1 progettare l`organizzazione - Università degli studi di Bergamo

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO DI INGEGNERIA GESTIONALE
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L’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
PROGETTARE L’ORGANIZZAZIONE
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Gestione Aziendale II
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Il ciclo di direzione aziendale
Dirigere significa partecipare attivamente alla formulazione delle strategie e
delle politiche di gestione. Ciò comporta, per l’intera struttura direttiva, un
continuo coinvolgimento nel processo di programmazione, di organizzazione e
di controllo della gestione aziendale.
PROGRAMMAZIONE
(atti di decisone)
CONTROLLO
(atti di valutazione)
ORGANIZZAZIONE
(atti di disposizione)
CONDUZIONE
(atti di guida)
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Il CICLO DI DIREZIONE identifica schematicamente i contenuti attribuibili alla funzione
di direzione. Ogni attività deve essere:
1. programmata, stabilendo in anticipo gli obiettivi da raggiungere, le modalità di
svolgimento da rispettare e le risorse da impiegare;
2. organizzata, individuando chi e con quali responsabilità dovrà curarne la
realizzazione;
3. guidata, fornendo le direttive e motivando gli organi operativi;
4. controllata, valutando i risultati raggiunti rispetto a quelli programmati.
Queste fasi si rinnovano incessantemente durante la gestione e danno corpo a distinte
funzioni di direzione.
Ognuna di esse comporta procedure e tecniche diverse ed impegna non solo l’alta
direzione aziendale, ma anche i livelli inferiori della piramide organizzativa.
A differenza delle funzioni organiche di gestione (vendita, produzione,acquisti, ecc.), le
funzioni direttive costituiscono momenti integrati di un processo unitario non
segmentabile.
Le funzioni organiche sono affidate ad esecutori differenti, dotati di competenze molto
specifiche. Una funzione di organizzazione o di programmazione non può trovare dei
responsabili esclusivi, in quanto i compiti di organizzazione o di programmazione
rientrano tra le responsabilità di tutti i dirigenti di un’impresa.
Quindi il ciclo di direzione per funzioni si giustifica solo sul piano procedurale, perché
deve consentire di esaminare separatamente momenti del ciclo stessi, diversi l’uno
dall’altro.
Nelle aziende di grandi dimensioni vi sarà un responsabile della programmazione o
dell’organizzazione o del controllo, ma ciò non significherà che ad esso soltanto
competerà la pianificazione, l’organizzazione o il controllo dell’attività aziendale. Il
sistema dovrà essere gestito con il concorso del gruppo dirigente nel suo complesso.
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La funzione organizzativa
1. Definire:
• i centri decisionali, di controllo ed esecutivi da istituire nell’impresa:
• l’autorità e la responsabilità da attribuire a ciascuno di essi;
• le relazioni formali da attivare fra i vari centri;
• le procedure di decisione, di informazione e di esecuzione, necessarie
per l’ordinato svolgimento della gestione.
2. Soddisfare le attese di coloro che lavorano nell’impresa.
Lo studio dell’organizzazione si svolge secondo un duplice profilo:
• legato alla struttura (aspetto statico)
• legato al comportamento (aspetto dinamico)
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Organizzare significa ordinare un sistema in parti interdipendenti e correlate, ciascuna
avente una specifica funzione o rapporto rispetto al complesso.
In senso aziendale le parti sono gli organi dell’impresa e l’organizzazione si rivolge in
primo luogo a disciplinare i compiti, i poteri e le responsabilità che ciascuno di questi
dovrà assumere nel corso della gestione.
Lo scopo è quello di ottenere le condizioni di massima efficienza operativa, di una
maggiore produttività del lavoro, dando origine ad un vero e proprio effetto sinergico.
Ma organizzare significa anche soddisfare le attese di coloro che lavorano nell’impresa.
Cioè nell’impiegare in modo giusto le risorse umane disponibili, accrescendone la
motivazione e migliorandone il rendimento globale.
Il duplice profilo della funzione organizzativa significa che, oltre ad ordinare compiti e
responsabilità, deve esaminare e regolamentare i rapporti interdisciplinari di conflitto e
di equilibrio che si creano nella dialettica organizzativa aziendale.
Ciò involge prevalentemente problemi di tipo psico-sociologico.
Nella forma più semplice la struttura organizzativa si basa sulla presenza di un centro
di comando (imprenditore) e di più centri di esecuzione.
In quelle più complesse, si articola in una molteplicità di unità differenziate di
decisione, di controllo ed operative. Nel passaggio dalla prima alle seconde cresce la
necessità di pervenire ad una definizione formale dell’assetto strutturale, cioè si afferma
sempre di più l’esigenza di “pianificare” l’organizzazione.
Quindi avremo da una parte una struttura spontanea, fondata sui rapporti personali
tra gli individui (aziende più piccole), e dall’altra, una struttura di piano (codificata),
definita formalmente e stabilmente.
Nel primo caso troviamo il vantaggio di una maggiore flessibilità d’impiego del
personale, utile di fronte ad esigenze improvvise e impreviste.
Al crescere della dimensione si complica il processo di coordinamento , i vantaggi della
flessibilità tendono a ridursi sino ad essere sopravanzati dalle difficoltà di conduzione
dell’impresa.
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Le scelte organizzative
Premessa:
•disegnare il grado di integrazione verticale dell’impresa
• valutare le caratteristiche del macro e del micro-ambiente di
riferimento
Vincoli:
• capacità professionali disponibili ed acquisibili nel mercato
del lavoro
• grado di disponibilità a sostenere investimenti fissi
• capacità della gestione di sostenere i costi di lavoro
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La premessa per la costruzione della struttura organizzativa consiste nel risolvere
preliminarmente il problema della determinazione del confine efficiente
dell’organizzazione (grado di integrazione verticale).
Si tratta di valutare le opzioni tra produzione interna e ricorso al mercato, cioè nella
scelta di quali funzioni dovranno essere attuate all’interno e per quali altre funzioni si
vorrà fare ricorso a fornitori esterni di prodotti o servizi. Ciò si rifletterà sull’ampiezza
dell’area organizzativa.
Si tratta anche di conoscere a fondo le caratteristiche macro e micro dell’ambiente in cui
l’azienda dovrà operare. Più il contesto esterno risulterà caratterizzato da condizioni di
instabilità e di dinamismo, maggiore dovrà essere la flessibilità dell’organizzazione.
Occorre inoltre tener conto di un complesso di vincoli, di natura umana ed economica,
che potrebbero far rinunciare a scelte teoricamente ottimali.
D’altra parte c’è sempre perenne conflitto tra potenzialità, elasticità ed economicità della
struttura. Quest’ultima, in sostanza, rappresenta l’investimento in capacità potenziali
che l’impresa decide di sostenere per poter disporre di determinati livelli di servizio., in
termini sia di qualità sia di volumi operativi. Serve un bilanciamenti tra i tre elementi,
tenendo conto che la scelta di una certa struttura organizzativa rappresenta il vincolo
maggiore per un’espansione che vada al di là della sua potenzialità massima di
servizio.
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La progettazione dell’organizzazione
Fasi di progettazione:
1. Individuazione degli obiettivi e delle funzioni organiche della
gestione aziendale
2. Scelta del modello di base per le ripartizione delle responsabilità
3. Scelta dei criteri di suddivisione delle responsabilità operative
4. Articolazione gerarchica delle unità primarie
5. Definizione del sistema di relazioni fra gli organi aziendali
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Organizzare significa innanzitutto lavorare sulle risorse umane, incidendo nella sfera di
comportamento di gruppi sociali.
In ipotesi di riorganizzazione aziendale, questi comportamenti finiscono spesso per
rappresentare i vincoli di maggior peso. Si tende ad ostacolare il cambiamento sia per il
principio dell’inerzia sia per il timore di perdere potere.
1. Prima occorre definire i traguardi quali-quantitativi che l’azienda si pone, che
possiamo chiamare obiettivi della gestione. Es. ampliamento delle dimensioni
aziendali, diversificazione delle produzioni, aumento dell’automazione, ecc.
Poi, su queste basi, si identificheranno le aree funzionali di maggior peso
rispetto agli obiettivi di gestione;
2. Concerne i criteri di ripartizione delle responsabilità ai livelli più elevati della
gerarchia aziendale. Consente di differenziare le unità primarie intorno a cui
sviluppare l’intera struttura organizzativa;
3. A completamento della fase precedente, si scelgono i criteri di suddivisione
dei compiti all’interno delle unità primarie;
4. Si sviluppa ulteriormente la struttura in termini di livelli e posizioni
gerarchiche, con l’obiettivo di frazionare i compiti assegnati alle unità primarie
e definire il grado di decentramento (deleghe) da conferire al processo di
direzione;
5. Stabilire i collegamenti tra le varie unità inserite nella struttura, creando una
rete di rapporti orizzontali, verticali e trasversali, atti a consentire il passaggio
delle informazioni.
Macro-struttura, micro-struttura, procedure di tipo decisionale ed operativo, rete di
relazioni per il sistema informativo, ecc.: questo processo non è semplice né è
agevolmente configurabile in uno schema teorico generale.
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Elementi e rappresentazione
della struttura organizzativa
1. Organi tra cui è suddiviso il lavoro
2. Funzioni assegnate a tali organi
3. Relazioni tra gli organi stessi
1. Organigramma
2. Mansionari
3. Norme procedurali
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Ci riferiamo alla struttura formale, quella prescritta dalla direzione ed esplicitata
attraverso ORGANIGRAMMI ed altri documenti. Come già visto, esiste pure
un’organizzazione informale, strettamente connessa con quella formale.
L’organigramma permette di individuare con immediatezza gli elementi caratterizzanti
la struttura di base:
• Gli organi di staff o di line
• Le relazioni tra gli organi, limitatamente a quelle di tipo verticale (o gerarchico) e
di tipo funzionale (es. tra il controller centrale e i controllers appartenenti a
singole divisioni)
• Lo sviluppo verticale o orizzontale della struttura
Per evidenziare altri aspetti organizzativi, all’organigramma vengono affiancati i
mansionari (descrivono i compiti per unità funzionale) e le norme procedurali
(specificano meglio i contenuti dei compiti, precisando come svolgerli ed evidenziando
particolari relazioni che legano organi differenti – forma descrittiva o diagrammi di
flusso).
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Progettare la struttura organizzativa
Scelta dei criteri di divisione del lavoro
orizzontale
verticale
Scelta dei criteri di coordinamento dl lavoro
Compiti prevedibili (routine)
• Procedure formali
Compiti con scarsa prevedibilità (incertezza)
Modifica criteri di divisione
Organismi di coordinamento
Struttura per matrice
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CRITERI DI DIVISIONE DEL LAVORO
Divisione del lavoro orizzontale
Suddividere i compiti globalmente svolti dall’azienda in attività meno complesse, da
affidare ai vari membri dell’organizzazione. I pricipali criteri sono:
a) Su base numerica: suddivisione su un determinato numero di persone che
compiono operazioni omogenee. Si tratta di livelli inferiori dove non sono richieste
particolari specializzazioni;
b) Per funzione: è il criterio più diffuso e consiste nel dividere l’attività aziendale in base
alle funzioni svolte (marketing, produzione, finanza, ricerca e sviluppo, ecc.). Regola
generalmente il primo livello gerarchico ma interviene pure ai livelli sottostanti;
c) Per prodotto: tiene distinta la gestione di prodotti molto eterogenee dal punto di vista
produttivo, commerciale, della progettazione, ecc. Normalmente regola la divisione
del lavoro a livello della struttura direttamente dipendente dall’alta direzione, ma si
può ritrovare anche a livelli inferiori, ad esempio all’interno della funzione di
marketing e di produzione;
d) Per area geografica: è adottato quando operano unità organizzative
geograficamente ubicate in zone distanti fra di loro (es. imprese multinazionali);
e) Per cliente o canale distributivo (dettaglio, ingrosso, concessionari, ecc.);
f) Per processo produttivo: applicabile all’interno dell’area di produzione, per tenere
distinti gli stabilimenti o i reparti che, indipendentemente dal prodotto, seguono
processi produttivi differenti;
g) Per progetto: si riferisce ad attività complesse, es. impianti su commessa del cliente,
con obiettivi precisi e durata limitata, che richiedono la creazione di organi con il
compito di coordinare le diverse specializzazioni coinvolte.
Questi sono criteri non necessariamente alternativi nell’ambito della stessa struttura.
Regolando livelli gerarchici e aree differenti dell’organizzazione, possono coesistere,
almeno in parte, nella stessa azienda.
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In pratica, quando si vuole individuare il tipo di struttura organizzativa adottato, si fa
riferimento al criterio di divisione del lavoro al livello immediatamente dipendente
dall’alta direzione. Per tale motivo le più diffuse strutture aziendali sono di tipo
“plurifunzionale” o “multidivisionale”
Divisione del lavoro verticale
Si articola la struttura in una serie di posizioni poste a livelli differenti e con un contenuto
di autorità decrescente (ma anche di complessità e varietà) man mano si passa dai
livelli superiori a quelli inferiori.
Con la divisione verticale si stabilisce il numero dei livelli organizzativi. L’organigramma
risulterà a sviluppo “verticale” oppure “appiattito” in base al numero dei livelli
organizzativi presenti nell’organizzazione.
La presenza di più livelli organizzativi richiede la soluzione del problema della
distribuzione dei poteri decisionali fra i livelli stessi.
1) Organizzazioni accentrate: le decisioni di un certo rilievo sono prese dall’alta
direzione
2) Organizzazioni decentrate: significativa diffusione dei poteri decisionali anche ai
livelli inferiori - si fa uso sistematico della delega .
Il caso 1) garantisce una conduzione più integrata dell’impresa, favorita dalla visione
d’insieme che il vertice possiede. Può dimostrarsi efficace nelle occasioni critiche di vita
dell’azienda.
Il caso 2) permette di prendere le decisioni là dove si manifestano i problemi e si
dispone delle relative informazioni. Col decentramento si favorisce:
l’alleggerimento dei compiti dell’alta direzione;
La responsabilizzazione dei dirigenti di livello medio e basso e il miglioramento
delle loro qualità manageriali.
La flessibilità dell’organizzazione, cioè la capacità di reazione tempestiva alle
condizioni interne ed ambientali, senza ricorrere sistematicamente ai vertici
aziendali.
Un elevato grado di decentramento si rende necessario in presenza di grandi
dimensioni aziendali, di dispersione geografica delle unità organizzative, di elevato
grado di dinamismo e di complessità dell’ambiente in cui l’azienda opera.
COORDINAMENTO DEL LAVORO
E’ una esigenza imposta dalla divisione orizzontale del lavoro e consiste nell’assicurare
ai vari sub-sistemi aziendali la necessaria integrazione.
Occorre creare meccanismi che permettano un’azione coordinata tra un numero elevato
di ruoli interdipendenti.
• Se i compiti da regolare sono prevedibili e di routine si definiscono regole e
procedure formali, che fissano i comportamenti dei membri di unità organizzative
diverse impegnati in attività collegate. In caso di situazioni non previste, si ricorre
alla gerarchia;
• Se i compiti si svolgono in condizioni fortemente incerte ed imprevedibili (si
moltiplicano le eccezioni), bisogna agire alla radice
• riducendo l’interdipendenza dei compiti (si cambiano i criteri di divisione del
lavoro – es. si raggruppano i compiti per prodotto o per zona geografica
anziché per funzione) o creando risorse di riserva;
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•
oppure accettando l’interdipendenza ma affrontando il problema del
coordinamento con meccanismi organizzativi diversi da quelli descritti. In
sostanza si abbassa il livello in cui avviene il coordinamento, mediante la
creazione di Comitati, Task forces, perni di collegamento (trait d’union),
gruppi permanenti di lavoro (Teams), ruoli di integrazione come il Project
Manager, Program Manager e strutture organizzative per matrice.
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Tipologia delle strutture organizzative
1. Struttura plurifunzionale
2. Struttura multidivisionale
3. Struttura a matrice
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1. Si possono classificare le strutture in base al criterio di divisione orizzontale del
lavoro al livello direttamente dipendente dall’alta direzione aziendale.
