CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50 SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/ BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158 ANNO XLII . N. 278 . GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 IL POPOLO DI GAZA «È finita la guerra è finita la guerra» Michele Giorgio INVIATO A GAZA CITY «È finita la guerra, è finita la guerra», urlavano felici ieri sera i figli di una delle famiglie che abitano all’Abu Ghalion Building di Rimal, dopo l’annuncio della tregua, a partire dalle 21 ora locale (le 20 in Italia), tra Israele e Hamas, fatto al Cairo dal segretario di stato Hillary Clinton e il ministro degli esteri egiziano Kamal Amr. È un palazzo «ricco», sul lungomare di Gaza city, eppure anche questi bambini, figli della minuscola classe media locale, si sono visti negare per una settimana il diritto a giocare in strada, come tutti gli altri ragazzini della Striscia. Torneranno a calciare un pallone anche loro, almeno questo era ciò che ieri sera speravano i tanti palestinesi che regalavano dolci per festeggiare il cessate il fuoco, tra le raffiche esplose in aria in segno di felicità dai miliziani delle Brigate al-Qassam e i proclami di «vittoria» diffusi attraverso gli altoparlanti delle moschee. Anche all’ospedale «Shifa» ieri sera si regalavano dolcetti. Qui i medici ed infermieri per otto lunghissimi giorni, hanno dovuto soccorrere centinaia di feriti dalle bombe e dalla cannonate. La tregua reggerà? Se lo domandavano in tanti mentre arrivavano le notizie di nuove morti in bombardamenti aerei, di distruzioni di infrastrutture, anche a Gaza city. Ieri è stata una carneficina di palestinesi, con il quotidiano tributo di sangue di decine di piccole vittime. CONTINUA |PAGINA 2 EURO 1,50 Dove è la pace Dopo 150 morti palestinesi e 5 israeliani raggiunta una tregua tra Israele e Hamas. Mesha’al e Netanyahu cantano vittoria ma dimenticano che le vere vittime del conflitto sono i civili. Hillary Clinton vola al Cairo e consegna all’Egitto di Morsy e dei Fratelli musulmani il ruolo di protagonista nella regione PAGINE 2,3 ALMENO 28 I FERITI Attentato a Tel Aviv, bomba su un bus Emma Mancini P ochi minuti dopo le 11, il bus 66 di Tel Aviv è esploso vicino la sede del Ministero della Difesa e il quartier generale dell’esercito israeliano. Al momento dello scoppio, l’autobus era vuoto. Almeno 28 i feriti tra i passanti. |PAGINA 2 INTERVISTA A ILAN PAPPÉ Lo storico israeliano: «È solo una pausa» Giuseppe Acconcia BAMBINE PALESTINESI GIOCANO IN UN RICOVERO DELL’ONU A GAZA /FOTO SUHAIB SALEM - REUTERS L a «tregua prepara altra violenza. Israele teme la reazione dell’Egitto all’invasione di terra. Morsy non ha incontrato gli israeliani. È il tempo di una nuova resistenza popolare palestinese», intervista allo storico israeliano Ilan Pappè. |PAGINA 3 DOPO IL NO DELLA GERMANIA AGLI AIUTI GOVERNO SAMARAS NEL CAOS TORINO FILM FESTIVAL Loach rinuncia al premio in solidarietà coi precari MAURO RAVARINO l PAGINA 13 GUERRA CIVILE IN CONGO Dopo Goma l’M23 punta su Kinshasa GERALDINA COLOTTI l PAGINA 16 Grecia, il Fmi dà ragione a Syriza: debito insostenibile, va rinegoziato L’ eurogruppo di oggi a Bruxelles affronta la dura verità sia sul debito greco che il bilancio fino al 2020 dell’Unione. Il no di Germania, Finlandia e Olanda alla tranche di aiuti da 44 miliardi rischia di mandare Atene in fallimento. Governo Samaras in crisi politica. Anche il Fmi (pressato dal Brasile e dai paesi emergenti) preme per la fine dell’austerity in Europa. Per il Fondo di Washington, Bce e stati dovrebbero accettare una ristrutturazione (hair cut) del debito greco. Syriza torna a chiedere le elezioni anticipate per «rinegoziare» tutto il memorandum. Mentre tutti gli stati concordano sul tagliare i fondi all’Unione europea e litigano sui contributi da versare a Bruxelles. PANAGOPOULOS E MERLO |PAGINA 4 LAVORO Patto per la produttività, la Cgil non firma. Camusso contro Monti: «Una strada sbagliata» |PAGINA 7 DDL STABILITÀ | PAGINA 5 La marcia dei sindaci: «Pronti a dimetterci». Ma il governo tira dritto SCUOLA | PAGINA 6 Studenti in piazza sabato «Saremo imprevedibili» GREENPEACE | PAGINA 7 Primarie «insostenibili», carbone per i candidati. Si salva solo Vendola GRECIA/UE Finanza pubblica in rosso, recessione più grave. E ora il Fiscal Compact peggiorerà la situazione L’anno perduto di Monti L’ARTICOLO Pitagora a pagina 15 Lo scontro è su chi paga Gabriele Pastrello M olti accolsero con favore il rapporto del Fmi in cui si mettevano in discussione i dogmi sottostanti alle politiche della Commissione europea verso i paesi i cui debiti sovrani sono sotto attacco. Politiche ossessivamente sostenute sia dall’opinione pubblica tedesca che da dal governo tedesco che, nell’assecondarla, ha visto la garanzia della rielezione, rimediando al calo di consensi registrato fino al 2010. Circa un mese fa il Fmi ha affermato che politiche di austerità hanno effetti negativi sulla crescita molto maggiori di quelli presunti. CONTINUA |PAGINA 15 MAURO BIANI pagina 2 il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 DOVE È LA PACE La Striscia • Dopo otto giorni di bombardamenti israeliani e centinaia di razzi di Hamas, si contano 150 vittime palestinesi e 5 israeliane Gaza spera nella tregua Rispetto all’accordo dopo «Piombo Fuso» del 2009 contro Gaza, la novità è l’impegno egiziano. Dal contrasto al traffico di armi attraverso i tunnel del Sinai. Ma Israele dovrebbe garantire un allentamento dell’assedio alla Striscia e del blocco navale DALLA PRIMA Michele Giorgio da Gaza City I raid dell’aviazione israeliana sono stati incessanti e sono andati avanti sino ad un minuto prima dell’inizio della tregua, facendo altri morti. Hanno tirato un sospiro di sollievo anche nel sud di Israele, dove in serata, prima della fine delle ostilità, sono caduti altri razzi sparati da Gaza. Ad anticipare la notizia della tregua erano stati la televisione qatariota al Jazeera, il quotidiano di Tel Aviv Yediot Ahronot e una fonte di Hamas. Rispetto all’accordo raggiunto quattro anni fa dopo l’offensiva «Piombo Fuso» contro Gaza (dicembre 2008-gennaio 2009), la novità più significativa è l’impegno egiziano. A cominciare dal contrasto al traffico di armi attraverso i tunnel che collegano il Sinai al territorio palestinese. Il rapporto Usa-Fratelli musulmani Allo stesso tempo Israele dovrebbe garantire un allentamento dell’assedio alla Striscia e del blocco navale, a vantaggio dei pescatori palestinesi costretti da anni a gettare le reti entro le tre miglia maritti- Ieri i micidiali raid israeliani sono durati fino ad un minuto prima della tregua annunciata: 6 i morti Prima della tregua/ ATTENTATO A TEL AVIV Bomba in centro su un bus, ventotto israeliani feriti Emma Mancini BETLEMME L a tregua tra Israele e Hamas è restata in bilico fino all’ultimo momento. Solo in serata le voci di un cessate il fuoco sono state confermate: mentre scriviamo, secondo fonti palestinesi, anche il presidente egiziano Morsi sarebbe in procinto di annunciare la fine delle ostilità. Una giornata di tensione quasi latente, dopo l’esplosione di un bus a Tel Aviv. L’attacco ha provocato l’immediata reazione dell’aviazione israeliana, che ha intensificato i bombardamenti sulla Striscia. Ma i vertici israeliani non hanno commentato l’accaduto, mentre Hamas si limitava a compiacersi dell’esplosione negando di esserne responsabile: «È il naturale risultato dell’aggressione israeliana alla nostra gente», ha detto il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum. Pochi minuti dopo le 11, il bus 66 di Tel Aviv è esploso all’incrocio tra Shaul ha-Melech e Henrietta Szold Street, vicino la sede del Ministero della Difesa e il quartier generale dell’IDF. Al momento dello scoppio, l’autobus era vuoto. Fonti citate da Haaretz parlano di almeno 28 feriti. La polizia israeliana ha riferito che la bomba era stata nascosta sotto uno dei sedili. Testimoni raccontano di aver visto due persone allontanarsi dal bus pochi minuti prima dello scoppio. Altre fonti hanno parlato di una donna palestinese come presunta responsabile dell’attacco. Poche parole solo dal portavoce del premier Netanyahu: «Una bomba è esplosa in un bus a Tel Aviv. Si è trattato di un attentato terroristico». Da giorni lo Shin Bet, l’intelligence israeliana, aveva ricevuto informazioni su decine di attacchi terroristici in preparazione. Ma in serata Sky News riporta fonti dei servizi: l’attacco sarebbe opera di un singolo e non di gruppi armati palestinesi. Hamas non ha rivendicato l’attacco, mentre si sono sovrapposte vo- ci contraddittorie che attribuivano l’esplosione a fazioni di Fatah, Pflp e Jihad Islamica. Immediata la reazione della comunità internazionale. Gli Stati Uniti hanno ripetuto il sostegno incondizionato a Israele, mentre la Merkel ribadiva il diritto-dovere di Tel Aviv di difendere i propri cittadini. Il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon, si è detto scioccato per l’attacco: «Nulla giustifica aggressioni ai civili». Dimenticando di nominare i civili che ieri sono stati uccisi a Gaza, di cui cinque minori. Intanto la diplomazia internazionale si muoveva tra Cisgiordania e Israele. Ieri NO DI ABU MAZEN mattina il segretaHillary Clinton, che oggi rio di Stato Usa Hilvedrà il presidente palestilary Clinton, ha innese, ha chiesto di «ricontrato alla Muqamandare» la richiesta di ta a Ramallah il prericonoscimento all’Onu sidente dell’Anp, come «stato osservatore». Mahmoud Abbas. Abu Mazen ha detto no. Al quale ha ribadito la posizione americana in merito alla richiesta di riconoscimento della Palestina come paese «osservatore» alle Nazioni Unite: Washington si opporrà. Fuori trecento palestinesi hanno tentato di avvicinarsi al palazzo presidenziale per protestare contro la politica a senso unico degli Stati Uniti, ma sono stati bloccati dalla polizia palestinese. Sono scoppiati degli scontri, ai reporter presenti è stato impedito di scattare foto. Da giorni la Cisgiordania sta dimostrando il suo appoggio a Gaza. Ad Ofer, vicino Ramallah, due palestinesi sono stati feriti dai proiettili dell’esercito israeliano. A Gerusalemme il sindacato dei lavoratori si è ritrovato sotto la sede dell’Unione europea Città Santa gridando indignazione per il complice silenzio di Bruxelles. A Betlemme il cuore degli scontri è stato di nuovo il checkpoint 300 che divide la città da Gerusalemme. Manifestazioni di protesta a Nablus e Hebron, dove sostenitori di Hamas hanno marciato per le strade sventolando le bandiere verdi del partito. Dura la reazione israeliana: nella notte di martedì l’Idf ha arrestato 32 palestinesi in raid in tutte le principali città della Cisgiordania (Hebron, Jenin, Tulkarem), diciotto solo nell’area di Betlemme. ne, in acque poco pescose, a causa delle intimidazioni ed imposizioni della Marina militare israeliana. Dalle parole di Hillary Clinton emergeva ieri l’enorme responsabilità che Washington assegna al «nuovo» Egitto dominato dai Fratelli Musulmani, a garanzia del successo dell’accordo di cessate il fuoco israelo-palestinese. «E’ un momento critico per la regione – ha detto il segretario di stato - Il nuovo governo egiziano sta assumendo la guida e la responsabilità che a lungo ha fatto di questo Paese una pietra miliare per la stabilità e la pace». Nei prossimi giorni, ha aggiunto, «gli Stati Uniti lavoreranno con i partner regionali per consolidare questi progressi, migliorare le condizioni per la gente di Gaza e garantire la sicurezza per il popolo di Israele». Chiaro il riferimento alle alleate petromonarchie del Golfo, a partire dal Qatar, nuovo sponsor economico e diplomatico di Hamas. Washington evidentemente vede i Fratelli egiziani, «padri» del movimento islamico palestinese, in una sorta di ruolo di «guardiani» della sicurezza lungo i confini con Gaza e Israele, e «moderatori» di Hamas e degli altri gruppi islamisti che operano nella Striscia. Netanyahu ha fallito Gli israeliani da parte loro la responsabilità del rispetto dell’accordo la mettono solo nelle mani degli Stati Uniti. Il premier Netanyahu ha detto di voler «dare una possibilità» alla proposta di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza presentata dalla mediazione egiziana, precisando di aver detto di «sì» al cessate il fuoco solo dopo aver avuto un colloquio telefonico con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. E dal suo volto tirato, si comprende che per Netanyahu l’offensiva «Colonna di Difesa» non ha portato i risultati che il premier credeva di poter raccogliere da un’operazione militare preparata per mesi, forse anni, nella quale ogni fase è stata curata nei minimi dettagli, con i piloti israeliani che grazie al lavoro di intelligence e alle informazioni passate dalla schiera di palestinesi collaborazionisti (Hamas ieri ha condannato l’esecuzione sommaria di sei presunti informatori compiuta l’altra sera nelle strade di Gaza city), avevano piani di volo e di attacco sempre pronti e che non hanno esitato ad eseguire con i risultati devastanti che abbiamo sui civili palestinesi. Netanyahu voleva dare il colpo del ko all’ala militare di Hamas e ridimensionare lo status che il movimento islamico palestinese ha saputo conquistarsi nel mon- MESHAAL (HAMAS) · «Israele ha fallito tutti i suoi obiettivi» «Israele ha fallito tutti i suoi obiettivi, grazie a Dio». È quanto ha detto il leader di Hamas, Khaled Meshaal, dopo l'entrata in vigore del cessate il fuoco, rivendicando come i razzi di Hamas abbiano continuato a colpire (Israele, ndr) fino alla fine». Secondo Meshaal, Israele avrebbe fallito anche nel tentativo di «mettere alla prova l'Egitto del dopo rivoluzione». Per questo, il leader di Hamas ha espresso apprezzamento per l’opera di mediazione di Mohammed Morsy e del governo egiziano. «Non ha svenduto la resistenza e ha agito responsabilmente», ha detto ancora parlando dell’azione diplomatica del Cairo. Meshaal ha sottolineato che «tutte le richieste (di Hamas, ndr) sono state accolte». E ha continuato ribadendo come l’attacco israeliano sia «una aggressione crudele a cui è stato necessario rispondere per autodifesa». Infine, Meshaal ha ringraziato per «le armi e il sostegno finanziario fornito a Gaza» dall’Iran. do arabo-islamico in questo ultimo anno. Ha fallito il suo obiettivo. Avrebbe potuto conseguirlo solo con un’offensiva di terra. «La sconfitta per Netanyahu è rappresentata da un accordo di cessate il fuoco che lascia intatta la forza militare e politica di Hamas e non impone le regole del gioco dettate da Israele», ci ha detto ieri l’analista arabo Mouin Rabbani. «Questa offensiva militare, nella visione di Netanyahu, doveva ristabilire il potere di deterrenza di Israele. – ha aggiunto Rabbani Un potere che è progressivamente svanito a Gaza di fronte ad un Hamas non più isolato come qualche anno fa. Netanyahu inoltre parla di un attacco a Tehran ma in realtà non sembra in grado di fermare il programma nucleare iraniano. L’Egitto dei Fratelli Musulmani anche se non mette in discussione gli Accordi di Camp David, comunque attua una politica regionale diversa, almeno in parte, da quella dell’ex presidente Mubarak». Infine, prosegue l’analista, c’è l’atteggiamento del presidente palestinese Abu Mazen, intenzionato a fine mese, nonostante l’opposizione di Israele e Stati Uniti, a presentare unilateralmente all’Onu la richiesta di adesione dello Stato di Palestina». «Chi comanda nel quartiere» Secondo Rabbani, Netanyahu è intervenuto con il pugno di ferro per ribadire «chi comanda nel quartiere, cioè in Medio Oriente, e non certo soltanto per fermare i lanci di razzi. Ma i risultati che ha ottenuto sono deludenti». Ciò spiegherebbe la rigidità mostrata martedì, quando l’accordo di cessate il fuoco era ormai concluso ma il premier ha fatto un passo indietro. Netanyahu e il suo ministro della difesa Ehud Barak perciò escono da questa offensiva ridimensionati, messi nella condizione di scegliere tra la sconfitta politica rappresentata dal cessate il fuoco e il rischio di gravi perdite in un’operazione terrestre dentro Gaza. Hamas al contrario ne esce rafforzato come immagine, paragonabile anche se in misura inferiore a quella di Hezbollah nel mondo arabo-islamico dopo la guerra del 2006. Come sei anni fa in Libano, Israele non è riuscito a bloccare anche solo per un giorno i lanci di razzi. Non solo, i gruppi armati palestinesi sono riusciti a sparare missili anche contro Tel Aviv e Gerusalemme. All’interno di Hamas si rafforza ulteriormente l’ala militare già forte che guarda con sfavore alla riconciliazione con il presidente dell’Anp Abu Mazen e che aveva spinto nei giorni scorsi per giocare la partita con Israele allo stesso livello strategico-militare. I veri, unici perdenti di questa guerra sono civili. Fino all’ultimo hanno subito i lanci di bombe e missili. I mutilati sono decine. Tanti altri sono condannati alla disabilità in un territorio povero, senza risorse. Tra i morti di ieri ci sono Abdul Rahman Naem, 2 anni e alcuni adolescenti. Un tributo di sangue altissimo che paga un popolo sempre alla ricerca della libertà. il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 pagina 3 DOVE È LA PACE Palestina • Lo storico israeliano Ilan Pappè al manifesto: «L’accordo tra Hamas e Netanyahu è fragile, le incognite sono la nuova Siria e il nuovo Egitto» HILLARY CLINTON «I popoli di questa regione meritano di vivere senza paura», ha detto ieri il segretario di Stato americano, presente al Cairo, dopo l’annuncio del cessate il fuoco. Questo, ha proseguito Hillary Clinton, è «un momento critico per la regione: il nuovo governo egiziano si sta assumendo la responsabilità e la leadership che ha fatto per lungo tempo di questo Paese una pietra miliare nella stabilità regionale e per la pace». «Nei giorni avvenire - ha proseguito il segretario di Stato -, gli Usa si impegneranno con i partner della regione per consolidare questo progresso, migliorare le condizioni della popolazione di Gaza e assicurare la sicurezza al popolo di Israele». Ma il tentativo Usa per ora è quello di impedire che la Palestina arrivi all’Onu. INTERVISTA · Lo storico israeliano Ilan Pappè sui limiti dell’accordo tra Hamas e Israele ESECUZIONI MIRATE «Solo una pausa della guerra» Uccisi tre giornalisti palestinesi. B’tselem: «Siamo in pericolo» A SINISTRA, TEL AVIV, L’ATTENTATO AL BUS. FOTO GRANDE, I MICIDIALI RAID ISRAELIANI DI IERI SU GAZA CITY/REUTERS A DESTRA, GAZA, OSPEDALE SHIFA, IN PIANTO LE FAMIGLIE DEI TRE GIORNALISTI PALESTINESI UCCISI IN MODO«MIRATO» /REUTERS Giuseppe Acconcia «Q ualsiasi tregua può essere solo temporanea e sulla carta», è il commento di Ilan Pappè, docente di storia e direttore del centro europeo per gli studi palestinesi all’Università di Exeter in Gran Bretagna. «Sono sorpreso che Hamas accetti un cessate il fuoco senza concessioni in merito all’embargo su Gaza. In questo momento non vedo quale possa essere il beneficio per la Palestina. Entrambe le parti vogliono prendere una pausa dai combattimenti: quindi accetteranno una tregua temporanea e non un cessate il fuoco permanente. In altre parole, la tregua è parte del conflitto, non lo conclude ma prepara ad altra violenza», spiega lo storico Pappè. Se il conflitto proseguisse, il passo seguente potrebbe essere l’invasione terrestre da parte di Israele. «Ora il governo israeliano lavora a due possibili modelli di invasione. Il primo è il modello libanese del 2006. Anche se in quell’occasione, l’esercito israeliano non ha brillato per iniziativa militare, ma ha trovato una soluzione stabile a Beirut. La seconda opzione seguirebbe il modello dell’attacco in Cisgiordania del 2002, Scudo difensivo, cioè un’invasione terrestre temponanea. Il governo israeliano sa che rioccupare Gaza significa formare nuovi attentatori suicidi. Per questo, l’intenzione israeliana è a non fare ricorso ad un’operazione di terra - prosegue Ilan Pappè Non solo, il governo israeliano si rende conto che un’invasione di terra in questo contesto regionale sarebbe controproducente. Le autorità israeliane non sanno I COOPERANTI ITALIANI · Il report dopo più di 1.600 raid I bambini vittime sotto un cielo di bombardamenti E MOHAMMED MORSI Dopo l’annuncio della tregua tra Israele e Hamas, il presidente egiziano ha avuto un lungo colloquio telefonico con il presidente americano Barak Obama. Entrambi, fa sapere la Casa Bianca, hanno sottolineato l’importanza di «lavorare per una soluzione più duratura della situazione a Gaza». Obama ha poi ringraziato Morsi per il suo impegno per la tregua e la «leadership mostrata durante i negoziati» ed ha confermato la stretta alleanza tra i due paesi apprezzando l'impegno del presidente, che è un esponente dei Fratelli Musulmani, per la sicurezza regionale. Da parte sua, Morsi ha apprezzato l'impegno di Obama in favore dei negoziati che hanno portato all'annuncio della tregua sulla base della proposta egiziana. ravamo ieri all’ottavo giorno dell’attacco più violento e brutale condotto da Israele dall’operazione Piombo Fuso. Continuando il massacro dei civili e i bombardamenti sulla popolazione di Gaza imprigionata dall’assedio illegale. A Gaza i boati dei bombardamenti hanno scandito le giornate e le notti insonni della gente rinchiusa nelle case. Il cielo è stato invaso dal rumore costante dei droni, dei caccia F16 e degli Apache che hanno sorvolato in continuazione tutta la Striscia con il loro carico di distruzione, e dal mare arrivano i colpi dell’artiglieria delle navi militari. L’aviazione israeliana ha condotto oltre 1600 bombardamenti, centinaia gli spari dalle navi della marina militare, e visibili in cielo gli illuminanti su alcune aree che, come durante Piombo Fuso, fanno temere il lancio di fosforo bianco. Il Ministero della Salute ha già confermato di avere rilevato traccia di questo micidiale elemento sui corpi di alcuni feriti arrivati la scorsa notte in ospedale. A Gaza, dove metà della popolazione ha meno di 14 anni, colpire i civili significa colpire i bambini. Sono 149 le vittime del massacro dei palestinesi a Gaza, la gran parte civili, tra questi oltre 35 bambini sotto i 16 anni. 1200 le persone ferite, tra cui più di 381 bambini. Dal 18 novembre, quinto giorno dell’escalation, l’esercito israeliano ha intensificato gli attacchi deliberati sui civili colpendo sempre di più le case, le moschee, i veicoli, i giornalisti e gli organi di informazione. Il numero dei morti è aumentato in maniera esponenziale. Nei primi quattro giorni dell’offensiva le vittime erano state circa 40, mentre negli ultimi 4 giorni sono circa 150 le persone uccise. Nella notte del 18 novembre sono stati colpiti gli uffici dove sono concentrati i principali media palestinesi a Gaza, con il ferimento grave di 6 giornalisti, di cui uno ha perso la gamba. Nelle notti successive del 19 e 20 l’aviazione ha ripetuto gli attacchi ai mezzi di comunicazione. La Shuruq tower, la sede di Al Jazeera, AFP, Reuters nel Saraya Building, hanno subito attacchi violentissimi e distruttivi. Due cameramen Hussam Salameh e Muhammad Al- Kumi sono rimasti uccisi; un corrispondente del canale saudita Al-Arabiya è stato ferito. È stata colpita anche un’automobile che riportava la scritta Press, per fortuna vuota al momento dell’attacco. Queste azioni sono una evidente minaccia al diritto di informazione e a tutti coloro che con coraggio cercano ogni giorno di raccontare al mondo le atrocità che si stanno verificando a Gaza. Seguono decine di testimonionaze dirette raccolte tra la popolazione e pubblicate sul sito http://nena-news.globalist.it Report realizzato dai cooperanti italiani che lavorano a Gaza di EducAid, OVERSEAS, CISS, ACS, CRIC. Secondo il protocollo di sicurezza della Cooperazione italiana per cui lavoriamo siamo dovuti uscire da Gaza al sesto giorno dell’attacco. Abbiamo già fatto presente alla Cooperazione che è necessario rientrare ed attivarsi per la popolazione civile. E’ fondamentale continuare a raccontare al mondo della terribile situazione di Gaza dando voce alla gente di Gaza, ad amici e colleghi con cui siamo in costante contatto e di cui riportiamo qui le testimonianze dirette. «N come il nuovo Egitto o la nuova Siria potrebbero reagire», spiega il docente. Ma l’Egitto dei Fratelli musulmani non sembra aver assunto un ruolo di rottura nel fronteggiare il conflitto. «Questa crisi è arrivata prematuramente e le autorità egiziane non sono ancora pronte ad affrontarla. Presto, l’Egitto avrà una politica indipendente dagli Stati uniti sulla questione palestinese. È vero che l’atteggiamento del governo egiziano può ricordare le politiche dell’ex presidente Mubarak di sostegno incondizionato ad Israele, ma qualcosa sta cambiando. Per esempio, il presidente, Mohammed Morsy, non ha invitato un solo rappresentante israeliano nel palazzo presidenziale. Ora sono solo i servizi segreti militari a curare gli incontri con gli emissari israeliani», aggiunge Pappè. Cosa è cambiato esattamente con l’elezione dei Fratelli musulmani? «I Fratelli musulmani hanno una qualche legittimità democratica e vogliono farla valere. In altre parole, la Fratellanza sa di rappresentare la volontà popolare in merito alla causa palestinese. E così, la crisi del 2012 a Gaza segnerà la fine dei vecchi meccanismi politici in Medio oriente e l’inizio di un nuovo corso», assicura lo storico israeliano. E’ molto interessante la posizione del presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, e la sua intenzione di presentare la richiesta di ammissione della Palestina come stato non membro delle Nazioni unite il prossimo 29 novembre. «Abu Mazen diventa sempre meno rilevante, il riconoscimento delle Nazioni unite avrebbe un valore simbolico. La costruzione dell’Autorità palestinese è compro- MEDIO ORIENTE Nazioni unite, Ban Ki-moon esprime soddisfazione Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha accolto con favore l’accordo sul cessate il fuoco a Gaza raggiunto dalle parti in Medio Oriente. Intervenendo in video conferenza durante una riunione del consiglio di sicurezza delle Nazioni unite Ban ha sottolineato che tale annuncio arriva al termine di una «settimana sanguinosa». Sul cessate il fuoco è intervenuto anche il ministro degli Esteri Giulio Terzi totalmente allineato agli Usa. Per Terzi la tregua «costituisce un importante passo avanti per la soluzione della crisi». «Questo risultato prosegue - è il frutto anche dell’intensa azione svolta in questi giorni dalle diplomazie occidentali e della regione, in cui anche l’Italia ha avuto un ruolo attivo con costanti contatti con i principali partner europei, l’Egitto e la Turchia». messa dall’inizio, ha permesso lo stato di apertheid