POLITECNICO DI TORINO
Facoltà di Ingegneria
Dipartimento di Georisorse e Territorio
Dottorato di Ricerca in Geoingegneria Ambientale
XI Ciclo (1995-1998)
Rilievi geostrutturali, velocità delle onde
elastiche negli ammassi rocciosi e modulo
elastico dinamico
Dottorando
Dott. Ing. Gianluca ODETTO
Tutore
Prof. Ing. Giampiero BARISONE
Coordinatore del dottorato
Prof. Ing. Giulio GECCHELE
Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
Ing. Gianluca ODETTO
INDICE
1. PREMESSA
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 3
2. INQUADRAMENTO MORFOLOGICO E
GEOLOGICO DELL'AREA STUDIATA
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 7
2.1 CENNI MORFOLOGICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 7
2.2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 10
3. CRITERI DI BASE DELLO STUDIO E MODALITA'
OPERATIVE
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 21
4. LITOTIPI INDAGATI
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 24
5. ACQUISIZIONE DATI
................................
5.1. RACCOLTA DATI DI ARCHIVIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.2 RILIEVI GEOSTRUTTURALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.3 MISURE DI VELOCITÀ DELLE ONDE ELASTICHE IN SITU . . . . . . . . . . .
5.4 CAMPIONATURA IN SITU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.5 MISURA DELLA VELOCITÀ DELLE ONDE ELASTICHE IN
LABORATORIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.6 PESO DI VOLUME E CARICO DI ROTTURA A COMPRESSIONE
MONOASSIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.7 MODULO ELASTICO DINAMICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pagina 42
Pagina 42
Pagina 44
Pagina 53
Pagina 62
Pagina 64
Pagina 78
Pagina 81
6. ANALISI DEI DATI ED ELABORAZIONI
STATISTICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 87
6.1 RILIEVI GEOSTRUTTURALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 87
6.2 - ALTEZZA ED ETÀ DEI FRONTI STUDIATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 95
Pagina 1
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6.3 VELOCITÀ DELLE ONDE ELASTICHE IN LABORATORIO E IN
SITU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 97
7. ELABORAZIONE STATISTICA DEI DATI E
RISULTATI
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 102
7.1 VARIABILITÀ DEL GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA
ROCCIOSA IN FUNZIONE DEL LITOTIPO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 103
7.2 VARIABILITÀ DEL GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA
ROCCIOSA IN FUNZIONE DELLA COLLOCAZIONE GEOGRAFICA . . . . . . . . . Pagina 105
7.3 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA
ROCCIOSA ED ALTEZZA DEL FRONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 106
7.4 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA
MASSA ROCCIOSA ED ETÀ DEL FRONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 108
7.5 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE DELLA MASSA
ROCCIOSA E RAPPORTO TRA VELOCITÀ DELLE ONDE ELASTICHE IN
LABORATORIO ED IN SITU
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 111
7.6 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE E MODULO
ELASTICO DINAMICO IN SITU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 114
7.7 CORRELAZIONE TRA GRADO DI FRATTURAZIONE E MODULO
ELASTICO DINAMICO DELLA ROCCIA SANA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 116
8 CONCLUSIONI
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 118
9. BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagina 122
ALLEGATI:
A) Tabella riassuntiva dati acquisiti e risultati elaborazioni
B) Stereogrammi dei siti indagati
C) Misure di velocità delle onde elastiche in situ
D) Misure di velocità delle onde elastiche in laboratorio
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1. PREMESSA
Nel corso degli ultimi venti anni l'evoluzione della geomeccanica ha
portato ad indagare molti degli aspetti che governano il comportamento
fisico-meccanico delle rocce. Abbastanza note sono ormai le leggi che regolano il
meccanismo di rottura degli ammassi rocciosi con cinematismi tipo scivolamento
planare, cuneo o crollo, quando lungo le fratture si possano mobilitare solo
resistenze dovute alle forze di attrito; poco o nulla si sa invece su come valutare la
presenza, all'interno della massa rocciosa, di punti in cui vi sia ancora continuità
della
roccia a collegare le due salbande di una discontinuità (punti noti
comunemente come "ponti di roccia"), la cui conoscenza sarebbe fondamentale
per analizzare compiutamente il comportamento di fratture discontinue.
Lo studio svolto nel corso del dottorato ed illustrato nella presente tesi si è
proposto di mettere a punto una procedura operativa sul terreno, relativamente
semplice e veloce, in grado di consentire una meno incerta valutazione della
persistenza dei sistemi di fratture interessanti le rocce, anche alcuni metri
all'interno della massa rocciosa.
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I numerosi tentativi di giungere ad una compiuta definizione del
comportamento di una massa rocciosa interessata da sistemi di fratture con
persistenza inferiore al 100%, condotti sia attraverso elaborazioni matematiche in
forma chiusa o aperta, sia attraverso analisi statistiche su dati provenienti da rilievi
strutturali e/o back analysis, sia (più raramente) tramite formule empiriche
elaborate attraverso studi a carattere sperimentale, a tutt'oggi si sono rivelati
inefficaci o, peggio ancora, fuorvianti al fine di un corretta valutazione del
comportamento globale di un ammasso roccioso.
E' ancora frequente, infatti, che vengano richieste ed eseguite verifiche di
stabilità in cui il parametro coesione , rappresentativo appunto dei ponti di roccia,
sia pari a zero. Tale arbitraria assunzione può indurre in grossi errori di
valutazione; spesso, infatti, ci si ritrova a dover lottare con verifiche che portano a
dei valori del fattore di sicurezza inferiori all'unità (il che, ovviamente,
implicherebbe
l'avvenuto
collasso
dell'ammasso
roccioso)
per
pareti
evidentemente e storicamente in buone situazioni di stabilità.
Ciò evidenzia ulteriormente, se necessario, come una corretta valutazione
della "coesione" della massa rocciosa (vale a dire, nota la coesione della roccia, la
valutazione dei ponti di roccia) sia fondamentale per un calcolo attendibile della
stabilità di un pendio in roccia, e lo diventi sempre più quanto più precarie sono le
condizioni del medesimo (pendio a franapoggio, possibilità di sisma, presenza di
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falde in pressione, ecc.). Risulta infatti evidente come una corretta valutazione dei
"ponti di roccia" permetta di meglio stimare i valori di coesione media globale
dell'ammasso, da un lato offrendo la possibilità di effettuare scelte progettuali
mirate, dall'altro permettendo una più affidabile valutazione della stabilità delle
pareti rocciose. Va ricordato, per inciso, come la presenza di ponti di roccia per
una superficie complessiva anche solo di pochi centimetri quadrati possa
consentire lo sviluppo di grandi forze resistive, tali da garantire la stabilità di
blocchi di notevole volume.
La ricerca svolta è stata pertanto tesa a migliorare le conoscenze e le
tecniche per una corretta valutazione del parametro "fratturazione", mettendo a
punto una metodologia operativa basata sui metodi classici del rilevamento
geostrutturale che, di per sé inadeguati ad una valida quantificazione della
persistenza e limitati ovviamente alle parti superficiali del versante, sono stati
integrati con misure di tipo geofisico.
Tali misure sono state a loro volta avvalorate e supportate da analisi
statistiche condotte a livello di macro zone, intendendo con tale termine aree
piuttosto estese (da poche a diverse decine di chilometri quadrati) contraddistinte
da caratteristiche litologico-tecniche e di evoluzione tettonica omogenee, tali da
poter permettere una stima quantitativa del grado di fratturazione sulla base di
curve di regressione statistica tra i dati dei rilievi geostrutturali e la velocità
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delle onde elastiche nella roccia sana (in laboratorio, Vl) e nell'ammasso roccioso
(in situ, Vs).
L'area interessata dallo studio si estende in pratica lungo l'intero Arco
Alpino Occidentale, con i siti indagati che - tranne due eccezioni - ricadono tutti
nell'ambito territoriale della regione Piemonte, la cui vasta gamma di litologie e di
zone tettonicamente omogenee ha permesso di coprire un'adeguatamente ampio
spettro di situazioni.
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2.
INQUADRAMENTO
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MORFOLOGICO
E
GEOLOGICO DELL'AREA STUDIATA
2.1 Cenni morfologici
Il Piemonte occupa la parte più occidentale della pianura padana, ed è
circondato su tre lati da una fascia montuosa ininterrotta che corre dall'Appennino
Ligure alle Alpi Centrali (Fig. 2.1). Il nome della regione deriva dal latino
medioevale "Pedemontium" o "Pedemontis", usato in un primo tempo per indicare
la pianura “a piè dei monti”, e successivamente esteso all'intero territorio. Nella
fascia alpina ovest il confine con la Francia segue approssimativamente la linea
spartiacque, scostandosene in corrispondenza delle alte valli della Roja, della Dora
Riparia e del passo del Moncenisio (ceduti alla Francia nel 1947); più a nord i
limiti regionali si discostano nettamente da quelli "naturali" in corrispondenza
della valle della Dora Baltea, che appartiene quasi interamente alla Valle d'Aosta.
A est il confine con la Lombardia taglia longitudinalmente il Lago Maggiore e
segue poi il corso del Ticino, della Sesia e del Po. A sud appartiene al Piemonte
parte del versante padano dell'Appennino Ligure.
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Fig. 2.1 Carta schematica del Piemonte
Nel territorio piemontese si possono distinguere, da un punto di vista
morfologico, tre zone ben distinte: una montana (che costituisce il 43,3% del
territorio), una collinare (pari al 30,3%) e una pianeggiante (26,4%). Dal colle di
Cadibona, convenzionale punto di saldatura fra il sistema alpino e la dorsale
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appenninica, hanno inizio le Alpi Occidentali, suddivise, procedendo da Sud a
Nord, in Marittime (altezza massima Argentera, 3297 m s.l.m.), Cozie (altezza
massima Monviso, 3841 m s.l.m.) e Graie (Gran Paradiso, 4061m s.l.m.);
proseguendo poi verso Est si hanno le Alpi Centrali, con i 4633 m s.l.m. del
Monte Rosa (Alpi Pennine) ed i 3552 m s.l.m. del monte Leone (Alpi Lepontine).
Le Alpi piemontesi sono quasi ovunque caratterizzate da forme vigorose e aspre e
da versanti assai ripidi: tipica è la mancanza di una fascia prealpina che formi, con
la sua minore elevazione, una zona di transizione fra i rilievi principali e la
pianura. La presenza di valli profondamente incassate, poste trasversalmente alla
linea spartiacque, fa sì che,
nonostante l'altitudine, il sistema alpino non
costituisca per il Piemonte una barriera invalicabile: numerosi, storici
passi
mettono in comunicazione la regione sia con la Francia (passi di Tenda, della
Maddalena, del Monginevro, del Fréjus), sia con la Svizzera (passo del
Sempione). Anche l'Appennino, ove pochissime vette superano i 1.500 m, è
attraversato da valichi agevoli che mettono in comunicazione i maggiori centri
piemontesi con i porti della costa ligure.
Notevole estensione hanno le zone collinari: le Langhe, a nord
dell'Appennino, che da un'altitudine massima di 700-800 m vanno digradando fino
alla valle del Tanaro; immediatamente a est delle Langhe, quasi senza soluzione di
continuità, si elevano le alture del Monferrato; lungo la riva destra del Po si
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allungano le colline del Po (o Collina di Torino); ancora più a nord, infine, si
aprono i vasti anfiteatri morenici di Rivoli (Torino) e di Ivrea (Canavese), allo
sbocco in pianura delle valli, rispettivamente, della Dora Riparia e della Dora
Baltea. Il Piemonte è particolarmente ricco di corsi d'acqua: vi nasce, sul Monviso,
il maggiore fiume italiano, il Po, che dopo un primo tratto ripido e impetuoso
sbocca in pianura, allargando il suo letto man mano che riceve l'apporto di
numerosi affluenti: di sinistra, tutti di provenienza alpina (Pellice-Chisone, Dora
Riparia, Stura di Lanzo, Orco, Dora Baltea, Sesia), e di destra (Scrivia, Tanaro).
Appartengono al Piemonte la sponda occidentale del Lago Maggiore e, per intero,
oltre a numerosi laghetti alpini di origine glaciale, il lago d'Orta e il lago di
Viverone. Il clima è eminentemente continentale, con inverni rigidi ed estati calde
in pianura, fresche in montagna. Le precipitazioni sono abbondanti in tutte le
stagioni, e assai frequente nella stagione invernale è la formazione di nebbie nella
fascia padana.
2.2 Inquadramento geologico
2.2.1 Generalità
La geologia della regione piemontese è argomento troppo vasto e
complesso perché se ne possa qui fornire un quadro soddisfacente. Ci si limiterà
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pertanto a pochi cenni, inevitabilmente lacunosi e sommari, con lo scopo di
illustrare sinteticamente gli schemi geolitologico e strutturale del territorio e di
fornire un inquadramento di massima delle formazioni rocciose più interessanti
(per quanto riguarda questa ricerca) nel contesto della geologia regionale (AA.
