L'intervento di Arturo Paoli CHE MONDO È? Cercherò di evitare tutti i preamboli dell’ introduzione, di prefazione, perché vedo che il tempo è scarso. Il tema che affronto lo direi in sintesi, con un titolo di un libro di Natori “Stare al mondo”. Naturalmente circoscrivo questo mondo con quello occidentale, cioè “stare nel mondo occidentale” e comincerei dicendo il disagio di stare oggi nel mondo occidentale, il disagio come uomini, come cristiani, soprattutto come Cattolici. Da dove viene questo disagio? Perché questo disagio di stare al mondo? Io lo guarderei da un angolo che si potrebbe chiamare filosofico, perché come dice Foucault : “la filosofia è la diagnosi della società”. Io ho pensato sempre che realmente la filosofia non è solo la diagnosi della società, ma anche l’ annuncio di una società nuova, che precede una società nuova. La ragione per la quale ho cercato, in quest’ anno soprattutto, di approfondire un po’ la filosofia è dovuto al fatto che io credo di poter solamente trovare lì le radici della speranza. Vivendo con i poveri uno si sente sfidato continuamente, dallo loro semplice presenza, dal volto – come dice Levinàs – e quindi si domanda come dare speranza, come aiutare a vivere, perché per loro il problema è questo: vivere, come fare per vivere. Allora uno si domanda, quando si ritira nel segreto della sua stanza, se è stato sincero, se poteva dare dei motivi di speranza, per il mondo di domani perché quello di oggi per loro è un mondo terribilmente conflittuale, triste. Si chiede se poteva avere dei fondamenti per aiutarli a vivere, questo è stato il mio tema permanente da quando sono in America Latina. Non posso ritornare a quell’ argomento facile – ormai penso superato – dei missionari di un tempo: “state male qua ma starete bene nell’ altra vita”. Questo slogan è stato così criticato, giustamente criticato, dalla sociologia, dai movimenti politici sorti dopo, che brucerebbe la bocca se uno lo dicesse ancora; quindi bisogna trovare degli argomenti di speranza che li aiutino a vivere e probabilmente andare alle radici. Allora che cosa è successo nell’ Occidente? Io vi posso dire che sono un buon testimone perché quando ho frequentato l’ Università di Pisa con il professore Giovanni Gentile, ho cominciato con Hegel e poi poco a poco – perché ho sempre seguito, anche se modestamente, lo sviluppo filosofico – sono arrivato a Levinàs. Non si tratta di un tradimento, ma di una evoluzione proprio per cercare di scoprire se veramente questa nostra società contiene dei segni di speranza, che mi autorizzino ad aiutare i poveri a vivere. Segni da ricercare non solamente nella preghiera, non è solamente nell’ assicurazione – alla quale io credo fortemente – che Gesù è il Signore della storia, che Gesù sta con noi, che lo Spirito ci accompagna. Questi sono argomenti che potrei chiamare ontologici, che stanno dentro di me, ma poi bisogna cercare se questa presenza di Dio nel mondo si può cogliere attraverso sbocchi, come dire, segni di questa speranza. E li ho trovati nella filosofia laica e, contemporaneamente, nei principi della teologia della liberazione. Quando ho incominciato l’ università con Giovanni Gentile, il grande ispiratore della filosofia occidentale era Hegel, come dire il punto di arrivo, il punto massimo di quella filosofia dell’ essere che abbiamo ereditato dai Greci, cioè il soggetto assoluto, un assoluto che Hegel identifica come sapete con lo Stato. Quindi la nostra filosofia occidentale, la filosofia europea – con variazioni e sviluppi – è stata fondata proprio su questa filosofia dell’ essere e su questa base è nato tutto il corso, tutto il percorso teologico, a cominciare da San Tommaso fino agli ultimi teologi. Allora che cosa è successo oggi? E’ successo che questa filosofia dell’ essere, che ha dato origine ai grandi sistemi, ai grandi progetti di società del nostro tempo – il progetto liberale, il progetto comunista, socialista e finalmente questo progetto della globalizzazione –, oggi è venuta a decadere fortemente. C’ è stata una caduta improvvisa in un abisso, perché al posto della ideologia è venuto il denaro, la moneta, non diciamo l’ economia, perché “ economia” è una parola molto sana, molto bella, ma la moneta si sviluppa, cresce indipendentemente dall’ economia. L'economia, praticamente, ha come concetto la giusta distribuzione dei beni della terra, la giusta ripartizione dei beni della terra. Questa è la parola “economia” arrivata fino all’ epoca liberale: vuol dire, infatti, distribuzione dei beni come in una famiglia, "oikos" vuol dire casa, famiglia, domestico; riporta nella società questa gestione domestica del denaro, in maniera che tutti abbiano il necessario per vivere e tutti possano avere il necessario, vorrei quasi dire, in misura uguale. E quindi economia dovrebbe far pensare alla ripartizione dei beni in misura uguale per tutti, non dico in senso ugualitario, ma diciamo in senso proporzionalmente; e invece è diventato il sinonimo della accumulazione di denaro. Quindi nella gestione del denaro, l’ unico essere libero, oggi, del mondo occidentale, che può viaggiare quanto vuole, senza passaporto, senza permessi, senza ragioni, è il capitale; però proprio questa assoluta libertà, questa anarchia sfrenata limita la libertà dell’ uomo. Noi oggi siamo soggetti a questa idolatria che Gesù ha annunciato chiarissimamente quando nel testo di Matteo dice: “Non potete servire a due padroni, o servite Dio o servite mammona”. Noi oggi siamo tutti sotto questa idolatria – che lo vogliamo o no – siamo un po’ servitori di mammona, perché l’ unico essere dominante non è l'economia, ma il denaro, la finanza, in poche parole il capitale; siamo quindi arrivati realmente all’ epoca del “capitalismo senz’ altro”, nella decadenza di quest’ epoca. Quando arriverà la morte non lo so, me certo la morte viene, perché noi viviamo in una società patologica e già i primi grandi liberali inglesi e italiani dicevano che non si può applicare questa libertà al capitale, al denaro, perché proprio il denaro deve essere servo e non padrone. Infatti la parola liberista e non liberale è stata coniata da Benedetto Croce, perché non voleva assolutamente parlare di una economia liberale, non può esistere l’ economia liberale, cioè questa libertà è dell’ uomo, questa libertà è della società politica, ma non può essere dell’ economia perché l’ economia è essenzialmente economia. Ora, diciamo meglio, il denaro, la finanza, è essenzialmente “servo”, è costituzionalmente servo, perché deve servire, giustamente, all’ ideale politico, invece è diventato padrone. Questa è la patologia: la “serva” diventata padrona o il “servo” diventato padrone, o meglio “chi è soggetto” è diventato imperatore, è diventato l’ assoluto. Siamo così arrivati all’ ultimo gradino, proprio all’ estremo dell’ abisso di questo processo, di questa ricerca degli assoluti, che è tipica della nostra cultura occidentale. Una ricerca di assoluti che è stata applicata anche nella teologia, per cui è sempre problema della conoscenza, e quindi come si fa a conoscere Dio? La Bibbia ha detto: “Dio non si conosce, nessuno conosce Dio, nessuno può conoscere Dio”. Gesù dice: “voi conoscete Dio attraverso il Figlio che Lui ha mandato, ma Lo conoscete solo”. Gesù non dice mai chi è Dio: Lo conoscete attraverso questa sua presenza, che opera il miracolo, che guarisce, che inquieta, che si fa sentire presente attraverso di Me, che è presente attraverso di Me, ma lo conoscerete unicamente per gli effetti che produce, per la relazione che Dio manifesta con il Suo