Indice
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Introduzione
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CAP. 1
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CAP. 2
Comprendere il benessere per potenziare l’intervento (Antonella Delle Fave)
Training per l’apprendimento dell’ottimismo
(Beatrice Corsale e Stefano Marchi)
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CAP. 3
Il Subjective Well-Being Training (Federico Colombo
e Margherita Baruffi)
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CAP. 4
109
CAP. 5
La meditazione (Donatella Bielli)
Musicoterapia e benessere psicologico (Giuliano
Goldwurm)
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CAP. 6
Esperienza ottimale e selezione psicologica (Marta
Bassi e Antonella Delle Fave)
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Introduzione
Da alcuni decenni si è fatta strada nel mondo scientifico un’attenzione
culturale e di ricerca orientata a sviluppare la qualità della vita e il benessere.
Fin dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso infatti il tema della qualità
della vita ha attirato l’interesse di studiosi e operatori di diverse discipline,
quali medicina, psicologia, sociologia ed economia. In quegli anni in Italia
vi fu il boom economico e contemporaneamente un insieme di rivolgimenti
sociali che esplicitamente o implicitamente parlavano di nuovi valori: di
salute, benessere, partecipazione e, appunto, qualità della vita.
Questo interesse però non è solo degli studiosi, ma contemporaneamente si è esteso alla popolazione in generale. Accanto al benessere oggettivo, materiale, nella nostra società, è cresciuto notevolmente il bisogno
di benessere soggettivo, psicologico, e questo si vede dai numerosi articoli
che compaiono su quotidiani, riviste e in trasmissioni e interviste sui mass
media. Naturalmente più cresce il bisogno nella popolazione (la domanda)
più cresce l’impegno scientifico su questo tema (l’offerta), e viceversa.
L’insieme di questi eventi è poi sfociato nell’organizzazione del movimento della psicologia positiva, formalizzatosi alla fine degli anni Novanta.
Lo scopo della psicologia positiva è quello di catalizzare un cambiamento
nella psicologia in modo che, accanto allo studio di «come riparare al peggio
nella vita», ci sia spazio anche per «tutto ciò che rende la vita meritevole di
essere vissuta»: una scienza e una professione per comprendere e costruire
8
Psicologia positiva
quei fattori che permettono agli individui, alle comunità e alle società di
«fiorire» e raggiungere un funzionamento ottimale.
In particolare si possono individuare tre aree di studio: a) le emozioni
positive (inclusa la felicità); b) i tratti positivi: potenzialità, virtù e abilità
(comprese le capacità atletiche); c) le istituzioni positive (come democrazia,
famiglia, libertà di informazione). Le istituzioni positive supportano i tratti
positivi che a loro volta supportano le emozioni positive. Questi aspetti
«positivi» svolgono il loro ruolo tanto nei momenti di benessere quanto in
quelli di crisi.
Il libro si basa sull’esperienza degli autori che da anni operano nel campo
della psicologia positiva, e naturalmente su ricerche e interventi condotti
anche all’estero, particolarmente negli Stati Uniti d’America. Nel panorama
scientifico italiano è praticamente unico per lo specifico taglio «applicativo» delle varie tecniche presentate per favorire il benessere, oltre che per
prevenire l’insorgenza di patologia mentale, o di ricadute psicopatologiche.
Il capitolo 1 delinea i presupposti teorici e le linee di sviluppo principali
della psicologia positiva, nel contesto applicativo del volume. Un’introduzione ideale ai modelli e ai costrutti più utili per la promozione del benessere.
Il capitolo 2 presenta il training di educazione all’ottimismo: un insieme di strumenti operativi, sperimentati e validati, per aiutare le persone
a modificare lo stile esplicativo con il fine di favorire uno stile ottimistico,
utile per prevenire e contrastare la depressione e aumentare il benessere.
La ricerca del benessere psicologico (o se vogliamo, in senso lato della
«felicità») è un problema molto antico e una antica aspirazione dell’umanità. Il capitolo 3 è dedicato al Subjective Well-Being Training, un metodo per
apprendere uno stile di vita che ci renda più felici.
Il capitolo 4 approfondisce la meditazione e la sua applicabilità nella
promozione del benessere fisico e mentale. Lo scopo principale dell’esercizio
meditativo è l’acquisizione di una maggiore coscienza di sé e della realtà,
a cui seguono evidenti effetti positivi sulla gestione della propria mente e
della propria vita.
