CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50
SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/
BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158
ANNO XLII . N. 278 . GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
IL POPOLO DI GAZA
«È finita la guerra
è finita la guerra»
Michele Giorgio
INVIATO A GAZA CITY
«È
finita la guerra, è finita la
guerra», urlavano felici ieri sera i figli di una delle
famiglie che abitano all’Abu Ghalion Building di Rimal, dopo l’annuncio della tregua, a partire dalle
21 ora locale (le 20 in Italia), tra Israele e Hamas, fatto al Cairo dal segretario di stato Hillary Clinton e il
ministro degli esteri egiziano Kamal Amr.
È un palazzo «ricco», sul lungomare di Gaza city, eppure anche
questi bambini, figli della minuscola classe media locale, si sono visti
negare per una settimana il diritto
a giocare in strada, come tutti gli altri ragazzini della Striscia. Torneranno a calciare un pallone anche
loro, almeno questo era ciò che ieri
sera speravano i tanti palestinesi
che regalavano dolci per festeggiare il cessate il fuoco, tra le raffiche
esplose in aria in segno di felicità
dai miliziani delle Brigate al-Qassam e i proclami di «vittoria» diffusi attraverso gli altoparlanti delle
moschee. Anche all’ospedale «Shifa» ieri sera si regalavano dolcetti.
Qui i medici ed infermieri per otto
lunghissimi giorni, hanno dovuto
soccorrere centinaia di feriti dalle
bombe e dalla cannonate.
La tregua reggerà? Se lo domandavano in tanti mentre arrivavano
le notizie di nuove morti in bombardamenti aerei, di distruzioni di
infrastrutture, anche a Gaza city. Ieri è stata una carneficina di palestinesi, con il quotidiano tributo di
sangue di decine di piccole vittime.
CONTINUA |PAGINA 2
EURO 1,50
Dove è la pace
Dopo 150 morti palestinesi e 5 israeliani raggiunta una tregua tra Israele e Hamas. Mesha’al e Netanyahu
cantano vittoria ma dimenticano che le vere vittime del conflitto sono i civili. Hillary Clinton vola al Cairo
e consegna all’Egitto di Morsy e dei Fratelli musulmani il ruolo di protagonista nella regione PAGINE 2,3
ALMENO 28 I FERITI
Attentato a Tel Aviv,
bomba su un bus
Emma Mancini
P
ochi minuti dopo le 11, il bus 66 di
Tel Aviv è esploso vicino la sede del
Ministero della Difesa e il quartier
generale dell’esercito israeliano. Al momento dello scoppio, l’autobus era vuoto.
Almeno 28 i feriti tra i passanti. |PAGINA 2
INTERVISTA A ILAN PAPPÉ
Lo storico israeliano:
«È solo una pausa»
Giuseppe Acconcia
BAMBINE
PALESTINESI
GIOCANO
IN UN RICOVERO
DELL’ONU A GAZA
/FOTO SUHAIB
SALEM - REUTERS
L
a «tregua prepara altra violenza. Israele teme la reazione dell’Egitto all’invasione di terra. Morsy non ha incontrato gli israeliani. È il tempo di una nuova resistenza popolare palestinese», intervista allo
storico israeliano Ilan Pappè.
|PAGINA 3
DOPO IL NO DELLA GERMANIA AGLI AIUTI GOVERNO SAMARAS NEL CAOS
TORINO FILM FESTIVAL
Loach rinuncia al premio
in solidarietà coi precari
MAURO RAVARINO l PAGINA 13
GUERRA CIVILE IN CONGO
Dopo Goma l’M23
punta su Kinshasa
GERALDINA COLOTTI l PAGINA 16
Grecia, il Fmi dà ragione a Syriza:
debito insostenibile, va rinegoziato
L’
eurogruppo di oggi a Bruxelles affronta la dura verità sia sul debito greco che il bilancio fino al 2020
dell’Unione. Il no di Germania, Finlandia e Olanda alla tranche di aiuti da 44 miliardi rischia di mandare
Atene in fallimento. Governo Samaras in crisi politica. Anche il Fmi (pressato dal Brasile e dai paesi emergenti) preme per la fine dell’austerity in Europa. Per il Fondo di
Washington, Bce e stati dovrebbero accettare una ristrutturazione (hair cut) del debito greco. Syriza torna a chiedere le elezioni anticipate per «rinegoziare» tutto il memorandum. Mentre tutti gli stati concordano sul tagliare i
fondi all’Unione europea e litigano sui contributi da versare a Bruxelles.
PANAGOPOULOS E MERLO |PAGINA 4
LAVORO
Patto per la produttività,
la Cgil non firma.
Camusso contro Monti:
«Una strada sbagliata»
|PAGINA 7
DDL STABILITÀ | PAGINA 5
La marcia dei sindaci:
«Pronti a dimetterci».
Ma il governo tira dritto
SCUOLA | PAGINA 6
Studenti in piazza sabato
«Saremo imprevedibili»
GREENPEACE | PAGINA 7
Primarie «insostenibili»,
carbone per i candidati.
Si salva solo Vendola
GRECIA/UE
Finanza
pubblica
in rosso,
recessione
più grave.
E ora il Fiscal
Compact
peggiorerà
la situazione
L’anno perduto
di Monti
L’ARTICOLO
Pitagora
a pagina 15
Lo scontro
è su chi paga
Gabriele Pastrello
M
olti accolsero con favore il
rapporto del Fmi in cui si
mettevano in discussione i
dogmi sottostanti alle politiche della
Commissione europea verso i paesi i
cui debiti sovrani sono sotto attacco.
Politiche ossessivamente sostenute
sia dall’opinione pubblica tedesca che
da dal governo tedesco che, nell’assecondarla, ha visto la garanzia della rielezione, rimediando al calo di consensi registrato fino al 2010. Circa un mese fa il Fmi ha affermato che politiche
di austerità hanno effetti negativi sulla
crescita molto maggiori di quelli presunti.
CONTINUA |PAGINA 15
MAURO BIANI
pagina 2
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
DOVE È LA PACE
La Striscia •
Dopo otto giorni di bombardamenti israeliani e centinaia di razzi
di Hamas, si contano 150 vittime palestinesi e 5 israeliane
Gaza spera nella tregua
Rispetto all’accordo dopo «Piombo Fuso»
del 2009 contro Gaza, la novità è l’impegno
egiziano. Dal contrasto al traffico di armi
attraverso i tunnel del Sinai. Ma Israele
dovrebbe garantire un allentamento
dell’assedio alla Striscia e del blocco navale
DALLA PRIMA
Michele Giorgio da Gaza City
I raid dell’aviazione israeliana sono stati incessanti e sono andati
avanti sino ad un minuto prima
dell’inizio della tregua, facendo altri morti. Hanno tirato un sospiro di sollievo anche nel sud di Israele, dove in serata, prima della fine delle ostilità, sono caduti altri razzi sparati da Gaza.
Ad anticipare la notizia della tregua erano stati la televisione qatariota al Jazeera,
il quotidiano di Tel Aviv Yediot Ahronot e
una fonte di Hamas. Rispetto all’accordo
raggiunto quattro anni fa dopo l’offensiva «Piombo Fuso» contro Gaza (dicembre 2008-gennaio 2009), la novità più significativa è l’impegno egiziano. A cominciare dal contrasto al traffico di armi attraverso i tunnel che collegano il Sinai al territorio palestinese.
Il rapporto Usa-Fratelli musulmani
Allo stesso tempo Israele dovrebbe garantire un allentamento dell’assedio alla
Striscia e del blocco navale, a vantaggio
dei pescatori palestinesi costretti da anni
a gettare le reti entro le tre miglia maritti-
Ieri i micidiali raid
israeliani sono durati
fino ad un minuto
prima della tregua
annunciata: 6 i morti
Prima della tregua/ ATTENTATO A TEL AVIV
Bomba in centro su un bus,
ventotto israeliani feriti
Emma Mancini
BETLEMME
L
a tregua tra Israele e Hamas è restata in
bilico fino all’ultimo momento. Solo in
serata le voci di un cessate il fuoco sono
state confermate: mentre scriviamo, secondo
fonti palestinesi, anche il presidente egiziano
Morsi sarebbe in procinto di annunciare la fine
delle ostilità.
Una giornata di tensione quasi latente, dopo
l’esplosione di un bus a Tel Aviv. L’attacco ha
provocato l’immediata reazione dell’aviazione israeliana, che ha intensificato i bombardamenti sulla Striscia.
Ma i vertici israeliani non hanno commentato l’accaduto,
mentre Hamas si limitava a compiacersi dell’esplosione negando di esserne responsabile: «È il naturale risultato dell’aggressione israeliana alla nostra
gente», ha detto il portavoce di Hamas, Fawzi
Barhoum.
Pochi minuti dopo le 11, il bus 66 di Tel Aviv
è esploso all’incrocio tra Shaul ha-Melech e
Henrietta Szold Street, vicino la sede del Ministero della Difesa e il quartier generale dell’IDF. Al momento dello scoppio, l’autobus era
vuoto. Fonti citate da Haaretz parlano di almeno 28 feriti. La polizia israeliana ha riferito che
la bomba era stata nascosta sotto uno dei sedili. Testimoni raccontano di aver visto due persone allontanarsi dal bus pochi minuti prima
dello scoppio. Altre fonti hanno parlato di una
donna palestinese come presunta responsabile dell’attacco. Poche parole solo dal portavoce
del premier Netanyahu: «Una bomba è esplosa
in un bus a Tel Aviv. Si è trattato di un attentato
terroristico». Da giorni lo Shin Bet, l’intelligence israeliana, aveva ricevuto informazioni su
decine di attacchi terroristici in preparazione.
Ma in serata Sky News riporta fonti dei servizi:
l’attacco sarebbe opera di un singolo e non di
gruppi armati palestinesi. Hamas non ha rivendicato l’attacco, mentre si sono sovrapposte vo-
ci contraddittorie che attribuivano l’esplosione
a fazioni di Fatah, Pflp e Jihad Islamica.
Immediata la reazione della comunità internazionale. Gli Stati Uniti hanno ripetuto il sostegno incondizionato a Israele, mentre la Merkel ribadiva il diritto-dovere di Tel Aviv di difendere i propri cittadini. Il segretario dell’Onu,
Ban Ki-moon, si è detto scioccato per l’attacco:
«Nulla giustifica aggressioni ai civili». Dimenticando di nominare i civili che ieri sono stati uccisi a Gaza, di cui cinque minori.
Intanto la diplomazia internazionale si muoveva tra Cisgiordania e Israele. Ieri
NO DI ABU MAZEN
mattina il segretaHillary Clinton, che oggi
rio di Stato Usa Hilvedrà il presidente palestilary Clinton, ha innese, ha chiesto di «ricontrato alla Muqamandare» la richiesta di
ta a Ramallah il prericonoscimento all’Onu
sidente dell’Anp,
come «stato osservatore».
Mahmoud Abbas.
Abu Mazen ha detto no.
Al quale ha ribadito
la posizione americana in merito alla
richiesta di riconoscimento della Palestina come paese «osservatore» alle Nazioni Unite:
Washington si opporrà.
Fuori trecento palestinesi hanno tentato di
avvicinarsi al palazzo presidenziale per protestare contro la politica a senso unico degli Stati
Uniti, ma sono stati bloccati dalla polizia palestinese. Sono scoppiati degli scontri, ai reporter presenti è stato impedito di scattare foto.
Da giorni la Cisgiordania sta dimostrando il
suo appoggio a Gaza. Ad Ofer, vicino Ramallah, due palestinesi sono stati feriti dai proiettili dell’esercito israeliano. A Gerusalemme il sindacato dei lavoratori si è ritrovato sotto la sede
dell’Unione europea Città Santa gridando indignazione per il complice silenzio di Bruxelles.
A Betlemme il cuore degli scontri è stato di
nuovo il checkpoint 300 che divide la città da
Gerusalemme. Manifestazioni di protesta a Nablus e Hebron, dove sostenitori di Hamas hanno marciato per le strade sventolando le bandiere verdi del partito. Dura la reazione israeliana: nella notte di martedì l’Idf ha arrestato 32
palestinesi in raid in tutte le principali città della Cisgiordania (Hebron, Jenin, Tulkarem), diciotto solo nell’area di Betlemme.
ne, in acque poco pescose, a causa delle
intimidazioni ed imposizioni della Marina militare israeliana.
Dalle parole di Hillary Clinton emergeva ieri l’enorme responsabilità che
Washington assegna al «nuovo» Egitto dominato dai Fratelli Musulmani, a garanzia del successo dell’accordo di cessate il
fuoco israelo-palestinese. «E’ un momento critico per la regione – ha detto il segretario di stato - Il nuovo governo egiziano
sta assumendo la guida e la responsabilità che a lungo ha fatto di questo Paese
una pietra miliare per la stabilità e la pace». Nei prossimi giorni, ha aggiunto, «gli
Stati Uniti lavoreranno con i partner regionali per consolidare questi progressi,
migliorare le condizioni per la gente di
Gaza e garantire la sicurezza per il popolo
di Israele». Chiaro il riferimento alle alleate petromonarchie del Golfo, a partire dal
Qatar, nuovo sponsor economico e diplomatico di Hamas. Washington evidentemente vede i Fratelli egiziani, «padri» del
movimento islamico palestinese, in una
sorta di ruolo di «guardiani» della sicurezza lungo i confini con Gaza e Israele, e
«moderatori» di Hamas e degli altri gruppi islamisti che operano nella Striscia.
Netanyahu ha fallito
Gli israeliani da parte loro la responsabilità del rispetto dell’accordo la mettono
solo nelle mani degli Stati Uniti. Il premier Netanyahu ha detto di voler «dare
una possibilità» alla proposta di cessate il
fuoco nella Striscia di Gaza presentata
dalla mediazione egiziana, precisando di
aver detto di «sì» al cessate il fuoco solo
dopo aver avuto un colloquio telefonico
con il presidente degli Stati Uniti Barack
Obama. E dal suo volto tirato, si comprende che per Netanyahu l’offensiva «Colonna di Difesa» non ha portato i risultati
che il premier credeva di poter raccogliere da un’operazione militare preparata
per mesi, forse anni, nella quale ogni fase
è stata curata nei minimi dettagli, con i piloti israeliani che grazie al lavoro di intelligence e alle informazioni passate dalla
schiera di palestinesi collaborazionisti
(Hamas ieri ha condannato l’esecuzione
sommaria di sei presunti informatori
compiuta l’altra sera nelle strade di Gaza
city), avevano piani di volo e di attacco
sempre pronti e che non hanno esitato
ad eseguire con i risultati devastanti che
abbiamo sui civili palestinesi.
Netanyahu voleva dare il colpo del ko
all’ala militare di Hamas e ridimensionare lo status che il movimento islamico palestinese ha saputo conquistarsi nel mon-
MESHAAL (HAMAS) · «Israele ha fallito tutti i suoi obiettivi»
«Israele ha fallito tutti i suoi obiettivi, grazie a Dio». È quanto ha detto il leader di Hamas, Khaled
Meshaal, dopo l'entrata in vigore del cessate il fuoco, rivendicando come i razzi di Hamas abbiano continuato a colpire (Israele, ndr) fino alla fine». Secondo Meshaal, Israele avrebbe fallito anche nel tentativo di «mettere alla prova l'Egitto del dopo rivoluzione». Per questo, il leader di Hamas ha espresso apprezzamento per l’opera di mediazione di Mohammed Morsy e del governo
egiziano. «Non ha svenduto la resistenza e ha agito responsabilmente», ha detto ancora parlando
dell’azione diplomatica del Cairo. Meshaal ha sottolineato che «tutte le richieste (di Hamas, ndr)
sono state accolte». E ha continuato ribadendo come l’attacco israeliano sia «una aggressione
crudele a cui è stato necessario rispondere per autodifesa». Infine, Meshaal ha ringraziato per «le
armi e il sostegno finanziario fornito a Gaza» dall’Iran.
do arabo-islamico in questo ultimo anno.
Ha fallito il suo obiettivo. Avrebbe potuto
conseguirlo solo con un’offensiva di terra. «La sconfitta per Netanyahu è rappresentata da un accordo di cessate il fuoco
che lascia intatta la forza militare e politica di Hamas e non impone le regole del
gioco dettate da Israele», ci ha detto ieri
l’analista arabo Mouin Rabbani. «Questa
offensiva militare, nella visione di Netanyahu, doveva ristabilire il potere di deterrenza di Israele. – ha aggiunto Rabbani Un potere che è progressivamente svanito a Gaza di fronte ad un Hamas non più
isolato come qualche anno fa. Netanyahu inoltre parla di un attacco a Tehran
ma in realtà non sembra in grado di fermare il programma nucleare iraniano.
L’Egitto dei Fratelli Musulmani anche se
non mette in discussione gli Accordi di
Camp David, comunque attua una politica regionale diversa, almeno in parte, da
quella dell’ex presidente Mubarak». Infine, prosegue l’analista, c’è l’atteggiamento del presidente palestinese Abu Mazen,
intenzionato a fine mese, nonostante
l’opposizione di Israele e Stati Uniti, a presentare unilateralmente all’Onu la richiesta di adesione dello Stato di Palestina».
«Chi comanda nel quartiere»
Secondo Rabbani, Netanyahu è intervenuto con il pugno di ferro per ribadire
«chi comanda nel quartiere, cioè in Medio Oriente, e non certo soltanto per fermare i lanci di razzi. Ma i risultati che ha
ottenuto sono deludenti». Ciò spiegherebbe la rigidità mostrata martedì, quando
l’accordo di cessate il fuoco era ormai
concluso ma il premier ha fatto un passo
indietro. Netanyahu e il suo ministro della difesa Ehud Barak perciò escono da
questa offensiva ridimensionati, messi
nella condizione di scegliere tra la sconfitta politica rappresentata dal cessate il fuoco e il rischio di gravi perdite in un’operazione terrestre dentro Gaza. Hamas al
contrario ne esce rafforzato come immagine, paragonabile anche se in misura inferiore a quella di Hezbollah nel mondo
arabo-islamico dopo la guerra del 2006.
Come sei anni fa in Libano, Israele non è
riuscito a bloccare anche solo per un giorno i lanci di razzi. Non solo, i gruppi armati palestinesi sono riusciti a sparare missili anche contro Tel Aviv e Gerusalemme.
All’interno di Hamas si rafforza ulteriormente l’ala militare già forte che guarda
con sfavore alla riconciliazione con il presidente dell’Anp Abu Mazen e che aveva
spinto nei giorni scorsi per giocare la partita con Israele allo stesso livello strategico-militare.
I veri, unici perdenti di questa guerra sono civili. Fino all’ultimo hanno subito i lanci di bombe e missili. I mutilati sono decine. Tanti altri sono condannati alla disabilità in un territorio povero, senza risorse.
Tra i morti di ieri ci sono Abdul Rahman
Naem, 2 anni e alcuni adolescenti. Un tributo di sangue altissimo che paga un popolo sempre alla ricerca della libertà.
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
pagina 3
DOVE È LA PACE
Palestina •
Lo storico israeliano Ilan Pappè al manifesto: «L’accordo tra Hamas
e Netanyahu è fragile, le incognite sono la nuova Siria e il nuovo Egitto»
HILLARY CLINTON «I popoli di questa regione meritano di vivere senza paura», ha
detto ieri il segretario di Stato americano, presente al Cairo, dopo l’annuncio del
cessate il fuoco. Questo, ha proseguito Hillary Clinton, è «un momento critico per la
regione: il nuovo governo egiziano si sta assumendo la responsabilità e la leadership
che ha fatto per lungo tempo di questo Paese una pietra miliare nella stabilità
regionale e per la pace». «Nei giorni avvenire - ha proseguito il segretario di Stato -, gli
Usa si impegneranno con i partner della regione per consolidare questo progresso,
migliorare le condizioni della popolazione di Gaza e assicurare la sicurezza al popolo di
Israele». Ma il tentativo Usa per ora è quello di impedire che la Palestina arrivi all’Onu.
INTERVISTA · Lo storico israeliano Ilan Pappè sui limiti dell’accordo tra Hamas e Israele
ESECUZIONI MIRATE
«Solo una pausa della guerra»
Uccisi tre giornalisti
palestinesi. B’tselem:
«Siamo in pericolo»
A SINISTRA, TEL AVIV,
L’ATTENTATO AL BUS.