mondo, con l’umanità. Gesù non ha mai fatto un corso di teologia direi teoretica, dicendo chi è Dio. Dio è qua, non pensate a Mosè non pensate ad Abramo, non pensate agli antichi, non pensate alla storia, perché Dio è qui con me e lo vedete perché questo lebbroso è guarito, perché Zaccheo, uno sporco capitalista, è diventato immediatamente amico dei poveri; Dio lo vedete, è qua e sta con me. Allora questi grandi sistemi dell’ assoluto ci hanno portato alla situazione dell’ oggi: con gli effetti di due guerre mondiali, l’ olocausto, la miseria che avanza come un’ epidemia del mondo e che − nonostante tutte le promesse dei politici e tutte le statistiche − è un processo inarrestabile, perché ogni giorno che la globalizzazione vede l'apparire del sole, per poter funzionare, bisogna che produca sempre più miserabili, sempre più poveri, numericamente e direi essenzialmente miserabili, nella loro essenza, nella loro vita. Si sprofonda sempre di più − una parte dell’ umanità sprofonda sempre di più − solamente per il funzionamento del mercato; e quindi noi che oggi siamo qua a godere, pensiamo di godere degli aspetti positivi, produttivi del mercato: Evidentemente siamo tutti dentro questo peccato, siamo tutti peccatori: oltre i nostri peccati individuali, personali, noi oggi siamo dentro questo enorme peccato sociale che − produce come vi dicevo, questa epidemia inarrestabile. Il sistema ha bisogno di produrre, di estendere questa epidemia che è la grande miseria del mondo, la fame con tutti i suoi “seguaci”; quindi tutti noi siamo responsabili. Chi sono stati quelli che per primi si sono accorti di questa conseguenza del loro pensiero apparentemente innocuo, puro, un pensiero nato nel silenzio di una stanza bene illuminata dove non arrivano i rumori del mondo? Sono stati i filosofi, a cominciare da Russel e gli altri hanno detto: qua non c’ è niente da fare, bisogna ammazzare la filosofia dell’ essere, bisogna interrarla per sempre, perché ha dato dei frutti meravigliosi ma oggi dà frutti velenosi. Chi conosce Levinàs, sa della sua famosa espressione “l’ opinione della modernità è la fine della filosofia”, non la fine di tutta filosofia – la filosofia non può morire, è nata con l’ uomo e morirà con l’ uomo, con l’ umanità –, ma la fine di una certa filosofia che ha come principio e come fondamento l’ essere. Levinàs dice che la filosofia può rinascere solamente come etica; il che evidentemente non vuol dire empirismo – guardare la realtà solamente da questo punto di vista superficiale –, ma vuol dire insegnare all’ uomo come comportarsi, come vivere nel mondo e quindi affrontare il suo aspetto di relazione affettiva, di relazione economica e di relazione politica, perché l’ uomo è relazione, l’ uomo non è individuo isolato, ma relazione. Di fatto oggi ciò che ci dà speranza – perché certamente, vorrei dire inevitabilmente, darà i suoi frutti, anche se non so quando – è il supermanto di un’ antropologia di tipo razionalista e individualista, cioè “penso dunque sono e se sono e penso, non devo render conto a nessuno”. I buoni cattolici hanno continuato a dire e a predicare che dobbiamo rendere conto a Dio, ma i filosofi ci hanno detto: Dio è morto, non c’ è più, Dio non esiste. Cacciari si domanda: ma quale Dio è morto, quello che doveva morire, quello che ha ucciso Gesù già nel suo tempo? Cioè questo Dio imperatore, questo Dio del figlio maggiore della parabola del Figlio prodigo, questo Dio padrone, ma non il Dio misericordioso, il Dio che scende tra gli uomini, il Dio che dice: “Ho ascoltato il clamore del mio popolo, e sono sceso per soccorrerlo”. Questo Dio è il Dio di Gesù, perché la grande discesa di Gesù è quella di Dio nella persona di Gesù e quindi nasce una nuova antropologia, un’ antropologia non soggettivista (soggettiva: necessariamente individualista, assolutamente competitiva e quindi con una logica di guerra, un’ antropologia di guerra). Non ci potete far nulla finché non cambia questa base. Il mondo è violento, perché la violenza comincia col soggetto: “io sono pensiero, io non devo dar conto a nessuno, io sono superiore ai pensieri degli altri, io sono il pensiero più alto, il pensiero che va più avanti, il pensiero che già prevede il futuro, io sono, io sono…”. Con questa antropologia non potrete mai impedire conflitti e guerre! Mai! La guerra nasce proprio da questa convinzione; questa convinzione del super soggetto, infatti, si è proiettata su Hegel, sugli stati, si proietta sul denaro, sulle banche ed è sempre: “io posso tutto! Io sono onnipotente, Io!”. La nuova antropologia, che nasce oggi, è l’ antropologia dell’ altro, degli altri: non esiste questo super soggetto per cui dire “io sono onnipotente” è una fantasia, una creazione della testa, non esiste nella realtà, per cui oggi l’ orientamento della filosofia occidentale – non posso dire di aver letto tutto, ma ho letto abbastanza – è di tipo fenomenologico ed etico. Perché? Perché oggi non c’ è altro, non si può fare altro: o si è complici di questo omicidio, di questa lotta permanente, delle guerre, della sopraffazione, in una parola si è complici dell’ idolatria del denaro con tutte le sue conseguenze; oppure si cambia indirizzo cominciando a cambiare la concezione dell’ uomo, l’ uomo è altro, l’ uomo è responsabile, tutte le azioni, tutte le scelte – anche quelle personali, fatte nel segreto – si ripercuotono sul mondo. Già ce l’ avevano detto, anche certi cattolici, Teilhard de Chardin, per esempio, e altri: la comunione, il corpo mistico… Il corpo mistico non è solamente mistico, direi che il problema – non dico l’ errore – è l’ aver pensato che sia solo una costruzione mistica, cioè invisibile, spirituale che ci viene da San Paolo; invece il corpo mistico è un fatto ontologico, è un fatto reale. Noi siamo dipendenti l’ uno dall’ altro e le mie azioni si ripercuotono sull’ armonia o sul disordine del mondo, per cui è inutile che io mi commuova davanti alla televisione nel vedere un bambino del Kenia che muore di fame o nel vedere sgozzare uno in Iraq se non assumo questa verità, che non è buon cuore, che non è religiosa in sé. Bisogna partire di lì per dialogare: si parla tanto di ecumenismo, ma l’ ecumenismo non verrà mai, sulla base della dottrina è impossibile! La dottrina ha dato scismi, ha dato inquisizione, ha dato odio – la dottrina dell’ Islam è migliore della dottrina cristiana, la dottrina cristiana è migliore di quella dell’ Islam –, quindi su questa base non potrà mai nascere un confronto. Il confronto deve nascere, invece, sulla comune convinzione che noi siamo responsabili dell’ umanità, siamo responsabili della natura. Quindi il concetto di creazione: non è vero che tu puoi fare nel mondo quello che vuoi, perché il mondo ti è stato messo nelle mani, ti è stato consegnato, non puoi dire “è mio”; ti è stato affidato e le tue scelte, le tue azioni si ripercuotono necessariamente sull’ umanità. Oggi sappiamo, anche statisticamente, che degli affamati dell’ Iraq o dell’ Africa io, in parte, ne sono responsabile e non posso lavarmene le mani, non posso rifugiarmi nel mio studio per astrarmi dal mondo. Bisogna stare nel mondo e starci proprio partendo di lì, recuperando un’ antropologia realista e non un’ antropologia direi immaginaria. Anche dire “io sono”, “io penso in Dio, io mi occupo di Lui, io sono anima, io sono spirito” è fortemente negativo. Lo dico con molta vibrazione io, un appassionato dell’ Azione Cattolica, un appassionato della Democrazia Cristiana nascente – non di quella di oggi – dove ho incontrato persone profondamente religiose, come