Giuliana Morini Società post-industriale e ricerca della felicità

Giuliana Morini
Società post-industriale
e ricerca della felicità
Numero XI - Anno MMXIV
I Quaderni della Libera Officina
I Quaderni della Libera Officina
La Libera Officina per la Crescita Umana e Sociale “LOCUS” è un laboratorio culturale nato a Brisighella con lo scopo di promuovere i valori
umani e la crescita della persona e della società.
E’ stata fondata da Daniele Callini e da Giuliana Morini per realizzare
diverse iniziative, servizi ed attività culturali, formative e scientifiche a favore di persone e istituzioni, senza alcuna finalità di lucro. Le entrate economiche e i proventi delle attività della Libera Officina sono infatti utilizzati per la realizzazione delle sue attività istituzionali di ricerca e formazione.
I “Quaderni della Libera Officina” si propongono quindi di dare vita a
una vera e propria collana di eBook fruibili gratuitamente, quale strumento
di studio, condivisione e diffusione della conoscenza.
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I diritti relativi al testo, pubblicato in rete il 26 maggio 2014, sono di proprietà dell’autore. E’ vietata la riproduzione non autorizzata, con qualsiasi
mezzo effettuata, anche se parziale, a uso interno o didattico.
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INDICE
Prefazione
pag. 4
Società post-industriale e ricerca della felicità
pag. 5
Bibliografia
pag. 33
Brevi note biografiche sull’autore
pag. 35
3
Prefazione
Nei diversi ambiti del vivere sociale assistiamo oggi a
continue trasformazioni che sono fonte di nuove e molteplici opportunità, nonché di non trascurabili minacce.
Di fronte a un panorama così pregno di sfide e incertezze occorre fare appello alle risorse generative delle persone.
Il presente compendio organizza, sotto forma di assunti
interpretativi di sintesi, gli studi realizzati dalla Libera Officina, grazie a: 1) la consultazione sistematica delle più
significative fonti scientifiche inerenti il tema, 2) gli esiti
di alcuni recenti viaggi di studio, 3) gli apporti professionali a sostegno delle attività di ricerca, 4) le riflessioni sviluppate all’interno della Consulta, 5) la pubblicazione
Complessità Creativa, di Daniele Callini, promossa e finanziata dall’associazione.
I risultati conseguiti e proposti in questo Quaderno costituiscono quindi non solo piste di ulteriore approfondimento sociologico e antropologico ma pure traiettorie di progettualità sociale, o meglio ancora, esistenziale.
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Società post-industriale e ricerca della felicità
1. La società post-industriale è la società della differenziazione e della complessità. In essa assume un ruolo centrale la ricerca delle felicità. La società post-industriale è
movimento, rapidità, dinamicità, continuo divenire, progettualità e intraprendenza. L’ipercomplessità della struttura sociale e economica della nostra epoca accelera costantemente i tempi del cambiamento. Tutto muta più in fretta,
e molte volte non c’è neanche il tempo di adattarvisi.
Spesso addirittura le trasformazioni attraversano i soggetti.
Gli passano addosso punto e basta. Un istante dopo si rialzano confusi e ammaccati. Attoniti, intontiti, basiti, cercano allora di rimettersi in piedi e di ridefinire una Via.
Scelgono sovente tra quelle che vedono possibili. Casomai
intraprendono proprio quelle che emotivamente, in quella
situazione particolare in cui si trovano, è più rassicurante.
La meno rischiosa. La più sopportabile. Quella che sentono di poter affrontare meglio, con le risorse che sono rimaste. Intanto si vive nel desiderio di una felicità possibile.
2. Economie, mercati, prodotti, tecnologie, saperi, negli
ultimi anni hanno visto, come non mai, un processo di differenziazione di portata immane, tale da mettere in crisi
qualsiasi sistema organizzato. Ma la trasformazione non ha
toccato solo il discorso della vita funzionale e pragmatica,
quale è l’economia. La differenziazione è pervasiva. Non
risparmia alcun sistema. Tutti i mondi dell’esperire sociale
ne sono toccati. Dunque non solo l’economia. E con essa
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lavoro, produzione, consumo. Pure la politica. La scienza.
La cultura. La comunicazione. Il linguaggio. L’arte. La
famiglia. Le relazioni. La spiritualità. Ognuno di questi
può considerarsi sistema. Un sistema per poter sopportare
maggiore complessità proveniente dal suo ambientesistema, si differenzia al proprio interno. Specializza parti,
funzioni, organi, in modo da poter governare le incertezze
prodotte dalla complessità esterna. Così da renderle più
prevedibili, osservabili, gestibili. Tuttavia il sistema diviene più complesso e richiede, assieme a queste nuove unità
specializzate, processi e sottosistemi di integrazione, di gestione delle sempre più numerose parti differenziate. In
questo modo cresce non solo la complessità interna ma pure l’interna, oltre a quella relazionale e comunicativa tra il
sistema stesso e il suo “ambiente-contesto”. L’orizzonte di
felicità diviene dunque più incerto e impone una riappropriazione di senso, una progettualità consapevole.
3. Viviamo in una società che è contemporaneamente
“post” e “industriale”, antropologicamente “industriale” e
“agropastorale”. Coesistono insomma culture e paradigmi
di vario genere: la liturgia della terra e quella del manufatto a alta tecnologia, la comunicazione nella piazza e nella
rete, luoghi intrisi di tradizione e “non luoghi”, il ritiro in
forme di contemplazione dai tratti monastici e le innumerevoli forme di evasione edonistica o narcisistica. E’ evidenza storica che la società agricola e dei mestieri sia durata diversi millenni. E’ tuttora presente in molti paesi del
pianeta, certamente nei luoghi più poveri, ma anche accanto ai distretti tecnologici, ai grandi templi del commercio,
oppure nelle prossimità delle aree urbane. Poi ecco arriva6
re, nel corso dell’evoluzione della civiltà, la società industriale che ha rappresentato invece un periodo molto breve
della storia umana, poco più di due secoli. Questo modello
di società se da un lato ha garantito la difesa del sistema
democratico e liberale, per altri versi ha prodotto una massificazione controllata dal potere economico. Di fatto questa struttura sociale è stata sempre più vulnerabile a nuove
forme di totalitarismo di impronta capitalistica, o comunque di manipolazione mediatica. Pur non essendo ancora
completamente conclusa la fase storica della società industriale si è già entrati a pieno titolo in quella postindustriale. Elettronica, informatica, telematica, oramai
coinvolgono ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Le
dimensioni spaziali e temporali perdono di significato in
quanto vincoli, grazie alla diffusione su scala mondiale
delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
4. Nella società post-industriale si è assistito a fenomeni
come la deindustrializzazione, la terziarizzazione, la globalizzazione o internazionalizzazione delle economie. I sistemi di valori non sembrano ancora così ancora chiaramente definiti. Convivono differenti anime: tecnocrazia,
meritocrazia, solidarietà globale, pace, qualità della vita,
polverizzazione dei movimenti etnici, spirituali, ideologici,
sociali. I rischi di questo modello hanno invece già preso
forme abbastanza definite: manipolazione, nuove emarginazioni, salute psichica, problemi ecologici, conflitti etnici, relativismo etico.