2. Un criterio alternativo, seppur complementare, non si limita ad una analisi dei livelli
superiori dell’organizzazione, ma tenta di classificare le strutture in base ad
un’osservazione globale dei caratteri organizzativi delle stesse.
E’ comunque sempre fondamentale individuare le principali variabili che influenzano
la scelta dei vari tipi di struttura o le condizioni che rendono opportuna la scelta di una
forma organizzativa o di un’altra.
Con l’approccio (1) le principali variabili sono:
• Il tipo di strategia
• La dimensione aziendale
Con l’approccio (2) i modelli organizzativi sono legati principalmente ai caratteri
dell’ambiente esterno nel quale opera l’azienda, di cui le variabili interne sono solo un
riflesso.
In realtà strategie, dimensioni, ambiente ed altre variabili sono tutti aspetti correlati della
realtà aziendale, per cui solo apparentemente i due approcci qui accennati sono
suscettibili di una distinzione netta.
Secondo il criterio della divisione orizzontale del lavoro al livello direttamente
dipendente dalla Direzione Generale (1), si possono disegnare tre tipi di struttura.
1. Struttura plurifunzionale (struttura unidimensionale)
Si basa su una divisione del lavoro direttivo per funzione omogenea (marketing,
produzione, personale, amministrazione, finanza, R&S, ecc.);
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2. Struttura multidivisionale (struttura unidimensionale)
Presuppone una divisione del lavoro direttivo per prodotto (o mercato o zona
geografica). All’interno di ciascuna “divisione” si ritroverà poi nuovamente la struttura
di tipo “plurifunzionale”;
3. Struttura a matrice (o per progetto) (struttura bidimensionale)
Si è in presenza di un duplice criterio di divisione del lavoro al livello dipendente
dall’alta direzione.
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Struttura plurifunzionale
DIREZIONE
GENERALE
DIREZIOME
MARKETING
DIREZIONE
PRODUZIONE
STABILIMENTO A
DIREZIONE
PERSONALE
DIREZIONE
AMMINISTRAZIONE
DIREZIONE
FINANZA
DIREZIONE
RICERCA
Ecc.
STABILIMENTO B
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Le Direzioni di funzione sono specializzate nelle singole aree funzionali per cui nessuna
di esse è normalmente in grado di occuparsi di problemi generali aziendali, ma solo di
problemi settoriali. A volte sono collegati tra loro attraverso un “Comitato”, in cui si
creano collegamenti orizzontali.
Ogni Dipartimento funzionale governa delle Unita Operative, con compiti
prevalentemente esecutivi (stabilimenti, filiali di vendita, laboratori di ricerca, uffici
amministrativi, ecc.).
La struttura plurifunzionale è considerata più efficiente delle altre forme organizzative.
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Le funzioni del Marketing
Le funzioni di marketing acquistano sempre più valenze strategiche e spesso
sono accentrate presso la Direzione Generale.
Ciò può influire sui compiti assegnati agli organi di marketing:
•Individuare le opportunità offerte dal mercato nei vari segmenti;
•Definire prodotti idonei a soddisfare tali esigenze (decisione strategica)
•Definire e attuare un programma operativo per portare i prodotti al loro
segmento di mercato (marketing mix)
Strumenti del marketing mix:
•Prodotto
•Pubblicità e promozione delle vendite
•Distribuzione
•Prezzo
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La sempre maggiore importanza della funzione di marketing ha prodotto evidenti riflessi
sul piano organizzativo:
a) Maggiore impiego di criteri di divisione orizzontale del lavoro basati sul “prodotto”.
L’applicazione di tali criteri porta sovente all’adozione di una struttura
multidivisionale;
b) La creazione o il potenziamento di organi dediti allo studio del mercato e alla
definizione delle politiche più opportune per adattarsi alle esigenze del mercato;
c) L’identificazione rilevante delle più importanti scelte strategiche aziendali con le
decisioni di marketing. L’alta direzione condivide le scelte strategiche con gli organi
commerciali. In forza di questo, si manifesta una tendenza ad affidare le posizioni
più elevate della struttura a persone di “estrazione” del marketing.
In generale si può affermare che l’orientamento al mercato è sinonimo di maggiore
apertura del sistema aziendale nei confronti dell’ambiente esterno.
Per quanto riguarda il marketing mix, occorre precisare che la politica del prodotto non
riguarda le decisioni strategiche relative alla gamma dei prodotti da presentare sul
mercato, ma solo certi elementi qualitativi (caratteristiche funzionali, linea, colore,
confezione, servizio post-vendita del marketing, ecc.) di più limitata importanza.
Anche altri elementi come il prezzo non sono di esclusiva competenza del marketing,
ma coinvolgono in misura rilevante altre aree aziendali.
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Gli organi del Marketing e i nuovi orientamenti gestionali
L’area del marketing gestisce le relazioni tra l’impresa e i mercati di sbocco
dei prodotti aziendali. I suoi organi hanno assunto un’importanza crescente perché
tale gestione è critica sul piano dei costi, dei ricavi e delle strategie aziendali.
Si è passati da una concezione “production oriented” ad una “marketing oriented”
PRODUCTION ORIENTED
MARKETING ORIENTED
1
Gamma di prodotti ristretta
1
Gamma di prodotti ampia e diversificata
2
Prevalenza di obiettivi a breve periodo
2
Prevalenza di obiettivi a medio-lungo periodo
3
Sviluppi produttivi legati alle esigenze di
ridurre i costi
3
Sviluppi produttivi legati alle esigenze dei
consumatori
4
Prezzi fondati sui costi di produzione
4
Prezzi fondati sul mercato
5
Imballaggio considerato come semplice
involucro produttivo
5
Imballaggio considerato come mezzo di
vendita
Ecc.
Ecc.
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Il marketing gestisce le relazioni fra l’impresa ed i mercati di sbocco dei prodotti
aziendali.
Ha subito una evoluzione piuttosto marcata con il passare del tempo.
Gli organi di marketing hanno assunto un’importanza crescente in tempi recenti per le
seguenti ragioni:
a) l’accresciuto peso dei costi di distribuzione rispetto a quelli di produzione a causa
di:
a) aumento dei costi di concorrenza (es. pubblicità);
b) aumento dei costi della rete di vendita;
c) inefficienza dei dettaglianti, troppo piccoli e disorganizzati;
d) maggior numero di servizi prestati ai consumatori (assistenza post-vendita,
garanzia, ecc.);
b) il passaggio da una concezione “production oriented” ad una “marketing oriented”.
Ormai le decisioni fondamentali sono formulate in base alle esigenze del mercato
più che alle esigenze economico-produttive dell’azienda.
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Struttura plurifunzionale: Marketing
DIREZIONE
MARKETING
Ricerche di
mercato
Programm.
vendite
Direzione
Vendite
Amministr.
vendite
Capo
Area Nord
Pubblicità
Fatturazione
Capo
Area Centro
Distribuzione
fisica
altro
Capo
Area Sud
Venditori diretti e indiretti
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Si presenta un organigramma assai semplificato. Si leggono una direzione vendite ed
alcuni organi di staff, che mostrano un deciso orientamento al mercato.
a) Direzione Marketing: nei limiti di delega conferitogli, formula gli indirizzi del
“marketing mix”;
b) Ricerche di mercato: gestisce una serie di informazioni di marketing attraverso
rilevazioni interne, ricerche commerciali, modelli matematici, anche attraverso
l’ausilio di enti esterni specializzati;
c) Pubblicità: si occupano di pubblicità e di promozione delle vendite: premi, offerte
speciali, esposizioni, ecc.;
d) Vendite: si occupa delle vendite dirette ed indirette, dei servizi alla clientela
(assistenza e consulenza), delle informazioni per l’azienda (concorrenti, mercato in
genere, ecc.). La sua struttura prevede le posizioni di Direttore, responsabili di zona,
ispettori, venditori diretti ed indiretti (agenti, rappresentanti);
e) Distribuzione fisica: gestione dei depositi esterni, trasporti tra depositi, spedizione e
consegna ai clienti, servizio al cliente (tempestività delle consegne);
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Struttura plurifunzionale: il new product manager
D.G.
Marketing
Produzione
Ricerca
Amministr.
Altri
NPM
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Oltre agli organi funzionali, a volte possono operare dei Product Managers, cioè dei
responsabili di prodotto che si occupano delle azioni di marketing di uno specifico
prodotto o linea di prodotti, quindi secondo un criterio di divisione orizzontale del lavoro
diverso dai precedenti.
Si possono individuare due tipologie di P.M.
a) Il New Product Manager (NPM): è responsabile dei nuovi prodotti.
Ha la missione di ideare un nuovo prodotto che si suppone possa essere richiesto
dal mercato. I compiti sono:
• Ricerche per ideare il nuovo prodotto;
• Preparazione e presentazione del “prototipo”;
• Trasformazione del “prototipo” in “prodotto”;
• Consegna del prodotto al Product manager che ne curerà il lancio.
Dal punto di vista organizzativo il NPM è una figura interessante perché, pur non
disponendo di autorità gerarchica sulle varie unità coinvolte (laboratorio di ricerca,
stabilimento di produzione, ufficio costi, servizio imballaggio, ecc.), deve ugualmente
promuoverne gli sforzi e coordinarne i compiti. La sua posizione è analoga a quella
del project manager che caratterizza le strutture” flessibili” (es, per matrice).
I pallini rossi indicano le persone facenti parte dei vari dipartimenti funzionali e
dipendenti gerarchicamente dal rispettivo responsabile che, per la durata del
progetto riguardante il nuovo prodotto, sono legate, non gerarchicamente, anche al
NPM.
b) Il Product Manager vero e proprio: vedi slide successiva.
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Struttura plurifunzionale: il product manager
Direzione
Marketing
P.M.
Prodotto A
Vendite
Direzione
Marketing
P.M.
Prodotto B
Pubblicità
P.M.
Prodotto A
Ecc.
staff
P.M.
Prodotto B
Vendite
Pubblicità
Altro
sub-direzione di marketing
Direzione
Marketing
Vendite
Pubblicità
Ecc.
P.M.
Prodotto A
Verso modello divisionale
P.M.
Prodotto B
matrice
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Il Product manager (PM) vero e proprio.
Cura il lancio del prodotto a lui affidato sul mercato e successivamente segue le varie
fasi del suo “ciclo vitale”.
I suoi compiti sono:
• Controllare l’andamento di mercato dei prodotti a lui affidati (es. mediante i margini
di contribuzione);
• Individuare le cause di eventuali disfunzioni (perché cala il volume di vendita,
problemi di prezzo, presenza di prodotti nuovi della concorrenza, ecc.) o le nuove
opportunità offerte dal mercato;
• Suggerire le azioni di marketing necessarie per eliminare le disfunzioni (modifiche
del prodotto, variazione del prezzo, ecc.), per trarre profitto dalle opportunità del
mercato.
I suoi poteri decisionali variano da caso a caso.
a) Come staff, segue un prodotto e segnala i provvedimenti più opportuni alla
direzione di Marketing, che deciderà in autonomia;
b) Come sub-direzione di Marketing, ha poteri limitati al prodotto di propria
competenza, con un organizzazione di vendita specializzata (ed eventualmente altri
servizi) alle proprie dipendenze;
c) Come seconda dimensione di una struttura per matrice, all’interno del Marketing
A volte, la suddivisione del lavoro per prodotto all’interno dell’area commerciale è il
primo passo verso la divisionalizzazione dell’azienda. In altre parole, dà inizio ad un
processo al termine del quale vengono riuniti in una sola unità gli organi che si
occupano non solo di marketing, ma anche di produzione, personale, acquisti, ecc. di
un certo prodotto o di una linea di prodotti.
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Le funzioni della Produzione
L’area della Produzione ha la funzione di realizzare tecnicamente i prodotti
da collocare sul mercato, in modo da renderli disponibili
• nella quantità
• nella qualità
• nel tempo
• ai costi
prestabiliti.
E’ una line operativa per eccellenza e si avvale di numerosi organi di staff.
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54
Il Marketing promuove e “spinge” il prodotto verso il mercato, la Produzione realizza
tecnicamente tali prodotti e li rende disponibili:
• nella quantità: compatibile con i programmi di vendita e con le politiche delle scorte
di magazzino prefissate;
• nella qualità: deve rispettare gli standards formulati;
• nel tempo: deve rispettare le date prestabilite di consegna alla clientela;
• al costo prestabilito: nell’ara di produzione si sostiene una parte rilevante dei costi
aziendali e si affrontano alcuni dei più importanti problemi di efficienza aziendale.
Sul piano organizzativo, nella produzione si ritrova la “line” operativa per eccellenza.
Possiede una struttura complessa e articolata, alla quale sin dai tempi della Scientific
Management si è dedicata grande attenzione per i rilevanti problemi organizzativi che il
tipo di lavoro svolto e la massa numerica del personale creano in modo particolare.
Inoltre, per la complessità dei compiti da svolgere, è presente pure una “staff” spesso
molto articolata, a sostegno del lavoro produttivo compiuto nei reparti.
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Struttura plurifunzionale: Produzione
Direzione
Produzione
Tempi e
metodi
Programmaz.
produzione
Stabilimento
A
Controllo
qualità
Manutenzione
Stabilimento
B
Tempi e
metodi
Reparto
1
Tecnologia
Stabilimento
C
Manutenzione
Reparto
2
Ecc.
Reparto
3
Ufficio
Personale
Reparto
4
operai
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55
Si può nell’organigramma notare una “linea” ben precisa di organi dedicati all’attività di
esercizio, che parte dalla Direzione di Produzione per arrivare sino agli operai.
Inoltre si identificano attività di carattere propedeutico ed ausiliario, che sottraggono agli
organi della “line” produttiva alcuni compiti non strettamente “operativi” (unità di “staff”):
• Tempi e metodi
• Manutenzione
• Controllo qualità
• Programmazione della produzione
• Magazzini
• Trasporti interni
• Ecc.
In alternativa potrebbe configurarsi una struttura meno articolata, se ai Responsabili
operativi di Stabilimento fossero affidati compiti di programmazione, definizione dei
metodi di lavoro, ecc. In tal caso però verrebbe meno un coordinamento a livello
“centrale” ed il livello di professionalità nello svolgimento delle funzioni ausiliarie si
rivelerebbe meno elevato.
Nella suddivisione della produzione tra una pluralità di stabilimenti prevalgono i criteri di
specializzazione:
• per area geografica: le produzioni di ogni stabilimento sono in grado di rifornire una
certa area di mercato. Ciò è opportuno quando assume grande importanza il
problema del trasporto a condizioni economiche dei prodotti aziendali;
• per prodotto: ogni stabilimento si specializza nella fabbricazione di certi prodotti,
specie quando le lavorazioni sono complesse e richiedono alta intensità di capitale;
• per fase: ogni stabilimento si occupa di una fase del processo produttivo, quando
quest’ultimo è scomponibile in più operazioni senza una successione obbligata.
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PROGRAMMAZIONE DELLA PRODUZIONE:
Trasforma le richieste provenienti dall’area commerciale in precisi programmi di lavoro
tempificati per le singole unità produttive (stabilimenti, reparti e singoli posti di lavoro),
attraverso le seguenti fasi:
1. Formulazione dei programmi di prodotti finiti, con determinazione di tempi e
quantità richiesti dal flusso delle vendite, tenuto conto della politica delle scorte;
2. Emissione degli ordini di produzione (per l’avvio delle lavorazioni nelle unità
produttive) e degli ordini di acquisto, per l’approvvigionamento dei materiali
necessari;
3. Distribuzione operativa del lavoro: quantità e tempi assegnati a ciascun centro di
lavoro;
4. Controllo dell’avanzamento della produzione, in rapporto ai parametri di qualità,
quantità e tempi stabiliti;
Il livello delle scorte non deve scendere al di sotto di certi limiti, per non
compromettere il regolare svolgimento dei processi produttivi e commerciali
dell’impresa, né salire al di sopra di determinati livelli, per ragioni finanziarie di impiego
di capitali ed economiche di costo dei capitali impiegati;
UFFICIO ACQUISTI
A volte vengono inseriti all’interno dell’area di produzione. Sono dedicati
all’approvvigionamento dei fattori produttivi materiali di cui necessita l’azienda (materie
prime ed accessorie, immobilizzazioni tecniche).
