operatori di mercato
agiscano per soddisfare nel modo migliore il proprio interesse economico”.
359
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.35: “tutti i metodi basati sul principio di libera concorrenza
possono essere collegati all’idea secondo cui le imprese indipendenti tengono presente le varie
opzioni disponibili, e nel confrontarle, considerano tutte le differenze esistenti tra le opzioni che
potrebbero influire significativamente sul loro valore”. IFRS 13, Appendice A: “operatori di
mercato […] sono ben informati, poiché hanno ragionevole conoscenza dell’attività o della
passività e dell’operazione utilizzando tutte le informazioni disponibili, comprese quelle
informazioni eventualmente ottenibili attraverso ordinarie attività di due diligence”.
360
OECD, Linee Guida, cit., par. 1.33: “l’applicazione del principio di libera concorrenza è
generalmente basata su un confronto tra le condizioni di una transazione tra imprese associate e
quelle di una transazione tra imprese indipendenti”; par. 1.35: “il metodo del confronto del prezzo
sul libero mercato confronta una transazione tra imprese associate con transazioni simili tra
imprese indipendenti per ottenere una valutazione diretta del prezzo sulle quali le parti si
sarebbero accordate se avessero fatto ricorso direttamente a un’alternativa di mercato per la
transazione controllata”; IFRS 13, par. 24: “il fair value è il prezzo che si percepirebbe per la
vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in una
regolare operazione nel mercato principale (o più vantaggioso) alla data di valutazione, alle
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di effettuare delle aggregazioni qualora il valore di transazioni o attività collegate
sia più rilevante del valore che le stesse transazioni o attività assumerebbero se
analizzate singolarmente361.
Per la determinazione del prezzo in applicazione dell’arm’s length principle
viene, però, considerata sia la prospettiva del cessionario che quella del
cedente362, si riconosce la possibilità di ottenere come risultato della valutazione
non esclusivamente un'unica cifra, ma una gamma di cifre tutte allo stesso modo
attendibili363 e si rigetta l’assunzione che legherebbe la valutazione alla
circostanza che il bene oggetto della transazione venga utilizzato nel modo più
intenso e produttivo364.
Al contrario, il fair value è un unico prezzo di chiusura, pertanto valutato dal
punto di vista del cedente365, e al fine della sua corretta valutazione si assume che
correnti condizioni di mercato (ossia un prezzo di chiusura), indipendentemente dal fatto che quel
prezzo sia osservabile direttamente o che venga stimato utilizzando un’altra tecnica di
valutazione”.
361
OECD, Linee Guida, cit., par. 3.9: “in teoria, per avvicinarsi il più possibile al corretto valore
di mercato, il principio di libera concorrenza deve essere applicato transazione per transazione.
Vi sono delle situazioni, però, in cui spesso le transazioni separate sono così strettamente
collegate o continue che non possono essere valutate correttamente se considerate
separatamente”; IFRS 13, par. 31: “se il massimo e miglior utilizzo dell’attività è costituito
dall’utilizzo dell’attività in combinazione con altre attività o con altre attività e passività, il fair
value dell’attività è il prezzo che si percepirebbe in un’operazione corrente di vendita dell’attività,
ipotizzando che l’attività sia stata utilizzata con altre attività o con altre attività e passività e che
tali attività e passività (ossia le sua attività complementari e le passività correlate) siano
disponibili agli operatori di mercato”.
362
Ad esempio OECD, Linee Guida, cit., par. 6.14: “per determinare il prezzo di libera
concorrenza in caso di trasferimento di beni immateriali, e ai fini della comparabilità, occorre
considerare sia il punto di vista del cedente che quello del cessionario”.
363
OECD, Linee Guida, cit., par. 3.55: “in alcuni casi sarà possibile applicare il principio di
libera concorrenza per ottenere una sola cifra (per esempio un prezzo o un margine) che
rappresenterà il dato più affidabile per determinare se le condizioni di una transazione siano
conformi al principio di libera concorrenza. Molto spesso. però, poiché la determinazione dei
prezzi di trasferimento non è una scienza esatta, l’applicazione del metodo o dei metodi più
appropriati avrà come risultato una gamma di cifre, tutte relativamente allo stesso modo
affidabili”.
364
OECD, Linee Guida, cit., par. 6.15: “tale analisi è importante al fine di assicurarsi che
un’impresa associata non sia tenuta a corrispondere per l’acquisto o l’utilizzazione di un bene
immateriale la somma calcolata sulla base dell’uso più intenso o produttivo di detto bene, nel
caso in cui questo risulti utile in misura più limitata per l’impresa associata, considerati la sua
attività e altri elementi relativi”.
365
IFRS 13, par. 2: “la finalità della valutazione del fair value è la stessa in entrambi i casi:
stimare il […] prezzo di chiusura alla data di valutazione dal punto di vista dell’operatore di
mercato che detiene l’attività o la passività”.
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il bene oggetto della transazione venga impiegato secondo il suo massimo e
miglior utilizzo366.