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5. Il benessere materiale per una certa stagione, della durata di qualche generazione, è apparso essere più diffuso
rispetto al passato. Eppure le più recenti crisi economiche
e finanziarie di carattere internazionale hanno alimentato e
diffuso un profondo senso di inquietudine e di insicurezza
rispetto al futuro. Incertezza, ansia, paura sembrano invadere l’essere umano. Nella società post-industriale anche
la realtà della vita quotidiana, data consuetudinariamente
per scontata, entra in crisi. L’incertezza circa il futuro mina anche la percezione sociale del quotidiano.
6. Il mondo post-industriale (quello occidentale) è ricolmo di opportunità, “appetitose e seducenti“. Ognuna di
queste opportunità (di consumo) può compensare la precedente, all’infinito, sino a esorcizzare la morte. Poiché esse
sono infinite, e l’economia grazie alla scienza ha il compito di renderle tali, nessuno potrà aggrapparsi o radicarsi in
una di essa, immaginandola come perenne, immutabile.
Ogni opportunità (di consumo) sarà quindi fluida, liquida,
come il capitalismo leggero rivolto al consumatore, che ha
generato molteplici autorità, una pluralità differenziata
(ancora una volta liquida) di luoghi e centri di potere. La
liquidità, o fluidità, è una metafora pertinente della modernità, dell’attuale società post-industriale. L’epoca moderna
è estremamente flessibile, in continua espansione, costantemente mutevole, aleatoria, senza certezza, come il movimento di un fluido.
7. La storia del consumismo - che da pesante e fordista,
basato sul bisogno, è divenuto leggero, liquido, prodotto
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dal desiderio - traccia i percorsi della disgregazione della
domanda sempre più fantastica e dell’abbattimento degli
ostacoli solidi al suo soddisfacimento. Ma pian piano il desiderio è divenuto il nuovo colpevole delle crisi di autenticità degli Io interiori, allora anch’esso è stato sostituito, dal
capriccio, un nuovo stimolante più indolore al consumo.
Attraverso quest’ultimo ritrovato emozionale l’acquisto
può liberarsi da ogni vincolo, da ogni colpa, divenendo casuale, imprevisto, spontaneo, quindi solo apparentemente
autentico.
8. La cultura post-industriale pone le sue fondamenta sui
paradigmi economici della società industriale e pare, almeno a prima vista, avere depositato nella soffitta della
memoria le radici simboliche della cultura agro-pastorale.
La società industriale è nata, è cresciuta, si è diffusa, per
rispondere a esigenze razionali e funzionali di costrutti e
scopi ancorati ai principi solidi del capitalismo, primo fra
tutti quello utilitaristico. A tale orientamento si sono recentemente opposti alcuni movimenti - di riscoperta di valori
unificanti quali la solidarietà, la pace, la tutela ambientale che hanno sostenuto l’idea di un’economia sociale (che taluno definisce locale, o addirittura della “felicità”) capace
di conciliare esigenze individuali e collettive.
9. La globalizzazione economica che ha dato vita a una
società dei consumi senza frontiere rappresenta “il trionfo
assoluto della religione della crescita”. Dunque la “sovracrescita” dovrà prima o poi confrontarsi con la finitezza
delle risorse terrene, poiché “una crescita infinita è incom9
patibile con un pianeta finito.” E ancora: “Lo sviluppo
economico non è affatto il rimedio ai problemi sociali ed
ecologici che affliggono la terra, anzi ne è la causa.” La
mano invisibile del mercato “senza regole e né frontiere”
ha insomma trasformato l’essere umano in una macchina
di produzione e di consumo, celebrando la fede assoluta
nel Progresso, nella Tecnica, nella Scienza, nella Crescita
Economica, nella Razionalità Assoluta. Le conseguenze di
questo processo sono decisamente preoccupanti: il pragmatismo cinico, lo scetticismo e il relativismo etico, il narcisismo e l’individualismo edonistico.
10. Lo sviluppo della società capitalistica si è fondato su
due dogmi: 1) senza crescita economica non vi può essere
benessere sociale; 2) senza crescita economica non vi può
essere pace sociale. Non a caso la separazione tra etica sociale e consumo di massa si è verificata con maggiore forza nella società capitalistica per eccellenza, quella americana. Proprio in questa società ha preso piede un’etica sociale che di fatto ha adattato l’etica individualistica alla società di massa e ha trasformato la “solidarietà sui fini” in
“conformismo solidale”. In altri termini il conformismo
dei comportamenti di massa è divenuto il nuovo collante
sociale, spiazzando l’adesione a fini comuni inerenti il
“senso” del progresso, della storia, dello sviluppo sociale.
11. I mezzi hanno preso il posto dei fini. Anche
nell’arena politica, così come nella vita economica e sociale. I nuovi eroi e i nuovi miti non sembrano più coloro che
percorrono sentieri ardui per una causa collettiva, ma piut10
tosto individui spregiudicati, abili intercettatori di scorciatoie, scaltri affaristi, manipolatori dei mezzi comunicativi.
La società post-industriale ha ribaltato il rapporto finimezzi. L’umanità sembra oggi alla costante ricerca di
“perfezione funzionale”, ovvero di centratura sui mezzi,
con il conseguente abbandono del primato dei fini. Questa
illusione della perfezione è legata in qualche modo alla
chimera dell’immortalità umana. La realtà è che tutti gli
esseri umani sono limitati e vivono in un mondo imperfetto, che non possono conoscere, controllare, governare, sino
in fondo. Si tratta di una verità dura da accettare, soprattutto da parte di chi è sedotto dal “materialismo come fine”.