De Gasperi, Dossetti che ho conosciuto da vicino: erano profondamente laici, profondamente laici nella politica, profondamente laici nelle scelte umane, non affidandole a Dio, perché Dio le affida a noi, esclusivamente a noi. Ho conosciuto questo tipo di cristiano, che non esiste più, per lo meno non si vede mercato, ci sarà probabilmente, ma non è certamente il cristiano comune, non è il laico di oggi; il laico di oggi è più sagrestano dei sagrestani, più prete dei preti più clericale di tutti i preti che esistono sulla terra, ve lo dico per esperienza. Bisogna creare uomini che siano uomini nuovi, uomini responsabili! Uno non è adulto se serve all’ altare – assolutamente – se fa il chierichetto, per l’ amor di Dio! È adulto quando si assume le sue responsabilità politiche, le sue responsabilità economiche – veramente economiche – nella distribuzione dei beni. Date all’ economia la sua “parola” vera, perché oggi c’ è un tradimento terribile delle parole, a cominciare dalla parola “pedofilo”: è una parola sublime, creata da Platone per dire che il maestro non può insegnare se non attraverso l’ amore dei suoi alunni, l’ amore che è dedizione, che è dono di sé; oggi questa parola è stata portata nel fango, come tante altre, come la stessa parola “economia”, e non parliamo della parola “politica”. È necessario riscattare queste parole, ma soprattutto riscattare i valori che contenevano, anzi che contengono, perché sono parole immortali, sono parole evangeliche finalmente. Qui è il punto. Bisogna non soltanto, diciamo, fare statistiche: quanti muoiono, quanti nascono, quanti beni, quante calorie; tutto questo è bene conoscerlo, evidentemente, ma poi bisogna cambiare noi, diventare adulti finalmente e quindi sottrarci a questo assedio permanente che fa strazio della gioventù: l’ assedio della globalizzazione che ha come finalità, come effetto raggiunto immediatamente di sradicare il principio di identità, sradicare l’ originalità della persona. La persona è realmente originale, è una monade ma una monade con finestre aperte, non una monade come la pensavano Leibniz o Spinosa; è una monade perché io non sono uguale e lei, lei non è uguale a me, non solo sessualmente, fisicamente, ma per tante altre cose: per la sua cultura, la sua sensibilità, la sua forma di pensare, la scelta che ha fatto del mondo, evidentemente, ma la mia vita, le mie scelte hanno delle conseguenze su lei, hanno delle conseguenze sul mio vicino, e quindi devo sentire questa responsabilità di essere al mondo. Leggevo in questi giorni – scusate se dico questo – un appello molto accorato che il Papa ha fatto parlando dell’ anno dell’ Eucarestia, raccomandando che i preti riconoscano la loro dignità spirituale, l’ altezza sacra in un certo senso. Ma io vorrei dire al Santo Padre molto umilmente, in ginocchio: sono parole che oggi non hanno più questo valore, perché sacro per noi vuol dire separato, vuol dire lontano, ed è proprio questa lontananza, questa solitudine che fa del prete molte volte quello che non dovrebbe essere; è solamente la responsabilità, la responsabilità verso gli altri, la responsabilità verso il mondo, è sentire che io sono responsabile di questo bambino per tutta la vita, per trenta, quaranta, sessanta anni che mi impedisce di profanarlo, di condizionarlo, di fargli del male. Ma bisogna creare prima di tutto – direi – un senso della persona che abbia senso, non mettere delle sovrastrutture su una persona che non si è mai trovata, che non ha mai capito chi è, che non ha mai capito perché essere al mondo. Bisogna partire di lì coi piedi in terra, cominciando a interrogarsi profondamente: perché sono qua? perché sono nato in questo tempo? che cosa ci si aspetta da me? quale è la mia responsabilità? Da qui bisogna cominciare, prima