In conclusione, si ritiene che arm’s length principle e fair value siano due criteri
di valutazione non completamente convergenti, la cui applicazione potrebbe dar
luogo a risultati non coincidenti, ma ciò è pacificamente giustificabile dalla
diversità di obiettivi che l’OCSE e lo IASB si sono fissati di perseguire attraverso
la loro elaborazione ed emanazione367.
366
IFRS 13, par. 27: “una valutazione del fair value di un’attività non finanziaria considera la
capacità di un operatore di mercato di generare benefici economici impiegando l’attività nel suo
massimo e migliore utilizzo o vendendola a un altro operatore di mercato che la impiegherebbe
nel suo massimo e miglior utilizzo”.
367
Una sintesi delle analogie e delle differenze tra i due standards è delineata nella Table 1 in J.
WITTENDORFF, The arm’s length principle and fair value: identical twins or just close relatives?,
cit., p. 226.
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Corte di cassazione, sentenza 22 marzo 2002, n. 4117
Corte di cassazione, sentenza 24 luglio 2002, n. 10802
Corte di cassazione, sentenza 8 luglio 2005, n. 14428
Corte di cassazione, sentenza 28 ottobre 2005, n. 21055
Corte di cassazione, sentenza 17 febbraio 2006, n. 3505
Corte di cassazione, sentenza 13 ottobre 2006, n. 22023
Corte di cassazione, sentenza 21 febbraio 2007, n. 4057
Corte di cassazione, sentenza 16 maggio 2007, n. 11226
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Profili fiscali della valorizzazione dei beni nelle operazioni straordinarie
TESI DI DOTTORATO IN DIRITTO ED ECONOMIA DEI SISTEMI PRODUTTIVI
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI
150
Corte di cassazione, sentenza 18 maggio 2007, n. 11599
Corte di cassazione, sentenza 27 luglio 2007, n. 16705
Corte di cassazione, sentenza 11 aprile 2008, n. 9497
Corte di cassazione, sentenza 16 aprile 2008, n. 9950
Corte di cassazione, sentenza 18 giugno 2008, n. 16440
Corte di cassazione, sentenza 23 luglio 2008, n. 20280
Corte di cassazione, sentenza 15 settembre 2008, n. 23633
Corte di cassazione, sentenza 4 dicembre 2008, n. 28791
Corte di cassazione, sentenza 16 gennaio 2009, n. 951
Corte di cassazione, sentenza 25 maggio 2009, n. 12044
Corte di cassazione, sentenza 30 settembre 2009, n. 21020
Corte di cassazione, sentenza 2 marzo 2011, n. 5078
Corte di cassazione, sentenza 31 marzo 2011, n. 7343
Corte di cassazione, sentenza 11 novembre 2011, n. 23608
Corte di cassazione, sentenza 21 dicembre 2011, n. 27989
Corte di cassazione, sentenza 27 marzo 2012, n. 4931
Corte di cassazione, sentenza 18 maggio 2012, n. 7871
Corte di cassazione, sentenza 13 luglio 2012, n. 11949
Corte di cassazione, sentenza 24 luglio 2012, n. 13027
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151
Corte di cassazione, sentenza 19 ottobre 2012, n. 17953
Corte di cassazione, sentenza 20 dicembre 2012, n. 23551
Corte di cassazione, sentenza 27 febbraio 2013, n. 4927
Corte di cassazione, sentenza 27 marzo 2013, n. 7716
Corte di cassazione, sentenza 8 maggio 2013, n. 10742
Corte di cassazione, sentenza 14 giugno 2013, n. 14941
Corte di cassazione, sentenza 24 luglio 2013, n. 17955
Corte di cassazione, sentenza 25 settembre 2013, n. 22010
Corte di cassazione, sentenza 23 ottobre 2013, n. 24005
Corte di cassazione, sentenza 15 aprile 2014, n. 8711
Corte di cassazione, sentenza 30 maggio 2014, n. 12167
Corte di cassazione, sentenza 20 giugno 2014, n. 14068
Corte di Giustizia europea, sentenza 13 febbraio 1996, cause C-197/94 e C-252/94
Corte di Giustizia europea, sentenza 17 luglio 1997, causa C-28/95
Corte di Giustizia europea, sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02
Corte di Giustizia europea, sentenza 10 novembre 2011, causa C-126/10
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Prassi
Agenzia delle entrate, circolare 25 settembre 2008, n. 57/E - Razionalizzazione
della disciplina delle operazioni di riorganizzazione aziendale - articolo 1, commi
46 e 47, della legge 24 dicembre 2007, n. 244
Agenzia delle entrate, circolare 11 giugno 2009, n. 28/E - Affrancamento di
maggiori valori emersi in occasione di operazioni straordinarie - (articolo 15,
commi 10, 11 e 12 del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito nella
legge 28 gennaio 2009, n. 2)
Agenzia delle entrate, circolare 4 marzo 2010, n. 8/E - Disciplina per il
riallineamento dei valori contabili e fiscali - articolo 15 del decreto legge 29
novembre 2008 n. 185
Agenzia delle entrate, circolare 28 febbraio 2011, n. 7/E - Le regole di
determinazione del reddito dei soggetti tenuti alla adozione dei principi contabili
internazionali IAS/IFRS - Parte generale - Decreto legislativo 28 febbraio 2005, n.