L’ansia da prestazione che ne deriva (nella sfera professionale, sociale, privata) è traboccante, sino a incrinare le
identità delle persone e il loro sistema profondo di valori.
Pur di “vincere la gara”, qualsiasi “compromesso” o “scorciatoia” sono accettabili. Il cinismo ha una funzione anestetica, permette di prendere le distanze dal tradimento della propria coscienza. E’ sempre possibile appellarsi
all’alibi dell’efficienza e dell’efficacia. E’ come se le persone e i sistemi sociali avessero perduto la loro anima, il
loro “telos”, in cambio di dosi mai sufficienti di benessere
materiale, in ogni istante e in ogni luogo desiderabili e
consumabili.
12. La crescita meccanicistica del mercato e delle organizzazioni burocratiche ha favorito lo sviluppo di una cultura “asociale” e “aspirituale”, ma soprattutto ha concentrato l’attenzione sull’immanenza funzionale. I bisogni di
trascendenza e di socialità, di ricerca di un fine, di incontro
con gli altri, di espressività esistenziale, sono stati inariditi
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e impoveriti dalle organizzazioni del consumo. La fine del
secondo millennio si connota per un rinnovato interesse
delle questioni immateriali, intangibili, latenti. La nostra
epoca, segnata da un incessante progresso tecnologico, ma
anche da enormi e planetarie contraddizioni sociali e economiche, manifesta un insaziabile e emergente bisogno di
riflettere su sé stessa. Nonostante la società intera, le sue
istituzioni organizzate e i suoi attori sentano questa necessità latente, non sempre si fermano a ascoltarla, decodificarla, interpretarla. Per pigrizia, per paura, per accidia, per
comodità.
13. Alla radice dei diversi problemi della società moderna e dei suoi sistemi organizzati vi è crisi di “senso” che,
oltre a determinare un dilagante “relativismo etico”, finisce col sostenere e riprodurre all’infinito un’illusoria e sterile ricerca di forme effimere di successo, spesso condizionate da invisibili processi di consumo coatto. Si diffonde
così quel sentimento sociale ispirato al più cinico pragmatismo quotidiano, che trasferisce il carpe diem anche nella
sfera funzionale, oltre che edonistica. La società propone
così il valore del “qui e ora”, del presente. Relegando il
passato su un piano marginale.
14. L’essere umano è nel contempo biologico, psichico,
sociale, affettivo, razionale. Qualsiasi conoscenza pertinente non può trascurare questa multidimensionalità. Nello scenario post-industriale diventa primario il ruolo
dell’educazione, non solo per comprendere il futuro, ma
soprattutto per riformare il pensiero, in modo da affrontare
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le complesse sfide che attendono noi, ma soprattutto le
nuove generazioni. Servono domande di significato. I
principali quesiti dell’epistemologia e dell’ontologia esistenziale si spingono proprio a ricercare con una certa urgenza l’idea di umano. Che cosa significa conoscere? Quali sono i rischi della conoscenza? Che posto hanno l’errore
e l’illusione? Dove nascono? Come cogliere le relazioni e
le influenze tra le parti e il tutto in contesti complessi?
Come convivere con le incertezze? Come insegnare la
condizione umana? Come educare alla comprensione
umana e alla relazionalità? Come sviluppare una comunità
planetaria attraverso processi democratici? Come trovare
in un’operosità pregna di senso una ragione di felicità?
15. E’ proprio nella complessità della società postindustriale che aumenta il fabbisogno di un’autentica consapevolezza. Questa esigenza si fa spazio, prima ancora
che nelle strutture organizzate, all’interno delle rappresentazioni soggettive di ogni essere umano. L’apprendimento
esistenziale, quale evoluzione cognitiva, emozionale, ontologica, segue la vita di ciascuna persona e dell’intero genere umano. E’ reso possibile dalla stessa esperienza del vivere e forma, nel corso della crescita di ciascun sistema
psichico o sociale, il suo stesso carattere, la sua identità.
Tutti si apprende dall’esistenza, ma non tutti si consolida
la consapevolezza della vita, dei suoi doni e delle sue illusioni. E’ necessario qualcosa in più del semplice esistere,
serve riflessività dell’esperienza, epistemologia del vivere,
frutto dell’ascolto interiore, dell’umile osservazione fenomenica,
dell’empatia,
dell’autotrascendenza.
Più
l’apprendimento esistenziale procede nel suo cammino, e
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più deve accettare di fare i conti con la complessità. Esso
presuppone un’esplorazione cognitiva e emotiva, mai totalizzante, sempre parziale, della propria esistenza, nei suoi
diversi ambiti, affettivo, sociale e professionale.
16. La razionalità assoluta celebra la sua sconfitta più
profonda proprio nell’era post-industriale. Del resto una
vera razionalità non può non accogliere il limite, il senso,
l’autotrascendenza, lo stesso mistero della vita. L’era postindustriale non è solo società dell’informazione, del terziario, della tecnologia, della conoscenza, della globalizzazione, dell’interculturalità, dell’immagine, e di altro ancora, ma è anche una grande fase - irrisolta, dinamica, contraddittoria, evolutiva - di transizione simbolica e mistica,
circa gli atteggiamenti dell’uomo verso la spiritualità.
17. La dimensione spirituale dell’esistenza è stata trascurata dall’economia dei consumi. Il modello di soggettività,
proposto dal capitalismo globale, è tutto proiettato sulla
dimensione psico-fisica. Sulla fatticità del corpo e della
mente, la cui cura può trovare sul mercato infinite opportunità. Il fitness e tutti i servizi di cura della salute, della
bellezza, del benessere fisico e psicologico, che si sono
progressivamente diffusi nella cultura occidentale, ne sono
la testimonianza più tangibile.