VV., 1980).
Per comprendere l'evoluzione della regione piemontese, bisogna risalire
fino al tardo Paleozoico, quando nell'emisfero settentrionale tutte le terre emerse
erano saldate tra loro a formare un enorme continente, la Pangea.
Esso era costituito in prevalenza da scisti cristallini formatisi durante
l'orogenesi Ercinica, che nel Permo-Carbonifero vennero intrusi da graniti e
ricoperti da sedimenti detritici e vulcaniti a chimismo riolitico (porfidi): tutte
queste rocce sono ancora ben conservate nella zona esterna (Elvetica) ed interna
(Alpi Meridionali) della catena alpina, mentre nella parte centrale esse sono state
più o meno profondamente trasformate dagli eventi metamorfici Alpini.
Nel periodo Triassico un mare poco profondo invase il continente ed in
esso sedimentarono dapprima depositi arenacei, poi calcareo-dolomitici.
Tra la fine del Trias e l'inizio del Giurassico iniziò la separazione delle
masse continentali; nel periodo Giurassico, in particolare, la crosta continentale,
che costituiva il fondo del mare Triassico, si lacerò e le due parti si separarono: tra
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di esse risalì il mantello sottostante e si formò una crosta di tipo oceanico, di
composizione
gabbro-basaltica,
sulla
quale
si
depositarono
sedimenti
argilloso-marnosi e si espansero colate basaltiche sottomarine.
Nel Cretacico, a causa di un riavvicinamento tra Europa ed Africa, le due
masse continentali si urtarono e si accavallarono, producendo quei corrugamenti
che daranno origine alla complessa struttura della catena alpina. In questo
complicato fenomeno di collisione, durante la fase che i geologi chiamano di
subduzione, rocce del margine europeo e porzioni della crosta oceanica vennnero
trascinate in profondità: si produsse così una loro trasformazione metamorfica
(evento metamorfico eoalpino) in condizioni di pressione elevata. Dopo una breve
permanenza in profondità queste rocce ritornarono in superficie e, insieme ad altre
ingenti masse sfuggite alla subduzione, si riversarono sul continente europeo,
impilandosi le une sulle altre in gigantesche falde di ricoprimento.
Una relativa calma caratterizzò il Paleocene: poi, durante l'Eocene e fino
all'inizio dell'Oligocene, un nuovo evento metamorfico di alta temperatura diede
origine a nuove formazioni rocciose, mentre al contempo la catena alpina venne
interessata da una serie di grandi pieghe.
Nell'Oligocene l'edificio alpino era ormai emerso: esso venne aggredito
dall'erosione, che provocò ai suoi bordi un'intensa sedimentazione detritica
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(molassa). Si intrusero i plutoni di Biella e Traversella, e lave andesitiche si
espansero sulla zona Sesia-Lanzo.
Nel Miocene le Alpi erano ancora circondate dal mare e, mentre
continuava la sedimentazione ai bordi della catena, esse vennero interessate da
movimenti orogenici tardivi che si estesero anche all'Appennino e al Monferrato.
I limiti tra il mare e le terre emerse sono spesso mutati nella storia
geologica del Piemonte, sia per il sollevamento delle catene montuose, sia per
fenomeni di ingressione (espansione) e regressione delle acque. Ad una fase
particolarmente accentuata di regressione corrispondono, alla fine del Miocene, i
depositi evaporitici della Formazione Gessoso-Solfifera (Astigiano).
Nel Pliocene e nel Quaternario continuò la sedimentazione detritica,
dapprima in ambiente marino e poi, quando il golfo alpino-padano fu riempito dai
sedimenti, in ambiente continentale.
Le oscillazioni climatiche quaternarie, con l'alternarsi di periodi glaciali
(Günz, Mindel, Riss e Würm) e di interglaciali caldi hanno, infine, portato alla
formazione di estesi depositi morenici che, ancor oggi, ricoprono a tratti i versanti
montuosi e formano, in pianura, imponenti anfiteatri morenici (Rivoli, Ivrea).
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2.2.2 Le Alpi Piemontesi e l'Appennino Ligure-piemontese
Nell'arco alpino occidentale si possono distinguere cinque zone strutturali,
che si succedono a costituire l'orogeno dall'esterno all'interno della catena alpina:
la Zona Elvetica, la Zona Brianzonese s.l., la Zona Ligure-piemontese, la zona
Sesia-Dent Blanche e la zona Austrosudalpina (Fig. 2.2a e Fig. 2.2b).
Legenda:
1 - Dominio Delfinese-Elvetico
2- Zona Subbrianzonese
3 - Zona Brianzonese
4 - Ricoprimenti Sempione-Ticino
5 - Massicci cristallini interni
6 - Metaofioliti della Zona Piemontese
7 - Calcescisti della Zona Piemontese (a) e del Vallese (b)
8 - Flysch a Helmintoidi
9 - Zona Sesia-Lanzo e Falda Dent Blanche
10 - Alpi Meridionali
11 - Plutoni post-alpini
12 - Appennini e Collina di Torino
13 - Sedimenti terziari e quaternari del Bacino Ligure-Piemontese
14 - Principali linee tettoniche
Fig. 2.2a - Legenda dello schema strutturale dell'Arco Alpino Occidentale
(da Compagnoni,Piccardo e Sandrone, 1983)
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Fig. 2.2b - Schema strutturale dell'Arco Alpino Occidentale (da
Compagnoni, Piccardo e Sandrone, 1983)
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a) La Zona Elvetica, o Delfinese-Elvetica, costituisce la parte esterna del
sistema alpino e rappresenta il margine meno deformato dell'antico continente
europeo. In essa si distinguono essenzialmente un basamento (formato da scisti
cristallini e da graniti ercinici) ed una copertura sedimentaria (di età da
Carbonifera a Terziaria). Queste rocce sono state interessate solo debolmente e
parzialmente dal metamorfismo alpino.
Nella regione piemontese la Zona Elvetica affiora soltanto marginalmente,
in corrispondenza del Massiccio dell'Argentera e delle Valli Stura di Demonte,
Gesso e Vermenagna.
b) La Zona Brianzonese s.l. (che, insieme alla Zona Ligure-piemontese,
costituisce il Dominio Pennidico) è formata da un basamento cristallino
pre-Carbonifero, ricoperto da vulcaniti e sedimenti di età da Permo-Carbonifera a
Mesozoica e Cenozoica. Le rocce più recenti costituiscono una serie sedimentaria
che inizia con termini detritici, seguiti da evaporiti e da una potente sequenza
carbonatica; chiudono la serie depositi arenaceo-argillosi. Nella sequenza
carbonatica mancano i termini corrispondenti alla sedimentazione durante parte
del Mesozoico: questa lacuna, che caratterizza la Zona Brianzonese, attesta la sua
temporanea emersione nel corso dell'orogenesi. La Zona Brianzonese, tutta più o
meno marcatamente trasformata dai processi metamorfici alpini, affiora
abbastanza estesamente nel sud e nell'ovest del territorio piemontese.
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c) La Zona Ligure-Piemontese è costituita da lembi di crosta continentale,
da crosta di tipo oceanico e dalle rispettive coperture sedimentarie (Mesozoico e
Cenozoico).
I resti della crosta continentale costituiscono complessi cristallini di età
pretriassica, intrusi da graniti ercinici: nel territorio della Regione Piemonte essi
formano in Val d'Ossola i Ricoprimenti Sempione-Ticino e del Monte Rosa, nel
settore alpino occidentale il Massiccio del Gran Paradiso e, almeno in parte, il
Complesso Dora-Maira. A porzioni della crosta-mantello oceanica e della sua
copertura si deve invece riferire il Complesso dei Calcescisti con ofioliti, o Zona
Piemontese s.s., che affiora estesamente nell'ovest della Regione.
Termini della serie ligure, associati o meno a materiali oceanici,
costituiscono l'Appennino Ligure-Piemontese e il basamento pre-Oligocenico del
Monferrato; essi compaiono anche, in affioramenti limitati, nelle Alpi Cozie e nel
Canavese.
d) La Zona Sesia-DentBlanche rappresenta nelle Alpi Occidentali il
Dominio Austroalpino: questo dominio è soprattutto esteso nelle Alpi orientali,
dove costituisce un complicato sistema di falde che ricoprono quasi
completamente il Dominio Pennidico. Nella Zona Sesia-Lanzo, a parte della quale
sono limitati gli affioramenti del Sistema Sesia-Dent Blanche nel territorio
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piemontese, si riconoscono una Unità inferiore, costituita in prevalenza da gneiss
minuti e da micascisti eclogitici, ed una Unità superiore (II Zona
Dioritico-Kinzigitica), caratterizzata da scisti a biotite e granato e da rocce di tipo
granitoide (kingiziti). Trasformata dagli eventi metamorfici alpini, la Zona
Sesia-Lanzo è stata poi intrusa nell'Oligocene dal plutone di Biella, a
composizione in prevalenza monzonitica ma con importanti porzioni sienitiche, e
da quello di Traversella, essenzialmente monzonitico.
e) La Zona Austrosudalpina, che rappresenta i resti del bordo dell'antico
continente africano, viene così chiamata perché da un lato possiede caratteri propri
delle Alpi Meridionali (dette anche Dominio Sudalpino), dall'altro può essere
considerata come il prolungamento nelle Alpi Occidentali dei ricoprimenti
austroalpini delle Alpi Centrali e Orientali.
L'importante linea tettonica del Canavese la divide dalla zona Sesia. Nella
Zona Austrosudalpina si distinguono, in territorio piemontese, la serie dei Laghi e
la Zona d'Ivrea.
La prima è costituita da scisti cristallini, intrusi da graniti di età Ercinica e
ricoperti da sedimenti detritici (Carbonifero), vulcaniti (Permiano) e formazioni
carbonatiche
(Mesozoico);
Dioritico-Kinzigitica,
è
la
costituita
seconda,
denominata
essenzialmente
da
anche
Zona
kinzigiti,
granuliti
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(prevalentemente gabbriche) e da una serie di piccole masse di ultramafiti al suo
bordo esterno.
Il metamorfismo alpino non ha toccato la Zona Austrosudalpina, che è
stata metamorfosata in epoca molto più antica, anteriormente all'intrusione dei
graniti ercinici.
2.2.3 Le formazioni postorogenetiche
Le formazioni postorogenetiche, costituite essenzialmente da formazioni
marine detritiche post-Oligoceniche, possono essere strutturalmente suddivise in
varie unità:
a) Il Monferrato, regione collinare estesa tra Torino e Valenza, può essere
considerato come il prolungamento verso nord-ovest dell'Appennino, dal quale è
separato dalle alluvioni recenti che occupano la pianura di Alessandria.
b) Le Langhe, costituite da una sequenza sedimentaria che borda
l'Appennino Ligure-piemontese e le Alpi Marittime, si estendono dal confine col
Monferrato fino a Mondovì. Il loro basamento, che hanno seguito nei suoi
movimenti tardo miocenici, è costituito da unità liguri, piemontesi e brianzonesi.
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La depressione del bacino plio-pleistocenico astigiano, infine, si interpone
tra il Monferrato a nord e le Langhe a sud; nel loro complesso Monferrato, Langhe
e Bacino Astigiano formano il Bacino Terziario Piemontese.
La Pianura del Po è costituita da depositi detritici continentali di età
quaternaria recente, in discordanza su terreni Plio-pleistocenici lacustri e
continentali o, nella regione di pianura a nord del corso del Po e del Basso
Monferrato, a terreni pleistocenici marini.
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3. CRITERI DI BASE DELLO STUDIO E MODALITA'
OPERATIVE
I criteri operativi di base della ricerca possono riassumersi nei
concetti di eseguibilità, rapidità e ripetibilità delle misure da un lato, validità
generale (e quindi esportabilità ed estendibilità del metodo anche a litotipi diversi
da quelli presi in considerazione) dall'altro; pertanto lo studio è stato incentrato
sulla definizione di una nutrita serie di parametri e di condizioni al contorno, su
cui sono basate tutte le considerazioni e conclusioni svolte all'interno della
presente Tesi di Dottorato.
