POLITECNICO DI TORINO Facoltà di Ingegneria Dipartimento di Georisorse e Territorio Dottorato di Ricerca in Geoingegneria Ambientale XI Ciclo (1995-1998) Rilievi geostrutturali, velocità delle onde elastiche negli ammassi rocciosi e modulo elastico dinamico Dottorando Dott. Ing. Gianluca ODETTO Tutore Prof. Ing. Giampiero BARISONE Coordinatore del dottorato Prof. Ing. Giulio GECCHELE Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO INDICE 1. PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 3 2. INQUADRAMENTO MORFOLOGICO E GEOLOGICO DELL'AREA STUDIATA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 7 2.1 CENNI MORFOLOGICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 7 2.2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 10 3. CRITERI DI BASE DELLO STUDIO E MODALITA' OPERATIVE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 21 4. LITOTIPI INDAGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 24 5. ACQUISIZIONE DATI ................................ 5.1. RACCOLTA DATI DI ARCHIVIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 RILIEVI GEOSTRUTTURALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3 MISURE DI VELOCITÀ DELLE ONDE ELASTICHE IN SITU . . . . . . . . . . . 5.4 CAMPIONATURA IN SITU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5 MISURA DELLA VELOCITÀ DELLE ONDE ELASTICHE IN LABORATORIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6 PESO DI VOLUME E CARICO DI ROTTURA A COMPRESSIONE MONOASSIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.7 MODULO ELASTICO DINAMICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 42 Pagina 42 Pagina 44 Pagina 53 Pagina 62 Pagina 64 Pagina 78 Pagina 81 6. ANALISI DEI DATI ED ELABORAZIONI STATISTICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 87 6.1 RILIEVI GEOSTRUTTURALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 87 6.2 - ALTEZZA ED ETÀ DEI FRONTI STUDIATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 95 Pagina 1 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 6.3 VELOCITÀ DELLE ONDE ELASTICHE IN LABORATORIO E IN SITU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 97 7. ELABORAZIONE STATISTICA DEI DATI E RISULTATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 102 7.1 VARIABILITÀ DEL GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA ROCCIOSA IN FUNZIONE DEL LITOTIPO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 103 7.2 VARIABILITÀ DEL GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA ROCCIOSA IN FUNZIONE DELLA COLLOCAZIONE GEOGRAFICA . . . . . . . . . Pagina 105 7.3 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA ROCCIOSA ED ALTEZZA DEL FRONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 106 7.4 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA ROCCIOSA ED ETÀ DEL FRONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 108 7.5 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA ROCCIOSA E RAPPORTO TRA VELOCITÀ DELLE ONDE ELASTICHE IN LABORATORIO ED IN SITU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 111 7.6 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE E MODULO ELASTICO DINAMICO IN SITU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 114 7.7 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE E MODULO ELASTICO DINAMICO DELLA ROCCIA SANA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 116 8 CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 118 9. BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 122 ALLEGATI: A) Tabella riassuntiva dati acquisiti e risultati elaborazioni B) Stereogrammi dei siti indagati C) Misure di velocità delle onde elastiche in situ D) Misure di velocità delle onde elastiche in laboratorio Pagina 2 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 1. PREMESSA Nel corso degli ultimi venti anni l'evoluzione della geomeccanica ha portato ad indagare molti degli aspetti che governano il comportamento fisico-meccanico delle rocce. Abbastanza note sono ormai le leggi che regolano il meccanismo di rottura degli ammassi rocciosi con cinematismi tipo scivolamento planare, cuneo o crollo, quando lungo le fratture si possano mobilitare solo resistenze dovute alle forze di attrito; poco o nulla si sa invece su come valutare la presenza, all'interno della massa rocciosa, di punti in cui vi sia ancora continuità della roccia a collegare le due salbande di una discontinuità (punti noti comunemente come "ponti di roccia"), la cui conoscenza sarebbe fondamentale per analizzare compiutamente il comportamento di fratture discontinue. Lo studio svolto nel corso del dottorato ed illustrato nella presente tesi si è proposto di mettere a punto una procedura operativa sul terreno, relativamente semplice e veloce, in grado di consentire una meno incerta valutazione della persistenza dei sistemi di fratture interessanti le rocce, anche alcuni metri all'interno della massa rocciosa. Pagina 3 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO I numerosi tentativi di giungere ad una compiuta definizione del comportamento di una massa rocciosa interessata da sistemi di fratture con persistenza inferiore al 100%, condotti sia attraverso elaborazioni matematiche in forma chiusa o aperta, sia attraverso analisi statistiche su dati provenienti da rilievi strutturali e/o back analysis, sia (più raramente) tramite formule empiriche elaborate attraverso studi a carattere sperimentale, a tutt'oggi si sono rivelati inefficaci o, peggio ancora, fuorvianti al fine di un corretta valutazione del comportamento globale di un ammasso roccioso. E' ancora frequente, infatti, che vengano richieste ed eseguite verifiche di stabilità in cui il parametro coesione , rappresentativo appunto dei ponti di roccia, sia pari a zero. Tale arbitraria assunzione può indurre in grossi errori di valutazione; spesso, infatti, ci si ritrova a dover lottare con verifiche che portano a dei valori del fattore di sicurezza inferiori all'unità (il che, ovviamente, implicherebbe l'avvenuto collasso dell'ammasso roccioso) per pareti evidentemente e storicamente in buone situazioni di stabilità. Ciò evidenzia ulteriormente, se necessario, come una corretta valutazione della "coesione" della massa rocciosa (vale a dire, nota la coesione della roccia, la valutazione dei ponti di roccia) sia fondamentale per un calcolo attendibile della stabilità di un pendio in roccia, e lo diventi sempre più quanto più precarie sono le condizioni del medesimo (pendio a franapoggio, possibilità di sisma, presenza di Pagina 4 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO falde in pressione, ecc.). Risulta infatti evidente come una corretta valutazione dei "ponti di roccia" permetta di meglio stimare i valori di coesione media globale dell'ammasso, da un lato offrendo la possibilità di effettuare scelte progettuali mirate, dall'altro permettendo una più affidabile valutazione della stabilità delle pareti rocciose. Va ricordato, per inciso, come la presenza di ponti di roccia per una superficie complessiva anche solo di pochi centimetri quadrati possa consentire lo sviluppo di grandi forze resistive, tali da garantire la stabilità di blocchi di notevole volume. La ricerca svolta è stata pertanto tesa a migliorare le conoscenze e le tecniche per una corretta valutazione del parametro "fratturazione", mettendo a punto una metodologia operativa basata sui metodi classici del rilevamento geostrutturale che, di per sé inadeguati ad una valida quantificazione della persistenza e limitati ovviamente alle parti superficiali del versante, sono stati integrati con misure di tipo geofisico. Tali misure sono state a loro volta avvalorate e supportate da analisi statistiche condotte a livello di macro zone, intendendo con tale termine aree piuttosto estese (da poche a diverse decine di chilometri quadrati) contraddistinte da caratteristiche litologico-tecniche e di evoluzione tettonica omogenee, tali da poter permettere una stima quantitativa del grado di fratturazione sulla base di curve di regressione statistica tra i dati dei rilievi geostrutturali e la velocità Pagina 5 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO delle onde elastiche nella roccia sana (in laboratorio, Vl) e nell'ammasso roccioso (in situ, Vs). L'area interessata dallo studio si estende in pratica lungo l'intero Arco Alpino Occidentale, con i siti indagati che - tranne due eccezioni - ricadono tutti nell'ambito territoriale della regione Piemonte, la cui vasta gamma di litologie e di zone tettonicamente omogenee ha permesso di coprire un'adeguatamente ampio spettro di situazioni. Pagina 6 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale 2. INQUADRAMENTO Ing. Gianluca ODETTO MORFOLOGICO E GEOLOGICO DELL'AREA STUDIATA 2.1 Cenni morfologici Il Piemonte occupa la parte più occidentale della pianura padana, ed è circondato su tre lati da una fascia montuosa ininterrotta che corre dall'Appennino Ligure alle Alpi Centrali (Fig. 2.1). Il nome della regione deriva dal latino medioevale "Pedemontium" o "Pedemontis", usato in un primo tempo per indicare la pianura “a piè dei monti”, e successivamente esteso all'intero territorio. Nella fascia alpina ovest il confine con la Francia segue approssimativamente la linea spartiacque, scostandosene in corrispondenza delle alte valli della Roja, della Dora Riparia e del passo del Moncenisio (ceduti alla Francia nel 1947); più a nord i limiti regionali si discostano nettamente da quelli "naturali" in corrispondenza della valle della Dora Baltea, che appartiene quasi interamente alla Valle d'Aosta. A est il confine con la Lombardia taglia longitudinalmente il Lago Maggiore e segue poi il corso del Ticino, della Sesia e del Po. A sud appartiene al Piemonte parte del versante padano dell'Appennino Ligure. Pagina 7 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Fig. 2.1 Carta schematica del Piemonte Nel territorio piemontese si possono distinguere, da un punto di vista morfologico, tre zone ben distinte: una montana (che costituisce il 43,3% del territorio), una collinare (pari al 30,3%) e una pianeggiante (26,4%). Dal colle di Cadibona, convenzionale punto di saldatura fra il sistema alpino e la dorsale Pagina 8 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO appenninica, hanno inizio le Alpi Occidentali, suddivise, procedendo da Sud a Nord, in Marittime (altezza massima Argentera, 3297 m s.l.m.), Cozie (altezza massima Monviso, 3841 m s.l.m.) e Graie (Gran Paradiso, 4061m s.l.m.); proseguendo poi verso Est si hanno le Alpi Centrali, con i 4633 m s.l.m. del Monte Rosa (Alpi Pennine) ed i 3552 m s.l.m. del monte Leone (Alpi Lepontine). Le Alpi piemontesi sono quasi ovunque caratterizzate da forme vigorose e aspre e da versanti assai ripidi: tipica è la mancanza di una fascia prealpina che formi, con la sua minore elevazione, una zona di transizione fra i rilievi principali e la pianura. La presenza di valli profondamente incassate, poste trasversalmente alla linea spartiacque, fa sì che, nonostante l'altitudine, il sistema alpino non costituisca per il Piemonte una barriera invalicabile: numerosi, storici passi mettono in comunicazione la regione sia con la Francia (passi di Tenda, della Maddalena, del Monginevro, del Fréjus), sia con la Svizzera (passo del Sempione). Anche l'Appennino, ove pochissime vette superano i 1.500 m, è attraversato da valichi agevoli che mettono in comunicazione i maggiori centri piemontesi con i porti della costa ligure. Notevole estensione hanno le zone collinari: le Langhe, a nord dell'Appennino, che da un'altitudine massima di 700-800 m vanno digradando fino alla valle del Tanaro; immediatamente a est delle Langhe, quasi senza soluzione di continuità, si elevano le alture del Monferrato; lungo la riva destra del Po si Pagina 9 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO allungano le colline del Po (o Collina di Torino); ancora più a nord, infine, si aprono i vasti anfiteatri morenici di Rivoli (Torino) e di Ivrea (Canavese), allo sbocco in pianura delle valli, rispettivamente, della Dora Riparia e della Dora Baltea. Il Piemonte è particolarmente ricco di corsi d'acqua: vi nasce, sul Monviso, il maggiore fiume italiano, il Po, che dopo un primo tratto ripido e impetuoso sbocca in pianura, allargando il suo letto man mano che riceve l'apporto di numerosi affluenti: di sinistra, tutti di provenienza alpina (Pellice-Chisone, Dora Riparia, Stura di Lanzo, Orco, Dora Baltea, Sesia), e di destra (Scrivia, Tanaro). Appartengono al Piemonte la sponda occidentale del Lago Maggiore e, per intero, oltre a numerosi laghetti alpini di origine glaciale, il lago d'Orta e il lago di Viverone. Il clima è eminentemente continentale, con inverni rigidi ed estati calde in pianura, fresche in montagna. Le precipitazioni sono abbondanti in tutte le stagioni, e assai frequente nella stagione invernale è la formazione di nebbie nella fascia padana. 