Ciò è giustificato quando vi è la necessità di coordinare strettamente la
programmazione della produzione con gli acquisti, affinché i materiali acquistati siano
conformi ai programmi di produzione ed alle politiche delle scorte di materie.
Altre considerazioni spingono all’enucleazione dell’Ufficio Acquisti ed alla sua
collocazione in una posizione “autonoma”:
• Libertà nella scelta dei fornitori, nella negoziazione dei prezzi, nell’individuazione del
momento più opportuno per acquistare le materie, al fine di raggiungere le
condizioni più economiche per l’azienda, nonostante le esigenze immediate della
produzione;
• Considerazioni di carattere finanziario: es. comperare ingenti quantitativi in momenti
in cui si prevedono difficoltà di reperimento sul mercato o tendenze al rialzo dei
prezzi).
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Evoluzione delle funzioni del Personale
Nel tempo la gestione del personale ha modificato sensibilmente le funzioni svolte:
1. Fino agli anni 50 : Compiti di disciplina e di amministrazione in senso stretto
2. Anni 50: utilizzo di tecniche che privilegiano le comunicazioni con il
personale, le attività sociali e altri strumenti per migliorare i rapporti in azienda;
3. Periodo recente e attuale: utilizzo di tecniche nuove di gestione del personale
(formazione e sviluppo, pianificazione carriere, job evaluation, piani retributivi,
sicurezza sul lavoro, privacy, ecc.).
Oggi è un Organo chiamato a svolgere il ruolo di “coscienza sociale”
dell’impresa e applica tecniche di gestione riguardanti l’acquisizione,
l’impiego e l’amministrazione del personale
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Le funzioni della Direzione del Personale si sono trasformate nel tempo e si sono
evolute a grandi tappe, tanto che, dalla semplice amministrazione, si identificano oggi
nella “coscienza sociale” dell’impresa, che si trasforma così in “sistema aperto”.
L’attività svolta dalla Direzione del Personale è complessa e riguarda l’acquisizione,
l’impiego e l‘amministrazione delle risorse umane aziendali:
•
•
•
Tecniche di acquisizione: profilo delle persone da assumere, ricerca, selezione,
assunzione, l’accoglimento e l’inserimento;
Tecniche di impiego: istruzione professionale e formazione, programmazione delle
carriere, valutazione del personale, analisi e descrizione del lavoro, valutazione delle
mansioni (job evaluation), formazione dei piani retributivi, servizi sociali,
comunicazioni, motivazione e incentivazione, sicurezza sul lavoro, medicina del
lavoro, ecc.)
Tecniche di amministrazione: interpretazione ed applicazione del diritto del lavoro,
rapporti previdenziali, rapporti sindacali.
Gli organi che si occupano di gestione del personale si possono distinguere in due
grandi categorie.
1. La “line” operativa, cioè i capi ai vari livelli che nell’ambito della propria unità
organizzativa guidano altre persone da essi dipendenti, in base ad un rapporto di
tipo “gerarchico”.
2. Organi specializzati nella gestione del personale a livello aziendale o di aree
aziendali, che si occupano dei problemi di persone che lavorano alle dipendenze di
altri responsabili con cui interferiscono sistematicamente (staff);
Queste interferenze sono continue (selezione, formazione, provvedimenti
disciplinari, avanzamenti di carriera, ecc.) favoriscono motivi potenziali di conflitto.
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Il fattore umano, almeno nelle economie occidentali, oggi è considerato una risorsa
critica (scarsa mobilità esterna, costi elevati e prevalentemente fissi, minore
accettazione delle forme di “autorità” tradizionali, ecc.).
I lavoratori non sono più motivati da semplici esigenze economiche.
Per questi motivi la Direzione del Personale si va trasformando con una duplice
connotazione:
1. Suscitare un minimo di consenso dei dipendenti verso forme di autorità che sempre,
in misura maggiore o minore, operano in azienda;
2. Sensibilizzare il management ad ogni livello e di ogni settore dei nuovi
comportamenti ed esigenze dei lavoratori e porsi così in una posizione di “coscienza
sociale” dell’impresa.
In entrambi i ruoli gli Organi del Personale si presentano come un importante mezzo di
collegamento fra Azienda e Ambiente e contribuiscono a fare dell’impresa un sistema
aperto.
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Struttura plurifunzionale: Personale
DIREZIONE
GENERALE
Direzione
Personale
Selezione
Relazioni
sindacali
Formazione
e Sviluppo
Amministr.
Personale
Attività sociali
Servizio
Sanitario
Altre
operai
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Come è collocata la Direzione del Personale nella struttura aziendale?
1. Sub-unità della Direzione Amministrativa: laddove prevalgono compiti di
“amministrazione” del personale in senso stretto;
2. Sub-unità di una Segreteria generale (staff della Direzione Generale, che si
occupa di questioni di varia natura: legali, pubbliche relazioni);
3. Sub-unità della Direzione con l’organico numericamente più consistente (es.
Direzione di produzione);
4. Direzione autonoma, dipendente direttamente dalla Direzione Generale.
Le prime tre soluzioni presentano inconvenienti di varia natura: assegnano compiti
troppo riduttivi o rischiano di non gestire in modo omogeneo le risorse umane operanti
in aree differenti.
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Le funzioni dell’Amministrazione
E’ un organo di staff che nel tempo ha arricchito le sue funzioni occupandosi
di contabilità direzionale e di sistemi di pianificazione e controllo di gestione.
Esercita un ruolo di primo piano nella conduzione sistemica dell’impresa in quanto:
• progetta e gestisce il sistema di controllo, cioè un meccanismo che finalizza il
comportamento aziendale verso obiettivi chiari e condivisi e verifica
sistematicamente il loro grado di raggiungimento;
• opera come meccanismo di coordinamento dei vari sub-sistemi aziendali, cioè
contribuisce ad integrare i compiti dei diversi settori (marketing, produzione,
acquisti, ecc.) sia in fase di programmazione che in fase di valutazione consuntiva
delle attività.
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I servizi amministrativi (organi di staff) hanno il compito di produrre informazioni di
carattere economico-finanziario sulla gestione passata e futura dell’azienda.
I loro compiti tradizionali si sono via via arricchiti nel tempo:
•
•
•
Tenuta della contabilità generale e redazione del bilancio d’esercizio;
Tenuta della contabilità industriale orientata al calcolo dei costi di prodotto e dei
centri di responsabilità
Formazione del budget e impiego di altri strumenti di programmazione e controllo.
Oggi ricoprono una posizione fondamentale per tutto il sistema aziendale e, attraverso
un’opera complessa di produzione ed interpretazione delle informazioni di carattere
economico-finanziario, sono il motore del sistema informativo direzionale.
La Direzione amministrativa si occupa sempre di più del sistema di controllo di
gestione, che non è un fatto solamente contabile, ma anche e soprattutto
organizzativo, che va realizzato in modo coerente con la struttura e con lo stile
direzionale adottato dall’azienda.
Il ruolo di “controller” interagisce con la Direzione Generale (obiettivi aziendali e criteri
generali di programmazione) e con i responsabili dei dipartimenti funzionali (budget
settoriali):
Alle competenze richieste dal ruolo tradizionale, tipicamente contabili in senso stretto,si
sono aggiunte pertanto, sino a diventare prevalenti, competenze nell’area del “controllo.
Queste richiedono:
•
•
Conoscenza del funzionamento di tutte le aree aziendali e capacità di dialogare con
i loro responsabili;
Capacità di coordinare il lavoro altrui (specie in sede di programmazione) senza
disporre di autorità gerarchica;
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•
Capacità di elaborare e impiegare dati economico-finanziari nelle scelte direzionali.
Alcuni compiti tipici del controller sono:
•
•
•
•
Stende le procedure di budget e ne promuove e coordina l’applicazione a livello
settoriale;
Elabora il budget aziendale “consolidando” quelli settoriali e ne cura l’approvazione
da parte della Direzione Generale;
Calcola e commenta gli scostamenti tra budget e consuntivi;
Elabora il reporting periodico ai vari livelli di responsabilità e ne interpreta i dati.
In sintesi esercita un ruolo di primo piano nella conduzione sistemica dell’impresa in
quanto:
•
•
Progetta e gestisce il sistema di controllo, cioè un meccanismo che finalizza il
comportamento aziendale verso obiettivi chiari e condivisi e verifica
sistematicamente il loro grado di raggiungimento;
Opera come meccanismo di coordinamento dei vari sub-sistemi aziendali. In altre
parole, contribuisce ad integrare i compiti dei diversi settori (marketing, produzione,
acquisti, ecc.) sia in fase di programmazione che in fase di valutazione consuntiva
delle attività.
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Struttura plurifunzionale: Amministrazione (e Finanza)
Direzione
Generale
Direzione
Produzione
Direzione
Finanaziaria
CONTROLLER
CENTRALE
Direzione
Amministrativa
Stabilimento
A
Contabilità
generale
Controllo
di gestione
Budget
Internal
auditing
Ufficio
legale
Controller
Stabilimento
A
Altri
Contabilità
analitica
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Molti possono essere gli esempi di struttura dell’area amministrativa.
A volte troviamo la duplice figura del “Direttore Amministrativo” e del “Controller” in
posizioni assolutamente autonome e con compiti ben distinti. A volte le due figure
coincidono, laddove il peso della funzione di controllo è più qualificante rispetto ad altre
funzioni tradizionali e di mera contabilità.
E’ frequente che i compiti del controller vengano suddivisi, in senso verticale, mediante
la costituzione di un controller centrale e di controllers periferici, così come nel caso
della gestione del personale. Il controller centrale dipende dalla Direzione generale,
quelli periferici operano all’interno di unità organizzative minori (es. stabilimenti o, in
caso di struttura multidivisionale, “divisioni”).
La dipendenza dal responsabile dell’unità minore è di tipo “gerarchico” e dal controller
centrale è di tipo “funzionale” e riguarda il rispetto delle procedure di controllo, delle
tecniche contabili da usare, ecc. Questo avviene in caso di delega consistente di poteri
dall’alta direzione, specie se si tratta di “divisioni” di prodotto.
FINANZA
La collocazione organizzativa tradizionale di chi si occupa di problemi finanziari è
nell’area dell’amministrazione. Spesso però la Funzione Finanziaria è stata enucleata e
differenziata rispetto agli organi amministrativi, specie in grandi aziende e in gruppi.
Infatti gli organi amministrativi non si occupano di gestione di risorse, ma di produzione
di informazioni economico-finanziarie, mentre gli organi finanziari si occupano del
reperimento e dell’impiego di una risorsa produttiva (fattore produttivo ”capitale
monetario”). E’ comunque vero che esistono numerosi punti di contatto tra le due
funzioni.
Gli organi finanziari hanno il compito di provvedere alla copertura dei fabbisogni di
capitale dell’azienda, ottenendo i mezzi finanziari più idonei e meno costosi e
controllando che il loro impiego sia adeguato ai fabbisogni da coprire.
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•
•
La direzione Finanza, date le sue competenze specifiche e la crescente
necessità di reperimento di risorse finanziarie, collabora al processo decisionale
in merito agli investimenti. Vi è pertanto un elevato coinvolgimento dell’Alta
Direzione perché qui si gestisce una risorsa necessaria per acquisire tutte le
altre.
Questa funzione presenta solitamente un elevato grado di accentramento (a
differenza del Personale e dell’Amministrazione) per le seguenti ragioni:
• Richiede un grado di specializzazione e di professionalità assai elevato;
• Con l’accentramento consegue “economie di scala” nel reperimento dei
mezzi finanziari;
• Con l’accentramento ottiene una riduzione del fabbisogno monetario in
quanto evita il ricorso a fonti esterne di alcune unità organizzative quando
altre unità hanno disponibilità finanziarie esuberanti;
• Gli investimenti avviati e la copertura dei conseguenti fabbisogni
rappresentano impegni rilevanti non modificabili nel breve periodo se non
a condizioni antieconomiche.
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Gli organi della Ricerca e Sviluppo
Collegano il sistema azienda con il mondo scientifico-tecnologico esterno e
producono innovazione attraverso:
• lo studio di nuovi prodotti da lanciare sul mercato
• il miglioramento di processi produttivi interni all’impresa
Lavorando per progetti, la soluzione organizzativa più adeguata è
la struttura per matrice
Gestione Aziendale II
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Quest’area ha come fine quello di produrre, attraverso la ricerca scientifica e
tecnologica, innovazione ed esattamente:
• Prodotti da lanciare sul mercato;
• Processi produttivi interni dell’impresa.
I prodotti industriali hanno un proprio “ciclo vitale”, al termine del quale non risultano più
economici per l’azienda produttrice, che li deve sostituire con altri nuovi.
Inoltre i processi di trasformazione industriale richiedono innovazioni per migliorare la
qualità dei risultati ottenuti, così come l‘efficienza dei costi.
Gli organi della R&S collegano il sistema aziendale con il mondo scientifico-tecnologico
esterno, che tra tutte le “dimensioni” aziendali è forse la più soggetta a rapidi
cambiamenti. Contribuiscono quindi ad accrescere il grado di “apertura” dell’impresa nei
confronti dell’ambiente.
Tali organi spesso vengono posti sullo stesso piano della produzione e del marketing
(con cui hanno strette relazioni) come soggetti delle funzioni “fondamentali”
dell’impresa.
Per non compromettere le capacità innovative dell’impresa, occorre evitare una
subordinazione alla produzione, dove si privilegiano criteri come la ripetitività, la
standardizzazione e l’efficienza.
•
•
L’accentramento è preferibile con dimensioni aziendali medio-piccole e con
diversificazione produttiva limitata.
Il decentramento permette di svolgere la ricerca a diretto contatto con le unità
operative interessate. In caso di struttura decentrata spesso nei laboratori centrali si
svolge la ricerca di base, per ampliare le conoscenze scientifico-tecnologiche
dell’azienda nel suo complesso, senza obiettivi immediati dal punto di vista
dell’applicazione industriale.
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La struttura per matrice trova nell’area della ricerca uno dei settori di più efficace
applicazione, in quanto la ricerca viene normalmente condotta per “progetti”.
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Sintesi sulla struttura plurifunzionale
Rispetto al modello di struttura multidivisionale, è considerata una struttura di tipo
accentrato.
E’ la struttura più diffusa nelle aziende poco diversificate per tecnologie, prodotti
e mercati e caratterizzate da situazioni di gestione sostanzialmente stabili sul piano
strategico ed operativo.
Ha il pregio di accrescere l’efficienza e di incentivare la competenza e la
professionalità delle risorse umane.
Mostra una tendenza ad aumentare il numero dei livelli gerarchici, non favorisce
l’innovazione, pone ostacoli ai processi di comunicazione e di coordinamento oltre
che alla responsabilizzazione e al controllo sulla redditività dei prodotti.
Favorisce i conflitti e pone problemi di coordinamento
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La struttura plurifunzionale viene normalmente definita una struttura “accentrata”,
non in senso assoluto, ma in relazione con le altre ed in particolare con quella
multidivisionale.
La delega dei poteri decisionali ai livelli dipendenti dall’Alta Direzione ha per oggetto
problemi settoriali, cioè attinenti ad una ben precisa area funzionale. Non vengono
invece delegate decisioni su tutti gli aspetti funzionali di un determinato prodotto,
mercato, territorio, ecc. come avviene regolarmente nella forma “multidivisionale”.
Pregi:
• Efficienza (riduzione dei costi): tutte le risorse aventi specializzazioni analoghe
vengono concentrate nel medesimo dipartimento funzionale, evitando una
proliferazione di organi non sempre economicamente utilizzati;
• Accresce la competenza e la professionalità per il continuo interscambio di idee e di
esperienze che questo tipo di organizzazione favorisce.