Sinteticamente si può indicare il percorso logico seguito attraverso
i seguenti punti:
1)
Definizione dei litotipi e delle zone da indagare;
2)
Scelta dei fronti e delle pareti rocciose più rappresentativi;
3)
Esecuzione di rilievi geostrutturali di dettaglio lungo detti fronti e,
se del caso, su pareti limitrofe (o acquisizioni dati, ove esistenti);
definizione delle caratteristiche geometriche (altezza) dei fronti
studiati e della loro età;
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4)
Ing. Gianluca ODETTO
Misura della velocità delle onde elastiche nell'ammasso roccioso
(Vs) in corrispondenza dei rilievi geostrutturali acquisiti;
5)
Prelievo di blocchi di roccia sana di adeguate dimensioni (lato
minore e maggiore non inferiori rispettivamente a 50 mm e 200
mm) e forma per quanto possibile regolare;
6)
Misura in laboratorio della velocità delle onde elastiche sui
campioni raccolti (Vl) lungo tre direzioni ortogonali fra loro (nel
caso di rocce scistose, una direzione perpendicolare e due parallele
alla scistosità);
7)
Determinazione del peso di volume e della resistenza a
compressione monoassiale (in laboratorio);
8)
Valutazione della qualità ed omogeneità dei dati raccolti ed
elaborazione degli stessi per ottenere i valori di alcuni indici
rappresentativi ;
9)
Determinazione
del
modulo
elastico
dinamico
e
statico
dell'ammasso roccioso e della roccia sana (rispettivamente in situ
ed in laboratorio);
10)
Ricerca e determinazione delle curve di correlazione tra gli indici
rappresentativi individuati.
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Ing. Gianluca ODETTO
Per quanto riguarda specificatamente l'operatività sul terreno, dopo la
scelta dei litotipi su cui incentrare lo studio e l'individuazione delle diverse zone
da indagare, una accurata ricerca dei dati esistenti (archivi uffici tecnici regionali,
articoli scentifici, tesi di laurea, ecc.) ha permesso di focalizzare l'attenzione su
areali relativamente limitati, in cui una certa ricchezza di dati disponibili
permetteva di ridurre in parte il gravoso lavoro di rilevamento in situ.
Una prima serie di sopralluoghi ha quindi consentito la scelta ponderata
delle pareti rocciose più rappresentative delle varie realtà litologiche e più
significative per quanto riguarda omogeneità, orientazione, altezza ed età dei
fronti.Nel corso di oltre un anno di operatività sul terreno sono stati poi studiati
una cinquantina di siti, effettuando rilievi strutturali (ex novo o di controllo dei
dati già acquisiti) e misure di velocità delle onde elastiche (in totale, quasi 200
basi misurate); in tali occasioni sono altresì stati raccolti i campioni (una ventina)
per le prove di laboratorio.
I dati raccolti sono quindi stati elaborati, previa valutazione di qualità e
omogeneità, utilizzando un potente programma di statistica (S.P.S.S., versione
7.5), in grado di effettuare rapidamente correlazioni incrociate tra un gran numero
di variabili (sino a 50); si è così giunti ad ottenere risultati applicativi di un certo
interesse, i quali verranno ampiamente illustrati e commentati nelle conclusioni
della presente tesi.
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Ing. Gianluca ODETTO
4. LITOTIPI INDAGATI
La scelta dei litotipi sui cui affioramenti incentrare lo studio ha costituito
senza dubbio una delle fasi più delicate del lavoro.
Da un lato vi era infatti la necessità di far riferimento a rocce con
affioramenti piuttosto estesi (possibilità di più punti di misura in una stessa zona)
e distribuiti sul territorio regionale in aree dalla storia tettonica differente
(possibilità di porre a confronto litotipi analoghi con evoluzioni tettoniche - e
quindi gradi di fratturazione - diversi).
Dall'altro si doveva poter far riferimento a rocce con caratteristiche
geomeccaniche diverse (valutazione della differente risposta alle sollecitazioni
tettoniche) e presentanti pareti (naturali o artificiali) per le quali fosse possibile
avere una stima dell'età (influenza del tempo sul grado di fratturazione, per
decompressione, effetto del gelo, ecc.)
Quest'ultimo fattore, in particolare, appariva di difficile valutazione nel
caso si fosse fatto esclusivo riferimento a pareti naturali; d'altro canto, il prendere
in esame pareti artificiali (sbancamenti, ecc.) avrebbe potuto condurre a risultati
falsati, in maniera non valutabile, dall'effetto degli esplosivi utilizzati per
l'abbattimento. Il problema è stato risolto facendo riferimento a fronti di cave -
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attive od abbandonate - aperte in formazioni lapidee sfruttate per la produzione di
pietre destinate a rivestimenti o strutture ornamentali; è stato così possibile
operare su fronti poco o punto danneggiati dall'uso di esplosivo (abbattimento con
filo diamantato o miccia detonante) e di cui era possibile conoscere con buona
approssimazione la data di "realizzazione".
Grazie alla notevole diffusione, sul territorio regionale, di una gran varietà
di litotipi coltivati - attualmente o in passato - per pietre da decorazione, una tale
scelta non è risultata penalizzante sotto l'aspetto quantitativo; da sottolineare,
comunque, che un certo numero di misure sono state effettuate su pareti rocciose
naturali, privilegiando in questi casi litotipi particolari per caratteristiche
geomeccaniche o collocazione degli affioramenti.
Entrando nel dettaglio, sono stati selezionati per lo studio i seguenti litotipi
(tra parentesi le località degli affioramenti indagati):
-
Gneiss (Val Luserna, Val Germanasca, Val Susa, Val d'Ossola, Dora
Baltea, Val Maira e Val Varaita).
-
Graniti (Laghi)
-
Sieniti (Valle Cervo)
-
Dioriti (Dora Baltea)
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-
Micascisti (Val Susa)
-
Calcari e marmi (Monregalese, Val Susa, Val d'Ossola)
-
Quarziti (Monregalese)
-
Calcescisti (Val Susa, Val d'Aosta)
-
Oficalci (Val Maira)
-
Anfiboliti (Monregalese, Val d'Aosta)
-
Noriti (Val d'Ossola)
Nell’istogramma di Fig. 4.1 è schematizzato graficamente il numero di
pareti rocciose studiate per ciascun litotipo, mentre una sintesi dei litotipi indagati,
con l'indicazione della zona geografica e del sito considerati, è riportata in una
"Mappa schematica dei siti indagati" in scala 1:350.000 circa (Fig.4.2, vedi fondo
capitolo) ed in Tabella 4.1, nella quale sono altresì indicate le altezze e le classi di
età dei fronti rocciosi su cui sono state condotte le indagini.
Per quanto attiene in particolare al parametro età, la distribuzione che è
stato possibile accertare per i vari fronti studiati ha suggerito una suddivisione dei
dati raccolti in quattro classi di età, indicate con le prime quattro lettere
dell'alfabeto e corrispondenti rispettivamente a:
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A:
fronte con età minore di 1 anno (cave attive)
B:
fronte con età compresa tra 1 anno e 10 anni
C:
fronte con età compresa tra 10 anni e 50 anni
D:
fronte con età maggiore di 50 anni (cave storiche, fronti naturali)
40
35
30
25
20
15
5
SIENITE
QUARZITE
OFICALCE
NORITE
MICASCISTO
GRANITO
GNEISS
DIORITE
CALCESCISTO
CALCARE
CALCARE-SCIS
0
ANFIBOLITE
rilievi
10
LITOTIPO
Fig. 4.1 Numero di pareti rocciose rilevate per ciascun litotipo
Come
base
geologico-topografica su cui sintetizzare visivamente i
risultati dello studio è stata scelta la Carta litologico-giacimentologica in scala
1/100.000 edita dalla Regione Piemonte, opportunamente rielaborata (e
semplificata)
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Tabella 4.1
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raggruppando sotto la stessa simbologia litotipi e formazioni simili per origine e,
entro certi limiti, caratteristiche fisico-meccaniche. E' stato così possibile ridurre
la notevole complessità (e la conseguente talora difficile leggibilità) della base
originaria, passando da una legenda composta da ben 44 voci ad una articolata su
soli 12 raggruppamenti di rocce (vedi Fig. 4.3 e relativa legenda).
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MAPPA SCHEMATICA DEI SITI INDAGATI E
GEOLOGICA
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5. ACQUISIZIONE DATI
5.1. Raccolta dati di archivio
Considerata l'estensione territoriale e la varietà dei litotipi da indagare,
nonchè la necessità di disporre - onde poter sviluppare una significativa
elaborazione statistica - di una notevole mole di dati, particolare cura è stata
rivolta alla ricerca ed alla acquisizione dei dati di archivio. Purtroppo, ciò è stato
possibile, con risultati quasi soddisfacenti, solo per quanto concerne il grado di
fratturazione degli ammassi rocciosi (rilievi strutturali) ed alcune caratteristiche
fisico-meccaniche dei vari litotipi (peso di volume, carico di rottura a
compressione monoassiale). Per quanto concerne il primo aspetto, la raccolta dati
ha consentito di acquisire - principalmente presso l'Ufficio Cave della Regione
Piemonte - un gran numero di informazioni (alcune delle quali, per altro, rivelatesi
inesatte o inadeguate durante i successivi controlli sul terreno); anche per quanto
riguarda le caratteristiche fisico-meccaniche i dati bibliografici, integrati e talora
corretti da apposite prove di laboratorio, hanno permesso di ricostruire un quadro
generale abbastanza soddisfacente. Completamente negativo, invece, l'aspetto
riguardante le velocità delle onde elastiche in laboratorio e, soprattutto, in situ,
dove la disponibilità di dati correlati e significativi si è rivelata praticamente nulla.
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Questo malgrado nella prima parte del triennale periodo di dottorato si
siano trascorsi considerevoli periodi di tempo in biblioteche universitarie e statali
(tra cui quella dell'U.S. Geological Survey a Reston, Virginia) alla ricerca di dati,
indicazioni metodologiche, studi sull'argomento (consultando, ad esempio, tutti gli
atti degli ultimi congressi internazionali dell'ISRM, IAEG, ITA, ISL).
Anche i non abbondanti dati reperiti, comunque, hanno posto notevoli
problemi di omogeneizzazione, a causa della diversità dei criteri con cui sono stati
raccolti o riportati i dati in ogni singola fonte. Pertanto è stato necessario prestare
grande attenzione durante la raccolta dei dati tenendo conto, per quanto possibile,
della loro provenienza ed eventualmente adeguandoli alle esigenze del presente
studio. In particolare, un ampio lavoro di verifica è stato effettuato sui dati
giaciturali delle discontinuità, effettuando controlli campione durante i
sopralluoghi e, se del caso, ripetendo i rilievi geostrutturali in parete.
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5.2 Rilievi geostrutturali
5.2.1. Premessa
I rilievi geostrutturali consentono di ottenere dettagliate informazioni sullo
stato di fratturazione dell'ammasso roccioso in superficie. Essi, condotti secondo
le indicazioni dell'ISRM (1977) su stendimenti di lunghezza adeguata, forniscono
i dati di base per giungere alla determinazione, tra l'altro, di eventuali modalità di
franamento e del volume medio dei blocchi in cui può essere "suddiviso"
l'ammasso roccioso.
L'esecuzione vera e propria del rilievo deve essere preceduta dalla scelta
dei siti in cui operare le indagini: si tratta di una operazione molto importante, che
può condizionare fortemente la rappresentatività dei risultati ottenibili.
L'ubicazione dei rilievi deve avvenire in funzione di considerazioni
generali sulla litologia e morfologia sull'area studiata; occorre eseguire rilievi
all'interno di ogni litotipo, in aree omogenee per grado di fratturazione. E' inoltre
fondamentale considerare la situazione morfologica, che può presentare
particolarità, come esposizione o acclività dei versanti, tali da non mettere in luce
importanti sistemi di discontinuità. Questa situazione si verifica, in particolare, nel
caso in cui siano presenti fratture di trazione (parallele ai versanti).
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La scelta dei siti risulta inoltre condizionata da fattori esterni, quali
l'accessibilità della zona, l' irregolarità del territorio e la mancanza di affioramenti
o pareti rocciose di dimensioni sufficienti per poter eseguire un rilievo.
Spesso inoltre non è possibile eseguire rilievi su pareti adiacenti disposte
perpendicolarmente, in modo da individuare i sistemi di fratturazione paralleli al
versante, altrimenti non rilevabili. A questo problema si può ovviare, come pure a
quelli posti da una scarsa accessibilità o dalla carenza di pareti idonee allo
svolgimento di rilievi strutturali veri e propri, integrando i dati raccolti con
l'indicazione delle famiglie principali di discontinuità e dei relativi parametri
(frequenza, spaziatura, ecc.) eseguendo dei rilievi di "sintesi", le cui modalità
saranno esposte al punto 5.2.3.
5.2.2 Modalità esecutive
I rilievi geostrutturali "classici" vengono eseguiti ponendo una bindella
metrica lungo la parete su cui si compie l'analisi; si provvede poi ad annotare i
parametri rappresentativi delle discontinuità che intersecano lo stendimento. Sono
state considerate tutte le fratture presenti in una fascia di larghezza di circa 1-2
metri attorno all'allineamento; talvolta si sono annotati anche i dati caratteristici
di alcune discontinuità esterne a questa fascia, ma ritenute di importanza
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fondamentale ai fini della stabilità del pendio e pertanto non trascurabili.Per ogni
frattura sono stati annotati, oltre alla progressiva in corrispondenza della quale la
frattura intersecava lo stendimento, i parametri di orientazione, lunghezza,
spaziatura, rugosità, apertura e l' eventuale presenza di riempimento; i dati ottenuti
sono stati adeguatamente elaborati per via informatica onde determinare le
famiglie di fratture presenti, e sono sintetizzati nei reticoli di Schmidt riportati in
All. B.