dei territori e per questo ha concluso la sua funzione storica». Pappè è sicuro che è alle porte una nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese. «Le divisioni tra le due fazioni palestinesi, Hamas e Fatah, sono destinate a sparire con il tempo. Il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, sa bene ad esempio che l’attacco di oggi a Tel Aviv non è opera di Hamas ma di Fatah. D’altra parte, il riconoscimento di uno stato palestinese darebbe ad Hamas maggiore credibilità nelle azioni di resistenza armata e allo stesso tempo ridurrebbe le distanze tra le due fazioni palestinesi. In al- «Israele non vuole un’operazione di terra nei territori. Ma non sa interpretare il nuovo Medio oriente» tri termini, se non ci fosse presto un accordo tra Hamas e Fatah, l’Autorità palestinese si allontanerebbe sempre di più dalla reale situazione sul campo mentre la terza Intifada si avvicinerebbe inesorabilmente». Ma anche Hamas sta commettendo degli errori. «Hamas è un movimento dogmatico, non sa essere flessibile nei momenti cruciali. Ma, come si evince da questa crisi, con le azioni armate non si raggiunge alcun risultato, è necessaria la resistenza popolare contro Israele. Neppure Hamas sa rappresentare la volontà del popolo palestinese, i giovani, le generazioni in esilio non si riconoscono né in Fatah né in Hamas. E così, elezioni democratiche direbbero che nessuno dei due gruppi rappresenta il popolo palestinese». E non solo, quest’attacco sembra chiarire che le elezioni politiche israeliane del prossimo 22 gennaio sono all’origine dello scontro. «Questa crisi rafforza la destra israeliana. Se in principio il primo ministro, Benjamin Netanyahu, era sicuro di vincere le elezioni, con l’alleanza politica con il leader del partito di destra, Avigdor Lieberman, ha perso il sostegno dei partiti di centro e la certezza di vincere. E così, l’attacco su Gaza ha permesso di distrarre l’opinione pubblica israeliana dalle questioni interne». E come intervengono gli Stati uniti? «La posizione degli Stati uniti è molto deludente. C’è un nuovo spazio negoziale per Turchia, Russia, Cina, India e Iran. Israele potrebbe tentare di essere parte di questo nuovo Medio oriente, invece risponde ancora alla logica secondo cui l’appoggio americano garantisce la sua indipendenza a prescindere dal nuovo contesto regionale», conclude Pappè. onostante la tregua, siamo terrorizzati su quello che può accadere nelle prossime ore alla popolazione palestinese», è quanto dichiara in un’intervista al manifesto, Yael Stein, il direttore del dipartimento ricerca dell’istituto israeliano d’informazione e centro per i diritti umani, B’tselem. «E se l’embargo su Gaza prosegue, i cittadini della Striscia non potranno continuare a lavorare e la mobilità con la Cisgiordania non sarà garantita. Per questo chiediamo la fine dell’assedio di Gaza», prosegue Stein. D’altra parte, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, ha salutato positivamente il cessate il fuoco entrato in vigore tra Israele e i gruppi palestinesi, Hamas e Jihad islamica. Ma più in generale, in merito al tentativo del presidente dell’Anp di promuovere il dialogo tra le due fazioni palestinesi, Fatah e Hamas, la ricercatrice assicura che «la priorità in questo momento è la fine del conflitto e l’allentamento del blocco di Gaza. Secondo Hamas, bombardare Israele è un atto legale per arrivare al riconoscimento della legittimità dei suoi obiettivi. Noi crediamo che si possa arrivare ad una soluzione della crisi senza uccidere civili», prosegue la ricercatrice di B’tselem. Anche il segretario generale delle Nazioni unite, Ban ki-Moon, ha detto di voler appoggiare il tentativo di Abu Mazen. Dal canto suo, nel festeggiare l’annuncio della tregua, il leader di Hamas, Khaled Meshal, ha assicurato che Israele ha fallito i suoi obiettivi, di interpretare la volontà del popolo palestinese con azioni di resistenza contro gli attacchi israeliani e ha chiesto la fine dell’embargo su Gaza. Ma qual è stata la reazione della Cisgiordania agli attacchi a Gaza? «In questi giorni in Cisgiordania ci sono state continue manifestazioni contro gli attacchi israeliani», ricorda Yael Stein, in riferimento alle manifestazioni di piazza al-Manara a Ramallah avute luogo anche ieri contro l’uso massiccio della forza voluto da Israele. «Il nostro primo motivo di preoccupazione riguarda il numero di civili palestinesi che muoiono ogni giorno negli scontri. Questi dati sono impressionanti e aumentano costantemente a prescindere dall’attacco israeliano in corso». Secondo un report realizzato da Phan Nguyen, ricercatore dell’istituto indipendente con sede a Washington, Jadaliyya, i numeri dietro il lancio di missili da parte di Hamas, forniti da Israele sono completamente fuorvianti. Nell’articolo si cita il periodo che va tra il 2006 e il 2011. In quel caso, gli israeliani rimaste vittima di missili palestinesi vanno da nove a quindici per anno, mentre i dati forniti dall’esercito israeliano sono molto più alti. «Il tasso di uccisione dei lanci da Gaza è pari allo 0,2%. L’esercito israeliano trucca e esagera i numeri», si legge in conclusione del report. Come se non bastasse, nel mirino degli attacchi israeliani su Gaza ci sono anche i giornalisti. Nei giorni scorsi, sono stati uccisi nei raid due cameraman della tv Al Aqsa, gestita da Hamas, e un reporter di una radio privata. I cameraman sono morti in prossimità dell'ospedale al-Shifa di Gaza, mentre si recavano lì per realizzare un servizio. Un appello urgente per la protezione dei giornalisti è stato indirizzato ad Israele e all'Autorità palestinese dall'Associazione della Stampa estera (Fpa), dopo che nei giorni scorsi le sedi di diverse redazioni a Gaza hanno avvertito esplosioni ravvicinate. «Negli ultimi giorni Israele ha colpito alcuni edifici che ospitano organizzazioni stampa internazionali, mentre miliziani palestinesi hanno sparato razzi da postazioni vicine», si legge nel documento della Fpa. Giu. Acc. pagina 4 il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 EUROCRACK Atene • Sempre più stremati dalle misure anticrisi, i greci si preparano a far fronte a un nuovo scontro politico. Samaras vola all’Eurogruppo nella speranza di riuscire a sbloccare i finaziamenti GRECIA · Il governo vara nuovi tagli che colpiscono in particolare pensionati e pubblico impiego MATRIMONI GAY IN FRANCIA Lo schiaffo di Bruxelles scatena la crisi politica «Sì all’obiezione di coscienza dei sindaci» Argiris Panagopoulos I Syriza torna a chiedere elezioni anticipate per «ricontrattare il debito» il suo debito fino all’ultimo euro, perché è insostenibile, mentre il governo tripartito si illude che con la tranche potrà permettere la sostenibilità del debito. Forte dalle indiscrezioni secondo le quali l’Eurogruppo avrebbe cominciato di discutere la proposta di Syriza per una moratoria per il debito greco, Tsipras ha ripetuto la sua proposta per «l’annullamento del Memorandum, la cancellazione di una gran parte del debito come hanno fatto con l’accordo con la Germania nel 1954, permettendo la sua ricostruzione». Solo una moratoria per il pagamento degli interessi al Fondo di Stabilità Finanziaria Europea potrebbe far risparmiare alla Grecia 43,8 miliardi, mentre se la Bce avesse rinunciato ai suoi profitti il debito greco si poteva ridurre del 4,6% del Pil. Ad Atene sanno molto bene che la soluzione della crisi greca si trova a Berlino, Bruxelles, Francoforte e Parigi. Le considerazione del «Der Spiegel» secondo cui Merkel e Schaeuble hanno bloccato la soluzione per la Grecia, ha confermato i timori di Atene che il paese sarà ostaggio del clima pre-elettorale tedesco. Secondo lo «Spiegel» «verso le elezioni tedesche dell’autunno del 2013 Berlino blocca una soluzione sostenibile per la Grecia. I leader te- rançois Hollande tentenna sul matrimonio per tutti? Una frase del presidente, pronunciata al congresso dell’Associazione dei sindaci di Francia, sta sollevando un polverone: Hollande ha certo ribadito che la legge che aprirà il matrimonio anche agli omosessuali sarà discussa dal parlamento a partire dal 29 gennaio e poi votata, ma ha aggiunto che «la legge si applica a tutti nel rispetto della libertà di coscienza». Libertà di coscienza? Giuridicamente, per i funzionari della Repubblica la clausola della libertà di coscienza non esiste. I sindaci, come tutti gli altri funzionari pubblici, sono tenuti ad applicare la legge, senza stati d’animo. L’Eliseo attenua l’interpretazione: «Le possibilità di delega di un sindaco ai suoi assessori esistono e possono venire ampliate. Un sindaco, se è malato o impegnato, può delegare a un assessore il compito di celebrare un matrimonio. Ma qui la libertà di coscienza non c’entra nulla. Introdurla sarebbe una bomba a orologeria», spiega l’avvocata Caroline Mécary, che difende i diritti degli omosessuali: «Se un sindaco può delegare e non sposare due omosessuali, possiamo anche immaginare che rifiuti di sposare una coppia di ebrei o di neri. Possiamo anche immaginare che un sindaco omosessuale rifiuti di unire due eterosessuali. Questa ’apertura’ lasciata ai sindaci può servire a introdurre pratiche discriminatorie». L’Eliseo spiega di privilegiare un approccio «pragmatico», i difensori del matrimonio per tutti parlano di «capitolazione». Sabato scorso ci sono state alcune manifestazioni in varie città francesi contro il matrimonio per tutti, che hanno riunito intorno alle 100mila persone, in grande maggioranza dell’area cattolica. Domenica a Parigi c’è stato un altro corteo, con alcune migliaia di persone, organizzato dagli integralisti cattolici e dall’estrema destra, durante il quale delle femministe di Femen e una nota giornalista, Caroline Fourest, sono state aggredite con violenza. «Se basta una manifestazione di 100mila cattolici tradizionalisti il sabato e l’indomani di reazionari che picchiano le femministe e i giornalisti per far indietreggiare la sinistra, c’è da disperarsi», ha commentato il Verde Noël Mamère, che come sindaco di Bègle nel 204 aveva celebrato, illegalmente, il primo matrimonio gay in Francia. Il 16 dicembre ci saranno delle contro-manifestazioni in Francia per difendere la legge. Il matrimonio per tutti verrà discusso in parlamento a fine gennaio. a. m. m. Una possibile marcia indietro di Hollande fa insorgere le comunità omosessuali ATENE l rifiuto dell’Eurogruppo di concedere i 44 miliardi di tranche alla Grecia ha rappresentato uno schiaffo forte al governo tripartito di Samaras, scatenando una nuova crisi politica in Grecia dove, sfidando la troika e la Germania, Alexis Tsipras e il suo Syriza chiedono le elezioni anticipate per creare un governo di sinistra capace di rinegoziare il debito e premere per nuovi equilibri nell’Europa del Sud. Samaras insiste nell’affermare che l’Eurogruppo ha deciso di non concedere alla Grecia la tranche di finanziamenti necessaria a evitare il fallimento pe «questioni tecniche», ed è fiducioso che presto il problema verrà risolto. «Le difficoltà tecniche per trovare una soluzione tecnica non consentono nessun ritardo o lassismo», ha detto Samaras, che sarà a Bruxelles per il Consiglio Europeo. Il leader di Syriza Alexis Tsipras ha chiesto ieri per ennesima volta nelle ultime settimane le elezioni anticipate, denunciando l’incapacità di Samaras di fare serie trattative per rinegoziare il problema del debito greco. «Abbiamo bisogno di un nuovo mandato popolare per rinegoziare il debito», ha detto Tsipras denunciando «la strada dei Memorandum disastrosa e dolorosa». Secondo Tsipras, Papandreou e Samaras hanno sbagliato sostenendo che la Grecia può pagare F ATENE, MANIFESTAZIONE CONTRO ANGELA MERKEL/FOTO REUTERS deschi non vogliono far infuriare gli elettori, offrendo ad Atene più soldi, ma i partner europei perdono la loro pazienza». Hollande ha detto ieri sera dopo il suo incontro con Napolitano che vuole un accordo per la Grecia, Paese «che ha fatto tutto quello che le hanno chiesto».Ma ha anche aggiunto che questo non sarà possibile «se la Francia e la Germania non si metteranno d’accordo nelle prossime ore o nei prossimo giorni». Nei corridoi dell’Eurogruppo si è visto tutto lo scontro politico all’interno della eurozona, con i paesi del Nord, Germania, Olanda e Finlandia, in rotta di collisione perfino con l’Fmi di Lagarde, che sostiene la necessità di un nuovo taglio del debito greco dal 190% del 2013 al 120% del Pil per il 2020. In sostanza anche il terribile Fmi è costretto di fare i suoi conti con i grandi paesi emergenti che vogliono la fine dell’austerità in Europa e politiche per lo sviluppo e l’occupazione. Il presidente del Brasile Dilma Rousseff l’ha ripetuto in tutti i modi durante il suo viaggio in Spagna e Portogallo, scontrandosi con la sordità politica di Rajoy e di Passos Coelho. Intanto ad Atene il ministero del Lavoro ha cominciato a cancellare i diritti dei lavoratori pubblicando 18 circolari per l’applicazione del «Terzo Memorandum», che prevedono tra l’altro l’aumento dell’età pensionabile dai 67 anni e con 40 anni di contributi e l’abolizione dei resti della tredicesima e di tutti i bonus per i pensionati. Da parte sua il tribunale di Salonicco ha considerato come sfruttamento dei lavoratori gli stipendi da fame di 500 euro che pagava il consorzio per la costruzione della metropolitana. Secondo il sindacato il tribunale ha deciso che la diminuzione degli stipendi rappresenta una forma di sfruttamento pericolosa per la stessa sopravvivenza degli operai e che gli scioperi non sono responsabili per i ritardi dei lavori. BRUXELLES · In discussione il bilancio di previsione per il 2014-2020 Una Ue divisa si prepara alla resa dei conti conti sui bilanci Anna Maria Merlo PARIGI R edde rationem nell’Unione europea. Al centro «le nerf de la guerre»: i soldi. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy ha suggerito di «portare più camice» per far fronte al vertice straordinario, voluto da Angela Merkel, che si tiene da oggi a Bruxelles e dove verrà dibattuto il bilancio di previsione della Ue per il periodo 2014-2020. Dovrebbe finire venerdì, ma potrebbe durare tutto il week end. Come se non bastasse, visto lo scontro tra i tirchi, guidati dalla Gran Bretagna, che vogliono un drastico ridimensionamento del bilancio Ue, e i beneficiari delle politiche di coesione, che rigettano i tagli, il Consiglio sarà messo anche in difficoltà dalla crisi greca, che è rimasta irrisolta alla riunione dell’Eurogruppo e dell’Fmi, dopo 11 ore di discussioni tra martedì e la notte di mercoledì: la decisione sull’eventuale versamento della nuova tranche ad Atene – tra i 31 e i 45 miliardi di euro – che dovrebbe servire ad evitare il fallimento imminente della Grecia, è stata rimandata al 26 novembre. Germania, Austria, Olanda e Finlandia rifiutano un terzo piano di aiuti, troppo costoso (anche politicamente) e puntano ad arrangiamenti per rimandare al 2022 l’obbligo per Atene di ridurre il debito al 120% del pil (sarà del 200% nel 2015 se tutto continua come adesso). Mentre l’Fmi insiste sulla data del 2020 e chiede che gli stati della Ue, dopo le banche private, accettino un sostanzioso hair cut dei loro crediti. Una decisio- ne inaccettabile per i creditori pubblici e la Bce. Impossibile sembra anche la quadratura del cerchio per il bilancio di previsione della Ue. Due ipoteche lo gravano: la crisi economica, che spinge una parte dei contribuenti netti a chiedere dei tagli e l’intransigenza della Gran Bretagna, che, minacciando il referendum per uscire dalla Ue, intanto chiede contemporaneamente un budget ristretto (200 miliardi in meno di quello proposto dalla Commissione su sette anni) e il mantenimento del rebate, cioè il rimborso (di 4 miliardi l’anno) di cui gode Londra sui suoi versamenti a Bruxelles dai tempi della Thatcher. Da allo- Già tagliati gli aiuti economici destinati ai poveri dell’Unione ra, altri paesi hanno ottenuto un rimborso: Germania, Olanda, Svezia, Austria, con la richiesta della Danimarca di godere dello stesso diritto. Il peso dei rimborsi è rimasto così sulle spalle degli altri due contributori netti, Francia e Italia (a cui, paradossalmente, potrebbe unirsi la Spagna, malgrado la crisi che la sta schiacciando), che si sentono i «piccioni» del sistema. Il bilancio Ue è un bilancio senza debiti, il 95% viene riversato agli stati. Ruota intorno all’1% del pil della Ue. Ma lo scontro tra egoismi nazionali, in un periodo di grande crisi, sta prendendo il sopravvento. Il Parlamento europeo aveva chiesto un aumento a 1090 miliardi (su sette anni). Bocciato. Così come lo è ormai la proposta della Comissione a 1061 miliardi e quella di Van Rompuy a 993. Anche queste due ultime ipotesi prevedono però dei tagli: per fare un esempio, si è intorno a meno 7% per gli investimenti a favore della crescita e dell’occupazione o meno 10% per l’energia. Francia e Germania propongono 960 miliardi, ma non sono d’accordo sui tagli: la Francia difende la Pac (politica agricola), con il sostegno di Italia e Spagna, la Germania fa la lezione per «spendere meglio». Ma Monti chiede una riduzione del contributo netto italiano alla Ue, che è di 5 miliardi. L’est, Polonia in testa, punta i piedi sulle politiche di coesione, i fondi strutturali (il secondo capitolo di spesa, dopo la Pac). David Cameron chiede un calo di 200 miliardi sul bilancio e minaccia il veto. La Germania vuole tagli per 100 miliardi e si oppone alla Francia sulla futura utilizzazione della tassa sulle transazioni finanziarie, che Parigi vorrebbe versare, almeno in parte, nel bilancio Ue. Visto che sulla Pac e sui fondi strutturali gli eserciti sono ben schierati, il rischio è che a fare le spese del bilancio ridotto della Ue siano dei capitoli minori, ma importanti, come i finanziamenti all’adattamento alla mondializzazione o l’aiuto allo sviluppo. Si arriva fino al ridicolo dei tagli a Erasmus, una delle poche politiche comuni che sono popolari. Una vittima è già presente: sono stati tagliati gli aiuti alimentari per i poveri dell’Unione. BRUXELLES · Dalli alla salute Da Malta con furore, commissario antiaborto BRUXELLES L a Commissione europea ha un nuovo commissario alla Sanità e alla Protezione dei consumatori, noto per aver preso posizione contro l’aborto e aver fatto dichiarazioni omofobe: si tratta del maltese Tonio Borg, la cui candidatura è stata approvata ieri dal parlamento europeo con 386 voti contro 281. Borg, che dal 2008 era ministro degli esteri di Malta ed è vice-presidente del Partito Nazionalista, sostituisce un altro maltese, John Dalli, che era stato costretto alle dimissioni a ottobre perché sospettato di conflitto di interesse nella revisione delle legge sul tabacco. Dalli era sospettato dall’Olaf (Ufficio europeo di lotta contro la frode) di «essere stato al corrente» delle manovre di un imprenditore suo concittadino che, vantando l’amicizia con il commissario, si era fatto pagare per legalizzare lo «snus», un tabacco umido da masticare che per il momento è legale solo in Svezia (e in Norvegia, che è extra Ue). Adesso Malta manda a Bruxelles un’altra personalità controversa che non contribuirà certo a migliorare l’immagine dell’esecutivo europeo tra i cittadini. Il gruppo S&D (ex Pse), che aveva votato per due terzi contro la nomina di Tonio Borg (ma non aveva poi dato consegne di voto ai suoi eurodeputati), ha ribadito ieri i suoi dubbi sulla scelta di un uomo che è schierato contro l’aborto e gli omosessuali, mentre «l’eguaglianza di genere e i diritti delle donne e degli omosessuali sono ancora sotto attacco da parte della destra europea». Parere negativo sulla nomina di Borg è stato espresso dal gruppo dei Verdi, dai liberali e dai comunisti. Ma il Ppe, il gruppo più consistente all’europarlamento, ha difeso il maltese per la «competenza e l’indipendenza» e i voti di altri gruppi sono venuti in aiuto al reazionario Borg. Nell’audizione di fronte al parlamento europeo, la scorsa settimana, Tonio Borg per farsi accettare aveva promesso la non interferenza delle sue posizioni ideologiche con l’esercizio dei suoi poteri in seno alla Commissione. «Non abbandonerò le mie convinzioni», aveva affermato impegnandosi però a «far rispettare il diritto dell’Unione europea» per non farsi bocciare dal voto dell’europarlamento. Borg ha comunque ricordato che «in materia di aborto sono gli stati membri ad essere competenti». il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 pagina 5 ITALIA BENI COMUNI NO TAV Alta tensione al processo Ferito operatore Rai Acqua pubblica, l’esempio di Napoli Aula piccola, rinvio scontato, slogan, strada occupata e cameraman aggredito e finito in ospedale. Il processo a carico di 45 attivisti No Tav (due ancora detenuti, Ferrari e Del Sordo) per gli scontri avvenuti nell’estate 2011 è iniziato in un clima tesissimo, non certo agevolato dalla dimensioni dell’aula 46 del Palagiustizia di Torino, dove era stata convocata l’udienza. Troppo piccola per ospitare gli imputati, i legali, il pubblico e i cronisti, tant’è che il giudice Quinto Bosio ha chiesto lo spostamento nella più capiente aula 3. Il rinvio al 21 gennaio è dovuto alla mancata notifica della convocazione a una dozzina di imputati. Per Perino «è un processo politico contro il movimento». E mentre in strada la protesta proseguiva, il clima all’interno si surriscaldava. Alcuni No Tav hanno intimato all’operatore della Rai, Roberto Osti, di non riprendere la protesta in aula. Al suo rifiuto, è nato un breve parapiglia durante il quale l’operatore è stato raggiunto da un pugno. (m.rav). Luigi de Magistris, Alberto Lucarelli C MILANO, LA DELEGAZIONE DEI MILLE SINDACI ALL’INCONTRO CON PIETRO GIARDA IN PREFETTURA/FOTO TAM TAM COMUNI · A Milano sfilano 1000 primi cittadini contro il governo Monti. In corteo anche Pisapia, Alemanno e Fassino Sindaci in piazza pronti a dimettersi Marika Manti MILANO S ono pronti a gettare la fascia tricolore sul tavolo del governo Monti. Mentre a Roma la Camera votava la fiducia alla legge di stabilità, ieri a Milano quasi mille sindaci hanno marciato contro l’Imu, il taglio dei finanziamenti agli enti locali e il patto di stabilità che stanno strangolando i Comuni e stanno trasformando i municipi in esattori per conto dell’esecutivo centrale, costringendoli a tagliare i servizi essenziali ai cittadini. Davanti a tutti, a tenere lo striscione in testa la corteo - «Liberiamo i comuni dal patto di stupidità, scriviamo un nuovo patto per la crescita» - c’erano Giuliano Pisapia, Gianni Alemanno, Piero Fassino e il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. La manifestazione è partita da Santa Maria delle Grazie e si è conclusa in piazza della Scala. Lungo il percorso i sindaci hanno anche incrociato il ministro per i rapporti con il parlamento, Piero Giarda. «Ministro vieni con noi», ha gridato qualcuno. «Devo prendere la metro», ha risposto il ministro. Ma l’incontro è stato rimandato solo di qualche ora e si è svolto in prefettura al termine del corteo. In piazza Scala, l’intervento più duro è stato quello del sindaco di Varese e presidente di Anci Lombardia, Attilio Fontana. «Dobbiamo essere decisi – ha tuonato – perché per troppo tempo abbiamo accettato un dialogo tra sordi. Dobbiamo dimetterci tutti, in maniera globale. Poi diamo al governo 20 giorni per trattare. Se le risposte non arriveranno, se vorranno commissariarci, benissimo, se ne prenderanno la responsabilità». Non sono solo le parole dure di un sindaco leghista contrario al governo Monti. Infatti la sua posizione, poche ore dopo, viene riferita proprio al ministro Giarda. E’ già stato stabilito anche il giorno per attuare la clamorosa protesta in caso che il governo non ascolti le richieste dei comuni. «Il 29 novembre – spiega il presidente dell’Anci, Graziano Delrio – l’ufficio di presidenza dell’Anci, mentre saranno in corso i lavori sulla legge di stabilità in Commissione Bilancio del Senato, si riunirà per decidere tempi e modalità delle dimissioni in massa dei sindaci. La legge di stabilità è l’ultima occasione per rivedere quelle norme (Imu, patto di stabilità, spending review) che stanno uccidendo i comuni». Intanto una delegazione dell'Anci incontrerà anche i segretari di partito. Ieri è stato il turno di Maroni, oggi invece toccherà a Bersani e Alfano. CATANIA Bilanci falsati, chiesto processo per Scapagnini La procura di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per falso di quattro ex amministratori e di sei dirigenti del comune del capoluogo etneo nell'ambito di un'inchiesta sui bilanci preventivi dell'ente dal 2006 al 2008. L'udienza preliminare si terrà il 21 gennaio del prossimo anno e tra gli imputati vi è anche l'ex sindaco Umberto Scapagnini. Secondo l'accusa, a vario titolo, i bilanci di previsione del comune si sarebbero garantiti falsamente gli equilibri di bilancio attraverso piani di rientro che non si sono avverati. Che la manifestazione di ieri non fosse solo una passeggiata per le vie del centro milanese lo avevano fatto capire subito i sindaci delle maggiori città italiane. Pur con toni diversi, tutti hanno espresso la rabbia e la determinazione dei comuni di fronte all’atteggiamento ostile del governo. Sia il sindaco di Venezia Orsoni che Pisapia hanno usato la parola ultimatum. «Non ne possiamo più – spiega il sindaco di Milano – e credo che la restituzione per un certo periodo del Tricolore, la sospensione, se non le dimissioni, siano oggi un gesto forte, ma quando dall’altra parte il silenzio è assordante i gesti forti sono passi avanti». Dunque si potrà arrivare ad una fase in cui «non ci sarà solo dialogo ma la capacità di arrivare allo scontro istituzionale». Quanto al governo Monti, aggiunge Pisapia: «Non serve solo una politica ragionieristica. Ho sempre detto che il governo tecnico doveva avere un tempo limitato». Alemanno e Fassino chiariscono i motivi della rabbia dei sindaci. «La manifestazione – grida il sindaco di Roma dal palco è un argine per la difesa dei cittadini contro un parlamento di nominati che sta andando a casa e non sta dando risposte. Nel 2013 molti comuni rischiano il default e di non dare i servizi essenziali ai cittadini». Più moderato Piero Fassino che ha parole di apprezzamento per il governo Monti poi spiega. «L’Imu è un’imposta locale sequestrata dallo stato. In 12 mesi abbiamo ricevuto 7 diversi decreti, il che ci ha obbligato a rifare 7 volte i bilanci. Non siamo disponibili a tagliare sui servizi agli anziani, ai disabili e alle scuole». In piazza c’era anche per la prima volta il sindaco di Parma, Federico Pizzarrotti: «Riceveremo 7 milioni in meno dallo stato e con le tasse al massimo. Questa manifestazione è un bel segnale». CAMERA DEI DEPUTATI Triplo