2.2 Inquadramento geologico 2.2.1 Generalità La geologia della regione piemontese è argomento troppo vasto e complesso perché se ne possa qui fornire un quadro soddisfacente. Ci si limiterà Pagina 10 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO pertanto a pochi cenni, inevitabilmente lacunosi e sommari, con lo scopo di illustrare sinteticamente gli schemi geolitologico e strutturale del territorio e di fornire un inquadramento di massima delle formazioni rocciose più interessanti (per quanto riguarda questa ricerca) nel contesto della geologia regionale (AA. VV., 1980). Per comprendere l'evoluzione della regione piemontese, bisogna risalire fino al tardo Paleozoico, quando nell'emisfero settentrionale tutte le terre emerse erano saldate tra loro a formare un enorme continente, la Pangea. Esso era costituito in prevalenza da scisti cristallini formatisi durante l'orogenesi Ercinica, che nel Permo-Carbonifero vennero intrusi da graniti e ricoperti da sedimenti detritici e vulcaniti a chimismo riolitico (porfidi): tutte queste rocce sono ancora ben conservate nella zona esterna (Elvetica) ed interna (Alpi Meridionali) della catena alpina, mentre nella parte centrale esse sono state più o meno profondamente trasformate dagli eventi metamorfici Alpini. Nel periodo Triassico un mare poco profondo invase il continente ed in esso sedimentarono dapprima depositi arenacei, poi calcareo-dolomitici. Tra la fine del Trias e l'inizio del Giurassico iniziò la separazione delle masse continentali; nel periodo Giurassico, in particolare, la crosta continentale, che costituiva il fondo del mare Triassico, si lacerò e le due parti si separarono: tra Pagina 11 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO di esse risalì il mantello sottostante e si formò una crosta di tipo oceanico, di composizione gabbro-basaltica, sulla quale si depositarono sedimenti argilloso-marnosi e si espansero colate basaltiche sottomarine. Nel Cretacico, a causa di un riavvicinamento tra Europa ed Africa, le due masse continentali si urtarono e si accavallarono, producendo quei corrugamenti che daranno origine alla complessa struttura della catena alpina. In questo complicato fenomeno di collisione, durante la fase che i geologi chiamano di subduzione, rocce del margine europeo e porzioni della crosta oceanica vennnero trascinate in profondità: si produsse così una loro trasformazione metamorfica (evento metamorfico eoalpino) in condizioni di pressione elevata. Dopo una breve permanenza in profondità queste rocce ritornarono in superficie e, insieme ad altre ingenti masse sfuggite alla subduzione, si riversarono sul continente europeo, impilandosi le une sulle altre in gigantesche falde di ricoprimento. Una relativa calma caratterizzò il Paleocene: poi, durante l'Eocene e fino all'inizio dell'Oligocene, un nuovo evento metamorfico di alta temperatura diede origine a nuove formazioni rocciose, mentre al contempo la catena alpina venne interessata da una serie di grandi pieghe. Nell'Oligocene l'edificio alpino era ormai emerso: esso venne aggredito dall'erosione, che provocò ai suoi bordi un'intensa sedimentazione detritica Pagina 12 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO (molassa). Si intrusero i plutoni di Biella e Traversella, e lave andesitiche si espansero sulla zona Sesia-Lanzo. Nel Miocene le Alpi erano ancora circondate dal mare e, mentre continuava la sedimentazione ai bordi della catena, esse vennero interessate da movimenti orogenici tardivi che si estesero anche all'Appennino e al Monferrato. I limiti tra il mare e le terre emerse sono spesso mutati nella storia geologica del Piemonte, sia per il sollevamento delle catene montuose, sia per fenomeni di ingressione (espansione) e regressione delle acque. Ad una fase particolarmente accentuata di regressione corrispondono, alla fine del Miocene, i depositi evaporitici della Formazione Gessoso-Solfifera (Astigiano). Nel Pliocene e nel Quaternario continuò la sedimentazione detritica, dapprima in ambiente marino e poi, quando il golfo alpino-padano fu riempito dai sedimenti, in ambiente continentale. Le oscillazioni climatiche quaternarie, con l'alternarsi di periodi glaciali (Günz, Mindel, Riss e Würm) e di interglaciali caldi hanno, infine, portato alla formazione di estesi depositi morenici che, ancor oggi, ricoprono a tratti i versanti montuosi e formano, in pianura, imponenti anfiteatri morenici (Rivoli, Ivrea). Pagina 13 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 2.2.2 Le Alpi Piemontesi e l'Appennino Ligure-piemontese Nell'arco alpino occidentale si possono distinguere cinque zone strutturali, che si succedono a costituire l'orogeno dall'esterno all'interno della catena alpina: la Zona Elvetica, la Zona Brianzonese s.l., la Zona Ligure-piemontese, la zona Sesia-Dent Blanche e la zona Austrosudalpina (Fig. 2.2a e Fig. 2.2b). Legenda: 1 - Dominio Delfinese-Elvetico 2- Zona Subbrianzonese 3 - Zona Brianzonese 4 - Ricoprimenti Sempione-Ticino 5 - Massicci cristallini interni 6 - Metaofioliti della Zona Piemontese 7 - Calcescisti della Zona Piemontese (a) e del Vallese (b) 8 - Flysch a Helmintoidi 9 - Zona Sesia-Lanzo e Falda Dent Blanche 10 - Alpi Meridionali 11 - Plutoni post-alpini 12 - Appennini e Collina di Torino 13 - Sedimenti terziari e quaternari del Bacino Ligure-Piemontese 14 - Principali linee tettoniche Fig. 2.2a - Legenda dello schema strutturale dell'Arco Alpino Occidentale (da Compagnoni,Piccardo e Sandrone, 1983) Pagina 14 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Fig. 2.2b - Schema strutturale dell'Arco Alpino Occidentale (da Compagnoni, Piccardo e Sandrone, 1983) Pagina 15 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO a) La Zona Elvetica, o Delfinese-Elvetica, costituisce la parte esterna del sistema alpino e rappresenta il margine meno deformato dell'antico continente europeo. In essa si distinguono essenzialmente un basamento (formato da scisti cristallini e da graniti ercinici) ed una copertura sedimentaria (di età da Carbonifera a Terziaria). Queste rocce sono state interessate solo debolmente e parzialmente dal metamorfismo alpino. Nella regione piemontese la Zona Elvetica affiora soltanto marginalmente, in corrispondenza del Massiccio dell'Argentera e delle Valli Stura di Demonte, Gesso e Vermenagna. b) La Zona Brianzonese s.l. (che, insieme alla Zona Ligure-piemontese, costituisce il Dominio Pennidico) è formata da un basamento cristallino pre-Carbonifero, ricoperto da vulcaniti e sedimenti di età da Permo-Carbonifera a Mesozoica e Cenozoica. Le rocce più recenti costituiscono una serie sedimentaria che inizia con termini detritici, seguiti da evaporiti e da una potente sequenza carbonatica; chiudono la serie depositi arenaceo-argillosi. Nella sequenza carbonatica mancano i termini corrispondenti alla sedimentazione durante parte del Mesozoico: questa lacuna, che caratterizza la Zona Brianzonese, attesta la sua temporanea emersione nel corso dell'orogenesi. La Zona Brianzonese, tutta più o meno marcatamente trasformata dai processi metamorfici alpini, affiora abbastanza estesamente nel sud e nell'ovest del territorio piemontese. Pagina 16 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO c) La Zona Ligure-Piemontese è costituita da lembi di crosta continentale, da crosta di tipo oceanico e dalle rispettive coperture sedimentarie (Mesozoico e Cenozoico). I resti della crosta continentale costituiscono complessi cristallini di età pretriassica, intrusi da graniti ercinici: nel territorio della Regione Piemonte essi formano in Val d'Ossola i Ricoprimenti Sempione-Ticino e del Monte Rosa, nel settore alpino occidentale il Massiccio del Gran Paradiso e, almeno in parte, il Complesso Dora-Maira. A porzioni della crosta-mantello oceanica e della sua copertura si deve invece riferire il Complesso dei Calcescisti con ofioliti, o Zona Piemontese s.s., che affiora estesamente nell'ovest della Regione. Termini della serie ligure, associati o meno a materiali oceanici, costituiscono l'Appennino Ligure-Piemontese e il basamento pre-Oligocenico del Monferrato; essi compaiono anche, in affioramenti limitati, nelle Alpi Cozie e nel Canavese. d) La Zona Sesia-DentBlanche rappresenta nelle Alpi Occidentali il Dominio Austroalpino: questo dominio è soprattutto esteso nelle Alpi orientali, dove costituisce un complicato sistema di falde che ricoprono quasi completamente il Dominio Pennidico. Nella Zona Sesia-Lanzo, a parte della quale sono limitati gli affioramenti del Sistema Sesia-Dent Blanche nel territorio Pagina 17 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO piemontese, si riconoscono una Unità inferiore, costituita in prevalenza da gneiss minuti e da micascisti eclogitici, ed una Unità superiore (II Zona Dioritico-Kinzigitica), caratterizzata da scisti a biotite e granato e da rocce di tipo granitoide (kingiziti). Trasformata dagli eventi metamorfici alpini, la Zona Sesia-Lanzo è stata poi intrusa nell'Oligocene dal plutone di Biella, a composizione in prevalenza monzonitica ma con importanti porzioni sienitiche, e da quello di Traversella, essenzialmente monzonitico. e) La Zona Austrosudalpina, che rappresenta i resti del bordo dell'antico continente africano, viene così chiamata perché da un lato possiede caratteri propri delle Alpi Meridionali (dette anche Dominio Sudalpino), dall'altro può essere considerata come il prolungamento nelle Alpi Occidentali dei ricoprimenti austroalpini delle Alpi Centrali e Orientali. L'importante linea tettonica del Canavese la divide dalla zona Sesia. Nella Zona Austrosudalpina si distinguono, in territorio piemontese, la serie dei Laghi e la Zona d'Ivrea. La prima è costituita da scisti cristallini, intrusi da graniti di età Ercinica e ricoperti da sedimenti detritici (Carbonifero), vulcaniti (Permiano) e formazioni carbonatiche (Mesozoico); Dioritico-Kinzigitica, è la costituita seconda, denominata essenzialmente da anche Zona kinzigiti, granuliti Pagina 18 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO (prevalentemente gabbriche) e da una serie di piccole masse di ultramafiti al suo bordo esterno. Il metamorfismo alpino non ha toccato la Zona Austrosudalpina, che è stata metamorfosata in epoca molto più antica, anteriormente all'intrusione dei graniti ercinici. 2.2.3 Le formazioni postorogenetiche Le formazioni postorogenetiche, costituite essenzialmente da formazioni marine detritiche post-Oligoceniche, possono essere strutturalmente suddivise in varie unità: a) Il Monferrato, regione collinare estesa tra Torino e Valenza, può essere considerato come il prolungamento verso nord-ovest dell'Appennino, dal quale è separato dalle alluvioni recenti che occupano la pianura di Alessandria. b) Le Langhe, costituite da una sequenza sedimentaria che borda l'Appennino Ligure-piemontese e le Alpi Marittime, si estendono dal confine col Monferrato fino a Mondovì. Il loro basamento, che hanno seguito nei suoi movimenti tardo miocenici, è costituito da unità liguri, piemontesi e brianzonesi. Pagina 19 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO La depressione del bacino plio-pleistocenico astigiano, infine, si interpone tra il Monferrato a nord e le Langhe a sud; nel loro complesso Monferrato, Langhe e Bacino Astigiano formano il Bacino Terziario Piemontese. La Pianura del Po è costituita da depositi detritici continentali di età quaternaria recente, in discordanza su terreni Plio-pleistocenici lacustri e continentali o, nella regione di pianura a nord del corso del Po e del Basso Monferrato, a terreni pleistocenici marini. Pagina 20 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 3. CRITERI DI BASE DELLO STUDIO E MODALITA' OPERATIVE I criteri operativi di base della ricerca possono riassumersi nei concetti di eseguibilità, rapidità e ripetibilità delle misure da un lato, validità generale (e quindi esportabilità ed estendibilità del metodo anche a litotipi diversi da quelli presi in considerazione) dall'altro; pertanto lo studio è stato incentrato sulla definizione di una nutrita serie di parametri e di condizioni al contorno, su cui sono basate tutte le considerazioni e conclusioni svolte all'interno della presente Tesi di Dottorato. Sinteticamente si può indicare il percorso logico seguito attraverso i seguenti punti: 1) Definizione dei litotipi e delle zone da indagare; 2) Scelta dei