Nel diagramma di Fig. 5.1 è indicato il numero di fratture mediamente
riscontrate negli affioramenti dei diversi litotipi, distinti a seconda della zona
ZONA
7
Dora-Baltea
6
Laghi
Monregalese
5
Val-Cervo
Val-d'Ossola
Val-Germanasca
3
Val-Luserna
Val-Maira
2
Val-Susa
1
SIENITE
QUARZITE
OFICALCE
NORITE
MICASCISTO
GRANITO
GNEISS
DIORITE
CALCESCISTO
CALCARE
CALCARE-SC
Val d' Aosta
ANFIBOLITE
N°sistemi medio
4
LITOTIPO
geografica (e quindi della storia tettonica).
Fig. 5.1 Numero medio di sistemi di frattura a seconda del litotipo e della zona
geografica
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a) Orientamento delle discontinuità
Per definire completamente l'orientamento di una discontinuità occorre
individuare due angoli: l'azimut del vettore immersione e l' inclinazione. Il primo
è l'angolo compreso fra la direzione del Nord e la proiezione sul piano orizzontale
della linea di massima pendenza del piano della discontinuità; l'inclinazione è
l'angolo che la retta di massima pendenza forma con il piano orizzontale. Le
misure di questi angoli vengono eseguite con una bussola clinometrica.
b) Estensione delle discontinuità
Si tratta di un parametro molto importante per la caratterizzazione di un
ammasso roccioso, poichè da esso e dalla spaziatura derivano le effettive forze che
l'ammasso è in grado di mobilitare a favore di stabilità. Viene valutato in sito
come estensione monodimensionale, misurando la lunghezza della linea
intersezione del piano di discontinuità con la superficie naturale.
c) Rugosità delle discontinuità
La scabrezza delle superfici di una frattura rappresenta un parametro
inportante per la determinazione delle caratteristiche di resistenza, e dipende
direttamente dal processso di formazione delle litoclasi e dalle vicissitudini che
esse hanno subito. L'importanza di questo parametro diminuisce con l'aumentare
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della distanza fra le pareti della discontinuità e con lo spessore del riempimento;
esso influisce invece notevolmente nel caso in cui le superfici siano a contatto.
d) Apertura e riempimento delle fratture
L'apertura è definita come la distanza misurata perpendicolarmente tra le
due pareti della discontinuità, e si definisce solo nel caso in cui lo spazio fra le
pareti sia vuoto o riempito d'acqua. La presenza dell'apertura influenza la
resistenza al taglio della discontinuità e , in maniera ancora più importante, la
permeabilità dell'ammasso roccioso.
L'eventuale presenza di materiale di riempimento fra le pareti influenza la
resistenza al taglio della discontinuità, in misura variabile in funzione di spessore,
tipo e caratteristiche mineralogiche e meccaniche del riempimento stesso.
5.2.3 Rilievi geostrutturali di sintesi
I dati ottenuti dai rilievi geostrutturali "classici" sono stati integrati da una
serie di rilievi "di sintesi". Questi, rispetto alle analisi tradizionali, presentano il
vantaggio di essere più rapidi nell' esecuzione e di non richiedere pareti rocciose
accessibili di grande estensione, per la loro attuazione essendo sufficiente un
qualsiasi affioramento roccioso, anche di limitato sviluppo.
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Ing. Gianluca ODETTO
In questo tipo di rilievi non viene effettuato lo stendimento della rotella
metrica, nè si misurano tutte le discontinuità incontrate: in loro vece si esegue
direttamente una sintesi, individuando i principali sistemi di discontinuità e
misurando la giacitura del piano medio di ognuno di essi.
Allo stesso modo si valutano lunghezza media, spaziatura, apertura,
rugosità ed eventuale riempimento delle fratture appartenenti ad una determinata
famiglia.
5.2.4 Elaborazione dati
Mentre i dati ottenuti dai rilievi "di sintesi" forniscono direttamente i
parametri caratteristici dei sistemi principali di discontinuità, quelli dei rilievi
geostrutturali classici devono essere trattati con metodi statistici, in modo da
ottenere i valori più probabili di orientazione, lunghezza, spaziatura, ecc., delle
varie famiglie di fratture.
a) Calcolo della giacitura media dei sistemi di discontinuità
Onde eseguire il calcolo della giacitura media dei sistemi di fratture, per
ogni rilievo si sono riportati sulla proiezione equiarea polare di Schmidt i poli
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delle discontinuità rilevate. In questo tipo di proiezione un piano passante per il
centro della sfera può essere rappresentato in modo univoco mediante la sua
intersezione con la semisfera inferiore (piano principale), oppure tramite
l'intersezione, con la stessa semisfera, della normale al piano condotta per il centro
della sfera stessa (polo).
La nube di poli che si ottiene in questo modo fornisce una indicazione
della orientazione preferenziale dei sistemi principali; il valore centrale della
distribuzione così ottenuta rappresenta l'orientamento medio del sistema di
discontinuità.
Tutte queste operazioni possono essere eseguite in modo automatico al
calcolatore; tuttavia si è preferito compiere manualmente alcune operazioni, per
poter esercitare un controllo maggiore sulla scelta dei poli da considerare
appartenenti ad una determinata famiglia.
Il raggruppamento delle discontinuità in sistemi è stato così eseguito
considerando, nei casi dubbi, oltre che i valori di immersione ed inclinazione (gli
unici utilizzati dai programmi di calcolo automatici), anche i dati di apertura,
rugosità, lunghezza, ecc. .
Si è inoltre cercato di non considerare singolarmente i rilievi, ma di
confrontarli per evidenziare la presenza di eventuali analogie.
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b) Calcolo della lunghezza media dei sistemi
Come per la giacitura, è necessario calcolare un valore di lunghezza delle
discontinuità rappresentativo per ogni sistema principale individuato. Il metodo
formalmente più corretto sarebbe quello di utilizzare il valore modale della
distribuzione; quest'ultima dovrebbe teoricamente avvicinarsi ad una distribuzione
normale nella quale moda e media sono coincidenti. Tuttavia, in presenza di pochi
dati e disponendo di valori suddivisi in classi di lunghezza, l'utilizzo del valore
centrale della classe modale fornirebbe un valore notevolmente aleatorio; si è
dunque proceduto assegnando ad ogni classe il corrispondente valore "centrale" di
lunghezza e calcolando poi la media dei valori di ogni sistema.
c) Calcolo della spaziatura media dei sistemi
La spaziatura è la distanza tra due discontinuità adiacenti, misurata lungo
la normale al piano di orientazione medio. Viene ricavata analizzando i valori
ottenuti nei rilievi strutturali ed apportandovi una serie di correzioni.
Il valore di spaziatura media d
’’
di un sistema lungo lo stendimento si
calcola come rapporto fra la lunghezza di quest'ultimo ed il numero di
discontinuità appartenenti alla stessa famiglia. Si applica successivamente una
correzione, funzione della lunghezza L dei giunti, per dare un maggior peso alle
fratture di piccole dimensioni, più difficilmente rilevabili poiché intersecano con
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frequenza minore lo stendimento. Questa correzione vale (Barisone e Bottino,
1990):
d ∏ = d ∏∏ $ (1 +
1
20$L
)
Infine è stata apportata un ulteriore correzione, funzione della giacitura
delle discontinuità rispetto al versante, per calcolare il valore della spaziatura reale
in funzione di quello apparente d' precedentemente calcolato; infatti, se le
discontinuità non sono perpendicolari alla direzione dello stendimento, la distanza
fra due fratture adiacenti viene sovrastimata. Tale correzione si calcola in base alla
formula:
d = d ∏ $ sin(I f − I d ) $ sin i d
nella quale If e Id rappresentano rispettivamente le immersioni del fronte e
della famiglia di discontinuità, mentre id è l' inclinazione media di quest’ ultima.
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5.3 Misure di velocità delle onde elastiche in situ
5.3.1 Lo strumento
Per la misura di questo fondamentale parametro è stata utilizzata
un'apparecchiatura per sismica a riflessione denominata Signal Enhancement
Seismograph Model LCM-4, della ditta Pasi. Si tratta in pratica di un sismografo
monocanale, con possibilità di effettuare la
sommatoria dei segnali onde
amplificare e meglio distinguere l'onda sismica dal disturbo di fondo.
L'apparecchiatura è composta da una unità centrale di misura (Foto 5.1 e
Fig. 5.1) e da una mazza alla quale è collegato un sensore, che fornisce all' unità
centrale il tempo t0 corrispondente al momento dell'impatto sulla roccia. Essendo
il sismografo monocanale è stato utilizzato un unico geofono, di tipo
elettromagnetico (a bobina mobile) e dotato di una punta staccabile; il debole
segnale che esce dal geofono risulta amplificato dalla centralina che inoltre,
sommando più segnali consecutivi, permette di discriminare al meglio tra i
disturbi (che, essendo di ampiezza e frequenza casuali, per effetto delle ripetizioni
generalmente si annullano vicendevolmente) e il segnale sismico (che, invece, si
amplia come somma di onde in concordanza di fase).
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Foto 5.1 - Centralina del sismografo LCM - 4
Fig. 5.1 - Schema del pannello comandi del sismografo LCM-4
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5.3.2 Modalità esecutive
La misura della velocità delle onde elastiche in situ è stata effettuata
realizzando stendimenti paralleli al fronte roccioso e posti, in condizioni normali,
alla base del fronte stesso. Sono state effettuate misurazioni operando su basi di
lunghezza progressivamente crescente, partendo da un valore di 5 m (minimo
necessario per non subire una eccessiva influenza dei possibili errori strumentali)
e passando via via - caratteristiche della roccia e lunghezza del fronte permettendo
- a 10 m, 15 m, 20 m, 30 m, 40 m, 50 m.
Per ogni serie di misure sono quindi stati calcolati la velocità media
(Vmed) ed il coefficente (espresso in percentuale) (Vmax - Vmin)/Vmed,
riportando in Tabella 5.1 i valori ottenuti per ogni sito indagato. Inoltre sono stati
elaborati i valori della velocità delle onde elastiche riferiti ad ogni base misurata,
riassunti nei quattro grafici di Fig. 5.2, Fig. 5.3, Fig. 5.4 e Fig. 5.5, dove i litotipi
risultano raggruppati nelle seguenti quattro categorie: magmatiche, metamorfiche
massive, metamorfiche scistose, sedimentarie. In Fig. 5.6, infine, sono indicati i
valori medi di velocità calcolati per ogni litotipo studiato.
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tabella 5.1
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Velocità onde elastiche in situ
MAGMATICHE (Graniti,Sieniti,Dioriti,Noriti)
3500
3000
Velocità (m/s)
2500
Diorite Vico
Norite Anzola
Granito Rosa Baveno
Granito Cavadonna
Granito Monte Camoscio
Sienite Quarona
Sienite Gamma
Sienite Bore
Sienite Vey della Balma
2000
1500
1000
500
0
0
10
20
30
40
50
60
Base (m)
Fig. 5.2 - Velocità delle onde elastiche in situ (Rocce Magmatiche)
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Velocità onde elastiche in situ
METAMORFICHE MASSIVE (Anfiboliti,Quarziti,Oficalci)
4000
3500
Velocità (m/s)
3000
Oficalce Acceglio (F1)
Oficalce Acceglio(F2)
Quarzite Frabosa
Anfibolite ValcasottoR1
Anfibolite ValcasottoR3
Anfibolite ValcasottoRS1
Anfibolite ValcasottoRS2
Anfibolite Verres
2500
2000
1500
1000
500
0
10
20
30
40
50
60
Base (m)
Fig. 5.3 - Velocità delle onde elastiche in situ (Rocce Metamorfiche Massive)
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Velocità onde elastiche in situ
METAMORFICHE SCISTOSE (Gneiss,Micascisti,Calcescisti)
3500
Gneiss Cava Moro
Gneiss Semi Lastroide
Gneiss Brossasco
Gneiss Premia
Gneiss Beura
Gneiss Crevoladossola
Gneiss Schieranco
Gneiss Verde Argento
Gneiss Quincinetto
Gneiss Borgone
Gneiss Bussoleno
Gneiss Ciabot
Gneiss Luetta
Gneiss Avei
Gneiss Spinafoglio
Gneiss Ciafalco
Gneiss Tube Medie
Gneiss Bussoleno1
Gneiss Perrero1
Calcescisto Bussoleno2
Micascisto Exilles1
Micascisto Exilles2
Calcescisto Verres
3000
Velocità (m/s)
2500
2000
1500
1000
500
0
0
10
20
30
40
50
60
Base (m)
Fig. 5.4 - Velocità delle onde elastiche in situ (Rocce Metamorfiche Scistose)
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Ing. Gianluca ODETTO
Velocità onde elastiche in situ
SEDIMENTARIE (Calcari +/- dolomitici)
3000
Velocità (m/s)
2500
Calcare Val Mongia
Calcare Val Mongia (Sc)
Calcare Frabosa
Calcare Nero Catella
Calcare Bussoleno
Calcare di Crevola
Calcare Santa Lucia
2000
1500
1000
500
0
10
20
30
40
50
60
Base (m)
Fig. 5.5 - Velocità delle onde elastiche in situ (Rocce Sedimentarie)
Pagina 61
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Ing. Gianluca ODETTO
3000
Media velocità in situ [m/s]
2500
2000
1500
1000
500
0
E
IT
E
TO
TE
ZI
C
AL
AR
EN
SI
U
Q
E
IT
IS
SC
TO
IS
IS
C
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O
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C
ES
AR
E-
TE
LI
AR
AN
C
FI
O
N
M
R
G
EI
R
IO
C
AL
C
AL
C
AL
BO
FI
N
G
D
C
C
C
AN
LITOTIPO
Fig. 5.6 - Valore medio della velocità delle onde elastiche in situ per ogni litotipo
indagato.