18. Quella post-industriale è società dell’immagine a tutti gli effetti. Le professioni della comunicazione e della visibilità agiscono oramai in ogni campo del vivere sociale:
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economico, politico, scientifico, culturale. Preoccuparsi
dell’immagine evidenzia una delle infinite ambivalenze
delle fenomenologie umane. Perché da un lato l’immagine
è espressione dell’identità e dunque è un presupposto
complementare ai processi sociali e relazionali. Talvolta
l’immagine può divenire persino comunicazione non autentica, manipolatoria, tattica, cinica, funzionale a
un’azione economica o istituzionale. Assistiamo quotidianamente a situazioni di questa natura, sostenute dai nuovi
strumenti mediatici e telematici. Ciò impone il recupero di
un atteggiamento critico, di una distanza cognitiva, necessaria per poter leggere questi fenomeni senza divenirne
vittima, soprattutto da parte di chi, professionalmente opera in questi campi.
19. Un fenomeno caratterizzante della nostra epoca è il
narcisismo: quella esaltazione della propria immagine che
ci porta a rifletterci “fuori”, a canalizzare le nostre attenzioni sulla esteriorità, penalizzando l’interiorità, quindi
l’autenticità. Il narcisismo è una forma di autoinganno.
Siamo circondati da una società sempre più narcisistica.
L’azione sociale è narcisistica. Basti osservare con attenzione al modo di fare politica, di consumare, di produrre
cultura, di informare e, persino di curare o di fare ricerca
scientifica. Il narcisismo si è oramai confuso e mescolato
con la comunicazione. Siamo prigionieri di questi processi.
Una società narcisistica, quale è quella post-industriale,
corre il serio rischio di educare i soggetti allo sviluppo di
un “Ego” pulsante, alla cura ossessiva della propria immagine. Il mito di Narciso celebra l’Io che sa amare solo sé
stesso, escludendosi da ogni forma di relazione autentica
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con gli altri e con il proprio Io Profondo. Ciò che conta è
solo la bellezza esteriore. Vi è un aspetto del mito che appare in un certo senso paradossale. La conoscenza di sé
stesso conduce Narciso alla morte. E’ infatti necessario far
morire il proprio “Ego”, per avere accesso a una dimensione vitale più profonda. Il lavoro interiore è insomma
un’esperienza di sofferenza, di morte simbolica. Occorre
questo sacrificio per poter trovare e realizzare il proprio Sé
autentico. Solo cosi sarà possibile riconoscere e apprezzare
anche l’altro, desiderando così di incontrarlo, accoglierlo,
ascoltarlo. Anche il fitness oscilla tra visione salutistica di
cura del proprio corpo e mera
immagine sociale.
Anch’esso può divenire ossessione performante, fonte di
infelicità perenne.
20. La società post-industriale rifugge dall’idea ontologica della morte. La esorcizza spettacolarizzandola per via
mediatica. Le immagini proposte dai nuovi mezzi di comunicazione di massa, compensano la fuga dalla vita reale, offrendo una distanza protettiva dal dolore. Si possono
allora consumare anche emozioni di sofferenza, espiando
così, le proprie colpe esistenziali, sociali, morali. Oggi vi è
un pessimo rapporto con la morte, a differenza della società agropastorale. La morte non è più un evento biologico e
simbolico, un cambiamento di stato materiale e spirituale,
ma si trasforma in una profonda ferita narcisistica da esorcizzare. Essa da vita a uno stato di incompiutezza permanente, da placare, colmare, nascondere. Essa impone una
creatività edonistica, mondana, compensatoria. La cura di
questo malessere, i cui sintomi sono compulsivi e ossessivi, genera nuove forme di patologie, quelle “tipiche” della
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nostra epoca: l’ansia, lo stress, la frustrazione, l’angoscia,
la deiezione, la depressione.
21. Qualsiasi forma di consumo proposta dalla società
post-industriale si basa sulla ricerca ossessiva del piacere.
Tuttavia questo piacere è uno stato provvisorio, le cui sensazioni hanno anche origini biologiche, oltre che psichiche. Ogni forma di piacere verrà meno con la morte delle
nostre cellule nervose, del nostro corpo. In quel momento
queste sensazioni benefiche si dissolveranno, si svuoteranno di qualsiasi tipo di significato. Per questo motivo il puro edonismo ha senso solo nella misura in cui si crede nel
“non-senso dell’esistenza”.
22. La grande macchina dell’economia capitalistica illimitata ha assunto una sua forza inerziale che sembra persino vivere di vita autonoma rispetto agli interessi particolari
dei suoi attori. Pare quasi che si sia venuto a formare un
organismo dotato di vita propria, capace di autoalimentarsi
e riprodursi, di masticare, digerire e evacuare la speranza,
l’utopia, la visione di un mondo nuovo. Sembra che la storia non ci abbia insegnato nulla, nonostante il progresso
scientifico, che però viene asservito all’economia capitalistica. Questo organismo, che nella sua forma originaria assumeva la forma del puro ingranaggio meccanico, ora divora tutto. E si riproduce, generando bisogni fasulli, inutili, che in qualche modo lo legittimano. L’illusione collettiva viene celebrata in luoghi, riti, processi dedicati e vocati
alle divinità mercantili, mediatiche. Ecco alcune parole
chiave del nuovo paradigma culturale: consumo coatto;
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desideri effimeri; immagine e apparenza; narcisismo; edonismo; utilitarismo; cinismo; pragmatismo; consumismo,
individualismo.
23. La più grande finzione è la libertà di scelta sul mercato. Ci sono molti più prodotti diversificati da poter scegliere. I consumatori credono che sia così aumentato il loro potere. In realtà è diminuito. Perché tutto ciò ha un costo. E questo costo aggiunto è sempre più motivo di infelicità, di sfruttamenti sociali, di degrado ambientale, di corruzioni, di distruzione delle tradizioni culturali, di stress e
di competitività senza regole e confini.