voto di fiducia per la legge di stabilità La Camera ieri ha votato tre volte a favore della legge di stabilità. Oggi ci sarà il voto finale. La prima tranche di articoli approvati è passata con 461 sì, 88 no e 21 astenuti. Il secondo voto ha registrato 433 sì, 85 contrari e 18 astenuti. Il terzo ha ottenuto 395 sì. Hanno votato contro la Lega e l’Idv, ma non ha votato a favore un larga fetta del Pdl. Settanta deputati del partito di Alfano o non c’erano o hanno votato contro o si sono astenuti. Compatti invece i voti favorevoli di Pd e Udc. Ecco alcune delle norme approvate ieri sera. Come annunciato, è stato bocciato l’intervento sulle aliquote Irpef e l’aumento dell’aliquota al 10% dell’Iva. Dal primo luglio 2013 sale inveConfermato l’orario ce di un punto l’Iva ora al dei docenti. Nessuna 21%. E’ prevista una riduzione dell’Irap per le micro modifica dell’Irpef. imprese attraverso un fonStanziato un piccolo do di 540 milioni di euro. Resta l’esenzione dell’Irpef fondo per gli esodati per le pensioni di guerra ma non per le pensioni di reversibilità per chi ha redditi superiori al 15%. E’ stato anticipato il fondo per una futura riduzione delle tasse. Sono stati aggiunti 10.130 esodati alla quota di quelli salvaguardati dallo Stato tramite un fondo di 100 milioni. É stato cancellato l’aumento di orario per i docenti che in un primo momento doveva passare da 18 a 24 ore. Stralciata la cosiddetta operazione «cieli bui» che puntava a risparmiare spegnendo l’illuminazione pubblica. Sono stati stanziati 300 milioni per le popolazioni alluvionate e dieci milioni per i terremotati del Belice di 40 anni fa. E’ stato istituito un fondo di 6,5 miliardi in tre anni per le famiglie: in particolare per i figli di meno di tre anni si potranno detrarre 1.200 euro al posto degli attuali 900, e 950 al posto di 800 per i figli più grandi. Ma nelle pieghe della legge c’è di tutto, perfino una tassa per le macchinette acchiappa pupazzi dei Luna Park. Oggi la legge verrà licenziata dalla Camera, poi passerà all’esame del Senato. Sarà l’ultima occasione per cercare di correggere la politica di austerità del governo. Ma le speranze sono minime visto che anche il capo dello Stato preme perchè il provvedimento passi al più presto. A quel punto, per sciogliere le camere, Napolitano aspetterà solo la riforma della legge elettorale, ma siccome in quel caso non si tratta di occuparsi dei soldi degli italiani ma degli interessi dei politici, il tempo potrebbe non bastare. (ma.ma.) on l’ultimo adempimento formale, che trasforma Arin Spa (Azienda risorse idriche Napoli) in ABC (Acqua bene comune) non si attua solo il semplice passaggio ad un’azienda pubblica, in grado di garantire la gestione partecipata delle servizio idrico integrato, ma si dà un segnale concreto di vera svolta democratica, un segnale che è possibile, partendo dai territori, realizzare una politica degli enti locali, realmente partecipata, nel pieno rispetto della Costituzione e dei principi di sussidiarietà, equità e giustizia sociale. È importante, oggi, partire da questa trasformazione e dalla centralità dei beni comuni per rilanciare con forza la battaglia per la democrazia locale, per reagire alle politiche antisociali poste in essere dal governo Monti, caratterizzate da un accentuato centralismo autoritario, e per riaffermare e dare effettività ai principi costituzionali, a garanzia dei diritti di tutti i cittadini. Con questo atto Napoli diventa la prima città italiana ad attuare una gestione pubblica dell’acqua, attraverso la volontà espressa da 27 milioni di cittadini con il referendum del 12 e 13 giugno 2011. L’Azienda pubblica Acqua Bene Comune attribuisce, attraverso la presenza nel comitato di sorveglianza che affianca il consiglio di amministrazione, di utenti, lavoratori dell’azienda e rappresentanti di associazioni ambientaliste, un reale potere di controllo democratico della gestione, in grado di garantire, con la pubblicazione di tutti gli atti on-line, la trasparenza delle procedure amministrative. L’acqua, così, assume il suo reale valore di bene comune, ovvero di risorsa naturale e vitale che deve essere gestita secondo criteri di responsabilità sociale e di solidarietà, soprattutto nell’interesse delle generazioni future. La delibera di trasformazione di Arin Spa in ABC Napoli, approvata dal Consiglio comunale di Napoli nell’ottobre dello scorso anno, rappresenta anche una scelta forte di posizionamento nella grande battaglia, politica e culturale, a difesa dei beni comuni, contro l’insensata e selvaggia politica di privatizzazioni messa in campo dal Governo Monti. Una scelta, questa, rafforzata dalla sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 3 e 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138. Molti comuni vogliono seguire l’esempio di Napoli, avviando anche su scala più ampia la gestione pubblica del servizio idrico integrato in capo ad un unico gestore, semmai costituito in forma consortile, come stiamo prevedendo in Campania, ricostruendo la filiera del servizio per eliminare rendite di intermediazione e di sfruttamento sui beni comuni ed infiltrazioni della malavita organizzata, ed assicurare in tal modo i necessari investimenti sulle infrastrutture senza intervenire sulle tariffe. * Sindaco di Napoli * Assessore ai Beni comuni e Acqua pubblica TAGLI · L’esasperazione dei malati di Sla in piazza a Roma: «Senza assistenza stacchiamo la spina» E il governo si «commuove»: raddoppieremo i fondi S i affidano a una promessa i malati di Sla e di altre gravissime disabilità. A nome del governo Monti, il sottosegretario Gianfranco Polillo ha assicurato che quando le legge di stabilità arriverà in Senato, il fondo per la non autosufficienza passerà da 200 a 400 milioni di euro. Per riconquistare un diritto elementare come l'essere assistiti nelle loro case, hanno dovuto fare due scioperi della fame e partecipare a più di una manifestazione, No Monti Day compreso. Non era bastato. Così ieri mattina si sono dati appuntamento sotto le finestre del ministero dell'Economia in via XX Settembre. Due di loro, Salvatore Usala e Lu- ca Pulino, entrambi tracheotomizzati, erano anche senza batteria di riserva, con un'autonomia di respirazione di non più di cinque ore. La Croce Rossa era stata allertata ed era pronta a intervenire in caso di emergenza. Ma il messaggio politico del «loro» Comitato 16 Novembre era chiaro: nelle loro condizioni, vivere senza una adeguata assistenza non è più vivere. «Se si finanzia l'assistenza in casa ripeteva per l'ennesima volta Raffaele Pennacchio del Comitato 16 Novembre - lo Stato risparmia rispetto a quanto dovrebbe spendere nelle strutture specializzate». Mentre Mina Welby e Paolo Ferrero osservavano: «I fondi che mancano potrebbero essere trovati in altri settori, ad esempio quello degli armamenti militari». Al termine dell'incontro con il sottosegretario Polillo e la sua promessa di raddoppiare i fondi per la non autosufficienza, la portavoce del comitato Mariangela Lamanna ha annunciato che lo sciopero della fame veniva interrotto: «Il senatore Ignazio Marino - ha spiegato - si è preso personalmente carico di parlare con il ministro alla salute Balduzzi. Ha ammesso, insieme al sottosegretario Polillo, che i 200 milioni fin qui stanziati sono una cifra inconsistente». Il democrat Marino si è poi impegnato a fornire al ministero in pochi giorni le cifre esatte sui disabili gravissimi. Intanto Salvatore Usala, anima del Comitato 16 Novembre, avvertiva che se le promesse non saranno mantenute, almeno lui riprenderà a lottare. E l'altra deputata Pd Donata Lenzi, temendo un gioco delle tre carte, puntualizzava: «Molto bene le risorse aggiuntive per i malati di Sla. Ma la decisione non deve andare a discapito delle poche risorse del fondo sociale. Non facciamo una guerra fra poveri, visto che per il fondo sociale ci sono soltanto 300 milioni». Cinque anni fa, ai tempi del secondo governo Prodi, fondo sociale e fondo per la non autosufficienza erano finanziati con 2.500 milioni. (r.c.) pagina 6 il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 ITALIA TRENTO In corteo contro aggressioni fasciste ROMA, FLASH MOB DEGLI STUDENTI DEL LICEO TASSO A PIAZZA BARBERINI /FOTO STEFANO MONTESI SCUOLA · Nella capitale sono già settanta gli istituti superiori occupati. E sabato di nuovo in piazza Occupy Roma, la protesta dilaga ROMA L e scuole romane si muovono in una geografia mobile fatta di occupazioni e auto-gestioni, flash mob e lezioni all'aperto. Ieri il borsino della protesta contro il ddl «ex Aprea» e i tagli all'istruzione, ha registrato un record. Settanta occupazioni all'interno del raccordo anulare, voci che si rincorrono frenetiche tra un corteo che blocca il traffico a piazza Santa Emerenziana, un flash mob del Tasso in piazza Barberini, il «funerale» della scuola pubblica inscenato dagli studenti del liceo Machiavelli vestiti a lutto in piazza Indipendenza. Un momento di grazia, e sospensione, al quale stamane si aggiungerà la staffetta organizzata dagli occupanti del Righi. Gli 8,5 miliardi di tagli al bilancio della scuola hanno, tra l'altro, cancellato l'attività sportiva. L'ultima vittima di questo deserto che cresce è stata la «corsa di Miguel», una gara campestre dedicata a uno studente desaparecido nel 1978 che l'anno scorso ha coinvolto 9 mila ragazzi provenienti da 160 scuole della Capitale. Al Righi hanno deciso di replicarla in miniatura stamane. «La scuola è un punto di riferimento per tutto, anche per lo sport» afferma Michela, 15 anni che all'università vuole studiare medicina. Lei ha fiducia nel futuro, anche perchè se lo vuole costruire insieme ai suoi compagni. Chiediamo a Michela cosa pensa della ricerca pubblicata ieri sul portale ilgustofascuola.it secondo la quale un teenager su due vorrebbe fare il cuoco. «Quando andavo alle medie – risponde – il desiderio di lavorare subito era tanto. Al liceo è abbastanza difficile trovare persone che fanno questi discorsi. Qui ancora non «Siamo cittadini che combattono per i propri diritti e per cambiare un paese sbagliato» si parla molto di cosa vogliamo diventare, piuttosto lavoriamo su quello che vogliamo diventare, cioè dei cittadini, persone che combattono per i propri diritti e cercano di cambiare un paese sbagliato». Su questo desiderio cresce quella che Giacomo che ha 17 anni «e spiccioli» definisce «la scoperta dell'educazione e della capacità di diventare una comunità scolastica vera che si occupa del posto dove vive». Venerdì scorso è stato un giorno storico per il Righi. «Erano dieci anni che non accadeva – spiega Giacomo – Con il tempo si sono formate leggende. La sede di piazza Fiume era inoccupabile, ci dormono i bidelli, mentre NO AUSTERITY · Migliaia di universitari invadono Londra Migliaia di studenti universitari sono scesi in piazza ieri a Londra contro i costi sempre crescenti dell'istruzione universitaria in Gran Bretagna e contro l’austerità. E’ stata la prima mobilitazione del genere a livello nazionale da quando, due anni fa, una simile contestazione portò in piazza 50 mila studenti e sfociò in scontrii con la polizia, con episodi di violenza anche presso la sede del partito conservatore a Millbank. La giornata è stata convocata dagli studenti per sollecitare il governo a investire nell’istruzione e nella creazione di nuovi posti di lavoro e protestare contro «l'abbattimento« delle prospettive per il futuro dei giovani». La protesta era rivolta in particolare contro il leader dei liberaldemocratici Nick Clegg che ha perso «una volta per tutte» la fiducia che gli studenti e i loro genitori avevano riposto in lui prima delle elezioni del 2010. «Il countdown per le prossime elezioni è già iniziato», ha detto il leader del sindacato studentesco inglese Liam Burns, denunciando le «decine di migliaia di sterline di debiti accumulati dagli studenti prima ancora di laurearsi, con poche prospettive di trovare un lavoro dopo». nella succursale vicino a via Veneto era più semplice». E invece, a sorpresa, l'assemblea ha deliberato l'occupazione. Ci sono state tensioni con la preside che ha dato un ultimatum agli occupanti. Non è stato rispettato, e da giorni gli studenti hanno iniziato un'educazione politica. Lasciamo il centro nobile della città. Nel quartiere di Centocelle c’è il liceo classico Benedetto da Norcia in via Saracinesco che è stato disoccupato dopo sei giorni. Incontriamo Davide, quest'anno al terzo liceo. «Sembra un ossimoro – afferma – perchè l'occupazione è un gesto di forza. Però anche noi abbiamo chiesto democraticamente all'assemblea degli studenti che cosa volevamo fare. E tutti hanno risposto “occupazione”». La rottura della normalità avviene di notte, quando si dorme sui banchi dove si scrivono i compiti in classe. È questa la novita che cambia la testa e fa maturare nuove passioni. «Il da Norcia erano vent'anni che non veniva occupato – continua Davide – come rappresentante d'istituto sono molto contento: è nata una nuova consapevolezza che ci ha molto uniti. In giro sento molto la voglia di manifestare». «Nelle occupazioni si forma uno spirito di fratellanza e comunione – racconta Nicholas del liceo Nomentano a Roma Nord – Dall'offrire un caffè a chi ha fatto un turno di notte all'organizzazione dei corsi di auto-formazione. È un momento che rompe la vita normale della scuola e permette di raggiungere gli studenti che non vanno mai all'assemblea mensile». Tra il 12 e il 16 novembre il Nomentano ha conosciuto vari tentativi di blitz da parte dell'estrema destra di Lotta studentesca. Episodi simili sono avvenuti in molte altre scuole. «La loro resta un'azione intimidatoria senza contenuti politici - risponde Nicholas – temono solo che gli studenti si sveglino davvero». Dal Nord a Sud, passando per il centro, le scuole hanno fissato un puntamento per sabato in piazza «contro un governo che non è stato eletto e segue come un cagnolino i dettami economici, e non sociali, della Ue». Ro. Ci. Un corteo antifascista per protestatre contro l’aggressione compita martedì sera ai danni di alcuni studenti che stavano volantinando da un gruppo di fascisti aderenti a Blocco studentesco e Casapound. La risposa data dagli universitari di Trento, che ieri hanno sfilato per le strade dlla città in 200, è stata pacifica. «Quelli del Blocco avevano prenotato a un bar vicino a Sociologia hanno spiegato - motivando con una festa di laurea. Noi stavamo volantinando, se n'erano andati in molti, poi e' spuntato un gruppo di ventitrenta violenti, che ci hanno aggrediti». Ieri il corteo, partito dalal facoltà di Sociologia, ha sfilato in maniera pacifica fino alla Stazione, per poi tornare all’università. Con gli universitari anche studenti medi, Anpi, Rifondazione comunista e Centro sociale Bruno. Il corteo era aperto da due striscioni, «Mai un passo indietro, antifascisti sempre», e «Ancora partigiani, ancora banditi, la Resistenza continua». 24 NOVEMBRE: I SINDACATI A PIAZZA DEL POPOLO Studenti in corteo da Piramide in centro A ppuntamento a mezzogiorno. Gli studenti medi e universitari si ritroveranno stamattina all’entrata del ministero di Grazia e Giustizia in via Arenula, quel palazzo da cui vengono sparati lacrimogeni sui cortei in fuga dalle cariche della polizia, per annunciare la nuova manifestazione unitaria di sabato prossimo. Nell’appello diffuso nella serata di ieri, gli studenti annunciano che sabato partiranno in corteo da Piramide «Percorreremo le strade del centro - scrivono - saremo imprevedibili nell’attraversare la città e porteremo in piazza le pratiche che appartengono al movimento studentesco: arrivare ai palazzi del potere, occupare luoghi significativi, segnalare le banche in quanto responsabili della crisi, bloccare la città». Quanto ai cinque principali sindacati della scuola, che sabato hanno indetto uno sciopero generale, l’appuntamento sarà «stanziale», in piazza del Popolo. «Abbiamo rinunciato al corteo - spiega Massimo Di Menna, segretario Uil Scuola- per non arrecare disagio alla cittadinanza di sabato pomeriggio». Un proposito che sembra rispondere ai desideri del sindaco Alemanno, molto sensibile alla libertà di circolazione delle «Saremo imprevedibili autovetture e alla libertà di scrivono - arriveremo commercio nel centro storico e nel Tridente. I Cobas di ai palazzi del potere, Piero Bernocchi non ci stansegnalaremo le banche no. Loro il corteo lo faranno da piazza della Repubblica a responsabili della crisi» piazza Venezia. E chiedono agli studenti di incontrarsi lungo il percorso. «Considereremo un’aggressione intollerabile qualsiasi tentativo di impedire l’espressione della vostra libera e sacrosanta protesta». La Flc-Cgil parteciperà al presidio di piazza del popolo e sostiene di non volere lasciare soli « quei ragazzi e deve essere chiaro a tutti che, nel garantire la protesta pacifica, serve il rispetto della legalità e della democrazia» Dopo lo stop definitivo dell’aumento dell’orario lavorativo a 24 ore dei docenti, le ragioni dello sciopero consistono nella richiesta di condizioni salariali e contrattuali migliori a partire dal mancato ripristino degli scatti di anzianità. «Le lotte degli studenti e dei docenti pongono la necessità di cancellare le politiche di austerità che stanno allargando le disuguaglianze - afferma Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) - umiliando un’intera generazione che è esclusa dal lavoro e dal diritto allo studio». L’Anief invita i docenti a ricorrere al tribunale del lavoro contro i tagli agli stipendi. «Faremo come i magistrati - affermano dal sindacato - che hanno ottenuto dalla Consulta lo sbocco degli automatismi di carriera». Tra il 2010 e il 2013, gli insegnanti e gli altri dipendenti pubblici hanno perso 6 mila euro in potere di acquisto. Ro.Ci. TARANTO · La Ilva presenta istanza di dissequestro degli impianti dell’«area a caldo» e lancia una pesante minaccia «O riaprono gli altoforni o chiudiamo lo stabilimento» Gianmario Leone TARANTO L’ aut aut lo si apprende leggendo per intero il testo dell’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo, presentata in procura dall’Ilva martedì mattina. «Se il sequestro preventivo dovesse permanere, pur a fronte del mutato quadro autorizzatorio e delle sottese valutazioni, compiute dalle Autorità tassativamente competenti, l’ovvia insostenibilità economico-finanziaria delle novellate condizioni di esercizio - e della finalità d'eccellenza e di unicità nel contesto europeo, che le anima - condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell’attività produttiva ed alla chiusura del polo produttivo». Questo lo scenario messo nero su bianco e senza mezzi termini nel testo dell’istanza, dal presidente del Cda dell’Ilva Bruno Ferrante e dal legale Marco De Luca. Nella richiesta, il legale e il presidente dell’Ilva scrivono chiaramente che «il nuovo quadro autorizzativo (la revisione dell’AIA da parte del ministero per l’Ambiente che prevede nuove prescrizioni per il siderurgico rispetto alla precedente ndr) postula interventi ed investimenti, anche nel breve termine, per valori che comportano il ricorso al credito, ciò che risulta impossibile in costanza di provvedimenti limitativi della proprietà e della gestione dello stabilimento». Di qui l’aut aut: «o cessa il vincolo cautelare reale posto sull’area a caldo dello stabilimento Ilva di Taranto - scrivono ancora Ferrante e il legale dell’Ilva - o l’ottemperanza all’incisivo piano di interventi di adeguamento e il rispetto dei nuovi limiti di emissioni diviene - da subito - econo- micamente insostenibile». Intanto ieri, un altro dipendente Ilva, Giampiero Neglia di San Giorgio Jonico, è rimasto ferito in un incidente di lavoro. L’operaio stava sollevando un giunto utilizzando un mezzo meccanico che ha appoggiato ad una scaletta, quando quest’ultima ha ceduto improvvisamente finendo addosso al lavoratore. Soccorso, è stato trasportato all’ospedale di Taranto: le ferite riportate non sono gravi. L’incidente si è verificato nell’area della colata continua 4 dell’acciaieria 2, uno degli impianti attualmente posti sotto sequestro. Infine è stato aggiornato al 27 novembre il confronto tra l’azienda e i sindacati metalmeccanici per discutere della Cigo per i 2 mila operai dell’area a freddo del siderurgico, chiesta dall’azienda a causa della crisi di mercato. L’incontro di ieri è finito con un nulla di fatto. PRECARI ISFOL Fornero incalzata dalle «Iene» abbandona la sala Antonio Sciotto L e Iene devono aver letto la nostra edizione on line del 20 novembre, dove si denunciava la condizione di precariato di 250 lavoratori dell’Isfol: proprio su questo tema, infatti, ieri uno dei giornalisti del popolare programma Mediaset ha incalzato la ministra Elsa Fornero fino a indurla ad abbandonare una conferenza stampa che avrebbe dovuto tenere presso il ministero della Salute. La titolare del Lavoro, che già nelle scorse settimane aveva avuto momenti di frizione con i giornalisti, invocando addirittura un convegno a porte chiuse per poter parlare più liberamente, ieri non ha resistito alla pressione della troupe delle Iene, e dopo aver abbandonato la sala (si sarebbe dovuto parlare di una prossima manifestazione sull’amianto) ha spiegato la sua reazione per mezzo di una nota. «Un incontro con la stampa rovinato e impedito dall’insistenza e aggressività della troupe di una trasmissione tv – spiega il comunicato – Per correttezza nei confronti del ministro Balduzzi e dei giornalisti convocati, il ministro Fornero aveva deciso di rispettare l’appuntamento nonostante non fosse in buona salute. Di fronte però alla prevaricazione della troupe tv nei confronti dei giornalisti presenti e l’insistenza nel voler porre questioni che nulla avevano a che fare con i temi previsti, il ministro ha dovuto lasciare l’auditorium. Non si può che stigmatizzare simili comportamenti che nulla hanno a che fare col diritto di cronaca». La ministra ha ricevuto la solidarietà del collega alla Salute, Renato Balduzzi: «Non posso non stigmatizzare questo modo di fare informazione – ha detto – Fornero è oggetto di una vera e propria persecuzione". È certamente importante, a questo punto, ricordare in breve la vertenza che vede impegnati i 250 lavoratori a termine dell’Isfol con il proprio istituto di ricerca, emanazione del ministero del Lavoro. Un verbale degli ispettori del lavoro (anche loro, paradossalmente, parte del ministero guidato da Fornero) ha certificato nel 2007 che per almeno 7 anni (fin dal 2000) l’istituto ha utilizzato 210 cococò abusivamente, perché in realtà svolgevano lavoro dipendente. Quei cococò non sono mai stati regolarizzati, e oggi sono parte dei 250 lavoratori a tempo determinato. Ben 120 precari Isfol hanno già fatto causa al ministero, per ottenere il posto a tempo indeterminato, i contributi e gli elementi retributivi persi negli ultimi 15 anni e più (i primi assunti risalgono addirittura al 1996). E sull’Isfol pesa anche una richiesta dell’Inps: 1,3 milioni di euro a titolo di contributi non versati. Tornando alla ministra del Lavoro, ieri ne ha avuto anche per gli studenti. «Quando vedo gli studenti che scrivono "ministro Fornero saremo il suo incubo" questo mi dà dolore, è una prova di non maturità e un approccio abbastanza violento», ha detto durante la registrazione di Porta a Porta riferendosi a una contestazione in atto davanti al Cnel. E poi ha aggiunto: «Sto pensando di fare una giornata in cui mettermi a disposizione, sul web o in piazza, per spiegare ai cittadini le nostre riforme». il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 pagina 7 POLITICA PRIMARIE · Greenpeace: nuove iniziative per il voto di domenica. Contro «gli amici del carbone» PRODUTTIVITÀ «Gazebo eco-insostenibili» Accordo firmato, la Cgil non ci sta Daniela Preziosi ROMA «B L’ ersani è il leader di un partito che ha molti capaci ambientalisti, ma che ha fatto troppo poco. Professa sostegno alle fonti rinnovabili, ma né nell’opposizione né nelle scelte concrete si fa sentire. Faccio un esempio? Il più grosso progetto di impianto a carbone che c’è in Italia, una centrale dell’Enel nel parco del delta del Po, a Porto Tolle in Veneto, è stato bocciato dal Consiglio di Stato. Ma poi salvato da due leggi ad hoc: una del governo Berlusconi, un’altra del governatore Zaia. Il Pd si è astenuto. Capogruppo alla regione è Laura Puppato». In un esempio ne sistema due, di candidati alle primarie del centrosinistra, Andrea Boraschi, responsabile energia di Greenpeace Italia. L’organizzazione dell’ambientalismo più radicale nei giorni scorsi ha fatto un blitz simbolico di affissioni a Roma, «ma senza sporcare la città» giura, per il lancio della campagna «Io non vi voto» contro il carbone, che arriverà ap- La classifica dei candidati ’puliti’ toccherà anche al Pdl «Guardiamo i fatti, non i programmi» punto fino al voto di primavera. Sui primi manifesti campeggiano le facce di Bersani, Casini, Fini, Renzi e Vendola. A cui si chiede dritto se sono «amici del carbone». «Ma non sono solo loro i target. La nostra campagna è rivolta a tutti, destra a sinistra. A tutti abbiamo mandato un questionario con nove impegni. Al contrario dell’antipolitica chiediamo ai cittadini di interloquire con la politica. Di dettare le condizioni del loro voto». Annunciate nuove iniziative in coincidenza con le primarie del centrosinistra, domenica prossima. Ce l’avete con i cinque candidati? Parleremo con i loro elettori. In Liguria, è un altro esempio, c’è una centrale a carbone di Tirreno Power, un gruppo controllato dalla famiglia De Benedetti, grande elettrice di Bersani a queste primarie. È una centrale molto inquinante il cui progetto è portato avanti, fino a volerne un ampliamento, dal presidente Burlando, del Pd, contro i sindaci di centrosinistra di Vado Ligure e Quiiano. Avete stilato una graduatoria dei politici più amici del carbone? Il governo Monti vuole varare una strategia energetica nazionale che vuole fare dell’Italia un Texas dei poveri. Prevede di sfruttare misere risorse petrolifere, per lo più in mare, capaci di soddisfare i consumi di poche settimane ma di esporci al rischio di disastri come quello del Golfo del Messico. Il governo Monti è omertoso: sul carbone non parla chia- ROMA, UNO DEI MANIFESTI DEL ’BLITZ’ DI DOMENICA A SINISTRA: ANDREA BORASCHI, GREENPEACE ro. Ci sono sul suo tavolo i progetti di tre nuove centrali. Prima, in questi anni, di favori al fossile ne abbiamo visti parecchi. E di opposizione poca. La «strategia energetica» prevede ingenti investimenti in perforazioni offshore in una superficie di mare grande come la Sicilia. La minaccia incombe sul Canale di Sicilia e sull’Adriatico. Cosa si aspetti il governo, fatichiamo