ancora di impegnarci nel volontariato o in azioni spirituali, nella preghiera, perché tutto questo ha senso solamente se si svolge intorno a un essere che ha trovato se stesso, che è grato a Dio di stare al mondo, che scopre tutto quello che Dio ha messo in lui, tutti i valori, tutte le ricchezze che deve sviluppare, che deve usare, e che deve usare nella relazione con gli altri. Scoprire che l’ uomo è relazione, è essenzialmente relazione. In un articolo, che mi è capitato di leggere, il giurista Barcellona batte sullo stesso tono: dice che oggi non esiste più la società e non esiste la società perché non esiste la persona. Siamo tutti dispersi tutti vittime del consumo, vittime della propaganda, non abbiamo trovato ancora noi stessi, ma non dobbiamo trovare noi stessi secondo schemi antichi, secondo formule superate “spendo dunque sono”. Io sono assetato di infinito, e quindi ho bisogno di uscire dal mondo per andare verso questo infinito, perché Gesù ci ha messo sulla terra, ci ha messo definitivamente in mezzo agli altri; dovremo rendere conto non dell’ essere arrivati a conoscere l’ infinito – che non si può conoscere –, ma dobbiamo rendere conto degli altri: mi hai visto nudo, mi hai visto affamato, mi hai visto in carcere, mi hai visto senza casa, mi hai visto vagare per le tue strade senza sapere dove posare il capo stanotte: mi hai visto o non mi hai visto? Perché la tua identità è lì, è unicamente lì, capisci! Hai visto i tuoi fratelli: li hai visti? Li hai guardati? Li hai accolti? Hai fatto come il samaritano o come il sacerdote e il levita che sono andati per la loro strada? Che hai fatto? Hai sentito che eri tu – e solamente tu – che potevi salvare questa persona, che non potevi rimandare ad altri? Il samaritano poteva dire: “ma passerà un altro, io ho fretta, devo andare a vendere la mia merce, perché mi devo fermare, perché perdere tempo, denaro, non è nella mia identità, non ho nulla a che fare con lui”. E invece no, si è fermato, pensava che fosse morto ma ha tentato in qualche modo di mantenerlo in vita, si è fatto responsabile. È quello che ci dice Gesù, non teoricamente, non attraverso statistiche, ce lo dice nella realtà: “Guardate che voi siete responsabili di vedere, l’ avete visto, siete adulti se questo vedere passa poi all’ opera, passa alle decisioni della vostra vita”. Se voi siete capaci di decidere allora siete adulti, prima ancora di essere cristiani, prima ancora che uomini di chiesa e oggi bisogna pensare l’ ecumenismo. L’ ecumenismo in questa linea dove tutti ci possiamo trovare, dove tutti ci dobbiamo trovare, perché l’ uomo non è adulto, non è uomo se non in questa linea della responsabilità verso altri e verso la natura. E lì dobbiamo incontrarci col mussulmano, con l’ ateo, col buddista, con qualunque persona, perché questo è un livello umano sul quale Gesù ha fondato la relazione col Padre, perché solamente se voi accettate questo livello umano rispettate la creazione, rispettate l’ umanità: non c’ è amore di Dio senza amore alle creature, ce lo insegna Francesco D’ Assisi. Ce l’ ha insegnato bene che l’ amore al Padre si manifesta anche con una fraternità, non solo verso tutti gli uomini, ma anche verso frate sole, sorella luna, frate albero, frate fuoco, sorella acqua, è bellissimo. Non è solamente poesia, è grande realtà questa comunione cosmica, il sentirsi dentro non come ammiratori estetici, non come turisti, ma perché è la nostra realtà ontologica, la nostra realtà umana. Se l’ occidente sarà capace di trovare questa base, questo impianto alla sua azione, alle sue decisioni, allora forse l’ Europa potrà essere ancora un faro di civiltà, altrimenti povera Europa – naufraga nei soldi, nell’ abbondanza, nei supermercati – non ha più nulla da dire, può prepararsi alla morte.