fronti e delle pareti rocciose più rappresentativi; 3) Esecuzione di rilievi geostrutturali di dettaglio lungo detti fronti e, se del caso, su pareti limitrofe (o acquisizioni dati, ove esistenti); definizione delle caratteristiche geometriche (altezza) dei fronti studiati e della loro età; Pagina 21 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale 4) Ing. Gianluca ODETTO Misura della velocità delle onde elastiche nell'ammasso roccioso (Vs) in corrispondenza dei rilievi geostrutturali acquisiti; 5) Prelievo di blocchi di roccia sana di adeguate dimensioni (lato minore e maggiore non inferiori rispettivamente a 50 mm e 200 mm) e forma per quanto possibile regolare; 6) Misura in laboratorio della velocità delle onde elastiche sui campioni raccolti (Vl) lungo tre direzioni ortogonali fra loro (nel caso di rocce scistose, una direzione perpendicolare e due parallele alla scistosità); 7) Determinazione del peso di volume e della resistenza a compressione monoassiale (in laboratorio); 8) Valutazione della qualità ed omogeneità dei dati raccolti ed elaborazione degli stessi per ottenere i valori di alcuni indici rappresentativi ; 9) Determinazione del modulo elastico dinamico e statico dell'ammasso roccioso e della roccia sana (rispettivamente in situ ed in laboratorio); 10) Ricerca e determinazione delle curve di correlazione tra gli indici rappresentativi individuati. Pagina 22 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Per quanto riguarda specificatamente l'operatività sul terreno, dopo la scelta dei litotipi su cui incentrare lo studio e l'individuazione delle diverse zone da indagare, una accurata ricerca dei dati esistenti (archivi uffici tecnici regionali, articoli scentifici, tesi di laurea, ecc.) ha permesso di focalizzare l'attenzione su areali relativamente limitati, in cui una certa ricchezza di dati disponibili permetteva di ridurre in parte il gravoso lavoro di rilevamento in situ. Una prima serie di sopralluoghi ha quindi consentito la scelta ponderata delle pareti rocciose più rappresentative delle varie realtà litologiche e più significative per quanto riguarda omogeneità, orientazione, altezza ed età dei fronti.Nel corso di oltre un anno di operatività sul terreno sono stati poi studiati una cinquantina di siti, effettuando rilievi strutturali (ex novo o di controllo dei dati già acquisiti) e misure di velocità delle onde elastiche (in totale, quasi 200 basi misurate); in tali occasioni sono altresì stati raccolti i campioni (una ventina) per le prove di laboratorio. I dati raccolti sono quindi stati elaborati, previa valutazione di qualità e omogeneità, utilizzando un potente programma di statistica (S.P.S.S., versione 7.5), in grado di effettuare rapidamente correlazioni incrociate tra un gran numero di variabili (sino a 50); si è così giunti ad ottenere risultati applicativi di un certo interesse, i quali verranno ampiamente illustrati e commentati nelle conclusioni della presente tesi. Pagina 23 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 4. LITOTIPI INDAGATI La scelta dei litotipi sui cui affioramenti incentrare lo studio ha costituito senza dubbio una delle fasi più delicate del lavoro. Da un lato vi era infatti la necessità di far riferimento a rocce con affioramenti piuttosto estesi (possibilità di più punti di misura in una stessa zona) e distribuiti sul territorio regionale in aree dalla storia tettonica differente (possibilità di porre a confronto litotipi analoghi con evoluzioni tettoniche - e quindi gradi di fratturazione - diversi). Dall'altro si doveva poter far riferimento a rocce con caratteristiche geomeccaniche diverse (valutazione della differente risposta alle sollecitazioni tettoniche) e presentanti pareti (naturali o artificiali) per le quali fosse possibile avere una stima dell'età (influenza del tempo sul grado di fratturazione, per decompressione, effetto del gelo, ecc.) Quest'ultimo fattore, in particolare, appariva di difficile valutazione nel caso si fosse fatto esclusivo riferimento a pareti naturali; d'altro canto, il prendere in esame pareti artificiali (sbancamenti, ecc.) avrebbe potuto condurre a risultati falsati, in maniera non valutabile, dall'effetto degli esplosivi utilizzati per l'abbattimento. Il problema è stato risolto facendo riferimento a fronti di cave - Pagina 24 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO attive od abbandonate - aperte in formazioni lapidee sfruttate per la produzione di pietre destinate a rivestimenti o strutture ornamentali; è stato così possibile operare su fronti poco o punto danneggiati dall'uso di esplosivo (abbattimento con filo diamantato o miccia detonante) e di cui era possibile conoscere con buona approssimazione la data di "realizzazione". Grazie alla notevole diffusione, sul territorio regionale, di una gran varietà di litotipi coltivati - attualmente o in passato - per pietre da decorazione, una tale scelta non è risultata penalizzante sotto l'aspetto quantitativo; da sottolineare, comunque, che un certo numero di misure sono state effettuate su pareti rocciose naturali, privilegiando in questi casi litotipi particolari per caratteristiche geomeccaniche o collocazione degli affioramenti. Entrando nel dettaglio, sono stati selezionati per lo studio i seguenti litotipi (tra parentesi le località degli affioramenti indagati): - Gneiss (Val Luserna, Val Germanasca, Val Susa, Val d'Ossola, Dora Baltea, Val Maira e Val Varaita). - Graniti (Laghi) - Sieniti (Valle Cervo) - Dioriti (Dora Baltea) Pagina 25 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO - Micascisti (Val Susa) - Calcari e marmi (Monregalese, Val Susa, Val d'Ossola) - Quarziti (Monregalese) - Calcescisti (Val Susa, Val d'Aosta) - Oficalci (Val Maira) - Anfiboliti (Monregalese, Val d'Aosta) - Noriti (Val d'Ossola) Nell’istogramma di Fig. 4.1 è schematizzato graficamente il numero di pareti rocciose studiate per ciascun litotipo, mentre una sintesi dei litotipi indagati, con l'indicazione della zona geografica e del sito considerati, è riportata in una "Mappa schematica dei siti indagati" in scala 1:350.000 circa (Fig.4.2, vedi fondo capitolo) ed in Tabella 4.1, nella quale sono altresì indicate le altezze e le classi di età dei fronti rocciosi su cui sono state condotte le indagini. Per quanto attiene in particolare al parametro età, la distribuzione che è stato possibile accertare per i vari fronti studiati ha suggerito una suddivisione dei dati raccolti in quattro classi di età, indicate con le prime quattro lettere dell'alfabeto e corrispondenti rispettivamente a: Pagina 26 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO A: fronte con età minore di 1 anno (cave attive) B: fronte con età compresa tra 1 anno e 10 anni C: fronte con età compresa tra 10 anni e 50 anni D: fronte con età maggiore di 50 anni (cave storiche, fronti naturali) 40 35 30 25 20 15 5 SIENITE QUARZITE OFICALCE NORITE MICASCISTO GRANITO GNEISS DIORITE CALCESCISTO CALCARE CALCARE-SCIS 0 ANFIBOLITE rilievi 10 LITOTIPO Fig. 4.1 Numero di pareti rocciose rilevate per ciascun litotipo Come base geologico-topografica su cui sintetizzare visivamente i risultati dello studio è stata scelta la Carta litologico-giacimentologica in scala 1/100.000 edita dalla Regione Piemonte, opportunamente rielaborata (e semplificata) Pagina 27 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Tabella 4.1 Pagina 28 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO raggruppando sotto la stessa simbologia litotipi e formazioni simili per origine e, entro certi limiti, caratteristiche fisico-meccaniche. E' stato così possibile ridurre la notevole complessità (e la conseguente talora difficile leggibilità) della base originaria, passando da una legenda composta da ben 44 voci ad una articolata su soli 12 raggruppamenti di rocce (vedi Fig. 4.3 e relativa legenda). Pagina 29 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO MAPPA SCHEMATICA DEI SITI INDAGATI E GEOLOGICA Pagina 30 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 31 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 32 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 33 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 34 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 35 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 36 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 37 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 38 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 39 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 40 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 41 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 5. ACQUISIZIONE DATI 5.1. Raccolta dati di archivio Considerata l'estensione territoriale e la varietà dei litotipi da indagare, nonchè la necessità di disporre - onde poter sviluppare una significativa elaborazione statistica - di una notevole mole di dati, particolare cura è stata rivolta alla ricerca ed alla acquisizione dei dati di archivio. Purtroppo, ciò è stato possibile, con risultati quasi soddisfacenti, solo per quanto concerne il grado di fratturazione degli ammassi rocciosi (rilievi strutturali) ed alcune caratteristiche fisico-meccaniche dei vari litotipi (peso di volume, carico di rottura a compressione monoassiale). Per quanto concerne il primo aspetto, la raccolta dati ha consentito di acquisire - principalmente presso l'Ufficio Cave della Regione Piemonte - un gran numero di informazioni (alcune delle quali, per altro, rivelatesi inesatte o inadeguate durante i successivi controlli sul terreno); anche per quanto riguarda le caratteristiche fisico-meccaniche i dati bibliografici, integrati e talora corretti da apposite prove di laboratorio, hanno permesso di ricostruire un quadro generale abbastanza soddisfacente. Completamente negativo, invece, l'aspetto riguardante le velocità delle onde elastiche in laboratorio e, soprattutto, in situ, dove la disponibilità di dati correlati e significativi si è rivelata praticamente nulla. Pagina 42 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Questo malgrado nella prima parte del triennale periodo di dottorato si siano trascorsi considerevoli periodi di tempo in biblioteche universitarie e statali (tra cui quella dell'U.S. Geological Survey a Reston, Virginia) alla ricerca di dati, indicazioni metodologiche, studi sull'argomento (consultando, ad esempio, tutti gli atti degli ultimi congressi internazionali dell'ISRM, IAEG, ITA, ISL). Anche i non abbondanti dati reperiti, comunque, hanno posto notevoli problemi di omogeneizzazione, a causa della diversità dei criteri con cui sono stati raccolti o riportati i dati in ogni singola fonte. Pertanto è stato necessario prestare grande attenzione durante la raccolta dei dati tenendo conto, per quanto possibile, della loro provenienza ed eventualmente adeguandoli alle esigenze del presente studio. In particolare, un ampio lavoro di verifica è stato effettuato sui dati giaciturali delle discontinuità, effettuando controlli campione durante i sopralluoghi e, se del caso, ripetendo i rilievi geostrutturali in parete. Pagina 43 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 5.2 Rilievi geostrutturali 5.2.1. Premessa I rilievi geostrutturali consentono di ottenere dettagliate informazioni sullo stato di fratturazione dell'ammasso roccioso in superficie. Essi, condotti secondo le indicazioni dell'ISRM (1977) su stendimenti di lunghezza adeguata, forniscono i dati di base per giungere alla determinazione, tra l'altro, di eventuali modalità di franamento e del volume medio dei blocchi in cui può essere "suddiviso" l'ammasso roccioso. L'esecuzione vera e propria del rilievo deve essere preceduta dalla scelta dei siti in cui operare le indagini: si tratta di una operazione molto importante, che può condizionare fortemente la rappresentatività dei risultati ottenibili. L'ubicazione dei rilievi deve avvenire in funzione di considerazioni generali sulla litologia e morfologia sull'area studiata; occorre eseguire rilievi all'interno di ogni litotipo, in aree omogenee per grado di fratturazione. E' inoltre fondamentale considerare la situazione morfologica, che può presentare particolarità, come esposizione o acclività dei versanti, tali da non mettere in luce importanti sistemi di discontinuità. Questa situazione si verifica, in particolare, nel caso in cui siano presenti fratture di trazione (parallele ai versanti). Pagina 44 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO La scelta dei siti risulta inoltre condizionata da fattori esterni, quali l'accessibilità della zona, l' irregolarità del territorio e la mancanza di affioramenti o pareti rocciose di dimensioni sufficienti per poter eseguire un rilievo. Spesso inoltre non è possibile eseguire rilievi su pareti adiacenti disposte perpendicolarmente, in modo da individuare i sistemi di fratturazione paralleli al versante, altrimenti non rilevabili. A questo problema si può ovviare, come pure a quelli posti da una scarsa accessibilità o dalla carenza di pareti idonee allo svolgimento di rilievi strutturali veri e propri, integrando i dati raccolti con l'indicazione delle famiglie principali di discontinuità e dei relativi parametri (frequenza, spaziatura, ecc.) eseguendo dei rilievi di "sintesi", le cui modalità saranno esposte al punto 5.2.3. 