Elena Pavari Mazzetti - Parrocchia di San Martino a Mensola

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PARROCCHIA DI S. MARTINO A MENSOLA
UN ALBERO DI LUCE, LA LUCE DI TRE SANTE
a cura di Elena Pavari Mazzetti
L’albero
Il mito dell’”albero cosmico”, o “albero della vita”, è presente -in forma diversa- in tutte le civiltà
antiche: è simbolo di rigenerazione e di rinascita, di comunicazione tra il mondo terreno, quello
sotterraneo e quello celeste.
A questa simbologia spesso si associa quella della “scalata dell’albero”, un percorso iniziatico che fa
parte dei riti degli sciamani sia in Siberia che in Africa ed ha un significato analogo a quello di
“ascensione”, di salita verso l’alto rappresentato dai gradini di una scala o dal cammino verso un monte
sacro.
La mitologia degli alberi ci parla in lingue diverse e di diverse specie di alberi: spesso ne rimane il
messaggio, anche se non sempre ne riconosciamo l’origine.
In Europa, soprattutto in Italia, una storia lunga molti secoli ha portato all’incontro di usi, tradizioni e
leggende di popoli diversi, anche mediante diversi alberi.
La betulla
La betulla, albero antichissimo, vive prevalentemente nel clima freddo (lo sapeva già Plinio: “gaudet
frigidis betula”).
Domina il paesaggio in vaste zone del nord europeo, dalle isole britanniche alla Scandinavia, alla
Russia; ma si trova anche in alcune montagne del Sud, per esempio sull’Etna e in Marocco.
Appartiene alla stessa famiglia di Ontano, Carpino e Nocciolo.
Comprende diverse specie di cui la più nota è la “Betula alba” (= bianca), detta anche "verrucosa"
(per le escrescenze resinose) o "pendula" (per i suoi rami superiori pendenti).
Il suo nome latino viene probabilmente da “batuere” (= battere, percuotere): infatti i suoi rami flessibili
erano usati dai Romani come verghe per le punizioni, mentre in Svezia si usano tuttora nelle saune.
Sia gli usi concreti che i significati simbolici della betulla sono legati alle caratteristiche naturali di
questo albero, che fino da tempi remoti l’uomo ha imparato ad utilizzare in tutte le sue parti: il legno si
lavora per utensili e per le casse di risonanze del tamburo degli sciamani, i rami, bruciando, danno torce
di luce chiara; la corteccia contiene tannino e una sostanza balsamica (“betulina”), per cui serve a
conciare le pelli che assumono il caratteristico odore di “cuoio di Russia”; dal legno e dalla corteccia si
estrae l’”olio di rusco” con potere antisettico e il “catrame di betulla”; dalla linfa ottenuta perforando il
tronco in primavera viene un liquido zuccherino che in seguito a fermentazione dà una bevanda
alcoolica.
Il suo aspetto elegante, la forma e i colori sono determinati da strutture capaci di sfruttare al massimo la
luce: tronco slanciato, corteccia bianca con fessure scure, chioma rada, foglie che utilizzano la luce su
entrambe le facce. E forse più che per l’utilità dei suoi prodotti è stato proprio per i valori estetici che la
betulla ha assunto il significato dell’”albero della luce”.
La luce
Il significato concreto ma anche trascendente della luce si trova, con varianti legate all’ambiente locale,
nella mitologia e nella tradizione religiosa e popolare di tutti i popoli
In questo periodo dell’anno – tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio – fa ancora freddo ma stanno
aumentando le ore di luce.
E’ un cambiamento importante e tutti continuiamo più o meno a percepirlo, anche se la civiltà
contemporanea ci ha resi più estranei ai ritmi cosmici universali.
A questi ritmi è invece profondamente legata la tradizione cristiana, che all’inizio dell’anno liturgico ci
propone con insistenza il tema della luce: nel mese di gennaio, la parola “luce” risuona più volte con
voci “forti” come quella del profeta Isaia e del Vangelo di Giovanni.
Il giorno 2 febbraio, dedicato dal calendario liturgico alla presentazione di Gesù nel tempio, era ed è
tuttora chiamato “candelora”, una festa che celebra il ritorno della luce.
Questa celebrazione è stata sempre particolarmente sentita nei paesi nordici, dove le variazioni
stagionali delle ore di luce sono di notevole entità.