Difetti
Sono evidenti soprattutto quando le dimensioni aziendali si accrescono e la produzione
si diversifica:
• In caso di aumento delle dimensioni, si tende ad accrescere il numero dei livelli
gerarchici all’interno dei singoli dipartimenti, con difficoltà di comunicazione e di
coordinamento;
• In caso di diversificazione produttiva, i responsabili funzionali incontrano difficoltà a
risolvere efficacemente i problemi posti da una pluralità di prodotti con caratteristiche
differenti (es. differenti tecniche pubblicitarie), senza ricorrere all’incremento del
numero dei livelli gerarchici;
• Ancora in caso di pluralità di prodotti, il controllo sulla redditività dei medesimi non
può essere realizzato efficacemente, in quanto nessun dirigente è di norma
responsabile di tutte le principali decisioni relative ad un certo prodotto;
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•
Si manifestano carenze manageriali, in quanto prevale l’ottica “settoriale” e vi sono
pochi dirigenti in grado di guidare l’azienda con una visione d’insieme.
Esistono indubbiamente organi funzionali “principali” (spesso definiti di “line”) e
“secondari” (definiti di “staff”), in quanto il ruolo svolto dai diversi organi non è lo stesso
nel perseguimento degli obiettivi globali del sistema.
In particolare la Produzione, il Marketing, la Ricerca sovente sono quelli più
“immediatamente finalizzati” agli obiettivi aziendali.
Le altre funzioni svolgono un ruolo “strumentale” e in un certo senso “subordinato”
rispetto alle funzioni principali, liberando queste ultime da certi compiti ausiliari o
propedeutici rispetto all’oggetto tipico della loro attività.
Si obietta però che alcune funzioni cosidette “secondarie” si occupano di risorse
altamente “critiche”, come il Personale (rigido, costoso, difficilmente governabile) e la
Finanza (scarsamente disponibile, costosa, rischiosa).
Su questo argomento, appare difficile quindi tracciare una regola generale di validità
universale.
Infine si osserva che i vari sub-sistemi funzionali possono differenziarsi gli uni dagli altri
in termini di strutture interne, di meccanismi di controllo, di incentivazione, di cultura e di
mentalità, di stile di leadership, quale risultato di un processo di adattamento ai subsistemi ambientali con cui entrano in contatto, che spesso presentano caratteristiche
molto differenti.
Es. i laboratori di ricerca si confrontano con un ambiente incerto e forniscono
informazioni di ritorno sui risultati raggiunti solo dopo lunghi periodi di tempo, per cui
necessitano di una struttura organizzativa poco formalizzata, di controlli poco frequenti
e poco minuziosi, di uno stile di leadership poco autoritari. Al contrario di quanto si
addice ad uno stabilimento di produzione.
Quando il grado di differenziazione è elevato, si creano conflitti e problemi di
coordinamento interfunzionale che non sempre si risolvono mediante interventi
gerarchici, ma che richiedono altri mezzi come le unità di coordinamento, i comitati
interfunzionali, le strutture per matrice, ecc.
Progettare questo tipo di organizzazione non è certo semplice né è configurabile in uno
schema teorico generale. Le analisi e le conseguenti scelte sul piano della macrostruttura (di primo livello) e della microstruttura, lo studio delle procedure di tipo
decisionale ed operativo, il problema dell’attivazione del sistema delle relazioni
necessario per il funzionamento del sistema informativo richiedono un processo
articolato, costituito da fasi tra loro interdipendenti, che vanno attuate in modo iterativo
(ipotesi e verifica) per approssimare la soluzione ottimale. Quest’ultima sarà quella che
riuscirà a massimizzare il rendimento delle risorse disponibili e produrrà quindi il livello
più elevato di efficienza aziendale. Ma questo vale anche per gli altri modelli di struttura.
Nell’ipotesi di aziende diversificate e più dinamiche nei comportamenti imprenditoriali
appare più adatto il modello di struttura divisionale
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Struttura multidivisionale
DIREZIONE
GENERALE
MARKETING
RICERCA E
SVILUPPO
DIVISIONE
A
R&S
MARKETING
FINANZA
AMMINISTR.
DIVISIONE
B
DIVISIONE
C
PRODUZIONE
AMMINISTRAZ.
STABILIMENTO
1
PERSONALE
PERSONALE
STABILIMENTO
2
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62
Nella struttura multidivisionale il criterio-base di ripartizione del lavoro dipendente dalla
Direzione Generale è quello del prodotto omogeneo o dell’area geografica curata
dalla singola divisione.
Il modello comporta dunque il frazionamento dell’azienda in più parti ciascuna delle
quali potrebbe rappresentare un’impresa a sé stante e costituire quindi un “centro di
profitto” affidato alle cure di un diverso capo. Ciò significa rendere più elastiche e
flessibili organizzazioni di dimensioni elevate.
Nella struttura esistono cinque livelli fondamentali:
1. La Direzione Generale
- Si occupa dell’amministrazione dell’impresa nel suo complesso. Assume le
decisioni strategiche per lo sviluppo dell’azienda (cosa produrre, quali mercati
servire, che dimensione dare ai vari settori, ecc.) e si occupa di come distribuire
le risorse tra le divisioni;
2. Gli Staff centrali
- Sono organi specializzati in certe aree funzionali con compiti di assistenza alla
D.G. o alle Divisioni e sono dotati di autorità funzionale su organi corrispondenti
all’interno della Divisione (es. Personale);
3. Le Direzioni di Divisione
- Ricevono una delega a condurre l’unità come fosse un’azienda, compatibilmente
con le decisioni prese a livello centrale e riguardanti le strategie globali
d’impresa. Rappresentano dei “centri di profitto” in quanto l’autonomia concessa
ai direttori di divisione è tale da permettere di influenzare direttamente costi e
ricavi della divisione stessa;
4. I Dipartimenti funzionali di Divisione
- Sono aree di specializzazione funzionale del prodotto (o dell’area geografica)
curato dalla Divisione;
5. Le Unità Operative
- Stabilimenti, uffici, laboratori all’interno dei dipartimenti funzionali.
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Requisiti preliminari per il successo delle strutture multidivisionali:
1. Possibilità di attuare il controllo del rendimento organizzativo e definire,
all’interno della struttura, “centri di costo” e “di profitto” a cui assegnare obiettivi
precisi;
2. Reciproca indipendenza delle Divisioni: limitazione degli scambi interni di
materiali e servizi (prezzi interni di trasferimento), al fine di dare effettiva
concretezza alla responsabilizzazione assegnata in termini di profitto;
3. Limitazione della reciproca competizione sul mercato, nel caso vi sia sostituibilità
dei relativi prodotti. Nessuna Divisione, nel tentativo di migliorare i propri risultati
economici, deve ridurre quelli globali dell’impresa;
4. Sufficiente autonomia nei confronti della Direzione centrale, per esaltare i
vantaggi del decentramento. Occorre trovare un soddisfacente equilibrio tra
autonomia divisionale ed esigenze di accentramento. I limiti all’autonomia
riguardano frequentemente:
- Le risorse finanziarie, la cui gestione (reperimento dei fondi e attribuzione alle
Divisioni) resta accentrata presso la D.G.;
- Sistemi di controllo, politiche del personale, ecc., per garantire l’uniformità tra
le Divisioni;
- Approvvigionamento di alcuni servizi (elaborazione dei dati, servizi legali,
ecc.)
Alcune specificità organizzative:
Occorre risolvere il dilemma di cosa accentrare e cosa decentrare. Il criterio generale è
quello di decentrare le funzioni che possono ritrarre i maggiori benefici dalla
specializzazione e di accentrare quelli che chiedono un più elevato coordinamento sul
piano aziendale (es. finanza) o che consentono maggiori economie di scala o di
interrelazione (es. approvvigionamenti e ricerca e sviluppo). E’ infatti intuibile che
l’organizzazione divisionale non deve fare rinunciare al vantaggio della dimensione
aziendale, frazionando l’impresa in un complesso di parti tra loro assolutamente
indipendenti.
Generalmente si trovano organi centrali di staff e corrispondenti organi funzionali
di Divisione (es. marketing) e tra i primi e i secondi esiste una separazione dei compiti
e dell’autorità.
• Acquisti: l’ufficio centrale stipula con i fornitori contratti di acquisto di materie di uso
comune alle varie divisioni, mentre gli uffici divisionali effettuano le ordinazioni più
specifiche di volta in volta necessarie;
• Marketing: l’ufficio centrale cura la pubblicità “istituzionale” (cioè aziendale), mentre
l’ufficio divisionale si occupa della pubblicità “di prodotto”;
• Ricerca e sviluppo: i laboratori centrali effettuano la ricerca di base e quelli periferici
la ricerca applicata;
• Personale: il servizio centrale si riserva l’esercizio di alcune attività (es. relazioni
sindacali, assunzione e formazione di dirigenti, ecc.), mentre altre sono lasciate agli
uffici divisionali (es. assunzione di personale impiegatizio e operaio delle divisioni
stesse);
• Amministrazione: il controller centrale emana procedure vincolanti in merito al
sistema di controllo, cura la stesura e la verifica del budget aziendale, mentre i
controllers divisionali si occupano dei budgets specifici della loro unità organizzativa;
• Finanza: spesso la funzione è centralizzata.
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Si è già affermato che il modello multidivisionale è valido in caso di forte diversificazione
delle produzioni aziendali che giustificano il supporto di proprie organizzazioni. Si perde
in efficacia di coordinamento ma si guadagna in maggiore efficienza.
A volte le Divisioni posseggono autonomia giuridica, hanno cioè forma di società e
fanno parte di uno stesso gruppo (struttura-holding). Spesso questo avviene per motivi
fiscali e finanziari (suddivisione degli utili e delle perdite all’interno del gruppo,
diversificazione del rischio connesso con il conferimento di capitale, acquisizione di
maggiori possibilità di finanziamento mediante l’ampliamento della base societaria e il
ricorso a capitali di prestito, quotazione in borsa, ecc.) oppure proprio per rafforzare il
decentramento.
Nel passaggio da un’organizzazione divisionale ad una struttura-holding resta sempre
necessario l’accentramento, nelle mani della capo-gruppo, delle funzioni di
programmazione e controllo dell’attività del gruppo nel suo complesso, a cui dovranno
essere subordinate quelle delle diverse società operative. La capo-gruppo avrà la
responsabilità del coordinamento delle strategie delle società figlie e del disegno di
sviluppo globale del gruppo stesso. Peso rilevante in tutto questo sarà assunto dalla
gestione finanziaria, soprattutto sotto il profilo dell’assegnazione delle risorse per i
processi d’investimento.
Nell’ambito del sistema di controllo budgetario, le Divisioni coincidono con i cosidetti
“centri di profitto” o “centri di responsabilità”, il cui responsabile è in grado di influenzare
in misura significativa con le proprie decisioni sia i costi sia i ricavi di determinati
prodotti. Il conto economico divisionale si deve limitare a contrapporre componenti
positivi e negativi di reddito influenzabili dalle decisioni del direttore di Divisione.
Da segnalare due problemi presenti nei conti economici delle strutture divisionali:
• Problema dei rapporti interdivisionali e dei prezzi interni di trasferimento che, ove
sia possibile, dovrebbero rispecchiare i prezzi di mercato.
• Problema dell’imputazione dei costi relativi ai servizi prestati dalla Direzione
Centrale alle divisioni in base all’utilizzo che ne fanno (elaborazione dati, ricerche di
mercato, formazione, ecc.).
Concetto di “costi controllabili” a livello di divisione, che significa libertà di scegliere
tra l‘utilizzo di un servizio interno e l’acquisizione esterna.
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Caratteristiche della Struttura multidivisionale
Rispetto al modello plurifunzionale è considerata una struttura decentrata
con deleghe ampie e significative
Focalizza l’attenzione sui risultati anziché sui compiti
Garantisce un efficace coordinamento a fronte di produzioni diversificate
Alleggerisce il lavoro dell’Alta Direzione
Accresce e distribuisce una maggiore consapevolezza del profitto
Motiva i managers e favorisce lo sviluppo delle qualità imprenditoriali
Frizione e conflitti tra divisioni interdipendenti o in competizione
Enfasi sui risultati di breve periodo a scapito della redditività di medio-lungo
Lievitazione dei costi di direzione
Difficoltà di reperimento di managers divisionali di valore
Da organizzazione divisionale a struttura-holding
Gestione Aziendale II
63
Si definisce struttura decentrata, perché, rispetto al modello plurifunzionale, il
decentramento è più completo e significativo e le deleghe alle Divisioni sono molto
ampie.
L’attenzione viene spostata dalle funzioni ai prodotti, ciascuno dei quali richiede una
gestione unitaria.
I vantaggi di questa forma organizzativa sono i seguenti:
•
•
•
Oltre ad un più efficace coordinamento, questo modello permette di alleggerire il
lavoro dell’Alta Direzione, che può concentrarsi sulle decisioni strategiche. Infatti la
Direzione Generale può trattare problemi già vagliati e istruiti in modo integrato a un
primo livello istruttorio che è quello divisionale;
Diffonde una maggiore “consapevolezza” del profitto e permette un controllo di
gestione più puntuale.
Sviluppa inoltre le caratteristiche di “imprenditorialità” in un’ottica non settoriale e
favorisce il loro addestramento e crea motivazione.
Di contro il modello multidivisionale può presentare anche problemi:
Frizione e conflitti tra divisioni interdipendenti o in competizione. Vi è una naturale
competizione tra i direttori di divisione per l’ottenimento delle risorse produttive
(quadri direttivi, fondi, macchinari e attrezzature);
• Enfasi eccessiva sui risultati di breve periodo, dovuta alla delega di autorità in
termini di profitto, a scapito della redditività di medio-lungo periodo, specie quando i
direttori di divisione ruotano frequentemente tra le varie posizioni direttive;
• Difficoltà di reperimento di validi managers divisionali e centrali;
• Lievitazione dei costi di direzione per il moltiplicarsi del numero dei dirigenti e minore
efficienza (rispetto al modello plurifunzionale) a causa della ripartizione delle risorse
funzionali tra le divisioni.
Come per la plurifunzionale, anche per la struttura multidivisionale può esistere una
forte differenziazione dal punto di vista organizzativo e umano tra le varie unità.
•
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Struttura a matrice (per progetto)
DIREZIONE
GENERALE
DIREZIONE
PRODUZIONE
DIREZIONE
MARKETING
DIREZIONE
AMMINISTR.
DIREZIONE
PERSONALE
DIREZIONE
PRODOTTI A
DIRETTORE
TECNICO
DIRETTORE
VENDITE
CAPO
CONTABILE
CAPO
PERSONALE
DIREZIONE
PRODOTTI B
DIRETTORE
TECNICO
DIRETTORE
VENDITE
CAPO
CONTABILE
CAPO
PERSONALE
DIREZIONE
PRODOTTI C
DIRETTORE
TECNICO
DIRETTORE
VENDITE
CAPO
CONTABILE
CAPO
PERSONALE
Gestione Aziendale II
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E’ un modello a struttura cosidetta “elastica”, in grado cioè di adattarsi più prontamente
ad esigenze di gestione contingenti e rapidamente mutevoli.
L’organizzazione “per progetto” rappresenta, come in precedenza abbiamo anticipato,
un’ulteriore articolazione della struttura funzionale.
E’ all’interno di questa infatti che vengono costituiti dei gruppi di lavoro incaricati di
elaborare e porre in attuazione determinati programmi o progetti complessi.
Si procede alla nomina di un capo-progetto, coadiuvato da un team di specialisti estratti
dalle varie linee funzionali (produzione, vendita, ecc.), che lavorano alle strette
dipendenze del responsabile del progetto fino al compimento del progetto stesso, dopo
di che il gruppo si scioglierà.
Poiché nell’impresa potranno essere creati più gruppi responsabili di diversi progetti, il
modello base tradizionale sarà temporaneamente integrato da una struttura per
progetti.
I principi organizzativi che più caratterizzano la struttura a matrice sono:
a) La suddivisione del lavoro direttivo avviene secondo due criteri simultaneamente:
- per progetto (o commessa o programma)
- per funzione
b) L’organizzazione è regolata da un sistema di comando multiplo, e non dal principio
dell’unità di comando (sviluppo del concetto più avanti).