24. La forza dell’economia che viene esclusivamente
misurata con indicatori di crescita quantitativa e di produzione, in realtà ha assunto, negli ultimi decenni, una pulsione distruttiva, che non guarda al bene comune degli esseri umani e delle generazioni future, ma solo all’interesse
di pochi e soprattutto al mantenimento e incremento di sé
stessa. Oramai l’economia è un organismo mostruoso invadente, nel senso che ha letteralmente invaso ogni sfera
dell’intero vivere sociale. Questi è disinteressato dalla qualità reale della vita e si preoccupa di omologare e piegare il
pianeta alla propria immagine. Essendo una degenerazione
dell’illusione dello sviluppo illimitato e l’effetto
dell’irresponsabilità di pochi avidi e potenti, a discapito
dei più, questo organismo ha diffuso le sue metastasi nel
tessuto sociale dell’intero pianeta e impedisce alla stessa
idea liberistica di contrarsi quanto basta per accogliere in
sé il seme della responsabilità sociale di una crescita eco18
nomica sostenibile. Il liberismo può essere solo un mezzo,
non un fine. Così come il profitto, il danaro. Il fine sono la
condizione umana, la salvaguardia delle sue diverse forme
di dignità, e il rispetto del pianeta che gentilmente ci ospita
e ci dona i suoi frutti. Ogni sistema di potere genera proprie forme di controllo, una certa realtà culturale, norme e
sanzioni, oltre a regole tacite. Da vita, inoltre, suoi ingranaggi sociali e di comunicazione, sia sul livello simbolico
che su quello funzionale. Il principale scopo è la manutenzione delle percezioni collettive che garantiscono, allo
stesso sistema di potere, la sopravvivenza per via della
rappresentazione sociale della realtà. La realtà sociale viene infatti data per scontata dai più, essa non si distingue,
nell’immaginario ordinario, dalla verità.
25. Il passaggio dalle cosiddette economie di scala a
quelle della flessibilità (denominate pure della diversificazione o dell’appropriatezza, ma anche dei servizi, o
dell’informazione, o ancora, della conoscenza), ha effetti
senza precedenti storici sul lavoro e sulle persone. Si riducono certezze e garanzie per “tutti” determinate dalla
scomparsa di produzioni obsolete, dalla nascita di nuovi
servizi e professioni, dalla trasformazione dei lavori tradizionali. Si sviluppa una cultura della mobilità professionale, organizzativa e geografica, assieme a alternanza continua tra studio e lavoro, per tutta la vita. Si diversificano le
tipologie e le forme giuridiche di rapporto di lavoro. Aumentano la flessibilità rispetto a luoghi, tempi e contenuti
del lavoro, nonché l’attenzione delle persone verso “la
qualità della condizione di lavoro e la qualità della vita”
nelle loro scelte professionali. Rispetto ai saperi è di mag19
giore importanza il possesso congiunto di abilità specialistiche, conoscenze polivalenti e attitudini comportamentali
di base, necessarie per affrontare ogni tipo di cambiamento. Si formano nuovi linguaggi tecnici, è crescente il peso
delle competenze linguistiche. Tuttavia si vanno altresì
diffondendo nuove precarietà lavorative, nuove forme di
povertà e di emarginazione sociale, soprattutto per i soggetti a basso potenziale e con minori opportunità economiche e culturali. Il passaggio dalla società industriale a quella post-industriale trasforma il modo di lavorare. Nascono
nuove professioni, vecchi mestieri cambiano “pelle”, altri
scompaiono definitivamente. Non vi sono attività professionali, competenze, sistemi organizzati, “al sicuro”. A tutti i diversi attori è richiesta una grande capacità, quella di
governare l’incertezza, di affrontare attivamente il cambiamento. Adattarsi, anticipare, innovare, rischiare diventano abilità “trasversali”, attrezzi culturali di sopravvivenza di soggetti e organizzazioni.
26. Nella società post-industriale l’apprendimento è pervasivo e supera i confini delle istituzioni scolastiche e educative tradizionali, insinuandosi nelle diverse reti mediatiche. Aumentano le possibilità di scelta, così come il benessere materiale, grazie alla tecnologia e al progresso della
scienza. Quanto meno per coloro che hanno avuto la fortuna di nascere in una famiglia che non deve lottare quotidianamente contro la fame, la morte, la miseria. Il consumo dei prodotti, dei servizi, delle informazioni, delle esperienze, prende il sopravvento sul significato e
sull’autenticità dei mondi vitali.
20
27. La società post-industriale è contenitore fecondo del
progresso scientifico, non più nelle forme pesanti del modello industriale, ma in quelle più leggere dell’informazione, della genetica, dei quanti. Tra gli interstizi delle
veloci e costanti innovazioni che trasformano il nostro
modo di comunicare, di apprendere, di curare la malattia,
riprende tuttavia l’importanza del linguaggio simbolico.
Dinnanzi all’indagine scientifica, posizionata su una presunta realtà oggettiva, cresce un orizzonte che la ragione
scientifica rifiuta di prendere in considerazione, e che parte
dalla realtà soggettiva e dai suoi codici universali. La realtà umana è oggi inondata da una pluralità di “immagini
primordiali”, collettive e immutabili, che danno vita al linguaggio dei simboli. Alcuni simboli hanno una ricorrenza
universale, che rimanda all'esistenza di archetipi, forme e
immagini del mondo e della vita, che corrispondono alle
esperienze evolutive compiute dall'umanità nel corso dello
sviluppo della coscienza.
28. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno moltiplicato le opportunità di scambio
e di acquisizione rapida delle conoscenze. Hanno altresì
creato vere e proprie reti sociali e relazionali. Tutto ciò ha
da un lato arricchito le occasioni di apprendimento e di socializzazione, ma ha anche al contempo esposto gli attori a
nuovi rischi. La fuga dalla realtà e la costruzione di esperienze virtuali, la ridondanza e la selezione qualitativa dei
dati e delle informazioni, le nuove dipendenze. In un tale
frastuono comunicativo la parola esige nuovi spazi creati-
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vi, obbligando l’osservatore sociale a una disamina dei
suoi lineamenti antropologici e archetipici.
29. La società post-industriale è fortemente competitiva,
intrisa e impregnata di aggressività. Una grande gara dove
ognuno realizza la sua prestazione. Chi lealmente, chi un
po’ più furbescamente. L’imperativo dilagante è massimizzare, ottimizzare, ottenere, perseguire, raggiungere. La
parola chiave, quella tra le più frequenti, sino al suo vero
abuso, è “obiettivo”. Una meta da raggiungere, un traguardo da superare. Dunque questo sistema produce una quantità di energia acquisitiva, di dominio, di potere. Chi vince
impone democraticamente il proprio modello, il modello
vincente per l’appunto.