FOTO GRANDE, I
MICIDIALI RAID
ISRAELIANI DI IERI SU
GAZA CITY/REUTERS
A DESTRA, GAZA,
OSPEDALE SHIFA,
IN PIANTO LE FAMIGLIE
DEI TRE GIORNALISTI
PALESTINESI UCCISI
IN MODO«MIRATO»
/REUTERS
Giuseppe Acconcia
«Q
ualsiasi tregua può essere solo temporanea e sulla carta»,
è il commento di Ilan Pappè,
docente di storia e direttore del centro
europeo per gli studi palestinesi all’Università di Exeter in Gran Bretagna. «Sono
sorpreso che Hamas accetti un cessate il
fuoco senza concessioni in merito all’embargo su Gaza. In questo momento non
vedo quale possa essere il beneficio per
la Palestina. Entrambe le parti vogliono
prendere una pausa dai combattimenti:
quindi accetteranno una tregua temporanea e non un cessate il fuoco permanente. In altre parole, la tregua è parte del
conflitto, non lo conclude ma prepara ad
altra violenza», spiega lo storico Pappè.
Se il conflitto proseguisse, il passo seguente potrebbe essere l’invasione terrestre da parte di Israele. «Ora il governo
israeliano lavora a due possibili modelli
di invasione. Il primo è il modello libanese del 2006. Anche se in quell’occasione,
l’esercito israeliano non ha brillato per
iniziativa militare, ma ha trovato una soluzione stabile a Beirut. La seconda opzione seguirebbe il modello dell’attacco
in Cisgiordania del 2002, Scudo difensivo, cioè un’invasione terrestre temponanea. Il governo israeliano sa che rioccupare Gaza significa formare nuovi attentatori suicidi. Per questo, l’intenzione
israeliana è a non fare ricorso ad un’operazione di terra - prosegue Ilan Pappè Non solo, il governo israeliano si rende
conto che un’invasione di terra in questo
contesto regionale sarebbe controproducente. Le autorità israeliane non sanno
I COOPERANTI ITALIANI · Il report dopo più di 1.600 raid
I bambini vittime sotto
un cielo di bombardamenti
E
MOHAMMED MORSI Dopo l’annuncio della tregua tra Israele e Hamas, il presidente
egiziano ha avuto un lungo colloquio telefonico con il presidente americano Barak Obama.
Entrambi, fa sapere la Casa Bianca, hanno sottolineato l’importanza di «lavorare per una
soluzione più duratura della situazione a Gaza». Obama ha poi ringraziato Morsi per il suo
impegno per la tregua e la «leadership mostrata durante i negoziati» ed ha confermato la
stretta alleanza tra i due paesi apprezzando l'impegno del presidente, che è un esponente
dei Fratelli Musulmani, per la sicurezza regionale. Da parte sua, Morsi ha apprezzato
l'impegno di Obama in favore dei negoziati che hanno portato all'annuncio della tregua
sulla base della proposta egiziana.
ravamo ieri all’ottavo giorno dell’attacco più violento e brutale condotto
da Israele dall’operazione Piombo
Fuso. Continuando il massacro dei civili e i
bombardamenti sulla popolazione di Gaza
imprigionata dall’assedio illegale. A Gaza i
boati dei bombardamenti hanno scandito
le giornate e le notti insonni della gente rinchiusa nelle case. Il cielo è stato invaso dal
rumore costante dei droni, dei caccia F16 e
degli Apache che hanno sorvolato in continuazione tutta la Striscia con il loro carico
di distruzione, e dal mare arrivano i colpi
dell’artiglieria delle navi militari.
L’aviazione israeliana ha condotto oltre
1600 bombardamenti, centinaia gli spari
dalle navi della marina militare, e visibili in
cielo gli illuminanti su alcune aree che, come durante Piombo Fuso, fanno temere il
lancio di fosforo bianco. Il Ministero della
Salute ha già confermato di avere rilevato
traccia di questo micidiale elemento sui
corpi di alcuni feriti arrivati la scorsa notte
in ospedale.
A Gaza, dove metà della popolazione ha
meno di 14 anni, colpire i civili significa colpire i bambini. Sono 149 le vittime del massacro dei palestinesi a Gaza, la gran parte civili, tra questi oltre 35 bambini sotto i 16 anni. 1200 le persone ferite, tra cui più di 381
bambini.
Dal 18 novembre, quinto giorno dell’escalation, l’esercito israeliano ha intensificato gli attacchi deliberati sui civili colpendo sempre di più le case, le moschee, i veicoli, i giornalisti e gli organi di informazione. Il numero dei morti è aumentato in maniera esponenziale. Nei primi quattro giorni dell’offensiva le vittime erano state circa
40, mentre negli ultimi 4 giorni sono circa
150 le persone uccise.
Nella notte del 18 novembre sono stati
colpiti gli uffici dove sono concentrati i
principali media palestinesi a Gaza, con il
ferimento grave di 6 giornalisti, di cui uno
ha perso la gamba. Nelle notti successive
del 19 e 20 l’aviazione ha ripetuto gli attacchi ai mezzi di comunicazione. La Shuruq
tower, la sede di Al Jazeera, AFP, Reuters
nel Saraya Building, hanno subito attacchi
violentissimi e distruttivi. Due cameramen
Hussam Salameh e Muhammad Al- Kumi
sono rimasti uccisi; un corrispondente del
canale saudita Al-Arabiya è stato ferito.
È stata colpita anche un’automobile che
riportava la scritta Press, per fortuna vuota
al momento dell’attacco. Queste azioni sono una evidente minaccia al diritto di informazione e a tutti coloro che con coraggio
cercano ogni giorno di raccontare al mondo le atrocità che si stanno verificando a
Gaza.
Seguono decine di testimonionaze dirette raccolte tra la popolazione e pubblicate
sul sito http://nena-news.globalist.it
Report realizzato dai cooperanti italiani
che lavorano a Gaza di EducAid, OVERSEAS, CISS, ACS, CRIC.
Secondo il protocollo di sicurezza della
Cooperazione italiana per cui lavoriamo
siamo dovuti uscire da Gaza al sesto giorno
dell’attacco. Abbiamo già fatto presente alla
Cooperazione che è necessario rientrare ed
attivarsi per la popolazione civile.
E’ fondamentale continuare a raccontare
al mondo della terribile situazione di Gaza
dando voce alla gente di Gaza, ad amici e
colleghi con cui siamo in costante contatto e
di cui riportiamo qui le testimonianze dirette.
«N
come il nuovo Egitto o la nuova Siria potrebbero reagire», spiega il docente. Ma
l’Egitto dei Fratelli musulmani non sembra aver assunto un ruolo di rottura nel
fronteggiare il conflitto. «Questa crisi è arrivata prematuramente e le autorità egiziane non sono ancora pronte ad affrontarla. Presto, l’Egitto avrà una politica indipendente dagli Stati uniti sulla questione palestinese. È vero che l’atteggiamento del governo egiziano può ricordare le
politiche dell’ex presidente Mubarak di
sostegno incondizionato ad Israele, ma
qualcosa sta cambiando. Per esempio, il
presidente, Mohammed Morsy, non ha
invitato un solo rappresentante israeliano nel palazzo presidenziale. Ora sono
solo i servizi segreti militari a curare gli incontri con gli emissari israeliani», aggiunge Pappè. Cosa è cambiato esattamente
con l’elezione dei Fratelli musulmani? «I
Fratelli musulmani hanno una qualche
legittimità democratica e vogliono farla
valere. In altre parole, la Fratellanza sa di
rappresentare la volontà popolare in merito alla causa palestinese. E così, la crisi
del 2012 a Gaza segnerà la fine dei vecchi
meccanismi politici in Medio oriente e
l’inizio di un nuovo corso», assicura lo
storico israeliano.
E’ molto interessante la posizione del
presidente dell’Autorità palestinese, Abu
Mazen, e la sua intenzione di presentare
la richiesta di ammissione della Palestina come stato non membro delle Nazioni unite il prossimo 29 novembre. «Abu
Mazen diventa sempre meno rilevante, il
riconoscimento delle Nazioni unite
avrebbe un valore simbolico. La costruzione dell’Autorità palestinese è compro-
MEDIO ORIENTE
Nazioni unite, Ban Ki-moon
esprime soddisfazione
Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon
ha accolto con favore l’accordo sul cessate
il fuoco a Gaza raggiunto dalle parti in Medio Oriente. Intervenendo in video conferenza durante una riunione del consiglio di sicurezza delle Nazioni unite Ban ha sottolineato che tale annuncio arriva al termine di
una «settimana sanguinosa».
Sul cessate il fuoco è intervenuto anche il
ministro degli Esteri Giulio Terzi totalmente
allineato agli Usa. Per Terzi la tregua «costituisce un importante passo avanti per la
soluzione della crisi». «Questo risultato prosegue - è il frutto anche dell’intensa azione svolta in questi giorni dalle diplomazie
occidentali e della regione, in cui anche
l’Italia ha avuto un ruolo attivo con costanti
contatti con i principali partner europei,
l’Egitto e la Turchia».
messa dall’inizio, ha permesso lo stato di
apertheid dei territori e per questo ha
concluso la sua funzione storica». Pappè
è sicuro che è alle porte una nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese.
«Le divisioni tra le due fazioni palestinesi, Hamas e Fatah, sono destinate a sparire con il tempo. Il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, sa bene ad
esempio che l’attacco di oggi a Tel Aviv
non è opera di Hamas ma di Fatah. D’altra parte, il riconoscimento di uno stato
palestinese darebbe ad Hamas maggiore
credibilità nelle azioni di resistenza armata e allo stesso tempo ridurrebbe le distanze tra le due fazioni palestinesi. In al-
«Israele non vuole
un’operazione di terra
nei territori. Ma non
sa interpretare il
nuovo Medio oriente»
tri termini, se non ci fosse presto un accordo tra Hamas e Fatah, l’Autorità palestinese si allontanerebbe sempre di più
dalla reale situazione sul campo mentre
la terza Intifada si avvicinerebbe inesorabilmente». Ma anche Hamas sta commettendo degli errori. «Hamas è un movimento dogmatico, non sa essere flessibile nei momenti cruciali. Ma, come si evince da questa crisi, con le azioni armate
non si raggiunge alcun risultato, è necessaria la resistenza popolare contro Israele. Neppure Hamas sa rappresentare la
volontà del popolo palestinese, i giovani,
le generazioni in esilio non si riconoscono né in Fatah né in Hamas. E così, elezioni democratiche direbbero che nessuno dei due gruppi rappresenta il popolo
palestinese». E non solo, quest’attacco
sembra chiarire che le elezioni politiche
israeliane del prossimo 22 gennaio sono
all’origine dello scontro. «Questa crisi rafforza la destra israeliana. Se in principio
il primo ministro, Benjamin Netanyahu,
era sicuro di vincere le elezioni, con l’alleanza politica con il leader del partito di
destra, Avigdor Lieberman, ha perso il sostegno dei partiti di centro e la certezza
di vincere. E così, l’attacco su Gaza ha
permesso di distrarre l’opinione pubblica israeliana dalle questioni interne».
E come intervengono gli Stati uniti?
«La posizione degli Stati uniti è molto deludente. C’è un nuovo spazio negoziale
per Turchia, Russia, Cina, India e Iran.
Israele potrebbe tentare di essere parte
di questo nuovo Medio oriente, invece risponde ancora alla logica secondo cui
l’appoggio americano garantisce la sua
indipendenza a prescindere dal nuovo
contesto regionale», conclude Pappè.
onostante la tregua, siamo
terrorizzati su quello che può
accadere nelle prossime ore
alla popolazione palestinese», è quanto
dichiara in un’intervista al manifesto,
Yael Stein, il direttore del dipartimento ricerca dell’istituto israeliano d’informazione e centro per i diritti umani, B’tselem. «E se l’embargo su Gaza prosegue, i
cittadini della Striscia non potranno continuare a lavorare e la mobilità con la Cisgiordania non sarà garantita. Per questo
chiediamo la fine dell’assedio di Gaza»,
prosegue Stein.
D’altra parte, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, ha salutato positivamente
il cessate il fuoco entrato in vigore tra
Israele e i gruppi palestinesi, Hamas e
Jihad islamica. Ma più in generale, in merito al tentativo del presidente dell’Anp
di promuovere il dialogo tra le due fazioni palestinesi, Fatah e Hamas, la ricercatrice assicura che «la priorità in questo
momento è la fine del conflitto e l’allentamento del blocco di Gaza. Secondo Hamas, bombardare Israele è un atto legale
per arrivare al riconoscimento della legittimità dei suoi obiettivi. Noi crediamo
che si possa arrivare ad una soluzione
della crisi senza uccidere civili», prosegue la ricercatrice di B’tselem.
Anche il segretario generale delle Nazioni unite, Ban ki-Moon, ha detto di voler appoggiare il tentativo di Abu Mazen.
Dal canto suo, nel festeggiare l’annuncio
della tregua, il leader di Hamas, Khaled
Meshal, ha assicurato che Israele ha fallito i suoi obiettivi, di interpretare la volontà del popolo palestinese con azioni di resistenza contro gli attacchi israeliani e ha
chiesto la fine dell’embargo su Gaza. Ma
qual è stata la reazione della Cisgiordania agli attacchi a Gaza? «In questi giorni
in Cisgiordania ci sono state continue
manifestazioni contro gli attacchi israeliani», ricorda Yael Stein, in riferimento
alle manifestazioni di piazza al-Manara a
Ramallah avute luogo anche ieri contro
l’uso massiccio della forza voluto da Israele. «Il nostro primo motivo di preoccupazione riguarda il numero di civili palestinesi che muoiono ogni giorno negli
scontri. Questi dati sono impressionanti
e aumentano costantemente a prescindere dall’attacco israeliano in corso».
Secondo un report realizzato da Phan
Nguyen, ricercatore dell’istituto indipendente con sede a Washington, Jadaliyya,
i numeri dietro il lancio di missili da parte di Hamas, forniti da Israele sono completamente fuorvianti. Nell’articolo si cita il periodo che va tra il 2006 e il 2011. In
quel caso, gli israeliani rimaste vittima di
missili palestinesi vanno da nove a quindici per anno, mentre i dati forniti dall’esercito israeliano sono molto più alti.
«Il tasso di uccisione dei lanci da Gaza è
pari allo 0,2%. L’esercito israeliano trucca e esagera i numeri», si legge in conclusione del report. Come se non bastasse,
nel mirino degli attacchi israeliani su Gaza ci sono anche i giornalisti. Nei giorni
scorsi, sono stati uccisi nei raid due cameraman della tv Al Aqsa, gestita da Hamas, e un reporter di una radio privata. I
cameraman sono morti in prossimità dell'ospedale al-Shifa di Gaza, mentre si recavano lì per realizzare un servizio. Un
appello urgente per la protezione dei
giornalisti è stato indirizzato ad Israele e
all'Autorità palestinese dall'Associazione
della Stampa estera (Fpa), dopo che nei
giorni scorsi le sedi di diverse redazioni a
Gaza hanno avvertito esplosioni ravvicinate. «Negli ultimi giorni Israele ha colpito alcuni edifici che ospitano organizzazioni stampa internazionali, mentre miliziani palestinesi hanno sparato razzi da
postazioni vicine», si legge nel documento della Fpa. Giu. Acc.
pagina 4
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
EUROCRACK
Atene •
Sempre più stremati dalle misure anticrisi, i greci si preparano a far fronte a un nuovo
scontro politico. Samaras vola all’Eurogruppo nella speranza di riuscire a sbloccare i finaziamenti
GRECIA · Il governo vara nuovi tagli che colpiscono in particolare pensionati e pubblico impiego
MATRIMONI GAY IN FRANCIA
Lo schiaffo di Bruxelles
scatena la crisi politica
«Sì all’obiezione
di coscienza dei sindaci»
Argiris Panagopoulos
I
Syriza torna a
chiedere elezioni
anticipate
per «ricontrattare
il debito»
il suo debito fino all’ultimo euro,
perché è insostenibile, mentre il
governo tripartito si illude che
con la tranche potrà permettere
la sostenibilità del debito.
Forte dalle indiscrezioni secondo le quali l’Eurogruppo
avrebbe cominciato di discutere
la proposta di Syriza per una moratoria per il debito greco, Tsipras ha ripetuto la sua proposta
per «l’annullamento del Memorandum, la cancellazione di una
gran parte del debito come hanno fatto con l’accordo con la Germania nel 1954, permettendo la
sua ricostruzione». Solo una moratoria per il pagamento degli interessi al Fondo di Stabilità Finanziaria Europea potrebbe far
risparmiare alla Grecia 43,8 miliardi, mentre se la Bce avesse rinunciato ai suoi profitti il debito
greco si poteva ridurre del 4,6%
del Pil.
Ad Atene sanno molto bene
che la soluzione della crisi greca
si trova a Berlino, Bruxelles, Francoforte e Parigi. Le considerazione del «Der Spiegel» secondo cui
Merkel e Schaeuble hanno bloccato la soluzione per la Grecia,
ha confermato i timori di Atene
che il paese sarà ostaggio del clima pre-elettorale tedesco. Secondo lo «Spiegel» «verso le elezioni
tedesche dell’autunno del 2013
Berlino blocca una soluzione sostenibile per la Grecia. I leader te-
rançois Hollande tentenna sul matrimonio per tutti? Una frase del
presidente, pronunciata al congresso dell’Associazione dei sindaci
di Francia, sta sollevando un polverone: Hollande ha certo ribadito
che la legge che aprirà il matrimonio anche agli omosessuali sarà discussa dal parlamento a partire dal 29 gennaio e poi votata, ma ha aggiunto
che «la legge si applica a tutti nel rispetto della libertà di coscienza». Libertà di coscienza? Giuridicamente, per i funzionari della Repubblica la clausola della libertà di coscienza
non esiste. I sindaci, come tutti gli altri funzionari pubblici,
sono tenuti ad applicare la legge, senza stati d’animo. L’Eliseo attenua l’interpretazione:
«Le possibilità di delega di un
sindaco ai suoi assessori esistono e possono venire ampliate. Un sindaco, se è malato o impegnato, può delegare a un assessore il compito di celebrare un
matrimonio. Ma qui la libertà di coscienza non c’entra nulla. Introdurla
sarebbe una bomba a orologeria», spiega l’avvocata Caroline Mécary, che
difende i diritti degli omosessuali: «Se un sindaco può delegare e non sposare due omosessuali, possiamo anche immaginare che rifiuti di sposare
una coppia di ebrei o di neri. Possiamo anche immaginare che un sindaco omosessuale rifiuti di unire due eterosessuali. Questa ’apertura’ lasciata ai sindaci può servire a introdurre pratiche discriminatorie».
L’Eliseo spiega di privilegiare un approccio «pragmatico», i difensori
del matrimonio per tutti parlano di «capitolazione». Sabato scorso ci sono state alcune manifestazioni in varie città francesi contro il matrimonio per tutti, che hanno riunito intorno alle 100mila persone, in grande
maggioranza dell’area cattolica. Domenica a Parigi c’è stato un altro corteo, con alcune migliaia di persone, organizzato dagli integralisti cattolici
e dall’estrema destra, durante il quale delle femministe di Femen e una
nota giornalista, Caroline Fourest, sono state aggredite con violenza. «Se
basta una manifestazione di 100mila cattolici tradizionalisti il sabato e
l’indomani di reazionari che picchiano le femministe e i giornalisti per
far indietreggiare la sinistra, c’è da disperarsi», ha commentato il Verde
Noël Mamère, che come sindaco di Bègle nel 204 aveva celebrato, illegalmente, il primo matrimonio gay in Francia. Il 16 dicembre ci saranno delle contro-manifestazioni in Francia per difendere la legge. Il matrimonio
per tutti verrà discusso in parlamento a fine gennaio. a. m. m.
Una possibile marcia
indietro di Hollande
fa insorgere
le comunità
omosessuali
ATENE
l rifiuto dell’Eurogruppo di
concedere i 44 miliardi di
tranche alla Grecia ha rappresentato uno schiaffo forte al
governo tripartito di Samaras,
scatenando una nuova crisi politica in Grecia dove, sfidando la
troika e la Germania, Alexis Tsipras e il suo Syriza chiedono le
elezioni anticipate per creare un
governo di sinistra capace di rinegoziare il debito e premere
per nuovi equilibri nell’Europa
del Sud.
Samaras insiste nell’affermare
che l’Eurogruppo ha deciso di
non concedere alla Grecia la
tranche di finanziamenti necessaria a evitare il fallimento pe
«questioni tecniche», ed è fiducioso che presto il problema verrà risolto. «Le difficoltà tecniche
per trovare una soluzione tecnica non consentono nessun ritardo o lassismo», ha detto Samaras, che sarà a Bruxelles per il
Consiglio Europeo.
Il leader di Syriza Alexis Tsipras ha chiesto ieri per ennesima volta nelle ultime settimane
le elezioni anticipate, denunciando l’incapacità di Samaras di fare serie trattative per rinegoziare
il problema del debito greco.
«Abbiamo bisogno di un nuovo
mandato popolare per rinegoziare il debito», ha detto Tsipras denunciando «la strada dei Memorandum disastrosa e dolorosa».