38, legge 24 dicembre 2007, n. 244 e decreto del Ministero dell’Economia e delle
finanze 1° aprile 2009, n. 48
Agenzia delle entrate, risoluzione 15 dicembre 2004, n. 154/E - Istanza di
interpello - Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. XZ S.p.A. - Determinazione del
valore dell'avviamento fiscalmente rilevante - Articolo 103, comma 3, del TUIR
Agenzia delle entrate, risoluzione 29 luglio 2005, n. 111/E - Istanza di Interpello Rilevanza della riclassificazione dell'avviamento operata in applicazione degli
IAS ai fini della determinazione del reddito di impresa
Agenzia delle entrate, risoluzione 24 febbraio 2009, n. 46/E – Interpello - Fusione
inversa ed affrancamento dei beni ricevuti ai fini dell'imposta sostitutiva sulle
operazioni di fusione ai sensi dell'art. 172, comma 10-bis, del TUIR
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Agenzia delle entrate, risoluzione 27 aprile 2009, n. 111/E - Art. 172, comma 10bis, TUIR - Fusione inversa - Chiarimenti
AIDC, Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, norma
di comportamento 1 ottobre 2008, n. 171 - Rilevanza ai fini delle imposte dirette
del maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro in caso di cessione
d’azienda
ASSIREVI, Associazione Italiana Revisori Contabili, OPI 1 - Trattamento
contabile delle business combinations under common control nel bilancio
d’esercizio e nel bilancio consolidato
ASSIREVI, Associazione Italiana Revisori Contabili, OPI 2 - Trattamento
contabile delle fusioni nel bilancio d’esercizio
ASSONIME, Associazione fra le Società italiane per Azioni, caso 11 marzo 2014,
n. 4 - La valutazione in bilancio del conferimento di azienda
ASSONIME, Associazione fra le Società italiane per Azioni, circolare 12
settembre 2008, n. 51 - IRPEF - IRES - IRAP - Imposta sostitutiva sulle
aggregazioni aziendali e nuova disciplina dei conferimenti di azienda
Consiglio Notarile di Milano, massima 15 novembre 2005, n. 72 - Imputazione
del disavanzo da concambio nella fusione e nella scissione (art. 2504-bis, comma
4, c.c.)
CONSOB, Commissione nazionale per le Società e la Borsa, comunicazione 1
marzo 1994, n. 94001751 - Modalità di redazione della relazione di certificazione
prevista dall'art. 4 del D.P.R. 31.3.1975, n. 136
Fondazione Aristeia, documento 25 giugno 2003, n. 30 - Le valutazioni di
bilancio secondo il criterio del fair value
Ministero delle finanze, normale 10 ottobre 1934
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Ministero delle finanze, circolare 22 settembre 1980, n. 32 - Il prezzo di
trasferimento nella determinazione dei redditi di imprese assoggettate a controllo
estero
Ministero delle finanze, circolare 26 febbraio 1999, n. 53 - Gruppo di lavoro sulla
tassazione delle società di capitali - Verifiche campionarie
Ministero delle finanze, risoluzione 10 marzo 1982, n. 198 - Irpef. Reddito
d’impresa. Componenti positivi. Trasferimenti di pacchetti azionari nell’ambito di
un gruppo effettuati a valori di libro. Accertamento. Accertamento induttivo.
Condizioni.
Ministero delle finanze, relazione al decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127
Ministero dell’economia e delle finanze, relazione al decreto ministeriale 1 aprile
2009, n. 48
Senato della Repubblica, relazione al disegno di legge n. 1817/2007
Principi contabili e documenti correlati
EITF 90-5 - Exchanges of Ownership Interests between Entities under Common
Control
FRS 6 - Acquisitions and Mergers
IAS 8 - Principi contabili, cambiamenti nelle stime contabili ed errori
IAS 17 - Leasing
IAS 22 - Aggregazioni di imprese
IAS 24 - Informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate
IAS 27 - Bilancio consolidato e separato
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IAS 32 - Strumenti finanziari: esposizione nel bilancio
IASB - Conceptual Framework
IFRS 3 - Aggregazioni aziendali
IFRS 4 - Contratti assicurativi
IFRS 13 - Valutazione del fair value
OIC 4 - Fusione e scissione
OIC 9 - Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni
materiali e immateriali
OIC 16 - Immobilizzazioni materiali
OIC 17 - Il bilancio consolidato
OIC 24 - Immobilizzazioni immateriali
OIC 30 - I bilanci intermedi
SFAS 141 - Business combinations
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