30. Il nuovo contesto socio-economico è più mutevole e
incerto, ma se è fonte di minacce, apre anche la via verso
nuove opportunità. Il domani, in quanto tale è progettabile,
è infinite “possibilità”. Sotto un certo punto di vista questa
nuova società è “potenzialmente” più libera rispetto a
quella del passato, in quanto proiettata continuamente nel
futuro e quindi continuamente progettabile. È infatti in atto
una grande trasformazione culturale: dalla cultura delle
necessità a quella delle possibilità. Ne sono esempi evidenti i bisogni “aperti” di autorealizzazione, di espressione di
sé, di qualità della vita anche sociale e spirituale, e non solo materiale. In questo senso l’uomo post-industriale agisce per essere ciò che “può essere” e ciò che lo realizza di
più come persona. La stessa riumanizzazione del lavoro,
attualmente in atto per i motivi appena evidenziati, non
22
può che favorire questa nuova possibilità. Ma probabilmente non per tutti gli individui. In questo nuovo contesto
vi saranno, come sempre, vittime e beneficiari. Ovvero
soggetti a basso oppure a alto potenziale. Con molta probabilità, continueranno a convivere, in queste due categorie di individui, sia la cultura delle necessità che quella
delle possibilità.
31. Ai lavoratori del futuro saranno infatti richieste doti
umane, competenze e “cultura” creativa, per affrontare e
gestire il cambiamento. La società avrà sempre meno bisogno di puri e semplici “esecutori”, e sempre più di soggetti
autonomi e responsabili che si facciano carico dei problemi e della loro soluzione, che escano allo scoperto e rischino in prima persona. I problemi di tutti i giorni insieme alla complessità sociale sono destinati a aumentare: è
dunque necessario imparare a analizzare un problema, trovare una soluzione efficace, prendere una decisione, realizzarla, controllare i risultati. Aumentano i compiti di innovazione sul lavoro e nella vita, per trovare nuove idee
circa il “da farsi” (innovazione di risultato) o il modo di fare una certa cosa (innovazione di processo). La capacità di
uscire dall’esperienza comune, dagli schemi di pensiero
abituale, di produrre soluzioni alternative costituisce una
risorsa fondamentale in un ambiente in continuo cambiamento. Accanto alla creatività viene sempre più richiesta la
capacità di adeguarsi ai mutamenti e di non perdersi di
fronte alle novità. Occorre cioè un atteggiamento positivo
e progettuale di fronte al divenire. Diviene inoltre indispensabile la cultura sistemica. Che è soprattutto elasticità
di pensiero. Questa si esprime nell’osservazione e
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nell’analisi dei variegati contesti di azione e dipende dalla
capacità di muoversi rapidamente tra più piani, inquadrando i problemi da visuali diverse, cogliendone le parti essenziali e loro interrelazioni. Con l’aumentare della complessità aumenta anche la necessità di comunicare e cooperare, e di conseguenza la capacità di ascoltare e di mettersi
nei panni degli altri. Gli stessi tratti che caratterizzano
sempre di più la società post-industriale, confermano la
necessità di queste doti nelle persone.
32. E’ certo che la comunicazione tattica e funzionale
abbia preso il sopravvento nelle relazioni sociali. Si tratta
di un processo nefasto che ha progressivamente spodestato
le interazioni umane della loro spontaneità e autenticità.
Comunicare non è più il fine, quale espressione della socialità, della fratellanza, della compassione (intesa come
condivisione e non come commiserazione), ma è strumento e prestazione per perseguire fini utilitaristici. Questa dinamica sviluppa atteggiamenti non liberi, fittizi, spingendo
gli attori a indossare maschere, quelle richieste dai vari
copioni. Queste innumerevoli rappresentazioni incrinano
le stesse identità sociali.
33. Nella vita sociale c’è sempre meno gratitudine, e
l’invidia si diffonde. Tutti vorremmo sostituirci agli altri,
assumere il loro ruolo, trascurando poi le nostre responsabilità. Questo fenomeno aiuta l’invidia a crescere e a
espandersi, e impedisce il diffondersi di un sentimento di
gratitudine. La dinamica del dare e del ricevere tende perciò a confondersi. Si vorrebbe dare ciò che non si ha. Si
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vorrebbe dare a chi non vuole ricevere. E tutto finisce col
produrre disordine, entropia relazionale, arroganza. Si perde di vista il bene comune. Si determina una sclerosi difensiva. Gran parte dell’energia comunicativa è così
proiettata verso atteggiamenti difensivi, autopoietici, autoreferenziali. I sistemi si chiudono e si arroccano dietro infinite giustificazioni e razionalizzazioni, nascondendo la
vera natura dei problemi in gioco. E generano sempre meno relazioni autentiche.
34. L’uomo è un essere sociale. Ha bisogno di appartenere. Ha bisogno di fare parte. Di essere parte. Di sentirsi
utile, al servizio di un sistema. Scoprire ciò significa imboccare la via dell’umiltà, della moderazione, della giusta
misura, nel rapporto con gli altri esseri. Significa ammettere che, un giorno o l’altro, si avrà bisogno dell’aiuto di un
altro essere. A cui occorrerà essere grati, per il suo servizio. E’ indispensabile contare su sé stessi, sulle proprie
forze e possibilità. Senza appoggiarsi a nessuno. Senza
cercare delle stampelle. Questo non significa che possiamo
fare a meno degli altri. Che bastiamo a noi stessi. Che
siamo autosufficienti. Tutti noi abbiamo bisogno dell’aiuto
esterno. L’indipendenza, o autonomia, è prima di tutto una
competenza emotiva. Un atteggiamento esistenziale. Questo significa anche abbandonare la propria presunzione e
arroganza, saper chiedere aiuto, nel rispetto di sé e
dell’altro. Tra le risorse più scarse della società postindustriale spicca proprio l’umiltà. Questa è l’effetto di un
atteggiamento spontaneo e non intenzionale. Infatti chi
vuole diventare o essere umile, a tutti i costi, è spinto
dall’orgoglio. L’umiltà consolida invece la dignità umana.
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Per questo motivo essa è diversa dall’umiliazione.
L’umiltà scaturisce quale effetto spontaneo dell’essere grati all’altro. Senza l’altro verrebbe meno la nostra identità.
E con essa l’intera identità del genere umano.