Secondo Tsipras, Papandreou e
Samaras hanno sbagliato sostenendo che la Grecia può pagare
F
ATENE, MANIFESTAZIONE CONTRO ANGELA MERKEL/FOTO REUTERS
deschi non vogliono far infuriare
gli elettori, offrendo ad Atene
più soldi, ma i partner europei
perdono la loro pazienza».
Hollande ha detto ieri sera dopo il suo incontro con Napolitano che vuole un accordo per la
Grecia, Paese «che ha fatto tutto
quello che le hanno chiesto».Ma
ha anche aggiunto che questo
non sarà possibile «se la Francia
e la Germania non si metteranno d’accordo nelle prossime ore
o nei prossimo giorni».
Nei corridoi dell’Eurogruppo
si è visto tutto lo scontro politico
all’interno della eurozona, con i
paesi del Nord, Germania, Olanda e Finlandia, in rotta di collisione perfino con l’Fmi di Lagarde,
che sostiene la necessità di un
nuovo taglio del debito greco dal
190% del 2013 al 120% del Pil per
il 2020. In sostanza anche il terribile Fmi è costretto di fare i suoi
conti con i grandi paesi emergenti che vogliono la fine dell’austerità in Europa e politiche per lo
sviluppo e l’occupazione. Il presidente del Brasile Dilma Rousseff
l’ha ripetuto in tutti i modi durante il suo viaggio in Spagna e
Portogallo, scontrandosi con la
sordità politica di Rajoy e di Passos Coelho.
Intanto ad Atene il ministero
del Lavoro ha cominciato a cancellare i diritti dei lavoratori pubblicando 18 circolari per l’applicazione del «Terzo Memorandum», che prevedono tra l’altro
l’aumento dell’età pensionabile
dai 67 anni e con 40 anni di contributi e l’abolizione dei resti della tredicesima e di tutti i bonus
per i pensionati.
Da parte sua il tribunale di Salonicco ha considerato come
sfruttamento dei lavoratori gli stipendi da fame di 500 euro che
pagava il consorzio per la costruzione della metropolitana. Secondo il sindacato il tribunale ha
deciso che la diminuzione degli
stipendi rappresenta una forma
di sfruttamento pericolosa per la
stessa sopravvivenza degli operai e che gli scioperi non sono responsabili per i ritardi dei lavori.
BRUXELLES · In discussione il bilancio di previsione per il 2014-2020
Una Ue divisa si prepara alla resa
dei conti conti sui bilanci
Anna Maria Merlo
PARIGI
R
edde rationem nell’Unione europea. Al centro «le
nerf de la guerre»: i soldi.
Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy ha
suggerito di «portare più camice»
per far fronte al vertice straordinario, voluto da Angela Merkel,
che si tiene da oggi a Bruxelles e
dove verrà dibattuto il bilancio di
previsione della Ue per il periodo
2014-2020. Dovrebbe finire venerdì, ma potrebbe durare tutto
il week end. Come se non bastasse, visto lo scontro tra i tirchi, guidati dalla Gran Bretagna, che vogliono un drastico ridimensionamento del bilancio Ue, e i beneficiari delle politiche di coesione,
che rigettano i tagli, il Consiglio
sarà messo anche in difficoltà dalla crisi greca, che è rimasta irrisolta alla riunione dell’Eurogruppo
e dell’Fmi, dopo 11 ore di discussioni tra martedì e la notte di
mercoledì: la decisione sull’eventuale versamento della nuova
tranche ad Atene – tra i 31 e i 45
miliardi di euro – che dovrebbe
servire ad evitare il fallimento imminente della Grecia, è stata rimandata al 26 novembre. Germania, Austria, Olanda e Finlandia
rifiutano un terzo piano di aiuti,
troppo costoso (anche politicamente) e puntano ad arrangiamenti per rimandare al 2022 l’obbligo per Atene di ridurre il debito al 120% del pil (sarà del 200%
nel 2015 se tutto continua come
adesso). Mentre l’Fmi insiste sulla data del 2020 e chiede che gli
stati della Ue, dopo le banche private, accettino un sostanzioso hair cut dei loro crediti. Una decisio-
ne inaccettabile per i creditori
pubblici e la Bce.
Impossibile sembra anche la
quadratura del cerchio per il bilancio di previsione della Ue.
Due ipoteche lo gravano: la crisi
economica, che spinge una parte
dei contribuenti netti a chiedere
dei tagli e l’intransigenza della
Gran Bretagna, che, minacciando il referendum per uscire dalla
Ue, intanto chiede contemporaneamente un budget ristretto
(200 miliardi in meno di quello
proposto dalla Commissione su
sette anni) e il mantenimento del
rebate, cioè il rimborso (di 4 miliardi l’anno) di cui gode Londra
sui suoi versamenti a Bruxelles
dai tempi della Thatcher. Da allo-
Già tagliati gli
aiuti economici
destinati
ai poveri
dell’Unione
ra, altri paesi hanno ottenuto un
rimborso: Germania, Olanda,
Svezia, Austria, con la richiesta
della Danimarca di godere dello
stesso diritto. Il peso dei rimborsi
è rimasto così sulle spalle degli altri due contributori netti, Francia
e Italia (a cui, paradossalmente,
potrebbe unirsi la Spagna, malgrado la crisi che la sta schiacciando), che si sentono i «piccioni» del sistema.
Il bilancio Ue è un bilancio senza debiti, il 95% viene riversato
agli stati. Ruota intorno all’1%
del pil della Ue. Ma lo scontro tra
egoismi nazionali, in un periodo
di grande crisi, sta prendendo il
sopravvento. Il Parlamento europeo aveva chiesto un aumento a
1090 miliardi (su sette anni). Bocciato. Così come lo è ormai la proposta della Comissione a 1061
miliardi e quella di Van Rompuy
a 993. Anche queste due ultime
ipotesi prevedono però dei tagli:
per fare un esempio, si è intorno
a meno 7% per gli investimenti a
favore della crescita e dell’occupazione o meno 10% per l’energia. Francia e Germania propongono 960 miliardi, ma non sono
d’accordo sui tagli: la Francia difende la Pac (politica agricola),
con il sostegno di Italia e Spagna,
la Germania fa la lezione per
«spendere meglio». Ma Monti
chiede una riduzione del contributo netto italiano alla Ue, che è
di 5 miliardi. L’est, Polonia in testa, punta i piedi sulle politiche
di coesione, i fondi strutturali (il
secondo capitolo di spesa, dopo
la Pac). David Cameron chiede
un calo di 200 miliardi sul bilancio e minaccia il veto. La Germania vuole tagli per 100 miliardi e
si oppone alla Francia sulla futura utilizzazione della tassa sulle
transazioni finanziarie, che Parigi vorrebbe versare, almeno in
parte, nel bilancio Ue. Visto che
sulla Pac e sui fondi strutturali gli
eserciti sono ben schierati, il rischio è che a fare le spese del bilancio ridotto della Ue siano dei
capitoli minori, ma importanti,
come i finanziamenti all’adattamento alla mondializzazione o
l’aiuto allo sviluppo. Si arriva fino al ridicolo dei tagli a Erasmus,
una delle poche politiche comuni che sono popolari. Una vittima è già presente: sono stati tagliati gli aiuti alimentari per i poveri dell’Unione.
BRUXELLES · Dalli alla salute
Da Malta con furore,
commissario antiaborto
BRUXELLES
L
a Commissione europea ha un nuovo
commissario alla Sanità e alla Protezione
dei consumatori, noto per aver preso posizione contro l’aborto e aver fatto dichiarazioni omofobe: si tratta del maltese Tonio Borg, la
cui candidatura è stata approvata ieri dal parlamento europeo con 386 voti contro 281. Borg,
che dal 2008 era ministro degli esteri di Malta
ed è vice-presidente del Partito Nazionalista, sostituisce un altro maltese, John Dalli, che era
stato costretto alle dimissioni a ottobre perché
sospettato di conflitto di interesse nella revisione delle legge sul tabacco. Dalli era sospettato
dall’Olaf (Ufficio europeo di lotta contro la frode) di «essere stato al corrente» delle manovre
di un imprenditore suo concittadino che, vantando l’amicizia con il commissario, si era fatto
pagare per legalizzare lo «snus», un tabacco
umido da masticare che per il momento è legale solo in Svezia (e in Norvegia, che è extra Ue).
Adesso Malta manda a Bruxelles un’altra personalità controversa che non contribuirà certo
a migliorare l’immagine dell’esecutivo europeo
tra i cittadini. Il gruppo S&D (ex Pse), che aveva
votato per due terzi contro la nomina di Tonio
Borg (ma non aveva poi dato consegne di voto
ai suoi eurodeputati), ha ribadito ieri i suoi dubbi sulla scelta di un uomo che è schierato contro l’aborto e gli omosessuali, mentre «l’eguaglianza di genere e i diritti delle donne e degli
omosessuali sono ancora sotto attacco da parte della destra europea». Parere negativo sulla
nomina di Borg è stato espresso dal gruppo dei
Verdi, dai liberali e dai comunisti. Ma il Ppe, il
gruppo più consistente all’europarlamento, ha
difeso il maltese per la «competenza e l’indipendenza» e i voti di altri gruppi sono venuti in aiuto al reazionario Borg.
Nell’audizione di fronte al parlamento europeo, la scorsa settimana, Tonio Borg per farsi
accettare aveva promesso la non interferenza
delle sue posizioni ideologiche con l’esercizio
dei suoi poteri in seno alla Commissione. «Non
abbandonerò le mie convinzioni», aveva affermato impegnandosi però a «far rispettare il diritto dell’Unione europea» per non farsi bocciare dal voto dell’europarlamento. Borg ha comunque ricordato che «in materia di aborto sono gli stati membri ad essere competenti».
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
pagina 5
ITALIA
BENI COMUNI
NO TAV
Alta tensione al processo
Ferito operatore Rai
Acqua pubblica,
l’esempio
di Napoli
Aula piccola, rinvio scontato, slogan,
strada occupata e cameraman aggredito e finito in ospedale.
Il processo a carico di 45 attivisti No
Tav (due ancora detenuti, Ferrari e Del
Sordo) per gli scontri avvenuti nell’estate 2011 è iniziato in un clima tesissimo, non certo agevolato dalla dimensioni dell’aula 46 del Palagiustizia di
Torino, dove era stata convocata
l’udienza. Troppo piccola per ospitare
gli imputati, i legali, il pubblico e i cronisti, tant’è che il giudice Quinto Bosio
ha chiesto lo spostamento nella più
capiente aula 3. Il rinvio al 21 gennaio
è dovuto alla mancata notifica della
convocazione a una dozzina di imputati. Per Perino «è un processo politico
contro il movimento».
E mentre in strada la protesta proseguiva, il clima all’interno si surriscaldava.
Alcuni No Tav hanno intimato all’operatore della Rai, Roberto Osti, di non riprendere la protesta in aula. Al suo rifiuto, è nato un breve parapiglia durante il quale l’operatore è stato raggiunto
da un pugno. (m.rav).
Luigi de Magistris, Alberto Lucarelli
C
MILANO, LA DELEGAZIONE DEI MILLE SINDACI ALL’INCONTRO CON PIETRO GIARDA IN PREFETTURA/FOTO TAM TAM
COMUNI · A Milano sfilano 1000 primi cittadini contro il governo Monti. In corteo anche Pisapia, Alemanno e Fassino
Sindaci in piazza pronti a dimettersi
Marika Manti
MILANO
S
ono pronti a gettare la fascia
tricolore sul tavolo del governo Monti. Mentre a Roma la
Camera votava la fiducia alla legge
di stabilità, ieri a Milano quasi mille
sindaci hanno marciato contro
l’Imu, il taglio dei finanziamenti
agli enti locali e il patto di stabilità
che stanno strangolando i Comuni
e stanno trasformando i municipi
in esattori per conto dell’esecutivo
centrale, costringendoli a tagliare i
servizi essenziali ai cittadini. Davanti a tutti, a tenere lo striscione in testa la corteo - «Liberiamo i comuni
dal patto di stupidità, scriviamo un
nuovo patto per la crescita» - c’erano Giuliano Pisapia, Gianni Alemanno, Piero Fassino e il sindaco
di Venezia Giorgio Orsoni.
La manifestazione è partita da
Santa Maria delle Grazie e si è conclusa in piazza della Scala. Lungo il
percorso i sindaci hanno anche incrociato il ministro per i rapporti
con il parlamento, Piero Giarda.
«Ministro vieni con noi», ha gridato
qualcuno. «Devo prendere la metro», ha risposto il ministro. Ma l’incontro è stato rimandato solo di
qualche ora e si è svolto in prefettura al termine del corteo. In piazza
Scala, l’intervento più duro è stato
quello del sindaco di Varese e presidente di Anci Lombardia, Attilio
Fontana. «Dobbiamo essere decisi
– ha tuonato – perché per troppo
tempo abbiamo accettato un dialogo tra sordi. Dobbiamo dimetterci
tutti, in maniera globale. Poi diamo
al governo 20 giorni per trattare. Se
le risposte non arriveranno, se vorranno commissariarci, benissimo,
se ne prenderanno la responsabilità». Non sono solo le parole dure di
un sindaco leghista contrario al governo Monti. Infatti la sua posizione, poche ore dopo, viene riferita
proprio al ministro Giarda. E’ già
stato stabilito anche il giorno per attuare la clamorosa protesta in caso
che il governo non ascolti le richieste dei comuni. «Il 29 novembre –
spiega il presidente dell’Anci, Graziano Delrio – l’ufficio di presidenza dell’Anci, mentre saranno in corso i lavori sulla legge di stabilità in
Commissione Bilancio del Senato,
si riunirà per decidere tempi e modalità delle dimissioni in massa dei
sindaci. La legge di stabilità è l’ultima occasione per rivedere quelle
norme (Imu, patto di stabilità, spending review) che stanno uccidendo
i comuni». Intanto una delegazione
dell'Anci incontrerà anche i segretari di partito. Ieri è stato il turno di
Maroni, oggi invece toccherà a Bersani e Alfano.
CATANIA
Bilanci falsati, chiesto
processo per Scapagnini
La procura di Catania ha chiesto il rinvio
a giudizio per falso di quattro ex amministratori e di sei dirigenti del comune del
capoluogo etneo nell'ambito di un'inchiesta sui bilanci preventivi dell'ente dal
2006 al 2008. L'udienza preliminare si
terrà il 21 gennaio del prossimo anno e
tra gli imputati vi è anche l'ex sindaco
Umberto Scapagnini. Secondo l'accusa,
a vario titolo, i bilanci di previsione del
comune si sarebbero garantiti falsamente gli equilibri di bilancio attraverso piani di rientro che non si sono avverati.
Che la manifestazione di ieri non
fosse solo una passeggiata per le vie
del centro milanese lo avevano fatto capire subito i sindaci delle maggiori città italiane. Pur con toni diversi, tutti hanno espresso la rabbia
e la determinazione dei comuni di
fronte all’atteggiamento ostile del
governo. Sia il sindaco di Venezia
Orsoni che Pisapia hanno usato la
parola ultimatum.
«Non ne possiamo più – spiega il
sindaco di Milano – e credo che la
restituzione per un certo periodo
del Tricolore, la sospensione, se
non le dimissioni, siano oggi un gesto forte, ma quando dall’altra parte il silenzio è assordante i gesti forti sono passi avanti». Dunque si potrà arrivare ad una fase in cui «non
ci sarà solo dialogo ma la capacità
di arrivare allo scontro istituzionale». Quanto al governo Monti, aggiunge Pisapia: «Non serve solo
una politica ragionieristica. Ho sempre detto che il governo tecnico doveva avere un tempo limitato».
Alemanno e Fassino chiariscono
i motivi della rabbia dei sindaci.
«La manifestazione – grida il sindaco di Roma dal palco è un argine
per la difesa dei cittadini contro un
parlamento di nominati che sta andando a casa e non sta dando risposte. Nel 2013 molti comuni rischiano il default e di non dare i servizi
essenziali ai cittadini».
Più moderato Piero Fassino che
ha parole di apprezzamento per il
governo Monti poi spiega. «L’Imu è
un’imposta locale sequestrata dallo
stato. In 12 mesi abbiamo ricevuto
7 diversi decreti, il che ci ha obbligato a rifare 7 volte i bilanci. Non siamo disponibili a tagliare sui servizi
agli anziani, ai disabili e alle scuole». In piazza c’era anche per la prima volta il sindaco di Parma, Federico Pizzarrotti: «Riceveremo 7 milioni in meno dallo stato e con le
tasse al massimo. Questa manifestazione è un bel segnale».
CAMERA DEI DEPUTATI
Triplo voto di fiducia
per la legge di stabilità
La Camera ieri ha votato tre volte a favore della legge di stabilità.
Oggi ci sarà il voto finale. La prima tranche di articoli approvati è
passata con 461 sì, 88 no e 21 astenuti. Il secondo voto ha registrato 433 sì, 85 contrari e 18 astenuti. Il terzo ha ottenuto 395 sì. Hanno votato contro la Lega e l’Idv, ma non ha votato a favore un larga
fetta del Pdl. Settanta deputati del partito di Alfano o non c’erano o
hanno votato contro o si sono astenuti. Compatti invece i voti favorevoli di Pd e Udc.
Ecco alcune delle norme approvate ieri sera. Come annunciato,
è stato bocciato l’intervento sulle aliquote Irpef e l’aumento dell’aliquota al 10% dell’Iva. Dal
primo luglio 2013 sale inveConfermato l’orario
ce di un punto l’Iva ora al
dei docenti. Nessuna
21%. E’ prevista una riduzione dell’Irap per le micro
modifica dell’Irpef.
imprese attraverso un fonStanziato un piccolo
do di 540 milioni di euro.
Resta l’esenzione dell’Irpef
fondo per gli esodati
per le pensioni di guerra
ma non per le pensioni di reversibilità per chi ha redditi superiori
al 15%. E’ stato anticipato il fondo per una futura riduzione delle
tasse. Sono stati aggiunti 10.130 esodati alla quota di quelli salvaguardati dallo Stato tramite un fondo di 100 milioni. É stato cancellato l’aumento di orario per i docenti che in un primo momento
doveva passare da 18 a 24 ore. Stralciata la cosiddetta operazione
«cieli bui» che puntava a risparmiare spegnendo l’illuminazione
pubblica. Sono stati stanziati 300 milioni per le popolazioni alluvionate e dieci milioni per i terremotati del Belice di 40 anni fa. E’ stato istituito un fondo di 6,5 miliardi in tre anni per le famiglie: in particolare per i figli di meno di tre anni si potranno detrarre 1.200 euro al posto degli attuali 900, e 950 al posto di 800 per i figli più grandi. Ma nelle pieghe della legge c’è di tutto, perfino una tassa per le
macchinette acchiappa pupazzi dei Luna Park.
Oggi la legge verrà licenziata dalla Camera, poi passerà all’esame
del Senato. Sarà l’ultima occasione per cercare di correggere la politica di austerità del governo. Ma le speranze sono minime visto che
anche il capo dello Stato preme perchè il provvedimento passi al
più presto. A quel punto, per sciogliere le camere, Napolitano aspetterà solo la riforma della legge elettorale, ma siccome in quel caso
non si tratta di occuparsi dei soldi degli italiani ma degli interessi dei
politici, il tempo potrebbe non bastare. (ma.ma.)
on l’ultimo adempimento formale, che trasforma Arin Spa
(Azienda risorse idriche Napoli) in ABC (Acqua bene comune) non
si attua solo il semplice passaggio ad
un’azienda pubblica, in grado di garantire la gestione partecipata delle
servizio idrico integrato, ma si dà un
segnale concreto di vera svolta democratica, un segnale che è possibile, partendo dai territori, realizzare
una politica degli enti locali, realmente partecipata, nel pieno rispetto della Costituzione e dei principi di
sussidiarietà, equità e giustizia sociale.
È importante, oggi, partire da questa trasformazione e dalla centralità
dei beni comuni per rilanciare con
forza la battaglia per la democrazia
locale, per reagire alle politiche antisociali poste in essere dal governo
Monti, caratterizzate da un accentuato centralismo autoritario, e per riaffermare e dare effettività ai principi
costituzionali, a garanzia dei diritti
di tutti i cittadini.
Con questo atto Napoli diventa la
prima città italiana ad attuare una
gestione pubblica dell’acqua, attraverso la volontà espressa da 27 milioni di cittadini con il referendum del
12 e 13 giugno 2011. L’Azienda pubblica Acqua Bene Comune attribuisce, attraverso la presenza nel comitato di sorveglianza che affianca il
consiglio di amministrazione, di
utenti, lavoratori dell’azienda e rappresentanti di associazioni ambientaliste, un reale potere di controllo
democratico della gestione, in grado
di garantire, con la pubblicazione di
tutti gli atti on-line, la trasparenza
delle procedure amministrative.