Dal punto di vista del sistema di controllo della gestione, nella struttura a matrice
esistono problemi più complessi che in altri modelli organizzativi. In particolare:
•
•
Le unità di progetto corrispondono a centri di profitto, anche se non dispongono di
tutta l’autorità necessaria per formulare le decisioni da cui dipendono i risultati
economici di commessa;
Le unità funzionali corrispondono in genere a centri di costo (o a centri di ricavo).
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E’ però assai difficile separare con sufficiente chiarezza la responsabilità delle due
“dimensioni” organizzative, poiché numerosi fenomeni di gestione sono il risultato di
iniziative prese dai responsabili di entrambe.
Funzionamento
• Esistono due gruppi di manager, posti entrambi alle dipendenze della Direzione
Generale, i responsabili di funzione e i responsabili di progetto;
• Le risorse necessarie alla realizzazione dei progetti sono assegnate ai dipartimenti
funzionali, a cui i project manager debbono rivolgersi per condurre a termine il
progetto loro affidato;
• La suddivisione del lavoro svolto dalle risorse funzionali di un dipartimento tra i vari
progetti si legge in senso verticale (input), mentre in senso orizzontale si osserva il
contributo che una specifica commessa (output) riceve dalle risorse delle diverse
aree funzionali);
Abbiamo già notato che anche nelle strutture “tradizionali” basate sul principio dell’unità
di comando sono speso presenti meccanismi formali o situazioni di fatto che conducono
a “deviazioni” rispetto alle regole classiche dell’organizzazione (es. poteri decisionali
degli organi di staff, Product Manager o New Product Manager)
Le aziende che in misura maggiore hanno adottato questa struttura sono quelle che
basano la propria gestione su programmi o progetti complessi, cioè su produzioni che
comportano problemi unici e non ripetitivi, tipici delle attività su commessa del cliente. Si
tratta di grandi commesse di durata spesso pluriennale (costruzioni navali, aerospaziali,
edili, grandi impianti, ingegneria civile, ecc.).
Il problema cruciale è sempre quello del coordinamento delle attività necessarie per
realizzare ciascun progetto nei tempi, alle condizioni tecnico-qualitative e ai costi
prestabiliti in sede di programmazione. A tali fini risultano normalmente inefficaci sia la
struttura plurifunzionale (direzione difficilmente in grado di seguire una pluralità di
commesse grandi e complesse) che quella multidivisionale (commesse con ampiezza
e durata tali da giustificare l’assegnazione “stabile” di risorse alle unità divisionali).
L’organizzazione “per matrice” rappresenta l’istituzionalizzazione di quella per
progetto, in quanto la struttura aziendale assume carattere reticolare con un intreccio di
competenze funzionali e per progetto.
Dalla figura emerge l’interconnessione tra campi di responsabilità orizzontali (Prodotti A,
B e C) e campi di specializzazione verticale (funzione di produzione, commerciale,
amministrativa e del personale), con la creazione di un duplice rapporto di autorità. Ogni
responsabile infatti si troverà alle dipendenze del direttore di linea (produzione, vendita,
ecc.) e del direttore di prodotto, per cui sarà costretto a rendere conto a due superiori e
potrà risentire negativamente di questa situazione.
Nell’organizzazione per matrice si hanno dunque tre tipi di ruoli:
a) La direzione generale, preposta al coordinamento e al controllo dell’intera struttura
organizzativa;
b) Le direzioni settoriali (divisioni) e funzionali, preposte al coordinamento e al controllo
delle funzioni e delle divisioni immediatamente sottostanti al livello precedente;
c) Le responsabilità congiunte divisionali/funzionali dei gruppi operativi inseriti nella
struttura
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Le singole divisioni possono essere organizzate su base:
•
•
Funzionale, se la produzione è ripetitiva;
Matriciale, se la produzione è su commessa di rilevante complessità, durata ed
impegno economico-finanziario
Entrambi i modelli a struttura elastica (per progetto e matriciale) si prestano a
rispondere alle esigenze di imprese caratterizzate da tecnologie complesse e da
prodotti con breve ciclo di vita. Però, mentre l’organizzazione per progetto è una
variante dei modelli tradizionali, e non può essere considerata come un modello a sé
stante, quella per matrice rappresenta indubbiamente un nuovo tipo di struttura.
Essa produce vantaggi rilevanti specie nelle imprese in cui la gestione dell’innovazione
assume un’importanza determinante ai fini dei risultati aziendali, ma presenta anche
degli inconvenienti notevoli sotto il profilo del coordinamento delle attività e della
motivazione del personale. Per tale ragione non è un tipo di organizzazione molto
diffuso nell’attuale realtà aziendale.
Costruire il modello ai livelli di struttura più bassi
Scegliere il modello-base di suddivisione dell’autorità orienta la ripartizione dei compiti e
delle responsabilità ai vari livelli gerarchici, ma non comporta l’automatica soluzione del
problema della specializzazione delle aree di competenza all’interno della struttura.
Quest’ultima deve infatti essere articolata in rapporto alla natura delle attività da
svolgere nell’ambito di ciascuna funzione o divisione.
Il modello, dopo essere stato definito a livello alto-direzionale, deve essere sviluppato
mediante l’assunzione di ulteriori scelte per la ripartizione dei poteri e delle
responsabilità ai successivi livelli della struttura.
Ogni impresa può ad esempio adottare, oltre ai criteri fino ad ora illustrati (funzioni,
prodotti e territori), una segmentazione per tipo di processi produttivi, per prodotti *, per
categoria di clienti serviti, per canali di distribuzione, ecc.
Basti ricordare il caso delle aziende operanti nel settore dei beni di consumo, dove si è
istituita la figura del product manager (responsabile di prodotto), che accentra nelle
sue mani i compiti di programmazione e controllo della gestione di un prodotto
compreso nella gamma aziendale. L’autonomia concessa al product manager consente
di renderlo responsabile dei risultati economici raggiunti.
Egli sovente fa capo all’area del marketing e ha il compito di proporre le decisioni
strategiche relative a un certo prodotto, ne verifica i risultati, segue le azioni correttive,
segue insomma il ciclo vitale di un prodotto, con funzioni di coordinamento e
consulenza nei confronti delle varie unità funzionali.
I product managers sono organi permanenti, al contrario dei responsabili di progetto e
delle unità che da essi dipendono che sono organi temporanei e che spesso hanno
autorità gerarchica sugli organi da controllare.
La scelta di uno o più elementi congiunti di suddivisione è orientata dalle diverse
caratteristiche di attuazione di tali compiti.
Soffermiamoci sul caso della funzione di vendita, dove con maggior frequenza si
rinvengono situazioni organizzative molto complesse:
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•
•
•
Se l’impresa tratta famiglie diverse di prodotti, è necessario suddividere la gestione
in rapporto a queste;
Se la vendita di ciascun prodotto si rivolge a strati diversi di acquirenti (es. liberi
professionisti, aziende, studenti, enti pubblici, ecc.) è opportuno ripartire le
responsabilità in relazione ai vari segmenti di mercato;
Se la vendita si svolge in zone diverse per livello di sviluppo economico e sociale, è
conveniente suddividere le funzioni per aree più o meno omogenee.
Da qui l’esigenza di articolare l’organizzazione commerciale contemporaneamente per
prodotti, per cliente e per zone.
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Struttura a matrice: conclusioni
coordinamento efficace delle diverse attività, senza rinunciare all’elevato grado
di efficienza tipico delle strutture plurifunzionali
elevato grado di flessibilità
moltiplica i motivi di conflitto tra organi diversi
provoca senso di insicurezza ai titolari di certe posizioni organizzative
La struttura a matrice richiede periodi non brevi di rodaggio e di aggiustamento,
prima che la struttura sia in grado di funzionare efficacemente
Gestione Aziendale II
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Vantaggi:
• Nello stesso dipartimento funzionale sono concentrate risorse addette al
coordinamenti interfunzionale (le unità di progetto/prodotto) e risorse specialistiche;
• Vi è possibilità di trasferire con relativa facilità risorse da un progetto all’altro, sulla
base delle esigenze contingenti;
Problemi:
• i project manager pongono l’enfasi sull’esigenza di raggiungere e di equilibrare gli
obiettivi di tempo, costo e qualità, mentre i responsabili funzionali spesso
privilegiano solo uno di questi aspetti (es. qualità);
• Manca una chiara separazione delle responsabilità del manager funzionale e di
quello sul progetto/prodotto in relazione alle medesime attività e prestazioni;
• Disposizioni contraddittorie impartite al personale funzionale dai due responsabili da
cui dipende;
• Priorità assegnata a certi progetti piuttosto che ad altri dai responsabili funzionali
L’insicurezza può essere attribuita alla temporaneità del ruolo assegnato (project
manager) e all’ambiguità di figure funzionali dovuta alla sostanziale appartenenza a due
dimensioni organizzative diverse.
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Vantaggi/svantaggi dei tre modelli organizzativi
Modello
Vantaggi
Svantaggi
Plurifunzionale
•Efficienza
•Sviluppo competenze specialistiche
•Frequente difficoltà di coordinamento
Multidivisionale
•Efficace coordinamento
•Sviluppo qualità manageriali
•Motivazione
•Limitata efficienza
Matrice
•Efficace coordinamento
•Efficienza
•Flessibilità
•Conflitti
•Insicurezza
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I vantaggi e gli svantaggi di ciascun modello vanno intesi in senso relativo, cioè come
caratteristiche che in un certo tipo di organizzazione si manifestano in modo più
marcato che in altri.
I modelli analizzati sono suscettibili di numerose varianti in sede di applicazione pratica.
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Condizioni favorevoli alla scelta di un modello organizzativo
Modello
Condizioni favorevoli
Plurifunzionale
Produzione poco diversificata
Dimensioni aziendali limitate
Processi produttivi ed attività funzionali ripetitive
Stabilità nelle condizioni ambientali
Multidivisionale
•Produzione molto diversificata
•Sviluppo dimensionale attraverso l’aggregazione di nuovi prodotti o mercati
•Disponibilità di risorse manageriali all’altezza delle responsabilità assegnate
Matrice
•Produzione su commessa o per progetto/prodotto di rilievo
•Facilità di spostamento di risorse
•Elevata instabilità delle condizioni ambientali (mercati e tecnologie)
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Condizioni favorevoli per la scelta del modello organizzativo
Plurifunzionale
• Produzione poco diversificata sia sul piano tecnico-commerciale che su quello
dell’ubicazione geografica delle unità organizzative;
• Limitate dimensioni aziendali. In caso contrario tende ad assumere uno sviluppo
verticale che rende difficile il coordinamento;
• Siamo in presenza di produzioni di serie e a flusso continuo;
• Stabilità sostanziale nelle condizioni ambientali
Multidivisionale
• Produzione aziendale molto diversificata dal punto di vista tecnico-commerciale o da
quello della localizzazione geografica delle unità organizzative;
• Sviluppo dimensionale attraverso l’aggregazione di nuovi prodotti o mercati (cioè
nuove divisioni);
• I manager devono avere competenza e capacità per gestire le Divisioni, aventi
caratteristiche simili a quelle di vere e proprie imprese
Matrice:
• Produzione aziendale realizzata su commessa o per progetti/prodotti di rilevante
complessità, durata e impegno economico-finanziario;
• È possibile spostare con relativa facilità le risorse da un progetto all’altro e dai
progetti ai gruppi funzionali, a seconda delle esigenze. Il modello non si adatterebbe
a quelle imprese in cui è molto alto l’investimento per addetto né a tutti i casi in cui
risulti effettivamente difficile ridistribuire gli impianti ed assegnarli a singoli progetti
controllati separatamente.
• Mercati e tecnologie instabili.
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La “matrice” è applicata tipicamente da imprese che svolgono una intensa attività di
ricerca e sviluppo, che svolgono processi di produzione rapidamente mutabili.
Ma appare diffusa anche nei seguenti settori: chimico, farmaceutico, bancario,
assicurativo, commerciale, pubblicitario, ospedaliero.
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Organizzazione del lavoro esecutivo
L’ispirazione tayloristica di molte strutture ha reso necessario
ri-organizzare il lavoro esecutivo per rimediare agli effetti della
dequalificazione e dell’insoddisfazione psicologica dei lavoratori,
oltre che dell’irrigidimento delle strutture aziendali.
Job rotation
Job enlargement
Job enrichment
Gruppi autonomi di lavoro
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L’organizzazione del lavoro esecutivo (operai, impiegati) si ispira spesso ancora oggi al
modello tayloristico, specie nelle produzioni di tipo ripetitivo:
•
•
•
•
Separazione netta tra programmazione ed esecuzione del lavoro;
Semplificazione e ripetitività dei compiti assegnati, per rendere più veloce
l’esecuzione;
Concentrazione di operai addetti alla stessa lavorazione in un unico stabilimento,
per accrescere la parcellizzazione delle mansioni;
Meccanizzazione di molte operazioni e impostazione di produzioni di massa e di
lunga durata;
Questo modo di organizzare il lavoro ha indubbiamente avuto riflessi positivi sul piano
della razionalizzazione produttiva e dell’efficienza, ma ha prodotti molteplici effetti
negativi sul piano delle esigenze dei lavoratori e su quelle economico-tecniche delle
aziende:
•
•
•
Dequalificazione dei lavoratori;
Insoddisfazione psicologica degli stessi;
Irrigidimento delle strutture aziendali: minor grado di adattabilità dell’azienda alle
variabili condizioni ambientali, dinamiche e innovative.
Dalle esigenze di maggiore soddisfazione e sviluppo della professionalità e di maggiore
“flessibilita” nasce la necessità di riorganizzare il lavoro esecutivo.
a) Teorie motivazionali (scuola di matrice americana): propone soluzioni organizzative
tipicamente “individuali”
b) Approccio dei Sistemi socio-tecnici (scuola di matrice europea): suggerisce forme
organizzative di gruppo.
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Tra le teorie motivazionali ricordiamo le ricerche di Herzberg (vedi note relative alla
slide 37):
• fattori “igienici”, incapaci di creare soddisfazione: tipo di politiche aziendali, di
supervisione, condizioni ambientali di lavoro, salario,ecc.
• fattori “motivanti” , capaci di generare elevata soddisfazione: raggiungimento
obiettivi, riconoscimento, responsabilità, crescita e sviluppo personale, lavoro in
sé, ecc.
Occorre agire sui fattori motivanti, modificando il contenuto stesso del lavoro, nel
presupposto che siamo in presenza di motivation seeker (persone che cercano la
motivazione).
La strada da seguire è quella dell’arricchimento dei compiti:
• Ampliamento delle conoscenze;
• Creatività;
• Capacità di operare efficacemente in condizioni di incertezza;
• Sviluppo della personalità, intesa in senso “globale”.
L’approccio per “sistemi” (slide 39) prende in considerazione tutte le variabili in gioco,
e non solo quelle psicologiche, come avviene invece nelle teorie motivazionali.
Riconosce anche l’esistenza dei esigenze tecnologiche oltre a quelle psico-sociali, da
tenere presente in sede di organizzazione del lavoro. Viene dato ampio risalto
all’influsso ambientale e alla necessità conseguente di maggiore flessibilità della
struttura organizzativa, e all’importanza dei gruppi di lavoro su cui si deve basare la
riorganizzazione.
Applicazioni pratiche di queste teorie:
a) JOB ROTATION
Rotazione del lavoro presso diversi posti di lavoro, all’interno di una data area
produttiva. Permette al lavoratore di compiere operazioni differenziate di volta in volta,
con la possibilità di ridurre la monotonia derivante dalla ripetitività;
b) JOB ENLARGEMENT
Aggregazione di più mansioni, assegnate al medesimo lavoratore. Il lavoratore che
prima effettuava una o poche operazioni, ora ne svolge una serie, tra di loro collegate
da un punto di vista tecnico professionale, per cui la durata del ciclo di lavoro risulta
allungata, variando così la struttura del posto di lavoro;
c) JOB ENRICHMENT
Arricchimento “verticale” dei compiti: al lavoro iniziale vengono aggregate funzioni di
programmazione, preparazione, manutenzione, controllo, ecc.. Tanto da rendere a volte
superflua la presenza di alcuni organi (capi di primo livello, manutentori, attrezzisti,
ecc.). Si rende necessaria la ridefinizione del loro ruolo originario;
d) GRUPPI AUTONOMI DI LAVORO
Ristrutturazioni collettive, anziché individuali, dei ruoli lavorativi. Il “Gruppo” cura la
realizzazione di una certa fase del processo produttivo, con distribuzione dei compiti
definita autonomamente all’interno dello stesso, che programma il lavoro e ne controlla
lo svolgimento. Ad esempio una squadra di 20 persone è responsabile del montaggio di
una parte completa dell’automobile, come il sistema elettrico. Le dimensioni del gruppo
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sono solitamente piccole, in modo da consentire intensi rapporti sociali ad elevata
coesione interna.