Santa Brigida e la Candelora
Nell'«Alfabeto degli alberi» calendario sacro dei Celtí, è la betulla che presiede al primo mese dell'anno
solare (dal 24 dicembre al 21 gennaio).
Nella festa che celebra il ritorno della luce, la nostra Candelora, la betulla è oggetto di speciale
considerazione, nella persona di santa Brigida il cui nome, Birgit, (Brigitte in francese e tedesco,
Bridget in inglese) deriva dalla radice indoeuropea Bhirg - più antica di quella latina – del nome della
betulla (Birch in inglese, Birke in tedesco) .
Santa Brigida di Kildare, nata nella seconda metà del quinto secolo, presentata dai suoi agiografi come
figlia di un capoclan pagano e diventata una delle patrone d'Irlanda, era originariamente un'antica
divinità celtica della rinascita del fuoco e della vegetazione, la figlia addirittura di Dagda, il dio
supremo venerato dai druidi irlandesi.
La festa di santa Brigida, che si celebra solennemente, per esempio nelle Highlands scozzesi, il 1°
febbraio, vigilia della Candelora, era una delle quattro grandi feste irlandesi ricordate da Cormac,
vescovo di Cashel nel decimo secolo.
Questa tradizione si conserva molto a lungo, se ancora nel sedicesimo secolo, fino alla soppressione dei
monasteri compiuta da Enrico VIII, le suore di santa Brigida, a Kildare, in Irlanda, tenevano vivo un
fuoco che, subito dopo la sepoltura della santa, si sarebbe acceso da solo sulla sua tomba.
Quel fuoco non doveva spegnersi e possedeva certe qualità magiche. Kildare significa «chiesa delle
querce», il luogo essendo stato precedentemente un nemeton, un bosco sacro pagano. Le suore, in
numero di diciannove, vegliavano a turno il fuoco durante la notte. L'ultima, la ventesima sera,
ammucchiava ceppi sul fuoco e lo lasciava dicendo « Brigida abbi cura del tuo fuoco, perché questa
notte ti appartiene ». L'indomani, le suore trovavano il fuoco ancora acceso.
In Europa la “Santa Brigida” più celebre è senza dubbio quella di Svezia nata qualche secolo più tardi
della sua antica omonima (1303 – 1373) ed anche con una storia personale molto diversa. E’ stata
sposata, ha avuto 8 figli; dopo la morte del marito ha scelto una vita di penitenza e di preghiera, ha
fondato un ordine monastico (le “Brigittine”), è stata più volte a Roma e in Terrasanta.
Ma anche lei ha continuato a testimoniare la simbologia della luce, questa volta rappresentata, nella
tradizione popolare, da una coroncina di candele che le bambine portano sulla testa nella festa a lei
dedicata nel mese di ottobre.
Tra questi due personaggi apparentemente così lontani c’è una terza Santa Brigida, meno celebre, ma
che rappresenta una interessante funzione di intermediaria tra l’area nordica e quella mediterranea.
Anche lei viene dall’Irlanda: è la sorella minore di Andrea, il giovane diacono arrivato in Italia
nell’VIII secolo, al seguito di Donato, che è stato fondatore ed è tuttora co-patrono della Chiesa di San
Martino a Mensola sulle colline fiesolane.
Brigida raggiunse l’amato fratello in punto di morte nell’880 (secondo la leggenda, portata da un
angelo) e rimase in Toscana, in eremitaggio nelle selve di Lubaco, ove morì.
Sulla sua tomba fu costruito un oratorio, attorno a cui conducevano vita eremitica le discepole della
Santa ed in seguito si sviluppò un piccolo centro abitato che porta il suo nome: Santa Brigida, in
comune di Pontassieve, diocesi di Fiesole.
Oggi pochi conoscono la sua storia. Tutt’al più ne associano il nome all’invenzione dei “brigidini”
(biscottini all’anice, cotti in origine su piastre di ferro).
Invece la famosa Bridget svedese durante il suo soggiorno in Italia venne a visitare la tomba della
“sorella” irlandese: anzi, sarebbe stata lei a portare da un suo viaggio i semi delle “roselline
dell’Anatolia, una varietà di “Cistus” che tutt’ora cresce su queste colline toscane.
E ancora oggi, su queste colline, ci sono suore che vengono da lontano e continuano, sia pure in modo
diverso e con diversi nomi, a mantenere accesa la luce della fede e il fuoco della carità.
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