L’acqua, così, assume il suo reale
valore di bene comune, ovvero di risorsa naturale e vitale che deve essere gestita secondo criteri di responsabilità sociale e di solidarietà, soprattutto nell’interesse delle generazioni
future. La delibera di trasformazione
di Arin Spa in ABC Napoli, approvata dal Consiglio comunale di Napoli
nell’ottobre dello scorso anno, rappresenta anche una scelta forte di
posizionamento nella grande battaglia, politica e culturale, a difesa dei
beni comuni, contro l’insensata e selvaggia politica di privatizzazioni
messa in campo dal Governo Monti.
Una scelta, questa, rafforzata dalla sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli
3 e 4 del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138.
Molti comuni vogliono seguire
l’esempio di Napoli, avviando anche
su scala più ampia la gestione pubblica del servizio idrico integrato in capo ad un unico gestore, semmai costituito in forma consortile, come
stiamo prevedendo in Campania, ricostruendo la filiera del servizio per
eliminare rendite di intermediazione
e di sfruttamento sui beni comuni ed
infiltrazioni della malavita organizzata, ed assicurare in tal modo i necessari investimenti sulle infrastrutture
senza intervenire sulle tariffe.
* Sindaco di Napoli
* Assessore ai Beni comuni e Acqua
pubblica
TAGLI · L’esasperazione dei malati di Sla in piazza a Roma: «Senza assistenza stacchiamo la spina»
E il governo si «commuove»: raddoppieremo i fondi
S
i affidano a una promessa i malati di Sla e di altre gravissime disabilità. A nome del governo Monti, il sottosegretario Gianfranco Polillo
ha assicurato che quando le legge di
stabilità arriverà in Senato, il fondo
per la non autosufficienza passerà da
200 a 400 milioni di euro. Per riconquistare un diritto elementare come l'essere assistiti nelle loro case, hanno dovuto fare due scioperi della fame e partecipare a più di una manifestazione,
No Monti Day compreso. Non era bastato. Così ieri mattina si sono dati appuntamento sotto le finestre del ministero dell'Economia in via XX Settembre. Due di loro, Salvatore Usala e Lu-
ca Pulino, entrambi tracheotomizzati,
erano anche senza batteria di riserva,
con un'autonomia di respirazione di
non più di cinque ore. La Croce Rossa
era stata allertata ed era pronta a intervenire in caso di emergenza. Ma il messaggio politico del «loro» Comitato 16
Novembre era chiaro: nelle loro condizioni, vivere senza una adeguata assistenza non è più vivere.
«Se si finanzia l'assistenza in casa ripeteva per l'ennesima volta Raffaele
Pennacchio del Comitato 16 Novembre - lo Stato risparmia rispetto a quanto dovrebbe spendere nelle strutture
specializzate». Mentre Mina Welby e
Paolo Ferrero osservavano: «I fondi
che mancano potrebbero essere trovati in altri settori, ad esempio quello degli armamenti militari». Al termine dell'incontro con il sottosegretario Polillo
e la sua promessa di raddoppiare i fondi per la non autosufficienza, la portavoce del comitato Mariangela Lamanna ha annunciato che lo sciopero della
fame veniva interrotto: «Il senatore
Ignazio Marino - ha spiegato - si è preso personalmente carico di parlare
con il ministro alla salute Balduzzi. Ha
ammesso, insieme al sottosegretario
Polillo, che i 200 milioni fin qui stanziati sono una cifra inconsistente». Il democrat Marino si è poi impegnato a
fornire al ministero in pochi giorni le
cifre esatte sui disabili gravissimi. Intanto Salvatore Usala, anima del Comitato 16 Novembre, avvertiva che se le
promesse non saranno mantenute, almeno lui riprenderà a lottare. E l'altra
deputata Pd Donata Lenzi, temendo
un gioco delle tre carte, puntualizzava:
«Molto bene le risorse aggiuntive per i
malati di Sla. Ma la decisione non deve andare a discapito delle poche risorse del fondo sociale. Non facciamo
una guerra fra poveri, visto che per il
fondo sociale ci sono soltanto 300 milioni». Cinque anni fa, ai tempi del secondo governo Prodi, fondo sociale e
fondo per la non autosufficienza erano finanziati con 2.500 milioni. (r.c.)
pagina 6
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
ITALIA
TRENTO
In corteo contro
aggressioni fasciste
ROMA, FLASH MOB DEGLI STUDENTI DEL LICEO TASSO A PIAZZA BARBERINI /FOTO STEFANO MONTESI
SCUOLA · Nella capitale sono già settanta gli istituti superiori occupati. E sabato di nuovo in piazza
Occupy Roma, la protesta dilaga
ROMA
L
e scuole romane si muovono in
una geografia mobile fatta di occupazioni e auto-gestioni, flash
mob e lezioni all'aperto. Ieri il borsino
della protesta contro il ddl «ex Aprea»
e i tagli all'istruzione, ha registrato un
record. Settanta occupazioni all'interno del raccordo anulare, voci che si
rincorrono frenetiche tra un corteo
che blocca il traffico a piazza Santa
Emerenziana, un flash mob del Tasso
in piazza Barberini, il «funerale» della
scuola pubblica inscenato dagli studenti del liceo Machiavelli vestiti a lutto in piazza Indipendenza.
Un momento di grazia, e sospensione, al quale stamane si aggiungerà la
staffetta organizzata dagli occupanti
del Righi. Gli 8,5 miliardi di tagli al bilancio della scuola hanno, tra l'altro,
cancellato l'attività sportiva. L'ultima
vittima di questo deserto che cresce è
stata la «corsa di Miguel», una gara
campestre dedicata a uno studente desaparecido nel 1978 che l'anno scorso
ha coinvolto 9 mila ragazzi provenienti da 160 scuole della Capitale. Al Righi
hanno deciso di replicarla in miniatura stamane. «La scuola è un punto di
riferimento per tutto, anche per lo
sport» afferma Michela, 15 anni che all'università vuole studiare medicina.
Lei ha fiducia nel futuro, anche perchè se lo vuole costruire insieme ai
suoi compagni. Chiediamo a Michela
cosa pensa della ricerca pubblicata ieri sul portale ilgustofascuola.it secondo la quale un teenager su due vorrebbe fare il cuoco. «Quando andavo alle
medie – risponde – il desiderio di lavorare subito era tanto. Al liceo è abbastanza difficile trovare persone che
fanno questi discorsi. Qui ancora non
«Siamo cittadini
che combattono
per i propri diritti
e per cambiare
un paese sbagliato»
si parla molto di cosa vogliamo diventare, piuttosto lavoriamo su quello
che vogliamo diventare, cioè dei cittadini, persone che combattono per i
propri diritti e cercano di cambiare un
paese sbagliato». Su questo desiderio
cresce quella che Giacomo che ha 17
anni «e spiccioli» definisce «la scoperta dell'educazione e della capacità di
diventare una comunità scolastica vera che si occupa del posto dove vive».
Venerdì scorso è stato un giorno storico per il Righi. «Erano dieci anni che
non accadeva – spiega Giacomo –
Con il tempo si sono formate leggende. La sede di piazza Fiume era inoccupabile, ci dormono i bidelli, mentre
NO AUSTERITY · Migliaia di universitari invadono Londra
Migliaia di studenti universitari sono scesi in piazza ieri a Londra contro i costi sempre
crescenti dell'istruzione universitaria in Gran Bretagna e contro l’austerità. E’ stata la prima mobilitazione del genere a livello nazionale da quando, due anni fa, una simile contestazione portò in piazza 50 mila studenti e sfociò in scontrii con la polizia, con episodi di
violenza anche presso la sede del partito conservatore a Millbank.
La giornata è stata convocata dagli studenti per sollecitare il governo a investire nell’istruzione e nella creazione di nuovi posti di lavoro e protestare contro «l'abbattimento« delle
prospettive per il futuro dei giovani». La protesta era rivolta in particolare contro il leader
dei liberaldemocratici Nick Clegg che ha perso «una volta per tutte» la fiducia che gli studenti e i loro genitori avevano riposto in lui prima delle elezioni del 2010. «Il countdown
per le prossime elezioni è già iniziato», ha detto il leader del sindacato studentesco inglese Liam Burns, denunciando le «decine di migliaia di sterline di debiti accumulati dagli
studenti prima ancora di laurearsi, con poche prospettive di trovare un lavoro dopo».
nella succursale vicino a via Veneto
era più semplice». E invece, a sorpresa, l'assemblea ha deliberato l'occupazione. Ci sono state tensioni con la
preside che ha dato un ultimatum agli
occupanti. Non è stato rispettato, e da
giorni gli studenti hanno iniziato
un'educazione politica.
Lasciamo il centro nobile della città. Nel quartiere di Centocelle c’è il liceo classico Benedetto da Norcia in
via Saracinesco che è stato disoccupato dopo sei giorni. Incontriamo Davide, quest'anno al terzo liceo. «Sembra
un ossimoro – afferma – perchè l'occupazione è un gesto di forza. Però anche noi abbiamo chiesto democraticamente all'assemblea degli studenti
che cosa volevamo fare. E tutti hanno
risposto “occupazione”».
La rottura della normalità avviene
di notte, quando si dorme sui banchi
dove si scrivono i compiti in classe. È
questa la novita che cambia la testa e
fa maturare nuove passioni. «Il da Norcia erano vent'anni che non veniva occupato – continua Davide – come rappresentante d'istituto sono molto contento: è nata una nuova consapevolezza che ci ha molto uniti. In giro sento
molto la voglia di manifestare». «Nelle
occupazioni si forma uno spirito di fratellanza e comunione – racconta Nicholas del liceo Nomentano a Roma
Nord – Dall'offrire un caffè a chi ha fatto un turno di notte all'organizzazione dei corsi di auto-formazione. È un
momento che rompe la vita normale
della scuola e permette di raggiungere
gli studenti che non vanno mai all'assemblea mensile». Tra il 12 e il 16 novembre il Nomentano ha conosciuto
vari tentativi di blitz da parte dell'estrema destra di Lotta studentesca. Episodi simili sono avvenuti in molte altre
scuole. «La loro resta un'azione intimidatoria senza contenuti politici - risponde Nicholas – temono solo che
gli studenti si sveglino davvero». Dal
Nord a Sud, passando per il centro, le
scuole hanno fissato un puntamento
per sabato in piazza «contro un governo che non è stato eletto e segue come un cagnolino i dettami economici,
e non sociali, della Ue». Ro. Ci.
Un corteo antifascista per protestatre contro l’aggressione
compita martedì sera ai danni
di alcuni studenti che stavano
volantinando da un gruppo di
fascisti aderenti a Blocco studentesco e Casapound. La
risposa data dagli universitari
di Trento, che ieri hanno sfilato per le strade dlla città in
200, è stata pacifica. «Quelli
del Blocco avevano prenotato
a un bar vicino a Sociologia hanno spiegato - motivando
con una festa di laurea. Noi
stavamo volantinando, se
n'erano andati in molti, poi e'
spuntato un gruppo di ventitrenta violenti, che ci hanno
aggrediti». Ieri il corteo, partito dalal facoltà di Sociologia,
ha sfilato in maniera pacifica
fino alla Stazione, per poi tornare all’università. Con gli universitari anche studenti medi,
Anpi, Rifondazione comunista
e Centro sociale Bruno. Il corteo era aperto da due striscioni, «Mai un passo indietro,
antifascisti sempre», e «Ancora partigiani, ancora banditi,
la Resistenza continua».
24 NOVEMBRE: I SINDACATI A PIAZZA DEL POPOLO
Studenti in corteo
da Piramide in centro
A
ppuntamento a mezzogiorno. Gli studenti medi e universitari
si ritroveranno stamattina all’entrata del ministero di Grazia e
Giustizia in via Arenula, quel palazzo da cui vengono sparati lacrimogeni sui cortei in fuga dalle cariche della polizia, per annunciare
la nuova manifestazione unitaria di sabato prossimo.
Nell’appello diffuso nella serata di ieri, gli studenti annunciano che
sabato partiranno in corteo da Piramide «Percorreremo le strade del
centro - scrivono - saremo imprevedibili nell’attraversare la città e porteremo in piazza le pratiche che appartengono al movimento studentesco: arrivare ai palazzi del potere, occupare luoghi significativi, segnalare le banche in quanto responsabili della crisi, bloccare la città».
Quanto ai cinque principali sindacati della scuola, che sabato hanno indetto uno sciopero generale, l’appuntamento sarà «stanziale», in
piazza del Popolo. «Abbiamo rinunciato al corteo - spiega Massimo
Di Menna, segretario Uil Scuola- per non arrecare disagio alla cittadinanza di sabato pomeriggio».
Un proposito che sembra rispondere ai desideri del sindaco Alemanno, molto sensibile alla
libertà di circolazione delle
«Saremo imprevedibili autovetture e alla libertà di
scrivono - arriveremo
commercio nel centro storico e nel Tridente. I Cobas di
ai palazzi del potere,
Piero Bernocchi non ci stansegnalaremo le banche
no. Loro il corteo lo faranno
da piazza della Repubblica a
responsabili della crisi»
piazza Venezia. E chiedono
agli studenti di incontrarsi lungo il percorso. «Considereremo un’aggressione intollerabile qualsiasi tentativo di impedire l’espressione
della vostra libera e sacrosanta protesta». La Flc-Cgil parteciperà al
presidio di piazza del popolo e sostiene di non volere lasciare soli «
quei ragazzi e deve essere chiaro a tutti che, nel garantire la protesta
pacifica, serve il rispetto della legalità e della democrazia» Dopo lo
stop definitivo dell’aumento dell’orario lavorativo a 24 ore dei docenti, le ragioni dello sciopero consistono nella richiesta di condizioni salariali e contrattuali migliori a partire dal mancato ripristino degli scatti di anzianità. «Le lotte degli studenti e dei docenti pongono la necessità di cancellare le politiche di austerità che stanno allargando le disuguaglianze - afferma Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) - umiliando un’intera generazione che è esclusa dal lavoro e dal diritto allo studio».
L’Anief invita i docenti a ricorrere al tribunale del lavoro contro i tagli agli stipendi. «Faremo come i magistrati - affermano dal sindacato
- che hanno ottenuto dalla Consulta lo sbocco degli automatismi di
carriera». Tra il 2010 e il 2013, gli insegnanti e gli altri dipendenti pubblici hanno perso 6 mila euro in potere di acquisto. Ro.Ci.
TARANTO · La Ilva presenta istanza di dissequestro degli impianti dell’«area a caldo» e lancia una pesante minaccia
«O riaprono gli altoforni o chiudiamo lo stabilimento»
Gianmario Leone
TARANTO
L’
aut aut lo si apprende leggendo per intero
il testo dell’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo, presentata in procura dall’Ilva martedì mattina. «Se il sequestro preventivo dovesse permanere, pur a fronte del mutato quadro autorizzatorio e delle sottese valutazioni,
compiute dalle Autorità tassativamente competenti, l’ovvia insostenibilità economico-finanziaria delle novellate condizioni di esercizio - e della finalità
d'eccellenza e di unicità nel contesto europeo, che
le anima - condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell’attività produttiva ed alla chiusura del polo produttivo». Questo lo scenario messo nero su bianco e senza mezzi termini nel testo
dell’istanza, dal presidente del Cda dell’Ilva Bruno
Ferrante e dal legale Marco De Luca.
Nella richiesta, il legale e il presidente dell’Ilva
scrivono chiaramente che «il nuovo quadro autorizzativo (la revisione dell’AIA da parte del ministero
per l’Ambiente che prevede nuove prescrizioni per
il siderurgico rispetto alla precedente ndr) postula
interventi ed investimenti, anche nel breve termine, per valori che comportano il ricorso al credito,
ciò che risulta impossibile in costanza di provvedimenti limitativi della proprietà e della gestione dello stabilimento». Di qui l’aut aut: «o cessa il vincolo
cautelare reale posto sull’area a caldo dello stabilimento Ilva di Taranto - scrivono ancora Ferrante e
il legale dell’Ilva - o l’ottemperanza all’incisivo piano di interventi di adeguamento e il rispetto dei
nuovi limiti di emissioni diviene - da subito - econo-
micamente insostenibile».
Intanto ieri, un altro dipendente Ilva, Giampiero
Neglia di San Giorgio Jonico, è rimasto ferito in un
incidente di lavoro. L’operaio stava sollevando un
giunto utilizzando un mezzo meccanico che ha appoggiato ad una scaletta, quando quest’ultima ha
ceduto improvvisamente finendo addosso al lavoratore. Soccorso, è stato trasportato all’ospedale di Taranto: le ferite riportate non sono gravi. L’incidente
si è verificato nell’area della colata continua 4 dell’acciaieria 2, uno degli impianti attualmente posti
sotto sequestro. Infine è stato aggiornato al 27 novembre il confronto tra l’azienda e i sindacati metalmeccanici per discutere della Cigo per i 2 mila
operai dell’area a freddo del siderurgico, chiesta dall’azienda a causa della crisi di mercato. L’incontro
di ieri è finito con un nulla di fatto.
PRECARI ISFOL
Fornero incalzata
dalle «Iene»
abbandona la sala
Antonio Sciotto
L
e Iene devono aver letto la
nostra edizione on line del
20 novembre, dove si denunciava la condizione di precariato di 250 lavoratori dell’Isfol:
proprio su questo tema, infatti,
ieri uno dei giornalisti del popolare programma Mediaset ha incalzato la ministra Elsa Fornero
fino a indurla ad abbandonare
una conferenza stampa che
avrebbe dovuto tenere presso il
ministero della Salute.
La titolare del Lavoro, che già
nelle scorse settimane aveva avuto momenti di frizione con i giornalisti, invocando addirittura un
convegno a porte chiuse per poter parlare più liberamente, ieri
non ha resistito alla pressione
della troupe delle Iene, e dopo
aver abbandonato la sala (si sarebbe dovuto parlare di una prossima manifestazione sull’amianto) ha spiegato la sua reazione
per mezzo di una nota.
«Un incontro con la stampa rovinato e impedito dall’insistenza
e aggressività della troupe di una
trasmissione tv – spiega il comunicato – Per correttezza nei confronti del ministro Balduzzi e dei
giornalisti convocati, il ministro
Fornero aveva deciso di rispettare l’appuntamento nonostante
non fosse in buona salute. Di
fronte però alla prevaricazione
della troupe tv nei confronti dei
giornalisti presenti e l’insistenza
nel voler porre questioni che nulla avevano a che fare con i temi
previsti, il ministro ha dovuto lasciare l’auditorium. Non si può
che stigmatizzare simili comportamenti che nulla hanno a che fare col diritto di cronaca».
La ministra ha ricevuto la solidarietà del collega alla Salute, Renato Balduzzi: «Non posso non
stigmatizzare questo modo di fare informazione – ha detto – Fornero è oggetto di una vera e propria persecuzione".
È certamente importante, a
questo punto, ricordare in breve
la vertenza che vede impegnati i
250 lavoratori a termine dell’Isfol con il proprio istituto di ricerca, emanazione del ministero
del Lavoro. Un verbale degli
ispettori del lavoro (anche loro,
paradossalmente, parte del ministero guidato da Fornero) ha certificato nel 2007 che per almeno
7 anni (fin dal 2000) l’istituto ha
utilizzato 210 cococò abusivamente, perché in realtà svolgevano lavoro dipendente. Quei cococò non sono mai stati regolarizzati, e oggi sono parte dei 250 lavoratori a tempo determinato.
Ben 120 precari Isfol hanno
già fatto causa al ministero, per
ottenere il posto a tempo indeterminato, i contributi e gli elementi retributivi persi negli ultimi 15
anni e più (i primi assunti risalgono addirittura al 1996). E sull’Isfol pesa anche una richiesta
dell’Inps: 1,3 milioni di euro a titolo di contributi non versati.
Tornando alla ministra del Lavoro, ieri ne ha avuto anche per
gli studenti. «Quando vedo gli
studenti che scrivono "ministro
Fornero saremo il suo incubo"
questo mi dà dolore, è una prova
di non maturità e un approccio
abbastanza violento», ha detto
durante la registrazione di Porta
a Porta riferendosi a una contestazione in atto davanti al Cnel.
E poi ha aggiunto: «Sto pensando di fare una giornata in cui
mettermi a disposizione, sul
web o in piazza, per spiegare ai
cittadini le nostre riforme».