a capirlo. I risvolti occupazionali sono miseri, le royalties che le compagnie petrolifere pagherebbero all’Italia sono tra le più basse al mondo e in assoluto le più basse in Europa. Mentre si tartassano cittadini e imprese, questo petrolio viene regalato alle compagnie, dall’italiana Eni alla Shell. Torniamo al centrosinistra. L’altro giorno ambientalisti storici del Pd, come Realacci, Della Seta e Ferrante, vi hanno dato ragione e hanno di nuovo chiesto che l’Italia si ponga l’obiettivo del 100% di rinnovabili nel 2050. È una dead line ambiziosa ma ragionevole. Ma prima del 2050 ci sono gli obiettivi per il 2020 e il 2030: la gara non è a chi la spara più alta ma a chi da oggi fa le scelte giuste. Se si tagliano i sussidi alle rinnovabili la strada è sbagliata. Ancora sulle primarie, Vendola esibisce le cifre dell’energia pulita come uno degli impegni della sua giunta. È stato il primo a rispondere alle nostra mail, ci ha risposto nove sì. La Puglia ha vissuto uno sviluppo importante delle rinnovabili. Ma dal giorno in cui si è insediato a oggi la produzione elettrica da carbone non è diminuita. E la Puglia ospita a Brindisi due centrali a carbone, una delle quale è la più grossa centrale, di Enel, già denunciata dall’Agenzia europea per l’ambiente come l’impianto industriale più inquinante d’Italia. Da Vendola ci aspettiamo un impegno incisivo anche su questo. Il movimento 5 stelle in molti territori è nato sulle battaglie ambientaliste. Promuovete Grillo? Siamo un’associazione indipendente. Le 5 stelle non ha ancora una storia di amministrazione. Ieri, per esempio, ci ha risposto il candidato alle primarie del centrodestra Gianpiero Samorì. Prendendosi grandi impegni. Ma non giudichiamo la politica dalle parole. E parleremo anche con gli elettori delle primarie del centrodestra, se si faranno. I primi applausi non sono per Ambrosoli Luca Fazio Cesio 137, il comune dà l’incarico alla Sogin B A Brescia c’è «un rischio concreto di contaminazione radioattiva» della falda acquifera. Dopo l’emergenza lanciata dall’Agenzia regionale per l’ambiente sui rifiuti radioattivi interrati nell’ex cava Piccinelli, l’allarme sul Cesio 137 si è esteso alla Asl. Il 10 luglio le autorità sanitarie hanno inviato una lettera - resa nota pochi giorni fa - al sindaco di Brescia Adriano Paroli sollecitandolo a intervenire «con ogni urgenza» a tutela della salute pubblica. «Esiste la possibilità - scrive il direttore sanitario dell’Asl Francesco Vassallo - che la falda freatica abbia raggiunto in passato, e anche recentemente, i rifiuti radiocontaminati». È necessaria quindi «l’immediata asportazione» delle scorie e la bonifica del sito, un intervento che giunte e autorità rimandano da più di quindici anni. Lunedì scorso, anche grazie a un’inchiesta del manifesto del 28 ottobre, la questione del Cesio 137 è stata discussa in consiglio comunale con un’interrogazione presentata dai consiglieri di Sel e Pd, secondo la quale i monitoraggi si so- no interrotti con la giunta di centrodestra «tra il 2007 e il 2011, quando la falda è risalita di quattro metri» arrivando a pochi centimetri dalle scorie interrate. Ha risposto l’assessore all’ambiente Paola Vilardi del Pdl, preoccupata più di attaccare la «stampa allarmista» che dalla minaccia radioattiva (il giornalista che ha raccontato del Cesio 137 verrà «perseguitato» ha detto con un lapsus significativo Vilardi, moglie dell’ex sottosegretario nuclearista allo Sviluppo Economico Stefano Saglia). Da documenti del Comune di Brescia risulta che l’unico intervento effettuato finora sia il via libera a un incarico, per 77mila euro, affidato il 9 novembre (quindi dopo l’articolo del 28 ottobre) alla ditta Nucleco del gruppo Sogin che dovrà riportare la situazione del sito a quattordici anni fa. Verranno posizionati nuovi teli sulle scorie interrate e rimossi alcuni fusti con materiale radioattivo che l’Arpa ha trovato abbandonati in un capannone nell’ex cava «in condizioni di significativo deterioramento». I 2mila metri cubi di polveri al Cesio 137 che minacciano la falda, invece, rimarranno dove sono. Primarie sì, primarie no, primarie quando? Non è bastata una riunione di 6 ore a palazzo Grazioli, un lunghissimo e accesissimo braccio di ferro tra Angelino Alfano e Silvio Berlusconi, presente il mediatore Gianni Letta, a sciogliere il nodo. Il segretario del Pdl avrebbe messo anche le sue dimissioni sul tavolo. Dopo il vertice Alfano assicura che la data della consultazione sarà annunciata oggi (la sua idea sarebbe un turno secco il 13 dicembre), ma rimanda al vertice che sempre oggi si terrà a via dell’Umiltà, con i cooordinatori regionali e provinciali del partito, «per un confronto sulle questioni organizzative e sulla data delle primarie». La speranza di Alfano è che dall’incontro possa arrivare una soluzione. PRIMARIE LOMBARDE BRESCIA · Dopo la nostra inchiesta scoppia il caso Andrea Tornago CAOS PDL Scontro Alfano-Cav primarie in forse accordo è «completo, condiviso, autosufficiente». E se lo firmasse anche la Cgil, a Mario Monti «farebbe piacere» e «lo auspico vivamente». Ma «non dal punto di vista della validità dell’accordo che c’è per tutti i firmatari e per l’impegno del governo», taglia corto. Al termine dell’incontro a palazzo Chigi, il premier commenta così la mancata firma del sindacato di Susanna Camusso all’accordo sulla produttività, siglato in serata da Abi, Ania, Confindustria, Lega cooperative, Rete imprese Italia, Cisl, Uil e Ugl. La Cgil, ha anche declinato l’invito in ogni caso a partecipare alla conferenza stampa conclusiva, nella quale Monti dice senza troppi complimenti di auspicare non un ripensamento quanto «un’evoluzione del pensiero in tempi brevi» rispetto all’accordo che, tra le altre cose, rafforza la contrattazione di secondo livello con una «chiara delega» sulla prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Nel corso dell’incontro a palazzo Chigi Susanna Camusso ribadisce che «questa è una strada sbagliata, con la quale non si tutelerebbe più il potere d’acquisto». E il premier: «Il problema è far crescere l’economia attraverso la produttività. Ora non possiamo permetterci la detassazione delle tredecesime». Ma questo non era l’unico punto contestato dalla Cgil. La cui segretaria - secondo la quale il risultato «è deludente» e «se c’era la volontà si poteva risolvere in modo diverso» - a tarda sera convoca una conferenza stampa in Corso Italia. Soddisfatti invece i firmatari. Mmentre per il responsabile economia del Pd «l’accordo separato è certamente un problema per il paese». Il ministro Corrado Passera annuncia che il governo metterà a punto un Dpcm «con le parti sociali» per «regolamentare» la distribuzione delle risorse che «non sarà a pioggia, ma saranno definite le caratteristiche dei contratti di produttività che potranno avere la defiscalizzazione». MILANO uona la prima, tranne che per Umberto Ambrosoli, l’enfant prodige che il centrosinistra ha evocato come il salvatore della patria. «Eh, deve ancora imparare... », sospirano in sala. L’altra sera i candidati alle primarie si sono presentati per la prima volta davanti a una platea di elettori, ben disposti e in là con gli anni. L’auditorium San Carlo era una sauna, ma sbuffavano anche gli esclusi stipati in cortile, le orecchie tese verso l’altoparlante, «ma chi ha organizzato?» (Cgil, Anpi, Libera, Legambiente, Cna, Forum terzo settore, Lega Coop). Andrà meglio la prossima, altrimenti per il figlio dell’avvocato si mette male, anche se i sondaggi – che non esistono ma fanno già danni – lo indicano come (quasi) sicuro vincitore. Incredibile, a vederli sul palco uno dopo l’altro. Dei dieci minuti concessi, Umberto Ambrosoli ne spreca sette per invitare il centrodestra a stringere un patto «per istituire un tetto di spesa per la campagna elettorale», gli altri tre sono per la sua specialità, l’istituzione di una sorta di commissione antimafia che vigili sugli affari della Regione Lombardia, «mi piacerebbe che ci fosse Giancarlo Caselli». Legalità, legali- tà e ancora legalità, quasi ovvio se non fosse che è già diventata una ideologia e che non basta per rinascere dopo diciassette anni di Formigoni. Nessun cenno, invece, alla sanità lombarda, eppure un chiarimento era necessario dopo le prime esternazioni a mezzo stampa, «la sanità privata non va demoniz- Al debutto, Di Stefano e Kustermann scaldano una platea moderata fatta su misura per il figlio dell’eroe borghese zata» - potrebbe anche essere vero, ma suona strano dirlo nella regione dove lo spostamento di risorse dal pubblico al privato, con gli scandali annessi, sono la cifra di un regime malato che si è sbriciolato nel giro di poche settimane. Di segno opposto, stilisticamente scravattato, con quella felpa Obama da babau rassicurante, l’intervento di Andrea Di Stefano, il direttore della rivista Valori, uno di sinistra che da queste parti non si vedeva e sentiva da anni (nella veste di candidato). La platea ringiovanisce di colpo, partono una trentina di applausi, molti si guardano di traverso, «ma perché no?». Di Stefano vuole garantire i «diritti» dei cittadini dopo «17 anni di dittatura di un uomo solo al comando». Al lavoro, alla salute, al bene comune. Alza la voce, è meno sornione di quando si esibisce a Radio Popolare dispensando pillole di macroeconomica saggezza. Il suo, in pochi minuti, è un programma concreto che suona rivoluzionario in una regione governata da sempre dal centrodestra. Il reddito minimo garantito, pescando fondi dagli sprechi e dalle regalie alla sanità privata, una programmazione economica ambiziosa per ridistribuire opportunità a tutti, l’ecologia «nessuno dice che a Brescia la situazione è peggio che all’Ilva di Taranto» - e soprattutto il la-vo-ro! Di Stefano lascia il palco solo dopo aver strappato la promessa di un altro incontro, «il tempo è poco, dobbiamo rivederci». Quel poco che rimane lo usa al meglio Alessandra Kustermann, la ginecoloca, unica donna candidata, tosta, tostissima. Veste di rosso, si finge «inadeguata» dopo il ciclone Di Stefano, poi attacca Ambrosoli sulla sanità, l’argomento principe da cui non si può prescidere in questa campagna elettorale. «A chi dice che quella privata non va demonizzata...», e via strappando applausi, «voglio il 50% di donne nella giunta, nelle partecipate, nei cda...». Don-ne, don-ne (e Ambrosoli farebbe bene a preoccuparsi). E ce n’è anche per il suo «compagno liberista seduto qui davanti», anche a lui Kustermann vuol dire che «la sanità non è merce, non ho fatto il medico per fare soldi». Altri sguardi visibilmente soddisfatti, «ma perché no?». Chiedete al Pd, che le primarie le ha perse (quasi) tutte. DDL DIFFAMAZIONE LaFnsi:«Cambiare il testo o pronti allo sciopero» Carlo Lania ROMA O rmai siamo all'accanimento terapeutico, all’ostinazione di voler far passare un pessimo disegno di legge diventato per Pdl e Lega una battaglia di bandiera anche se del tutto inutile. Siamo alle ultime battute per la legge sulla diffamazione i discussione al Senato. Ieri l’aula ha respinto sia la richiesta di sospensiva del testo che quella di formulare un nuovo calendario che desse la priorità a provvedimenti più urgenti. Proposte entrambe avanzate dal Pd ma respinte per appena cinque voti, segnale di come l’aula di palazzo Madama sia ormai divisa a metà. Determinanti per il voto, ovviamente, Pdl e Lega, decisi a fare del ddl una questione di principio. Che però rischia di non avere molto futuro visto che difficilmente la Camera, dove il testo arriverà lunedì dopo il voto del Senato, lo approverà. Una prova di forza alla quale ieri la Federazione nazionale della Stampa ha risposto minacciando uno sciopero dei giornalisti (sia tv che stampa) per lunedì se palazzo Madama non dovesse modificare il testo in discussione. Ad annunciarlo è stato ieri il segretario della Fnsi Franco Siddi al congresso dell’Usigrai a Salerno. Lo sciopero, ha detto Siddi, è «contro l’ultimo pasticcio giuridico, illiberale e ingiusto del ddl sulla diffamazione, che rende irresponsabili i direttori e manda in carcere i giornalisti e anche chi fa l’errore di stampa». Il riferimento è all’ultima versione della legge dopo l’approvazione di un emendamento del presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli (Pdl) che in caso di condanna esclude il carcere per i direttori lasciando ai giornalisti l’assurda scelta tra pagare multe pesantissime (da 5 mila a 50 mila euro) o trascorrere fino a un anno in una cella. «Un obbrobrio» per il senatore Pd Vincenzo Vita, che ormai ammette di non trovare più nemmeno le parole per definire il testo in discussione. «A dispetto dei santi e dei diavoli - ha detto ieri Vita una risicatissima maggioranza dell’aula ha deciso il ritorno all’inferno, dov’era giustamente finito, di un provvedimento che, nato per evitare il carcere per i giornalisti, l’ha riproposto perfino in modo plateale». A dir poco stupita per quanto accaduto anche Anna Finocchiaro, incredula davanti alla decisione presa dall’aula di lavorare anche di lunedì. «E’ da sette anni che presiedo il gruppo parlamentare al Senato - ha spiegato - e sono sette anni che chiedo che l’aula lavori anche di lunedì. Senza alcun risultato. Ora invece, per il ddl Sallusti, l’aula si riunirà. E’ davvero incredibile». Così come incredibile appare la scelta non non anteporre la discussione su provvedimenti più urgenti, come la delega fiscale, a quella sul ddl sulla diffamazione Scelta che si deve solo alla decisione di Pdl e Lega di fare fronte e andare avanti a tutti i costi con un testo che, pur giudicato da tutti inutile perché non salva il direttore del «Giornale» dal rischio del carcere (come lui stesso ha ricordato martedì), rappresenta sempre un grosso rischio per la libertà di informazione. «Un’idiozia che dimostra il livello infimo del nostro parlamento», taglia corto un altro direttore vicino al centrodestra come Vittorio Feltri. pagina 8 il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 REPORTAGE ANTONIO DI PIETRO Nessuno spazio per democrazia e trasparenza interna. Fedelissimi, piccoli ras e parenti hanno il comando e moltissimi iscritti scelgono la via della fuga. Viaggio in un partito in profonda crisi morale e politica. Un’anticipazione da Micromega Idv, la deriva lombarda Andrea Managò, Giacomo Russo Spena «O ggi siamo una forza politica che rischia di arrivare a due cifre. Dobbiamo essere attenti a non farci fare le scarpe. Votato all’unanimità, più da amici che da gente di partito. Abbiamo come obiettivo Antonio Di Pietro». Brevi stralci di un video quanto mai eloquente. Marzo 2009, Vito Giannuzzi, appena eletto coordinatore provinciale dell’Italia dei valori a Milano, carica che ricopre tuttora, parla davanti a una telecamera. La sua grammatica stentata racconta più di ogni altro particolare uno dei difetti principali della classe dirigente dipietrista lombarda: i criteri di selezione. Ex meccanico all’Alfa Romeo, già assessore provinciale della giunta di Filippo Penati, ora è uno dei ras dell’Idv in Lombardia. Braccio destro del capogruppo in Regione Stefano Zamponi, lavora proprio al Pirellone come impiegato del gruppo consiliare. Con lui ha trovato posto in consiglio anche la moglie, Silvana Martino. Non è certo l’unico caso di cooptazione per vie familiari. L’analisi dei metodi di gestione delle federazioni regionali potrebbe suggerire ad Antonio Di Pietro alcune risposte sull’origine della profonda crisi che scuote l’Italia dei valori. In Lombardia, vero cuore pulsante del partito, l’organizzazione ricalca fedelmente alcuni «accorgimenti» in uso a livello nazionale. Non solo a causa del familismo, la meritocrazia trova porte sbarrate, con una prassi politica che a tratti si fa padronale: decisioni calate dall’alto, congressi con le truppe «cammellate», pacchetti di tessere, commissariamenti, poca trasparenza nella gestione dei fondi. E la democrazia interna? Un’utopia. Un sistema difficile da scardinare – tenuto in piedi da uomini vicinissimi all’ex pm di Mani Pulite con una struttura che ricorda la piramide feudale: l’imperatore in cima, una cascata di valvassori e valvassini, infine la base di militanti-plebei privi di voce in capitolo. Procediamo con ordine. Cinque i nomi chiave che tengono le redini del partito lombardo: Ivan Rota, Gabriele Cimadoro, Sergio Piffari, Stefano Zamponi e Alessandro Milani. Una nomenklatura saldamente al potere da quasi dieci anni, legata in alcuni casi da vincoli di parentela con Tonino, poco propensa a lasciare le proprie poltrone per favorire il ricambio generazionale. Eppure i risultati delle urne annoverano pochi successi elettorali. Innegabile la buona performance ottenuta col 6 per cento alle regionali del 2010, un balzo in avanti rispetto all’1,5 per cento del 2005, ma le percentuali a volte ingannano, perché l’Idv intercetta soprattutto un voto di opinione. La riprova? Nelle ultime tornate elettorali i candidati più votati sono stati proprio quelli esterni al partito, come Luigi de Magistris, Sonia Alfano e Giulio Cavalli. Dopo il 2010 inizia il declino, calano i consensi e con essi i militanti. La federazione lombarda stima 4.500 iscritti, ma le cronache sul territorio raccontano numerosi abbandoni e un partito ormai svuotato da una gestione di stampo clientelare. «Si predica bene e si razzola malissimo al proprio interno», la frase più gettonata tra gli ex iscritti. Molti di loro hanno scelto la via della fuga: a volte verso Sel, come il consigliere antimafia Giulio Cavalli, altre verso liste civiche. I valvassori Nella ripartizione dei poteri la collezio- GABRIELE CIMADORO ALESSANDRO MILANI SERGIO PIFFARI IVAN ROTA STEFANO ZAMPONI ne di poltrone più lunga tra i cacicchi lombardi può vantarla senza dubbio Sergio Piffari. Segretario regionale dal 2005, contemporaneamente deputato nell’ultima legislatura, il suo curriculum trasuda incarichi politici. Nato a Valbondione, mille abitanti tra i monti della Val Seriana, ha trasformato il piccolo paese alpino nella base di partenza della sua ascesa politica. Tra le vette innevate possiede, in comproprietà con i parenti, l’Hotel Gioan, un tre stelle a pochi passi dalle piste da sci. Proprio dal locale municipio inizia la sua carriera politica, prima come consigliere comunale, poi in veste di sindaco (1991-2001), i voti di preferenza crescono e gli consentono di conquistare anche uno scranno in consiglio provinciale a Bergamo. Conclusi gli incarichi elettivi passa al ministero delle Infrastrutture, dove Di Pietro lo nomina consulente per la viabilità in Valtellina. Il pallino per il turismo però non lo abbandona. Negli anni, tra una riunione politica e l’altra trova il tempo per dirigere gli impianti di risalita di Lizzola, sedere nel consiglio di amministrazione della Comunità montana dell’Alta Valle Seriana e lavorare all’organizzazione di manifestazioni sportive per la società Promoeventi. La passione per la montagna la condivide con i compagni di partito: nel suo hotel infatti si svolgono incontri, convegni e seminari di formazione politica dell’Idv. Si spende anche per le nuove generazioni di militanti, il 14-15 novembre del 2009 ospita una due giorni dal titolo «La Lombardia, dalla parte dei giovani» in preparazione delle regionali. Il concetto però non fa breccia tra l’elettorato, visto che il più giovane dipietrista eletto al Pirellone ha 44 anni. Lui però tira dritto per la sua strada e non trascura nemmeno l’impegno nel sociale. Tra settembre a dicembre 2011 i centri di accoglienza per l’emergenza Nordafrica smistano in Val Seriana 23 profughi nigeriani. Sarà il caso o forse il destino, sta di fatto che vengono ospitati per circa tre mesi nella dependance dell’Hotel Gioan di Valbondione: 53 chilometri di curve da Bergamo. Viene da chiedersi se in tutto il bergamasco non esistesse una sistemazione più agevole. Di sicuro per il servizio reso alla collettività la struttura incassa i rimborsi erogati dal governo tramite la Protezione civile: 46 euro al giorno per ciascun ospite, 40 vanno all’albergo e 6 alla Caritas. Numeri alla mano il conto fa circa 75 mila euro. Non proprio spiccioli. Nel corso degli anni qualcuno prova a sollevare dubbi e perplessità sull’eccessivo potere concentrato nelle mani di Piffari ma gli altri colonnelli dell’Idv lombardo sembrano fatti della stessa pasta. Primo fra tutti Stefano Zamponi: classe 1947, avvocato cassazionista proveniente dalle file della Democrazia cristiana. Alle ultime elezioni regionali arriva secondo per numero di preferenze dopo l’outsider Giulio Cavalli, malgrado questo si impone come capogruppo forte di una legislatura già passata al Pirellone. Oggi riveste contemporaneamente tre cariche «pesanti»: capogruppo alla Regione, vicecoordinatore regionale e, dopo l’abbandono di Cavalli, commissario a Milano. Rispetto al collega laziale Vincenzo Maruccio, indagato per peculato e distrazione di denaro pubblico, la gestione dei fondi al gruppo regionale non ha ombre: il rendiconto 2011 annovera tra le uscite 47.754,66 euro per spese di funzionamento e 56.744,96 per la comunicazione. Certo, la trasparenza totale vorrebbe in bilancio l’elenco delle singole spese effettuate, ma il gruppo lombardo sposa la linea delle voci aggregate in capitoli avanzando necessità di rispetto della privacy dei fornitori pagati.A ciascuno il suo stile. Quando l’impero di Roberto Formigoni giunge al tramonto, Zamponi fiuta il vento e si autocandida alle primarie del centrosinistra alle prossime regionali lombarde. Eppure il suo operato non sembra riscuotere simpatie diffuse tra i militanti di base, diversi lo accusano di aver allontanato l’opposizione interna e lamentano una gestione padronale del partito in Lombardia. Numerose le occasioni di scontro anche con la senatrice Giuliana Carlino, una legislatura in consiglio comunale a Milano, poi assessore della giunta Penati e dal 2008 a Palazzo Madama. Quando la Carlino lascia l’incarico in Provincia, voci dicono anche dopo pressioni ricevute dal gruppo dirigente, Zamponi la rimpiazza col solito fedelissimo Vito Giannuzzi. Così, mentre il capogruppo è impegnato a tessere le sue trame politiche, Biagio Angrisano, membro dell’esecutivo provinciale di Brescia,gli spedisce una lettera emblematica sullo stato di salute del partito. «Caro Zamponi, dobbiamo stravolgere al nostro interno una metodologia operativa che sta distruggendo i nostri ideali e rischia in modo serio di cementificare le nostre idee. Caro Stefano, devi ben comprendere che non è possibile che Sergio Piffari possa nuovamente ricandidarsi alla stessa carica (coordinatore regionale), verrebbe snaturato il principio della democrazia. Scusami se insisto,ma all’interno del parti- to e non soltanto a livello regionale, assistiamo al fenomeno del così detto «inchino», dobbiamo avere il coraggio, tutti assieme, di abbattere radicalmente tale rapporto che sempre di più è paragonabile a una vera metastasi, ci impedisce di crescere e di trasmettere i nostri veri valori, che non appartengono unicamente a pochi soggetti. Il nostro partito si sta indebolendo, non soltanto in termini di credibilità, dobbiamo creare un diaframma per evitare tale malessere». La missiva rimane senza risposta, e non sarà la sola. Chi comanda a Milano Nella federazione di Milano non va meglio. «Zamponi crede di essere il capo del partito», accusa Marco Quattrocchi, ex consigliere Idv a Cinisello Balsamo, che nel LASCIANO ALTRI 2 DEPUTATI E UN SENATORE A Montecitorio il gruppo scende sotto quota 20 Il leader: «Mostriamo i muscoli all’assemblea nazionale» L’Idv perde altri pezzi. Dopo l’addio del presidente dei deputati Massimo Donadi e del senatore Nello Formisano, lasciano il gruppo della camera Gaetano Porcino e Giovanni Paladini, coordinatore della Liguria. A Montecitorio il gruppo scende a quota 17, sotto la soglia dei 20 deputati prevista dal regolamento. E a palazzo Madama lascia Stefano Pedica. Nascerà un nuovo soggetto politico «saldamente ancorato al centrosinistra», annuncia Donadi, che sarà presentato oggi alla camera. In vista dell’assemblea nazionale del 15 dicembre a Roma, Antonio Di Pietro prova a serrare le fila e a recuperare il rapporto con il Pd (tre delegati incontreranno gli esponenti del Partito democratico e di Sel per ottenere la presenza del candidato premier all’assemblea). «L’Italia dei valori c’è ed esiste ancora ed è fortemente determinata a rilanciare la propria azione politica», scrive Di Pietro, spiegando che l’appuntamento del 15 «servirà anche a riorganizzare la classe dirigente, attraverso una nuova fase congressuale che dovrà portare ad una più capillare democratizzazione delle strutture di partito e a una maggiore trasparenza della gestione». Saranno approvate «regole più stringenti circa una maggiore attenzione sulla questione morale e la trasparenza amministrativa». Poi il leader si impegna a convocare l’esecutivo a gennaio. Nella lettera di convocazione dell’assemblea Di Pietro prega, «anzi supplico tutti coloro che credono nel nostro partito di partecipare in massa» perché «è anche il momento di ’mostrare i muscoli’, vale a dire che bisogna realizzare un’assemblea generale molto partecipata che sappia proporsi all’opinione pubblica con determinazione e spirito unitario». 