Il capitolo 5 ci introduce alla musicoterapia, in cui il mezzo artistico
può essere utilizzato per aumentare la sensibilità e la consapevolezza dei
propri sentimenti, imparare a gestire le emozioni, e potenziare l’autostima
nella relazione con gli altri.
Infine il capitolo 6 esamina l’esperienza ottimale o flow, uno stato globalmente positivo e complesso che rappresenta un importante indicatore
del buon funzionamento psicologico e presenta implicazioni nel percorso
di sviluppo individuale a lungo termine.
Introduzione
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Questo libro rappresenta un esempio di psicologia positiva nella cultura italiana e riteniamo che, sia per l’aspetto sintetico ed essenziale delle
tecniche descritte che per la loro varietà, possa essere una lettura agevole
e di particolare utilità per tutti coloro che si occupano di psiche umana e
lavorano in ambito educativo e clinico.
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Comprendere il benessere
per potenziare l’intervento
Una visione d’insieme sulla psicologia positiva
Antonella Delle Fave
Bene mai avuto o bene dimenticato?
o non esistito ma dava
felicità, esso, a desiderarlo?
(Luzi, 1985, p. 182)
Introduzione
Felicità e benessere sono termini elusivi: se ne parla dovunque, ma
non ne esistono definizioni esaurienti. In questi ultimi anni si è assistito a
un vertiginoso incremento del loro uso — e abuso — nei contesti più vari:
talk-show televisivi, quotidiani e periodici, film, riviste scientifiche, saggi,
romanzi e conversazioni al ristorante. Il fenomeno è interdisciplinare: felicità e benessere attirano l’attenzione di professionisti e studiosi di filosofia,
psicologia, economia, medicina, pedagogia, antropologia e religione.
La difficoltà nel definire felicità e benessere dipende essenzialmente
dal fatto che non si tratta di termini né culturalmente né psicologicamente neutri. Ogni individuo e ogni gruppo sociale sviluppa una concezione
di ciò che è buono e desiderabile in funzione di proprie caratteristiche
intrinseche. Occorre inoltre notare che ciò che è buono non corrisponde
necessariamente a ciò che è desiderabile, né nella prospettiva individuale
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Psicologia positiva
né in quella collettiva. Entrano in gioco in questo convinzioni filosofiche,
etiche, religiose, visioni del mondo personali o collettive, valori, significati,
aspettative e gerarchie di bisogni.
Le diverse tradizioni culturali hanno affrontato il tema della felicità
e del benessere secondo prospettive differenti, radicate nei costumi e nelle
strutture sociali locali. Inoltre, vi sono fluttuazioni e cambiamenti anche
radicali nell’approccio a questo tema nel tempo, in corrispondenza con il
mutare delle circostanze storiche ed economiche e delle credenze generali.
Tutto ciò permette almeno parzialmente di giustificare la confusione e
l’eterogeneità storica, geografica e culturale delle definizioni di questi termini. A maggior ragione ciò comporta il ricorso — in diverse aree, epoche
e società — a differenti strategie di intervento per promuovere e diffondere
il benessere e la felicità.
Queste considerazioni sembrerebbero dare per scontato che ogni individuo e ogni gruppo sociale ponga felicità e benessere tra i propri obiettivi
prioritari. È effettivamente così? La tradizione filosofica dell’Occidente è
disseminata di interrogativi in merito, da Socrate sino ai giorni nostri. La
stessa osservazione vale per le altre tradizioni: la filosofia indiana e quella
cinese hanno posto la felicità umana tra i propri elementi fondamentali.
Tutte le grandi religioni, senza esclusione, si sono preoccupate di fornire
ai propri fedeli risposte positive ed edificanti ai grandi interrogativi umani
sull’esistenza del dolore, della morte e del male. Dunque è lecito affermare
che il perseguimento del benessere e della felicità sia sotteso a ogni forma di
comportamento umano, individuale e collettivo. Proprio questa pervasività
però rende i due termini elusivi: essi possono declinarsi variamente in funzione di ambienti, epoche, sistemi di valori, e a livello individuale anche in
funzione di circostanze specifiche, di ambiti differenti della vita quotidiana,
di condizioni psicologiche transitorie.