5.4 Campionatura in situ
Durante i sopralluoghi eseguiti per le misure di velocità delle onde
elastiche e l'effettuazione dei rilievi geostrutturali, sono altresì stati prelevati
campioni di roccia sana per effettuare le successive misure in laboratorio (vedi
par. 5.5). I campioni prelevati sono stati selezionati in base alla forma (quanto più
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Ing. Gianluca ODETTO
possibile parallelepipeda), le dimensioni (lato minore non inferiore a 50 mm e
rapporti tra i lati indicativamente pari a 50 - 100- 300), l' integrità ( assenza di
fratture visibili), l'uniformità (della tessitura, della grana, della distribuzione
mineralogica), la rappresentatività.
Considerata l'omogeneità mineralogica e tessiturale di alcuni litotipi (le
sieniti, gli gneiss appartenenti ad una stessa formazione, ecc.) il numero di
campioni prelevati è risultato notevolmente inferiore (una ventina) a quello dei siti
studiati (quasi settanta). E' stato infatti ritenuto sufficente il prelievo di uno o due
campioni per ogni formazione oggetto di indagine, essendo questi campioni
destinati a prove di laboratorio volte a definire le caratteristiche non dell'ammasso
roccioso (fratturazione compresa) ma del litotipo (fratturazione esclusa).
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Ing. Gianluca ODETTO
5.5 Misura della velocità delle onde elastiche in laboratorio
5.5.1 Apparecchiatura e modalità esecutive
Le misure in laboratorio sono state condotte su provini di roccia sana,
tramite un generatore di ultrasuoni ed un misuratore elettronico dei tempi
("Pundit" della Electronics Ltd., vedi Foto 5.2 ).
Foto 5.2 - Apparecchiatura per la misura della velocità delle onde elastiche
in laboratorio.
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Ing. Gianluca ODETTO
L'apparecchiatura, disponibile presso il Dipartimento di Georisorse e
Territorio del Politecnico di Torino, consta di un apparecchio generatore d'onde
elastiche (ultrasuoni), di due coppie di trasmettitori-ricevitori (cilindriche a facce
piane; a punta conica), di un misuratore elettronico dei tempi (il "Pundit") e di un
oscilloscopio interposto fra trasmettitore e ricevitore; si poneva quindi in primo
luogo la scelta tra due possibili alternative per la lettura dei tempi di percorrenza
dell'onda elastica nel materiale.
Il primo metodo prevede l' uso accoppiato di un oscilloscopio e del
"Pundit"; in questo caso la lettura dei tempi viene effettuata con lo studio attento
della forma d'onda riportata sull'oscilloscopio, per individuare l'istante in cui il
ricevitore capta l'onda.. Il secondo metodo consiste nell'effettuare la misura con il
solo "Pundit ", affidando la lettura al circuito interno della macchina.
La scelta del metodo di misura è stata fatta dopo un'attenta analisi dei
risultati delle determinazioni effettuate con i diversi metodi indicati (oscilloscopio
e terminali cilindrici, oscilloscopio e puntali conici, solo Pundit e terminali
cilindrici, solo Pundit e puntali conici) su una serie di campioni di carote di vari
materiali.
Non sono emerse grosse differenze tra un metodo e l'altro (Barisone e
Odetto, 1995); da sottolineare tuttavia la maggiore flessibilità che permette l' uso
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Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
Ing. Gianluca ODETTO
dell' oscilloscopio, a prezzo però di un dispendio di tempo notevolmente superiore
e di una "potenza" disponibile (leggasi possibilità di effettuare letture su campioni
piuttosto lunghi di materiali a basso modulo elastico) assai ridotta. Si è quindi
ritenuto più idoneo, in questo caso, l' utilizzo del solo "Pundit " con i puntali
conici, raggiungendo così lo scopo di poter effettuare un numero elevato di
misure, sicuramente accettabili, in tempi ragionevoli ed anche su litotipi dalle
caratteristiche meccaniche particolarmente scadenti.
Al problema posto dall'utilizzo delle punte coniche, che comporta errori
strumentali variabili in funzione della lunghezza del provino e del modulo elastico
dello stesso, si è ovviato facendo riferimento alle curve di correzione riportate
nell'articolo dianzi citato.
Tali curve (Fig. 5.7), costituite da due rami di iperbole, rappresentano
rispettivamente il limite superiore e quello inferiore dello sciame di punti
sperimentali. Una ulteriore suddivisione può essere fatta per fasce verticali, così
da creare 4 zone distinte: la prima a sinistra rappresenta i provini di lunghezza
inferiore ai 25 mm, sui quali è praticamente impossibile una misura certa delle
velocità, essendo gli errori strumentali altissimi; la seconda,
che comprende
provini tra i 25 mm ed i 75 mm di lunghezza, fornisce misure ancora affette da un
certo errore strumentale; la terza, che include i campioni da 75 mm a 150 mm, è la
fascia di maggior utilizzo, con buona precisione di misura e lunghezza dei provini
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Ing. Gianluca ODETTO
relativamente comune; la quarta ed ultima zona, valida per lunghezze dei provini
superiori ai 150 mm, evidenzia come, superata questa soglia, l'errore dovuto ai
puntali conici si riduca sino quasi ad annullarsi.
Particolare attenzione è stata quindi posta nel non scendere mai con le
dimensioni del lato minore dei campioni al disotto dei 50 mm, in quanto sotto tale
valore si introducono, come detto, forti errori nelle misure a causa dei limiti del
metodo (puntali a punta conica, non essendo i terminali cilindrici a faccia piana
utilizzabili su campioni di roccia dalla forma irregolare).
Con i limiti dimensionali assunti, invece, le curve di taratura hanno
permesso di effettuare le misure con i terminali a punta conica su campioni di
dimensioni non eccessive e di forma qualsiasi, senza rendere necessarie operazioni
di carotaggio o spianatura delle facce e garantendo una buona precisione nella
determinazione delle effettive velocità delle onde elastiche nei provini.
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Ing. Gianluca ODETTO
fig. 5.7 curva di correlazione
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5.5.2
Ing. Gianluca ODETTO
Le misure sui campioni prelevati in situ
Su ogni campione prelevato sono state effettuate misure della velocità
delle onde elastiche secondo tre direzioni ortogonali fra loro; nel caso di rocce
scistose o stratificate, una di tali direzioni è stata scelta perpendicolare alla
scistosità o stratificazione.
La correzione delle velocità è stata effettuata singolarmente per ogni
misura, moltiplicandola per il fattore correttivo ricavato dal grafico di Fig. 5.6.
In particolare, per ogni campione, sono state eseguite in successione 5
misure di velocità, sempre nello stesso ordine; nelle Foto 5.3, Foto 5.4, Foto 5.5 e
Foto 5.6 sono mostrati alcuni dei campioni prima della prova, con segnati in rosso
i punti (diametralmente opposti) di appoggio dei puntali conici; un elenco
completo dei campioni prelevati, con l'indicazione del litotipo, delle località di
prelievo e delle dimensioni è riportato in Tab. 5.2.
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Ing. Gianluca ODETTO
Tab. 5.2 - Provini utilizzati per le misure di velocità delle onde elastiche in
laboratorio.
N°
Litotipo
Località
a
[mm]
b
[mm]
c
[mm]
1
Sienite
Balma
280
125
183
2
Norite
Anzola
162
44
94
3
Granito
Baveno
231
75
113
4
Sienite
Cave alte
320
64
222
5
Calcare
Crevola
294
53
165
6
Beola
Montecrestese
231
75
123
7
Diorite
Vico
197
65
120
8
Gneiss
Brossasco
272
119
195
9
Oficalce
Val Maira
352
127
237
10
Calcare
Val Mongia
247
119
179
11
Calcare
Frabosa
285
119
209
12
Quarzite
Frabosa
304
84
235
13
Calcare
Frabosa
303
85
178
14
Granito
Monte Camoscio
366
56
195
15
Gneiss
Val Formazza
238
128
178
16
Beola
Villa d'Ossola
277
120
195
17
Granito
Montorfano
501
207
357
18
Gneiss
Borgone
296
240
265
19
Gneiss
Bussoleno
282
76
174
20
Calcare
Foresto
197
73
138
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Foto 5.3 - Campioni prelevati in situ, su cui sono state effettuate le misure di
velocità delle onde elastiche (Graniti, Quarziti, Oficalce)..
Foto 5.4 - Campioni prelevati in situ, su cui sono state effettuate le misure di
velocità delle onde elastiche (Gneiss).
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Foto 5.5 - Campioni prelevati in situ, su cui sono state effettuate le misure di
velocità delle onde elastiche (Sieniti, Diorite, Norite).
Foto 5.6 - Campioni prelevati in situ, su cui sono state effettuate le misure di
velocità delle onde elastiche (Calcari).
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Dopo una pulitura accurata del campione mediante spolveratura delle
superfici, la distanza tra i vari punti di misura è stata rilevata con l'ausilio di un
calibro appositamente realizzato, che permette di misurare distanze fino a 50 cm
garantendo una precisione di 0,1 mm grazie ad un nonio posto lungo la scala
graduata.
Si è quindi passati alla misurazione della velocità delle onde elastiche,
rilevando dapprima i tempi sulla base maggiore, ripetendo poi per 3 volte la
misura sulla distanza intermedia ed effettuandola infine sul lato più corto, sempre
in prossimità del baricentro dei lati (in modo da ridurre l'effetto bordo, che
potrebbe inficiare le misure, soprattutto quando i campioni sono di spessore
prossimo al limite inferiore stabilito)
Nella Tab. 5.3 sono riportati i dati grezzi e corretti delle misure di velocità
Vl per tutti i campioni esaminati, mentre in Fig. 5.8 sono sintetizzate le velocità
medie misurate e rapportate ai diversi litotipi.
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tabella 5.3
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6000
5500
5000
Media Vl [m/s]
4500
4000
3500
3000
E
IT
E
TO
TE
ZI
C
AL
AR
EN
SI
U
Q
E
IT
IS
SC
TO
IS
IS
C
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C
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AN
C
FI
O
N
M
R
G
EI
R
IO
C
AL
C
AL
C
AL
BO
FI
N
G
D
C
C
C
AN
LITOTIPO
Fig. 5.8 - Media dei valori di Vl per ogni litotipo
5.6 Peso di volume e carico di rottura a compressione
monoassiale
Per il calcolo del modulo elastico dinamico (vedi par. 5.7), e per una prima
valutazione oggettiva delle caratteristiche meccaniche delle zone interessate, è
stata condotta in laboratorio una serie di determinazioni del peso di volume γ e del
carico di rottura a compressione monoassiale Co dei litotipi oggetto di studio.
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Per la determinazione del peso di volume sono stati utilizzati campioni di
piccole dimensioni raccolti direttamente sui fronti, operando con le consuete
metodologie.
Per quanto concerne invece il carico di rottura a compressione
monoassiale, per l' esecuzione di questa prova sono stati utilizzati provini
cilindrici ricavati da campioni prelevati dagli affioramenti rocciosi.
Le modalità di prova sono state quelle ormai consuete, con la roccia a
diretto contatto con le piastre, minimizzando l'effetto della non uniformità di
carico in prossimità dei contatti con l' impiego di campioni aventi rapporto
lunghezza/diametro poco superiore a due.