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
pagina 7
POLITICA
PRIMARIE · Greenpeace: nuove iniziative per il voto di domenica. Contro «gli amici del carbone»
PRODUTTIVITÀ
«Gazebo eco-insostenibili»
Accordo firmato,
la Cgil non ci sta
Daniela Preziosi
ROMA
«B
L’
ersani è il leader di un partito
che ha molti capaci ambientalisti, ma che ha fatto troppo poco. Professa sostegno alle fonti rinnovabili, ma né nell’opposizione né nelle scelte concrete si fa sentire. Faccio un
esempio? Il più grosso progetto di impianto a carbone che c’è in Italia, una
centrale dell’Enel nel parco del delta del
Po, a Porto Tolle in Veneto, è stato bocciato dal Consiglio di Stato. Ma poi salvato da due leggi ad hoc: una del governo
Berlusconi, un’altra del governatore Zaia. Il Pd si è astenuto. Capogruppo alla
regione è Laura Puppato». In un esempio ne sistema due, di candidati alle primarie del centrosinistra, Andrea Boraschi, responsabile energia di Greenpeace Italia. L’organizzazione dell’ambientalismo più radicale nei giorni scorsi ha
fatto un blitz simbolico di affissioni a Roma, «ma senza sporcare la città» giura,
per il lancio della campagna «Io non vi
voto» contro il carbone, che arriverà ap-
La classifica dei
candidati ’puliti’
toccherà anche al Pdl
«Guardiamo i fatti,
non i programmi»
punto fino al voto di primavera. Sui primi manifesti campeggiano le facce di
Bersani, Casini, Fini, Renzi e Vendola. A
cui si chiede dritto se sono «amici del
carbone». «Ma non sono solo loro i target. La nostra campagna è rivolta a tutti,
destra a sinistra. A tutti abbiamo mandato un questionario con nove impegni. Al
contrario dell’antipolitica chiediamo ai
cittadini di interloquire con la politica.
Di dettare le condizioni del loro voto».
Annunciate nuove iniziative in coincidenza con le primarie del centrosinistra, domenica prossima. Ce l’avete
con i cinque candidati?
Parleremo con i loro elettori. In Liguria, è un altro esempio, c’è una centrale
a carbone di Tirreno Power, un gruppo
controllato dalla famiglia De Benedetti,
grande elettrice di Bersani a queste primarie. È una centrale molto inquinante
il cui progetto è portato avanti, fino a volerne un ampliamento, dal presidente
Burlando, del Pd, contro i sindaci di centrosinistra di Vado Ligure e Quiiano.
Avete stilato una graduatoria dei politici più amici del carbone?
Il governo Monti vuole varare una
strategia energetica nazionale che vuole
fare dell’Italia un Texas dei poveri. Prevede di sfruttare misere risorse petrolifere, per lo più in mare, capaci di soddisfare i consumi di poche settimane ma di
esporci al rischio di disastri come quello
del Golfo del Messico. Il governo Monti
è omertoso: sul carbone non parla chia-
ROMA, UNO DEI MANIFESTI DEL ’BLITZ’ DI DOMENICA A SINISTRA: ANDREA BORASCHI, GREENPEACE
ro. Ci sono sul suo tavolo i progetti di tre
nuove centrali. Prima, in questi anni, di
favori al fossile ne abbiamo visti parecchi. E di opposizione poca. La «strategia
energetica» prevede ingenti investimenti in perforazioni offshore in una superficie di mare grande come la Sicilia. La minaccia incombe sul Canale di Sicilia e
sull’Adriatico. Cosa si aspetti il governo,
fatichiamo a capirlo. I risvolti occupazionali sono miseri, le royalties che le compagnie petrolifere pagherebbero all’Italia sono tra le più basse al mondo e in assoluto le più basse in Europa. Mentre si
tartassano cittadini e imprese, questo
petrolio viene regalato alle compagnie,
dall’italiana Eni alla Shell.
Torniamo al centrosinistra. L’altro
giorno ambientalisti storici del Pd, come Realacci, Della Seta e Ferrante, vi
hanno dato ragione e hanno di nuovo
chiesto che l’Italia si ponga l’obiettivo del 100% di rinnovabili nel 2050.
È una dead line ambiziosa ma ragionevole. Ma prima del 2050 ci sono gli
obiettivi per il 2020 e il 2030: la gara non
è a chi la spara più alta ma a chi da oggi
fa le scelte giuste. Se si tagliano i sussidi
alle rinnovabili la strada è sbagliata.
Ancora sulle primarie, Vendola esibisce le cifre dell’energia pulita come
uno degli impegni della sua giunta.
È stato il primo a rispondere alle nostra mail, ci ha risposto nove sì. La Puglia ha vissuto uno sviluppo importante
delle rinnovabili. Ma dal giorno in cui si
è insediato a oggi la produzione elettrica da carbone non è diminuita. E la Puglia ospita a Brindisi due centrali a carbone, una delle quale è la più grossa centrale, di Enel, già denunciata dall’Agenzia europea per l’ambiente come l’impianto industriale più inquinante d’Italia. Da Vendola ci aspettiamo un impegno incisivo anche su questo.
Il movimento 5 stelle in molti territori
è nato sulle battaglie ambientaliste.
Promuovete Grillo?
Siamo un’associazione indipendente. Le 5 stelle non ha ancora una storia
di amministrazione. Ieri, per esempio,
ci ha risposto il candidato alle primarie
del centrodestra Gianpiero Samorì.
Prendendosi grandi impegni. Ma non
giudichiamo la politica dalle parole. E
parleremo anche con gli elettori delle
primarie del centrodestra, se si faranno.
I primi applausi non
sono per Ambrosoli
Luca Fazio
Cesio 137, il comune
dà l’incarico alla Sogin
B
A
Brescia c’è «un rischio concreto
di contaminazione radioattiva»
della falda acquifera. Dopo
l’emergenza lanciata dall’Agenzia regionale per l’ambiente sui rifiuti radioattivi
interrati nell’ex cava Piccinelli, l’allarme
sul Cesio 137 si è esteso alla Asl.
Il 10 luglio le autorità sanitarie hanno
inviato una lettera - resa nota pochi giorni fa - al sindaco di Brescia Adriano Paroli sollecitandolo a intervenire «con
ogni urgenza» a tutela della salute pubblica. «Esiste la possibilità - scrive il direttore sanitario dell’Asl Francesco Vassallo - che la falda freatica abbia raggiunto in passato, e anche recentemente, i rifiuti radiocontaminati». È necessaria
quindi «l’immediata asportazione» delle scorie e la bonifica del sito, un intervento che giunte e autorità rimandano
da più di quindici anni.
Lunedì scorso, anche grazie a un’inchiesta del manifesto del 28 ottobre, la
questione del Cesio 137 è stata discussa
in consiglio comunale con un’interrogazione presentata dai consiglieri di Sel e
Pd, secondo la quale i monitoraggi si so-
no interrotti con la giunta di centrodestra «tra il 2007 e il 2011, quando la falda
è risalita di quattro metri» arrivando a
pochi centimetri dalle scorie interrate.
Ha risposto l’assessore all’ambiente
Paola Vilardi del Pdl, preoccupata più di
attaccare la «stampa allarmista» che dalla minaccia radioattiva (il giornalista
che ha raccontato del Cesio 137 verrà
«perseguitato» ha detto con un lapsus significativo Vilardi, moglie dell’ex sottosegretario nuclearista allo Sviluppo Economico Stefano Saglia).
Da documenti del Comune di Brescia risulta che l’unico intervento effettuato finora sia il via libera a un incarico, per 77mila euro, affidato il 9 novembre (quindi dopo l’articolo del 28 ottobre) alla ditta Nucleco del gruppo Sogin
che dovrà riportare la situazione del sito
a quattordici anni fa. Verranno posizionati nuovi teli sulle scorie interrate e rimossi alcuni fusti con materiale radioattivo che l’Arpa ha trovato abbandonati
in un capannone nell’ex cava «in condizioni di significativo deterioramento». I
2mila metri cubi di polveri al Cesio 137
che minacciano la falda, invece, rimarranno dove sono.
Primarie sì, primarie no, primarie quando? Non è bastata una
riunione di 6 ore a palazzo Grazioli, un lunghissimo e accesissimo braccio di ferro tra Angelino
Alfano e Silvio Berlusconi, presente il mediatore Gianni Letta,
a sciogliere il nodo. Il segretario
del Pdl avrebbe messo anche le
sue dimissioni sul tavolo. Dopo
il vertice Alfano assicura che la
data della consultazione sarà
annunciata oggi (la sua idea
sarebbe un turno secco il 13
dicembre), ma rimanda al vertice che sempre oggi si terrà a
via dell’Umiltà, con i cooordinatori regionali e provinciali del
partito, «per un confronto sulle
questioni organizzative e sulla
data delle primarie». La speranza di Alfano è che dall’incontro
possa arrivare una soluzione.
PRIMARIE LOMBARDE
BRESCIA · Dopo la nostra inchiesta scoppia il caso
Andrea Tornago
CAOS PDL
Scontro Alfano-Cav
primarie in forse
accordo è «completo,
condiviso, autosufficiente». E se lo firmasse anche la Cgil, a Mario Monti «farebbe piacere» e «lo auspico vivamente». Ma «non dal punto di vista della validità dell’accordo
che c’è per tutti i firmatari e per
l’impegno del governo», taglia
corto. Al termine dell’incontro a
palazzo Chigi, il premier commenta così la mancata firma del
sindacato di Susanna Camusso
all’accordo sulla produttività, siglato in serata da Abi, Ania, Confindustria, Lega cooperative, Rete imprese Italia, Cisl, Uil e Ugl.
La Cgil, ha anche declinato l’invito in ogni caso a partecipare alla
conferenza stampa conclusiva,
nella quale Monti dice senza
troppi complimenti di auspicare
non un ripensamento quanto
«un’evoluzione del pensiero in
tempi brevi» rispetto all’accordo
che, tra le altre cose, rafforza la
contrattazione di secondo livello
con una «chiara delega» sulla
prestazione lavorativa, gli orari e
l’organizzazione del lavoro.
Nel corso dell’incontro a palazzo Chigi Susanna Camusso ribadisce che «questa è una strada
sbagliata, con la quale non si tutelerebbe più il potere d’acquisto». E il premier: «Il problema è
far crescere l’economia attraverso la produttività. Ora non possiamo permetterci la detassazione delle tredecesime». Ma questo non era l’unico punto contestato dalla Cgil. La cui segretaria
- secondo la quale il risultato «è
deludente» e «se c’era la volontà
si poteva risolvere in modo diverso» - a tarda sera convoca una
conferenza stampa in Corso Italia. Soddisfatti invece i firmatari.
Mmentre per il responsabile economia del Pd «l’accordo separato è certamente un problema
per il paese».
Il ministro Corrado Passera annuncia che il governo metterà a
punto un Dpcm «con le parti sociali» per «regolamentare» la distribuzione delle risorse che
«non sarà a pioggia, ma saranno
definite le caratteristiche dei contratti di produttività che potranno avere la defiscalizzazione».
MILANO
uona la prima, tranne che
per Umberto Ambrosoli,
l’enfant prodige che il centrosinistra ha evocato come il salvatore della patria. «Eh, deve ancora
imparare... », sospirano in sala.
L’altra sera i candidati alle primarie si sono presentati per la prima volta davanti a una platea di
elettori, ben disposti e in là con gli
anni. L’auditorium San Carlo era
una sauna, ma sbuffavano anche
gli esclusi stipati in cortile, le orecchie tese verso l’altoparlante, «ma
chi ha organizzato?» (Cgil, Anpi, Libera, Legambiente, Cna, Forum
terzo settore, Lega Coop). Andrà
meglio la prossima, altrimenti per
il figlio dell’avvocato si mette male,
anche se i sondaggi – che non esistono ma fanno già danni – lo indicano come (quasi) sicuro vincitore. Incredibile, a vederli sul palco
uno dopo l’altro.
Dei dieci minuti concessi, Umberto Ambrosoli ne spreca sette
per invitare il centrodestra a stringere un patto «per istituire un tetto
di spesa per la campagna elettorale», gli altri tre sono per la sua specialità, l’istituzione di una sorta di
commissione antimafia che vigili
sugli affari della Regione Lombardia, «mi piacerebbe che ci fosse
Giancarlo Caselli». Legalità, legali-
tà e ancora legalità, quasi ovvio se
non fosse che è già diventata una
ideologia e che non basta per rinascere dopo diciassette anni di Formigoni. Nessun cenno, invece, alla
sanità lombarda, eppure un chiarimento era necessario dopo le prime esternazioni a mezzo stampa,
«la sanità privata non va demoniz-
Al debutto, Di Stefano
e Kustermann scaldano
una platea moderata
fatta su misura per il
figlio dell’eroe borghese
zata» - potrebbe anche essere vero,
ma suona strano dirlo nella regione dove lo spostamento di risorse
dal pubblico al privato, con gli
scandali annessi, sono la cifra di
un regime malato che si è sbriciolato nel giro di poche settimane.
Di segno opposto, stilisticamente scravattato, con quella felpa
Obama da babau rassicurante, l’intervento di Andrea Di Stefano, il direttore della rivista Valori, uno di sinistra che da queste parti non si vedeva e sentiva da anni (nella veste
di candidato). La platea ringiovanisce di colpo, partono una trentina
di applausi, molti si guardano di
traverso, «ma perché no?». Di Stefano vuole garantire i «diritti» dei cittadini dopo «17 anni di dittatura di
un uomo solo al comando». Al lavoro, alla salute, al bene comune. Alza la voce, è meno sornione di
quando si esibisce a Radio Popolare dispensando pillole di macroeconomica saggezza. Il suo, in pochi minuti, è un programma concreto che suona rivoluzionario in
una regione governata da sempre
dal centrodestra. Il reddito minimo garantito, pescando fondi dagli
sprechi e dalle regalie alla sanità
privata, una programmazione economica ambiziosa per ridistribuire
opportunità a tutti, l’ecologia «nessuno dice che a Brescia la situazione è peggio che all’Ilva di Taranto» - e soprattutto il la-vo-ro! Di
Stefano lascia il palco solo dopo
aver strappato la promessa di un altro incontro, «il tempo è poco, dobbiamo rivederci». Quel poco che rimane lo usa al meglio Alessandra
Kustermann, la ginecoloca, unica
donna candidata, tosta, tostissima.
Veste di rosso, si finge «inadeguata» dopo il ciclone Di Stefano, poi
attacca Ambrosoli sulla sanità, l’argomento principe da cui non si
può prescidere in questa campagna elettorale. «A chi dice che quella privata non va demonizzata...», e
via strappando applausi, «voglio il
50% di donne nella giunta, nelle
partecipate, nei cda...». Don-ne,
don-ne (e Ambrosoli farebbe bene
a preoccuparsi). E ce n’è anche per
il suo «compagno liberista seduto
qui davanti», anche a lui Kustermann vuol dire che «la sanità non
è merce, non ho fatto il medico per
fare soldi». Altri sguardi visibilmente soddisfatti, «ma perché no?».
Chiedete al Pd, che le primarie
le ha perse (quasi) tutte.
DDL DIFFAMAZIONE
LaFnsi:«Cambiare
il testo o pronti
allo sciopero»
Carlo Lania
ROMA
O
rmai siamo all'accanimento terapeutico, all’ostinazione di voler far passare
un pessimo disegno di legge diventato per Pdl e Lega una battaglia di bandiera anche se del tutto
inutile. Siamo alle ultime battute
per la legge sulla diffamazione i discussione al Senato. Ieri l’aula ha
respinto sia la richiesta di sospensiva del testo che quella di formulare un nuovo calendario che desse la priorità a provvedimenti più
urgenti. Proposte entrambe avanzate dal Pd ma respinte per appena cinque voti, segnale di come
l’aula di palazzo Madama sia ormai divisa a metà. Determinanti
per il voto, ovviamente, Pdl e Lega, decisi a fare del ddl una questione di principio. Che però rischia di non avere molto futuro visto che difficilmente la Camera,
dove il testo arriverà lunedì dopo
il voto del Senato, lo approverà.
Una prova di forza alla quale ieri la Federazione nazionale della
Stampa ha risposto minacciando
uno sciopero dei giornalisti (sia tv
che stampa) per lunedì se palazzo
Madama non dovesse modificare
il testo in discussione. Ad annunciarlo è stato ieri il segretario della
Fnsi Franco Siddi al congresso dell’Usigrai a Salerno. Lo sciopero,
ha detto Siddi, è «contro l’ultimo
pasticcio giuridico, illiberale e ingiusto del ddl sulla diffamazione,
che rende irresponsabili i direttori e manda in carcere i giornalisti
e anche chi fa l’errore di stampa».
Il riferimento è all’ultima versione
della legge dopo l’approvazione
di un emendamento del presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli (Pdl) che in caso di
condanna esclude il carcere per i
direttori lasciando ai giornalisti
l’assurda scelta tra pagare multe
pesantissime (da 5 mila a 50 mila
euro) o trascorrere fino a un anno
in una cella.
«Un obbrobrio» per il senatore
Pd Vincenzo Vita, che ormai ammette di non trovare più nemmeno le parole per definire il testo in
discussione. «A dispetto dei santi
e dei diavoli - ha detto ieri Vita una risicatissima maggioranza
dell’aula ha deciso il ritorno all’inferno, dov’era giustamente finito,
di un provvedimento che, nato
per evitare il carcere per i giornalisti, l’ha riproposto perfino in modo plateale».
A dir poco stupita per quanto
accaduto anche Anna Finocchiaro, incredula davanti alla decisione presa dall’aula di lavorare anche di lunedì. «E’ da sette anni
che presiedo il gruppo parlamentare al Senato - ha spiegato - e sono sette anni che chiedo che l’aula lavori anche di lunedì. Senza alcun risultato. Ora invece, per il
ddl Sallusti, l’aula si riunirà. E’
davvero incredibile». Così come
incredibile appare la scelta non
non anteporre la discussione su
provvedimenti più urgenti, come
la delega fiscale, a quella sul ddl
sulla diffamazione
Scelta che si deve solo alla decisione di Pdl e Lega di fare fronte e
andare avanti a tutti i costi con un
testo che, pur giudicato da tutti
inutile perché non salva il direttore del «Giornale» dal rischio del
carcere (come lui stesso ha ricordato martedì), rappresenta sempre un grosso rischio per la libertà
di informazione. «Un’idiozia che
dimostra il livello infimo del nostro parlamento», taglia corto un
altro direttore vicino al centrodestra come Vittorio Feltri.
pagina 8
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
REPORTAGE
ANTONIO DI PIETRO
Nessuno spazio per democrazia e trasparenza interna. Fedelissimi, piccoli ras
e parenti hanno il comando e moltissimi iscritti scelgono la via della fuga. Viaggio
in un partito in profonda crisi morale e politica. Un’anticipazione da Micromega
Idv, la deriva
lombarda
Andrea Managò, Giacomo Russo Spena
«O
ggi siamo una forza politica
che rischia di arrivare a due cifre. Dobbiamo essere attenti a
non farci fare le scarpe. Votato all’unanimità, più da amici che da gente di partito. Abbiamo come obiettivo Antonio Di Pietro».
Brevi stralci di un video quanto mai eloquente. Marzo 2009, Vito Giannuzzi, appena eletto coordinatore provinciale dell’Italia dei valori a Milano, carica che ricopre
tuttora, parla davanti a una telecamera. La
sua grammatica stentata racconta più di
ogni altro particolare uno dei difetti principali della classe dirigente dipietrista lombarda: i criteri di selezione. Ex meccanico
all’Alfa Romeo, già assessore provinciale
della giunta di Filippo Penati, ora è uno dei
ras dell’Idv in Lombardia. Braccio destro
del capogruppo in Regione Stefano Zamponi, lavora proprio al Pirellone come impiegato del gruppo consiliare. Con lui ha trovato posto in consiglio anche la moglie, Silvana Martino. Non è certo l’unico caso di cooptazione per vie familiari.
L’analisi dei metodi di gestione delle federazioni regionali potrebbe suggerire ad
Antonio Di Pietro alcune risposte sull’origine della profonda crisi che scuote l’Italia
dei valori. In Lombardia, vero cuore pulsante del partito, l’organizzazione ricalca
fedelmente alcuni «accorgimenti» in uso a
livello nazionale. Non solo a causa del familismo, la meritocrazia trova porte sbarrate,
con una prassi politica che a tratti si fa padronale: decisioni calate dall’alto, congressi con le truppe «cammellate», pacchetti di
tessere, commissariamenti, poca trasparenza nella gestione dei fondi. E la democrazia interna? Un’utopia. Un sistema difficile da scardinare – tenuto in piedi da uomini vicinissimi all’ex pm di Mani Pulite
con una struttura che ricorda la piramide
feudale: l’imperatore in cima, una cascata
di valvassori e valvassini, infine la base di
militanti-plebei privi di voce in capitolo.