Ciononostante, in questo libro — e in particolare in questo capitolo,
che ne è la premessa teorica generale — si cercherà di circoscrivere la questione in base a due criteri specifici di interpretazione: l’ambito disciplinare
e il contesto culturale. In altri termini, ci occuperemo di felicità e benessere
nella prospettiva della psicologia, e più in particolare della cosiddetta psicologia scientifica, costruita a partire da ricerche empiriche nel corso del
XX secolo all’interno della cultura occidentale. Tuttavia, non sarà possibile
evitare riferimenti storici alla tradizione filosofica di cui la psicologia è erede:
qualsivoglia discorso sulla felicità infatti scaturisce dagli interrogativi più
generali sulla natura umana, sul bene e sul destino dell’individuo che da
sempre permeano lo studio del comportamento.
Comprendere il benessere per potenziare l’intervento
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La psicologia positiva
La felicità, il benessere e il funzionamento ottimale rappresentano i
concetti chiave del vasto e sfaccettato ambito della psicologia positiva, che
ha fornito contributi fortemente innovativi a livello teorico e applicativo
(Snyder e Lopez, 2002). Come più volte ribadito dai suoi esponenti, la psicologia positiva non è né un nuovo movimento né un nuovo paradigma,
ma può essere meglio definita come una prospettiva specifica di studio e
analisi del comportamento umano. Contrapponendosi a un’intera tradizione
focalizzata su carenze, deficit, patologie e limitazioni dell’essere umano nella
sua individualità e nella sua dimensione sociale, tale prospettiva privilegia
gli aspetti costruttivi, creativi e propositivi di individui e gruppi. In questo
senso essa può essere utilizzata per lo studio di meccanismi di base, siano essi
cognitivi, emotivi e motivazionali; le sue applicazioni si estendono dall’ambito evolutivo a quello occupazionale, dall’ambito sociale a quello clinico.
L’esistenza della psicologia positiva è stata ufficialmente sancita da un
numero monografico di «American Psychologist»1 dieci anni orsono ma
numerosi ricercatori attivi in questo ambito si interessavano già da anni,
in alcuni casi da decenni, alle componenti costruttive dell’individuo e dei
gruppi. La scotomizzazione del positivo nel panorama psicologico internazionale è peraltro strettamente connessa alla caratterizzazione occidentale
della disciplina. In altri contesti culturali non si è mai posto il problema di
distinguere tra psicologia e psicologia positiva, essenzialmente perché non
si è mai coltivata una visione negativa e patologica dell’uomo e della sua
realtà sociale. Al contrario, la psicologia occidentale non ha mai studiato in
modo sistematico le caratteristiche degli individui soddisfatti e delle comunità
fiorenti; gli psicologi hanno solo una conoscenza frammentaria di ciò che
renda la vita meritevole di essere vissuta e di come si possano sviluppare a
livello ottimale le potenzialità individuali e collettive.
Muovendo da queste considerazioni, la psicologia positiva si prefigge
lo scopo di «catalizzare una modificazione dell’interesse centrale della
psicologia, spostandolo dalla preoccupazione di porre rimedio agli aspetti
peggiori della vita alla costruzione anche di qualità positive» (Seligman e
Csikszentmihalyi, 2000, p. 5). Per raggiungere questo scopo la psicologia
positiva deve articolarsi su più livelli: a) elaborare una visione della «buona
vita» fondata su evidenze empiriche, ma anche comprensibile e attrattiva;
b) evidenziare comportamenti e interventi che favoriscano il benessere, lo
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American Psychologist, vol. 55, n. 1, gennaio, 2000.
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Psicologia positiva
sviluppo positivo dell’individuo e la prosperità della società; c) identificare
quali famiglie favoriscano lo sviluppo ottimale dei bambini, quali ambienti
di lavoro supportino la massima soddisfazione dei lavoratori, quali politiche
promuovano l’impegno civile più elevato e quali strategie possano rendere
la vita di ciascun individuo veramente degna di essere vissuta (Seligman e
Csikszentmihalyi, 2000, p. 5).