I risultati ottenuti sono sintetizzati nella Tab. 5.4, con i valori medi
arrotondati alla prima decimale per i pesi di volume, a multipli di 5 per i carichi di
rottura; in tabella sono altresì riportati i valori del modulo di Poisson della roccia
sana, per lo più desunti dalla letteratura.
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Tab. 5.4 - Tabella riassuntiva delle caratteristiche meccaniche e dei moduli
elastici dinamici.
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5.7 Modulo elastico dinamico
Per il calcolo del modulo elastico dinamico dalla velocità delle onde
elastiche nella roccia è stata utilizzata la formula:
Ed = V2 % ✏ %
(1+✚ )%(1−2%✚ )
(1−✚ )
dove:
Ed = modulo elastico dinamico;
V = velocità onde elastiche;
γ = peso di volume roccia;
ν = coefficiente di Poisson;
Il calcolo del modulo elastico dinamico è stato condotto sia per l'ammasso
roccioso (in situ) che per la roccia sana (in laboratorio); il peso di volume è stato
ricavato da misure in laboratorio (vedi paragrafo relativo), mentre per ν sono stati
utilizzati valori desunti dalla letteratura, variabili tra 0,3 per le rocce con
caratteristiche migliori (carico di rottura a compressione semplice) e 0,4 per quelle
più scadenti.
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Dal modulo elastico dinamico si è poi risaliti a quello statico utilizzando la
relazione :
E din = 8, 3 % E stat + 0, 97
Questa relazione, utilizzata qui in "senso" inverso, ha permesso di risalire
a valori attendibili del modulo elastico statico in maniera assai semplice.
I risultati ottenuti sono riportati in Tab. 5.5 e sintetizzati nei diagrammi di
Fig. 5.9, Fig. 5.10, Fig. 5.11 e Fig. 5.12, relativi rispettivamente alla distribuzione,
in funzione del litotipo, del modulo elastico dinamico (E’d) relativo all'ammasso
roccioso, del modulo elastico dinamico (Ed) relativo alla roccia sana, del modulo
elastico statico (E’s) relativo all’ ammasso roccioso e del modulo elastico statico
(Es) relativo alla roccia sana.
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tabella 5.5
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.
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140
Valore medio E'd (situ) [GPa]
120
100
80
60
40
20
0
E
IT
EN
SI
TE
ZI
AR
U
Q
E
C
AL
C
FI
O
BO
E
IT
R
O
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G
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D
IS
C
ES
C
AL
C
E
AR
C
IS
AL
SC
C
EAR
C
AL
C
TE
LI
FI
AN
LITOTIPO
Fig. 5.9 - Distribuzione del modulo elastico dinamico dell'ammasso roccioso in
funzione del litotipo
Valore medio Ed (laboratorio)[GPa]
600
500
400
300
200
100
E
IT
EN
SI
TE
ZI
AR
U
Q
E
C
AL
C
FI
O
E
IT
R
O
N
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C
ES
C
AL
C
E
AR
C
IS
AL
SC
C
EAR
C
AL
C
TE
LI
BO
FI
AN
LITOTIPO
Fig. 5.10 - Distribuzione del modulo elastico dinamico della roccia sana in
funzione del litotipo.
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Ing. Gianluca ODETTO
16
14
Valore medio E's (situ)[GPa]
12
10
8
6
4
2
0
IC
IT
AN
O
SS
EI
E
IT
EN
SI
TE
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G
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C
AL
C
E
AR
C
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SC
C
EAR
C
AL
C
TE
LI
FI
AN
LITOTIPO
Fig. 5.11 - Distribuzione del modulo elastico statico dell'ammasso roccioso in
funzione del litotipo
Valore medio Es (laboratorio)[GPa]
80
70
60
50
40
30
20
10
E
IT
EN
SI
TE
ZI
AR
U
E
C
AL
Q
O
C
FI
E
IT
R
O
N
TO
IS
C
AS
IC
M
O
IT
AN
R
G
SS
EI
N
G
E
IT
R
TO
IO
D
IS
C
ES
C
AL
C
E
AR
C
AL
SC
C
EAR
C
AL
C
TE
LI
BO
FI
AN
LITOTIPO
Fig. 5.12 - Distribuzione del modulo elastico statico della roccia sana in funzione
del litotipo
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Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
6.
ANALISI
DEI
DATI
Ing. Gianluca ODETTO
ED
ELABORAZIONI
STATISTICHE
6.1 Rilievi geostrutturali
Nel corso dello studio sono stati presi in considerazione quasi 70 siti, per
ciascuno dei quali sono stati eseguiti e/o elaborati uno o più rilievi geostrutturali.
Nel complesso, la distribuzione dei siti tra gli 11 litotipi indagati (Cap. 4)
ha privilegiato nettamente gli gneiss (35 pareti, più o meno uniformemente
ripartite tra il Pinerolese, la Val d'Ossola ed il resto del Piemonte) in ragione della
notevole estensione dei loro affioramenti, mentre le restanti località risultano
abbastanza equamente suddivise tra metamorfiti scistose (6 tra micascisti e
calcescisti), metamorfiti massive (12 tra anfiboliti, oficalci e quarziti), rocce
magmatiche (9 tra graniti, sieniti, dioriti e noriti) e rocce sedimentarie (7 i calcari,
più o meno dolomitici), come risulta evidente dal diagramma di Fig. 6.1.
Dall'elaborazione statistica di ogni singolo rilievo geostrutturale si sono
ricavati i reticoli di Schmidt, riportati in Allegato B,
nei quali appaiono
chiaramente evidenziate immersione e inclinazione dei principali sistemi di
fratture.
Pagina 87
Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
sedimentarie
7
Ing. Gianluca ODETTO
magmatiche
9
metamorfiche m
12
metamorfiche sc
41
Fig. 6.1 - Distribuzione dei rilievi per gruppi di litotipi
A livello di estrema sintesi, si può notare come gli gneiss non si discostino
affatto, a livello di numero di sistemi di fratture, dalle altre metamorfiti scistose:
circa nel 60% dei casi la roccia risulta infatti interessata da 4 o 5 sistemi, mentre le
pareti restanti si suddividono più o meno equamente fra 3 (rispettivamente16%
per gli gneiss e 33% per le altre metamorfiche) e 6 (19% - 25%) sistemi.
Può apparire strana, considerato il modulo elastico nettamente più elevato
della roccia sana, la distribuzione assai simile riscontrata per le rocce magmatiche;
va però anticipato come il numero di sistemi di fratture si sia rivelato in realtà un
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Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
Ing. Gianluca ODETTO
parametro poco significativo, ben maggiore importanza avendo la spaziatura e la
lunghezza delle fratture stesse. Nel complesso nettamente meno interessate da
sistemi di discontinuità le metamorfiti massicce (grazie anche al contributo delle
Oficalci, con gran parte delle fratture ricementate da calcite ed a tutti gli effetti
non più valutabili come discontinuità), peggiori di tutte le sedimentarie
(rappresentate qui esclusivamente da calcari più o meno dolomitici, ben noti per il
loro comportamento "fragile" sotto carico).
In Tab. 6.1 è sintetizzata, litotipo per litotipo, la distribuzione percentuale
(relativamente ai siti studiati) del numero di sistemi di discontinuità riscontrati.
Essendosi comunque il dato in oggetto dimostrato, come già accennato,
poco rappresentativo dello scadimento di "qualità" dell'ammasso roccioso a
seguito della fratturazione, si è ritenuto opportuno ricercare un parametro
maggiormente
in
grado
di
"collegare"
fratturazione
e
comportamento
geomeccanico della massa rocciosa.
Pagina 89
Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
Ing. Gianluca ODETTO
Tab. 6.1 - Distribuzione percentuale dei sistemi di fratture a seconda del litotipo.
Numero dei
sistemi di
discontinuità
Litotipo
1-3
4-5
>5
Gneiss (Luserna)
18%
70%
12%
Gneiss (Ossola)
16%
66%
16%
Gneiss (altri)
33%
42%
25%
Gneiss (totale)
23%
60%
17%
Metamorfiti scist.
(gneiss esclusi)
20%
60%
20%
Metamorfiti massive
42%
58%
0%
Rocce magmatiche
12%
75%
12%
Rocce sedimentarie
0%
86%
14%
A seguito di una serie di valutazioni e di alcuni tentativi preliminari è stato
scelto, come parametro indicativo dello stato di fratturazione dell'ammasso
roccioso, il fattore Jv, in un certo senso in grado di riassumere un insieme di
importanti caratteristiche dei sistemi di fratture (numero, spaziatura, persistenza).
Il valore di Jv corrisponde al numero di discontinuità presenti in un metro
cubo di roccia, e può essere calcolato come somma dell'inverso della spaziatura
dei vari sistemi presenti, secondo la semplice equazione:
Pagina 90
Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
Jv =
1
d1
+
1
d2
+
1
d3
+ .... +
Ing. Gianluca ODETTO
1
dn
Per analizzare in maniera efficace la distribuzione statistica di Jv è stato
utilizzato il programma SPSS, già precedentemente citato; come si può vedere
dagli istogrammi riportati in Fig. 6.2, Fig. 6.3 e Fig. 6.4, i valori risultano essere
tutti compresi nell'intervallo 0 -100, valore quest'ultimo peraltro mai raggiunto.
Considerando mediamente la presenza nell'ammasso roccioso di quattro
sistemi di discontinuità ed ipotizzando una spaziatura identica per tutti, ad un Jv
pari a 100 corrisponderebbe infatti una spaziatura media dell'ordine dei 4 cm, il
che, come evidente, implicherebbe una fratturazione oltremodo accentuata (quale
risulta difficilmente riscontrabile negli ammassi rocciosi, in quanto a gradi così
elevati di fratturazione corrisponde solitamente il collasso della parete rocciosa
stessa).
Nel dettaglio, i dati rilevati hanno fornito valori minimi di Jv pari a 0,4
nell'Oficalce, che presentava in effetti un fronte praticamente privo di
discontinuità, mentre il valore massimo è stato riscontrato nei Calcari di Foresto,
con un Jv pari a 71,3 (che in questo caso, essendo stati rilevati cinque sistemi di
discontinuità e ipotizzando una spaziatura uniforme fra i vari sistemi,
comporterebbe un valore decimetrico della spaziatura stessa).
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Ing. Gianluca ODETTO
40
30
SIENITE
QUARZITE
OFICALCE
NORITE
MICASCISTO
GRANITO
GNEISS
DIORITE
CALCESCISTO
CALCARE
0
CALCARE-SC
10
ANFIBOLITE
Media valori Jv
20
LITOTIPO
Fig. 6.2 - Distribuzione di Jv a seconda del litotipo
14
12
10
8
Media valori Jv
6
4
2
A
B
C
D
Classi di età
Fig. 6.3 - Distribuzione di Jv secondo le classi di età del fronte
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40
30
10
70
60
50
45
40
35
30
25
20
15
12
10
8
7
6
5
4
0
1
Media valori Jv
20
H fronte [m]
Fig. 6.4 - Distribuzione di Jv secondo l’ altezza del fronte
L'esame della distribuzione statistica dei valori di Jv per i versanti studiati
ha suggerito di far corrispondere ai valori di questo parametro quattro classi di
"qualità" della massa rocciosa, così definite:
Jv < 1
Roccia sana
1 < Jv < 5
Roccia debolmente fratturata
5 < Jv < 10
Roccia fratturata
Jv > 10
Roccia fortemente fratturata
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Delle pareti indagate, l'11% circa risulta intagliato in ammassi rocciosi
"sani" (Jv<1), il 17% in roccia debolmente fratturata (1<Jv<5), il 34 % in roccia
fratturata (5<Jv<10) ed il rimanente 38% in rocce fortemente fratturate (Jv>10);
questa ripartizione è evidenziata nel diagramma di Fig. 6.5.
1<Jv<5
18
5<Jv<10
24
Jv<1
5
Jv>10
22
Fig. 6.5 - Distribuzione percentuale del parametro Jv nelle varie classi di "qualità".
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6.2 - Altezza ed età dei fronti studiati
Come già ricordato nel Cap. 4, i versanti studiati sono stati suddivisi in
quattro classi di età (rispettivamente A:<1 anno, B:1-10 anni, C:10-50 anni, D:>50
anni); la ripartizione dei siti indagati tra le varie classi mostra una netta prevalenza
delle età "estreme" (40% classe D, 31% classe A), mentre meno numerosi sono i
fronti di età intermedia (17% classe C, 12% classe B), come risulta dal diagramma
di Fig. 6.6, dove è stato riportato il numero di rilievi per classi di età.
Oltre all'età è stata valutata l'altezza media del fronte, in modo da
permettere una stima del carico litostatico alla base della parete lungo la quale
sono state effettuate le misure. Come risulta dalla Tab. 4.1, i fronti studiati
presentano altezze fortemente variabili, da una decina di metri sino a circa 100
metri; la distribuzione dei fronti rilevati in funzione dell’ altezza è riportata nel
grafico di Fig. 6.7.