Da un paio di decenni si sono intensificati in tutto il mondo i tentativi di ristrutturare
l’organizzazione del lavoro esecutivo, intervenendo sul
•
•
contenuto del compito
Varietà: sperimentare le capacità individuali in una pluralità di situazioni
differenti (fattore puramente “igienico”) – es. rotazione delle mansioni;
Contributo significativo: contributo del lavoro svolto da una persona nei
confronti del prodotto finale – ricomposizione dei compiti mediante
allargamento delle mansioni;
autonomia.
contesto dello stesso, cioè sui rapporti interpersonali, per dare un’adeguata
dimensione sociale alla riorganizzazione, il tutto nei limiti imposti da certi vincoli
tecnologici e dalle caratteristiche delle stesse persone coinvolte nel processo, che
non necessariamente cercano l’autorealizzazione nel lavoro (sono cioè hygiene
seekers).
Uno degli aspetti più appariscenti è stata la sostituzione della catena di montaggio con
le cosìdette isole di montaggio, avvenuta in misura molto frequente, specialmente
nell’industria automobilistica.
Catena di montaggio: l’operaio si sposta mentre lavora, compie operazioni molto
elementari, è vincolato al ritmo produttivo impresso dalla catena.
Isole di montaggio: l’operaio lavora su stazioni fisse, compie operazioni arricchite, è
svincolato dalla cadenza produttiva impressa dalla catena. Ogni isola comprende un
certo numero di posti di lavoro. Le isole sono separate da polmoni o magazzini di
accumulo dei pezzi da assemblare, in modo da conferire elasticità al processo.
La Volvo è stata innovativa nel campo della riorganizzazione, adottando il modello dei
sistemi socio-tecnici, con iniziative molto avanzate come lo stabilimento di montaggio di
Kalmar, un nuovo stabilimento realizzato per creare l’atmosfera di una “piccola officina
familiare”, nel quale far operare un certo numero di squadre (inizialmente 25 composte
da 15 persone l’una), ognuna delle quali è responsabile del montaggio di una parte
completa dell’automobile (freni, parte elettrica, ecc.) con possibilità di rotazione dei
compiti all’interno della squadra. Le decisioni in merito alla programmazione del lavoro
assegnato, la rotazione dei compiti, le rettifiche, ecc. vengono prese dal gruppo. E’ una
soluzione strettamente legata al contesto ambientale svedese che, dal punto di vista
politico, economico, sociale e sindacale è tale da favorire formule organizzative come
questa.
Oggi inoltre c’è un incremento continuo dell’automazione (robots) nella produzione ,
che tende a sostituire il lavoro umano e a ricollocarlo nel processo produttivo.
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Gestione Aziendale II
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Aspetti conclusivi
decisioni
ESECUZIONE
az
rm
ris
ul
ta
fo
in
ti
PROGRAMMAZIONE
io
ni
CONTROLLO
Gestione Aziendale II
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CONCLUSIONI
Determinare la struttura organizzativa significa anche:
Definire l’ampiezza e i limiti della delega dei poteri direzionali
Direzione autocratica: accentramento dei poteri in un numero assai limitato di
livelli ed organi
Direzione democratico-partecipativa: ampio frazionamento dei poteri e, di
conseguenza, numero maggiore di livelli ed organi direttivi.
Definire lo schema di collegamenti tra le varie posizioni organizzative (rete di
relazioni – sistema informativo): orizzontali, trasversali, funzionali (tra organi di line e
di staff).
E’ necessario riconsiderare i legami di autorità e di influenza istituiti con la
specializzazione delle attività aziendali.
Procedure decisionali ed operative: norme di comportamento adottabili in modo
ripetitivo nel tempo per la gestione-soluzione di problemi similari o analoghi che
si traducono in regole decisionali ed operative. Flow chart o manuali descrittivi.
Sistema informativo: il flusso informativo all’interno della struttura organizzativa e
con l’ambiente esterno (mercato e ambiente in generale). La tendenza è
l’ampliamento del volume di informazioni, l’aumento dei punti di interconnessione
nell’integrazione dei vari flussi di dati, la complicazione delle modalità di
elaborazione e diffusione della documentazione.
Il flusso informativo assume un carattere circolare: dalla informazione si passa alla
decisione, dalla decisione – attraverso la comunicazione delle scelte adottate –
all’esecuzione, dall’esecuzione – mediante la trasmissione dei risultati – al controllo,
e dal controllo – per mezzo delle informazioni così ottenute – all’assunzione di altre
decisioni.
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Le tendenze organizzative 1
Organizzazione snella (lean organisation)
Abbandono delle strutture piramidali
•Degerarchizzazione
•Gruppi di lavoro autogestiti
•Gruppi di lavoro a formazione e scioglimento dinamico
PIRAMIDE PIATTA
PIRAMIDE A SCACCHI
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Nella permanente ricerca di remunerazione del capitale, la realtà delle imprese è
caratterizzata da vicende alterne, accompagnate da entusiasmi, tensioni, inquietudini,
alle quali conseguono reazioni e adeguate misure volte ora al consolidamento ora al
riposizionamento nel mercato.
L’unico indirizzo che accomuna le iniziative è la ricerca di modelli per il miglioramento
della produttività e il contenimento dei costi, vale a dire l’identificazione di nuove
soluzioni organizzative.
Si prospetta, nel messaggio che ci proviene da altre culture, la suggestiva visione
dell’organizzazione snella, in relazione alle tematiche produttive, ai rapporti con i
clienti, alla distribuzione, ecc.
Questa visione si accompagna con caratteristiche definite lean production, lean
organisation.
In realtà non esiste impresa che non veda con interesse uno snellimento della struttura
associato ad un aumento della funzionalità e ad una riduzione dei costi.
Il trasferimento e l’acquisizione di concetti provenienti da culture molto diverse dalla
nostra non è esente da riserve. Snellire le attività significa riconsiderare compiti e
funzioni, modificare percorsi e comunicazioni ma implica in primo luogo presupposti
infrastrutturali mediante i quali sono facilitati i rapporti e migliorate le performance dei
processi.
L’attuazione pratica di tali modelli nei luoghi di origine poggia su particolari presupposti
e consuetudini culturali spesso non ripetibili né esportabili, per cui appare difficile la loro
adozione integrale, mentre è più pratica l’acquisizione di alcune caratteristiche,
uniformandone lo spirito ai modelli più ricorrenti.
•
Il processo più immediato da avviare è quello della de-gerarchizzazione.
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Viene attuato attraverso la destrutturazione della tradizionale piramide aziendale,
caratterizzata dalle funzioni operative e dalle fasce di coordinamento e di guida. Il
compito non è facile: si tratta di snellire le strutture, con il supporto tecnologico
(automazione di alcuni compiti e attivazione di nuove reti di flussi informativi), senza
compromettere sicurezza ed efficacia, da sempre ricercate attraverso le tradizionali
funzioni aziendali di coordinamento, reporting e controllo.
PIRAMIDE PIATTA
Nel processo in corso di destrutturazione organizzativa, parlare di organizzazione piatta
significa trasferire e raggruppare le attività verso i livelli più operativi della struttura e
utilizzare in modo diffuso il principio della delega.
Vantaggi:
• Accorciamento della catena gerarchica
• Aumento dell’ampiezza di coordinamento
• Semplificazione dei flussi di processo e possibilità di migliore controllo
• Riduzione dei costi di struttura
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Le tendenze organizzative 2
Critiche nei confronti delle linee tradizionali
burocratizzazione
funzioni intese come sacche di potere
poteri decisionali solo ai livelli gerarchici elevati
difficoltà di coordinamento interfunzionale
mansionari e procedure troppo dettagliate
scarsa disponibilità a concedere deleghe
correlazione delle posizioni gerarchiche con l’effettiva esperienza
correlazione dei livelli di produttività con i livelli di esperienza
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Le critiche più diffuse nei confronti delle strutture organizzative tradizionali possono
essere condensate nei seguenti punti:
•
•
•
•
•
•
•
Burocratizzazione: da cui consegue la rigidità nelle decisioni e le limitazione nei
rapporti verticali e trasversali;
Funzioni intese come sacche di potere;
Poteri decisionali solo ai livelli gerarchici elevati: ciò implica condizioni demotivanti
per i subordinati nonché lentezza reattiva;
Difficoltà di coordinamento interfunzionale;
Esistenza di mansionari e procedure troppo dettagliate: rappresentano fattori
limitativi della creatività, della capacità ed espressione innovativa delle risorse;
Consuetudine ad associare e condizionare le posizioni gerarchiche con l’effettiva
esperienza e capacità;
Consuetudine ad associare e condizionare i livelli di produttività con i livelli di
esperienza
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Le tendenze organizzative 3
Elementi a sostegno delle linee innovative
strutture adattabili alle esigenze dei mercati;
delega i compiti decisionali a livelli operativi;
eliminazione delle tradizionali gerarchie intermedie e riallocazione
delle competenze;
identificazione di nuovi veicoli informativi per l’aggiornamento delle
risorse (missione aziendale, strategie, valori)
“Le nuove organizzazioni si reggono su nuovi ideali e motivazioni, in contrapposizione
alle antiche oppressioni gerarchiche”
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Le tendenze organizzative 4
Le tecnologie dell’informazione hanno consentito di:
•Eliminare le barriere comunicazionali all’interno dell’impresa
•Ridurre i tempi di sviluppo e di lavorazione
•Ottimizzare i livelli delle scorte
•Migliorare i livelli di servizio
•Facilitare numerosi compiti gestionali
•Migliorare i processi di controllo
I reali contributi dei nuovi indirizzi organizzativi sono di fatto limitati
Gestione Aziendale II
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L’esito dei nuovi modelli organizzativi dipenderebbe dal grado di motivazione e dal
potere di stimolo esercitato su un certo numero di collaboratori.
•
L’organizzazione snella regge sul paradosso rappresentato dalla riduzione, se non
eliminazione, di interi livelli di struttura e quindi fasce di risorse, le cui motivazioni ad
una partecipazione attiva alla vita d’impresa risiedono proprio nell’appartenenza a
tali livelli. L’esito dei nuovi modelli finirebbe per essere quello di motivare pochi
collaboratori beneficiati da posizioni di autonomia operativa, demotivandone altri.
•
Tra le carenze motivazionali implicite nelle strutture tradizionali viene indicato
l’insufficiente coinvolgimento di intere fasce di collaboratori nella divulgazione delle
linee strategiche. Per dovere di onestà culturale occorre però chiedersi a quali livelli
di collaboratori giovi realmente conoscere le impostazioni strategiche aziendali.
Infatti per buona parte dei collaboratori la reale preoccupazione risiede nella
garanzia della solidità aziendale, cioè nella sicurezza dei posti di lavoro.
Conciliare le attese dei singoli con le aspettative dell’impresa caratterizzata da proprie
logiche, obiettivi e priorità ha sempre costituito un traguardo non semplice.
Si moltiplicano le ricette del consenso.
Si ricorre spesso a componenti demagogiche: indagini socio-culturali ed ambientali,
spesso attuate da teorici estranei all’ambiente aziendale, analisi sulla qualità delle
relazioni fra soggetti, sui livelli di percezione dell’autorità, sul grado di coinvolgimento
nelle decisioni, ecc.
Il risultato è che sovente alcuni metodi sortiscono l’esito di demotivare i collaboratori,
inducono all’autocommiserazione, sollevano problemi esistenziali mai percepiti (come
portare un agnostico da uno psicanalista), producono effetti deprimenti sull’efficienza e
sulla produttività.
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Se si considera che le tecnologie dell’informazione hanno consentito (eliminando le
barriere comunicazionali all’interno dell’impresa, riducendo i tempi di sviluppo e di
lavorazione, ecc.) il raggiungimento di obiettivi migliorativi nella gestione e nella
comunicazione aziendale, si percepisce che i reali contributi dei nuovi indirizzi
organizzativi a sostegno dell’economia d’impresa e del conseguimento di risultati più
profittevoli sono di fatto limitati.
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Piramide piatta e Piramide a scacchi
La Piramide piatta è il risultato del processo di destrutturazione organizzativa, che
comporta la riduzione dei livelli gerarchici attraverso il trasferimento e il
raggruppamento delle attività verso i livelli più operativi della struttura, utilizzando in
modo diffuso il principio della delega.
Vantaggi:
•Accorciamento della catena gerarchica
•Aumento dell’ampiezza di coordinamento
•Semplificazione dei flussi di processo e possibilità di migliore controllo
•Riduzione dei costi di struttura
La Piramide a scacchi indica l’evoluzione della struttura attraverso la formazione di
gruppi di lavoro autogestiti, che godono di autonomia operativa e direzionale,
sostituendosi in pratica alle aree funzionali
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PIRAMIDE PIATTA
Organizzazione piatta
La maggiore ampiezza di coordinamento, conseguente all’appiattimento della struttura,
comporterebbe la crescita professionale dei responsabili a qualunque livello.
Ragioni che inducono a cambiamenti organizzativi possono trovarsi anche nelle mutate
modalità di conduzione strategica dell’impresa:
•
•
Ricerca di profitti a breve e di nuove opportunità di business, favoriti dalla snellezza
organizzativa;
Operazioni di fusioni di imprese e di strutture, con conseguente ridondanza di
posizioni di management.
In ogni modello dinamico e destrutturato ogni soggetto attiverebbe il meglio del nuovo
potenziale intellettivo.
Tale risultato vale sino a quando stimoli di miglioramento personale, fondati su
ambizioni più o meno giustificate, verranno ad incrinare l’ideologia egualitaria.
Appiattire l’organizzazione può creare implicazioni negative, quali:
•
•
•
•
Situazioni di incertezza nei nuovi livelli di riporto;
Pregiudizio delle attività esercitate dalle fasce di risorse eliminate;
Pregiudizio della qualità delle attività di coordinamento e valutazione dei risultati;
Disagi psicologici per coloro che vedrebbero allontanarsi le possibilità di
avanzamento di carriere.
Alcuni autori, di fronte ai problemi concreti, definiscono la visione dell’organizzazione
piatta una soluzione idealistica.
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Mancano consolidate esperienze per pronosticare concrete ipotesi durature. In
situazioni di incertezza è quindi opportuno prevedere ipotesi di rientro nei canoni
tradizionali.
PIRAMIDE A SCACCHI
E’ una teorizzazione contemporanea a quella dell’organizzazione piatta.
Vede l’evolversi delle strutture attraverso la formazione di gruppi di lavoro autogestiti,
nell’ambito dei processi e delle attività di supporto.
Ha degli aspetti comuni con la proposta della Piramide piatta:
• Denuncia di carenza di reattività delle strutture tradizionali;
• Certezza che il successo delle nuove proposte debba poggiare sull’enfasi
motivazionale, delineando la scomparsa delle tradizionali gerarchie.
A differenza dell’organizzazione piatta che vede la riduzione dei livelli gerarchici
nell’ambito delle funzioni, la soluzione “Piramide a scacchi” punta alla eliminazione
delle aree funzionali.
Si persegue la partecipazione paritetica nella conduzione delle attività, attraverso la
costituzione di gruppi di lavoro (work group o team) che, autonomamente e
direttamente provvedono al compiuto espletamento delle attività riconducibili ai vari
processi dell’impresa.
Nella logica dei gruppi le funzioni specialistiche si frazionerebbero per confluire nelle
aree dei singoli processi ove autogestirebbero la propria quota di attività operativa.