2011 lascia l’incarico perché «insoddisfatto» della gestione interna al partito. Una scelta che testimonia il disagio crescente anche tra gli eletti. E racconta: «Non c’erano più i margini per fare politica, democrazia e trasparenza sono state sostituite con le scelte imposte dall’alto». È il caso della nomina della referente comunale di Cinisello Balsamo, Valentina Franceschi, volto semisconosciuto sul territorio ma fedele di Zamponi ed ex dipendente di Ivan Rota, responsabile Organizzazione nazionale e altro uomo forte dell’Idv lombardo. Lo stesso copione si ripete per la scelta di due assessori, sempre a Cinisello: per Quattrocchi e Angelo Schiavone, altro consigliere comunale dipietrista, non restano che le dimissioni. Cambiano i comuni dell’hinterland milanese, non le dinamiche di potere. Stanchi delle frizioni col gruppo dirigente, il 23 settembre 2011 a Melegnano tutti i militanti riconsegnano la tessera.Nella cittadina che ogni anno ospita la «Fiera del Perdono» si scatena una vera e propria guerra intestina. La ruggine tra la nomenklatura e la base ha origine dal sostegno dei militanti locali alla campagna elettorale di Giulio Cavalli per le ultime regionali, tra i primi a sostenerlo al coordinamento provinciale c’è Eugenio Gigliotti, già sfidante di Giannuzzi a Milano.Troppo grande l’affronto per i ras locali per non intervenire. «Ci hanno messo i bastoni tra le ruote in tutti i modi», spiega Giuseppe Armundi, che ora fa politica in una lista civica di centrosinistra, «ci hanno impedito di aprire un circolo, sdegnati abbiamo stracciato le tessere». Dopo la diaspora della base a Melegnano il partito subisce un vero e proprio tracollo, passando dal 10 al 2 per cento. Impietoso il confronto tra i 700 voti delle regionali 2010 e i 186 delle comunali dell’anno successivo. Non proprio un successo per la classe dirigente dipietrista lombarda. I problemi più grandi però si verificano a Milano, dove alle ultime amministrative l’Idv ha ottenuto un misero 2,5 per cento. Dall’estate 2011 Zamponi diventa commissario della federazione cittadina, che piomba in uno stato di immobilismo: diminuiscono le attività e soprattutto i consensi. I numeri ufficiali parlano di circa cinquecento iscritti, l’ex fronda interna ribatte che non superano i duecento. La diaspora inizia dopo lo scontro tra Zamponi e il vecchio coordinatore Giulio Cavalli – che insie- il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 REPORTAGE me a Luigi de Magistris e Sonia Alfano chiede una linea politica che affronti la «questione morale» interna – ma alla fine può solo lasciare il partito. Con le urne in vista torna l’attività politica, tutti i venerdì sera si tiene un corso di formazione politica all’Hotel Doria, visto che la sede di via Lepontina è inadeguata. E pensare che proprio Di Pietro, nel giugno 2009, aveva promesso: «I rimborsi elettorali serviranno a creare nuove strutture sul territorio». Per Alessandro Diano, membro del direttivo provinciale milanese, «più che un corso di formazione politica sembra un preoccupato "serrate le file" alla truppa fatto da una dirigenza autoreferenziale con sempre meno soldati, le lezioni a volte si trasformano in surreali comizi». E continua: «Nell’intervento del capogruppo regionale di formativo c’è stato ben poco, ha invitato i nostri militanti a iscriversi alle primarie del Pd per votare in massa Bersani e non aprire alla pericolosa rottamazione di Renzi». Della serie, preveniamo il ricambio tra i democratici prima che travolga anche noi. È questo il clima in cui lo scorso anno Giorgio Poidomani, ex militante, chiede per iscritto l’intervento del segretario Antonio Di Pietro per risollevare le sorti del partito milanese. «Presidente, siamo stanchi, il problema è quando, rispetto agli indirizzi dettati dal direttivo nazionale, sul territorio giungono input non coerenti o addirittura che capovolgono nella sostanza le aspettative della stragrande maggioranza di sostenitori militanti ed elettori del partito. Ai livelli locali non di rado trionfa l’ipocrisia e l’interesse personale dei dirigenti, per i quali più del bene comune conta il tornaconto diretto, incuranti che questo comportamento spinge le persone più semplici e disinteressate a lasciare il partito, perché in ciò vedono riproporsi il lato peggiore della vecchia politica, che nulla dovrebbero avere a che fare con l’Idv». Anche in questo caso nessuna risposta, un silenzio che Poidomani non riesce a tollerare e lo induce a lasciare il partito. A Milano avvengono anche casi analoghi a quelli nazionali, dove la mancata selezione della classe dirigente ha portato a eleggere onorevoli come Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, passati al centro-destra subito dopo aver ottenuto una poltrona. Qualche altro esempio? Alle ultime provinciali l’establishment lombardo propone di candidare Maddalena Scognamiglio in un collegio sicuro, in precedenza occupato dall’ex partigiano Ernesto Nobili. Si tratta di una semisconosciuta che poco dopo il voto passerà al Pdl. Scelta analoga per un altro consigliere,Roberto Biolchini, che approda velocemente a nuovi lidi nell’Udc. Così, su tre consiglieri provinciali eletti ne rimane soltanto uno. Un altro trionfo dei dirigenti lombardi. Anche alle ultime regionali fioccano le cooptazioni dall’alto, come il caso della pasionaria ex assistente di volo Alitalia Maruska Piredda. Nel 2009 viene candidata alle europee ma racimola solo poche centinaia di voti. Nel 2010 tenta la fortuna alle regionali, stavolta però per preservarla da una nuova débâcle Piffari e Zamponi decidono di inserirla nel listino bloccato sia in Lombardia che in Liguria. Mentre Filippo Penati non riesce a spodestare dal trono Roberto Formigoni, per la Piredda c’è gloria alla corte di Claudio Burlando. Senza bisogno di preferenze, la giovane ex hostess diventa consigliera regionale in Liguria, nel frattempo assume anche l’incarico di responsabile regionale del dipartimento Lavoro e welfare dell’Idv lombardo. Quando si dice una carriera brillante. (...) Cremona, fuga in massa Il caso limite si registra a Cremona, dove in polemica con le scelte della nomenklatura regionale si dimette l’intero direttivo. Il casus belli nasce nel 2009, quando nell’Idv cremonese spunta l’architetto Clara Rita Milesi, 48 anni, romana di nascita,moglie di un giornalista del quotidiano La Provincia di Cremona. Segni particolari: sconosciuta ai più, ma fedelissima di Sergio Piffari. Alle elezioni provinciali la lista del gabbiano ottiene solo un consigliere: un errore nel conteggio attribuisce il seggio all’allora referente provinciale Giacomo Guerrini invece che alla Milesi, giunta effettivamente prima. L’errore è chiaro a tutti, il partito è pronto a rimediare, ma la Milesi si appella comunque al Tar. Ne nasce una querelle interna. A dicembre 2009 l’architetto viene reintegrata in consiglio, l’anno successivo, sempre per decisione di Piffari, candidata anche alle regionali. A quel punto il partito cremonese implode. Il 19 marzo 2010 l’intero direttivo si dimette con un comunicato: «Preso atto dell’impossibilità a svolgere il proprio mandato sul territorio provinciale, senza invadenti interferenze contrastanti con la nostra etica, dignità e trasparenza; in forte contrapposizione con le ultime decisioni che vedono premiati i comportamenti del consigliere provinciale Clara Rita Milesi, palesemente in contrasto con le regole statutarie». Il vuoto viene colmato con l’ennesimo commissariamento, la scelta ricade su Sergio Grazioli, bresciano con trascorsi istituzionali nel centrodestra. Per anni vicino all’ex ministro all’Istruzione Mariastella Gelmini, è stato assessore provinciale e uomo di punta di Forza Italia a Brescia, prima di venirne espulso.Nel 2008 il passaggio all’Idv lo sponsorizza Cimadoro che lo vuole commissario sia a Mantova che a Cremona. Qui, dopo il comunicato del direttivo, la quasi totalità degli iscritti straccia la tessera. Dopo due anni di immobilismo, a fine ottobre arriva l’elezione del nuovo coordinatore provinciale: con 50 voti il consigliere comunale Giancarlo Schifano batte la Milesi. Vittoria. Ma l’Idv locale ormai non c’è più. Come del resto a Brescia, dove la «calata» di Grazioli genera un terremoto interno in una delle federazioni più attive della Lombardia. Il direttivo locale guarda con sospetto la sua ascesa repentina, si oppone sia alla candidatura alle provinciali 2009 che alle regionali 2010. Gianni Folli, 11 anni nel partito trascorsi tra banchetti e iniziative, scrive una lettera a Di Pietro per informarlo dei fatti e ammonirlo: «Continuando di questo passo il nostro partito finirà per demotivare i suoi elementi migliori e coerenti con i princìpi fondanti di Idv, che saranno sostituiti da affaristi e camaleonti. In tal modo i nostri elettori, che ci hanno premiato per la coerenza e per l’apprezzamento dei valori che ci hanno contraddistinto, di fronte a certi personaggi equivoci che personificano i peggiori interessi politici (che vengono candidati in cambio di millantati pacchetti di voti e di tessere) finiranno per punirci in maniera severa». La risposta di Tonino ovviamente non arriva e lo scorso anno metà degli iscritti bresciani lascia il partito. Ultima spiaggia Nonostante tutto questo c’è chi continua a difendere ad oltranza il leader. L’ex consigliere regionale lombardo Gabriele Sola è salito agli onori della cronaca per aver dato le dimissioni al Pirellone lo scorso 15 ottobre, prima del raggiungimento del termine che gli avrebbe garantito il diritto a percepire il vitalizio. Un gesto che gli è valso il plauso dell’opinione pubblica, ma non dei colleghi Piffari e Zamponi. «Evidentemente hanno avuto timore di perdere visibilità», spiega Sola. Poi si lascia andare a un lungo sfogo sulla sua pagina Facebook: «Piffari provi a contenere questo inspiegabile nervosismo, intessuto di sgomitate ed entrate a gamba tesa contro un suo stesso "compagno di squadra". Questo atteggiamento non aiuta il partito, in un momento già di per sé delicato, né giova alla sua immagine. Da parte mia, d’ora in avanti mi sforzerò, sino all’umanamente possibile, di ignorare i probabili, ulteriori attacchi di Piffari e dei Pifferai». Non solo, a mezza bocca ammette una gestione del partito poco limpida in Lombardia: «Troppi commissariamenti». Ma assolve in pieno Tonino: «È fin troppo permissivo, lascia troppa mano libera ai referenti territoriali». Anzi, gli rivolge un consiglio affettuoso per il futuro: «Dovrebbe essere più padre-padrone». Più di così, nell’Idv, difficile pensarlo. L’ANTICIPAZIONE L’ITALIA DEI VALORI E UN GABER INEDITO SU MICROMEGA S arà in edicola il prossimo 22 novembre il nuovo numero di MicroMega: un ricco miscellaneo di politica che affronta le più calde questioni di attualità. Al centro del numero un approfondimento sul conflitto di attribuzioni che il Quirinale ha sollevato nei confronti della procura di Palermo, con un analitico saggio di Franco Cordero che spiega perché quel conflitto è privo di fondamento giuridico (in appendice pubblichiamo integralmente la memoria della procura di Palermo) e con un articolo di Matteo Pucciarelli che ripercorre la vita politica di Giorgio Napolitano, mentre il magistrato Luca Tescaroli ricostruisce la storia della trattativa Stato-mafia, sottolineando le verità ormai accertate. La giustizia è al centro del saggio di Antonio Ingroia, che spiega quali sono le modifiche indispensabili per rendere il nostro sistema giudiziario davvero giusto. Il volume è anche ricco di inchieste: Russo Spena e Managò indagano la parentopoli lombarda dell'Idv (un’anticipazione della lunga inchiesta dei due giornalisti la pubblichiamo in questa pagina), Giovanni Tizian ricostruisce la mappa della distribuzione delle mafie in Italia, da nord a sud, Francesco Peloso racconta gli inciuci tra la Cricca e il Vaticano. Tutti esempi di un sistema malato di cui parte essenziale è una corruzione che, come spiega – dati alla mano, Vittorino Ferla, non solo ostacola lo sviluppo ma sottrae risorse al welfare. L’editoriale di Flores d’Arcais si interroga sulla coppia «politica e anti-politica», divenuta così centrale nel dibattito pubblico, e sulle possibilità di un’Altrapolitica che ne risolva la contraddizione. La rivista ospita in esclusiva l’appello «dei vecchi democratici, per la realizzazione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza anti-fascista», sottoscritto da Camilleri, Flores d’Arcais, Hack, Manacorda, Spinelli e Prosperi e rivolto ai giovani. In tema di diritti civili, Stefano Rodotà mostra come il diritto di decidere in libertà sulla fine della vita sia saldamente fondato su norme costituzionale, mentre Giorello e Adamo indagano le cause culturali del cronico ritardo del Pd sui matrimoni gay. Il contributo di Guido Viale analizza le condizioni di una conversione ecologica a partire da un aspetto troppo spesso trascurato: la necessità di ricostruire le forme di una partecipazione attiva tra i cittadini. La penna tagliente di Robecchi mette sul piatto la truffa di una "meritocrazia" senza uguaglianza, mentre Pellizzetti ci offre una riflessione sul ruolo dell’attore nel cinema contemporaneo, tra rappresentazione e rappresentanza. Spazio anche al reportage dall'estero, con le voci e la resistenza di intellettuali, attivisti e giornalisti in due paesi schiacciati dalla crisi e dalle politiche d’austerity come la Grecia e la Spagna sono raccontate da Christian Elia. Il volume ospita poi una preziosa intervista inedita a Giorgio Gaber, a quasi dieci anni dalla morte. pagina 9 pagina 10 il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 CULTURA DAL PAESE DEI SOVIET Duccio Colombo C’ era questo paese, l’Unione Sovietica: un luogo terribile, infestato dall’oscura presenza della polizia segreta, dove pochi avevano il coraggio di avventurarsi. Un paese che è poi andato in mille pezzi, ma il luogo è ancora spaventoso, infestato dalla povertà e da una criminalità onnipresente. Serena Vitale ha ottenuto un invidiabile successo editoriale raccontando le sue avventure nel primo di questi luoghi oscuri; Nicolai Lilin, con le sue avventure nel secondo, si è proprio arricchito. Tortuose evoluzioni Emmanuel Carrère tenta ora la fortuna in questi territori con la biografia romanzata di un personaggio che ha attraversato la storia dell’Unione Sovietica e della nuova Russia seguendo un percorso singolare e contraddittorio, Eduard Limonov (Limonov, Adelphi, pp. 360, euro 19). Una figura davvero peculiare, per molti versi unica: figlio di un ufficiale del Kgb, giovane teppista a Rostov sul Don, poeta underground nella Mosca degli anni brezneviani, emigra a New York, dove pubblica un romanzo scandaloso sulla sua vita bohémienne. Una traduzione letterale del titolo russo sarebbe Sono io, Edicka, ma in Italia il romanzo è uscito col titolo della versione francese, Il poeta russo preferisce i grandi negri: del repertorio fanno parte anche esperienze omosessuali. Limonov si trasferisce poi a Parigi, ma, insoddisfatto del destino di scrittore minore che gli si apre davanti, si butta (sempre dalla parte meno raccomandabile) nel vortice delle guerre che sconvolgono l’Europa orientale dopo il crollo dell’impero comunista: Bosnia, Krajna, Transnistria, per poi stabilirsi definitivamente in Russia, dove fonda il partito nazionalbolscevico, che raccoglie giovanotti dall’attitudine punk su posizioni chiaramente fascisteggianti. Da allora partecipa, con evoluzioni tortuose, ai vari movimenti di opposizione a Eltsin prima e a Putin poi, entra ed esce di galera, e documenta il tutto nei suoi libri. Carrère ha a disposizione una storia affascinante, e la racconta con piglio sicuro. Il suo è prima di tutto un tentativo di capire Limonov: cosa ci fa alla commemorazione dei morti al teatro alla Dubrovka, tra i sodali di Anna Politkovskaja, uno che vanta la sua amicizia con il comandante Arkan? Un tentativo onesto, che non sfugge alla tentazione dello psicologismo: «Bisogna dare atto di una cosa, a questo fascista: gli piacciono e gli sono sempre piaciuti soltanto quelli che sono in posizione di inferiorità. I magri contro i grassi, i poveri contro i ricchi, le carogne dichiarate, che sono rare, contro le legioni di virtuosi, e il suo percorso, per quanto ondivago possa sembrare, ha una sua coerenza, perché Eduard si è schierato sempre, senza eccezioni, dalla loro parte». Tra Miller e D’Annunzio L’interpretazione finisce però per tornare alle origini del personaggio (un padre nel Kgb, una famiglia non toccata dalle purghe portano a ricordare, dell’esperienza sovietica, soprattutto i lati positivi) e al disperato bisogno di avere un seguito, di essere un leader. E, se pure ammette che Limonov sembra sempre «recitare la parte di se stesso», trascura quella che ci sembra essere l’ipotesi più probabile per spiegare il suo percorso, la motivazione estetica, il fascino per l’estetizzazione della politica che diventa un prolungamento dell’esperienza letteraria: basti confrontare la descrizione quasi estatica del funerale di un ufficiale sovietico che conclude il libro citato da Carrère come L’epoca gloriosa (una traduzione corretta dovrebbe essere almeno Abbiamo avuto un’epoca gloriosa), purtroppo mai tradotto in italiano, con quella, dal tono analogo, di una dimostrazione nazionalbolscevica nel Libro dell’acqua. Il termine di paragone più frequente per lo scrittore Limonov, nel libro di Carrère, è Henry Miller: sarebbe forse più corretto richiamarsi a D’Annunzio – un D’Annunzio, però, dal talento decisamente superiore. Che Carrère trascuri questo aspetto non sorprende affatto, dato che il Limonov che gli interessa è meno che mai lo scrittore. Bizzarro, visto che più Atmosfere perdute di un impero che fu La quotidianità dell’Urss rivive, senza orrori a buon mercato o facili nostalgie, nel recente «Vita privata degli oggetti sovietici» di Gian Piero Piretto. Climi che si ritrovano, in chiave esotica, nel romanzo-biografia «Limonov» del francese Emmanuel Carrère CARTELLONE Vera Muchina, una mostra a Mosca Famosa soprattutto per il monumento «L’operaio e la colcosiana», la scultrice Vera Muchina (1889–1953) è stata oggetto, in Urss prima, nella Russia post-sovietica dopo, di numerosi studi e esposizioni. Ma era rimasta finora in ombra la sua opera di scenografa per il palcoscenico, cominciata già prima della rivoluzione del ’17. Proprio a questo aspetto trascurato dell’attività artistica della scultrice è dedicata una mostra, «Il teatro di Vera Muchina», allestita fino al 2 dicembre presso il Museo d’arte moderna di Mosca sulla Petrovka. Il percorso espositivo propone disegni, bozzetti, sculture provenienti dalle più importanti collezioni russe, a testimonianza di un lavoro che presenta anche alcune sorprese: tra le produzioni teatrali di cui Muchina si è occupata, infatti, troviamo – accanto a rappresentazioni in qualche modo prevedibili, come il dramma di Aleksander Blok «La rosa e la croce» o l’«Elettra» di Sofocle – anche «La cena delle beffe» dell’italiano Sem Benelli. Le opere in mostra sono inoltre accompagnate da foto d’archivio e materiali video in parte inediti. della metà del suo testo non è altro che una silloge dei libri di Limonov, che scrive quasi sempre in prima persona e quasi solo della propria vita avventurosa. Dove Carrère racconta del bohémien newyorkese che, a Central Park, estrae il quaderno e «comincia a scrivere, appoggiato su un gomito, tutto quello che ho appena raccontato», proviamo il brivido di una doppia mise en abyme: assistiamo alla scrittura del libro da cui è stato tratto il libro che stiamo leggendo. La stessa svalutazione dell’attività letteraria di cui si diceva sopra può risalire alle posizioni recenti dello scrittore, che ha ripetuto spesso che continua a pubblicare libri solo per finanziare quello che realmente gli interessa, l’attività politica (mentre l’ipotesi opposta, che l’attività politica serva da serbatoio di storie per i libri, non è affatto da trascurare). Non fosse per la stima cui Carrère ha diritto per la sua carriera letteraria, si potrebbe perfino ipotizzare che questo libro, che ha avuto in occidente molto più successo e molte più traduzioni dei libri di Limonov, successo ampiamente propagandato sul sito di quest’ultimo, non sia altro che un’operazione machiavellicamente preparata da Limonov stesso. La domanda che resta aperta è: perché Adelphi pubblica il (bel) libro di Carrère quando non si sognerebbe mai di pubblicare i libri (splendidi) di Limonov? Certo, Carrère, con i suoi commenti scettici, che una prefazione o una postfazione potrebbero tranquillamente contenere (e che il suo eroe, a cui non fa difetto l’autoironia, avrebbe senz’altro potuto scriversi da sé), fa da filtro a Limonov, toglie la parola a questo personaggio poco raccomandabile. Ma forse pesa di più nelle scelte editoriali il fatto che Carrère spiega cos’è il samizdat e chi sono i «ladri in legge» (l’aristocrazia criminale), chi è Putin e chi era Arkan, indossa insomma il caschetto di sughero da scout e mostra al lettore occidentale questa bestia feroce, accompagnandolo per mano in questo mondo esotico. L’esotismo, sovietico e post, paga ancora. Percorsi intellettuali Posto che il libro di Carrère è un buon libro (e che il merito ne va, comunque, anche all’autore e non solo al personaggio), esiste una strada diversa per raccontare questo strano mondo? Si potrebbe intanto, visto che ne stiamo parlando, pubblicare Limonov (il che non significa, ovviamente, un’adesione alle sue posizioni politiche). Quello che è successo all’impero sovietico è stato raccontato in modo del tutto diverso, per esempio, dal compianto Petr Vajl’, un altro russo emigrato a New York che ha rifatto il cammi- no all’indietro, nel suo Karta rodiny («La carta del mio paese», ironica ripresa del titolo di un famoso testo stalinista), un libro che ha già qualche anno e purtroppo non è stato tradotto. Vajl’ non è mai tornato definitivamente, ma ha visitato l’ex Unione in lungo e in largo, da giornalista o per i motivi più vari. Testi scritti in diverse occasioni sono raggruppati lungo un percorso geografico e intellettuale che portano a costituire un tutto unico; non mancano i grandi temi (un reportage sulla prima guerra cecena, una visita alle isole Solovki, sede del primo grande lager sovietico) ma predominano i luoghi minori, sperduti, quasi improbabili. Le osservazioni sono mischiate ai riferimenti che vengono da una cultura vastissima ma utilizzata con familiarità, e predomina la ricerca di un senso alla storia personale, familiare, del paese: «È strano: sono nato e cresciuto in una periferia della grande potenza, una periferia tanto civilizzata che il centro la invidiava; ho studiato nella capitale, da cui veniva mio padre; mia madre arrivava da un angolo sperduto ed esotico. Appartenevo insieme alla nazione dominante e a una contraddittoria minoranza. Dovrebbero esserci abbastanza punti di vista da ricostruire il disegno dell’impero. Ma per questo abitante di Riga che ha studiato a Mosca, figlio di una russa che viene dai Molokani rifugiati in Turkmenia e di un ebreo moscovita, il concetto rimane nel campo della speculazione». Un approccio ancora diverso alla questione si trova nella Vita privata degli oggetti sovietici (Sironi, pp. 208, euro 19,80) di Gian Piero Piretto. Le librerie italiane non hanno uno scaffale per gli studi culturali, e ci si può imbattere nel paradosso (autentico) di trovarlo collocato nella sezione design: questo libro è però qualcosa d’altro. Galosce e scarafaggi Piretto, che lavora da anni sulla realtà sovietica con i metodi dei cultural studies (ricordiamo almeno Il radioso avvenire: mitologie culturali sovietiche, Einaudi 2001) affronta questa volta la cultura materiale attraverso le storie di venticinque oggetti emblematici. Di nuovo, ci sono lo sputnik e la mummia di Lenin, ma tra le scelte spiccano piuttosto il samovar, il profumo «Mosca rossa», il bicchiere sfaccettato (il cui design è attribuito, da una leggenda mai confermata, a Vera Muchina, la scultrice del celeberrimo gruppo L’operaio e la colcosiana), la carta igienica, le galosce o lo scarafaggio. Il profumo «si può incondizionatamente considerare la colonna olfattiva dell’era sovietica: troppo persistente, addirittura leggermente nauseabondo per le narici occidentali, a maggior ragione quando si combinava, magari su un sovraffollato mezzo di trasporto pubblico, ad altre zaffate intensamente sovietiche quali alito alla cipolla, sudore di lavoratore d’assalto o naftalina di cappotto». La carta igienica «rientrava tra i prodotti deficitari, quelli che non era facile né scontato trovare sul mercato (…) Una leggenda metropolitana voleva che le vendite di quotidiani fossero incrementate proprio per supplire alle carenze di cui sopra». Ma il confronto tra il degrado dei gabinetti pubblici e l’immacolata pulizia di quelli nelle case private obbliga a spostare il discorso «sul problema del rapporto tra pubblico e privato, sulla dicotomia tra ciò che rientra nella sfera del ’personale’, ’di proprietà’, pure in un Paese dove i principi del socialismo stigmatizzavano il possesso particolare a favore del collettivo e della cosa pubblica». La questione diventa, insomma, «un caso dove l’ideologia ha mostrato i suoi lati più deboli». Ognuno dei venticinque oggetti, insomma, è al centro di una rete di rimandi che vanno dalle condizioni materiali alla storia all’ideologia passando per il campo della cultura in senso stretto; gli oggetti hanno una loro realtà concreta, ma il loro elenco è anche lo spunto per ricostruire l’immagine di una civiltà. Un’operazione di questo genere corre il rischio di quello che i tedeschi chiamano Ostalgie, nostalgia per un mondo perduto, un rischio qui evitato grazie alla consapevolezza teorica. Alcuni degli oggetti citati sono già oggetto di collezionismo, mentre in diversi paesi dell’ex impero esistono musei del passato comunista, basati su concezioni di cui il libro fornisce una lucida lettura critica; buona parte di loro sono già passati al vaglio della rilettura di artisti contemporanei (le installazioni di Ilja Kabakov, le poesie di Timur Kibirov) che ne hanno reinterpretato il significato storico come quello affettivo, e di cui il lavoro di Piretto rende conto. Anche la nostalgia, insomma, è oggetto di un’analisi oggettivante. Le ricerche, i ricordi L’origine della ricerca è accademica, e il risultato non smentisce le premesse. La levità del tono, però, la brevità delle schede e la ricchezza di immagini (immagini che contribuiscono al discorso complessivo allo stesso livello del testo) lo rendono una lettura decisamente godibile. Le storie dei venticinque oggetti sono frutto di un lavoro di ricerca puntuale (storia, significato culturale, uso) ma anche di ricordi personali dell’autore, che ha frequentato il paese a lungo e con uno spirito ben diverso da quello dell’esploratore bianco. Il risultato è una ricostruzione dell’atmosfera irripetibile della quotidianità sovietica, così nota a chi ha fatto in tempo a viverla e così difficile da rendere a parole. Una ricostruzione dell’esperienza sovietica, vista (anche) dall’esterno, che evita così le suggestioni dell’esotico e quelle dell’orrore a buon mercato. il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 pagina 11 CULTURA DOPO BOOKCITY, STEFANO BOERI RISPONDE AI PRECARI: «VEDIAMOCI» L’iniziativa milanese di Bookcity è considerato un appuntamento coronato dal successo. Così dicono i numeri degli espositori e dei partecipanti ai tanti incontri. Ma «Bookcity» era stata aperta con una lettera dove i lavoratori della Fnac denunciavano la crisi del settore, che si traduce in licenziamenti e l’espandersi senza controlli della precarietà. E nei giorni oltre tutto Roberto Ciccarelli I n Italia la politica ha significato prendere partito. L’essere di parte è stato il presupposto di una lotta mortale, per l’egemonia, la direzione delle anime, la cultura, il governo. È tuttavia un’anomalia storica che ha distinto il pensiero politico italiano dalle coeve riflessioni europee. Sin dal principio, la sua teoria del conflitto è stata elaborata in assenza dello Stato e in una duplice direzione: quella che auspicava la costituzione di un’autorità, un Principe, di un’istanza trascendente – o sovrana – che garantisse un ordine. E l’altra, una riflessione sulle potenzialità metafisiche, cosmologiche, strategiche di una vita considerata mondana, cioè appartenente alla storia e alla sua immanenza. Per Dario Gentili questa tensione originaria tra conflitto e ordine, tra vita e forma, tra costituzione di un soggetto politico e la sua determinazione come parte di un conflitto rappresenta la cifra della «filosofia italiana»: il dualismo e la sua tendenza alla decisione e alla separazione. Nell’ultimo decennio questi aspetti hanno sollevato attenzione anche nel dibattito internazionale. Nel suo Italian Theory. Dall’operaismo alla biopolitica (Il Mulino, pp. 246, euro 20), Gentili spiega come questa cifra distintiva sia diventata l’espressione della positività della politica in quanto tale: essa è infatti un campo di tensione tra forze contrapposte che tendono a separarsi e a imporre una decisione. Questa positività viene definita come sinisteritas, parola latina che indica la «parte maledetta» che induce all’«errore» e, in generale, a «errare» e «deviare» rispetto alla linea e alla via «retta» rispetto all’altra parte – la destra – che rappresenta nella storia delle idee la rettitudine, la giustezza o la norma. In questo caso, l’etimolo- Il conflitto di classe e la natura del potere è il filo rosso che lega percorsi filosofici tra loro diversi gia rischiara il cielo di una «sinistra» che, in realtà, si è spesso identificata con il suo opposto, rivelando così un altro aspetto della politica: il conflitto tra il prendere partito e l’essere parte di qualcosa. Una logica di schieramento Prendere parte, schierarsi in un campo già spezzato in due, significa anche lottare contro il proprio partito. È la storia della sinistra europea (Linke, Gauche, Izquierda) divisa tra correnti, eresie, espulsioni, eventi ricorrenti tra l’Otto e il Novecento quando – portando alle estreme conseguenze l’etimologia indicata da Gentili – i custodi sinisterici della linea, della sua rettitudine e giustezza, hanno sconfinato nel campo della destra. Se fosse solo questo il contenuto dell’Italian Theory, parleremmo allora di un libro rassicurante nella sua piatta sociologia. Così non è perché la parte maledetta non si fa ridurre a una logica di schieramento politico, ad un’appartenenza che in Italia è stata divisa tra identità locali, professionali, familiari che tendono a confliggere contro lo Stato, o tra di esse. Nell’ampia escursione compiuta da Gentili nel Novecento italiano, da Antonio Gramsci a Carla Lonzi, Mario Tronti e Antonio Negri, Gianni Vattimo, Giorgio Agamben, Luisa Muraro, Roberto Esposito, senza trascurare Massimo Cacciari o Giacomo Marramao, il dilemma tra il prendere partito o l’essere parte di qualcosa viene declinato su un piano che non è riducibile alla storia dell’«identità» italiana. Non esiste una specificità italiana della filosofia, ma ci sono italiani che riflettono sulla politica a partire dal dualismo originario tra ordine e conflitto. È questa l’antinomia individuata già da Machiavelli che assume nel corso del Novecento, e in particolare dopo la caduta del Muro di Berlino, una drammatica attualità: essere dentro l’ordine politico (cioè avere mentre si svolgeva l’iniziativa, la «Rete de Redattori precari» aveva inviato una lettera aperta agli editori e all’amministrazione cittadina sul dilagare di regimi di sfruttamento e di precarietà dei lavoratori dell’industria culturale. Ieri la risposta dell’assessore alla cultura di Milano Stefano Boeri, che si è dichiarato favorevole a un incontro con i lavoratori «culturali», annunciando anche prossime iniziative della giunta sulla precarietà. FILOSOFIA · «Italian Theory. Dall’operaismo alla biopolitica» di Dario Gentili per il Mulino HARD BOILED L’impossibile retta via della teoria che prende partito L’impossibile fuga dalla ferocia dell’upper class originaria – il prendere parte contro – e con essa la sua efficacia. E allora resta sospeso, indeciso, senza forze. È questa la realtà in cui versa il pensiero italiano – così come la sua politica – almeno dagli anni Ottanta. In realtà, quando si parla di Italian Theory si allude all’alternativa fornita dal pensiero critico contro gli esiti del postmoderno. Un’alternativa liquidata dal dibattito attuale diviso tra il positivismo ingenuo dei nuovi realismi e il lacanismo conservatore di filosofie molto deboli, nessuna del- La fortuna internazionale di autori come Luisa Muraro, Giorgio Agamben Roberto Esposito, Antonio Negri preso un partito) equivale a non potere essere contro, cioè prendere parte ad un conflitto. È il dilemma dell’integrazione, o meglio della sussunzione di un’istanza rivoluzionaria o emancipativa all’interno del potere. Sia nel caso dei francofortesi (Adorno, Horkheimer), i quali hanno dichiarato l’impossibilità del soggetto di liberarsi dal sistema, sia in quello dei pensatori dell’impolitico da Thomas Mann a Cacciari o Esposito in Italia, e ancora nel «pensiero debole», il dualismo rischia di trasformarsi in un’antinomia, mentre il conflitto viene ridotto a uno scambio meramente linguistico come nel pensiero debole o nelle filosofie analitiche. Lo stesso rischio lo corrono le riflessioni che non si sono rassegnate alla neutralizzazione della società dello spettacolo o si fanno irretire dal liberismo alfiere dell’austerità. Ci sarebbe da discutere a fondo, ma nel libro di Gentili, come in quello di Roberto Esposito Pensiero Vivente, questo è il caso dell’operaismo, del femminismo o della biopolitica. Entrambi pensano la politica alla luce di un dualismo di fondo, il cui effetto è riscontrare un’antinomia insuperabile tra l’oppressione del potere e lo scacco delle istanze di liberazione. Il conflitto perde così la sua immanenza le quali riconosce la possibilità dell’esistenza di un fuori e di un contro la fabbrica, il patriarcato o l’ombra del Padre, il precariato, il capitale, lo Stato. Il conflitto viene rimosso perchè non è possibile uscire dal dualismo del potere. È universalmente noto che il pensiero critico contemporaneo è lontanissimo dalla provincia dell’anima che è diventata l’Italia. La sua strada non è però facile, anche perchè in tutti i pensieri che cercano un’alternativa ritorna sembra tornare il dualismo da cui intendono liberarsi. Ma un dato è certo: oggi non basta insistere sulla dialettica antagonista, bi- sogna invece affermare l’autonomia di una parte rispetto all’altra. Non più dunque il conflitto che termina in un’antinomia, bensì soggetti che individuano un terreno dove producono il proprio conflitto. Il percorso non è mai lineare. L’enfasi sui «soggetti», e non più sul Soggetto (politico o metafisico), non è mai riuscita ad affrontare il problema dell’unificazione dei soggetti che confliggono in nome della propria differenza, oltre che della decisione politica. Ma è di questo che si discute nel pensiero della differenza sessuale, nel Queer, nell’operaismo tra autonomia del Politico e potere costituente, nelle varie versione del conflitto tra biopotere e biopolitica. Genesi antistatalista Oltre a indicare un piano analitico alternativo alla storia del pensiero italiano scandita dalla Santa Trinità storicista De Sanctis-Croce-Gentile, l’Italian Theory ha un’ambizione, ben più vasta: concepire la positività del conflitto al di là del pensiero della crisi, o del negativo, cioè della contrapposizione antagonista con un potere sempre più disincarnato e globale. Del resto è sempre stata questa la vocazione del «pensiero italiano»: la sua origine pre-statale (o anti-sovranista) è ancora valida oggi. E, forse, non è cambiata la sua intima esigenza: quella di definire il piano di immanenza di una vita storica, individuarne le potenzialità, condividere la sua «parte maledetta» in comunità non assimilabili ai poteri esistenti. Questo pensiero avrà un futuro se prenderà alla radice le sue tradizioni. MEMORIA · «Moffie. Un gay in guerra nel Sudafrica dell’apartheid» di André Carl van der Merwe Un desiderio oscurato da una mimetica Carmela Covato L a storia di Nicholas, detto moffie espressione dispregiativa utilizzata dagli afrikaners per indicare gli omosessuali, è la storia, ambientata nel Sudafrica dei primi anni Ottanta e raccontata nel volume di André Carl van der Merwe Moffie. Un gay in guerra nel Sudafrica dell’apartheid (traduzione di Valentina Iacoponi, Iacobelli, pp. 283, euro 16), di una iniziazione alla vita adulta particolarmente dolorosa e che si snoda in una narrazione autobiografica scandita da un desiderio di libertà strenuamente difeso da norme e ingiunzioni agite nei confronti del protagonista in forme assai violente. È anche la storia di una educazione sentimentale fondata su di un inestricabile intreccio fra affetti autentici, il fratello morto prematuramente in un incidente stradale («Frankie e io siamo una cosa sola, l’alchimia di questa sintesi è un dato di fatto»); i genitori, la casa, il cibo, il soffice seno di Sophie e la violenza di una iniziazione alla vita adulta imposta dal padre con l’arruolamento forzato nell’esercito come antidoto alla minaccia della diversità sessuale. Il destino subito da Nicholas nell’esercito è costellato dalle più inaudite violenze, prima fra tutte la necessità di nascondere il suo orientamento sessuale per non correre il rischio di essere trasferito nel famigerato reparto 22, dove si finiva soprattutto per quel motivo ma an- La strenua resistenza di un soldato ai reiterati tentativi di cancellare la sua omosessualità che per un credo religioso difforme da quello ufficiale o semplicemente per aver mostrato amore per l’arte e la poesia. L’esperienza di Nicholas narrata in forma assi coinvolgente trascende però i confini di una storia personale. Il racconto assurgere a metafora di una vicenda umana più vasta e delle insidie spesso presenti nella storia di uomini e donne, anche in contesti assai diversi fra di loro, nel passaggio dall’infanzia alla vita alla vita adulta. I modelli culturali ufficiali della soggettività adulta sono spesso veicolati da imperativi finalizzati a difendere l’ordine costituito, la coesione familiare e ogni for- ma di gerarchia sociale, come dimostrano gli studi più recenti di una storia dell’educazione fondata non tanto o non esclusivamente sullo studio delle idee pedagogiche del passato quanto sull’ascolto delle voci che affiorano da documenti autobiografici, letterari ed epistolari. Moffie si snoda in un straordinario costante connubio fra vicende del presente e ricordi del passato, soprattutto ricordi dell’infanzia quasi a dirci che questa età della vita è sempre attuale perché ognuno di noi le restituisce esistenza, tramite il ricordo, nel presente. La vicenda ha un indubbio significato autobiografico. Ce lo spiega nell’Epilogo l’autore, nato in Sudafrica a Harrismith nel Free State, che ha studiato Belle Arti a Cape Town e che oggi si occupa di architettura e arredamento. Van der Merwe è al suo primo romanzo ma esprime una capacità letteraria di una rara finezza quasi lirica, restituitaci intatta dalla bella traduzione di Valentina Iacoponi, alla quale si deve anche il glossario inserito in appendice e la cartina geografica di un Sudafrica troppo spesso conosciuto in forma mitologica. I massacri ai quali Nicholas è costretto ad assistere e a partecipare suo malgrado, le punizioni corporali, le continue umiliazioni veicolate da una parola maschile militarmente dispotica non scalfiscono la sensibilità di Nicholas e la sua capacità di amare, di stringere in quell’inferno straordinarie storie di amicizia e anche di innamorarsi. Si può affermare che in questo caso- ma non sempre avviene - che il dispositivo è fallito, l’esercito (avrebbe potuto essere un carcere? una scuola?) scelto dal padre per fugare il terrore di un figlio gay, che sembrava soprattutto mandare in frantumi la sua stessa identità, ha la peggio. Vince il desiderio di vivere e di amare e di superare ogni egoistica sopraffazione. Si tratta di aspirazioni che sembrano trarre alimento dai ricordi di un’infanzia ripensata in termini di grande tenerezza, sebbene non sia stata priva di violenze: dalla nonna che raschia via il bruciato del pane per non sprecarlo, ai nomignoli dati dalla madre, vissuta come approdo sempre sicuro, alle torte preferite dai ragazzi, ai giochi nel giardino sul retro della casa, alla tenera assertività della sorella. «Di notte fuggo e sciolgo il filo dei ricordi. Implodo in uno stato ipnotico dove fluttuo sopra le distese del Free State e vivo il sogno ricorrete della mia infanzia: non ho peso, galleggio, ma sono ancorato bene e il divino mi scorre dentro. So di essere legato eppure resto libero». Che sia l’infanzia reale o l’infanzia narrata a se stesso fa parte della storia. Michele Fumagallo L' inglese James Hadley Chase (ma il suo vero nome era René Brabazon Raymond, nato nel 1906 e morto nel 1985) non ha bisogno di presentazioni nel panorama dell'hard-boiled. È uno scrittore che ha sfornato una novantina di romanzi ma è passato alla storia della letteratura di genere soprattutto con Niente orchidee per Miss Blandish”(1939), grande successo con milioni di copie vendute, da cui fu ricavato nel 1971, «The Grissom Gang», film memorabile di Robert Aldrich. La Polillo Editore, casa editrice che rispolvera gialli e thriller classici tra cui nel 2004 il romanzo sunnominato, ha da poco dato alle stampe la nuova edizione del sequel di quel racconto mitico, Il sangue dell'orchidea (pp. 288, euro 14,90). E va subito detto che la storia che si sviluppa attorno a Carol Blandish, figlia dell'ereditiera rapita protagonista del primo libro e di Slim, nevrotico e sanguinario membro della banda Grissom innamorato di lei, mantiene intatto il suo fascino (il romanzo uscì per la prima volta nel 1948) e anzi, in un'epoca in cui il genere si allarga a dismisura con inflazione di commissari e detective non sempre all'altezza dei fascinosi personaggi di Hammett o Chandler (per stare soltanto ai padri dell'hard-boiled), l'intreccio formidabile di storie e di eroi maledetti che pullulano dentro le fitte pagine del romanzo non fanno che avvincere sempre di più e darci uno spaccato affascinante del viaggio senza ritorno che rappresenta il crimine, che macina chiunque ne venga a contatto fosse pure con le migliori intenzioni di starne alla larga. Non c'era nessuna via di scampo nel primo «capitolo» della storia, frutto anche di un'analisi disperata di un'America in preda ai fantasmi della crisi del dopo 1929. Nessuno si salvava: né la viziata rampolla di una famiglia dell’alta borghesia, vittima del rapimento di una banda con a capo Mamma Grissom personaggio mitico passato alla storia della spietatezza criminale femminile in un'epoca in cui vige il si salvi chi può; né i miseri tutori dell'ordine; né i perbenisti della classe dirigente pronti a passare sopra la vita della propria figlia rapita una volta accertato che era stata in intimità col gangster. Nel secondo «capitolo» la spietatezza aumenta. Il sangue dell'orchidea è più ricco e avvincente del primo capitolo della storia. Quando Carol, segnata dallo stigma di essere figlia di un incontro atroce, ma letterariamente struggente, tra uno spietato criminale e una ricca borghese, fugge dalla sua prigione del manicomio, inizia una storia piena di colpi di scena e di atrocità, ma anche di possibili redenzioni. È il segno che i lasciti della crisi del 29 sono terminati, ma anche che gli «innocenti» devono difendere con le unghie e con i denti la possibilità di una vita di pace. Pubblicare (e leggere) Il sangue dell'orchidea è operazione d'igiene anche per ripulire un genere oggi pregno di eccessivi ammiccamenti a un lettore a volte in cerca di «dolcezze» che qualsiasi vita (e ogni letteratura autentica), in qualsiasi tempo, non può dare. pagina 12 il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 VISIONI Al cinema • Il conte Vlad, adoratore delle trappole di eros e thanatos, gronda di riferimenti al fantasy, al western, ai documentari sugli insetti, oltre che al canonico horror ASIA ARGENTO IN «DRACULA 3D» DI DARIO ARGENTO; SOTTO THOMAS KRETSCHMANN Il volto umano dell’eternità Le metamorfosi di Dracula. Se un regista come Dario Argento decostruisce la tragedia gotica di Stoker alla «Steampunk» DRACULA 3D DI DARIO ARGENTO, CON RUTGER HAUER, ASIA ARGENTO, THOMAS KRETSCHMANN, ITALIA 2012 Roberto Silvestri N on è solo colpa di Netanyahu. Se oggi israeliani e palestinesi, ebrei e islamici, letteralisti o meno, si affrontano, ma non ad armi pari, a un passo da noi, orgogliosi del nostro premio Nobel per la pace, le radici del conflitto sono proprio nella gongolante Europa, anche prima delle colpe di Hitler, cioé della destra e della sinistra europea. Da una parte, a ovest, gli spagnoli che massacrano e cacciano gli ebrei alla fine del XV secolo, dall’altra, a est, il loro omologo e contemporaneo conte Dracula che per difendere la gloriosa identità cristiana (rapace e sanguisuga scaturigine del capitalismo «all’inglese», quello che perfino Adam Smith considerava porta bandiera di una economia di mercato guasta e malsana), impalava, verso al fine del 1400, turchi e mammalucchi, maledicendo Maometto II. Quando l’Europa tornerà a tre o quattro identità? Non stupitevi dunque se Vlad l’impalatore compie, nella storia del cinema horror, in elegante frac da borghese, frequenti visite alla torre di Londra, ammirando quei sontuosi palazzi, sede dei Lloyds, simbolo sfrontato del colonialismo e delle rapine, anche finanziarie, ripetute e continuate, ai danni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, prosciugate a forza di Borsa, morsi, canini e cannoni. Non stupitevi dunque se il nuovo Dario Argento in 3d grondi di riferimenti testuali e contestuali stratificati e cinefili (gotico, fantasy, western, documentario sugli insetti, oltre che al canonico genere horror), la cinefilia è l’arte della politica durante la deriva del riflusso.... E siamo così al 1883, in Transilvania, zona Carpazi, la linea Maginot che ci salvò dagli infedeli. È qui che inizia, come fosse un Corman o un Fischer dal tocco steampunk, l’atteso Dracula 3D (in realtà riprese in provincia di Biella). Il bibliotecario Jonathan Harker, chiamato dal conte Vlad (Thomas Kretschmann) per catalogar libri, è imprigionato nel tetro castello, e dopo una triplice aggressione sventata dell’harem di Dracula, con la giovane Tanja che più delle al- Claudio Simonetti al sound straniato come le vesti di Asia, aggiungono lussi e splendore a un decor degno della Hammer. Cannes 2012 l’ha apprezzato. Argento penetra, radiografare e combatte anche questa volta le sue zone dark in affinità con Dracula anche per lo stile, orgogliosamente demodé): passione sensuale, senso di abbandono, dediderio di metamorfosi (in pipistrello, altri uccelli notturni, mantide religiosa, insetto, umano, lupo...), fragili manie secondarie. E soprattutto: «Non mi adatto allo scorrere del tempo, esattamente come Dracula». Il film utilizza il 3D senza trafiggere gli occhi (una volta sola): «Ho usato 2 cineprese digitali, non come in Avatar, una a fianco all'altra, per poter dare la tridimensionalità. Ora una viene posta di fronte, l'altra sopra, perpendicolare, e riprende la scena in uno specchio. In questo modo la profondità diventa enorme. È la tecnica di Scorsese in Hugo». Qui però la paura viene dilatata, ci attanaglia. Da destra a sinistra... COMMEDIA · Si parte con la battaglia dei film confezionati per le feste Cinepanettone? Sì, ma con garbo tre due quasi lo azzanna) riesce a rientrare a Londra. Dracula lo insegue perché smania per l’amante di Harker, Wilhemina «Mina» Murray (identica all’adorata Elizabeth, defunta, ma amata da 400 anni) sempre appicciata all’amica del cuore, Lucy (Asia Argento, al quinto film con papà). Adoratore delle trappole che allacciano eros e thanatos, gli incontri turistici di Dracula preferiti sono con Renfield, mangiatore di insetti, ragni, uccelli e altre dolci creature per assorbirne la forza vitale. Quale doppio più perfetto di chi, disumano, considera disumani i mortali? Terrorizzata, Lucy chiama da Amsterdam il dottor Abraham Van Hesling (Hauer), medico e cacciatore di mostri, ma è troppo tardi, un lupo divora sua madre e vampirizza lei. La saga Twilight, qui si scandalizzerebbe per la metamorfosi...Harker, Mina (Marta Gastini) e Van Hesling, a questo punto, si coalizzano per la battaglia definitiva, ma Dracula sfrutta le sue mille risorse seduttive, creando una sorta di erotica connessione spirituale con Mina, in modo da controllarne desideri consci e inconsci, dopo una triplice visita... Bisognerà uccidere il Conte per liberarsi, con un solo gesto, dell’oppio e delle catene...Il romanzo di Bram Stoker è meticolosamente riscritto, con il sangue e gli effetti efferati dovuti. Luciano Tovoli ai graffi di colore luci e IL PEGGIOR NATALE DELLA MIA VITA DI ALESSANDRO GENOVESE, CON ANNA BONAIUTO, DIEGO ABATANTUONO, ITALIA 2012 Marco Giusti C i siamo. La guerra dei film di Natale è cominciata. Ovviamente non era affatto vero che i Cinepanettoni erano finiti. Basta guardare per strada i faccioni sui manifesti, le palle sugli alberi. E con questi i cori di Jingle Bells, le film commission valdostane e trentine, gli sketch con gli animali uccisi, le vecchie ridicolizzate. Che bellezza! A dispetto di quello che diceva Aurelio De Laurentiis, quella che si sta materializzando è in realtà una grande battaglia tra film natalizi, più o meno fini e più o meno cafoni, targati Warner, 01, Medusa, Fandango e ovviamente Filmauro. E tutti sperano che i quattro soldi lasciati in tasca allo spettatore italiano vadano a qualcuno di questi cinepanettoni. Ammesso che esitano questi quattro soldi da qui a Natale. In- tanto c’è chi si permette pure di pisciare sul tacchino della vigilia. Come dimostra una delle gag più elaborate, e meno fini, di Il peggior Natale della mia vita, diretto da Alessandro Genovesi, sequel del riuscito La peggior settimana della mia vita (dieci milioni di incasso) targato Maurizio Totti, Rti (cioè Rete Italia, cioè Alessandro Salem) e Warner Bros come distribuzione. Come il precedente film è tratto da una fortunata sitcom televisiva inglese, The Worst Week Of My Life di Mark Bussell e Justin Sbresni, rifatta anche in Germania (ma in tv) e stavolta citata non in coda ma nei titoli iniziali in grande, adattata e sceneggiata per il cinema da Genovesi e Fabio De Luigi. Il cast è in gran parte lo stesso del primo film. De Luigi e Cristiana Capotondi come i freschi sposini Paolo e Margherita, Antonio Catania come Giorgio, il padre di lei, Andrea Mingardi come lo scombinato padre di lui, ma al posto di Monica Guerritore come Clara, la madre di lei, troviamo Anna Bonaiuto (sembra che il ruolo fosse considerato troppo piccolo dalla Guerritore). Scompare Alessandro Siani, il miglior amico dello sposo. In cambio arrivano Diego Abatantuono, capo e amico di Catania, sua figlia Laura Chiatti, ricca e svalvolata, il cameriere pugliese Dino Abbrescia, una comparsata di Ale e Franz come becchini e perfino il pugliese Totò On- nis come barista valdostano (scambo tra commission?). La storia vede il ricco commendatore Abatantuono che ha appena comprato un castello in Val d'Aosta (doveri di film commission) e invita a passare la notte di Natale tutta la famiglia di Catania, con tanto di Capotondi incinta all'ottavo mese e genero pasticcione. Anche sua figlia Benedetta, la il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 pagina 13 VISIONI DOCUMENTARI/1 Oggi, alle 11, nella sala del Mappamondo della Camera dei deputati, verrà proiettato «Egypt’s Christians» realizzato da Elisabetta Valgiusti per Salvaimonasteri, in collaborazione con il canale televisivo Usa via satellite Ewtn. Il programma illustra alcuni tratti della storia copta e la condizione attuale delle comunità cristiane in Egitto, rilevando il loro impegno nel dialogo con i musulmani. RASSEGNA MOSTRE Nuove immagini dalla Romania Kristien De Neve, la cera è un bozzolo creativo A Roma presso l’Accademia di Romania (Piazza José de San Martin, 1 a Valle Giulia) si tiene da oggi fino al 25 novembre la IV edizione di «Procult Film Festival» rassegna di film nuova onda rumena. Tra gli ospiti, Lucian Georgescu, che presenterà il suo «The Phantom father» (Tatal fantoma). Tra i lungometraggi la commedia amara «Maledetta questa recessione!!», di Cristina Nichitus (il 23 alle ore 20), la commedia tragica «Le Nozze Mute» di Horatiu Malaele, (durante un matrimonio arriva la notizia della morte di Stalin). Tra i documentari «La vasaia di Vama Sarii» di Tudor Chirila, miglior documentario televisivo 2012, «Il naufrago della Romania», di Cristina Tilica su Robert Kamner, sopravvissuto al naufragio della Costa Concordia, che si è ritirato con la famiglia in montagna ed ha costruito una casa da fantascienza e, sempre diretto da Cristina Tilica «Regina Maria», che racconta della Regina della Romania che ebbe un ruolo decisivo durante la Prima Guerra Mondiale. Ingresso gratuito. Chiatti è incinta, ma di una provetta. I problemi arriveranno con l'entrata in scena di De Luigi che, esattamente come nel film precedente, riuscirà a distruggere tutto quello che tocca. Lo vediamo già in azione nel viaggio verso il castello. E riuscirà a travolgere a marcia indietro perfino la porta del bar di Totò Onnis con la sua macchinetta inadatta alla strada nevosa, poi entrerà nel castello e per prima cosa piscerà per sbaglio sul tacchino della vigilia. Come se non bastasse il liquido fuoriuscito sul pavimento farà scivolare il povero Abatantuono mandandolo di corsa all'ospedale. Per un quiproquo con due buffi becchini, Ale e Franz, molto divertenti, tutta la famiglia penserà che Abatantuono è defunto. Questa porterà alla progettazione di un funerale che si trasformerà in una specie di happening natalizio visto che il defunto è in realtà vivo, ma dove accadrà di tutto. Dall'arrivo del padre di De Luigi, Mingardi, con tanto di figlioletta canterina, la rottura delle acque della Capotondi, il crollo del soffitto del castello. Magari non è scoppiettante e innovativo come il primo film, sempre diretto da Genovesi. Ma il regista mantiene la stessa giusta eleganza nelle inquadrature e lo stesso garbo nella messa in scena. Non muove quasi mai Rai1 6.45 UNOMATTINA Attualità 10.00 UNOMATTINA OCCHIO ALLA SPESA Rubrica 10.25 UNOMATTINA ROSA Attualità 11.05 UNOMATTINA STORIE VERE Rubrica 12.00 LA PROVA DEL CUOCO Varietà 13.30 TG1 - TG1 ECONOMIA Informazione 14.10 VERDETTO FINALE Att 15.15 LA VITA IN DIRETTA Attualità 17.00 55° ZECCHINO D’ORO Evento (Diretta) 18.50 L’EREDITÀ Gioco 20.00 TG1 Informazione 20.30 AFFARI TUOI Gioco 21.10 Prima tv UN PASSO DAL CIELO 2 “Vite sospese” Fiction. 