36. L’interiorizzazione della tolleranza è la vera scommessa su cui si giocheranno una buona parte dei destini
dell’umanità. Essa non è una forma di qualunquismo, ma
presuppone, una scelta etica che consiste nell’accettare che
possano essere espresse idee e opinioni diverse o addirittura contrarie alle nostre. Questo atteggiamento comporta
inevitabilmente una sofferenza, una sopportazione, in particolare quando siamo convinti della nostra verità o siamo
impauriti delle conseguenze nefaste delle visioni altrui. La
democrazia è in un certo senso l’istituzionalizzazione della
tolleranza. Di fatti chi è in minoranza accetta, secondo le
regole democratiche, di essere governato dalla maggioranza. Oggi la democrazia sta vivendo però un momento di
crisi. La regressione della democrazia dipende dalla tecnicizzazione della politica e dall’esclusione dei cittadini dai
reali processi di partecipazione. Dipende anche dalla crescente subalternità della politica dalla vita economica planetaria. L’unica soluzione praticabile è la democrazia, poiché incorpora l’idea della libertà e dell’uguaglianza. Però
essa è in crisi, proprio in quelle società cosiddette democratiche che a loro volta, intendono avviare processi di
democratizzazione in altre parti del mondo dove la democrazia non è mai esistita. Come si fa a diffondere un valore
che è esso stesso in difficoltà, che sta vivendo una fase di
regressione? Allora non potrà esservi rigenerazione democratica, senza il recupero del senso civico, della solidarietà,
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della responsabilità sociale, senza una “comunità di destino”. Poiché la specie umana evolve sotto la minaccia
dell’autodistruzione la politica dovrebbe avere un imperativo assolutamente prioritario: “salvare l’Umanità realizzandola”. Il che significa affrontare la più importante delle
emergenze umane: il dissolvimento del sociale. Infatti le
odierne società complesse appaiano sempre più incapaci di
rappresentarsi simbolicamente, se non in modo illusorio,
effimero, superficiale.
37. L’evoluzione di “tanti” fenomeni così complessi e rischiosi necessita più che mai di una scienza umana applicata, critica, aperta, capace di innestarsi nel discorso sul
sociale in modo riflessivo ma non neutrale, con una propria opzione di senso e di significato, una traiettoria di
senso e di felicità. Questo atteggiamento può aiutare le
nuove generazioni a leggere la realtà in maniera non deterministica, idealistica e neppure catastrofistica, ma come
un progetto da realizzare, una testimonianza da esperire,
uno spazio creativo da riempire.
38. Il senso della propria esistenza non può essere artificialmente costruito, ma può essere colto, come dono della
vita stessa, attraverso l’autotrascendenza e la socialità, attraverso l’essere per la vita e l’essere per altri. Ogni essere
umano, nella vita, è chiamato a assolvere un compitosistema, unico e irripetibile, lungo direzioni comuni
all’intera condizione umana, in cui troverà un significato,
una responsabilità esistenziale, in cui esprimere una testimonianza che è sempre creativa. Quando l’uomo si inter27
roga sul suo progetto nel mondo, sulla responsabilità delle
sue scelte, sul significato della sua esistenza, mette in atto
la propria autotrascendenza. Non è possibile avvicinarsi al
senso della vita senza riconoscere la libertà, la quale non
consiste nel “fare ciò che si vuole”, ma piuttosto nel “volere ciò che si deve fare”, ovvero quell’insieme di impegni e
di compiti che ogni persona può percepire attraverso
l’ascolto sistematico della sua coscienza e il confronto coraggioso con gli altri. Pertanto non è possibile scollegare il
concetto di libertà da quello di responsabilità.
39. Nella vita di tutti i giorni capita di immaginarsi illusoriamente come qualcosa di diverso da ciò che veramente
si è. Questo Sé irreale è tuttavia uno strumento di evoluzione poiché senza di esso non vi potrà mai essere delusione e disillusione, esperienza del limite e della finitudine, che è il primo passo necessario per la crescita. La malafede verso sé stessi si realizza quando si costruisce
un’immagine fasulla di sé. L’Io che inganna Sé stesso non
agisce in modo deliberato, perché in tal caso sarebbe consapevole del suo cinismo, ma è frutto del tentativo disperato di un’evasione. Si tratta di una fuga intima, dalla sofferenza prodotta dagli stessi limiti umani. Una fuga dalla
realtà. Non sempre la realtà è facile da sopportare così
com’è. Allora è più semplice negarla, rifiutarla, fuggire da
essa. Però lei non ci abbandona. Non ci lascia andare. Il
suo è un inseguimento silenzioso, inesorabile, lento. Senza
clamore o rumore, la realtà, è onnipresente con il peso di
tutta la sua memoria storica.
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40. La paura è un grande ostacolo all’autenticità. Essa
diviene la prigione delle nostre possibilità. Orienta e guida
scelte e comportamenti. Impedisce alle vocazioni interne
di esprimersi e produce azioni funzionali, di mera difesa o
attacco. La fuga e l’aggressività sono figlie della paura e
non dell’autenticità. Si potrebbe pensare che la stessa paura sia un sentimento autentico, in quanto ispirato dal più
naturale spirito di sopravvivenza. Se gli atteggiamenti
umani fossero solo riconducibili alla sfera delle emozioni
sarebbero tutti autentici. Ma in realtà essi risentono di più
forze: emozionali e affettive, etiche e spirituali, logiche e
razionali. Pertanto è molto complesso svelare la trama delle finzioni umane entro gli intrecci determinati da tali forze.
41. L’autenticità intesa come realizzazione di una testimonianza, uno scopo esistenziale, non si può raggiungere
senza restare fedeli a sé stessi, ai propri valori, senza rifuggire dall’autoinganno. In tal modo sarà possibile svelare a noi stessi e al mondo il nostro compito, il senso del
nostro passaggio, del nostro transito. Noi abbiamo ricevuto
il dono della vita e allora possiamo restituire a essa qualcosa di nostro. Il senso che le abbiamo conferito, che guida
e da significato al nostro procedere, alle nostre azioni. Nulla di eclatante dovremmo aspettarci da noi stessi, ma solo
l’esercizio, l’espressione, la generazione di una testimonianza.