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Ing. Gianluca ODETTO
A
20
D
27
B
9
C
13
Fig. 6.6 - Suddivisione dei fronti per classe di età
10
9
9
9
8
7
7
6
5
5
5
4
4
4
4
3
3
3
3
3
3
2
2
1
1
1
1
70
60
50
45
40
35
30
25
20
15
12
10
8
7
6
5
4
0
1
N° rilievi
2
H fronte [m]
Fig. 6.7 - Distribuzione dei fronti rilevati secondo l’ altezza
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6.3 Velocità delle onde elastiche in laboratorio e in situ
Nel corso dello studio è stata acquisita una considerevole quantità di dati
relativi ai parametri in oggetto (vedi Cap. 5 e Fig. 6.9) allo scopo, come già
ampiamente chiarito in premessa, di verificare grado e qualità delle possibili
correlazioni tra velocità delle onde elastiche in laboratorio (Vl) e in situ (Vs) da un
lato, e grado di fratturazione degli ammassi rocciosi (Jv) dall'altro.
Appariva peraltro sin dall'inizio chiaro come, per un utile confronto, fosse
necessario disporre di un unico parametro, meglio se adimensionale, in grado di
risentire in maniera assai marcata dell'influenza delle fratture; una analisi
preliminare ha permesso di individuare questo parametro nel rapporto Vl /Vs, che
permette in un certo senso di prescindere dall'influenza che le caratteristiche
meccaniche della roccia hanno inevitabilmente sulle velocità misurate in situ,
esaltando così al massimo il fattore "fratturazione".
Il parametro Vl / Vs risulta variabile teoricamente tra uno (caso limite di
ammasso roccioso esente da fratture, e quindi con Vl =Vs) e circa 30 (presumibile
valore limite nel caso di roccia dalle eccezionali caratteristiche meccaniche - Vl
prossima a 10.000 m/s - ed ammasso roccioso in cui le fratture, aperte e prive di
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riempimento, risultino addirittura preponderanti rispetto alla roccia - Vs prossima
a 340 m/s, cioè alla velocità delle onde elastiche nell'aria).
Nella pratica, come prevedibile, la variabilità dell'indice Vl /Vs è risultata
assai inferiore; la Fig. 6.10, che riporta la distribuzione di una sessantina di valori
sperimentali, ben evidenzia come - malgrado l'ampia variabilità di litologia, età e
stato tensionale degli ammassi rocciosi indagati - i dati risultino compresi in un
intervallo piuttosto ristretto, spaziando tra 1,88 e 8,39.
Il primo valore corrisponde ad un fronte in Oficalce poco o punto
fratturato, il secondo ad uno in Sienite estremamente fratturata e in classe di età C,
cioè tra i 10 ed i 50 anni (per la quale, quindi, si può ipotizzare che sia stato
raggiunto il completo scarico tensionale, con conseguente apertura delle fratture).
Il dettaglio delle misure effettuate e dei valori di Vl/Vs per i diversi siti
indagati è riportato in Tab. 6.2.
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6000
5500
5000
4500
3500
3000
2500
2000
1500
1000
Vl
500
0
SIENITE
QUARZITE
OFICALCE
NORITE
MICASCISTO
GRANITO
GNEISS
DIORITE
CALCESCISTO
CALCARE
CALCARE-SCIS
Vs
ANFIBOLITE
Media delle velocità [m/s]
4000
LITOTIPO
Fig. 6.9 - Valori medi delle velocità delle onde elastiche in situ (Vs) ed in
laboratorio (Vl), rapportate ai diversi litotipi
6
Media del rapproto VL / VS
5
4
3
2
1
0
E
IT
EN
SI
TE
ZI
AR
U
E
Q
C
AL
C
FI
O
E
IT
R
O
TO
N
IS
C
AS
IC
M
O
IT
AN
R
G
SS
EI
N
G
E
IT
R
TO
IO
IS
D
C
ES
C
AL
C
E
AR
IS
C
SC
AL
C
EAR
C
AL
TE
C
LI
BO
FI
AN
LITOTIPO
Fig. 6.10 - Valori medi del rapporto Vl/Vs rapportati ai diversi litotipi
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Tab. 6.2
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7.
Ing. Gianluca ODETTO
ELABORAZIONE STATISTICA DEI DATI E
RISULTATI
Il notevole lavoro di raccolta dati compiuto sia per via bibliografica sia,
soprattutto, per mezzo di misurazioni dirette in situ ed in laboratorio condotte nel
corso di quasi due anni, è stato finalizzato tramite un'approfondita analisi statistica
delle diverse popolazioni di parametri, effettuata con il supporto di uno dei
software di analisi statistica più completi e diffusi (SPSS ver. 7.5).
Con qesto programma sono state analizzate le possibili correlazioni tra i
seguenti parametri: litotipo, età del fronte, altezza del fronte, Vl, Vs, Vl /Vs, E'd ed
E's (rispettivamente modulo elastico dinamico e statico in situ), Ed /E'd, Es /E's, Nf
(numero dei sistemi di fratture interessanti la massa rocciosa), Jv.
Tralasciando alcuni interessanti e, per certi aspetti, inaspettati risultati, la
cui conferma tuttavia richiederà, a parere di chi scrive, ulteriori indagini sul
terreno e l'acquisizione di una più ampia base dati, già a questo livello di studio
sono apparse di particolare interesse ed adeguatamente supportate da una
sufficiente popolazione di dati le correlazioni tra alcuni parametri fondamentali
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quali il litotipo, la sua "storia" tettonica, l'altezza, l'età del fronte, Vl /Vs, E'd da un
lato, ed il grado di fratturazione dell'ammasso roccioso (Jv) dall'altro.
Prima di passare ad una breve descrizione dei risultati ottenuti, non sarà
inutile sottolineare come il litotipo e la sua storia tettonica (strettamente collegata
alla collocazione geografica dei siti studiati) risultino, specie il primo, ovviamente
fondamentali per una corretta analisi dei dati; nella maggior parte dei casi,
pertanto, le variabili ed il loro grado di correlazione sono stati studiati analizzando
contemporaneamente tre parametri (diagrammi a tre variabili), riuscendo in tal
modo a meglio indagare i reali rapporti di interdipendenza, distinguendo tra
correlazioni "vere" e correlazioni apparenti, semplicemente frutto di casualità.
7.1 Variabilità del grado di fratturazione della massa rocciosa in
funzione del litotipo
E' stata analizzata la variabilità del grado di fratturazione Jv per i diversi
litotipi di ciascuna area geografica; si tratta di una specie di "analisi di taratura"
dei dati acquisiti, volta a verificare la maggiore o minore risposta alle
sollecitazioni tettoniche subite da parte di litotipi con differenti caratteristiche
meccaniche (sostanzialmente, differenti Ed). I risultati (Fig. 7.1) sono stati in linea
Pagina 103
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con le aspettative, confermando, a parità di storia tettonica, il maggior grado di
fratturazione dei litotipi a comportamento più "rigido" (maggiore Ed).
LITOTIPO
50
ANFIBOLITE
45
CALCARE-SC
40
CALCARE
35
CALCESCISTO
DIORITE
30
GNEISS
25
GRANITO
20
MICASCISTO
JV medio
15
NORITE
10
OFICALCE
5
QUARZITE
0
SIENITE
ta
os
'A
ld
V a sa
u
l-S
Va ira
a
l-M na
Va
er
a
us asc
n
l-L
Va rma
e
l-G ola
V a ss
'O
l-d
V a r vo
e
l-C ese
l
Va
ga
re
on
M
i
a
gh
La alte
B
aor
D
ZONA
Fig. 7.1 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) per i diversi litotipi di ciascuna
zona geografica
Pagina 104
Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
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7.2 Variabilità del grado di fratturazione della massa rocciosa in
funzione della collocazione geografica
Si è indagata la variabilità del grado di fratturazione Jv di ogni singolo
litotipo in funzione della diversa collocazione geografica degli affioramenti. Si
tratta di per sé di una correlazione non particolarmente significativa, che ha
tuttavia permesso di verificare la variabilità (all'interno di uno stesso litotipo) del
grado di fratturazione a seconda delle vicissitudini tettoniche subite; l'andamento
combinato dei tre parametri è rappresentato in Fig. 7.2.
50
ZONA
45
40
Dora-Baltea
35
Laghi
30
Monregalese
Val-Cervo
25
Val-d'Ossola
20
Val-Germanasca
Val-Luserna
SIENITE
QUARZITE
OFICALCE
NORITE
MICASCISTO
GRANITO
GNEISS
Val d' Aosta
DIORITE
Val-Susa
0
CALCESCISTO
5
CALCARE
Val-Maira
CALCARE-SC
10
ANFIBOLITE
JV medio
15
LITOTIPO
Fig. 7.2 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) di ciascun litotipo secondo la
zona geografica
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7.3 Correlazione tra grado di fratturazione della massa rocciosa ed
altezza del fronte
E' un parametro che dovrebbe indubbiamente rivestire un ruolo non
trascurabile nell'evoluzione dei sistemi di fratture di un versante, essendo
direttamente collegabile all'andamento dello stato tensionale al piede della parete
(ove, solitamente, si effettuano i rilievi geostrutturali). Si tratta tuttavia di una
relazione forse più complessa del prevedibile, questo parametro agendo al
contempo in due direzioni opposte: da un lato, infatti, un elevato carico litostatico
comporta un marcato gradiente della componente tensionale orizzontale
(conseguendone un più rapido e maggiore sviluppo dei cosiddetti "tension
cracks"), dall'altro la componente verticale del carico può, in certi periodi della
storia evolutiva del versante, portare al "serraggio" dei sistemi di fratture poco
inclinati e non subparalleli al fronte, rendendone più difficile l'individuazione
durante i rilievi.
A conferma di ciò, la distribuzione dei dati ha mostrato (Fig. 7.3) una
correlazione tendenzialmente non lineare tra i due parametri considerati, con i
valori più alti di Jv concentrati in linea di massima in corrispondenza di altezze
delle pareti comprese tra 10 m e 50 m; la complessità del problema non consente
tuttavia, a nostro parere, di esprimere un giudizio definitivo su questo aspetto, che
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Tesi di dottorato in Geoingegneria Ambientale
Ing. Gianluca ODETTO
richiederebbe eventualmente di essere studiato a parte in un più ampio contesto
geografico e litologico, spaziando su di una più ampia mole di dati.
50
LITOTIPO
SIENITE
40
QUARZITE
OFICALCE
NORITE
30
MICASCISTO
GRANITO
20
GNEISS
DIORITE
CALCESCISTO
10
CALCARE
Jv
CALCARE-SCIS
0
ANFIBOLITE
0
10
20
30
40
50
60
70
80
H fronte [m]
Fig. 7.3 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) a seconda dell’altezza del
fronte
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7.4 Correlazione tra grado di fratturazione della massa rocciosa ed
età del fronte
Anche se appare indubbio che l'evoluzione nel tempo di un versante
roccioso porti, per l'effetto combinato di molteplici fattori (acque percolanti, gelo,
sbalzi termici, stato tensionale, ecc...), ad un progressivo scadimento delle
caratteristiche meccaniche proprie dell'ammasso e ad un aumento del grado di
fratturazione, è stato in un certo senso sorprendente constatare la buona
correlazione esistente tra Jv, Vl /Vs ed età della parete rocciosa indagata. Questo
malgrado la difficoltà nel reperire pareti rocciose databili con un buon grado di
sicurezza, e la ovviamente non omogenea distribuzione delle pareti studiate nelle
diverse classi temporali (vedi Cap. 6).
Nei diagrammi di Fig. 7.4 e Fig. 7.5 è riportata la distribuzione dei punti
sperimentali, con i diversi litotipi raggruppati
secondo quattro
categorie
corrispondenti ai termini magmatici, metamorfici massivi, metamorfici scistosi e
sedimentari.
Facendo parziale astrazione dai dati corrispondenti alla classe di età D,
meno numerosi e presumibilmente dispersi su di un intervallo temporale troppo
ampio (da 50 anni a molte migliaia di anni), per i litotipi ad elevato modulo
elastico (Ed>400 MPa ) ed a comportamento essenzialmente "fragile", vale a dire
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rocce magmatiche, sedimentarie (i calcari) e metamorfiche massicce, le figure
citate evidenziano un comportamento simile, con Jv crescente esponenzialmente
al crescere dell'età (linee di correlazione assimilabili ad un ramo di iperbole).
Nettamente diverso l'andamento nel tempo della fratturazione ove si faccia
riferimento alle rocce metamorfiche scistose, contraddistinte in genere da valori
del modulo elastico nettamente inferiori (Ed <400MPa) e da un comportamento di
tipo "plastico": in questo caso si assiste addirittura ad una inversione di tendenza,
con Jv che decresce al crescere dell'età secondo una legge apparentemente lineare
(curva di correlazione assimilabile ad una retta).