23.20 PORTA A PORTA Attualità 0.55 TG1 NOTTE Informazione la macchina da presa e riesce a ottenere effetti da commedia alla Laurel e Hardy molto classica, dove De Luigi è il comico e Abatantuono una specie di Billy Gilbert che subisce all’infinito le sue azione strampalate. E mischia il vecchio slow-burn, il procedimento comico inventato da Laurel e Hardy per cui piano piano si arriva alla combustione dei rapporti tra i personaggi, con belle trovate di umorismo macabro inglese (i becchini). Funziona? Non funziona? Magari qualche gag è troppo meccanica o facilmente prevedibile, come la morte del pappagallo, ma non ci sono cadute nella volgarità (a parte la canzoncina «e intanto qua non si ciula più»), il cast funziona bene, da De Luigi che ha ormai tempi perfetti a Catania a un Abatantuono in gran forma che accenna un Jingle Bells da terrunciello da paura. Le due ragazze in attesa, Capotondi e Chiatti, sono belle e credibili oltre che fotografate benissimo, e Dino Abbrescia ruba la scena a tutti, come negli slapstick hollywoodiani, nei panni di una strano cameriere che non dice molto ma si trova sempre presente nei momenti sbagliati, vera invenzione del film. Non sarà un capolavoro di comicità, ma è un film civile e gradevole quanto basta. Rai2 9.40 SABRINA VITA DA STREGA Telefilm TG2 INSIEME Attualità I FATTI VOSTRI Att TG2 GIORNO Info SELTZ Rubrica SENZA TRACCIA Tf COLD CASE Telefilm NUMB3RS Telefilm LAS VEGAS Telefilm RAI TG SPORT TG2 Informazione 18.45 SQUADRA SPECIALE COBRA 11 Telefilm 19.35 IL COMMISSARIO REX Telefilm 20.30 TG2 - 20.30 Informazione 10.00 11.00 13.00 14.00 14.45 15.30 16.15 17.00 17.50 21.05 Novità UN MINUTO PER VINCERE Gioco 23.10 TG2 Informazione 23.25 WIKITALY Varietà 0.35 RAI PARLAMENTO TELEGIORNALE Attualità DOCUMENTARI/2 «Non si finisce mai di imparare» è il documentario (52’) di Daniele Cini in omaggio a Marcello Cini, a un mese dalla sua scomparsa, che verrà proiettato sabato alle 17 presso la Sala Consiliare di Palazzo Valentini, sede della Provincia. Il figlio affronta la figura del padre, fisico e docente universitario, ripercorrendo momenti importanti più intimi, oltre che le sue idee sulla filosofia della scienza. Rai3 12.00 12.45 13.10 14.00 14.50 15.05 15.10 16.00 17.40 19.00 20.00 20.10 20.35 TG3 Informazione LE STORIE Attualità Prima tv JULIA Telefilm TG REGIONE - TG3 TGR LEONARDO Rubr TGR PIAZZA AFFARI Rubrica LA CASA NELLA PRATERIA Telefilm COSE DELL’ALTRO GEO Documentario GEO & GEO Doc TG3 - TG REGIONE Informazione BLOB Varietà COMICHE ALL’ITALIANA Doc. UN POSTO AL SOLE Soap 21.05 FLIGHTPLAN MISTERO IN VOLO FILM con Jodie Foster, 22.50 VOLO IN DIRETTA Varietà 0.00 TG3 LINEA NOTTE Attualità Arianna Di Genova L a cera che si modella, morbida ma anche tiranna (si rapprende subito), materiale famigliare e amato dai bambini eppure con un certo pedigree artistico che lo solleva al di là della quotidianità. Alla Ecos Gallery di Roma, le «sculture» dell’artista belga Kristien De Neve (la mostra è visitabile fino al 30 novembre, tutti i giorni, domenica solo mattina) offrono un panorama straniato e insieme poetico raccontano storie di mondi da scoprire. Così, i Cieli, tra gli ultimi lavori dell’artista che torna ad esporre dopo dodici anni (prima, lavorava con le garze) non separano ma avvicinano, trasudano e vivono in mezzo ai visitatori. Non sono da guardare col naso all’insù ma risultato tattili, da osservare in dettaglio, quasi con lente di ingrandimento. In più, hanno una loro pesantezza, sono permeati (o irrorati?) di «materia». «L’aria non è lontana come sembra, siamo immersi nell’aria, è un equivoco pensare che siano elementi distanti», dice Kristien De Neve. La sua mission è riportare tutto sulla terra e all’unica misura da noi conosciuta, quella umana e corporea, fisica: la scultrice lo fa concedendo alla cera il colore dell’incarnato della pelle, variazione cromatica permanente, mai perfetta e sempre cangiante, come le stagioni della vita. La sua arte, in fondo, è tutta interna all’ambiguità, richiede una soglia di attenzione in più. Come quelle figure che appaiono e scompaiono fra le colate di cera sulle tele: cervi, cani, donne nude. Siamo certi di averle scovate, poi le perdiamo nello sguardo, infine, le ritroviamo come in un puzzle della percezione. È belga, come Magritte e la polpa onirica dei suoi oggetti si «legge» nell’impossibilità di definizione, nelle metamorfosi inquietanti, nelle profondità illusori, nei riflessi delle nuvole in cieli che si congelano in tocchi quasi marmorei. Shifting Boundaries è il titolo della mostra romana e il rimando ai confini dei sensi - che forse non sono cinque come sostiene la scienza da secoli - è evidente. L’arbitrarietà viene rappresentata da quegli involucri di epidermide in cera, «bozzoli» con i quali l’artista reinventa la realtà e la popola di presenze inedite. Si possono classificare le sue scullture? Non proprio perché non tradisce l’identità mutevole del suo materiale, Kristien. Piuttosto, vi incide sopra gli agenti atmosferici, le profondità inattese, l’idea del vuoto e del pieno - da sempre la disputa filosofica ed estetica che sottende alla pratica della scultura tout court fin dalla sua apparizione. La cera non è altro che un’«apertura» di credito verso l’interazione fra uomo e natura, un tessuto vitale quanto il nostro, senza codici o categorie che lo riescano a intrappolare. Il regista declina l’invito e si schiera con i precari cooperativa Rear che si occupano di sorveglianza, accoglienza e biccettare il premio e limiglietteria al Museo del Cinema (che tarmi a qualche comamministra il Tff). Cinque euro lormento critico sarebbe un di all’ora, clima pesante da mesi e comportamento debole e ipocrita. cinque lavoratori licenziati dopo le Non possiamo dire una cosa sullo proteste per il taglio del 10% di stischermo e poi tradirla con le nostre pendio: «Sono licenziamenti disciazioni. Per questo plinari – denun«Non possiamo dire cia Romolo Marmotivo, seppure con grande tristezcella, Usb -, ci siauna cosa sullo za, mi trovo como rivolti alle istischermo e poi stretto a rifiutare il tuzioni e agli intelpremio». Il mittenlettuali, per far cotradirla con te è Ken Loach, il le condile azioni. Per questo noscere destinatario è il zioni dei paria delrifiuto il premio» Museo nazionale la cultura. Zero ridel Cinema che sposte. Ad agosto in occasione del abbiamo scritto a Torino Film festival - voleva insignirLoach. È stato l’unico a risponderlo del Gran Premio Torino. ci, ci ha chiesto spiegazioni e docuSullo schermo, invece, ci sono menti». Ken il rosso ha fatto di più. Maya e Rosa, la prima riesce a enHa deciso di rinunciare al premio, trare clandestinamente in America senza che lavoratori e sindacato e, grazie alla seconda, a trovare un glielo chiedessero. Una brutta gralavoro in un’impresa di pulizie. na per il Tff alla vigilia dell’inauguraCondizioni precarie e prive di qualzione: annullata la proiezione di siasi tutela. Il film è Bread and RoThe Angels’ Share, vincitore del preses (2000), la realtà è invece torinemio della Giuria a Cannes. se. Al posto delle due donne ci soIl tema che unisce realtà e finziono, in carne e ossa, i lavoratori della ne è identico: «La questione è quella dell’esternalizzazione dei servizi – spiega in una lunga lettera Loach - che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come semARTE pre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalSi inaugura domani, presso la galleria Il Ponte Contemporanea inaugura la personale di Myriam Laplante, to riduce di conseguenza i salari e artista canadese che vive fra Roma e Bevagna. In questa epoca di comunicazioni di massa, siamo bombartaglia il personale. È una ricetta dedati da informazioni e ognuno di noi si costruisce un piccolo mondo di convinzioni basato su dicerie, su stinata ad alimentare i conflitti. Il storie di terza o quinta mano, declamate con fervore da personaggi pubblici o da politici. Spesso queste fatto che ciò avvenga in tutta Euroconvinzioni si trasformano in certezze, e da certezze diventano dogmi. Gli integralismi di tutti tipi sono basapa non rende questa pratica accetti su questi dogmi. E tutto questo riposa su cattive interpretazioni di citazioni sbagliate di definizioni errate tabile». Nemmeno a Torino. Il regida fonti anonime. L’installazione: un organismo nasce quasi dal nulla, da un mucchio di bastoni di legno sta accenna alle «intimidazioni e su una mensola e forma una sorta di rete neuronale. La struttura attraversa le pareti, si poggia su una comaltrattamenti» subite dai lavoralonna formata da tomi dell’Enciclopedia Britannica, altrove poggia su una colonna di piatti e ciotole di vetori Rear, «malpagati e vulnerabitro. Dalle pareti e dal soffitto escono strane inflorescenze, palle di cera colorata, piccoli dipinti ad olio, sculli», poi spiega: «L’organizzazione ture di cera. La sera del vernissage (la mostra resterà aperta dino al 12 gennaio), anche l’artista farà parte che appalta i servizi non può chiudell’installazione, come fosse una scultura animata. dere gli occhi, ma deve assumersi la responsabilità delle persone che lavorano per lei, anche se queste sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licen«Oppure Monti» è il ziati e ripensasse la propria politi12.25 STUDIO APERTO Info 9.55 COFFEE BREAK 18.30 TRANSATLANTICO titolo della nuova punca di esternalizzazione». 13.00 SPORT MEDIASET Attualità Attualità Notiziario sportivo 11.00 L’ARIA CHE TIRA 19.00 NEWS Notiziario tata di «Servizio PubbliA stretto giro di posta è arrivata 19.25 SERA SPORT 13.40 CAMERA CAFÈ Attualità co», il programma di la risposta del Museo Nazionale RISTRETTO Sit com 12.20 TI CI PORTO IO... Notiziario sportivo Michele Santoro che del Cinema di Torino: «Ci dispiace IN CUCINA CON 13.45 Cartoni 19.30 IL CAFFÉ: IL PUNTO VISSANI Rubrica 15.05 Prima tv Mediaset Attualità andrà in onda oggi seconstatare che un grande regista, FRINGE Telefilm 12.30 I MENÙ DI 20.00 IL PUNTO ra su La7, alle ore al quale va da sempre la nostra BENEDETTA Rubr (R) ALLE 20.00 Attualità 16.00 Prima tv Mediaset SMALLVILLE Telefilm 13.30 TG LA7 Informazione METEO Previsioni 21.10. Dopo un anno ammirazione, sia stato male infordel tempo 16.50 Prima tv NATIONAL 14.05 CRISTINA PARODI di governo Monti, con mato al punto da formulare riser(all’interno) MUSEUM Telefilm LIVE Rubrica le elezioni politiche del ve su comportamenti del Museo 17.45 TRASFORMAT Gioco 16.30 IL COMMISSARIO 20.58 METEO Previsioni del tempo CORDIER Telefilm 18.30 STUDIO APERTO prossimo anno cosa ci che non corrispondono in alcun METEO Informazione 18.20 I MENÙ DI aspetterà? Un Montimodo alla realtà dei fatti. Il Museo BENEDETTA Rubrica 19.20 C.S.I. Telefilm 21.00 NEWS LUNGHE 19.15 G’ DAY Varietà Notiziario bis, un premier Bersani non può essere ritenuto responsa20.20 CALCIO, EUROPA 20.00 TG LA7 Informazione 21.26 METEO Previsioni del o uno guidato dal cenbile dei comportamenti di terzi, tempo LEAGUE FASE 20.30 OTTO E MEZZO trodestra? Nichi Vendoné direttamente né indirettamenGIRONI. 5A GIORNATA Attualità 21.30 VISIONI DI FUTURO AIK SOLNA - NAPOLI Attualità la, candidato alle prite. Di conseguenza, non sarebbe Evento sportivo (Dir.) 21.10 SERVIZIO PUB- 21.56 METEO Previsioni del marie del Pd, e Renato in alcun modo legittimato a intertempo BLICO Attualità (Dir.) 23.05 UEFA EUROPA LEAGUE - SPECIALE 23.45 OMNIBUS NOTTE 22.00 VISIONI DI FUTURO Brunetta, ex ministro venire nel merito di rapporti di laRubrica sportiva Attualità Attualità del governo Berlusconi, voro fra i soci di una cooperativa 0.45 COBRA FILM 0.50 TG LA7 SPORT 22.26 METEO Previsioni fra gli ospiti esterna e la loro stessa società». del tempo con Sylvester Stallone Informazione Mauro Ravarino «A Alla Ecos Gallery di Roma, l’artista belga presenta gli ultimi cicli di sculture e «pitture», rendendo tattile anche il cielo blu Rete4 11.30 TG4 Informazione 12.00 UN DETECTIVE IN CORSIA Telefilm 12.55 LA SIGNORA IN GIALLO Telefilm 14.00 TG4 Informazione 14.45 LO SPORTELLO DI FORUM Real Tv 15.30 Prima tv HAMBURG DISTRETTO 21 Telefilm 16.35 SOLDATO GIULIA AGLI ORDINI FILM con Goldie Hawn, Eileen Brennan 18.55 TG4 Informazione 19.35 TEMPESTA D’AMORE Soap 20.30 WALKER TEXAS RANGER Telefilm 21.10 FESTIVAL DI TORINO · Il «caso» Ken Loach Prima tv THE MENTALIST Tf 23.05 THE CLOSER Telefilm 0.50 L’ITALIA CHE FUNZIONA Rubrica 1.00 TG4 NIGHT NEWS Informazione · Myriam Laplante performer al Ponte Contemporanea Canale5 8.50 MATTINO CINQUE Attualità FORUM Real Tv TG5 Informazione BEAUTIFUL Soap CENTOVETRINE Soap UOMINI E DONNE Talk show 16.20 POMERIGGIO CINQUE Attualità 18.50 AVANTI UN ALTRO Gioco 20.00 TG5 Informazione 20.40 STRISCIA LA NOTIZIA LA VOCE DELL’INSOLVENZA Att. 11.00 13.00 13.40 14.10 14.45 21.10 Prima tv Mediaset INNOCENTI BUGIE FILM con Tom Cruise, Cameron Diaz 23.30 TI ODIO, TI LASCIO, TI... Film con Vince Vaughn, Jennifer Aniston 1.30 TG5 NOTTE - METEO 5 Informazione Italia1 La7 Rainews In tv pagina 14 il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 ❚ terraterra Yukari Saito Non dimenticare Fukushima S ono passati 20 mesi dal disastroso incidente nucleare di Fukushima in Giappone. Per molti di noi giapponesi la vita ha cambiato aspetto e significato da quell’11 marzo 2011, dal sisma che ha provocato una catastrofe inimmaginabile. Ma se dopo oltre un anno e mezzo si stenta a superare il trauma, e tanto meno a riprendere la vita di prima, è soprattutto per il nucleare. Non solo per l’angoscia per la contaminazione radioattiva, o per il rischio che la precaria situazione alla centrale di Fukushima Daiichi si aggravi ancora, ma anche per il comportamento delle autorità dopo l’incidente, che ha distrutto la fiducia quasi incondizionata che molti cittadini riponevano in loro. Ma forse questo non è poi così negativo: in molti giapponesi si è svegliata la consapevolezza della propria responsabilità politica e sociale. Ne abbiamo avuto un esempio lo scorso 11 novembre, quando ci sono state oltre 230 manifestazioni e iniziative contro il nucleare in tutto l’arcipelago giapponese. La partecipazione maggiore si è vista nel cuore di Tokyo, dove sotto una pioggia gelida circa 100 mila cittadini hanno circondato vari palazzi del potere a cominciare dal Parlamento e dal Palazzo del primo ministro, nonostante l’ostruzionismo dell’amministrazione locale guidata dalla destra nazionalista che gli aveva negato l’uso del giardino pubblico come luogo di appuntamento per un grande corteo (un’immagine video: http://www.ourplanet-tv. org/?q=node/1466). L’ultima mobilitazione antinucleare si aggiunge alle tantissime proteste in piazza: da più di 8 mesi si ripetono a cadenza settimanale, ogni venerdì pomeriggio, in molte città giapponesi. E’ un fenomeno nuovo nella storia del paese: i manifestanti sono cittadini comuni, finora poco politicizzati, donne, uomini, bambini, giovani e meno giovani che partecipano con gli amici o la famiglia ma anche da soli. E’ un movimento dalla fisionomia molto diversa rispetto alle proteste popolari del passato, mobilitate dai sindacati o da gruppi più o meno organizzati. Che cosa spinge queste persone a unirsi sotto la pioggia per dire no al nucleare, gridare stop ai due reattori riattivati dopo Fukushima, chiedere di evacuare i bambini delle zone a rischio? La poesia «Confessione», letta anche in Italia durante un evento serale a Firenze 10+10, ci sembra la migliore testimonianza dello stato d’animo diffuso dopo il disastro: «... In questa società in cui qualcuno sussurra: dimentica, dimentica, noi invece non dimentichiamo Fukushima!». Alla vigilia delle elezioni politiche in Giappone, riusciranno queste mobilitazioni a smuovere la politica, ancora strettamente condizionata e controllata da una lobby nucleare dura a morire? A dire la verità non sembra che Fukushima abbia fatto un grande effetto sui politici né sui mass media, che all’inizio della campagna elettorale faranno di tutto per portare l’attenzione dei giapponesi su altre questioni meno vitali. Siamo ancora ai primi passi di una strada irta. Proprio per questo è importante non lasciare soli i giapponesi. L’Italia potrebbe dare un contributo enorme, forte delle due vittorie referendarie contro nucleare e del ruolo di levatrice di un nuovo network europeo antinucleare a Firenze 10+10. Le radiazioni e la lobby nucleare non conoscono confini nazionali: per contrastarle è necessaria un’alleanza globale. Un prossimo appuntamento sarà dal 15 al 16 dicembre a Tokyo e Koriyama in Fukushima, dove si svolgerà la seconda «Conferenza globale per un mondo libero dal nucleare», Nuclear Free Now!, in concomitanza con il vertice ministeriale tra il governo giapponese e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Sarà un banco di prova per la società civile antinucleare, giapponese e non, per impedire alla politica mondiale e ai mass media di chiudere il sipario su Fukushima. il manifesto DIR. RESPONSABILE norma rangeri VICEDIRETTORE angelo mastrandrea CAPOREDATTORI marco boccitto, matteo bartocci, massimo giannetti, giulia sbarigia, micaela bongi, giuliana poletto (ufficio grafico) il manifesto coop editrice a r.l. in LCA REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 Roma via A. Bargoni 8 FAX 06 68719573, TEL. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE [email protected] E-MAIL AMMINISTRAZIONE [email protected] SITO WEB: www.ilmanifesto.it TELEFONI INTERNI SEGRETERIA 576, 579 - ECONOMIA 580 AMMINISTRAZIONE 690 - ARCHIVIO 310 POLITICA 530 - MONDO 520 - CULTURE 540 TALPALIBRI 549 - VISIONI 550 - SOCIETÀ 590 LE MONDE DIPLOMATIQUE 545 - LETTERE 578 SEDE MILANO REDAZIONE: via ollearo, 5 20155 REDAZIONE: tutti 0245072104 Luca Fazio 024521071405 Giorgio Salvetti 0245072106 [email protected] AMMINISTRAZIONE-ABBONAMENTI: 02 45071452 iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 07-08-1990 n.250 ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo 260€ semestrale 135€ i versamenti c/c n.00708016 intestato a “il manifesto” via A. 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GIOVEDI' 22, ore 14, Camera del lavoro, via Marconi 67/2, Bologna dibattito DONNE CONTRO OGNI VIOLENZA DONNE CONTRO LE MAFIE a cura di CDLM-CGIL e Ass. Libera. GIOVEDI' 22, ore 20.30, Sala Silentium del Q.re San Vitale in vicolo Bolognetti 2, Bologna dibattito VERSO LA COPPIA SANA, OLTRE L'ILLUSIONE D'AMORE a cura del Centro di UDI Bologna. [email protected] GIOVEDI' 22, ore 20, Centro interculturale delle donne di Trama di Terra, via Aldrovandi 31, Imola presentazione del libro del fotografo Ico Gasparri, CHI E' IL MAESTRO DEL LUPO CATTIVO? La donna nella pubblicità stradale. Milano 1990-2011. ■ Casa delle donne per non subire violenza, via dell'Oro 3, Bologna - www. casadonne.it LIGURIA Giovedì 22 novembre, ore 21 INCONTRO DIBATTITO SU DUE DIRITTI DI CIVILTÀ: - diritto al lavoro senza ricatti - diritto al reddito minimo garantito. Con: Bruno MANGANARO, segretario prov. FIOM per il Comitato promotore dei referendum per l'abrogazione dell'art. 8 ed il ripristino dell'art. 18; Piergiorgio GROSSI, segretario sez. genovese Movimento Federalista Europeo, per il Comitato promotore della proposta di legge per il Reddito Minimo Garantito. ■ Circolo Arci Zenzero, via Torti 35, Genova LOMBARDIA Giovedì 22 novembre, ore 21.30 LA PRIGIONE DEGLI ALTRI. Attraverso interviste realizzate ad alcuni immigrati oggi agli arresti domiciliari il film apre una riflessione sulla funzione delle carceri italiane nella gestione del fenomeno dell'immigrazione: da una parte il vissuto drammatico, dall'altra un discorso corale sui concetti di cittadinanza, riabilitazione e funzione sociale e culturale del carcere nella società. Saranno presenti gli autori Alessandro e Mattia Levratti (registi); Alessandro Pandolfi (volontario NAGA); Elton Kalica, sociologo e coordinatore di Ristretti Orizzonti; una delle persone intervistate nel video; Maria Vittoria Mora, coordinatrice del Gruppo Carcere del NAGA; Andrea Perin di Scighera. Ingresso con tessera ARCI. ■ Circolo Arci Scighera Via Candiani 131 Milano - [email protected] Giovedì 22 novembre, dalle ore 15 CONVEGNO "ETICA E FINANZA". Crisi economica e sviluppo, equo profitto, il risparmio e la fiducia nei mercati finanziari: nuove proposte per un'etica nella finanza. Crisi economica, globalizzazione e libero mercato. E ancora: speculazione finanziaria e l'importanza dell'etica nell'economia. Sono queste le tematiche del convegno promosso dal Gruppo Editoriale S.E.I.. Introducono Davide Corritore, Direttore Generale del Comune di Milano e Leonardo Salvemini, Assessore all'Ambiente Energia e Reti della Regione Lombardia. www.eticadelleprofessioni.it ■ Circolo della Stampa, Palazzo Bocconi, Milano – Qualche settimana fa, tre associazioni (21 luglio, Articolo 3 e Naga) denunciarono il fatto che nel sito de il Giornale erano comparsi due articoli in cui si accusava un presunto rom di aver tentato di rapire una bambina. Pochi giorni dopo, a Gela, una donna vede davanti al supermercato una ragazzina Rom di 13 anni, si convince che si tratti di Denise Pipitone, bambina scomparsa anni fa nella stessa zona, e segnala il fatto alla polizia, che porta la ragazza in questura a Caltanissetta solo per prendere atto che la somiglianza non c’è e che la famiglia Rom in questione, di origine romena, vive a Gela da anni. Martedì sera, Rai2 trasmette una vecchia puntata di «Criminal minds», la serie in cui un gruppo di super-esperti del Fbi danno la caccia ai serial le lettere COMMUNITY INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: www.ilmanifesto.it [email protected] Uniti nella lotta Sono un insegnante. Ho partecipato a un’assemblea indetta da tutte le sigle sindacali. Oltre allo sciopero, previsto per il 24 novembre, è stata proposta, come ulteriore forma di protesta, l’astensione dalle attività aggiuntive. Ritengo che astenersi dalle attività aggiuntive sia un’azione poco efficace contro il ministro Profumo, deleteria per la nostra immagine di educatori, e il danno immediato verrebbe procurato solo ai nostri studenti. Cerchiamo di far capire, innanzitutto, che la passione per il nostro lavoro non viene mai a mancare. Sarebbe, invece, molto più significativo promuovere assemblee e scioperi di docenti insieme agli studenti e, magari, uniti ai metalmeccanici. Unire le lotte di operai e studenti è un’idea di Landini a cui noi docenti non possiamo fare a meno di aderire e di partecipare. Ermanno Battaglini, Oria (Br) ❚ posti di lavoro mantenendo le competenze acquisite in oltre 30 anni di lavoro. La scelta del concordato preventivo è stata un atto di assunzione di responsabilità della famiglia Basso e dell’azienda per salvaguardare i creditori e i fornitori, ma anche l’onorabilità, la storia, i diritti dei dipendenti e le opere già iniziate. In questi mesi si sta procedendo alla soddisfazione dei creditori nelle misure indicate nel concordato; - il medesimo concordato preventivo ha ammesso la Faber Costruzioni s.r.l. all’affitto del ramo dell’azienda Edilbasso s.p.a. che verrà seguita dall’acquisto definitivo, comprese le opere sospese; La Faber Costruzioni s.r.l. esprime il proprio dispiacere nel notare la discrepanza tra la messa in evidenza delle ingerenze di personaggi poco affidabili e invece poco o per nulla la scelta responsabile dell’azienda che, presa consapevolezza della poca credibilità dei soggetti suddetti, ha provveduto alla loro estromissione. In un momento di difficoltà economiche derivanti dalla lunga crisi economica del settore edilizio e dell’economia in generale, sono molti i casi di aziende che, in mancanza di un sostegno economico anche da parte del sistema bancario, rischiano di essere vittime di chi può offrire loro aiuto economico immediato. Valeria Bacco, Adnkronos Nord Est L’Imu e il settore non-profit Con sorpresa ho appreso che dal 2013 potrebbe essere imposto l’Imu a tutto il settore non-profit per quelle attività che svolgono in qualche modo attività economiche e che potrebbero far concorrenza alle imprese profit. Certamente anche una comunità terapeutica, una mensa Caritas, una casa famiglia o una scuola svolgono in qualche modo delle attività commerciali necessarie per il proprio funzionamento e non si capisce a chi dovrebbero fare concorrenza. Forse allo Stato che in questo modo sarebbe costretto a colmare a costi inimmaginabili una lacuna aperta dalla inevitabile chiusura di migliaia di benemeriti enti. Può darsi che nella vasta categoria del non profit, sia di estrazione religiosa che laica, esista qualche abu- GUIDON AMATO so o caso anomalo che andrebbe sanzionato, ma dovremmo stare attenti a non gettare il bambino con l’acqua sporca. Sarebbe dannoso per l’Italia, specialmente in questo momento di crisi economica. Su questo tema c’è stata molta disinformazione in quanto non pochi media hanno finora parlato soltanto di Imu per la Chiesa, travisando tutto il vasto settore del non profit. Fabio Mendler La coop non sei tu Finalmente disveliamo, finalmente si può parlare in maniera trasparente di cosa siano le cooperative sociali in Italia e soprattutto come siano dominanti nel sistema economico dell'Italia centrale (anche in Toscana!). Ringrazio davvero il manifesto che per l’inchiesta che ha messo in luce il sistema degli appalti che vi è dietro, lo sfruttamento dei lavoratori attraverso un contratto nazionale pessimo, il meccanismo di esternalizzazione dei servizi e la frantumazione di una classe lavoratrice che non trova la comprensione e l'appoggio del sindacato nelle proprie istanze, proprio a causa del non detto ideologico che il cooperativismo si porta dietro, ma che di originale ha oramai ben poco. Vi ringrazio come lavoratrice, come cittadina e come lettrice. Avanti con queste inchieste! Martina Ridolfi Precisazione Ti lascio sul treno In riferimento all’articolo «Mattoni liquidati» uscito su Il manifesto di domenica 18 novembre, che riporta la notizia dell’arresto di Giovanni Barone e il coinvolgimento dello stesso all’interno dell’azienda Faber Costruzioni s.r.l., la famiglia Basso desidera ribadire: - Nella fase di nascita della Faber Costruzioni s.r.l., Giovanni Barone ha acquisito, in data 16.03.2011 il 65% della medesima con la promessa di apportare dei finanziamenti alla società di Loreggia. L’azienda in data 28.06.2011 lo estrometteva con un atto ufficiale per aver mancato negli intendimenti inizialmente garantiti - l’omologa del concordato preventivo richiesto da Edilbasso s.p.a. è stata pubblicata a luglio 2012. Grazie alla scelta del concordato, infatti, sono stati garantiti 50 Caro «il manifesto» oltre ad acquistarti ogni sabato e ogni domenica, per non perdere Alias, il