5.2.2 Modalità esecutive I rilievi geostrutturali "classici" vengono eseguiti ponendo una bindella metrica lungo la parete su cui si compie l'analisi; si provvede poi ad annotare i parametri rappresentativi delle discontinuità che intersecano lo stendimento. Sono state considerate tutte le fratture presenti in una fascia di larghezza di circa 1-2 metri attorno all'allineamento; talvolta si sono annotati anche i dati caratteristici di alcune discontinuità esterne a questa fascia, ma ritenute di importanza Pagina 45 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO fondamentale ai fini della stabilità del pendio e pertanto non trascurabili.Per ogni frattura sono stati annotati, oltre alla progressiva in corrispondenza della quale la frattura intersecava lo stendimento, i parametri di orientazione, lunghezza, spaziatura, rugosità, apertura e l' eventuale presenza di riempimento; i dati ottenuti sono stati adeguatamente elaborati per via informatica onde determinare le famiglie di fratture presenti, e sono sintetizzati nei reticoli di Schmidt riportati in All. B. Nel diagramma di Fig. 5.1 è indicato il numero di fratture mediamente riscontrate negli affioramenti dei diversi litotipi, distinti a seconda della zona ZONA 7 Dora-Baltea 6 Laghi Monregalese 5 Val-Cervo Val-d'Ossola Val-Germanasca 3 Val-Luserna Val-Maira 2 Val-Susa 1 SIENITE QUARZITE OFICALCE NORITE MICASCISTO GRANITO GNEISS DIORITE CALCESCISTO CALCARE CALCARE-SC Val d' Aosta ANFIBOLITE N°sistemi medio 4 LITOTIPO geografica (e quindi della storia tettonica). Fig. 5.1 Numero medio di sistemi di frattura a seconda del litotipo e della zona geografica Pagina 46 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO a) Orientamento delle discontinuità Per definire completamente l'orientamento di una discontinuità occorre individuare due angoli: l'azimut del vettore immersione e l' inclinazione. Il primo è l'angolo compreso fra la direzione del Nord e la proiezione sul piano orizzontale della linea di massima pendenza del piano della discontinuità; l'inclinazione è l'angolo che la retta di massima pendenza forma con il piano orizzontale. Le misure di questi angoli vengono eseguite con una bussola clinometrica. b) Estensione delle discontinuità Si tratta di un parametro molto importante per la caratterizzazione di un ammasso roccioso, poichè da esso e dalla spaziatura derivano le effettive forze che l'ammasso è in grado di mobilitare a favore di stabilità. Viene valutato in sito come estensione monodimensionale, misurando la lunghezza della linea intersezione del piano di discontinuità con la superficie naturale. c) Rugosità delle discontinuità La scabrezza delle superfici di una frattura rappresenta un parametro inportante per la determinazione delle caratteristiche di resistenza, e dipende direttamente dal processso di formazione delle litoclasi e dalle vicissitudini che esse hanno subito. L'importanza di questo parametro diminuisce con l'aumentare Pagina 47 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO della distanza fra le pareti della discontinuità e con lo spessore del riempimento; esso influisce invece notevolmente nel caso in cui le superfici siano a contatto. d) Apertura e riempimento delle fratture L'apertura è definita come la distanza misurata perpendicolarmente tra le due pareti della discontinuità, e si definisce solo nel caso in cui lo spazio fra le pareti sia vuoto o riempito d'acqua. La presenza dell'apertura influenza la resistenza al taglio della discontinuità e , in maniera ancora più importante, la permeabilità dell'ammasso roccioso. L'eventuale presenza di materiale di riempimento fra le pareti influenza la resistenza al taglio della discontinuità, in misura variabile in funzione di spessore, tipo e caratteristiche mineralogiche e meccaniche del riempimento stesso. 5.2.3 Rilievi geostrutturali di sintesi I dati ottenuti dai rilievi geostrutturali "classici" sono stati integrati da una serie di rilievi "di sintesi". Questi, rispetto alle analisi tradizionali, presentano il vantaggio di essere più rapidi nell' esecuzione e di non richiedere pareti rocciose accessibili di grande estensione, per la loro attuazione essendo sufficiente un qualsiasi affioramento roccioso, anche di limitato sviluppo. Pagina 48 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO In questo tipo di rilievi non viene effettuato lo stendimento della rotella metrica, nè si misurano tutte le discontinuità incontrate: in loro vece si esegue direttamente una sintesi, individuando i principali sistemi di discontinuità e misurando la giacitura del piano medio di ognuno di essi. Allo stesso modo si valutano lunghezza media, spaziatura, apertura, rugosità ed eventuale riempimento delle fratture appartenenti ad una determinata famiglia. 5.2.4 Elaborazione dati Mentre i dati ottenuti dai rilievi "di sintesi" forniscono direttamente i parametri caratteristici dei sistemi principali di discontinuità, quelli dei rilievi geostrutturali classici devono essere trattati con metodi statistici, in modo da ottenere i valori più probabili di orientazione, lunghezza, spaziatura, ecc., delle varie famiglie di fratture. a) Calcolo della giacitura media dei sistemi di discontinuità Onde eseguire il calcolo della giacitura media dei sistemi di fratture, per ogni rilievo si sono riportati sulla proiezione equiarea polare di Schmidt i poli Pagina 49 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO delle discontinuità rilevate. In questo tipo di proiezione un piano passante per il centro della sfera può essere rappresentato in modo univoco mediante la sua intersezione con la semisfera inferiore (piano principale), oppure tramite l'intersezione, con la stessa semisfera, della normale al piano condotta per il centro della sfera stessa (polo). La nube di poli che si ottiene in questo modo fornisce una indicazione della orientazione preferenziale dei sistemi principali; il valore centrale della distribuzione così ottenuta rappresenta l'orientamento medio del sistema di discontinuità. Tutte queste operazioni possono essere eseguite in modo automatico al calcolatore; tuttavia si è preferito compiere manualmente alcune operazioni, per poter esercitare un controllo maggiore sulla scelta dei poli da considerare appartenenti ad una determinata famiglia. Il raggruppamento delle discontinuità in sistemi è stato così eseguito considerando, nei casi dubbi, oltre che i valori di immersione ed inclinazione (gli unici utilizzati dai programmi di calcolo automatici), anche i dati di apertura, rugosità, lunghezza, ecc. . Si è inoltre cercato di non considerare singolarmente i rilievi, ma di confrontarli per evidenziare la presenza di eventuali analogie. Pagina 50 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO b) Calcolo della lunghezza media dei sistemi Come per la giacitura, è necessario calcolare un valore di lunghezza delle discontinuità rappresentativo per ogni sistema principale individuato. Il metodo formalmente più corretto sarebbe quello di utilizzare il valore modale della distribuzione; quest'ultima dovrebbe teoricamente avvicinarsi ad una distribuzione normale nella quale moda e media sono coincidenti. Tuttavia, in presenza di pochi dati e disponendo di valori suddivisi in classi di lunghezza, l'utilizzo del valore centrale della classe modale fornirebbe un valore notevolmente aleatorio; si è dunque proceduto assegnando ad ogni classe il corrispondente valore "centrale" di lunghezza e calcolando poi la media dei valori di ogni sistema. c) Calcolo della spaziatura media dei sistemi La spaziatura è la distanza tra due discontinuità adiacenti, misurata lungo la normale al piano di orientazione medio. Viene ricavata analizzando i valori ottenuti nei rilievi strutturali ed apportandovi una serie di correzioni. Il valore di spaziatura media d ’’ di un sistema lungo lo stendimento si calcola come rapporto fra la lunghezza di quest'ultimo ed il numero di discontinuità appartenenti alla stessa famiglia. Si applica successivamente una correzione, funzione della lunghezza L dei giunti, per dare un maggior peso alle fratture di piccole dimensioni, più difficilmente rilevabili poiché intersecano con Pagina 51 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO frequenza minore lo stendimento. Questa correzione vale (Barisone e Bottino, 1990): d ∏ = d ∏∏ $ (1 + 1 20$L ) Infine è stata apportata un ulteriore correzione, funzione della giacitura delle discontinuità rispetto al versante, per calcolare il valore della spaziatura reale in funzione di quello apparente d' precedentemente calcolato; infatti, se le discontinuità non sono perpendicolari alla direzione dello stendimento, la distanza fra due fratture adiacenti viene sovrastimata. Tale correzione si calcola in base alla formula: d = d ∏ $ sin(I f − I d ) $ sin i d nella quale If e Id rappresentano rispettivamente le immersioni del fronte e della famiglia di discontinuità, mentre id è l' inclinazione media di quest’ ultima. Pagina 52 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 5.3 Misure di velocità delle onde elastiche in situ 5.3.1 Lo strumento Per la misura di questo fondamentale parametro è stata utilizzata un'apparecchiatura per sismica a riflessione denominata Signal Enhancement Seismograph Model LCM-4, della ditta Pasi. Si tratta in pratica di un sismografo monocanale, con possibilità di effettuare la sommatoria dei segnali onde amplificare e meglio distinguere l'onda sismica dal disturbo di fondo. L'apparecchiatura è composta da una unità centrale di misura (Foto 5.1 e Fig. 5.1) e da una mazza alla quale è collegato un sensore, che fornisce all' unità centrale il tempo t0 corrispondente al momento dell'impatto sulla roccia. Essendo il sismografo monocanale è stato utilizzato un unico geofono, di tipo elettromagnetico (a bobina mobile) e dotato di una punta staccabile; il debole segnale che esce dal geofono risulta amplificato dalla centralina che inoltre, sommando più segnali consecutivi, permette di discriminare al meglio tra i disturbi (che, essendo di ampiezza e frequenza casuali, per effetto delle ripetizioni generalmente si annullano vicendevolmente) e il segnale sismico (che, invece, si amplia come somma di onde in concordanza di fase). Pagina 53 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Foto 5.1 - Centralina del sismografo LCM - 4 Fig. 5.1 - Schema del pannello comandi del sismografo LCM-4 Pagina 54 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 5.3.2 Modalità esecutive La misura della velocità delle onde elastiche in situ è stata effettuata realizzando stendimenti paralleli al fronte roccioso e posti, in condizioni normali, alla base del fronte stesso. Sono state effettuate misurazioni operando su basi di lunghezza progressivamente crescente, partendo da un valore di 5 m (minimo necessario per non subire una eccessiva influenza dei possibili errori strumentali) e passando via via - caratteristiche della roccia e lunghezza del fronte permettendo - a 10 m, 15 m, 20 m, 30 m, 40 m, 50 m. Per ogni serie di misure sono quindi stati calcolati la velocità media (Vmed) ed il coefficente (espresso in percentuale) (Vmax - Vmin)/Vmed, riportando in Tabella 5.1 i valori ottenuti per ogni sito indagato. Inoltre sono stati elaborati i valori della velocità delle onde elastiche riferiti ad ogni base misurata, riassunti nei quattro grafici di Fig. 5.2, Fig. 5.3, Fig. 5.4 e Fig. 5.5, dove i litotipi risultano raggruppati nelle seguenti quattro categorie: magmatiche, metamorfiche massive, metamorfiche scistose, sedimentarie. In Fig. 5.6, infine, sono indicati i valori medi di velocità calcolati per ogni litotipo studiato. Pagina 55 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO tabella 5.1 Pagina 56 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 57 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Velocità onde elastiche in situ MAGMATICHE (Graniti,Sieniti,Dioriti,Noriti) 