UPS sta per Uninterruptible Power Supply. È una sigla che si è

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UPS
UPS sta per Uninterruptible Power Supply. È una sigla che si è divulgata nel mondo dei
computer per indicare quei dispositivi che, supportati da una batteria, consentono una ininterrotta
alimentazione in caso di caduta improvvisa o mancanza dell’energia elettrica principale.
Anche nel mondo dei Radioamatori un simile dispositivo è estremamente utile per evitare gli
effetti di impreviste cadute dell’Enel nelle operazioni in emergenza, per i ponti, i cluster, i beacon o
anche quando si sta collegando la stazione rara a cui davamo da tempo la caccia.
Visto che le nostre apparecchiature Radioamatoriali sono alimentate con una tensione nominale
da 13,8 Volt, concettualmente basta mettere una batteria da 12V connessa all’uscita
dell’alimentatore che usiamo nello schack. L’alimentatore provvederà, oltre che ad alimentare i
nostri apparati, a mantenere carica la batteria mentre nel caso in cui venisse a mancare l’Enel, la
batteria provvederà a mantenere alimentati gli apparecchi.
Concettualmente quanto sopra appare valido ma bisogna tenere presente alcune necessarie
accortezze:
1) Ad alimentatore spento la batteria potrebbe scaricarsi sui circuiti dello stesso.
2) In caso di corto della batteria o comunque problemi della stessa, la corrente fornita
dall’alimentatore alla batteria potrebbe essere eccessiva causando surriscaldamento o
addirittura esplosione della stessa.
Per evitare ciò basta realizzare il semplice circuito indicato nello schema per il quale gli unici
elementi utilizzati sono un ponte raddrizzatore ed una resistenza.
Come è evidente, la tensione di alimentazione verso il carico (il nostro RTX ad esempio) può
arrivare solo dall’alimentatore attraverso il diodo D2 o dalla batteria attraverso il diodo D4 i quali
hanno anche la funzione di:
- D2 impedisce che la batteria si scarichi sul circuito dell’alimentatore quando è spento.
- D4 impedisce l’applicazione della piena potenza dell’alimentatore sulla batteria.
Il diodo D3 insieme alla resistenza da 11 Ohm costituiscono il circuito di carica di mantenimento
della batteria. La presenza della resistenza infatti limita la corrente di carica alle sole esigenze di
mantenimento della carica.
Il diodo D1 è in pratica cortocircuitato dalla resistenza, non svolge alcuna funzione e potrebbe
benissimo non esserci.
In effetti sarebbero bastati tre diodi per la realizzazione del circuito. D2 e D4 con la portata di
35A perché devono sopportare la massima corrente assorbita dal carico (un apparto HF da 100W
assorbe tipicamente 20A in trasmissione) mentre D3 deve solo sopportare la corrente di
mantenimento della batteria che è limitata dalla resistenza.
Gli apparati moderni richiedono una tensione di alimentazione di 13,8V +/- 15% il che significa
da 11.73 a 15,87V nominali. Dato che i diodi del ponte utilizzato hanno una caduta di circa 0,8 V,
regolando la tensione di uscita dell’alimentatore sui 14.6V avremo sul carico e sulla batteria una
tensione di 13,8V che è adeguata sia per alimentare gli apparati che per mantenere carica la
batteria.
Bisogna però tenere presente che una batteria completamente carica presenta ai suoi capi più
di 12V ma, quando viene assorbita corrente, la tensione si abbassa a causa della resistenza interna
della batteria stessa e tipicamente si stabilizza sui 12V. Considerando la caduta sui diodi di 0,8V ne
consegue che la tensione ai capi del carico sarà di 11,2V. Questo valore di tensione può essere
troppo basso per alcuni apparati (come gli Yaesu) mentre per fortuna è sufficiente per il mio Icom
706.
Per avere la confidenza di poter alimentare diversi tipi di apparati bisognerà ricorrere (per D2 e
D4) all’utilizzo di diodi di tipo Schottky che hanno una caduta interna tipica di soli 0,4V. Agli apparati
verrebbero così forniti 11,6V.
Ho scelto di utilizzare un ponte per il semplice motivo che era disponibile nel cassetto delle
cianfrusaglie ed ho verificato che riesce comunque ad ottenere il risultato voluto.
In assenza di rete alternata, l’autonomia di alimentazione che si ottiene dipende
dall’assorbimento del carico che collegheremo e dalla capacità in Ah della batteria. Se abbiamo
bisogno di una autonomia maggiore basta usare una batteria con capacità in Ah maggiore. Se
mettete la batteria nella sala radio (come ho fatto io) è opportuno usarne una del tipo a secco per
evitare lo sviluppo di gas pericolosi durante la carica.
La resistenza limitatrice della corrente di carica della batteria fa sì che con una batteria da 17Ah
scarica la corrente fornita alla batteria è sui 170mA mentre a batteria totalmente carica vi è una
corrente di mantenimento di 60mA. Questo conferma che il dispositivo NON è un carica batteria ma
volutamente consente il mantenimento della carica della batteria alla massima efficienza.
Se poi volessimo estendere le possibilità di utilizzo e far funzionare dispositivi alimentati a 220V
alternati (ad esempio un PC) basterà aggiungere all’uscita dell’UPS un inverter della potenza
necessaria.
Nella realizzazione pratica ho utilizzato la scatola di uno switch di porte seriali di un computer col
semplice scopo di potervi montare le boccole di ingresso ed uscita delle connessioni esterne
mentre la resistenza ed il ponte sono stati installati, utilizzando il grasso al silicone per favorire lo
smaltimento del calore, su un radiatore di alluminio di recupero.
Il frontalino è stato disegnato al computer, stampato su carta fotografica e protetto da una
lastrina di plexiglass opportunamente forato per consentire il fissaggio sulla scatola tramite le
boccole rosse e nere.
Le foto mostrano la semplicità del tutto e l’installazione nel mio schack.
Un dispositivo semplice e banale ma che rappresenta una occasione, fra l’altro, di accendere di
tanto in tanto il saldatore, cosa che come radioamatori non dobbiamo dimenticare di fare.
73 de Gaetano IØHJN
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