Il gruppo si autodirige, suddividendo le competenze delle funzioni di controllo e di
supervisione. Assume di fatto anche attività manageriali.
Poniamoci la domanda: il successo li può gratificare, ma che succede in caso di
insuccesso?
Si tratta di accorpare nel gruppo responsabilità manageriali che comportano anche il
rischio di pagare in caso di insuccesso. Non si vedono ancora ipotizzate soluzioni.
Un altro punto interrogativo sta proprio nella flessibilità strutturale che caratterizza
questi organismi: la possibilità di formarsi o sciogliersi dei gruppi a seconda delle
necessità di business (gruppi di lavoro a comparsa/scomparsa), indicata quale esempio
di flessibilità e di dinamismo, deve misurarsi con le infrastrutture di cui si avvalgono, i
cui costi non sono a flessibilità altrettanto decrementabile.
Non è pensabile di assimilare in qualche modo i suddetti nuclei di lavoro con le unità di
servizio esterne all’impresa: esistono similitudini di natura organizzativa ed operativa,
ma sul piano del rischio e della flessibilità sono realtà molto differenti.
Aziende flessibili, imprese a rete, organizzazioni trasversali, virtual corporation,
scorporo in business unit, creazione di gruppi autogestiti sono concetti spesso
problematici per chi viene coinvolto nei processi di realizzazione. Spesso affascinano il
ricercatore, ma assai meno l’investitore, che si attende ragionevoli ritorni.
Ridotte, se non eliminate, le fasce di controllo, e scomparse le funzioni di staff, queste
nuove forme organizzative lasciano poche prospettive di avanzamento per chi voglia
proporsi in termini meritocratici. Nelle realtà tradizionali la scala delle carriere risultava
strettamente collegata allo sviluppo professionale e all’attribuzione di responsabilità.
Nelle logiche alternative non si ravvisa alcun cenno di definizione di individuali
responsabilizzazioni.
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A ben vedere, gli elementi definiti come caratterizzanti dei nuovi sperimentali schemi
organizzativi altro non solo che gli obiettivi fondamentali per le imprese, da sempre
perseguiti:
• Contenimento di costi
• Riduzione dei tempi
• Ottimizzazione dei processi e della qualità
• Concentrazione degli sforzi
• Orientamento al cliente
Restano invece molte perplessità a supporto di tali progetti di trasformazione,
specialmente per le configurazioni per gruppi e con attività condotte senza supervisione
e controlli di entità responsabili:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Cosa accade ai gruppi quando gli obiettivi non vengono conseguiti?
Chi si occupa responsabilmente di armonizzare i collegamenti fra i vari gruppi?
Chi misura, premia, disquisisce sulla qualità della partecipazione dei singoli?
Chi indaga sulle inefficienze e discrimina le qualità?
E’ ipotizzabile allontanare gli inadatti?
A chi attribuire i costi connessi alle risorse professionalmente non adatte?
Dove collocarle?
Chi forma e scioglie i gruppi?
Chi determina e assegna priorità e compiti?
Chi ricolma vuoti da turnover?
Chi gestisce i conflitti, i ritardi?
Chi risponde penalmente della sicurezza?
A ben osservare si incontreranno sui percorsi entità di controllo e decisorie che,
comunque si voglia intendere, significano una gerarchia.
Il dubbio è che si proceda verso modalità che alleggeriscano rischi personali diretti,
specie in situazioni critiche.
CONCLUSIONI
Le nuove spinte ai cambiamenti sono colme di idee: una cosa però sono i concetti,
un’atra le metodologie che definiscono dettagli e configurano risultati.
Michael Hammer e James Champy nell’opera “Ripensare l’azienda” rivolta
all’attuazione del “Business Proces Reengineering” affermano:
…Un problema del quale molte aziende malauguratamente non soffrono è la penuria di
programmi di cambiamento. Quando i tempi diventano difficili proliferano le presunte
panacee. Le pubblicazioni di management sono piene di idee e programmi per
migliorare le aziende: miglioramento della qualità, aggiustamenti strategici, “giusti
dimensionamenti”, partnership cliente-fornitore, innovazione ed empowerment (sistema
di deleghe) per citarne alcuni. Di solito si tratta di programmi effimeri.
Come ci dissero una volta alcuni dipendenti in vena di battute: “ogni mese i nostri alti
dirigenti partecipano ad un seminario e tornano a casa con una nuova religione. Noi ci
limitiamo a trattenere il respiro finchè non passa”.
La metodologia vuole un disegno compiuto, un percorso razionale e riscontri attuabili. I
concetti sono speso sublimi ma altrettanto evanescenti; arricchiscono le metodologie
quando la loro applicabilità è comprovabile in un contesto di economia, sicurezza e
continuità.
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ALCUNI STRUMENTI DI ANALISI STRATEGICA
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Catena del Valore: le strategie di base
VANTAGGIO COMPETITIVO
Diminuzione costi
Obiettivo
globale
Leadership
di costo
Differenziazione
Differenziazione
AMBITO
COMPETITIVO
Obiettivo
specifico
Focalizzazione
sui
costi
Focalizzazione
sulla
differenziazione
Gestione Aziendale II
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La catena del valore è uno strumento di analisi che consente, attraverso la
scomposizione del sistema azienda nelle unità elementari che la compongono, di
definire una strategia competitiva, individuando delle possibili fonti di vantaggio
competitivo rispetto ai concorrenti.
Essa si basa su una visione dell’impresa quale sistema di creazione del valore,
composto da un insieme di funzioni che producono tale valore.
Queste funzioni sono definite attività.
Si tratta di una metodologia sistematica di esame di tutte le attività e delle interazioni
che tra tali attività esistono, in quanto ciascuna attività contribuisce a determinare il
costo complessivo e può rappresentare una fonte possibile di differenziazione.
Esistono due tipi di vantaggio competitivo (Porter):
• La leadership di costo
• La differenziazione
Che possono applicarsi alla generalità dei segmenti (obiettvo globale) che compongono
un certo mercato, oppure focalizzarsi solo su uno o pochi segmenti (obiettivo specifico).
Incrociando l’ambito competitivo in cui l’impresa opera con il tipo di vantaggio
competitivo perseguito si identificano quattro strategie di base:
•
•
•
•
LEADERSHIP DI COSTO
DIFFERENZIAZIONE
FOCALIZZAZIONE SUI COSTI
FOCALIZZAZIONE SULLA DIFFERENZIAZIONE
La catena di valore di un’azienda è a sua volta parte di un flusso più ampio di attività, “il
sistema del valore” che comprende tutti gli operatori che intervengono lungo la filiera
produttiva (dalla materia prima al consumatore finale).
Ogni singolo operatore esprime una catena che si inserisce in un sistema di catene.
Fattore di successo strategico è la scelta del miglior posizionamento nel sistema
del valore.
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Catena del Valore
ATTIVITA’ INFRASTRUTTURALI
GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
M
SVILUPPO DELLA TECNOLOGIA
AR
G
IN
E
APPROVVIGIONAMENTO
LOGISTICA
IN
ENTRATA
ATTIVITA’
OPERATIVE
LOGISTICA
IN
USCITA
MARKETING
E
VENDITE
SERVIZI
Gestione Aziendale II
M
G
AR
E
IN
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Cos’è il valore?
In termini concorrenziali è la somma che gli acquirenti sono disposti a pagare in cambio
di un bene prodotto dall’azienda. La sua misura, a livello aziendale, è il fatturato,
indicatore che riflette sia il prezzo unitario, sia il numero di clienti.
Nel caso in cui i ricavi totali superano i costi totali si genera un profitto, che
graficamente è rappresentato dal margine.
La catena del valore visualizza il valore totale prodotto da un’azienda e comprende due
elementi:
1. Le attività generatrici di valore
2. Il margine
Le attività generatrici di valore sono le attività, fisicamente e tecnologicamente
distinte, che un’azienda svolge, il margine è la differenza tra io valore totale e il costo
complessivo sostenuto per eseguire le attività generatrici di valore.
Le attività generatrici di valore si suddividono in:
• primarie
• di supporto
Le attività primarie sono quelle impegnate nella creazione fisica del prodotto
(acquisizione fattori produttivi e lavorazione), nella vendita, nel trasferimento al
compratore e nell’assistenza post-vendita. Esse sono rappresentate da:
• Logistica in entrata
• Logistica in uscita
• Marketing e vendite,
• Servizi
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Le attività di supporto sono:
• Le attività infrastrutturali
• La gestione delle risorse umane
• Lo sviluppo della tecnologia
• L’approvvigionamento
Queste sostengono le attività primarie. Le colonne verticali punteggiate in figura
evidenziano il legame della singola attività di supporto con la specifica attività primaria.
L’unica tipologia di attività di supporto che non ha una relazione specifica con alcuna
attività primaria, sostenendo l’intera catena, è rappresentata dalle attività infrastrutturali.
All’interno di ciascuna suddivisione, primaria o di supporto, le attività svolte ricoprono un
ruolo diverso nella ricerca del vantaggio competitivo.
Questo ruolo può essere:
•
•
•
diretto: vi rientrano tutte le attività che creano direttamente valore per il cliente, ad
esempio la progettazione del prodotto, la lavorazione, le vendita, ecc.
indiretto: vi rientrano le altre attività che permettono lo svolgimento in modo
continuativo delle attività dirette come ad esempio la manutenzione,
l’amministrazione delle forze di vendita, la gestione degli impianti, ecc.
di assicurazione della qualità: vi rientrano le attività che controllano il livello
qualitativo del prodotto come, ad esempio, il monitoraggio, l’ispezione, il collaudo,
ecc.
Nella ricerca di una possibile fonte di vantaggio competitivo è necessario definire la
catena del valore dell’impresa.
Si inizia con l’individuazione delle attività generatrici di valore.
Successivamente si isolano tutte le attività che hanno logiche economiche e
tecnologiche differenti.
La suddivisione delle attività può essere portata a livelli di analisi sempre più specifici, a
condizione che le diverse attività individuate siano tra loro distinte.
Il giusto livello di disaggregazione dipende dalle caratteristiche dell’attività economica
esercitata dall’impresa e dallo scopo dell’analisi, allo stesso modo la classificazione
delle attività nelle varie categorie va fatta in modo da rappresentare il contributo fornito
dalla singola attività alla creazione del vantaggio competitivo.
Le attività sono tra loro indipendenti, ma sono collegate e interdipendenti.
Tali collegamenti rappresentano le relazioni che si stabiliscono tra il modo in cui viene
eseguita un’attività generatrice di valore e il costo o la prestazione di un’altra. Per
evidenziare i collegamenti bisogna individuare, posta l’attenzione su di un’attività, tutte
le attività che ne influenzano il costo e/o il risultato.
Il vantaggio competitivo può essere creato attraverso l’ottimizzazione o attraverso il
coordinamento delle attività collegate.
Tra le varie attività spesso esiste una relazione inversa in termini di costo e/o di
prestazioni a parità di risultato globale. Ad esempio una progettazione del prodotto più
costosa, specifiche più rigorose nei materiali, un controllo più rigoroso della qualità nel
corso della lavorazione, possono contribuire a ridurre i costi della assistenza. L’obiettivo
di consegna puntuale può richiedere il coordinamento delle attività operative con la
logistica in uscita ed i servizi post-vendita.
I collegamenti che possono creare un vantaggio competitivo non sono solo quelli
all’interno della catena del valore dell’azienda, ma anche quelle con le catene dei
fornitori o dei clienti. Questi collegamenti vengono definiti collegamenti verticali.
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Strategie di differenziazione
La differenziazione di un’azienda deriva da modo in cui la sua catena del valore
interagisce con quella dell’acquirente. Essa è funzione sia delle modalità d’uso del
prodotto, sia di tutti gli altri punti di contatto fra le rispettive catene del valore. Ognuno di
questi punti di contatto è una potenziale fonte di differenziazione.
La differenziazione deriva dalla capacità di creare valore, quindi un vantaggio
competitivo per l’acquirente, attraverso un prodotto che egli percepisce come unico e
che compensa pagando un “premium price”.
Le aziende che creano una strategia di differenziazione devono generare un costante
flusso di prodotti e servizi al passo con i risultati della ricerca più avanzata,
confrontandosi costantemente con due esigenze:
• essere creative
• commercializzare le idee rapidamente
Il valore strategico della differenziazione, così come per la leadership di costo, dipende
dalla capacità di conservare nel lungo periodo tale vantaggio competitivo, ossia dalla
sua sostenibilità. La sostenibilità sussiste se le fonti del vantaggio competitivo sono
difficili da imitare o duplicare da parte dei concorrenti.
La strategia della differenziazione comporta per l’azienda la necessità di offrire un bene
che presenti degli elementi, materiali o immateriali, che lo rendono unico rispetto
all’offerta approntata dalla concorrenza.
Il vantaggio della differenziazione porta ad una prestazione superiore se l’azienda
riesce a comunicare adeguatamente al cliente il valore del proprio bene realizzando un
prezzo maggiore, capace di compensare i maggiori costi sostenuti per approntare tale
offerta.
Il vantaggio di costo porta ad una prestazione superiore se l’impresa fornisce al cliente
un livello accettabile di valore, in modo tale che il suo vantaggio di costo non venga
annullato dalla necessità di chiedere un prezzo più basso di quello dei concorrenti.
Strategia di leadership di costo
Perseguire questa strategia significa tentare di raggiungere una situazione in cui i costi
complessivi sostenuti per realizzare tutte le attività generatrici del valore, siano più bassi
di quelli sostenuti dai concorrenti.
L’obiettivo per le aziende che perseguono questa strategia è essere leader del proprio
settore per prezzo e convenienza, ottimizzando i processi di business al di là dei confini
funzionali ed organizzativi, riducendo le spese generali, i costi di produzione e tutti gli
altri costi.
La posizione di costo relativa di un’azienda è determinata dalla composizione della sua
catena di valore rispetto a quella dei concorrenti e della sua posizione relativa rispetto ai
determinanti di costo di ogni attività.
L’acquisizione del vantaggio di costo può avvenire in due modi:
•
•
Riconfigurando la catena del valore, attraverso l’adozione di una maniera diversa
e più efficiente di concepire, produrre, distribuire e vendere il prodotto;
Controllando i determinanti di costo, attraverso l’acquisizione di un vantaggio
competitivo, in termini di minor costo, per le attività che rappresentano la parte
più significativa dei costi totali.
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Le due azioni non sono alternative e possono essere attuate congiuntamente.
Perseguire la strategia di leadership di costo comporta l’esame di tutte le attività al fine
di individuare tutte le occasioni di possibile riduzione dei costi.
Tale riduzione può erodere la differenziazione, per cui sarebbe opportuno cercare,
innanzitutto, di ridurre i costi di quelle attività che non hanno influenza sulla
differenziazione.
La posizione di costo dell’azienda dipende dal comportamento in termini di costo delle
sue attività generatrici di valore, che è influenzato dal comportamento dei determinanti
di costo quali, ad esempio,economie di scala, grado di utilizzo della capacità produttiva,
funzioni di apprendimento e sue cadute, interrelazioni ed integrazione delle attività,
localizzazione geografica.
Focalizzata l’attenzione sui determinanti di costo, bisogna cercare di quantificare, tutte
le volte che è possibile, la relazione esistente fra lo specifico determinante di costo e il
costo della particolare attività generatrice di valore. Il costo di un’attività generatrice di
valore può essere influenzata anche da più determinanti di costo le cui interazioni
possono assumere due forme: o si rinforzano reciprocamente o si contrappongono
annullando il loro effetto.
Individuati i determinanti di costo, bisogna definire la catena del valore del miglior
concorrente per poter conoscere le fonti delle differenze di costo. Esplicitando le fonti
delle differenze di costo è possibile definire una strategia che permetta di ridurre la
posizione di costo dell’azienda, assicurandosi che tale riduzione non eroda la
differenziazione, oppure scegliendo coscientemente di farlo e controllando che tale
strategia sia sostenibile nel tempo.
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Sviluppo delle vendite
Ciclo di vita del prodotto
Margine di profitto
Introduzione
Sviluppo
Maturità
Declino
Tempo
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Premessa
Il ciclo di vita è uno strumento concettuale di supporto nell’analisi dei settori e dei
prodotti.