Questi primi risultati, pur se necessariamente ancora indicativi a causa del
numero relativamente ridotto di dati, fanno intravvedere la possibilità di
interessanti correlazioni tra grado di fratturazione ed età del fronte, con importanti
risvolti
di
carattere
applicativo,
e
meritano
certamente
un
ulteriore
approfondimento.
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Ing. Gianluca ODETTO
30
20
10
Rocce:
Jv
magmatiche
sedimentarie
0
A
B
C
D
Età
Fig. 7.4 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) a seconda dell’età del fronte
(rocce magmatiche e sedimentarie)
14
12
10
8
6
4
Rocce:
Jv
2
metamorf_m
0
metamorf_sc
A
B
C
D
Età
Fig. 7.5 - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) a seconda dell’età del fronte
(rocce metamorfiche massive e scistose)
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7.5 Correlazione tra grado di fratturazione della massa rocciosa e
rapporto tra velocità delle onde elastiche in laboratorio ed in situ
Si tratta indubbiamente della correlazione più interessante e significativa
(assieme a quella tra Jv ed Ed) emersa dallo studio.
Le elaborazioni statistiche condotte confrontando Jv con Vl /Vs hanno
infatti dimostrato come tra questi due parametri esista una correlazione biunivoca,
definibile con l'ausilio di interpolazioni di tipo non lineare, che l'adimensionalità
di Vl/Vs permette di rendere praticamente indipendente dal litotipo.
Il grande interesse di una siffatta correlazione discende dal fatto che essa
permette sia una valutazione del grado di fratturazione di una massa rocciosa in un
certo senso più "oggettiva", e sicuramente in tempi più ridotti, rispetto ai classici
rilievi geostrutturali, sia di tener conto, in certa misura, anche della terza
dimensione (internamente al versante), che i suddetti rilievi non possono
ovviamente indagare.
Tutto questo senza sminuire, sia chiaro, l'importanza dei rilievi
geostrutturali classici, i quali rimangono gli unici a fornire una adeguata
ricostruzione "spaziale" dei sistemi di fratture, dato questo indispensabile, ad
esempio, per una corretta valutazione dei cinematismi di frana possibili.
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Ing. Gianluca ODETTO
La distribuzione dei punti sperimentali è riportata in Fig. 7.6.a: appare
evidente la possibilità di ottenere, previa esclusione di alcuni punti anomali (fronti
in calcari e sieniti assai antichi e presumibilmente scavati con uso di esplosivo)
una buona approssimazione con un ramo di parabola (Fig. 7.6.b), avente per asse
la retta Vl/Vs=1, vertice nel punto di coordinate 1.0 ed equazione:
Jv = a $ Vl
Vs
2
−1
dove il parametro "a" assume un valore tendenzialmente pari a 1
50
LITOTIPO
40
30
20
10
J
v
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Vl / Vs
Fig. 7.6a - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) al variare del rapporto Vl /Vs
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50
Ing. Gianluca ODETTO
Variabilità di Jv con Vl/Vs
50
Jv
40
a .( x
0)
2
30
1
20
10
0
0
0
0
1
2
3
4
5
x
6
7
8
9
10
10
Vl/Vs
Fig. 7.6b - Curva di correlazione tra il grado di fratturazione (Jv) ed il rapporto
Vl/Vs
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7.6 Correlazione tra grado di fratturazione e modulo elastico
dinamico in situ
Come in un certo senso prevedibile, considerata la stretta derivazione del
modulo elastico dinamico in situ E'd con la velocità delle onde elastiche Vs
(Cap.5), quasi altrettanto buona della precedente si è rivelata la correlazione tra Jv
ed E'd, anche se in questo caso un fattore non trascurabile di dispersione è
rappresentato dalla non "adimensionalità" del parametro, ovviamente influenzato
dal fattore "litotipo".
Con la parziale eccezione, infatti, di alcune rocce a comportamento
particolarmente "fragile" (i calcari) i punti sperimentali ottenuti risultano ben
approssimabili, come evidenziato nei diagrammi di Fig. 7.7a e Fig. 7.7b, con un
ramo di iperbole avente per asintoti verticale e orizzontale rispettivamente le rette
di equazione:
E ∏ d = −5
e
Jv = 0
ed equazione generale:
∏
Jv = E d +∏ 2000
15 $ E d − 75
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50
LITOTIPO
SIENITE
QUARZITE
40
OFICALCE
NORITE
30
MICASCISTO
GRANITO
GNEISS
20
DIORITE
CALCESCISTO
10
CALCARE
Jv
CALCARE-SC
0
ANFIBOLITE
0
20
40
60
80
100
120
140
160
E'd [GPa]
Fig. 7.7a - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) al variare del modulo elastico
dinamico in situ (E'd)
50
Variabilità di Jv con E'd
50
Jv
40
a .x
c .x
b
30
d
20
10
0
0
0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
x
90
100 110 120 130 140 150 160
160
E'd[GPa]
Fig. 7.7b - Correlazione fra il grado di fratturazione (Jv) e il modulo elastico
dinamico in situ (E'd)
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7.7 Correlazione tra grado di fratturazione e modulo elastico
dinamico della roccia sana
Rispetto ai casi precedenti, la correlazione in oggetto dovrebbe in teoria
risultare assai più aleatoria, considerato che, a parità di modulo elastico, il grado
di fratturazione dipenderà ovviamente dalle vicissitudini tettoniche subite dalla
massa rocciosa.
Sorprendentemente, si è invece ottenuto un discreto grado di correlazione
(Fig. 7.8a e Fig. 7.8b) utilizzando un ramo di iperbole con asintoti verticale ed
orizzontale rispettivamente di equazione Ed = 50 e Jv = 0, ed equazione generale:
Jv = Ed + 10000
4 $ Ed − 70
Anche in questo caso, pochi punti anomali sono in massima parte
imputabili ad affioramenti di calcari con pareti assai "vecchie" ed estremamente
fratturate, e a fronti intagliati in sienite con probabile ricorso all'uso di esplosivo, e
conseguente anomala fratturazione "indotta".
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50
LITOTIPO
SIENITE
40
QUARZITE
OFICALCE
NORITE
30
MICASCISTO
GRANITO
20
GNEISS
DIORITE
CALCESCISTO
10
CALCARE
Jv
CALCARE-SC
0
ANFIBOLITE
0
100
200
300
400
500
600
700
Ed[GPa]
Fig. 7.8a - Variabilità del grado di fratturazione (Jv) a seconda del modulo elastico
dinamico della roccia sana (Ed).
50
Variabilità di Jv con Ed
50
Jv
40
a .x
c .x
b
30
d
20
10
0
0
0
0
87.5
175
262.5
350
x
437.5
525
612.5
700
700
Ed[GPa]
Fig. 7.8b - Correlazione fra il grado di fratturazione (Jv) e il modulo elastico
dinamico della roccia sana (Ed).
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CONCLUSIONI
Lo studio svolto nella presente tesi ha permesso di individuare interessanti
correlazioni tra il grado di fratturazione desumibile dai classici rilievi
geostrutturali ed un parametro di facile ed oggettiva determinazione quale il
rapporto tra velocità delle onde elastiche in laboratorio (Vl) e in situ (Vs), vale a
dire tra velocità nella roccia sana (esente da fratture visibili) e velocità in un
ammasso roccioso fratturato.
Una correlazione di questo tipo risulta di particolare interesse applicativo
per più ordini di ragioni.
In primo luogo, i classici rilievi geostrutturali, insostituibili per acquisire
un quadro puntuale di spaziatura, persistenza e distribuzione spaziale dei sistemi
di fratture (indispensabile per una compiuta valutazione dei possibili cinematismi
di frana), necessitano comunque, per una corretta esecuzione, di personale
specializzato e dotato di una certa esperienza, risultando di effettuazione piuttosto
laboriosa ed affetti da un inevitabile grado di soggettività; essi, inoltre, non sono
ovviamente in grado di fornire informazioni oggettive sul grado di fratturazione
all'interno della massa rocciosa.
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Le misure di velocità delle onde elastiche in situ, di contro, pur
richiedendo una strumentazione certo più impegnativa di quella necessaria per i
rilievi geostrutturali (ma non eccessivamente costosa, e di uso abbastanza
semplice), forniscono in un certo senso dati più svincolati dall'interpretazione
dell'operatore, presentano tempi di esecuzione abbastanza ridotti e, soprattutto,
risentono in certa misura della fratturazione all'interno della massa rocciosa (per
profondità limitate in genere a pochi metri, ma praticamente corrispondenti alla
fascia di maggiore interesse per lo studio della stabilità di pareti rocciose
fratturate).
Il ricorso ad un parametro quale Vl /Vs, inoltre, ha permesso di ottenere
una correlazione con Jv in un certo senso svincolata dalle caratteristiche
meccaniche dei diversi litotipi, riducendo ad una sola curva (con ovvi vantaggi
pratici) lo sciame che si sarebbe ottenuto facendo riferimento al solo valore di Vs,
ovviamente diverso, a parità di grado di fratturazione, da litotipo a litotipo.
In secondo luogo, l'uso di queste curve di correlazione permette di
estendere rapidamente in zone tettonicamente omogenee, e quindi con
isoorientamento dei principali sistemi di fratture, le risultanze puntuali dei rilievi
strutturali, riducendone il numero minimo necessario e consentendo di verificare
l'omogeneità del grado di fratturazione nelle zone di competenza di ciascun rilievo
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(zone che potranno quindi essere ampliate o ridotte sulla base di valutazioni
oggettive).
In terzo luogo, la velocità delle onde elastiche in situ risente
particolarmente delle fratture all'interno della massa rocciosa, parametro questo
ovviamente non direttamente valutabile con i rilievi strutturali ma di enorme
importanza, anche se spesso sottovalutata, per il ruolo che può rivestire
nell'indurre spinte idrostatiche instabilizzanti.
Di non secondario interesse, inoltre, risulta la possibilità di efficaci
correlazioni tra Jv ed i moduli elastici ricavati dalle misure di velocità delle onde
elastiche in situ (E'd) ed in laboratorio (Ed).
Per quanto riguarda il primo, se da un lato il rapporto Vl /Vs si fa preferire
per la già citata "adimensionalità" rispetto al fattore litotipo, dall'altro E'd appare
fors'anche più interessante in prospettiva futura, quando cioè, disponendo di un
adeguato numero di dati sperimentali, sarà possibile elaborare curve di
correlazione relative a ciascun singolo litotipo. In tal caso questo parametro sarà in
grado di fornire non solo valide indicazioni sul grado di fratturazione della massa
rocciosa, ma anche un indice delle caratteristiche geomeccaniche della massa
stessa.
Riguardo al parametro Ed, esso è stato in questa ricerca utilizzato
essenzialmente come parametro di raffronto e taratura, ricavando da esso il
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modulo elastico statico Es onde verificare, per raffronto con i valori di Es ottenuti
attrverso le classiche prove di laboratorio, il grado di attendibilità dei valori di Vl
misurati e delle elaborazioni effettuate.
Tuttavia, se ulteriori dati e sperimentazioni confermeranno la bontà della
correlazione emersa e permetteranno di affinare ulteriormente il calcolo di Ed a
partire dalla velocità delle onde elastiche misurate in laboratorio, si aprirà un
campo di grande interesse, che permetterà di sostituire, almeno a livello di prima
valutazione, le costose prove di carico tradizionali con le ben più rapide ed
economiche determinazioni di Vl.
Per concludere, una menzione particolare si ritiene meriti il legame tra Jv e
l'età del fronte indagato, il quale, pur se in un certo senso prevedibile, ha sorpreso
per l'inaspettato grado di correlazione. Le curve ipotizzate, pur se la base dati
appare indubbiamente da incrementare, costituiscono infatti, a parere di chi scrive,
un primo importante passo verso la possibilità di valutare l'evoluzione nel tempo
del grado di fratturazione di un versante.
E' immediatamente intuibile l'importanza applicativa di un simile
strumento che, una volta "validato" su larga scala, permetterebbe, ad esempio, di
trasformare i dati di fratturazione ottenuti dai rilievi condotti su una parete
naturale (età molto elevata) in quelli indubbiamente meno penalizzanti da porre
alla base delle verifiche di stabilità di una parete "recente" o continuamente
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rinnovantesi (quale un fronte di cava) o, viceversa, di trasformare i parametri
"letti" su una parete recentemente collassata in quelli, più cautelativi,
prevedibilmente raggiungibili a lungo termine a causa dell' evoluzione "negativa"
della parete stessa.
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A
Tabella riassuntiva dati acquisiti e
risultati elaborazioni
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B
Stereogrammi dei siti indagati
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C
Misure di velocità delle onde elastiche
in situ
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D
Misure di velocità delle onde elastiche
in laboratorio
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