3500 3000 Velocità (m/s) 2500 Diorite Vico Norite Anzola Granito Rosa Baveno Granito Cavadonna Granito Monte Camoscio Sienite Quarona Sienite Gamma Sienite Bore Sienite Vey della Balma 2000 1500 1000 500 0 0 10 20 30 40 50 60 Base (m) Fig. 5.2 - Velocità delle onde elastiche in situ (Rocce Magmatiche) Pagina 58 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Velocità onde elastiche in situ METAMORFICHE MASSIVE (Anfiboliti,Quarziti,Oficalci) 4000 3500 Velocità (m/s) 3000 Oficalce Acceglio (F1) Oficalce Acceglio(F2) Quarzite Frabosa Anfibolite ValcasottoR1 Anfibolite ValcasottoR3 Anfibolite ValcasottoRS1 Anfibolite ValcasottoRS2 Anfibolite Verres 2500 2000 1500 1000 500 0 10 20 30 40 50 60 Base (m) Fig. 5.3 - Velocità delle onde elastiche in situ (Rocce Metamorfiche Massive) Pagina 59 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Velocità onde elastiche in situ METAMORFICHE SCISTOSE (Gneiss,Micascisti,Calcescisti) 3500 Gneiss Cava Moro Gneiss Semi Lastroide Gneiss Brossasco Gneiss Premia Gneiss Beura Gneiss Crevoladossola Gneiss Schieranco Gneiss Verde Argento Gneiss Quincinetto Gneiss Borgone Gneiss Bussoleno Gneiss Ciabot Gneiss Luetta Gneiss Avei Gneiss Spinafoglio Gneiss Ciafalco Gneiss Tube Medie Gneiss Bussoleno1 Gneiss Perrero1 Calcescisto Bussoleno2 Micascisto Exilles1 Micascisto Exilles2 Calcescisto Verres 3000 Velocità (m/s) 2500 2000 1500 1000 500 0 0 10 20 30 40 50 60 Base (m) Fig. 5.4 - Velocità delle onde elastiche in situ (Rocce Metamorfiche Scistose) Pagina 60 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Velocità onde elastiche in situ SEDIMENTARIE (Calcari +/- dolomitici) 3000 Velocità (m/s) 2500 Calcare Val Mongia Calcare Val Mongia (Sc) Calcare Frabosa Calcare Nero Catella Calcare Bussoleno Calcare di Crevola Calcare Santa Lucia 2000 1500 1000 500 0 10 20 30 40 50 60 Base (m) Fig. 5.5 - Velocità delle onde elastiche in situ (Rocce Sedimentarie) Pagina 61 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 3000 Media velocità in situ [m/s] 2500 2000 1500 1000 500 0 E IT E TO TE ZI C AL AR EN SI U Q E IT IS SC TO IS IS C O IT AS R O IC SS E IT E C ES AR E- TE LI AR AN C FI O N M R G EI R IO C AL C AL C AL BO FI N G D C C C AN LITOTIPO Fig. 5.6 - Valore medio della velocità delle onde elastiche in situ per ogni litotipo indagato. 5.4 Campionatura in situ Durante i sopralluoghi eseguiti per le misure di velocità delle onde elastiche e l'effettuazione dei rilievi geostrutturali, sono altresì stati prelevati campioni di roccia sana per effettuare le successive misure in laboratorio (vedi par. 5.5). I campioni prelevati sono stati selezionati in base alla forma (quanto più Pagina 62 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO possibile parallelepipeda), le dimensioni (lato minore non inferiore a 50 mm e rapporti tra i lati indicativamente pari a 50 - 100- 300), l' integrità ( assenza di fratture visibili), l'uniformità (della tessitura, della grana, della distribuzione mineralogica), la rappresentatività. Considerata l'omogeneità mineralogica e tessiturale di alcuni litotipi (le sieniti, gli gneiss appartenenti ad una stessa formazione, ecc.) il numero di campioni prelevati è risultato notevolmente inferiore (una ventina) a quello dei siti studiati (quasi settanta). E' stato infatti ritenuto sufficente il prelievo di uno o due campioni per ogni formazione oggetto di indagine, essendo questi campioni destinati a prove di laboratorio volte a definire le caratteristiche non dell'ammasso roccioso (fratturazione compresa) ma del litotipo (fratturazione esclusa). Pagina 63 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 5.5 Misura della velocità delle onde elastiche in laboratorio 5.5.1 Apparecchiatura e modalità esecutive Le misure in laboratorio sono state condotte su provini di roccia sana, tramite un generatore di ultrasuoni ed un misuratore elettronico dei tempi ("Pundit" della Electronics Ltd., vedi Foto 5.2 ). Foto 5.2 - Apparecchiatura per la misura della velocità delle onde elastiche in laboratorio. Pagina 64 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO L'apparecchiatura, disponibile presso il Dipartimento di Georisorse e Territorio del Politecnico di Torino, consta di un apparecchio generatore d'onde elastiche (ultrasuoni), di due coppie di trasmettitori-ricevitori (cilindriche a facce piane; a punta conica), di un misuratore elettronico dei tempi (il "Pundit") e di un oscilloscopio interposto fra trasmettitore e ricevitore; si poneva quindi in primo luogo la scelta tra due possibili alternative per la lettura dei tempi di percorrenza dell'onda elastica nel materiale. Il primo metodo prevede l' uso accoppiato di un oscilloscopio e del "Pundit"; in questo caso la lettura dei tempi viene effettuata con lo studio attento della forma d'onda riportata sull'oscilloscopio, per individuare l'istante in cui il ricevitore capta l'onda.. Il secondo metodo consiste nell'effettuare la misura con il solo "Pundit ", affidando la lettura al circuito interno della macchina. La scelta del metodo di misura è stata fatta dopo un'attenta analisi dei risultati delle determinazioni effettuate con i diversi metodi indicati (oscilloscopio e terminali cilindrici, oscilloscopio e puntali conici, solo Pundit e terminali cilindrici, solo Pundit e puntali conici) su una serie di campioni di carote di vari materiali. Non sono emerse grosse differenze tra un metodo e l'altro (Barisone e Odetto, 1995); da sottolineare tuttavia la maggiore flessibilità che permette l' uso Pagina 65 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO dell' oscilloscopio, a prezzo però di un dispendio di tempo notevolmente superiore e di una "potenza" disponibile (leggasi possibilità di effettuare letture su campioni piuttosto lunghi di materiali a basso modulo elastico) assai ridotta. Si è quindi ritenuto più idoneo, in questo caso, l' utilizzo del solo "Pundit " con i puntali conici, raggiungendo così lo scopo di poter effettuare un numero elevato di misure, sicuramente accettabili, in tempi ragionevoli ed anche su litotipi dalle caratteristiche meccaniche particolarmente scadenti. Al problema posto dall'utilizzo delle punte coniche, che comporta errori strumentali variabili in funzione della lunghezza del provino e del modulo elastico dello stesso, si è ovviato facendo riferimento alle curve di correzione riportate nell'articolo dianzi citato. Tali curve (Fig. 5.7), costituite da due rami di iperbole, rappresentano rispettivamente il limite superiore e quello inferiore dello sciame di punti sperimentali. Una ulteriore suddivisione può essere fatta per fasce verticali, così da creare 4 zone distinte: la prima a sinistra rappresenta i provini di lunghezza inferiore ai 25 mm, sui quali è praticamente impossibile una misura certa delle velocità, essendo gli errori strumentali altissimi; la seconda, che comprende provini tra i 25 mm ed i 75 mm di lunghezza, fornisce misure ancora affette da un certo errore strumentale; la terza, che include i campioni da 75 mm a 150 mm, è la fascia di maggior utilizzo, con buona precisione di misura e lunghezza dei provini Pagina 66 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO relativamente comune; la quarta ed ultima zona, valida per lunghezze dei provini superiori ai 150 mm, evidenzia come, superata questa soglia, l'errore dovuto ai puntali conici si riduca sino quasi ad annullarsi. Particolare attenzione è stata quindi posta nel non scendere mai con le dimensioni del lato minore dei campioni al disotto dei 50 mm, in quanto sotto tale valore si introducono, come detto, forti errori nelle misure a causa dei limiti del metodo (puntali a punta conica, non essendo i terminali cilindrici a faccia piana utilizzabili su campioni di roccia dalla forma irregolare). Con i limiti dimensionali assunti, invece, le curve di taratura hanno permesso di effettuare le misure con i terminali a punta conica su campioni di dimensioni non eccessive e di forma qualsiasi, senza rendere necessarie operazioni di carotaggio o spianatura delle facce e garantendo una buona precisione nella determinazione delle effettive velocità delle onde elastiche nei provini. Pagina 67 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO fig. 5.7 curva di correlazione Pagina 68 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale 5.5.2 Ing. Gianluca ODETTO Le misure sui campioni prelevati in situ Su ogni campione prelevato sono state effettuate misure della velocità delle onde elastiche secondo tre direzioni ortogonali fra loro; nel caso di rocce scistose o stratificate, una di tali direzioni è stata scelta perpendicolare alla scistosità o stratificazione. La correzione delle velocità è stata effettuata singolarmente per ogni misura, moltiplicandola per il fattore correttivo ricavato dal grafico di Fig. 5.6. In particolare, per ogni campione, sono state eseguite in successione 5 misure di velocità, sempre nello stesso ordine; nelle Foto 5.3, Foto 5.4, Foto 5.5 e Foto 5.6 sono mostrati alcuni dei campioni prima della prova, con segnati in rosso i punti (diametralmente opposti) di appoggio dei puntali conici; un elenco completo dei campioni prelevati, con l'indicazione del litotipo, delle località di prelievo e delle dimensioni è riportato in Tab. 5.2. Pagina 69 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Tab. 5.2 - Provini utilizzati per le misure di velocità delle onde elastiche in laboratorio. N° Litotipo Località a [mm] b [mm] c [mm] 1 Sienite Balma 280 125 183 2 Norite Anzola 162 44 94 3 Granito Baveno 231 75 113 4 Sienite Cave alte 320 64 222 5 Calcare Crevola 294 53 165 6 Beola Montecrestese 231 75 123 7 Diorite Vico 197 65 120 8 Gneiss Brossasco 272 119 195 9 Oficalce Val Maira 352 127 237 10 Calcare Val Mongia 247 119 179 11 Calcare Frabosa 285 119 209 12 Quarzite Frabosa 304 84 235 13 Calcare Frabosa 303 85 178 14 Granito Monte Camoscio 366 56 195 15 Gneiss Val Formazza 238 128 178 16 Beola Villa d'Ossola 277 120 195 17 Granito Montorfano 501 207 357 18 Gneiss Borgone 296 240 265 19 Gneiss Bussoleno 282 76 174 20 Calcare Foresto 197 73 138 Pagina 70 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Foto 5.3 - Campioni prelevati in situ, su cui sono state effettuate le misure di velocità delle onde elastiche (Graniti, Quarziti, Oficalce).. Foto 5.4 - Campioni prelevati in situ, su cui sono state effettuate le misure di velocità delle onde elastiche (Gneiss). Pagina 71 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Foto 5.5 - Campioni prelevati in situ, su cui sono state effettuate le misure di velocità delle onde elastiche (Sieniti, Diorite, Norite). Foto 5.6 - Campioni prelevati in situ, su cui sono state effettuate le misure di velocità delle onde elastiche (Calcari). Pagina 72 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Dopo una pulitura accurata del campione mediante spolveratura delle superfici, la distanza tra i vari punti di misura è stata rilevata con l'ausilio di un calibro appositamente realizzato, che permette di misurare distanze fino a 50 cm garantendo una precisione di 0,1 mm grazie ad un nonio posto lungo la scala graduata. Si è quindi passati alla misurazione della velocità delle onde elastiche, rilevando dapprima i tempi sulla base maggiore, ripetendo poi per 3 volte la misura sulla distanza intermedia ed effettuandola infine sul lato più corto, sempre in prossimità del baricentro dei lati (in modo da ridurre l'effetto bordo, che potrebbe inficiare le misure, soprattutto quando i campioni sono di spessore prossimo al limite inferiore stabilito) Nella Tab. 5.3 sono riportati i dati grezzi e corretti delle misure di velocità Vl per tutti i campioni esaminati, mentre in Fig. 5.8 sono sintetizzate le velocità medie misurate e rapportate ai diversi litotipi. Pagina 73 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO tabella 5.3 Pagina 74 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 75 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 76 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 77 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 6000 5500 5000 Media Vl [m/s] 4500 4000 3500 3000 E IT E TO TE ZI C AL AR EN SI U Q E IT IS SC TO IS IS C O IT AS R O IC SS E IT E C ES AR E- TE LI AR AN C FI O N M R G EI R IO C AL C AL C AL BO FI N G D C C C AN LITOTIPO Fig. 5.8 - Media dei valori di Vl per ogni litotipo 5.6 Peso di volume e carico di rottura a compressione monoassiale Per il calcolo del modulo elastico dinamico (vedi par. 5.7), e per una prima valutazione oggettiva delle caratteristiche meccaniche delle zone interessate, è stata condotta in laboratorio una serie di determinazioni del peso di volume