lunedì ti lascio sul treno prima di scendere perché so che farai breccia negli occhi di qualcuno. Resisti Elena Incerti Lutti La scorsa notte, a Reggio Emilia, si è spenta Leda Notari, mamma dei nostri compagni e amici Gianni e Tiziano Rinaldini. Cui inviamo il forte abbraccio del manifesto. Per dare più spazio a più voci possibili chiediamo a lettrici e lettori di inviarci commenti che non superino le duemila battute, spazi compresi. Grazie – DEMOCRAZIAKMZERO CRCriminal minds Pierluigi Sullo killer tracciandone il profilo sociale e psicologico. Nella puntata dell’altra sera a scomparire, dopo che i suoi genitori sono stati uccisi, è una bambina, che viene poi ritrovata viva. Chi l’ha rapita? Man mano si conclude, grazie all’intelligenza nel mettere insieme indizi e ai mezzi informatici di cui dispongono gli investigatori, che colpevole è una coppia di rom, di origine romena, che vogliono rapire una bambina per darla in moglie al loro figlio di dieci anni. E – sorpresa casi di questo genere sono, negli Usa, decine, se non centinaia. Tanto che, dopo l’obbligatorio lieto fine, grazie al quale una seconda bambina rapita viene salvata e si capisce che la moglie del Rom è a sua volta stata rapita da piccola, si vede un’altra coppia che osserva una bambina per strada e il padre domanda al figlio: «Quella va bene?». Come dire: si tratta di una catena infinita e di un pericolo costante, tanto più che, dice il più saggio degli agenti del Fbi, «i rom sono nomadi». A voler elencare episodi di questo tipo, o semplicemente espressioni razziste, o l’uso demagogico che i politici fanno – come l’attuale e speriamo presto non più sindaco di Roma, Alemanno – dello «sgombero di campi rom», per definizione focolai di malattie e criminalità, non si finirebbe più. E’ quel che fa, con puntiglio, l’Unar, l’Ufficio contro le discriminazioni e il razzismo della presidenza del consiglio. Secondo il giudizio unanime di tutti gli osservatori istituzionali – ad esempio europei – i rom sono la minoranza più vilipesa, perseguitata e discriminata. In assoluto: peggio degli ebrei, attorno ai quali – giustamente – vi è una cortina di protezio- ne per fortuna molto vasta. Anche perché con la «shoah» la coscienza civile ha dovuto – sebbene mai abbastanza – fare i conti. Con il «porrajmos», lo sterminio dei Rom da parte dei nazisti, mai. So che è sgradevole fare questi paragoni, quasi a stabilire una graduatoria tra gruppi sociali vessati da pregiudizi e razzismo. Ma serve a far capire quanto drammatica sia una vicenda che non conosce miglioramenti, se non provvisori e destinati ad essere cancellati, e su cui si esercita il peggio di ogni politica. Come dice Renato Nicolini nel bel film di Gianfranco Rosi, «Tanti futuri possibili», parlando di chi ha voluto cacciare i Rom «fuori dal raccordo anulare»: «E’ stato Alemanno… O è stato Veltroni?». www.democraziakmzero.org il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 pagina 15 COMMUNITY L’anno perduto di Mario Monti DALLA PRIMA Gabriele Pastrello La Grecia tra Fmi e Commissione Ue Di conseguenza l’austerità non può essere neppure il mezzo per la riduzione del debito; rafforzando questa tesi con esempi storici contrari di grande peso. Naturalmente non si poteva se non accogliere con favore questo rovesciamento delle posizioni storiche del Fmi. Ma gli sviluppi successivi, e soprattutto il contrasto attuale tra Fondo e Commissione mettono in luce un aspetto meno incoraggiante delle conseguenze di quel rapporto. Il conflitto Fondo-Commissione ha motivazioni molto meno preoccupate del rilancio dell’economia europea e molto più di quali istituzioni finanziarie dovranno subire perdite per la crisi. Naturalmente il prezzo che le popolazioni greche, spagnole, portoghesi e italiane stanno pagando non interessa a nessuno. Stiamo infatti assistendo a uno strano rovesciamento di posizioni. Nonostante abbia affermato che la terapia dell’austerità non è in grado di ridurre il peso del debito, il Fmi non intende dare proroghe sulla data in cui la Grecia dovrebbe raggiunger il magico livello di 120% del debito sul Pil, il 2020. Mentre la Commissione si ostina nelle sue previsioni rosee dicendo che il Fmi è pessimista. Di conseguenza sostiene che basta una piccola proroga di due anni nella data di rientro del debito greco nelle dimensioni accettabili, cioè al 2022. In realtà lo scontro è solo su chi paga. Il Fmi vuole smettere di finanziare il bilancio ellenico, e vuole che la Commissione prenda atto del fallimento della politica di austerità - a questo serviva il rapporto - e di conseguenza affronti il problema che alla fine inevitabilmente si porrà: chi dovrà sostenere le perdite per l’ineludibile cancellazione di parte del debito? Il debito dovrà essere ridotto, insieme agli interessi che stanno pesando sul bilancio greco in modo insostenibile. Dato il peso dei finanziatori europei, statali e privati, queste perdite dovranno ricadere soprattutto su di loro. Ma né la Commissione europea né la Bce ne vogliono sentir parlare. Da cui anche gli ipocriti complimenti rivolti alla Grecia e al Portogallo, come pure a Italia e Spagna. Giusto ora la Merkel sta dicendo a Lisbona che ha piena fiducia nella capacità dei portoghesi di far fronte agli impegni. Tradotto: se non trovate i soldi voi, noi non intendiamo metterci un euro. Le banche greche stanno faticosissimamente trovando in questi giorni i miliardi di euro necessari per far fronte ad impegni non finanziati dalla Troika, e quindi per non fallire a breve termine. Sembra che ci riescano, così come il governo greco faticosamente ha trovato i voti per approvare il nuovo pacchetto di sacrifici. Ma sia le risorse finanziarie delle banche greche che quelle politiche del governo sono in via di esaurimento. Forse la Grecia non fallirà prima di Natale, ma nelle condizioni attuali difficilmente può reggere fino a Pasqua. La scommessa della signora Merkel di riuscire ad arrivare alle elezioni dell’autunno prossimo senza allentare le condizioni capestro imposte ai paesi debitori per soddisfare l’opinione pubblica tedesca, e al tempo stesso tenendo sotto controllo le crisi via via emergenti rischia seriamente di fallire. Una delle ragioni per cui aveva pur controvoglia accettato gli interventi di Draghi era che comunque sono stati in grado di guadagnare tempo. Ma un fallimento della Grecia potrebbe mettere a dura prova le stesse misure di Draghi. Cosa farà? I mercati sono stati buoni dopo settembre perché gli Stati in difficoltà, Spagna e Italia, erano lontani dal default, e quindi la minaccia di acquisto illimitato di titoli era efficace contro la speculazione al ribasso. Ma se fallisse la Grecia, Draghi dovrebbe agire davvero da prestatore di ultima istanza, o lasciare che la Grecia esca dall’euro. Potrebbe generarsi una fuga generalizzata dai debiti di paesi come Spagna e Italia. Tutto questo ben prima che la Merkel approdi al lido sicuro della rielezione. A prima vista sembra impossibile che Draghi possa prendere una tale decisione, ma in realtà potrebbe avere la maggioranza nel Consiglio della Bce. E allora sarebbe la Germania a dover decidere se uscire o no. Difficile che il quadro politico tedesco regga a un simile dilemma. Una Nemesi per l’avventata e cinica scommessa della Merkel sulla pelle dei paesi mediterranei. È trascorso un anno dall’insediamento del governo di Mario Monti. Dopo la fine ingloriosa dell’egemonia berlusconiana, culminata con l’umiliazione subita dall’Italia al vertice dei capi di stato e di governo dell’Unione Europea di Cannes, il Capo dello stato incaricò il Professor Monti di dar vita a un nuovo governo con l’obiettivo di riacquistare la credibilità internazionale che, anche sui mercati finanziari, era stata perduta dal nostro paese; gran parte degli italiani appoggiò la scelta. I principali problemi da risolvere erano il risanamento delle finanze pubbliche e il riavvio della crescita economica, in un quadro segnato da un debito elevato e condizioni di rifinanziamento molto onerose; si trattava di due obiettivi difficili da raggiungere perché potenzialmente confliggenti. Sebbene l’investitura di Monti non venisse dalla scelta elettorale dei cittadini, il suo programma presentava elementi di straordinarietà, incidendo su molteplici aspetti della vita sociale e dei rapporti di produzione. Il sostegno parlamentare, inizialmente pressoché unanime, ha dato legittimità a un esecutivo “tecnico” che ha effettuato scelte politiche forti e di parte; l’assenza di un mandato elettorale ha rappresentato un vulnus costitutivo che è stato talvolta interpretato in termini di irresponsabilità. Qual è il bilancio di un anno di governo? L’azione di Mario Monti è stata favorita dalla Banca centrale europea, prima con operazioni non convenzionali di rifinanziamento a lungo termine - circa mille miliardi di euro forniti alle banche europee (oltre 200 miliardi a quelle italiane) al tasso dello 0,75% -, poi con la disponibilità, condizionata, ad acquistare titoli di stato a breve in misura illimitata; le condizioni sui mercati sono parzialmente migliorate, ma lo spread rispetto ai tassi d’interesse tedeschi resta oggi intorno ai 350 punti e il paese deve sostenere una spesa per interessi significativamente superiore ai circa 80 miliardi di euro dell’anno passato. Del tutto negativi sono stati i risultati per l’economia reale, peggiori rispetto alle attese, ripetutamente riviste al ribasso dal governo. I numerosi interventi “strutturali”, tra i quali quelli brutali della riforma Fornero sul mercato del lavoro, i tagli alle pensioni e al- La situazione della finanza pubblica è peggiorata, la recessione è più grave, la distribuzione del reddito più disuguale tre misure che hanno colpito le categorie più deboli, non hanno evitato all’economia italiana una spirale recessiva. Il Pil del 2012 è diminuito di circa il 2,3%, la domanda interna è calata in misura superiore, mentre la condizione delle famiglie è in costante peggioramento. E’ proseguita la diminuzione della ricchezza, anche se rimane elevata nel confronto internazionale; è ulteriormente aumentata la concentrazione sia del reddito, sia della ricchezza. La disoccupazione è cresciuta a ritmi elevati, così come il ricorso alla cassa integrazione; per i giovani è diventato più difficile trovare un’occupazione. Il calo della domanda di consumi ha aggravato la riduzione della produzione e degli inve- – «Cosa sono le tasse?» «Sono dei soldi da dare». «Sono quando arriva la bolletta del gas: è una tassa da pagare». «E’ una quota di soldi da pagare che ti arriva circa una volta al mese: per la luce, il gas, l’acqua». «Ti arriva una busta a casa dove e sopra c’è un foglio che tui dice quello che devi pagare, per esempio 3000 euro per la luce». «Voi parlate soprattutto di bollette. Ma le bollette non sono proprio le tasse...». «Ma sono sempre pagamenti». «Sono lettere che ti arrivano e ti dicono quanto devi pagare». «Se uno va in un bar e compra due caramelle da dieci centesimi, se il barista non fa lo scontrino, deve avere una multa. Quelle sono le tasse: delle multe». Pitagora stimenti da parte delle imprese; con bassi livelli di domanda, la dinamica dei prezzi è stata contenuta. Secondo le previsioni del governo, la ripresa produttiva dovrebbe avvenire nel secondo semestre del prossimo anno, quando l’economia tornerebbe a crescere. Ma, con le attuali linee di politica economica, è improbabile che la ripresa possa materializzarsi. Cattive notizie vengono inoltre dalla finanza pubblica; anche qui il governo ha più volte rivisto al ribasso i propri obiettivi. Il rapporto debito/Pil, il parametro che più influenza la vulnerabilità del debito dello Stato, ha superato il 126%, quasi sei punti percentuali in più rispetto all’anno precedente; alla crescita ha contribuito il fabbisogno finanziario dello stato, nei primi nove mesi dell’anno quasi identico a quello dei due anni precedenti, e la diminuzione del prodotto, anche di quello espresso a valori correnti. Malgrado le numerose e pesanti manovre fiscali, tra le quali l’introduzione dell’Imu, l’innalzamento dell’aliquota ordinaria Iva, l’inasprimento delle accise sui carburanti, le maggiori imposte di bollo, oltre al fiscal drag e alle ancora insufficienti misure di contrasto all’evasione, le entrate fiscali sono cresciute in misura limitata; il gettito Iva, a causa del crollo dei consumi, è sceso. Le spese, limitate sul piano interno, hanno risentito degli esborsi – circa 18 miliardi nei primi nove mesi dell’anno - che anche l’Italia ha effettuato per finanziare le misure europee di intervento per gli altri paesi europei in difficoltà. Il deficit nel bilancio 2012 è così rimasto vicino al 3% del Pil, esclusi questi esborsi per i fondi anti-crisi europei; il governo si è impegnato ad anticipare il pareggio di bilancio dal 2014 al 2013, con un avanzo primario (il saldo prima del pagamento degli interessi sul debito) che dovrebbe raggiungere il 4% del Pil. I vincoli di bilancio si sono fatti più stringenti con l’aggravarsi della crisi e diventeranno ancora più pesanti con l’entrata in vigore, il prossimo anno, del Trattato europeo in materia di politica fiscale, il cosiddetto “Fiscal compact”, sottoscritto dai governi europei - con l’eccezione di Gran Bretagna e Repubblica ceca – ma non ancora votato da tutti i parlamenti. Le misure previste sono l’obbligo del bilancio in pareggio e l’azzeramento, in 20 anni, della quota di debito pubblico che eccede il 60% del Pil; per l’Italia ciò impone che il saldo di bilancio rimanga per due decenni ampiamente positivo (a meno di elevati saggi di crescita nominale del prodotto). Il quadro temporale per l’effettiva entrata in vigore di tali misure sarà proposto dalla Commissione europea tenendo conto dei rischi specifici sul piano della sostenibilità del debito; viene tuttavia richiesta una rapida convergenza verso gli obiettivi del Trattato. Che cosa significa questo impegno per l’Italia? Nei prossimi anni, per rispettare il Fiscal compact l’Italia dovrà tagliare la spesa o aumentare le imposte per quattro o cinque punti percentuali di Pil, oltre 60 miliardi di euro. Tale cifra potrebbe risultare insufficiente se teniamo conto dell’effetto demoltiplicativo di reddito di tali misure, segnalato anche dal Fondo monetario internazionale: tagli di spesa e aumenti di imposte hanno l’effetto di ridurre la domanda e far cadere la produzione, prolungando la recessione. Interventi correttivi di questo tipo dovranno essere presi da tutti gli altri paesi europei a eccezione della Finlandia; la Germania ha un debito pubblico superiore all’80% del Pil; la Francia ha un disavanzo superiore al 4% e il suo debito ha appena subito il “declassamento” da parte di Moody’s. Si tratta di una situazione per certi versi simile a quella paventata per gli Stati Uniti di un “fiscal cliff” (baratro fiscale) di medio periodo: il taglio generalizzato della spesa pubblica rischia di aggravare la spirale recessiva dell’eurozona, in particolare nei paesi periferici. I problemi della politica di bilancio dell’Italia non sono nuovi. Almeno dai primi anni 2000 i governi hanno fatto manovre “procicliche”, con misure espansive e deficit in aumento quando le condizioni macroeconomiche erano, almeno parzialmente, favorevoli e misure restrittive quando l’economia entrava in recessione, il contrario di una ragionevole politica di bilancio. Nell’ultimo anno, il governo “tecnico” ha introdotto una stretta fiscale molto forte nel mezzo di un rallentamento particolarmente grave dell’economia, col risultato di aggravare sia le condizioni dell’economia reale che quelle di finanza pubblica, peggiorando anche la distribuzione del reddito. Per il 2013 le prospettive sono di un ulteriore inasprimento dei problemi, anche per il rallentamento dell’economia tedesca, che potrebbero richiedere azioni straordinarie. Le alternative sembrano al momento due. Potrebbe essere negoziata in sede europea una moratoria sull’applicazione del “Fiscal compact”, allentando vincoli impossibili da rispettare durante le fasi recessive. Oppure il governo Monti potrebbe chiedere l’intervento del “Fondo salva-stati” – il Meccanismo europeo di stabilità – che offrirebbe nuove ri- Nel 2013 tutto diventerà più difficile per i vincoli del Fiscal compact. Così, le alternative per la politica economica sono due… sorse finanziarie a costi più contenuti di quelli pagati sui mercati, ma al prezzo di sottoscrivere un Memorandum, come fatto da Grecia, Portogallo e Irlanda, che renderebbe permanenti le politiche di austerità e lo smantellamento del welfare. Una scelta che delegherebbe per molti anni la politica economica del paese al controllo da parte della “troika”, composta da Commissione europea, Banca centrale e Fondo monetario e renderebbe - di fatto - irrilevante il voto alle prossime elezioni politiche del 2013. Per Mario Monti, dopo un anno di governo, sarebbe un lascito disastroso non solo per l’economia e la democrazia italiana, ma anche per la costruzione della casa comune europea. I BAMBINI CI PARLANO Sulle tasse Giuseppe Caliceti «Ma a chi vanno i soldi delle tasse?» «In banca». «No, vanno in una cassa. Si fa una colletta per comprarsi le cose che servono a tutti». «No, i soldi delle tasse vanno al presidente». «Al presidente? No, al comune». «Io mi ricordo che mia mamma mi ha detto che vanno metà allo Stato e metà al comune. Ma adesso non mi ricordo bene perchè». «Non sapete a che servono i soldi delle tasse?». «Io sì. Servono per pagare le persone che tagliano l’erba al parco. Oppure per mettere una giostra in più nel parco, per pagare la giostra. Oppure per comperare le panchine». «I soldi delle tasse, per me, servono per tutta la gente. Per far diventare il nostro paese più grande e più bello». «Forse servono anche per costruire nuove case, nuovi negozi». «Oltre a fare i parchi a cosa servono i soldi raccolti dalle tasse?» «I soldi vanno per esempio a mia mamma, che fa la bibliotecaria. Perchè la gente in biblioteca prende i libri gratis, ma mia mamma chi la paga? Il comune». «E poi bisogna anche comperare i libri della biblioteca, se no la gen- te non li può leggere». «In certe biblioteche puoi prendere in prestito anche i giochi di società, i cd, la musica». «O per i dipendenti comunali, le persone che lavorano in Comune». «Per esempio le maestre dell’asilo comunale». «Il Comune paga anche i muratori per costruire nuove strade, mi sembra. E se c’è una buca, aggiusta la strada». «Poi ci sono anche i semafiori». «Fa anche le fontane». «Mi state parlando soprattutto delle tasse comunali, che vanno ai Comuni. E le tasse che vanno allo Stato, a cosa servono?» – «Per pagare le guardie che lavorano in prigione. Perchè è un nostro dovere mettere in prigione i cattivi». «Poi bisogna dargli da mangiare anche se sono cattivi, perchè possono sempre migliorare». «Poi anche le scuole, mi sembra. Perchè i soldi che vanno allo Stato servono anche per pagare i libri, i banchi, le cartine geografiche, i maestri, le maestre». «Perciò è giusto o no pagare le tasse?» «E’ giusto. Perchè senza tasse non ci sarebbero un sacco di cose e non si migliorerebbe mai. Non si potrebbe comprare niente per noi». «Sì, è giusto. Perchè grazie ai soldi tutta la comunità ci guadagna perchè ha anche le scuole. Se invece non le paga nessuno, ci rimettono tutti, perchè poi non hanno niente». pagina 16 il manifesto GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 L’ULTIMA storie Geraldina Colotti S ituazione esplosiva nella Repubblica democratica del Congo (Rdc). Dopo aver preso Goma, la capitale della provincia del Nord-Kivu (nell’est del paese), i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) sono entrati a Sake, senza colpo ferire. Sake si trova a 27 chilometri ad ovest di Goma e alla frontiera con il Rwanda. L’M23 – costituito in maggioranza da tutsi – in qualche settimana ha preso il controllo di gran parte della regione, provocando migliaia di morti fra i civili e la formazione di numerose milizie armate. Il Movimento è stato creato agli inizi di maggio da un gruppo di militari che avevano partecipato alla ribellione di Laurent Nikunda, leader delle milizie per la liberazione del Nord Kivu, affiliate a quelle tutsi del Rwanda. A seguito di un accordo di pace, sono stati integrati nell’esercito congolese nel 2009. Alla fine di aprile, si sono però ammutinati di nuovo, sostenendo che Kinshasa non aveva rispettato gli impegni e rifiutando di essere trasferiti in altre regioni, per non abbandonare le loro zone di influenza nell’est. Li guida il colonnello Viannay Kazarama il quale, rivolto a una folla riunita nello stadio del capoluogo di provincia, martedì ha annunciato: «Non ci fermeremo a Goma, andremo fino a Bukavu, Kisangani e Kinshasa». Goma conta un milione di abitanti e un aeroporto internazionale e potrebbe diventare il fulcro di una nuova guerra regionale. Intanto, molti militari e poliziotti congolesi si sono arresi ai ribelli, che sostengono di agire «per il bene dei militari» e denunciano le «condizioni miserabili in cui sono costretti a vivere e a combattere» le forze di sicurezza. Martedì, Kazarama ha accusato il presidente Joseph Kabila di «non aver vinto le elezioni» del 2011, contestate dal principale oppositore, Etienne Tshisekedi. Ha detto che il presidente si circonda di corrotti, e gli ha chiesto di andarsene. Alti ufficiali del gruppo ribelle, colpevoli secondo l’Onu di gravi crimini, hanno poi sfilato tra gli applausi. L’Onu ha condannato le azioni dell’M23. I caschi blu – circa 1500 effettivi della Monusco di stanza a Goma – han- I militanti del Movimento 23 marzo, composto in gran parte da tutsi, sono entrati a Sake senza trovare opposizione e hanno preso il controllo della regione. E ora annunciano: «Arriveremo a Kinshasa». L’Onu condanna le violenze dei ribelli mentre 100 mila sfollati in condizioni disperate stanno fuggendo in Ruanda. Sullo sfondo, lo spettro del genocidio del ’94 Congo RIBELLE no però mantenuto una posizione difensiva, «com’è nel loro mandato», ha dichiarato un loro portavoce negli Stati uniti. Un mandato che va rivisto – ha affermato a Parigi il ministro francese per gli affari esteri, Laurent Fabius. È «assurdo», ha detto Fabius, che l’Onu disponga di 17 mila caschi blu in tutto il Congo e che non si possa aver ragione «di qualche centinaio di uomini» a Goma. Il ministro ha poi aggiunto di essere in contatto con i capi di stato della Rdc e del Rwanda, accusato di sostenere i ribelli e di armarli insieme all’Uganda. «Goma sta per essere occupata dal Rwanda», ha dichiarato un portavoce del governo congolese dalla capitale Kinshasa, sostenendo che l’esercito rwandese si sarebbe già infiltrato nel paese passando la frontiera nel pressi del vulcano di Nyamuragira. Accuse respinte da Rwanda e Uganda. Martedì scorso, Kabila si è recato a Kampala per un colloquio col presidente Yoweri Museveni e con il suo omologo rwandese, Paul Kagame. Museveni, a cui tocca la presidenza del vertice degli 11 paesi membri della Conferenza internazionale dei Grandi Laghi (Cirgl) – ha anzi accusato l’Onu di avere responsabilità diretta negli sviluppi di questo nuovo conflitto. E ha anche minacciato di ritirare le sue truppe dalla missione di peacekeeping in Somalia. Il Cirgl si era riunito l’8 ottobre, finendo solo per «rammaricarsi» per l’avanzata dei ribelli e annunciando l’istituzione di un gruppo di esperti per decidere le modalità per il dispiegamento di una forza internazionale di interposizione lungo il confine tra il Congo e il Rwanda. Domani, l’Onu dovrebbe consegnare il suo rapporto sulle attività dei ribelli e sul ruolo dei paesi vicini nelle attività di finanziamento, reclutamento e fornitura di armi dell’M23. Intanto, secondo Medici senza frontiere, oltre 100 mila sfollati in condizioni disperate e in parte affetti da colera stanno fuggendo in Rwanda. E si moltiplicano gli stupri. È dagli anni ‘90 che le province del Nord e Sud Kivu - ricche di oro, diamanti, uranio, costantemente saccheggiate - sono terreno di conflitto e traffici in cui si riflettono gli interessi regionali e internazionali. Sullo sfondo, lo spettro del genocidio dei tutsi, in Rwanda, nel 1994. Allora, la controffensiva del Fronte patriottico rwandese (Fpr) di Kagame, aveva spinto milioni di tutsi ruandesi a fuggire nel vicino Zaire del maresciallo Joseph Mobutu, lasciando passare anche numerosi capi del "potere hutu", responsabili del genocidio. Allora, nella mistura di violenza e disperazione dei campi profughi, quei genocidi riorganizzarono le milizie armate quali le Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr). Nel ’96, Laurent-Désiré Kabila, nella sua opposizione a Mobutu, fece leva sulla volontà dell’Fpr e dell’Uganda di liberarsi delle milizie hutu per impadronirsi delle province del Kivu. La prima guerra del Congo inizia nel ’96 e si conclude con la caduta di Mobutu nel ’97, Al suo posto va Désiré Kabila, che modifica il nome dello Zaire in Rdc. La sua rottura con Kigali fa però sprofondare il paese nella seconda guerra del Congo (1998-2002), in cui verranno coinvolti otto paesi: da un lato Angola, Ciad, Namibia e Rdc e Zimbabwe; dall’altro Burundi, Rwanda e Uganda. Uno scenario ancora troppo presente. AFRICA La frontiera rovente tra Mali e Niger Situazione incandescente nel nord est del Mali, dove sono in corso combattimenti per il controllo di Menaka, non lontano dal confine con il Niger. Da giorni vi si scontrano due dei movimenti armati che controllano la metà settentrionale del paese da alcuni mesi. La città, controllata dal Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla, di matrice tuareg), è stata attaccata dal Mvimento per l’unità del jihad in Africa occidentale (Mujao), che sostiene di aver conquistato Menaka. L’Azawad smentisce. L’Mnla, il primo gruppo ad aver preso le armi contro il governo di Bamako nel gennaio scorso, sta cercando una trattativa per uscire dalla crisi, attraverso la mediazione del Burkina Faso. Anche il movimento di matrice islamica Ansar al Din, altro gruppo armato del nord, partecipa ai negoziati. Il Mujao – movimento armato d’ispirazione islamica considerato vicino ad Al Qaida nel Maghreb islamico – pare invece meno disposto a scendere a compromessi e sembra stia tentando di rafforzarsi per via militare. Per dicembre, il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrà pronunciarsi sull’intervento armato che ripristini la sovranità di Bamako nella regione. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale prevede d’impiegare 3.200 uomini. La Nigeria annuncia che ne metterà a disposizione 600. Nel Kayes, a ovest del Mali, è stato rapito un francese d’origine portoghese di 61 anni, che proveniva dalla Mauritania.