È bene segnalare che assai prima dell’affermazione della psicologia
positiva, anche se in posizione marginale rispetto alla cosiddetta mainstream
science, studiosi di varie aree si sono interessati al benessere, alla sua definizione
e alla sua misurazione. Ricordiamo ad esempio la psicologia umanistica e
in particolare Rogers (1963), che definì il benessere come «funzionamento
ottimale». Nello stesso filone si colloca Antonovsky (1979) con l’approccio
salutogenico: il benessere, inteso come salute nell’accezione più ampia del
termine, si fonda sulla presenza di capacità positive e di funzionamento a
livello emotivo, cognitivo e comportamentale. Si noti che in italiano il vocabolo salute discende etimologicamente dal latino salvus, a sua volta derivato
dal sanscrito sarva (integro, tutto). Rimanda quindi a una concezione olistica
di benessere come integrità e completezza, anche se nell’accezione comune
è prevalentemente riferito alle condizioni fisiche.
Particolarmente interessante a questo proposito è la posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha sviluppato nel tempo
interpretazioni sempre più globali del concetto di benessere, identificandolo
con la presenza di elementi positivi di funzionamento, e non con la mera
assenza di malattia; in virtù della crescente enfasi sulla prevenzione rispetto
alla cura, ha inoltre fatto proprio il modello biopsicosociale (Engel, 1977),
giungendo alla definizione di salute come condizione di benessere fisico,
psicologico e sociale, e per di più da valutarsi a partire dal contesto socioculturale di appartenenza dell’individuo (Bickenbach et al., 1999). Ancora più
rilevante per l’ambito psicologico è la definizione di salute mentale formalizzata recentemente dall’OMS: «Uno stato di benessere in cui l’individuo
realizza le proprie capacità, può gestire adeguatamente le normali situazioni
di stress della vita, può lavorare produttivamente ed è in grado di contribuire
attivamente alla propria comunità» (OMS, 2004, p. 12). Tale definizione
è integralmente riconducibile agli assunti di base della psicologia positiva
e ad alcuni dei suoi modelli teorici, di cui si tratterà nelle pagine seguenti.
La letteratura scientifica relativa alla psicologia positiva si va espandendo
di anno in anno; sono già stati pubblicati numerosi volumi e articoli, sia in
prospettiva teorica che applicata; è inoltre presente nel panorama editoriale
una rivista specializzata internazionale, il «Journal of Positive Psychology».
Comprendere il benessere per potenziare l’intervento
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Attualmente due associazioni internazionali raccolgono studiosi e professionisti impegnati nelle tematiche della psicologia positiva: la International
Positive Psychology Association (IPPA) e lo European Network of Positive Psychology
(ENPP). Esiste anche un’associazione nazionale, la Società Italiana di Psicologia
Positiva (SIPP), con sede a Milano. Programmi di formazione postlaurea per
psicologi, medici e altri operatori del settore sociale e sanitario si stanno
diffondendo in numerose nazioni, compresa l’Italia.
L’esperienza e la valutazione della felicità
Come evidenziano Kahneman e Riis (2005) è fondamentale distinguere due dimensioni della felicità: quella esperienziale e quella valutativa.
La prima comprende condizioni psicologiche transitorie, quali emozioni
positive, situazioni di benessere e di gratificazione, esperienze ottimali,
stati di profondo assorbimento, «esperienze di picco». La seconda include
valutazioni globali, quali il livello di soddisfazione generale e nei diversi
ambiti quotidiani, l’attribuzione di importanza e significato all’esistenza,
la qualità di vita percepita, la percezione di autonomia e di controllo delle
proprie azioni e decisioni.
Felicità come esperienza
La prima dimensione della felicità, quella esperienziale, è in certo senso
più accessibile all’indagine psicologica. Ogni esperienza infatti ha componenti
emotive, cognitive e motivazionali abbastanza ben definite, e che possono
essere analizzate singolarmente e nella loro relazione reciproca. È possibile
studiare tale dimensione sia in laboratorio che in condizioni naturali. Ad
esempio, Barbara Fredrickson (1998; 2001) ha condotto numerose ricerche
sulle emozioni positive, utilizzando filmati che ne favorivano l’insorgenza
ed evidenziando poi i loro effetti benefici sulle prestazioni cognitive. In
particolare, ha dimostrato che le emozioni positive facilitano la mobilizzazione delle risorse personali, la pianificazione di obiettivi e l’investimento
di energie per perseguirli; promuovono inoltre la flessibilità di pensiero e la
creatività, nonché il comportamento prosociale e di aiuto. Fredrickson ha
sviluppato, a partire da queste evidenze, la broaden-and-build theory. Di fronte
a un problema, le emozioni positive ampliano il repertorio cognitivo e comportamentale a disposizione dell’individuo (broadening); questo ampliamento
della prospettiva cognitiva nell’immediato conduce, a lungo termine, alla
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Psicologia positiva
costruzione di un repertorio stabile di risorse psicofisiche e comportamentali,
utili per l’adattamento efficace all’ambiente (building).