γ e del carico di rottura a compressione monoassiale Co dei litotipi oggetto di studio. Pagina 78 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Per la determinazione del peso di volume sono stati utilizzati campioni di piccole dimensioni raccolti direttamente sui fronti, operando con le consuete metodologie. Per quanto concerne invece il carico di rottura a compressione monoassiale, per l' esecuzione di questa prova sono stati utilizzati provini cilindrici ricavati da campioni prelevati dagli affioramenti rocciosi. Le modalità di prova sono state quelle ormai consuete, con la roccia a diretto contatto con le piastre, minimizzando l'effetto della non uniformità di carico in prossimità dei contatti con l' impiego di campioni aventi rapporto lunghezza/diametro poco superiore a due. I risultati ottenuti sono sintetizzati nella Tab. 5.4, con i valori medi arrotondati alla prima decimale per i pesi di volume, a multipli di 5 per i carichi di rottura; in tabella sono altresì riportati i valori del modulo di Poisson della roccia sana, per lo più desunti dalla letteratura. Pagina 79 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Tab. 5.4 - Tabella riassuntiva delle caratteristiche meccaniche e dei moduli elastici dinamici. Pagina 80 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 5.7 Modulo elastico dinamico Per il calcolo del modulo elastico dinamico dalla velocità delle onde elastiche nella roccia è stata utilizzata la formula: Ed = V2 % ✏ % (1+✚ )%(1−2%✚ ) (1−✚ ) dove: Ed = modulo elastico dinamico; V = velocità onde elastiche; γ = peso di volume roccia; ν = coefficiente di Poisson; Il calcolo del modulo elastico dinamico è stato condotto sia per l'ammasso roccioso (in situ) che per la roccia sana (in laboratorio); il peso di volume è stato ricavato da misure in laboratorio (vedi paragrafo relativo), mentre per ν sono stati utilizzati valori desunti dalla letteratura, variabili tra 0,3 per le rocce con caratteristiche migliori (carico di rottura a compressione semplice) e 0,4 per quelle più scadenti. Pagina 81 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Dal modulo elastico dinamico si è poi risaliti a quello statico utilizzando la relazione : E din = 8, 3 % E stat + 0, 97 Questa relazione, utilizzata qui in "senso" inverso, ha permesso di risalire a valori attendibili del modulo elastico statico in maniera assai semplice. I risultati ottenuti sono riportati in Tab. 5.5 e sintetizzati nei diagrammi di Fig. 5.9, Fig. 5.10, Fig. 5.11 e Fig. 5.12, relativi rispettivamente alla distribuzione, in funzione del litotipo, del modulo elastico dinamico (E’d) relativo all'ammasso roccioso, del modulo elastico dinamico (Ed) relativo alla roccia sana, del modulo elastico statico (E’s) relativo all’ ammasso roccioso e del modulo elastico statico (Es) relativo alla roccia sana. Pagina 82 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO tabella 5.5 Pagina 83 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO . Pagina 84 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 140 Valore medio E'd (situ) [GPa] 120 100 80 60 40 20 0 E IT EN SI TE ZI AR U Q E C AL C FI O BO E IT R O N TO IS C AS IC M O IT AN R G SS EI N G E IT R TO IO D IS C ES C AL C E AR C IS AL SC C EAR C AL C TE LI FI AN LITOTIPO Fig. 5.9 - Distribuzione del modulo elastico dinamico dell'ammasso roccioso in funzione del litotipo Valore medio Ed (laboratorio)[GPa] 600 500 400 300 200 100 E IT EN SI TE ZI AR U Q E C AL C FI O E IT R O N TO IS C AS IC M O IT AN R G SS EI N G E IT R TO IO D IS C ES C AL C E AR C IS AL SC C EAR C AL C TE LI BO FI AN LITOTIPO Fig. 5.10 - Distribuzione del modulo elastico dinamico della roccia sana in funzione del litotipo. Pagina 85 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 16 14 Valore medio E's (situ)[GPa] 12 10 8 6 4 2 0 IC IT AN O SS EI E IT EN SI TE ZI AR U Q E C AL C FI O E IT R O N TO IS C AS M R G N G BO E IT R TO IO D IS C ES C AL C E AR C IS AL SC C EAR C AL C TE LI FI AN LITOTIPO Fig. 5.11 - Distribuzione del modulo elastico statico dell'ammasso roccioso in funzione del litotipo Valore medio Es (laboratorio)[GPa] 80 70 60 50 40 30 20 10 E IT EN SI TE ZI AR U E C AL Q O C FI E IT R O N TO IS C AS IC M O IT AN R G SS EI N G E IT R TO IO D IS C ES C AL C E AR C AL SC C EAR C AL C TE LI BO FI AN LITOTIPO Fig. 5.12 - Distribuzione del modulo elastico statico della roccia sana in funzione del litotipo Pagina 86 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale 6. ANALISI DEI DATI Ing. Gianluca ODETTO ED ELABORAZIONI STATISTICHE 6.1 Rilievi geostrutturali Nel corso dello studio sono stati presi in considerazione quasi 70 siti, per ciascuno dei quali sono stati eseguiti e/o elaborati uno o più rilievi geostrutturali. Nel complesso, la distribuzione dei siti tra gli 11 litotipi indagati (Cap. 4) ha privilegiato nettamente gli gneiss (35 pareti, più o meno uniformemente ripartite tra il Pinerolese, la Val d'Ossola ed il resto del Piemonte) in ragione della notevole estensione dei loro affioramenti, mentre le restanti località risultano abbastanza equamente suddivise tra metamorfiti scistose (6 tra micascisti e calcescisti), metamorfiti massive (12 tra anfiboliti, oficalci e quarziti), rocce magmatiche (9 tra graniti, sieniti, dioriti e noriti) e rocce sedimentarie (7 i calcari, più o meno dolomitici), come risulta evidente dal diagramma di Fig. 6.1. Dall'elaborazione statistica di ogni singolo rilievo geostrutturale si sono ricavati i reticoli di Schmidt, riportati in Allegato B, nei quali appaiono chiaramente evidenziate immersione e inclinazione dei principali sistemi di fratture. Pagina 87 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale sedimentarie 7 Ing. Gianluca ODETTO magmatiche 9 metamorfiche m 12 metamorfiche sc 41 Fig. 6.1 - Distribuzione dei rilievi per gruppi di litotipi A livello di estrema sintesi, si può notare come gli gneiss non si discostino affatto, a livello di numero di sistemi di fratture, dalle altre metamorfiti scistose: circa nel 60% dei casi la roccia risulta infatti interessata da 4 o 5 sistemi, mentre le pareti restanti si suddividono più o meno equamente fra 3 (rispettivamente16% per gli gneiss e 33% per le altre metamorfiche) e 6 (19% - 25%) sistemi. Può apparire strana, considerato il modulo elastico nettamente più elevato della roccia sana, la distribuzione assai simile riscontrata per le rocce magmatiche; va però anticipato come il numero di sistemi di fratture si sia rivelato in realtà un Pagina 88 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO parametro poco significativo, ben maggiore importanza avendo la spaziatura e la lunghezza delle fratture stesse. Nel complesso nettamente meno interessate da sistemi di discontinuità le metamorfiti massicce (grazie anche al contributo delle Oficalci, con gran parte delle fratture ricementate da calcite ed a tutti gli effetti non più valutabili come discontinuità), peggiori di tutte le sedimentarie (rappresentate qui esclusivamente da calcari più o meno dolomitici, ben noti per il loro comportamento "fragile" sotto carico). In Tab. 6.1 è sintetizzata, litotipo per litotipo, la distribuzione percentuale (relativamente ai siti studiati) del numero di sistemi di discontinuità riscontrati. Essendosi comunque il dato in oggetto dimostrato, come già accennato, poco rappresentativo dello scadimento di "qualità" dell'ammasso roccioso a seguito della fratturazione, si è ritenuto opportuno ricercare un parametro maggiormente in grado di "collegare" fratturazione e comportamento geomeccanico della massa rocciosa. Pagina 89 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Tab. 6.1 - Distribuzione percentuale dei sistemi di fratture a seconda del litotipo. Numero dei sistemi di discontinuità Litotipo 1-3 4-5 >5 Gneiss (Luserna) 18% 70% 12% Gneiss (Ossola) 16% 66% 16% Gneiss (altri) 33% 42% 25% Gneiss (totale) 23% 60% 17% Metamorfiti scist. (gneiss esclusi) 20% 60% 20% Metamorfiti massive 42% 58% 0% Rocce magmatiche 12% 75% 12% Rocce sedimentarie 0% 86% 14% A seguito di una serie di valutazioni e di alcuni tentativi preliminari è stato scelto, come parametro indicativo dello stato di fratturazione dell'ammasso roccioso, il fattore Jv, in un certo senso in grado di riassumere un insieme di importanti caratteristiche dei sistemi di fratture (numero, spaziatura, persistenza). Il valore di Jv corrisponde al numero di discontinuità presenti in un metro cubo di roccia, e può essere calcolato come somma dell'inverso della spaziatura dei vari sistemi presenti, secondo la semplice equazione: Pagina 90 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Jv = 1 d1 + 1 d2 + 1 d3 + .... + Ing. Gianluca ODETTO 1 dn Per analizzare in maniera efficace la distribuzione statistica di Jv è stato utilizzato il programma SPSS, già precedentemente citato; come si può vedere dagli istogrammi riportati in Fig. 6.2, Fig. 6.3 e Fig. 6.4, i valori risultano essere tutti compresi nell'intervallo 0 -100, valore quest'ultimo peraltro mai raggiunto. Considerando mediamente la presenza nell'ammasso roccioso di quattro sistemi di discontinuità ed ipotizzando una spaziatura identica per tutti, ad un Jv pari a 100 corrisponderebbe infatti una spaziatura media dell'ordine dei 4 cm, il che, come evidente, implicherebbe una fratturazione oltremodo accentuata (quale risulta difficilmente riscontrabile negli ammassi rocciosi, in quanto a gradi così elevati di fratturazione corrisponde solitamente il collasso della parete rocciosa stessa). Nel dettaglio, i dati rilevati hanno fornito valori minimi di Jv pari a 0,4 nell'Oficalce, che presentava in effetti un fronte praticamente privo di discontinuità, mentre il valore massimo è stato riscontrato nei Calcari di Foresto, con un Jv pari a 71,3 (che in questo caso, essendo stati rilevati cinque sistemi di discontinuità e ipotizzando una spaziatura uniforme fra i vari sistemi, comporterebbe un valore decimetrico della spaziatura stessa). Pagina 91 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 40 30 SIENITE QUARZITE OFICALCE NORITE MICASCISTO GRANITO GNEISS DIORITE CALCESCISTO CALCARE 0 CALCARE-SC 10 ANFIBOLITE Media valori Jv 20 LITOTIPO Fig. 6.2 - Distribuzione di Jv a seconda del litotipo 14 12 10 8 Media valori Jv 6 4 2 A B C D Classi di età Fig. 6.3 - Distribuzione di Jv secondo le classi di età del fronte Pagina 92 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 40 30 10 70 60 50 45 40 35 30 25 20 15 12 10 8 7 6 5 4 0 1 Media valori Jv 20 H fronte [m] Fig. 6.4 - Distribuzione di Jv secondo l’ altezza del fronte L'esame della distribuzione statistica dei valori di Jv per i versanti studiati ha suggerito di far corrispondere ai valori di questo parametro quattro classi di "qualità" della massa rocciosa, così definite: Jv < 1 Roccia sana 1 < Jv < 5 Roccia debolmente fratturata 5 < Jv < 10 Roccia fratturata Jv > 10 Roccia fortemente fratturata Pagina 93 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Delle pareti indagate, l'11% circa risulta intagliato in ammassi rocciosi "sani" (Jv<1), il 17% in roccia debolmente fratturata (1<Jv<5), il 34 % in roccia fratturata (5<Jv<10) ed il rimanente 38% in rocce fortemente fratturate (Jv>10); questa ripartizione è evidenziata nel diagramma di Fig. 6.5. 