Procediamo con ordine. Cinque i nomi
chiave che tengono le redini del partito
lombardo: Ivan Rota, Gabriele Cimadoro,
Sergio Piffari, Stefano Zamponi e Alessandro Milani. Una nomenklatura saldamente
al potere da quasi dieci anni, legata in alcuni casi da vincoli di parentela con Tonino,
poco propensa a lasciare le proprie poltrone per favorire il ricambio generazionale.
Eppure i risultati delle urne annoverano
pochi successi elettorali. Innegabile la buona performance ottenuta col 6 per cento alle regionali del 2010, un balzo in avanti rispetto all’1,5 per cento del 2005, ma le percentuali a volte ingannano, perché l’Idv intercetta soprattutto un voto di opinione.
La riprova? Nelle ultime tornate elettorali i
candidati più votati sono stati proprio quelli esterni al partito, come Luigi de Magistris, Sonia Alfano e Giulio Cavalli. Dopo il
2010 inizia il declino, calano i consensi e
con essi i militanti. La federazione lombarda stima 4.500 iscritti, ma le cronache sul
territorio raccontano numerosi abbandoni
e un partito ormai svuotato da una gestione di stampo clientelare. «Si predica bene
e si razzola malissimo al proprio interno»,
la frase più gettonata tra gli ex iscritti. Molti
di loro hanno scelto la via della fuga: a volte verso Sel, come il consigliere antimafia
Giulio Cavalli, altre verso liste civiche.
I valvassori
Nella ripartizione dei poteri la collezio-
GABRIELE
CIMADORO
ALESSANDRO
MILANI
SERGIO PIFFARI
IVAN ROTA
STEFANO
ZAMPONI
ne di poltrone più lunga tra i
cacicchi lombardi può vantarla senza dubbio Sergio Piffari.
Segretario regionale dal 2005,
contemporaneamente deputato nell’ultima legislatura, il
suo curriculum trasuda incarichi politici. Nato a Valbondione, mille abitanti tra i monti
della Val Seriana, ha trasformato il piccolo paese alpino nella base di
partenza della sua ascesa politica. Tra le
vette innevate possiede, in comproprietà
con i parenti, l’Hotel Gioan, un tre stelle a
pochi passi dalle piste da sci. Proprio dal locale municipio inizia la sua
carriera politica, prima come
consigliere comunale, poi in
veste di sindaco (1991-2001), i
voti di preferenza crescono e
gli consentono di conquistare
anche uno scranno in consiglio provinciale a Bergamo.
Conclusi gli incarichi elettivi
passa al ministero delle Infrastrutture, dove Di Pietro lo nomina consulente per la viabilità in Valtellina. Il pallino per il turismo però non lo abbandona. Negli anni, tra una riunione politica e l’altra trova il tempo per dirigere gli
impianti di risalita di Lizzola, sedere nel
consiglio di amministrazione
della Comunità montana dell’Alta Valle Seriana e lavorare
all’organizzazione di manifestazioni sportive per la società
Promoeventi. La passione per
la montagna la condivide con
i compagni di partito: nel suo
hotel infatti si svolgono incontri, convegni e seminari di formazione politica dell’Idv. Si
spende anche per le nuove generazioni di
militanti, il 14-15 novembre del 2009 ospita una due giorni dal titolo «La Lombardia,
dalla parte dei giovani» in preparazione delle regionali. Il concetto però non fa breccia
tra l’elettorato, visto che il più
giovane dipietrista eletto al Pirellone ha 44 anni. Lui però tira dritto per la sua strada e
non trascura nemmeno l’impegno nel sociale. Tra settembre a dicembre 2011 i centri
di accoglienza per l’emergenza Nordafrica smistano in Val
Seriana 23 profughi nigeriani.
Sarà il caso o forse il destino,
sta di fatto che vengono ospitati per circa
tre mesi nella dependance dell’Hotel Gioan di Valbondione: 53 chilometri di curve
da Bergamo. Viene da chiedersi se in tutto
il bergamasco non esistesse una sistemazione più agevole. Di sicuro
per il servizio reso alla collettività la struttura incassa i rimborsi erogati dal governo tramite la Protezione civile: 46
euro al giorno per ciascun
ospite, 40 vanno all’albergo e
6 alla Caritas. Numeri alla mano il conto fa circa 75 mila euro. Non proprio spiccioli.
Nel corso degli anni qualcuno prova a sollevare dubbi e perplessità sull’eccessivo potere concentrato nelle mani
di Piffari ma gli altri colonnelli dell’Idv lombardo sembrano fatti della stessa pasta. Primo fra tutti Stefano Zamponi: classe 1947,
avvocato cassazionista proveniente dalle file della Democrazia cristiana. Alle ultime
elezioni regionali arriva secondo per numero di preferenze dopo l’outsider Giulio Cavalli, malgrado questo si impone come capogruppo forte di una legislatura già passata al Pirellone. Oggi riveste contemporaneamente tre cariche «pesanti»: capogruppo
alla Regione, vicecoordinatore regionale e,
dopo l’abbandono di Cavalli, commissario
a Milano. Rispetto al collega laziale Vincenzo Maruccio, indagato per peculato e distrazione di denaro pubblico, la gestione
dei fondi al gruppo regionale non ha ombre: il rendiconto 2011 annovera tra le uscite 47.754,66 euro per spese di funzionamento e 56.744,96 per la comunicazione.
Certo, la trasparenza totale vorrebbe in bilancio l’elenco delle singole spese effettuate, ma il gruppo lombardo sposa la linea
delle voci aggregate in capitoli avanzando
necessità di rispetto della privacy dei fornitori pagati.A ciascuno il suo stile.
Quando l’impero di Roberto Formigoni
giunge al tramonto, Zamponi fiuta il vento
e si autocandida alle primarie del centrosinistra alle prossime regionali lombarde. Eppure il suo operato non sembra riscuotere
simpatie diffuse tra i militanti di base, diversi lo accusano di aver allontanato l’opposizione interna e lamentano una gestione padronale del partito in Lombardia. Numerose le occasioni di scontro anche con
la senatrice Giuliana Carlino, una legislatura in consiglio comunale a Milano, poi assessore della giunta Penati e dal 2008 a Palazzo Madama. Quando la Carlino lascia
l’incarico in Provincia, voci dicono anche
dopo pressioni ricevute dal gruppo dirigente, Zamponi la rimpiazza col solito fedelissimo Vito Giannuzzi. Così, mentre il capogruppo è impegnato a tessere le sue trame
politiche, Biagio Angrisano, membro dell’esecutivo provinciale di Brescia,gli spedisce una lettera emblematica sullo stato di
salute del partito.
«Caro Zamponi, dobbiamo stravolgere
al nostro interno una metodologia operativa che sta distruggendo i nostri ideali e rischia in modo serio di cementificare le nostre idee. Caro Stefano, devi ben comprendere che non è possibile che Sergio Piffari
possa nuovamente ricandidarsi alla stessa
carica (coordinatore regionale), verrebbe
snaturato il principio della democrazia.
Scusami se insisto,ma all’interno del parti-
to e non soltanto a livello regionale, assistiamo al fenomeno del così detto «inchino», dobbiamo avere il coraggio, tutti assieme, di abbattere radicalmente tale rapporto che sempre di più è paragonabile a una
vera metastasi, ci impedisce di crescere e
di trasmettere i nostri veri valori, che non
appartengono unicamente a pochi soggetti. Il nostro partito si sta indebolendo, non
soltanto in termini di credibilità, dobbiamo creare un diaframma per evitare tale
malessere». La missiva rimane senza risposta, e non sarà la sola.
Chi comanda a Milano
Nella federazione di Milano non va meglio. «Zamponi crede di essere il capo del
partito», accusa Marco Quattrocchi, ex consigliere Idv a Cinisello Balsamo, che nel
LASCIANO ALTRI 2 DEPUTATI E UN SENATORE
A Montecitorio il gruppo scende sotto quota 20
Il leader: «Mostriamo i muscoli all’assemblea nazionale»
L’Idv perde altri pezzi. Dopo l’addio del presidente dei deputati Massimo Donadi e del senatore Nello Formisano, lasciano il gruppo della camera Gaetano Porcino e Giovanni Paladini, coordinatore
della Liguria. A Montecitorio il gruppo scende a quota 17, sotto la soglia dei 20 deputati prevista
dal regolamento. E a palazzo Madama lascia Stefano Pedica. Nascerà un nuovo soggetto politico
«saldamente ancorato al centrosinistra», annuncia Donadi, che sarà presentato oggi alla camera. In
vista dell’assemblea nazionale del 15 dicembre a Roma, Antonio Di Pietro prova a serrare le fila e a
recuperare il rapporto con il Pd (tre delegati incontreranno gli esponenti del Partito democratico e di
Sel per ottenere la presenza del candidato premier all’assemblea). «L’Italia dei valori c’è ed esiste
ancora ed è fortemente determinata a rilanciare la propria azione politica», scrive Di Pietro, spiegando che l’appuntamento del 15 «servirà anche a riorganizzare la classe dirigente, attraverso una nuova fase congressuale che dovrà portare ad una più capillare democratizzazione delle strutture di partito e a una maggiore trasparenza della gestione». Saranno approvate «regole più stringenti circa
una maggiore attenzione sulla questione morale e la trasparenza amministrativa». Poi il leader si
impegna a convocare l’esecutivo a gennaio. Nella lettera di convocazione dell’assemblea Di Pietro
prega, «anzi supplico tutti coloro che credono nel nostro partito di partecipare in massa» perché «è
anche il momento di ’mostrare i muscoli’, vale a dire che bisogna realizzare un’assemblea generale
molto partecipata che sappia proporsi all’opinione pubblica con determinazione e spirito unitario».
2011 lascia l’incarico perché «insoddisfatto» della gestione interna al partito. Una
scelta che testimonia il disagio crescente
anche tra gli eletti. E racconta: «Non c’erano più i margini per fare politica, democrazia e trasparenza sono state sostituite con
le scelte imposte dall’alto». È il caso della
nomina della referente comunale di Cinisello Balsamo, Valentina Franceschi, volto
semisconosciuto sul territorio ma fedele di
Zamponi ed ex dipendente di Ivan Rota, responsabile Organizzazione nazionale e altro uomo forte dell’Idv lombardo. Lo stesso copione si ripete per la scelta di due assessori, sempre a Cinisello: per Quattrocchi e Angelo Schiavone, altro consigliere
comunale dipietrista, non restano che le dimissioni. Cambiano i comuni dell’hinterland milanese, non le dinamiche di potere.
Stanchi delle frizioni col gruppo dirigente,
il 23 settembre 2011 a Melegnano tutti i militanti riconsegnano la tessera.Nella cittadina che ogni anno ospita la «Fiera del Perdono» si scatena una vera e propria guerra intestina. La ruggine tra la nomenklatura e la
base ha origine dal sostegno dei militanti
locali alla campagna elettorale di Giulio Cavalli per le ultime regionali, tra i primi a sostenerlo al coordinamento provinciale c’è
Eugenio Gigliotti, già sfidante di Giannuzzi
a Milano.Troppo grande l’affronto per i ras
locali per non intervenire. «Ci hanno messo i bastoni tra le ruote in tutti i modi», spiega Giuseppe Armundi, che ora fa politica
in una lista civica di centrosinistra, «ci hanno impedito di aprire un circolo, sdegnati
abbiamo stracciato le tessere». Dopo la diaspora della base a Melegnano il partito subisce un vero e proprio tracollo, passando
dal 10 al 2 per cento. Impietoso il confronto tra i 700 voti delle regionali 2010 e i 186
delle comunali dell’anno successivo. Non
proprio un successo per la classe dirigente
dipietrista lombarda.
I problemi più grandi però si verificano
a Milano, dove alle ultime amministrative
l’Idv ha ottenuto un misero 2,5 per cento.
Dall’estate 2011 Zamponi diventa commissario della federazione cittadina, che piomba in uno stato di immobilismo: diminuiscono le attività e soprattutto i consensi. I
numeri ufficiali parlano di circa cinquecento iscritti, l’ex fronda interna ribatte che
non superano i duecento. La diaspora inizia dopo lo scontro tra Zamponi e il vecchio coordinatore Giulio Cavalli – che insie-
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
REPORTAGE
me a Luigi de Magistris e Sonia Alfano chiede una linea politica che affronti la «questione morale» interna – ma alla fine può
solo lasciare il partito. Con le urne in vista
torna l’attività politica, tutti i venerdì sera
si tiene un corso di formazione politica all’Hotel Doria, visto che la sede di via Lepontina è inadeguata. E pensare che proprio
Di Pietro, nel giugno 2009, aveva promesso: «I rimborsi elettorali serviranno a creare nuove strutture sul territorio». Per Alessandro Diano, membro del direttivo provinciale milanese, «più che un corso di formazione politica sembra un preoccupato
"serrate le file" alla truppa fatto da una dirigenza autoreferenziale con sempre meno
soldati, le lezioni a volte si trasformano in
surreali comizi». E continua: «Nell’intervento del capogruppo regionale di formativo
c’è stato ben poco, ha invitato i nostri militanti a iscriversi alle primarie del Pd per votare in massa Bersani e non aprire alla pericolosa rottamazione di Renzi». Della serie,
preveniamo il ricambio tra i democratici
prima che travolga anche noi.
È questo il clima in cui lo scorso anno
Giorgio Poidomani, ex militante, chiede
per iscritto l’intervento del segretario Antonio Di Pietro per risollevare le sorti del partito milanese. «Presidente, siamo stanchi,
il problema è quando, rispetto agli indirizzi dettati dal direttivo nazionale, sul territorio giungono input non coerenti o addirittura che capovolgono nella sostanza le
aspettative della stragrande maggioranza
di sostenitori militanti ed elettori del partito. Ai livelli locali non di rado trionfa l’ipocrisia e l’interesse personale dei dirigenti,
per i quali più del bene comune conta il tornaconto diretto, incuranti che questo comportamento spinge le persone più semplici
e disinteressate a lasciare il partito, perché
in ciò vedono riproporsi il lato peggiore della vecchia politica, che nulla dovrebbero
avere a che fare con l’Idv». Anche in questo
caso nessuna risposta, un silenzio che Poidomani non riesce a tollerare e lo induce a
lasciare il partito.
A Milano avvengono anche casi analoghi a quelli nazionali, dove la mancata selezione della classe dirigente ha portato a
eleggere onorevoli come Antonio Razzi e
Domenico Scilipoti, passati al centro-destra subito dopo aver ottenuto una poltrona. Qualche altro esempio? Alle ultime provinciali l’establishment lombardo propone
di candidare Maddalena Scognamiglio in
un collegio sicuro, in precedenza occupato
dall’ex partigiano Ernesto Nobili. Si tratta
di una semisconosciuta che poco dopo il
voto passerà al Pdl. Scelta analoga per un
altro consigliere,Roberto Biolchini, che approda velocemente a nuovi lidi nell’Udc.
Così, su tre consiglieri provinciali eletti ne
rimane soltanto uno. Un altro trionfo dei
dirigenti lombardi. Anche alle ultime regionali fioccano le cooptazioni dall’alto,
come il caso della pasionaria ex assistente
di volo Alitalia Maruska Piredda. Nel 2009
viene candidata alle europee ma racimola
solo poche centinaia di voti. Nel 2010 tenta la fortuna alle regionali, stavolta però
per preservarla da una nuova débâcle Piffari e Zamponi decidono di inserirla nel listino bloccato sia in Lombardia che in Liguria. Mentre Filippo Penati non riesce a
spodestare dal trono Roberto Formigoni,
per la Piredda c’è gloria alla corte di Claudio Burlando. Senza bisogno di preferenze, la giovane ex hostess diventa consigliera regionale in Liguria, nel frattempo assume anche l’incarico di responsabile regionale del dipartimento Lavoro e welfare
dell’Idv lombardo. Quando si dice una carriera brillante. (...)
Cremona, fuga in massa
Il caso limite si registra a Cremona, dove
in polemica con le scelte della nomenklatura regionale si dimette l’intero direttivo. Il
casus belli nasce nel 2009, quando nell’Idv
cremonese spunta l’architetto Clara Rita
Milesi, 48 anni, romana di nascita,moglie
di un giornalista del quotidiano La Provincia di Cremona. Segni particolari: sconosciuta ai più, ma fedelissima di Sergio Piffari. Alle elezioni provinciali la lista del gabbiano ottiene solo un consigliere: un errore nel conteggio attribuisce il seggio all’allora referente provinciale Giacomo Guerrini
invece che alla Milesi, giunta effettivamente prima. L’errore è chiaro a tutti, il partito
è pronto a rimediare, ma la Milesi si appella comunque al Tar. Ne nasce una querelle
interna. A dicembre 2009 l’architetto viene
reintegrata in consiglio, l’anno successivo,
sempre per decisione di Piffari, candidata
anche alle regionali. A quel punto il partito
cremonese implode. Il 19 marzo 2010 l’intero direttivo si dimette con un comunicato: «Preso atto dell’impossibilità a svolgere
il proprio mandato sul territorio provinciale, senza invadenti interferenze contrastanti con la nostra etica, dignità e trasparenza;
in forte contrapposizione con le ultime decisioni che vedono premiati i comportamenti del consigliere provinciale Clara Rita
Milesi, palesemente in contrasto con le regole statutarie». Il vuoto viene colmato con
l’ennesimo commissariamento, la scelta ricade su Sergio Grazioli, bresciano con trascorsi istituzionali nel centrodestra. Per anni vicino all’ex ministro all’Istruzione Mariastella Gelmini, è stato assessore provinciale e uomo di punta di Forza Italia a Brescia, prima di venirne espulso.Nel 2008 il
passaggio all’Idv lo sponsorizza Cimadoro
che lo vuole commissario sia a Mantova
che a Cremona. Qui, dopo il comunicato
del direttivo, la quasi totalità degli iscritti
straccia la tessera. Dopo due anni di immobilismo, a fine ottobre arriva l’elezione del
nuovo coordinatore provinciale: con 50 voti il consigliere comunale Giancarlo Schifano batte la Milesi. Vittoria. Ma l’Idv locale
ormai non c’è più.
Come del resto a Brescia, dove la «calata» di Grazioli genera un terremoto interno
in una delle federazioni più attive della
Lombardia. Il direttivo locale guarda con
sospetto la sua ascesa repentina, si oppone
sia alla candidatura alle provinciali 2009
che alle regionali 2010. Gianni Folli, 11 anni nel partito trascorsi tra banchetti e iniziative, scrive una lettera a Di Pietro per informarlo dei fatti e ammonirlo: «Continuando di questo passo il nostro partito finirà
per demotivare i suoi elementi migliori e
coerenti con i princìpi fondanti di Idv, che
saranno sostituiti da affaristi e camaleonti.
In tal modo i nostri elettori, che ci hanno
premiato per la coerenza e per l’apprezzamento dei valori che ci hanno contraddistinto, di fronte a certi personaggi equivoci
che personificano i peggiori interessi politici (che vengono candidati in cambio di millantati pacchetti di voti e di tessere) finiranno per punirci in maniera severa». La risposta di Tonino ovviamente non arriva e lo
scorso anno metà degli iscritti bresciani lascia il partito.
Ultima spiaggia
Nonostante tutto questo c’è chi continua a difendere ad oltranza il leader. L’ex
consigliere regionale lombardo Gabriele
Sola è salito agli onori della cronaca per
aver dato le dimissioni al Pirellone lo scorso 15 ottobre, prima del raggiungimento
del termine che gli avrebbe garantito il diritto a percepire il vitalizio. Un gesto che
gli è valso il plauso dell’opinione pubblica,
ma non dei colleghi Piffari e Zamponi.
«Evidentemente hanno avuto timore di
perdere visibilità», spiega Sola. Poi si lascia
andare a un lungo sfogo sulla sua pagina
Facebook: «Piffari provi a contenere questo inspiegabile nervosismo, intessuto di
sgomitate ed entrate a gamba tesa contro
un suo stesso "compagno di squadra".
Questo atteggiamento non aiuta il partito,
in un momento già di per sé delicato, né
giova alla sua immagine. Da parte mia,
d’ora in avanti mi sforzerò, sino all’umanamente possibile, di ignorare i probabili, ulteriori attacchi di Piffari e dei Pifferai».
Non solo, a mezza bocca ammette una gestione del partito poco limpida in Lombardia: «Troppi commissariamenti». Ma assolve in pieno Tonino: «È fin troppo permissivo, lascia troppa mano libera ai referenti
territoriali». Anzi, gli rivolge un consiglio affettuoso per il futuro: «Dovrebbe essere
più padre-padrone». Più di così, nell’Idv,
difficile pensarlo.