42. Il coraggio è di sicuro una delle risorse più scarse
della nostra epoca, la cui crescente complessità ci mette
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costantemente di fronte ad innumerevoli scelte, a plurimi
bivi esistenziali, così nella vita lavorativa come in quella
sociale e personale. Ogni volta che si deve effettuare una
scelta importante è “crisi”, dunque cambiamento. Allora
serve forza, serve coraggio per scegliere un’opzione rispetto alle altre. Ci si rende conto, in questi momenti, che la
scelta perfetta non esiste. Per qualsiasi alternativa c’è sempre una rinuncia, un prezzo da pagare. Qui si esprime
un’altra forma di coraggio, ancora più profonda, quella di
saper portare dignitosamente il peso dei propri limiti. Di
fronte all’inevitabile frustrazione, che è parte integrante
della vita, ogni essere umano ha solo una possibilità: decidere che senso conferire alle proprie sofferenze. Come atteggiarsi dinnanzi a esse. Solo così egli potrà avere una ragione per procedere con dignità e speranza nel proprio
cammino. Persino la dignità della mancanza deve appellarsi a una fecondità interiore, alla creatività del vivere.
L’estetica “classica” del coraggio viene meno proprio con
l’avvento della società del benessere. E’ con il modello
postindustriale che scompare il mito del guerriero,
dell’eroe appassionato, pronto a offrire la sua vita per un
bene superiore. Non solo non c’è quasi più nessuno disposto a morire per un ideale, nei diversi campi del vivere sociale, nella società del consumismo, ma addirittura pochissimi sono disposti a rinunciare a qualche più modesto privilegio per il bene comune. Si estinguono i guerrieri disinteressati, legati a un principio, per il quale essi sono pronti
a qualsiasi tipo di sacrificio.
43. La società post-industriale tende a rifuggire da una
visione ontologica, attraverso forme di cura anestetizzanti
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il cui scopo è rimuovere ogni pensiero di vuoto attraverso
la costante ricerca del pieno. Il consumo, l’immagine, il
piacere, svolgono questa funzione compensatoria, per via
creativa. Si tratta di una creatività della contingenza, sempre ancorata al quotidiano, senza alcune tensione trascendente. Il presentimento della morte e la consapevolezza
della precarietà del tempo alimentano però il senso di vuoto, quel sentimento di essere sull’orlo del nulla che talvolta
avvolge negativamente la società contemporanea.
44. Il successo e il benessere materiale non paiono oggi
sufficienti per assegnare all’essere umano un solido senso
esistenziale, quindi una ragione per essere felici. Infatti la
felicità assoluta non esiste. Così come è effimera la ricerca
della felicità. La felicità è legata al significato che ciascuno conferisce alla propria esistenza. E’ in questa direzione
di senso che si esprime l’autotrascendenza dell’essere
umano. Può divenire finanche ossessiva la ricerca della felicità. La mera e esclusiva ricerca della felicità, attraverso
l’avere, il consumare, il produrre profitto, è effimera. La
soddisfazione di un desiderio è infatti una forma circostanziata, non duratura, precaria, transitoria, di felicità. La ricerca della felicità produce infelicità. La felicità è dunque
legata al significato che ciascuno conferisce alla propria
esistenza. Allora essa scaturisce. Ciò accade quando
l’essere umano ha conferito un senso alla propria esistenza. Quando la propria volontà di significato si dirige verso
un compito e una testimonianza esistenziale.
L’autoinganno è sempre possibile, ma l’errore si svelerà
attraverso il manifestarsi dell’impossibilità a mantenere
l’impegno di una scelta. In questo caso l’Io incapace di fe31
deltà al proprio compito esistenziale diventerà schiavo di
vicende insignificanti, abbandonandosi a possibilità già date, non sue, non autentiche.
45. Per molti la ricchezza coincide con la felicità e consiste nel non avere bisogno, nel poter ampiamente disporre, nell’essere liberato dalle necessità. Nel trovarsi nella
condizione di potersi espandere. Tuttavia in questa idea c’è
una contraddizione. Chi possiede è infatti limitato in tale
espansione proprio da ciò che possiede, dallo status che
deve difendere e mantenere. E’ così legato a ciò da ridurre
la propria capacità di crescita. Dunque il vero benessere
non sta tanto in ciò che si ha, ma in ciò che si diviene,
nell’emancipazione dalle proprie dipendenze, nella capacità di essere sufficienti a sé stessi. Ciò non significa essere
privi di ciò che serve nella vita, ma saper vivere la vita.
Divenire liberi del poter disporre, senza legami e dipendenze. Ciò provoca un sentimento di espansione, di accrescimento di sé. Questo stato di benessere non è solo determinato dal saper fare a meno delle cose. Dal saper rinunciare, che determina comunque una mancanza. Ma soprattutto dal saper trovare in esse ciò che è essenziale per
essere felici.
32
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Sen A.K., Etica ed economia, Laterza, Bari, 2002.
Touraine A., La società post-industriale, Il Mulino, Bologna, 1975.
34
Brevi note biografiche sull’autrice
Giuliana Morini è nata a Desio nel 1969 e vive a Brisighella. Si è laureata in Scienze Politiche, indirizzo Sociologico, e si è poi specializzata nella formazione dei gruppi,
nell’orientamento personale e lavorativo, nelle tecniche
psicodrammatiche.
In ambito professionale, dopo un’esperienza iniziale
come formatrice e orientatrice di adulti e adolescenti, ha
svolto per diversi anni attività di consulenza e aggiornamento per formatori, insegnanti, educatori.
E’ autrice di vari saggi sulle metodologie formative e
sulla comunicazione didattica.
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I Quaderni della Libera Officina
I.
D. Callini, I Frammenti Ricomposti, giugno 2010.
II.
D. Callini, Il Coraggio, novembre 2010.
III.
A. Valeck, Educazione e dintorni: dialoghi a distanza, gennaio 2011.
IV.
D. Callini, La ricerca dell’autenticità, febbraio
2011.
V.
D. Callini, La clessidra di Ermete, aprile 2012.
VI.
G. Morini, Breve antologia di storie resilienti, giugno 2012.
VII. D. Grossi, Ragioni di felicità, agosto 2012.
VIII. M. Guerra, Raggi di luce nel sottosuolo, ottobre
2012.
IX.
D. Callini, Il limite e lo stupore, marzo 2013.
X.
M. Guerra, Irina e il nostro tempo, aprile 2014.
XI.
G. Morini, Società post-industriale e ricerca della
felicità, giugno 2014.
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