Altri studiosi si sono invece occupati degli aspetti motivazionali della
felicità. Ad esempio, come definire la spinta ad agire senza altri fini che il
piacere dello svolgimento di un’attività intrinsecamente gratificante, liberamente scelta, attraverso la quale si acquisiscono competenze? Edward
Deci (1975) adottò l’espressione motivazione intrinseca, sottolineandone la
derivazione non da carenze e bisogni fisiologici, né da pressioni esterne,
ambientali o sociali. Lo sviluppo delle ricerche sull’argomento ha permesso
di individuare le caratteristiche della motivazione intrinseca e il suo ruolo
nel promuovere benessere, sviluppo di competenze e prestazioni di livello
elevato. Sulla base di queste evidenze empiriche, Deci e Ryan hanno elaborato un modello interpretativo più ampio, la teoria dell’autodeterminazione
(Self-Determination Theory o SDT; Ryan e Deci, 2000). Essa contestualizza la
dimensione esperienziale della motivazione in una prospettiva più ampia,
di cui si riferirà nel paragrafo successivo sulla felicità come valutazione.
L’esperienza nella sua globalità — che include dimensioni emotive,
cognitive e motivazionali interagenti tra loro — è stata invece l’oggetto
degli studi di Mihaly Csikszentmihalyi (1975/2000; 1990), che ha identificato tra le fluttuazioni quotidiane dello stato di coscienza l’esperienza
ottimale, o flow; si tratta di una condizione di profonda concentrazione,
impegno, gratificazione e stato affettivo positivo, le cui caratteristiche sono
risultate stabili e ricorrenti (Massimini e Delle Fave, 2000; si veda anche
il capitolo 6).
La dimensione esperienziale della felicità, oltre a essere abbastanza
ben definita nelle sue componenti, si può misurare con una certa precisione
attraverso strumenti di rilevazione in tempo reale. Ad esempio il Metodo per
il Campionamento dell’Esperienza (Experience-Sampling Method, ESM) è una
procedura appositamente sviluppata per studiare l’esperienza soggettiva nel
corso delle varie situazioni del quotidiano, nel momento stesso in cui si verificano (Csikszentmihalyi e Larson, 1987; Hektner, Schmidt e Csikszentmihalyi,
2007; si veda anche il capitolo 6). I partecipanti, dietro sollecitazione di un
dispositivo elettronico che manda segnali acustici a orari casuali, forniscono
autodescrizioni della situazione esterna e del proprio stato di coscienza «in
diretta». L’ESM permette pertanto di indagare il quotidiano così come viene
soggettivamente percepito nei suoi aspetti contingenti, quali i fattori ambientali e contestuali, e negli aspetti dell’esperienza nel suo fluire dinamico.
Altri strumenti, più semplici da usare ma che forniscono dati meno fedeli
alla fenomenologia dell’esperienza, sia da un punto di vista qualitativo che
Comprendere il benessere per potenziare l’intervento
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quantitativo, sono i diari e le checklist compilati al termine della giornata,
nonché il recente Day Reconstruction Method (DRM; Kahneman et al., 2004).
L’individuo è invitato a richiamare a distanza di tempo (varie ore dopo, o
il giorno successivo per il DRM) gli eventi quotidiani e l’esperienza ad essi
associata; tali metodi pertanto espongono al rischio di distorsioni retrospettive, notoriamente presenti in qualsiasi ricostruzione basata sulla memoria
(Bolger, Davis e Rafaeli, 2003).
Felicità come valutazione
La dimensione valutativa della felicità è molto più complessa e molto
meno definita della prima. Infatti, che cosa si intende per felicità in questa
prospettiva? A che cosa pensano le persone, quando viene chiesto loro di
stimare il proprio livello di benessere? E, soprattutto, che cosa bisogna chiedere alle persone per avere risposte pertinenti? Per alcuni studiosi valutare
la felicità corrisponde a valutare il livello di soddisfazione di vita (Diener,
2000; Veenhoven, 2002). Questo filone di ricerche è stato identificato come la
prospettiva edonica in psicologia positiva (Kahneman, Diener e Schwarz, 1999).