In via del tutto teorica si può dire che ogni prodotto, a partire dal momento in cui viene
introdotto sul mercato passa attraverso fasi singolarmente identificabili e caratterizzate
da componenti diverse della domanda e delle azioni concorrenziali.
Le fasi che caratterizzano la vita di un prodotto sono ricomprese all’interno di un ciclo
denominato appunto ciclo di vita del prodotto.
Il modello di analisi del ciclo di vita del prodotto può essere applicato a categorie logiche
di riferimento diverse.
Può essere infatti analizzato con riferimento:
• All’insieme dei prodotti rientranti in un sistema industriale (es. mezzi di trasporto,
beni di consumo alimentare)
• Ad un prodotto specifico (ed. automobili o pasta di grano duro)
• Ad un particolare segmento (auto sportive o familiari)
• Ad una singola impresa (es. macchine Fiat o biscotti Saiwa).
Il livello di analisi può inoltre differenziarsi in relazione all’ambito geografico di
riferimento (locale, nazionale, internazionale, ecc.)
L’applicazione del modello a prodotti come le auto generalmente evidenzia cicli di vita
più lunghi di quanto non accada con l’applicazione del modello a segmenti particolari,
come ad esempio le auto di una certa cilindrata od ai prodotti di una specifica marca o
azienda che invece hanno cicli di vita decisamente più brevi.
Dal punto di vista dell’applicazione e del riscontro pratico della curva, mentre a livello di
prodotto inteso in senso merceologico e di prodotto specifico si rileva una certa
regolarità e andamenti tendenzialmente simili a quelli elaborati dal modello teorico, a
livello di singole marche l’andamento è molto più irregolare al punto che, secondo
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alcuni, non è possibile applicare la teoria del ciclo di vita del prodotto all’analisi
dell’andamento di singole marche, la cui dinamica dipende da una serie di variabili
diverse da quelle che determinano il ciclo di vita.
Si ritiene tuttavia che anche relativamente all’andamento delle vendite di prodotti
appartenenti a delle specifiche marche l’esame della tendenza ciclica, soprattutto se
combinata ad analisi relative alla posizione competitiva dell’azienda stessa, non sia del
tutto priva di utilità.
Elementi descrittivi del modello
La curva che rappresenta il ciclo di vita assume, almeno nella sua rappresentazione
teorica, una tipica forma ad “S”.
Sull’asse delle ascisse si pone la variabile “tempo”. L’unità temporale di riferimento può
essere annuale o mensile o, in taluni casi, anche settimanale o giornaliera. La scelta
dell’unità temporale di riferimento dipenderà dalla categoria di prodotto presa ad
oggetto dell’analisi
E’ possibile affermare che si sta verificando un fenomeno generalizzato di
accorciamento del ciclo di vita di alcuni prodotti tale da indurre a considerare sempre
più spesso come unità temporali di riferimento i mesi o le settimane anziché gli anni.
Sull’asse delle ordinate si pone lo sviluppo delle vendite. Poiché non ha senso
confrontare dati economici riferiti a periodi di tempo lontani, occorre tradurre i valori
monetari in valori correnti o porre in ordinata, ove possibile, le quantità vendute.
La curva logistica che rappresenta il ciclo di vita viene suddivisa in diversi segmenti,
ciascuno rappresentante una fase ideale. Le fasi di vita del prodotto tradizionalmente
studiate sono quattro: introduzione, sviluppo o crescita, maturità, declino.
Alcuni ricercatori hanno individuato nelle analisi più particolareggiate ben nove fasi:
sviluppo tecnico-produttivo, introduzione, crescita, turbolenza concorrenziale o maturità
prolungata, maturità declinante, declino, rivitalizzazione, ritorno al declino,
pietrificazione.
La teoria del ciclo di vita nella sua più diffusa applicazione viene utilizzata per orientare
le azioni di marketing. Si ritiene cioè che ad ogni fase del ciclo di vita corrispondano
delle azioni di marketing da intraprendere.
L’analisi del ciclo di vita del settore o dei prodotti di una specifica azienda oltre ad
essere utile nella scelta delle politiche di marketing si ricollega all’analisi matriciale
usata in fase di definizione strategica (vedi slide 19 e successive, con particolare
riferimento alla matrice BCG sulla quota di mercato occupata). L’attrattività di un
mercato e la capacità competitiva dell’azienda nel mercato, fattori critici nelle tecniche di
analisi strategica fondate sull’uso delle matrici, presentano infatti un legame assai
stretto con le fasi del ciclo del settore o dei prodotti aziendali.
La fase di introduzione inizia quando il prodotto viene immesso sul mercato e si
caratterizza per scarse vendite, pochi clienti, margini di profitto negativi.
In questa fase i produttori godono di una posizione privilegiata in quanto si trovano (se il
prodotto nuovo per l’azienda è nuovo anche per il consumatore) in una situazione di
monopolio temporaneo.
L’attività promozionale è intensa e l’elasticità delle vendite rispetto al fattore qualità è
elevata. In questa fase il principale ostacolo alla rapida introduzione è rappresentato
dalla distribuzione. I dettaglianti infatti possono essere riluttanti all’acquisto di nuovi
prodotti.
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La fase di sviluppo si caratterizza per una rapida crescita delle vendite e dei margini
di profitto e, anche se la qualità è ancora un fattore critico di successo, è elevata
l’elasticità della domanda alla pubblicità.
La fase di maturità si caratterizza per un picco nelle vendite e per gli elevati profitti.
Poiché tutti i “pionieri” nell’uso del prodotto e tutti i consumatori meno sensibili al prezzo
lo hanno già eventualmente adottato, in questa fase diventa critica la variabile prezzo al
fine della conquista di una maggiore quota di mercato.
La fase di declino, infine, si caratterizza per una riduzione delle vendite e dei profitti.
Nel peggiore dei casi l’azienda può essere costretta a “lasciar morire” il prodotto o
eventualmente potrà promuoverne nuovi impieghi e, in tal caso, ridiventano critiche le
azioni promozionali e pubblicitarie.
(Vedi slide successiva)
Non tutti i prodotti attraversano i quattro stadi del ciclo di vita e inoltre la durata di ogni
stadio varia a seconda del tipo di prodotto. Alcuni prodotti impiegano anni per superare
la fase di introduzione, altri “muoiono” poco dopo l’introduzione, altri ancora godono di
una fase di maturità più lunga di ogni ragionevole aspettativa.
Non sempre è agevole determinare qual è la fase del ciclo di vita che un determinato
prodotto sta attraversando.
Una possibile metodologia (metodo Wind) per individuare la fase del ciclo di vita che un
certo prodotto sta attraversando suggerisce di porre i valori della percentuale di
cambiamento delle vendite registrate da un anno all’altro sulla curva di distribuzione
normale con media zero.
I prodotti con una percentuale di variazione delle vendite da un periodo ad un altro
superiore a + 0,5 vanno considerati in fase di sviluppo, i prodotti le cui percentuali di
variazione delle vendite siano comprese fra + 0,5 e - 0,5 vanno considerati in fase di
maturità e, infine, i prodotti con una percentuale di variazione delle vendite superiori a –
0,5 vanno considerati in fase di declino (Valdani, 1986).
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Leve di marketing nelle fasi del ciclo di vita del prodotto
Introduzione
Sviluppo
Maturità
Declino
Prodotto
Offrire un prodotto
base
Offrire estensioni del
prodotto, servizi,
garanzia
Diversificare marche
e modelli
Eliminare i
prodotti deboli
Prezzo
Prezzo determinato
sulla base del “costplus”
Prezzo per entrare
sul mercato
Prezzo per
pareggiare o battere
la concorrenza
Tagliare i prezzi
Distribuzione
Realizzare una
distribuzione
selettiva
Realizzare una
distribuzione
intensiva
Realizzare una
distribuzione più
intensiva
Essere selettivi
Pubblicità
Realizzare la
conoscenza del
prodotto
Realizzare
consapevolezza e
interesse nel
mercato di massa
Sottolineare le
differenze ed i
vantaggi della marca
Ridurre al livello
di mantenimento
dei clienti ultra
fedeli
Promozione
vendite
Usare un’intensa
promozione vendite
per spingere alla
prova del prodotto
Ridurre per
approfittare
dell’elevata
domanda
Aumentare per
incoraggiare la
conversione di marca
Ridurre ad un
livello minimo
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Il caso “La Repubblica”
800.000
2.500.000
700.000
Maturità
2.000.000
600.000
500.000
1.500.000
400.000
1.000.000
300.000
200.000
500.000
100.000
Sviluppo
Introduzione
1976
1981
Maturità
1988
1993
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Caso di studio
L’analisi del ciclo di vita delle vendite del quotidiano La Repubblica
L’industria dei quotidiani rischia di entrare in crisi a causa della congiuntura negativa
che è forse la peggiore del dopoguerra e tocca tutti i principali Paesi industrializzati
(Stati Uniti, Giappone ed Europa Occidentale).
I quotidiani infatti vanno perdendo importanza nella vita collettiva. Negli anni 60 oltre il
75% degli americani leggeva un quotidiano, oggi meno del 60% degli americani legge
un quotidiano. In Gran Bretagna nell’ultimo triennio la diffusione dei quotidiani popolari è
diminuita del 7%.
Il fenomeno interessa anche l’Italia. Oltre alla televisione, la diffusione dei quotidiani in
futuro sembra poter essere contrastata dalle reti telematiche che sono pronte a portare
nelle case informazioni in tempo reale. Probabilmente il ruolo dei quotidiani è destinato
a cambiare nel tempo: da strumento informativo di carattere generale si può ipotizzare
un progressivo riposizionamento verso un ruolo informativo più specializzato con una
forte caratterizzazione locale.
Il modello di analisi del ciclo di vita di La Repubblica, quotidiano a diffusione nazionale,
confrontato con l’evoluzione delle vendite registrate nello stesso periodo nell’intero
settore, si propone come elemento di riflessione sulla posizione competitiva di La
Repubblica e su eventuali azioni da intraprendere (vedi tab. 2)
La valenza del modello del ciclo di vita a cui si intende fare riferimento è di tipo
conoscitivo e va messa in relazione con l’analisi di fattori concorrenziali esterni e delle
leve interne di gestione fra cui quelle di marketing hanno senz’altro un posto di primo
piano. Non si ritiene però applicabile a questo caso, come probabilmente a tutte le
analisi empiriche, la valenza normativa del modello. Da un punto di vista pratico non è
possibile ipotizzare una relazione univoca fra individuazione del ciclo di vita ed azioni di
marketing da intraprendere.
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C’è infatti da condividere l’opinione di chi afferma che poiché i prodotti, a differenza
degli organismi umani o vegetali, non possono avere un ciclo evolutivo naturale, il ciclo
di vita dei prodotti è da considerarsi il risultato e non la causa delle azioni di marketing
(E. Valdani, 1986)
E’ in quest’ottica che si presenta l’analisi del ciclo di vita di La Repubblica comparata a
quella dell’intero settore dei quotidiani di informazione generale.
L’analisi grafica del ciclo di vita di La Repubblica evidenzia il trend di progressivo
sviluppo e mostra il passaggio nelle diverse fasi di introduzione, sviluppo e maturità; il
trend di settore dello stesso periodo evidenzia invece una situazione di sostanziale
stabilità corrispondente ad una probabile fase di maturità.
Il primo numero di La Repubblica, società di cui sono azionisti al 50% l’Editoriale
L’Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, è andato in edicola nel mese di gennaio
1976. All’inizio vi lavoravano 70 persone in tutto e fu difficile conquistare il mercato.
A partire dal 1981 si può considerare superata la fase dell’introduzione: la variazione
percentuale delle vendite assume un andamento di progressivo e rapido sviluppo e i
dati di bilancio confermano anche da un punto di vista economico l’andamento
favorevole. Per la prima volta, infatti, nel 1981 il bilancio chiude con un utile
significativo.
Dal 1981 al 1987 La Repubblica attraversa una fase di rapido sviluppo, le vendite
triplicano passando da circa 222.000 copie nel 1981 ad oltre 668.000 copie nel 1987.
L’incremento delle vendite dell’intero settore invece è pari a circa il 20%. Lo stesso
incremento risulterebbe ancora minore se dai dati del settore si escludessero quelli
relativi a La Repubblica.
Nel mese di dicembre 1987 La Repubblica lancia la promozione “Portfolio”: nasce nel
quotidiano La Repubblica Trova Roma e TuttoMilano il giovedì, il settimanale illustrato
Il Venerdì di Repubblica e quello economico Affari e Finanza il lunedì.
Tutto ciò contribuisce alla diffusione del giornale e al mantenimento di una vantaggiosa
posizione competitiva.
Il motivo di un più soddisfacente andamento delle vendite di La Repubblica, rispetto allo
sviluppo del mercato nel suo complesso, va ricercato nel fatto che probabilmente
quando La Repubblica è entrata nel settore dei quotidiani nazionali quest’ultimo stava
attraversando un periodo di stabilità/maturità, mentre La Repubblica è è riuscita ad
affermare e sostenere la propria posizione competitiva. Al momento della sua uscita la
Repubblica si inserisce in un mercato “maturo” che ha voglia di novità e ne coglie il
desiderio di innovazione: si presenta in un formato diverso da quello degli altri
quotidiani, con inserti speciali e incomincia ad accogliere cronache diverse nelle
principali città.
Solo a partire dal 1988 il trend di rapido sviluppo di La Repubblica subisce un
rallentamento da attribuirsi probabilmente ad un fisiologico “assestamento” delle
vendite. Negli ultimi anni incomincia cioè ad essere interessata da un fenomeno di
stabilizzazione/maturità.
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Limiti del modello del “ciclo di vita”
Spesso è difficile comprendere qual è la fase del ciclo di vita che si sta attraversando
Vengono trascurati aspetti quali l’analisi del tasso di crescita di tutto il mercato, l’intensità
della competizione, le manovre sul prezzo e l’entrata e l’uscita dei concorrenti dal mercato
Non si deve ritenere che le politiche di marketing siano la diretta conseguenza della fase
del ciclo di vita del prodotto. E’ probabilmente vero il contrario
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La teoria del ciclo di vita indica l’esistenza di una relazione ottimale fra le singole fasi
del ciclo di vita e azioni di marketing da intraprendere.
Spesso è assai difficile comprendere qual è la fase del ciclo di vita che si sta
attraversando.
Si rischia di formulare ipotesi errate al punto che, ad esempio, nel seguire le indicazioni
fornite dalla teoria del ciclo di vita, vengano eliminati prodotti che, benchè giunti in fase
di maturità, sono destinati a rimanere ancora a lungo sul mercato e a produrre flussi
finanziari positivi.
Inoltre la valenza, anche previsionale, generalmente attribuita a questa teoria rischia di
far perdere di vista la possibilità, in realtà assai frequente, che la vita di un prodotto
segua percorsi diversi da quelli “tipici”. Può così accadere che il management,
lasciandosi guidare dall’analisi del modello teorico del ciclo di vita, ritenga maturo un
prodotto per il quale vi sono ancora prospettive di sviluppo o viceversa ritenga ancora in
fase di sviluppo un prodotto ormai maturo.
Inoltre l’analisi si basa sul trend delle vendite di un certo prodotto e trascura aspetti
quali l’analisi del tasso di crescita di tutto il mercato, l’intensità della competizione, le
manovre sul prezzo e l’entrata od uscita dei concorrenti dal mercato.
Le scelte aziendali devono invece tener sempre conto di un’ampia gamma di fattori.
Né si può ritenere che le politiche di marketing siano la diretta conseguenza della fase
del ciclo di vita del prodotto. Anzi è più probabilmente vero il contrario, cioè che siano le
azioni di marketing ad influenzare il passaggio da una fase all’altra del ciclo di vita.
Il modello del ciclo di vita va probabilmente “letto” all’interno del nesso di relazioni
causa-effetto che caratterizzano il complesso universo aziendale ma, anche se non può
essere utilizzato a fini normativi, non va ritenuto privo di utilità.
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