1<Jv<5 18 5<Jv<10 24 Jv<1 5 Jv>10 22 Fig. 6.5 - Distribuzione percentuale del parametro Jv nelle varie classi di "qualità". Pagina 94 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 6.2 - Altezza ed età dei fronti studiati Come già ricordato nel Cap. 4, i versanti studiati sono stati suddivisi in quattro classi di età (rispettivamente A:<1 anno, B:1-10 anni, C:10-50 anni, D:>50 anni); la ripartizione dei siti indagati tra le varie classi mostra una netta prevalenza delle età "estreme" (40% classe D, 31% classe A), mentre meno numerosi sono i fronti di età intermedia (17% classe C, 12% classe B), come risulta dal diagramma di Fig. 6.6, dove è stato riportato il numero di rilievi per classi di età. Oltre all'età è stata valutata l'altezza media del fronte, in modo da permettere una stima del carico litostatico alla base della parete lungo la quale sono state effettuate le misure. Come risulta dalla Tab. 4.1, i fronti studiati presentano altezze fortemente variabili, da una decina di metri sino a circa 100 metri; la distribuzione dei fronti rilevati in funzione dell’ altezza è riportata nel grafico di Fig. 6.7. Pagina 95 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO A 20 D 27 B 9 C 13 Fig. 6.6 - Suddivisione dei fronti per classe di età 10 9 9 9 8 7 7 6 5 5 5 4 4 4 4 3 3 3 3 3 3 2 2 1 1 1 1 70 60 50 45 40 35 30 25 20 15 12 10 8 7 6 5 4 0 1 N° rilievi 2 H fronte [m] Fig. 6.7 - Distribuzione dei fronti rilevati secondo l’ altezza Pagina 96 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 6.3 Velocità delle onde elastiche in laboratorio e in situ Nel corso dello studio è stata acquisita una considerevole quantità di dati relativi ai parametri in oggetto (vedi Cap. 5 e Fig. 6.9) allo scopo, come già ampiamente chiarito in premessa, di verificare grado e qualità delle possibili correlazioni tra velocità delle onde elastiche in laboratorio (Vl) e in situ (Vs) da un lato, e grado di fratturazione degli ammassi rocciosi (Jv) dall'altro. Appariva peraltro sin dall'inizio chiaro come, per un utile confronto, fosse necessario disporre di un unico parametro, meglio se adimensionale, in grado di risentire in maniera assai marcata dell'influenza delle fratture; una analisi preliminare ha permesso di individuare questo parametro nel rapporto Vl /Vs, che permette in un certo senso di prescindere dall'influenza che le caratteristiche meccaniche della roccia hanno inevitabilmente sulle velocità misurate in situ, esaltando così al massimo il fattore "fratturazione". Il parametro Vl / Vs risulta variabile teoricamente tra uno (caso limite di ammasso roccioso esente da fratture, e quindi con Vl =Vs) e circa 30 (presumibile valore limite nel caso di roccia dalle eccezionali caratteristiche meccaniche - Vl prossima a 10.000 m/s - ed ammasso roccioso in cui le fratture, aperte e prive di Pagina 97 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO riempimento, risultino addirittura preponderanti rispetto alla roccia - Vs prossima a 340 m/s, cioè alla velocità delle onde elastiche nell'aria). Nella pratica, come prevedibile, la variabilità dell'indice Vl /Vs è risultata assai inferiore; la Fig. 6.10, che riporta la distribuzione di una sessantina di valori sperimentali, ben evidenzia come - malgrado l'ampia variabilità di litologia, età e stato tensionale degli ammassi rocciosi indagati - i dati risultino compresi in un intervallo piuttosto ristretto, spaziando tra 1,88 e 8,39. Il primo valore corrisponde ad un fronte in Oficalce poco o punto fratturato, il secondo ad uno in Sienite estremamente fratturata e in classe di età C, cioè tra i 10 ed i 50 anni (per la quale, quindi, si può ipotizzare che sia stato raggiunto il completo scarico tensionale, con conseguente apertura delle fratture). Il dettaglio delle misure effettuate e dei valori di Vl/Vs per i diversi siti indagati è riportato in Tab. 6.2. Pagina 98 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 6000 5500 5000 4500 3500 3000 2500 2000 1500 1000 Vl 500 0 SIENITE QUARZITE OFICALCE NORITE MICASCISTO GRANITO GNEISS DIORITE CALCESCISTO CALCARE CALCARE-SCIS Vs ANFIBOLITE Media delle velocità [m/s] 4000 LITOTIPO Fig. 6.9 - Valori medi delle velocità delle onde elastiche in situ (Vs) ed in laboratorio (Vl), rapportate ai diversi litotipi 6 Media del rapproto VL / VS 5 4 3 2 1 0 E IT EN SI TE ZI AR U E Q C AL C FI O E IT R O TO N IS C AS IC M O IT AN R G SS EI N G E IT R TO IO IS D C ES C AL C E AR IS C SC AL C EAR C AL TE C LI BO FI AN LITOTIPO Fig. 6.10 - Valori medi del rapporto Vl/Vs rapportati ai diversi litotipi Pagina 99 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Tab. 6.2 Pagina 100 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Pagina 101 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale 7. Ing. Gianluca ODETTO ELABORAZIONE STATISTICA DEI DATI E RISULTATI Il notevole lavoro di raccolta dati compiuto sia per via bibliografica sia, soprattutto, per mezzo di misurazioni dirette in situ ed in laboratorio condotte nel corso di quasi due anni, è stato finalizzato tramite un'approfondita analisi statistica delle diverse popolazioni di parametri, effettuata con il supporto di uno dei software di analisi statistica più completi e diffusi (SPSS ver. 7.5). Con qesto programma sono state analizzate le possibili correlazioni tra i seguenti parametri: litotipo, età del fronte, altezza del fronte, Vl, Vs, Vl /Vs, E'd ed E's (rispettivamente modulo elastico dinamico e statico in situ), Ed /E'd, Es /E's, Nf (numero dei sistemi di fratture interessanti la massa rocciosa), Jv. Tralasciando alcuni interessanti e, per certi aspetti, inaspettati risultati, la cui conferma tuttavia richiederà, a parere di chi scrive, ulteriori indagini sul terreno e l'acquisizione di una più ampia base dati, già a questo livello di studio sono apparse di particolare interesse ed adeguatamente supportate da una sufficiente popolazione di dati le correlazioni tra alcuni parametri fondamentali Pagina 102 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO quali il litotipo, la sua "storia" tettonica, l'altezza, l'età del fronte, Vl /Vs, E'd da un lato, ed il grado di fratturazione dell'ammasso roccioso (Jv) dall'altro. Prima di passare ad una breve descrizione dei risultati ottenuti, non sarà inutile sottolineare come il litotipo e la sua storia tettonica (strettamente collegata alla collocazione geografica dei siti studiati) risultino, specie il primo, ovviamente fondamentali per una corretta analisi dei dati; nella maggior parte dei casi, pertanto, le variabili ed il loro grado di correlazione sono stati studiati analizzando contemporaneamente tre parametri (diagrammi a tre variabili), riuscendo in tal modo a meglio indagare i reali rapporti di interdipendenza, distinguendo tra correlazioni "vere" e correlazioni apparenti, semplicemente frutto di casualità. 7.1 Variabilità del grado di fratturazione della massa rocciosa in funzione del litotipo E' stata analizzata la variabilità del grado di fratturazione Jv per i diversi litotipi di ciascuna area geografica; si tratta di una specie di "analisi di taratura" dei dati acquisiti, volta a verificare la maggiore o minore risposta alle sollecitazioni tettoniche subite da parte di litotipi con differenti caratteristiche meccaniche (sostanzialmente, differenti Ed). I risultati (Fig. 7.1) sono stati in linea Pagina 103 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO con le aspettative, confermando, a parità di storia tettonica, il maggior grado di fratturazione dei litotipi a comportamento più "rigido" (maggiore Ed). LITOTIPO 50 ANFIBOLITE 45 CALCARE-SC 40 CALCARE 35 CALCESCISTO DIORITE 30 GNEISS 25 GRANITO 20 MICASCISTO JV medio 15 NORITE 10 OFICALCE 5 QUARZITE 0 SIENITE ta os 'A ld V a sa u l-S Va ira a l-M na Va er a us asc n l-L Va rma e l-G ola V a ss 'O l-d V a r vo e l-C ese l Va ga re on M i a gh La alte B aor D ZONA Fig. 7.1 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) per i diversi litotipi di ciascuna zona geografica Pagina 104 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 7.2 Variabilità del grado di fratturazione della massa rocciosa in funzione della collocazione geografica Si è indagata la variabilità del grado di fratturazione Jv di ogni singolo litotipo in funzione della diversa collocazione geografica degli affioramenti. Si tratta di per sé di una correlazione non particolarmente significativa, che ha tuttavia permesso di verificare la variabilità (all'interno di uno stesso litotipo) del grado di fratturazione a seconda delle vicissitudini tettoniche subite; l'andamento combinato dei tre parametri è rappresentato in Fig. 7.2. 50 ZONA 45 40 Dora-Baltea 35 Laghi 30 Monregalese Val-Cervo 25 Val-d'Ossola 20 Val-Germanasca Val-Luserna SIENITE QUARZITE OFICALCE NORITE MICASCISTO GRANITO GNEISS Val d' Aosta DIORITE Val-Susa 0 CALCESCISTO 5 CALCARE Val-Maira CALCARE-SC 10 ANFIBOLITE JV medio 15 LITOTIPO Fig. 7.2 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) di ciascun litotipo secondo la zona geografica Pagina 105 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 7.3 Correlazione tra grado di fratturazione della massa rocciosa ed altezza del fronte E' un parametro che dovrebbe indubbiamente rivestire un ruolo non trascurabile nell'evoluzione dei sistemi di fratture di un versante, essendo direttamente collegabile all'andamento dello stato tensionale al piede della parete (ove, solitamente, si effettuano i rilievi geostrutturali). Si tratta tuttavia di una relazione forse più complessa del prevedibile, questo parametro agendo al contempo in due direzioni opposte: da un lato, infatti, un elevato carico litostatico comporta un marcato gradiente della componente tensionale orizzontale (conseguendone un più rapido e maggiore sviluppo dei cosiddetti "tension cracks"), dall'altro la componente verticale del carico può, in certi periodi della storia evolutiva del versante, portare al "serraggio" dei sistemi di fratture poco inclinati e non subparalleli al fronte, rendendone più difficile l'individuazione durante i rilievi. A conferma di ciò, la distribuzione dei dati ha mostrato (Fig. 7.3) una correlazione tendenzialmente non lineare tra i due parametri considerati, con i valori più alti di Jv concentrati in linea di massima in corrispondenza di altezze delle pareti comprese tra 10 m e 50 m; la complessità del problema non consente tuttavia, a nostro parere, di esprimere un giudizio definitivo su questo aspetto, che Pagina 106 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO richiederebbe eventualmente di essere studiato a parte in un più ampio contesto geografico e litologico, spaziando su di una più ampia mole di dati. 50 LITOTIPO SIENITE 40 QUARZITE OFICALCE NORITE 30 MICASCISTO GRANITO 20 GNEISS DIORITE CALCESCISTO 10 CALCARE Jv CALCARE-SCIS 0 ANFIBOLITE 0 10 20 30 40 50 60 70 80 H fronte [m] Fig. 7.3 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) a seconda dell’altezza del fronte Pagina 107 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 7.4 Correlazione tra grado di fratturazione della massa rocciosa ed età del fronte Anche se appare indubbio che l'evoluzione nel tempo di un versante roccioso porti, per l'effetto combinato di molteplici fattori (acque percolanti, gelo, sbalzi termici, stato tensionale, ecc...), ad un progressivo scadimento delle caratteristiche meccaniche proprie dell'ammasso e ad un aumento del grado di fratturazione, è stato in un certo senso sorprendente constatare la buona correlazione esistente tra Jv, Vl /Vs ed età della parete rocciosa indagata. Questo malgrado la difficoltà nel reperire pareti rocciose databili con un buon grado di sicurezza, e la ovviamente non omogenea distribuzione delle pareti studiate nelle diverse classi temporali (vedi Cap. 6). Nei diagrammi di Fig. 7.4 e Fig. 7.5 è riportata la distribuzione dei punti sperimentali, con i diversi litotipi raggruppati secondo quattro categorie corrispondenti ai termini magmatici, metamorfici massivi, metamorfici scistosi e sedimentari. Facendo parziale astrazione dai dati corrispondenti alla classe di età D, meno numerosi e presumibilmente dispersi su di un intervallo temporale troppo ampio (da 50 anni a molte migliaia di anni), per i litotipi ad elevato modulo elastico (Ed>400 MPa ) ed a comportamento essenzialmente "fragile", vale a dire Pagina 108 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO rocce magmatiche, sedimentarie (i calcari) e metamorfiche massicce, le figure citate evidenziano un comportamento simile, con Jv crescente esponenzialmente al crescere dell'età (linee di correlazione assimilabili ad un ramo di iperbole). Nettamente diverso l'andamento nel tempo della fratturazione ove si faccia riferimento alle rocce metamorfiche scistose, contraddistinte in genere da valori del modulo elastico nettamente inferiori (Ed <400MPa) e da un comportamento di tipo "plastico": in questo caso si assiste addirittura ad una inversione di tendenza, con Jv che decresce al crescere dell'età secondo una legge apparentemente lineare (curva di correlazione assimilabile ad una retta). Questi primi risultati, pur se necessariamente ancora indicativi a causa del numero relativamente ridotto di dati, fanno intravvedere la possibilità di interessanti correlazioni tra grado di fratturazione ed età del fronte, con importanti risvolti di carattere applicativo, e meritano certamente un ulteriore approfondimento. Pagina 109 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 30 20 10 Rocce: Jv magmatiche sedimentarie 0 A B C D Età Fig. 7.4 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) a seconda dell’età del fronte (rocce magmatiche e sedimentarie) 14 12 10 8 6 4 Rocce: Jv 2 metamorf_m 0 metamorf_sc A B C D Età Fig. 7.5 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) a seconda dell’età del fronte (rocce metamorfiche massive e scistose) Pagina 110 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 7.5 Correlazione tra grado di fratturazione della massa rocciosa e rapporto tra velocità delle onde elastiche in laboratorio