L’ANTICIPAZIONE
L’ITALIA DEI VALORI
E UN GABER INEDITO
SU MICROMEGA
S
arà in edicola il prossimo 22 novembre
il nuovo numero di MicroMega: un ricco miscellaneo di politica che affronta
le più calde questioni di attualità. Al centro
del numero un approfondimento sul conflitto di attribuzioni che il Quirinale ha sollevato nei confronti della procura di Palermo,
con un analitico saggio di Franco Cordero
che spiega perché quel conflitto è privo di
fondamento giuridico (in appendice pubblichiamo integralmente la memoria della procura di Palermo) e con un articolo di Matteo
Pucciarelli che ripercorre la vita politica di
Giorgio Napolitano, mentre il magistrato Luca Tescaroli ricostruisce la storia della trattativa Stato-mafia, sottolineando le verità ormai accertate. La giustizia è al centro del saggio di Antonio Ingroia, che spiega quali sono
le modifiche indispensabili per rendere il nostro sistema giudiziario davvero giusto.
Il volume è anche ricco di inchieste: Russo
Spena e Managò indagano la parentopoli
lombarda dell'Idv (un’anticipazione della
lunga inchiesta dei due giornalisti la pubblichiamo in questa pagina), Giovanni Tizian ricostruisce la mappa della distribuzione delle
mafie in Italia, da nord a sud, Francesco Peloso racconta gli inciuci tra la Cricca e il Vaticano. Tutti esempi di un sistema malato di cui
parte essenziale è una corruzione che, come
spiega – dati alla mano, Vittorino Ferla, non
solo ostacola lo sviluppo ma sottrae risorse
al welfare.
L’editoriale di Flores d’Arcais si interroga
sulla coppia «politica e anti-politica», divenuta così centrale nel dibattito pubblico, e sulle
possibilità di un’Altrapolitica che ne risolva
la contraddizione. La rivista ospita in esclusiva l’appello «dei vecchi democratici, per la realizzazione della Costituzione repubblicana
nata dalla Resistenza anti-fascista», sottoscritto da Camilleri, Flores d’Arcais, Hack,
Manacorda, Spinelli e Prosperi e rivolto ai
giovani.
In tema di diritti civili, Stefano Rodotà mostra come il diritto di decidere in libertà sulla
fine della vita sia saldamente fondato su norme costituzionale, mentre Giorello e Adamo
indagano le cause culturali del cronico ritardo del Pd sui matrimoni gay.
Il contributo di Guido Viale analizza le
condizioni di una conversione ecologica a
partire da un aspetto troppo spesso trascurato: la necessità di ricostruire le forme di una
partecipazione attiva tra i cittadini. La penna tagliente di Robecchi mette sul piatto la
truffa di una "meritocrazia" senza uguaglianza, mentre Pellizzetti ci offre una riflessione
sul ruolo dell’attore nel cinema contemporaneo, tra rappresentazione e rappresentanza.
Spazio anche al reportage dall'estero, con
le voci e la resistenza di intellettuali, attivisti
e giornalisti in due paesi schiacciati dalla crisi e dalle politiche d’austerity come la Grecia
e la Spagna sono raccontate da Christian
Elia.
Il volume ospita poi una preziosa intervista inedita a Giorgio Gaber, a quasi dieci anni dalla morte.
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il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
CULTURA
DAL PAESE DEI SOVIET
Duccio Colombo
C’
era questo paese, l’Unione
Sovietica: un luogo terribile,
infestato dall’oscura presenza della polizia segreta, dove pochi avevano il coraggio di avventurarsi. Un paese che è poi andato in mille pezzi, ma
il luogo è ancora spaventoso, infestato
dalla povertà e da una criminalità onnipresente. Serena Vitale ha ottenuto un
invidiabile successo editoriale raccontando le sue avventure nel primo di
questi luoghi oscuri; Nicolai Lilin, con
le sue avventure nel secondo, si è proprio arricchito.
Tortuose evoluzioni
Emmanuel Carrère tenta ora la fortuna in questi territori con la biografia romanzata di un personaggio che ha attraversato la storia dell’Unione Sovietica e della nuova Russia seguendo un
percorso singolare e contraddittorio,
Eduard Limonov (Limonov, Adelphi,
pp. 360, euro 19). Una figura davvero
peculiare, per molti versi unica: figlio
di un ufficiale del Kgb, giovane teppista a Rostov sul Don, poeta underground nella Mosca degli anni brezneviani, emigra a New York, dove pubblica un romanzo scandaloso sulla sua vita bohémienne. Una traduzione letterale del titolo russo sarebbe Sono io, Edicka, ma in Italia il romanzo è uscito
col titolo della versione francese, Il poeta russo preferisce i grandi negri: del repertorio fanno parte anche esperienze
omosessuali. Limonov si trasferisce
poi a Parigi, ma, insoddisfatto del destino di scrittore minore che gli si apre
davanti, si butta (sempre dalla parte
meno raccomandabile) nel vortice delle guerre che sconvolgono l’Europa
orientale dopo il crollo dell’impero comunista: Bosnia, Krajna, Transnistria,
per poi stabilirsi definitivamente in
Russia, dove fonda il partito nazionalbolscevico, che raccoglie giovanotti
dall’attitudine punk su posizioni chiaramente fascisteggianti. Da allora partecipa, con evoluzioni tortuose, ai vari
movimenti di opposizione a Eltsin prima e a Putin poi, entra ed esce di galera, e documenta il tutto nei suoi libri.
Carrère ha a disposizione una storia
affascinante, e la racconta con piglio sicuro. Il suo è prima di tutto un tentativo di capire Limonov: cosa ci fa alla
commemorazione dei morti al teatro
alla Dubrovka, tra i sodali di Anna Politkovskaja, uno che vanta la sua amicizia con il comandante Arkan? Un tentativo onesto, che non sfugge alla tentazione dello psicologismo: «Bisogna
dare atto di una cosa, a questo fascista: gli piacciono e gli sono sempre piaciuti soltanto quelli che sono in posizione di inferiorità. I magri contro i
grassi, i poveri contro i ricchi, le carogne dichiarate, che sono rare, contro
le legioni di virtuosi, e il suo percorso,
per quanto ondivago possa sembrare,
ha una sua coerenza, perché Eduard si
è schierato sempre, senza eccezioni,
dalla loro parte».
Tra Miller e D’Annunzio
L’interpretazione finisce però per tornare alle origini del personaggio (un
padre nel Kgb, una famiglia non toccata dalle purghe portano a ricordare,
dell’esperienza sovietica, soprattutto i
lati positivi) e al disperato bisogno di
avere un seguito, di essere un leader.
E, se pure ammette che Limonov sembra sempre «recitare la parte di se stesso», trascura quella che ci sembra essere l’ipotesi più probabile per spiegare
il suo percorso, la motivazione estetica, il fascino per l’estetizzazione della
politica che diventa un prolungamento dell’esperienza letteraria: basti confrontare la descrizione quasi estatica
del funerale di un ufficiale sovietico
che conclude il libro citato da Carrère
come L’epoca gloriosa (una traduzione
corretta dovrebbe essere almeno Abbiamo avuto un’epoca gloriosa), purtroppo mai tradotto in italiano, con
quella, dal tono analogo, di una dimostrazione nazionalbolscevica nel Libro
dell’acqua. Il termine di paragone più
frequente per lo scrittore Limonov, nel
libro di Carrère, è Henry Miller: sarebbe forse più corretto richiamarsi a
D’Annunzio – un D’Annunzio, però,
dal talento decisamente superiore.
Che Carrère trascuri questo aspetto
non sorprende affatto, dato che il Limonov che gli interessa è meno che
mai lo scrittore. Bizzarro, visto che più
Atmosfere perdute
di un impero che fu
La quotidianità dell’Urss rivive, senza orrori a buon mercato
o facili nostalgie, nel recente «Vita privata degli oggetti sovietici»
di Gian Piero Piretto. Climi che si ritrovano, in chiave esotica,
nel romanzo-biografia «Limonov» del francese Emmanuel Carrère
CARTELLONE
Vera Muchina,
una mostra a Mosca
Famosa soprattutto per il monumento
«L’operaio e la colcosiana», la scultrice Vera Muchina (1889–1953) è stata oggetto, in Urss prima, nella Russia
post-sovietica dopo, di numerosi studi
e esposizioni. Ma era rimasta finora in
ombra la sua opera di scenografa per
il palcoscenico, cominciata già prima
della rivoluzione del ’17. Proprio a
questo aspetto trascurato dell’attività
artistica della scultrice è dedicata una
mostra, «Il teatro di Vera Muchina»,
allestita fino al 2 dicembre presso il
Museo d’arte moderna di Mosca sulla
Petrovka. Il percorso espositivo propone disegni, bozzetti, sculture provenienti dalle più importanti collezioni
russe, a testimonianza di un lavoro
che presenta anche alcune sorprese:
tra le produzioni teatrali di cui Muchina si è occupata, infatti, troviamo –
accanto a rappresentazioni in qualche
modo prevedibili, come il dramma di
Aleksander Blok «La rosa e la croce»
o l’«Elettra» di Sofocle – anche «La
cena delle beffe» dell’italiano Sem
Benelli. Le opere in mostra sono inoltre accompagnate da foto d’archivio e
materiali video in parte inediti.
della metà del suo testo non è altro
che una silloge dei libri di Limonov,
che scrive quasi sempre in prima persona e quasi solo della propria vita avventurosa. Dove Carrère racconta del
bohémien newyorkese che, a Central
Park, estrae il quaderno e «comincia a
scrivere, appoggiato su un gomito, tutto quello che ho appena raccontato»,
proviamo il brivido di una doppia mise en abyme: assistiamo alla scrittura
del libro da cui è stato tratto il libro
che stiamo leggendo. La stessa svalutazione dell’attività letteraria di cui si diceva sopra può risalire alle posizioni recenti dello scrittore, che ha ripetuto
spesso che continua a pubblicare libri
solo per finanziare quello che realmente gli interessa, l’attività politica (mentre l’ipotesi opposta, che l’attività politica serva da serbatoio di storie per i libri, non è affatto da trascurare). Non
fosse per la stima cui Carrère ha diritto
per la sua carriera letteraria, si potrebbe perfino ipotizzare che questo libro,
che ha avuto in occidente molto più
successo e molte più traduzioni dei libri di Limonov, successo ampiamente
propagandato sul sito di quest’ultimo,
non sia altro che un’operazione machiavellicamente preparata da Limonov stesso.
La domanda che resta aperta è: perché Adelphi pubblica il (bel) libro di
Carrère quando non si sognerebbe
mai di pubblicare i libri (splendidi) di
Limonov? Certo, Carrère, con i suoi
commenti scettici, che una prefazione
o una postfazione potrebbero tranquillamente contenere (e che il suo eroe, a
cui non fa difetto l’autoironia, avrebbe
senz’altro potuto scriversi da sé), fa da
filtro a Limonov, toglie la parola a questo personaggio poco raccomandabile. Ma forse pesa di più nelle scelte editoriali il fatto che Carrère spiega cos’è
il samizdat e chi sono i «ladri in legge»
(l’aristocrazia criminale), chi è Putin e
chi era Arkan, indossa insomma il caschetto di sughero da scout e mostra
al lettore occidentale questa bestia feroce, accompagnandolo per mano in
questo mondo esotico. L’esotismo, sovietico e post, paga ancora.
Percorsi intellettuali
Posto che il libro di Carrère è un buon
libro (e che il merito ne va, comunque,
anche all’autore e non solo al personaggio), esiste una strada diversa per
raccontare questo strano mondo? Si
potrebbe intanto, visto che ne stiamo
parlando, pubblicare Limonov (il che
non significa, ovviamente, un’adesione alle sue posizioni politiche).
Quello che è successo all’impero sovietico è stato raccontato in modo del
tutto diverso, per esempio, dal compianto Petr Vajl’, un altro russo emigrato a New York che ha rifatto il cammi-
no all’indietro, nel suo Karta rodiny
(«La carta del mio paese», ironica ripresa del titolo di un famoso testo stalinista), un libro che ha già qualche anno
e purtroppo non è stato tradotto. Vajl’
non è mai tornato definitivamente,
ma ha visitato l’ex Unione in lungo e
in largo, da giornalista o per i motivi
più vari. Testi scritti in diverse occasioni sono raggruppati lungo un percorso
geografico e intellettuale che portano
a costituire un tutto unico; non mancano i grandi temi (un reportage sulla prima guerra cecena, una visita alle isole
Solovki, sede del primo grande lager
sovietico) ma predominano i luoghi
minori, sperduti, quasi improbabili.
Le osservazioni sono mischiate ai riferimenti che vengono da una cultura
vastissima ma utilizzata con familiarità, e predomina la ricerca di un senso
alla storia personale, familiare, del paese: «È strano: sono nato e cresciuto in
una periferia della grande potenza,
una periferia tanto civilizzata che il
centro la invidiava; ho studiato nella
capitale, da cui veniva mio padre; mia
madre arrivava da un angolo sperduto
ed esotico. Appartenevo insieme alla
nazione dominante e a una contraddittoria minoranza. Dovrebbero esserci
abbastanza punti di vista da ricostruire il disegno dell’impero. Ma per questo abitante di Riga che ha studiato a
Mosca, figlio di una russa che viene
dai Molokani rifugiati in Turkmenia e
di un ebreo moscovita, il concetto rimane nel campo della speculazione».
Un approccio ancora diverso alla
questione si trova nella Vita privata degli oggetti sovietici (Sironi, pp. 208, euro 19,80) di Gian Piero Piretto. Le librerie italiane non hanno uno scaffale per
gli studi culturali, e ci si può imbattere
nel paradosso (autentico) di trovarlo
collocato nella sezione design: questo
libro è però qualcosa d’altro.
Galosce e scarafaggi
Piretto, che lavora da anni sulla realtà
sovietica con i metodi dei cultural studies (ricordiamo almeno Il radioso avvenire: mitologie culturali sovietiche,
Einaudi 2001) affronta questa volta la
cultura materiale attraverso le storie di
venticinque oggetti emblematici. Di
nuovo, ci sono lo sputnik e la mummia di Lenin, ma tra le scelte spiccano
piuttosto il samovar, il profumo «Mosca rossa», il bicchiere sfaccettato (il
cui design è attribuito, da una leggenda mai confermata, a Vera Muchina, la
scultrice del celeberrimo gruppo L’operaio e la colcosiana), la carta igienica,
le galosce o lo scarafaggio. Il profumo
«si può incondizionatamente considerare la colonna olfattiva dell’era sovietica: troppo persistente, addirittura leggermente nauseabondo per le narici
occidentali, a maggior ragione quando
si combinava, magari su un sovraffollato mezzo di trasporto pubblico, ad altre zaffate intensamente sovietiche
quali alito alla cipolla, sudore di lavoratore d’assalto o naftalina di cappotto».
La carta igienica «rientrava tra i prodotti deficitari, quelli che non era facile né scontato trovare sul mercato (…)
Una leggenda metropolitana voleva
che le vendite di quotidiani fossero incrementate proprio per supplire alle
carenze di cui sopra». Ma il confronto
tra il degrado dei gabinetti pubblici e
l’immacolata pulizia di quelli nelle case private obbliga a spostare il discorso «sul problema del rapporto tra pubblico e privato, sulla dicotomia tra ciò
che rientra nella sfera del ’personale’,
’di proprietà’, pure in un Paese dove i
principi del socialismo stigmatizzavano il possesso particolare a favore del
collettivo e della cosa pubblica». La
questione diventa, insomma, «un caso
dove l’ideologia ha mostrato i suoi lati
più deboli». Ognuno dei venticinque
oggetti, insomma, è al centro di una rete di rimandi che vanno dalle condizioni materiali alla storia all’ideologia passando per il campo della cultura in senso stretto; gli oggetti hanno una loro realtà concreta, ma il loro elenco è anche lo spunto per ricostruire l’immagine di una civiltà.
Un’operazione di questo genere corre il rischio di quello che i tedeschi
chiamano Ostalgie, nostalgia per un
mondo perduto, un rischio qui evitato
grazie alla consapevolezza teorica. Alcuni degli oggetti citati sono già oggetto di collezionismo, mentre in diversi
paesi dell’ex impero esistono musei
del passato comunista, basati su concezioni di cui il libro fornisce una lucida lettura critica; buona parte di loro
sono già passati al vaglio della rilettura
di artisti contemporanei (le installazioni di Ilja Kabakov, le poesie di Timur
Kibirov) che ne hanno reinterpretato il
significato storico come quello affettivo, e di cui il lavoro di Piretto rende
conto. Anche la nostalgia, insomma, è
oggetto di un’analisi oggettivante.
Le ricerche, i ricordi
L’origine della ricerca è accademica, e
il risultato non smentisce le premesse.
La levità del tono, però, la brevità delle
schede e la ricchezza di immagini (immagini che contribuiscono al discorso
complessivo allo stesso livello del testo) lo rendono una lettura decisamente godibile. Le storie dei venticinque
oggetti sono frutto di un lavoro di ricerca puntuale (storia, significato culturale, uso) ma anche di ricordi personali
dell’autore, che ha frequentato il paese a lungo e con uno spirito ben diverso da quello dell’esploratore bianco.
Il risultato è una ricostruzione dell’atmosfera irripetibile della quotidianità sovietica, così nota a chi ha fatto in
tempo a viverla e così difficile da rendere a parole. Una ricostruzione dell’esperienza sovietica, vista (anche)
dall’esterno, che evita così le suggestioni dell’esotico e quelle dell’orrore a
buon mercato.
il manifesto
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CULTURA
DOPO BOOKCITY, STEFANO BOERI RISPONDE AI PRECARI: «VEDIAMOCI»
L’iniziativa milanese di Bookcity è considerato un appuntamento coronato dal successo.
Così dicono i numeri degli espositori e dei partecipanti ai tanti incontri. Ma «Bookcity» era
stata aperta con una lettera dove i lavoratori della Fnac denunciavano la crisi del settore,
che si traduce in licenziamenti e l’espandersi senza controlli della precarietà. E nei giorni
oltre
tutto
Roberto Ciccarelli
I
n Italia la politica ha significato
prendere partito. L’essere di parte è stato il presupposto di una
lotta mortale, per l’egemonia, la direzione delle anime, la cultura, il governo. È tuttavia un’anomalia storica
che ha distinto il pensiero politico italiano dalle coeve riflessioni europee.
Sin dal principio, la sua teoria del
conflitto è stata elaborata in assenza
dello Stato e in una duplice direzione: quella che auspicava la costituzione di un’autorità, un Principe, di
un’istanza trascendente – o sovrana
– che garantisse un ordine. E l’altra,
una riflessione sulle potenzialità metafisiche, cosmologiche, strategiche
di una vita considerata mondana,
cioè appartenente alla storia e alla
sua immanenza.
Per Dario Gentili questa tensione
originaria tra conflitto e ordine, tra vita e forma, tra costituzione di un soggetto politico e la sua determinazione come parte di un conflitto rappresenta la cifra della «filosofia italiana»:
il dualismo e la sua tendenza alla decisione e alla separazione. Nell’ultimo decennio questi aspetti hanno
sollevato attenzione anche nel dibattito internazionale. Nel suo Italian
Theory. Dall’operaismo alla biopolitica (Il Mulino, pp. 246, euro 20), Gentili spiega come questa cifra distintiva
sia diventata l’espressione della positività della politica in quanto tale: essa è infatti un campo di tensione tra
forze contrapposte che tendono a separarsi e a imporre una decisione.
Questa positività viene definita come sinisteritas, parola latina che indica la «parte maledetta» che induce all’«errore» e, in generale, a «errare» e
«deviare» rispetto alla linea e alla via
«retta» rispetto all’altra parte – la destra – che rappresenta nella storia
delle idee la rettitudine, la giustezza
o la norma. In questo caso, l’etimolo-
Il conflitto di classe
e la natura del potere
è il filo rosso che lega
percorsi filosofici
tra loro diversi
gia rischiara il cielo di una «sinistra»
che, in realtà, si è spesso identificata
con il suo opposto, rivelando così un
altro aspetto della politica: il conflitto tra il prendere partito e l’essere
parte di qualcosa.
Una logica di schieramento
Prendere parte, schierarsi in un campo già spezzato in due, significa anche lottare contro il proprio partito. È
la storia della sinistra europea (Linke,
Gauche, Izquierda) divisa tra correnti, eresie, espulsioni, eventi ricorrenti
tra l’Otto e il Novecento quando –
portando alle estreme conseguenze
l’etimologia indicata da Gentili – i custodi sinisterici della linea, della sua
rettitudine e giustezza, hanno sconfinato nel campo della destra.
