Raid delle squadracce dell`Akp, senza pace la

Raid delle squadracce dellAkp, senza pace la
comunità alevita
- Chiara Cruciati, 23.07.2016
Turchia. La minoranza più numerosa del paese costretta ad organizzare comitati di difesa per i
quartieri presi d'assalto. Non una novità: per metà kurdi e vicini a movimenti marxisti-leninisti, gli
aleviti sono target da tempo per ragioni etnico-religiose e politiche
Lunedì è stato il giorno peggiore a Gazi: i residenti hanno provato ad innalzare barricate per
impedire alla polizia di entrare. Non ci sono riusciti: i poliziotti turchi hanno avvolto il quartiere di
Istanbul con i gas dei lacrimogeni, contro chiunque tentasse di affacciarsi in strada. Da lontano,
dicono, si potevano vedere nuvole bianche sovrastare i tetti delle case.
Non uno spettacolo inedito a Gazi, dove vive la minoranza religiosa più numerosa della Turchia,
quella alevita. Derivazione dello sciismo, influenzata dal sufismo, nonostante rappresenti il 10-15%
della popolazione totale (tra i 7 e i 10 milioni di persone) è target delle varie autorità turche che si
sono succedute da Atatürk in poi.
Il “padre dei turchi” fu sostenuto allinizio dalla comunità che si vide riconoscere pari diritti, prima
negati dallimpero ottomano. Ma gli anni immediatamente successivi sono stati segnati da
repressione e massacri, fino a quello del 1995 quando attacchi armati ad alcuni cafè spalancarono la
strada a giorni di scontri che uccisero 23 persone.
Con il regime dellAkp la situazione non è migliorata: la “sunnizzazione” della società è stata il volto
della sua più generale islamizzazione. E gli aleviti ne restano fuori. Per motivi religiosi, ma anche
etnici e politici: per metà di etnia kurda, radicata classe operaia, sono tradizionalmente sostenitori di
movimenti marxisti-leninisti e vicini al Dhkp-C, Partito Rivoluzionario dei Popoli, movimento di
estrema sinistra messo al bando in Turchia. Lo storico laicismo alevita e le aspirazioni di
uguaglianza sociale li hanno fatti transitare dal kemalismo della prima ora al socialismo.
Da anni i blindati della polizia fanno la ronda nel quartiere-roccaforte di Istanbul, una presenza che
si abbina ad unassenza: quella di servizi sociali e pubblici costanti e di qualità. Ma nelle ore
successive al tentato golpe del 15 luglio, un surreale silenzio è calato a Gazi: le forze di sicurezza
erano impegnate altrove.
La calma è durata poco. Le tensioni con la polizia, che invade con regolarità i quartieri aleviti, hanno
subito unevoluzione drammatica: seppur lontani per ovvie ragioni dallimam Gülen, capro espiatorio
del golpe, la comunità è stata etichettata come complice.
E se molti degli epurati da magistratura e uffici pubblici sono aleviti, a preoccupare ora sono le
squadracce di picchiatori che fanno la ronda nelle città turche. Sostenitori del presidente Erdogan
vagano per le strade alla caccia di “traditori” da punire. Già allindomani del fallito putsch, in mille
hanno preso dassalto Gazi, scontrandosi con i residenti. «LAkp è qui, dove sono gli aleviti?»,
gridavano mentre entravano con le auto nelle strade e tra le case.
Non ottenendo protezione dalle forze di sicurezza, gli aleviti provvedono da soli organizzando
squadre di difesa. La costante chiamata alla piazza da parte dei vertici governativi – che spingono la
base a mostrare la propria esistenza a Istanbul come Ankara – per gli aleviti è sinonimo di violenze.
«Noi non siamo a favore del golpe – dice ad Al Jazeera il 29enne Arif Kavak – Il tentativo di colpo di
Stato ci ha preoccupato perché ne abbiamo esperienza, ne deriva sempre qualcosa di peggio».
Kayak è uno dei giovani che hanno aderito al comitato di difesa locale del quartiere, creato per
rispondere alle squadre, spesso armate, di pro-governativi. «La gente ha iniziato a creare unità di
auto-difesa per proteggersi dai raid dellAkp – aggiunge Ertugrul Kurkcu, parlamentare dellHdp,
partito di sinistra pro-kurdo – I gruppi più vulnerabili sono le donne, gli aleviti e i kurdi».
Linquietante parallelismo – violenza militare e violenza “civile” – trova la sua rappresentazione fisica
in piazza Taksim. Il luogo della rivolta anti-governativa di tre anni fa, simbolo del movimento
anti-liberista ed ecologista di Gezi Park a cui gli aleviti parteciparono, è oggi preda di ben altra
campagna. È il teatro dellesaltazione delluomo forte, del presidente-sultano e della sua congrega di
sostenitori che legge nelle purghe di massa l’equazione tra stabilità e repressione del “diverso”.
È qui a Taksim che da venerdì notte migliaia di persone, gambe e braccia di Erdogan, si riuniscono
per bruciare fantocci di Gülen, inebriarsi di nazionalismo e (alcuni di loro) far partire i raid.
Dopotutto Gazi è lì vicino, a pochi passi. Come lo è linsanabile spaccatura di un paese già diviso
dalle politiche dellAkp che di polarizzazione si alimenta.
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