Gli studi in questo ambito si focalizzano sul piacere, inteso come esperienze
e valutazioni della vita favorevoli, che producono emozioni positive e uno
stato di benessere soggettivo connesso non solo all’edonismo puramente sensoriale, ma anche alla soddisfazione per il perseguimento di obiettivi che la
persona considera fonti di esperienze e situazioni gratificanti (Kubovy, 1999).
Per altri ricercatori invece la felicità non va intesa necessariamente come
piacere: questo approccio è stato definito prospettiva eudemonica (Waterman,
1993). Rispetto alle emozioni positive e alle situazioni piacevoli vengono
privilegiati altri fattori: la capacità umana di perseguire obiettivi complessi e
significativi per il singolo e la società; la mobilizzazione delle risorse in vista
di un aumento delle abilità e dell’autonomia individuale; le competenze
sociali e il ruolo delle relazioni interpersonali nella promozione del benessere
individuale e comunitario (Delle Fave, 2006). La prospettiva eudemonica ha
le sue origini nella concezione aristotelica di felicità (o eudemonia) descritta
nell’Etica Nicomachea come realizzazione della vera natura umana. Secondo
Aristotele l’uomo è per natura un essere razionale; di conseguenza, il sommo
bene si identifica con il pensiero e la ragione, e la costruzione della buona
vita passa attraverso la coltivazione della conoscenza e l’esercizio di virtù
non solo personali, ma anche civiche. L’eudemonia comprende infatti la
realizzazione di obiettivi individuali ma anche collettivi, legati a quel «bene
comune» che pone gli esseri umani in tensione reciproca, e identificabili me-
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Psicologia positiva
diante le opportunità offerte dalla società nel cui ambito ciascuno collabora
alla costruzione di un progetto condiviso (Nussbaum, 1993).
Particolarmente articolata a questo proposito è l’elaborazione teorica
ed empirica di Carol Ryff, che ha sviluppato il costrutto di benessere psicologico (Ryff e Keyes, 1995). Si tratta di un costrutto complesso, costituito da
sei componenti: autonomia, padronanza dell’ambiente, accettazione di sé,
crescita personale, relazioni sociali positive, scopi di vita. In continuità con
Ryff e coerentemente con la prospettiva eudemonica, Corey Keyes (1998)
ha sviluppato il complementare costrutto di benessere sociale, che include l’accettazione sociale, la realizzazione sociale, il contributo sociale, la coerenza
sociale e l’integrazione sociale.
Più recentemente, Keyes ha proposto una formalizzazione della salute
mentale che — oltre alla diagnosi condotta secondo i criteri del Diagnostic
and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) — comprende il costrutto di
flourishing, che potremmo tradurre con «prosperità» o «floridezza». Esso è
costituito da 13 dimensioni: le sei componenti del benessere psicologico e
le cinque del benessere sociale (cioè del funzionamento ottimale in termini
eudemonici), a cui vanno aggiunte le dimensioni edoniche, cioè la prevalenza
di stato affettivo positivo e la soddisfazione nei vari ambiti della vita (Keyes, 2005). La valutazione del benessere in questo modello si estende su un
continuum di cui il flourishing è un estremo; all’estremo opposto si colloca
il languishing, la condizione di massimo malessere e di «illanguidimento».
Perché un individuo si possa definire flourishing è necessario che almeno
sei componenti eudemoniche e una edonica presentino valori elevati. Gli
studi di Keyes su campioni rappresentativi della popolazione statunitense
hanno evidenziato che la salute mentale, intesa in senso globale e olistico,
deriva dalla combinazione tra elevati livelli di flourishing e assenza di sintomi
secondo il DSM. Le due dimensioni infatti, benché correlate, non sono sovrapponibili. Ciò avvalora ulteriormente, grazie al supporto incontrovertibile
dei dati empirici, l’affermazione che la salute — e in particolare la salute
mentale — non è semplicemente assenza di malattia.