ed in situ Si tratta indubbiamente della correlazione più interessante e significativa (assieme a quella tra Jv ed Ed) emersa dallo studio. Le elaborazioni statistiche condotte confrontando Jv con Vl /Vs hanno infatti dimostrato come tra questi due parametri esista una correlazione biunivoca, definibile con l'ausilio di interpolazioni di tipo non lineare, che l'adimensionalità di Vl/Vs permette di rendere praticamente indipendente dal litotipo. Il grande interesse di una siffatta correlazione discende dal fatto che essa permette sia una valutazione del grado di fratturazione di una massa rocciosa in un certo senso più "oggettiva", e sicuramente in tempi più ridotti, rispetto ai classici rilievi geostrutturali, sia di tener conto, in certa misura, anche della terza dimensione (internamente al versante), che i suddetti rilievi non possono ovviamente indagare. Tutto questo senza sminuire, sia chiaro, l'importanza dei rilievi geostrutturali classici, i quali rimangono gli unici a fornire una adeguata ricostruzione "spaziale" dei sistemi di fratture, dato questo indispensabile, ad esempio, per una corretta valutazione dei cinematismi di frana possibili. Pagina 111 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO La distribuzione dei punti sperimentali è riportata in Fig. 7.6.a: appare evidente la possibilità di ottenere, previa esclusione di alcuni punti anomali (fronti in calcari e sieniti assai antichi e presumibilmente scavati con uso di esplosivo) una buona approssimazione con un ramo di parabola (Fig. 7.6.b), avente per asse la retta Vl/Vs=1, vertice nel punto di coordinate 1.0 ed equazione: Jv = a $ Vl Vs 2 −1 dove il parametro "a" assume un valore tendenzialmente pari a 1 50 LITOTIPO 40 30 20 10 J v 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Vl / Vs Fig. 7.6a - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) al variare del rapporto Vl /Vs Pagina 112 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale 50 Ing. Gianluca ODETTO Variabilità di Jv con Vl/Vs 50 Jv 40 a .( x 0) 2 30 1 20 10 0 0 0 0 1 2 3 4 5 x 6 7 8 9 10 10 Vl/Vs Fig. 7.6b - Curva di correlazione tra il grado di fratturazione (Jv) ed il rapporto Vl/Vs Pagina 113 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 7.6 Correlazione tra grado di fratturazione e modulo elastico dinamico in situ Come in un certo senso prevedibile, considerata la stretta derivazione del modulo elastico dinamico in situ E'd con la velocità delle onde elastiche Vs (Cap.5), quasi altrettanto buona della precedente si è rivelata la correlazione tra Jv ed E'd, anche se in questo caso un fattore non trascurabile di dispersione è rappresentato dalla non "adimensionalità" del parametro, ovviamente influenzato dal fattore "litotipo". Con la parziale eccezione, infatti, di alcune rocce a comportamento particolarmente "fragile" (i calcari) i punti sperimentali ottenuti risultano ben approssimabili, come evidenziato nei diagrammi di Fig. 7.7a e Fig. 7.7b, con un ramo di iperbole avente per asintoti verticale e orizzontale rispettivamente le rette di equazione: E ∏ d = −5 e Jv = 0 ed equazione generale: ∏ Jv = E d +∏ 2000 15 $ E d − 75 Pagina 114 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 50 LITOTIPO SIENITE QUARZITE 40 OFICALCE NORITE 30 MICASCISTO GRANITO GNEISS 20 DIORITE CALCESCISTO 10 CALCARE Jv CALCARE-SC 0 ANFIBOLITE 0 20 40 60 80 100 120 140 160 E'd [GPa] Fig. 7.7a - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) al variare del modulo elastico dinamico in situ (E'd) 50 Variabilità di Jv con E'd 50 Jv 40 a .x c .x b 30 d 20 10 0 0 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 x 90 100 110 120 130 140 150 160 160 E'd[GPa] Fig. 7.7b - Correlazione fra il grado di fratturazione (Jv) e il modulo elastico dinamico in situ (E'd) Pagina 115 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 7.7 Correlazione tra grado di fratturazione e modulo elastico dinamico della roccia sana Rispetto ai casi precedenti, la correlazione in oggetto dovrebbe in teoria risultare assai più aleatoria, considerato che, a parità di modulo elastico, il grado di fratturazione dipenderà ovviamente dalle vicissitudini tettoniche subite dalla massa rocciosa. Sorprendentemente, si è invece ottenuto un discreto grado di correlazione (Fig. 7.8a e Fig. 7.8b) utilizzando un ramo di iperbole con asintoti verticale ed orizzontale rispettivamente di equazione Ed = 50 e Jv = 0, ed equazione generale: Jv = Ed + 10000 4 $ Ed − 70 Anche in questo caso, pochi punti anomali sono in massima parte imputabili ad affioramenti di calcari con pareti assai "vecchie" ed estremamente fratturate, e a fronti intagliati in sienite con probabile ricorso all'uso di esplosivo, e conseguente anomala fratturazione "indotta". Pagina 116 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 50 LITOTIPO SIENITE 40 QUARZITE OFICALCE NORITE 30 MICASCISTO GRANITO 20 GNEISS DIORITE CALCESCISTO 10 CALCARE Jv CALCARE-SC 0 ANFIBOLITE 0 100 200 300 400 500 600 700 Ed[GPa] Fig. 7.8a - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) a seconda del modulo elastico dinamico della roccia sana (Ed). 50 Variabilità di Jv con Ed 50 Jv 40 a .x c .x b 30 d 20 10 0 0 0 0 87.5 175 262.5 350 x 437.5 525 612.5 700 700 Ed[GPa] Fig. 7.8b - Correlazione fra il grado di fratturazione (Jv) e il modulo elastico dinamico della roccia sana (Ed). Pagina 117 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale 8 Ing. Gianluca ODETTO CONCLUSIONI Lo studio svolto nella presente tesi ha permesso di individuare interessanti correlazioni tra il grado di fratturazione desumibile dai classici rilievi geostrutturali ed un parametro di facile ed oggettiva determinazione quale il rapporto tra velocità delle onde elastiche in laboratorio (Vl) e in situ (Vs), vale a dire tra velocità nella roccia sana (esente da fratture visibili) e velocità in un ammasso roccioso fratturato. Una correlazione di questo tipo risulta di particolare interesse applicativo per più ordini di ragioni. In primo luogo, i classici rilievi geostrutturali, insostituibili per acquisire un quadro puntuale di spaziatura, persistenza e distribuzione spaziale dei sistemi di fratture (indispensabile per una compiuta valutazione dei possibili cinematismi di frana), necessitano comunque, per una corretta esecuzione, di personale specializzato e dotato di una certa esperienza, risultando di effettuazione piuttosto laboriosa ed affetti da un inevitabile grado di soggettività; essi, inoltre, non sono ovviamente in grado di fornire informazioni oggettive sul grado di fratturazione all'interno della massa rocciosa. Pagina 118 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Le misure di velocità delle onde elastiche in situ, di contro, pur richiedendo una strumentazione certo più impegnativa di quella necessaria per i rilievi geostrutturali (ma non eccessivamente costosa, e di uso abbastanza semplice), forniscono in un certo senso dati più svincolati dall'interpretazione dell'operatore, presentano tempi di esecuzione abbastanza ridotti e, soprattutto, risentono in certa misura della fratturazione all'interno della massa rocciosa (per profondità limitate in genere a pochi metri, ma praticamente corrispondenti alla fascia di maggiore interesse per lo studio della stabilità di pareti rocciose fratturate). Il ricorso ad un parametro quale Vl /Vs, inoltre, ha permesso di ottenere una correlazione con Jv in un certo senso svincolata dalle caratteristiche meccaniche dei diversi litotipi, riducendo ad una sola curva (con ovvi vantaggi pratici) lo sciame che si sarebbe ottenuto facendo riferimento al solo valore di Vs, ovviamente diverso, a parità di grado di fratturazione, da litotipo a litotipo. In secondo luogo, l'uso di queste curve di correlazione permette di estendere rapidamente in zone tettonicamente omogenee, e quindi con isoorientamento dei principali sistemi di fratture, le risultanze puntuali dei rilievi strutturali, riducendone il numero minimo necessario e consentendo di verificare l'omogeneità del grado di fratturazione nelle zone di competenza di ciascun rilievo Pagina 119 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO (zone che potranno quindi essere ampliate o ridotte sulla base di valutazioni oggettive). In terzo luogo, la velocità delle onde elastiche in situ risente particolarmente delle fratture all'interno della massa rocciosa, parametro questo ovviamente non direttamente valutabile con i rilievi strutturali ma di enorme importanza, anche se spesso sottovalutata, per il ruolo che può rivestire nell'indurre spinte idrostatiche instabilizzanti. Di non secondario interesse, inoltre, risulta la possibilità di efficaci correlazioni tra Jv ed i moduli elastici ricavati dalle misure di velocità delle onde elastiche in situ (E'd) ed in laboratorio (Ed). Per quanto riguarda il primo, se da un lato il rapporto Vl /Vs si fa preferire per la già citata "adimensionalità" rispetto al fattore litotipo, dall'altro E'd appare fors'anche più interessante in prospettiva futura, quando cioè, disponendo di un adeguato numero di dati sperimentali, sarà possibile elaborare curve di correlazione relative a ciascun singolo litotipo. In tal caso questo parametro sarà in grado di fornire non solo valide indicazioni sul grado di fratturazione della massa rocciosa, ma anche un indice delle caratteristiche geomeccaniche della massa stessa. Riguardo al parametro Ed, esso è stato in questa ricerca utilizzato essenzialmente come parametro di raffronto e taratura, ricavando da esso il Pagina 120 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO modulo elastico statico Es onde verificare, per raffronto con i valori di Es ottenuti attrverso le classiche prove di laboratorio, il grado di attendibilità dei valori di Vl misurati e delle elaborazioni effettuate. Tuttavia, se ulteriori dati e sperimentazioni confermeranno la bontà della correlazione emersa e permetteranno di affinare ulteriormente il calcolo di Ed a partire dalla velocità delle onde elastiche misurate in laboratorio, si aprirà un campo di grande interesse, che permetterà di sostituire, almeno a livello di prima valutazione, le costose prove di carico tradizionali con le ben più rapide ed economiche determinazioni di Vl. Per concludere, una menzione particolare si ritiene meriti il legame tra Jv e l'età del fronte indagato, il quale, pur se in un certo senso prevedibile, ha sorpreso per l'inaspettato grado di correlazione. Le curve ipotizzate, pur se la base dati appare indubbiamente da incrementare, costituiscono infatti, a parere di chi scrive, un primo importante passo verso la possibilità di valutare l'evoluzione nel tempo del grado di fratturazione di un versante. E' immediatamente intuibile l'importanza applicativa di un simile strumento che, una volta "validato" su larga scala, permetterebbe, ad esempio, di trasformare i dati di fratturazione ottenuti dai rilievi condotti su una parete naturale (età molto elevata) in quelli indubbiamente meno penalizzanti da porre alla base delle verifiche di stabilità di una parete "recente" o continuamente Pagina 121 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO rinnovantesi (quale un fronte di cava) o, viceversa, di trasformare i parametri "letti" su una parete recentemente collassata in quelli, più cautelativi, prevedibilmente raggiungibili a lungo termine a causa dell' evoluzione "negativa" della parete stessa. Pagina 122 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO 9. Bibliografia AA.VV. (1980) - Le cave del Piemonte - Ass. Cave e Torbiere della Regione Piemonte, Torino. Barisone G., Bottino G. (1990) - Metodologia adottata per lo studio generale delle condizioni di stabilità dei versanti nel Comune di Carema - Boll. Ass. Min. Subalp., V. XXVIII, n°1-2. Barisone G. , Odetto G. (1995) - Misura della velocità delle onde elastiche su provini di roccia tramite "Pundit" e terminali a punta conica - GEAM, v. XXXII, n° 2-3. Clerici A., Griffini L., Pozzi R. (1988) - Procedure per l’esecuzione di rilievi strutturali geomeccanici di dettaglio su ammassi rocciosi a comportamento rigido - Geologia Tecnica, n 3/88. Compagnoni R. , Piccardo G.B. ,Sandrone R. (1983) - Le ofioliti delle Alpi occidentali e degli Appennini - Boll. Ass. Min. Subalpina, XX , n° 1-2. C.N.R. (1990) - Structural model of Italy 1:500.000, sheets 1 and 2 (Alps) - SELCA, Firenze. Hudson J. A., Priest S. D. (1983) - Discontinuity frequency in rock masses - Int. Journal of Rock Mech. and Mining Sci., v. 20, n. 2. Pagina 123 Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale Ing. Gianluca ODETTO Hunziker J. 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