La dimensione valutativa della felicità viene generalmente misurata
con strumenti di rilevazione tradizionali: questionari e scale. Ve ne sono di
diverso tipo, e naturalmente indagano costrutti diversi, nei termini descritti
sopra: la soddisfazione, il benessere psicologico, il flourishing. Non è quindi
scontato che misurino tutti la stessa cosa. Keyes con le sue ricerche ha cercato
di fornire una prospettiva unificata della valutazione del benessere a livello
di misurazioni empiriche. Tuttavia, la psicologia positiva non è che agli inizi
del suo percorso, e l’attuale margine di incertezza sulle misurazioni non fa
Comprendere il benessere per potenziare l’intervento
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che confermare quanto affermato da Seligman e Csikszentmihalyi (2000):
ciò che la distingue da altri approcci allo studio del benessere sono i suoi
obiettivi e il suo impegno all’uso di metodologie scientifiche.
La felicità come processo
Un numero cospicuo di ricercatori ha affrontato il problema del benessere e della felicità indirettamente: si è cioè dedicato allo studio delle caratteristiche psicologiche (sotto forma di tratti stabili o di risorse e competenze
apprese) che promuovono il benessere e la qualità di vita percepita. Ciò apre
un’ulteriore prospettiva di analisi: quella della felicità come processo, che
si costruisce nel tempo, si modifica nel corso della vita in funzione di eventi
ed esperienze, si connette ad aspetti più strutturali dell’identità personale (si
veda anche il capitolo 3). La felicità in questa prospettiva è il risultato della
visione e rappresentazione della realtà, della gerarchia di valori, del significato attribuito agli eventi e all’esistenza, delle aspettative e degli obiettivi
che caratterizzano ciascun individuo.
Non è possibile qui fornire un elenco e tanto meno una descrizione
esauriente dei fattori che sono stati identificati come «mattoni» per la costruzione della felicità e del benessere. Per una panoramica più dettagliata
dei costrutti di base della psicologia positiva e dei loro ambiti di applicazione
si rimanda a Delle Fave (2007a); per un’analisi del loro utilizzo nell’ambito
specifico della salute si veda Delle Fave e Bassi (2007). Ci si limiterà qui a
menzionare i costrutti più studiati a livello teorico ed empirico, distinguendoli
in base ad aree concettuali di inclusione più generali.
Autoregolazione e percezione di opportunità
Tra gli elementi cruciali che inducono gli individui a mettere in atto
un comportamento o a perseguire un obiettivo spiccano la percezione di
controllo sugli eventi e la capacità percepita di ottenere i risultati desiderati
attraverso le proprie azioni. Perché la percezione di controllo sia promotrice
di benessere e sviluppo, tuttavia, occorre che sia accompagnata dalla percezione di sfide e opportunità ambientali elevate. Infatti, sentirsi in controllo di
una situazione può ingenerare disinteresse e noia, laddove l’ambiente non
fornisca stimoli e opportunità d’azione. Viceversa, la capacità di percepire
situazioni problematiche e complesse come sfide anziché come minacce
— e quindi di individuarne possibilità di controllo e gestione attiva — pro-
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Psicologia positiva
muove sviluppo di abilità, gratificazione personale e in generale benessere
in senso eudemonico. Autoregolazione e percezione di opportunità sono il
nucleo centrale di vari costrutti che si sono rivelati importanti elementi di
promozione del benessere.
Innanzitutto occorre citare l’autoefficacia (Bandura, 1997), cioè la competenza percepita dall’individuo in una data situazione. L’autoefficacia favorisce
il benessere in quanto la fiducia nelle proprie capacità e l’aspettativa di risultati
positivi promuovono l’impegno, la perseveranza di fronte agli ostacoli, la soddisfazione personale nel raggiungimento degli obiettivi. L’individuo è quindi
in grado di autoregolare il funzionamento personale, attraverso i meccanismi
cognitivi delle aspettative e delle convinzioni, che gli permettono di impegnarsi
nel perseguimento di obiettivi anche dilazionati nel tempo. Numerosi studi
hanno analizzato le modalità di sviluppo dell’autoefficacia nel corso della vita
e le sue conseguenze sul comportamento, nonché le strategie per supportarla
e implementarla in vari ambiti e circostanze quotidiane.
Su presupposti analoghi si basa la teoria dell’autodeterminazione (SDT;
Ryan e Deci, 2000). Come già accennato in precedenza, lo sviluppo della
SDT ha permesso di estendere l’analisi della motivazione intrinseca dal suo
ruolo nel favorire esperienze positive nell’immediato alle sue implicazioni
per lo sviluppo a lungo termine.
Ryan e Deci identificano alla base della motivazione intrinseca tre
bisogni psicologici innati, che supportano il funzionamento ottimale e lo
sviluppo dell’individuo: il bisogno di competenza, il bisogno di autonomia e il
bisogno di relazionalità. In particolare i bisogni di autonomia e competenza
sono chiaramente connessi all’autoregolazione del comportamento e allo
sviluppo di capacità. Vari studi hanno dimostrato che un comportamento
può essere caratterizzato da motivazione intrinseca solo quando l’individuo
percepisca di acquisire competenze, di poter agire in autonomia, e di muoversi
in un ambiente sicuro e favorevole. Questo ha portato anche all’analisi dei
fattori ambientali che promuovono la motivazione intrinseca: ad esempio, in
ambito scolastico è stato evidenziato che un contesto educativo in cui i tre
bisogni fondamentali siano supportati attivamente da familiari e insegnanti
favorisce l’apprendimento e le prestazioni nello studio (Frederick e Ryan,
1995; Grolnick, Deci e Ryan, 1997).
La motivazione intrinseca purtroppo non è reperibile facilmente nelle
attività quotidiane. Ciononostante, alla luce del suo ruolo fondamentale
nel favorire lo sviluppo e il benessere, all’interno della SDT è stato messo a
punto un ulteriore modello di analisi delle motivazioni, che tiene conto delle
varie situazioni in cui di fatto vivono e agiscono gli esseri umani (Ryan, Kuhl
Comprendere il benessere per potenziare l’intervento
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e Deci, 1997) e del livello di autodeterminazione che le attività quotidiane
possono offrire.
Anche la hardiness (letteralmente «forza d’animo»; Maddi, 2002) può
rientrare in questo gruppo di fattori. Essa comprende tre caratteristiche
psicologiche, che secondo l’autore sono tratti stabili di personalità: l’impegno, il controllo e la percezione di sfide. Essi permettono di individuare
aspetti costruttivi in situazioni altamente stressogene, promuovendo pertanto
l’adattamento e il benessere.
Deve essere infine qui citato l’ottimismo, che sarà peraltro trattato
ampiamente nel capitolo 2 di questo volume. Esso rappresenta uno dei
costrutti più studiati in virtù delle sue conseguenze positive per il benessere
psicologico e la salute psicofisica.
Due sono le prospettive di interpretazione correnti dell’ottimismo:
Scheier e Carver (1992) lo considerano una caratteristica generale e stabile
della personalità, che influenza la modalità con cui gli individui esperiscono
e affrontano i problemi (ottimismo disposizionale). Esso include le aspettative
(cioè le possibilità di successo o fallimento percepite nel perseguire un obiettivo) e il valore attribuito all’obiettivo, che influisce sull’entità delle risorse
mobilizzate per il suo perseguimento. Invece, per Buchanan e Seligman
(1995), l’ottimismo deriva dal processo di attribuzione causale, ed è pertanto
passibile di apprendimento: lo stile esplicativo ottimistico si manifesta attraverso
l’attribuzione degli eventi positivi a cause interne, stabili e pervasive (proprie
capacità e risorse), e l’attribuzione degli eventi negativi a cause esterne, instabili e circoscritte. In entrambe le prospettive comunque la percezione di
capacità e risorse personali sono elementi costitutivi dell’ottimismo.
Valori, virtù e punti di forza
Peterson e Seligman (2004) hanno sviluppato un sistema di classificazione dei tratti positivi degli individui, il Values in Action (VIA), che si
contrappone idealmente alla classificazione dei sintomi e dei disturbi mentali
(DSM). Essi definiscono la «buona vita» a partire da sei virtù, universalmente
riconosciute come valori imprescindibili: saggezza, coraggio, umanità, giustizia, temperanza, trascendenza.
Il perseguimento di tali virtù è facilitato da 24 punti di forza del carattere,
ossia processi e meccanismi psicologici. Ad esempio, la virtù della saggezza
può essere perseguita attraverso la curiosità e l’amore per l’apprendere,
l’apertura mentale, la creatività e una visione ampia e prospettica della vita.
La tabella 1.1 illustra le virtù, i punti di forza e le loro relazioni reciproche.