Se fosse solo questo il contenuto
dell’Italian Theory, parleremmo allora di un libro rassicurante nella sua
piatta sociologia. Così non è perché
la parte maledetta non si fa ridurre a
una logica di schieramento politico,
ad un’appartenenza che in Italia è
stata divisa tra identità locali, professionali, familiari che tendono a confliggere contro lo Stato, o tra di esse.
Nell’ampia escursione compiuta da
Gentili nel Novecento italiano, da Antonio Gramsci a Carla Lonzi, Mario
Tronti e Antonio Negri, Gianni Vattimo, Giorgio Agamben, Luisa Muraro, Roberto Esposito, senza trascurare Massimo Cacciari o Giacomo Marramao, il dilemma tra il prendere partito o l’essere parte di qualcosa viene
declinato su un piano che non è riducibile alla storia dell’«identità» italiana. Non esiste una specificità italiana della filosofia, ma ci sono italiani
che riflettono sulla politica a partire
dal dualismo originario tra ordine e
conflitto.
È questa l’antinomia individuata
già da Machiavelli che assume nel
corso del Novecento, e in particolare
dopo la caduta del Muro di Berlino,
una drammatica attualità: essere
dentro l’ordine politico (cioè avere
mentre si svolgeva l’iniziativa, la «Rete de Redattori precari» aveva inviato una lettera aperta
agli editori e all’amministrazione cittadina sul dilagare di regimi di sfruttamento e di
precarietà dei lavoratori dell’industria culturale. Ieri la risposta dell’assessore alla cultura di
Milano Stefano Boeri, che si è dichiarato favorevole a un incontro con i lavoratori «culturali»,
annunciando anche prossime iniziative della giunta sulla precarietà.
FILOSOFIA · «Italian Theory. Dall’operaismo alla biopolitica» di Dario Gentili per il Mulino
HARD BOILED
L’impossibile retta via
della teoria che prende partito
L’impossibile fuga
dalla ferocia
dell’upper class
originaria – il prendere parte contro
– e con essa la sua efficacia. E allora
resta sospeso, indeciso, senza forze.
È questa la realtà in cui versa il pensiero italiano – così come la sua politica – almeno dagli anni Ottanta.
In realtà, quando si parla di Italian
Theory si allude all’alternativa fornita dal pensiero critico contro gli esiti
del postmoderno. Un’alternativa liquidata dal dibattito attuale diviso
tra il positivismo ingenuo dei nuovi
realismi e il lacanismo conservatore
di filosofie molto deboli, nessuna del-
La fortuna
internazionale di autori
come Luisa Muraro,
Giorgio Agamben
Roberto Esposito,
Antonio Negri
preso un partito) equivale a non potere essere contro, cioè prendere parte ad un conflitto. È il dilemma dell’integrazione, o meglio della sussunzione di un’istanza rivoluzionaria o
emancipativa all’interno del potere.
Sia nel caso dei francofortesi (Adorno, Horkheimer), i quali hanno dichiarato l’impossibilità del soggetto
di liberarsi dal sistema, sia in quello
dei pensatori dell’impolitico da Thomas Mann a Cacciari o Esposito in
Italia, e ancora nel «pensiero debole», il dualismo rischia di trasformarsi in un’antinomia, mentre il conflitto viene ridotto a uno scambio meramente linguistico come nel pensiero
debole o nelle filosofie analitiche.
Lo stesso rischio lo corrono le riflessioni che non si sono rassegnate
alla neutralizzazione della società
dello spettacolo o si fanno irretire
dal liberismo alfiere dell’austerità. Ci
sarebbe da discutere a fondo, ma nel
libro di Gentili, come in quello di Roberto Esposito Pensiero Vivente, questo è il caso dell’operaismo, del femminismo o della biopolitica. Entrambi pensano la politica alla luce di un
dualismo di fondo, il cui effetto è riscontrare un’antinomia insuperabile
tra l’oppressione del potere e lo scacco delle istanze di liberazione. Il conflitto perde così la sua immanenza
le quali riconosce la possibilità dell’esistenza di un fuori e di un contro
la fabbrica, il patriarcato o l’ombra
del Padre, il precariato, il capitale, lo
Stato. Il conflitto viene rimosso perchè non è possibile uscire dal dualismo del potere.
È universalmente noto che il pensiero critico contemporaneo è lontanissimo dalla provincia dell’anima
che è diventata l’Italia. La sua strada
non è però facile, anche perchè in
tutti i pensieri che cercano un’alternativa ritorna sembra tornare il dualismo da cui intendono liberarsi. Ma
un dato è certo: oggi non basta insistere sulla dialettica antagonista, bi-
sogna invece affermare l’autonomia
di una parte rispetto all’altra. Non
più dunque il conflitto che termina
in un’antinomia, bensì soggetti che
individuano un terreno dove producono il proprio conflitto. Il percorso
non è mai lineare. L’enfasi sui «soggetti», e non più sul Soggetto (politico o metafisico), non è mai riuscita
ad affrontare il problema dell’unificazione dei soggetti che confliggono in
nome della propria differenza, oltre
che della decisione politica. Ma è di
questo che si discute nel pensiero
della differenza sessuale, nel Queer,
nell’operaismo tra autonomia del Politico e potere costituente, nelle varie
versione del conflitto tra biopotere e
biopolitica.
Genesi antistatalista
Oltre a indicare un piano analitico alternativo alla storia del pensiero italiano scandita dalla Santa Trinità storicista De Sanctis-Croce-Gentile,
l’Italian Theory ha un’ambizione,
ben più vasta: concepire la positività
del conflitto al di là del pensiero della crisi, o del negativo, cioè della contrapposizione antagonista con un potere sempre più disincarnato e globale. Del resto è sempre stata questa la
vocazione del «pensiero italiano»: la
sua origine pre-statale (o anti-sovranista) è ancora valida oggi. E, forse,
non è cambiata la sua intima esigenza: quella di definire il piano di immanenza di una vita storica, individuarne le potenzialità, condividere
la sua «parte maledetta» in comunità
non assimilabili ai poteri esistenti.
Questo pensiero avrà un futuro se
prenderà alla radice le sue tradizioni.
MEMORIA · «Moffie. Un gay in guerra nel Sudafrica dell’apartheid» di André Carl van der Merwe
Un desiderio oscurato da una mimetica
Carmela Covato
L
a storia di Nicholas, detto
moffie espressione dispregiativa utilizzata dagli afrikaners
per indicare gli omosessuali, è la
storia, ambientata nel Sudafrica
dei primi anni Ottanta e raccontata
nel volume di André Carl van der
Merwe Moffie. Un gay in guerra nel
Sudafrica dell’apartheid (traduzione di Valentina Iacoponi, Iacobelli,
pp. 283, euro 16), di una iniziazione alla vita adulta particolarmente
dolorosa e che si snoda in una narrazione autobiografica scandita da
un desiderio di libertà strenuamente difeso da norme e ingiunzioni
agite nei confronti del protagonista
in forme assai violente.
È anche la storia di una educazione sentimentale fondata su di un
inestricabile intreccio fra affetti autentici, il fratello morto prematuramente in un incidente stradale
(«Frankie e io siamo una cosa sola,
l’alchimia di questa sintesi è un dato di fatto»); i genitori, la casa, il cibo, il soffice seno di Sophie e la violenza di una iniziazione alla vita
adulta imposta dal padre con l’arruolamento forzato nell’esercito come antidoto alla minaccia della diversità sessuale.
Il destino subito da Nicholas nell’esercito è costellato dalle più inaudite violenze, prima fra tutte la necessità di nascondere il suo orientamento sessuale per non correre il rischio di essere trasferito nel famigerato reparto 22, dove si finiva soprattutto per quel motivo ma an-
La strenua resistenza
di un soldato
ai reiterati tentativi
di cancellare
la sua omosessualità
che per un credo religioso difforme
da quello ufficiale o semplicemente per aver mostrato amore per l’arte e la poesia.
L’esperienza di Nicholas narrata
in forma assi coinvolgente trascende però i confini di una storia personale.
Il racconto assurgere a metafora
di una vicenda umana più vasta e
delle insidie spesso presenti nella
storia di uomini e donne, anche in
contesti assai diversi fra di loro, nel
passaggio dall’infanzia alla vita alla
vita adulta. I modelli culturali ufficiali della soggettività adulta sono
spesso veicolati da imperativi finalizzati a difendere l’ordine costituito, la coesione familiare e ogni for-
ma di gerarchia sociale, come dimostrano gli studi più
recenti di una storia dell’educazione fondata non
tanto o non esclusivamente sullo
studio delle idee
pedagogiche del
passato
quanto
sull’ascolto delle
voci che affiorano
da documenti autobiografici, letterari ed epistolari.
Moffie si snoda in un straordinario costante connubio fra vicende
del presente e ricordi del passato,
soprattutto ricordi dell’infanzia
quasi a dirci che questa età della vita è sempre attuale perché ognuno
di noi le restituisce esistenza, tramite il ricordo, nel presente.
La vicenda ha un indubbio significato autobiografico. Ce lo spiega
nell’Epilogo l’autore, nato in Sudafrica a Harrismith nel Free State,
che ha studiato Belle Arti a Cape
Town e che oggi si occupa di architettura e arredamento.
Van der Merwe è al suo primo romanzo ma esprime una capacità
letteraria di una rara finezza quasi
lirica, restituitaci intatta dalla bella
traduzione di Valentina Iacoponi,
alla quale si deve anche il glossario
inserito in appendice e la cartina
geografica di un Sudafrica troppo
spesso conosciuto in forma mitologica.
I massacri ai quali Nicholas è costretto ad assistere e a partecipare
suo malgrado, le punizioni corporali, le continue umiliazioni veicolate
da una parola maschile militarmente dispotica non scalfiscono la sensibilità di Nicholas e la sua capacità
di amare, di stringere in quell’inferno straordinarie storie di amicizia
e anche di innamorarsi.
Si può affermare che in questo
caso- ma non sempre avviene - che
il dispositivo è fallito, l’esercito
(avrebbe potuto essere un carcere?
una scuola?) scelto dal padre per fugare il terrore di un figlio gay, che
sembrava soprattutto mandare in
frantumi la sua stessa identità, ha
la peggio. Vince il desiderio di vivere e di amare e di superare ogni
egoistica sopraffazione. Si tratta di
aspirazioni che sembrano trarre alimento dai ricordi di un’infanzia ripensata in termini di grande tenerezza, sebbene non sia stata priva
di violenze: dalla nonna che raschia via il bruciato del pane per
non sprecarlo, ai nomignoli dati
dalla madre, vissuta come approdo
sempre sicuro, alle torte preferite
dai ragazzi, ai giochi nel giardino
sul retro della casa, alla tenera assertività della sorella.
«Di notte fuggo e sciolgo il filo
dei ricordi. Implodo in uno stato ipnotico dove fluttuo sopra le distese
del Free State e vivo il sogno ricorrete della mia infanzia: non ho peso,
galleggio, ma sono ancorato bene e
il divino mi scorre dentro. So di essere legato eppure resto libero».
Che sia l’infanzia reale o l’infanzia narrata a se stesso fa parte della
storia.
Michele Fumagallo
L'
inglese James Hadley
Chase (ma il suo vero
nome era René Brabazon Raymond, nato nel 1906 e
morto nel 1985) non ha bisogno
di presentazioni nel panorama
dell'hard-boiled. È uno scrittore
che ha sfornato una novantina
di romanzi ma è passato alla storia della letteratura di genere soprattutto con Niente orchidee
per Miss Blandish”(1939), grande successo con milioni di copie vendute, da cui fu ricavato
nel 1971, «The Grissom Gang»,
film memorabile di Robert Aldrich.
La Polillo Editore, casa editrice che rispolvera gialli e thriller
classici tra cui nel 2004 il romanzo sunnominato, ha da poco dato alle stampe la nuova edizione del sequel di quel racconto
mitico, Il sangue dell'orchidea
(pp. 288, euro 14,90). E va subito detto che la storia che si sviluppa attorno a Carol Blandish,
figlia dell'ereditiera rapita protagonista del primo libro e di
Slim, nevrotico e sanguinario
membro della banda Grissom
innamorato di lei, mantiene intatto il suo fascino (il romanzo
uscì per la prima volta nel 1948)
e anzi, in un'epoca in cui il genere si allarga a dismisura con inflazione di commissari e detective non sempre all'altezza dei fascinosi personaggi di Hammett
o Chandler (per stare soltanto ai
padri dell'hard-boiled), l'intreccio formidabile di storie e di
eroi maledetti che pullulano
dentro le fitte pagine del romanzo non fanno che avvincere
sempre di più e darci uno spaccato affascinante del viaggio
senza ritorno che rappresenta il
crimine, che macina chiunque
ne venga a contatto fosse pure
con le migliori intenzioni di starne alla larga.
Non c'era nessuna via di
scampo nel primo «capitolo»
della storia, frutto anche di
un'analisi disperata di un'America in preda ai fantasmi della
crisi del dopo 1929. Nessuno si
salvava: né la viziata rampolla
di una famiglia dell’alta borghesia, vittima del rapimento di
una banda con a capo Mamma
Grissom personaggio mitico
passato alla storia della spietatezza criminale femminile in
un'epoca in cui vige il si salvi
chi può; né i miseri tutori dell'ordine; né i perbenisti della classe
dirigente pronti a passare sopra
la vita della propria figlia rapita
una volta accertato che era stata
in intimità col gangster. Nel secondo «capitolo» la spietatezza
aumenta.
Il sangue dell'orchidea è più
ricco e avvincente del primo capitolo della storia. Quando Carol, segnata dallo stigma di essere figlia di un incontro atroce,
ma letterariamente struggente,
tra uno spietato criminale e una
ricca borghese, fugge dalla sua
prigione del manicomio, inizia
una storia piena di colpi di scena e di atrocità, ma anche di
possibili redenzioni. È il segno
che i lasciti della crisi del 29 sono terminati, ma anche che gli
«innocenti» devono difendere
con le unghie e con i denti la
possibilità di una vita di pace.
Pubblicare (e leggere) Il sangue dell'orchidea è operazione
d'igiene anche per ripulire un
genere oggi pregno di eccessivi
ammiccamenti a un lettore a
volte in cerca di «dolcezze» che
qualsiasi vita (e ogni letteratura
autentica), in qualsiasi tempo,
non può dare.
pagina 12
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
VISIONI
Al cinema •
Il conte Vlad, adoratore delle trappole di eros e thanatos, gronda
di riferimenti al fantasy, al western, ai documentari sugli insetti, oltre che al canonico horror
ASIA ARGENTO IN «DRACULA 3D» DI DARIO ARGENTO; SOTTO THOMAS KRETSCHMANN
Il volto umano
dell’eternità
Le metamorfosi di Dracula.
Se un regista come Dario Argento
decostruisce la tragedia gotica
di Stoker alla «Steampunk»
DRACULA 3D DI DARIO ARGENTO, CON RUTGER
HAUER, ASIA ARGENTO, THOMAS
KRETSCHMANN, ITALIA 2012
Roberto Silvestri
N
on è solo colpa di Netanyahu. Se
oggi israeliani e palestinesi, ebrei e
islamici, letteralisti o meno, si affrontano, ma non ad armi pari, a un passo
da noi, orgogliosi del nostro premio Nobel
per la pace, le radici del conflitto sono proprio nella gongolante Europa, anche prima
delle colpe di Hitler, cioé della destra e della sinistra europea. Da una parte, a ovest,
gli spagnoli che massacrano e cacciano gli
ebrei alla fine del XV secolo, dall’altra, a
est, il loro omologo e contemporaneo conte Dracula che per difendere la gloriosa
identità cristiana (rapace e sanguisuga scaturigine del capitalismo «all’inglese», quello che perfino Adam Smith considerava
porta bandiera di una economia di mercato guasta e malsana), impalava, verso al fine del 1400, turchi e mammalucchi, maledicendo Maometto II. Quando l’Europa
tornerà a tre o quattro identità? Non stupitevi dunque se Vlad l’impalatore compie,
nella storia del cinema horror, in elegante
frac da borghese, frequenti visite alla torre
di Londra, ammirando quei sontuosi palazzi, sede dei Lloyds, simbolo sfrontato del
colonialismo e delle rapine, anche finanziarie, ripetute e continuate, ai danni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, prosciugate a forza di Borsa, morsi, canini e cannoni. Non stupitevi dunque se il nuovo Dario
Argento in 3d grondi di riferimenti testuali
e contestuali stratificati e cinefili (gotico,
fantasy, western, documentario sugli insetti, oltre che al canonico genere horror), la
cinefilia è l’arte della politica durante la deriva del riflusso....
E siamo così al 1883, in Transilvania, zona Carpazi, la linea Maginot che ci salvò dagli infedeli. È qui che inizia, come fosse un
Corman o un Fischer dal tocco steampunk,
l’atteso Dracula 3D (in realtà riprese in provincia di Biella). Il bibliotecario Jonathan
Harker, chiamato dal conte Vlad (Thomas
Kretschmann) per catalogar libri, è imprigionato nel tetro castello, e dopo una triplice aggressione sventata dell’harem di Dracula, con la giovane Tanja che più delle al-
Claudio Simonetti al sound straniato come
le vesti di Asia, aggiungono lussi e splendore a un decor degno della Hammer. Cannes 2012 l’ha apprezzato. Argento penetra,
radiografare e combatte anche questa volta le sue zone dark in affinità con Dracula
anche per lo stile, orgogliosamente demodé): passione sensuale, senso di abbandono, dediderio di metamorfosi (in pipistrello, altri uccelli notturni, mantide religiosa,
insetto, umano, lupo...), fragili manie secondarie. E soprattutto: «Non mi adatto allo scorrere del tempo, esattamente come
Dracula». Il film utilizza il 3D senza trafiggere gli occhi (una volta sola): «Ho usato 2 cineprese digitali, non come in Avatar, una a
fianco all'altra, per poter dare la tridimensionalità. Ora una viene posta di fronte, l'altra sopra, perpendicolare, e riprende la scena in uno specchio. In questo modo la profondità diventa enorme. È la tecnica di
Scorsese in Hugo». Qui però la paura viene
dilatata, ci attanaglia. Da destra a sinistra...
COMMEDIA · Si parte con la battaglia dei film confezionati per le feste
Cinepanettone? Sì, ma con garbo
tre due quasi lo azzanna) riesce a rientrare
a Londra. Dracula lo insegue perché smania per l’amante di Harker, Wilhemina «Mina» Murray (identica all’adorata Elizabeth,
defunta, ma amata da 400 anni) sempre appicciata all’amica del cuore, Lucy (Asia Argento, al quinto film con papà). Adoratore
delle trappole che allacciano eros e thanatos, gli incontri turistici di Dracula preferiti
sono con Renfield, mangiatore di insetti, ragni, uccelli e altre dolci creature per assorbirne la forza vitale. Quale doppio più perfetto di chi, disumano, considera disumani
i mortali? Terrorizzata, Lucy chiama da Amsterdam il dottor Abraham Van Hesling
(Hauer), medico e cacciatore di mostri, ma
è troppo tardi, un lupo divora sua madre e
vampirizza lei. La saga Twilight, qui si scandalizzerebbe per la metamorfosi...Harker,
Mina (Marta Gastini) e Van Hesling, a questo punto, si coalizzano per la battaglia definitiva, ma Dracula sfrutta le sue mille risorse seduttive, creando una sorta di erotica connessione spirituale con Mina, in modo da controllarne desideri consci e inconsci, dopo una triplice visita... Bisognerà uccidere il Conte per liberarsi, con un solo gesto, dell’oppio e delle catene...Il romanzo
di Bram Stoker è meticolosamente riscritto, con il sangue e gli effetti efferati dovuti.
Luciano Tovoli ai graffi di colore luci e
IL PEGGIOR NATALE DELLA MIA
VITA DI ALESSANDRO GENOVESE,
CON ANNA BONAIUTO, DIEGO
ABATANTUONO, ITALIA 2012
Marco Giusti
C
i siamo. La guerra dei film
di Natale è cominciata.
Ovviamente non era affatto vero che i Cinepanettoni erano finiti. Basta guardare per strada i faccioni sui manifesti, le palle sugli alberi. E con questi i cori
di Jingle Bells, le film commission valdostane e trentine, gli
sketch con gli animali uccisi, le
vecchie ridicolizzate. Che bellezza! A dispetto di quello che diceva Aurelio De Laurentiis, quella
che si sta materializzando è in realtà una grande battaglia tra film
natalizi, più o meno fini e più o
meno cafoni, targati Warner, 01,
Medusa, Fandango e ovviamente Filmauro. E tutti sperano che i
quattro soldi lasciati in tasca allo
spettatore italiano vadano a qualcuno di questi cinepanettoni.
Ammesso che esitano questi
quattro soldi da qui a Natale. In-
tanto c’è chi si permette pure di
pisciare sul tacchino della vigilia.
Come dimostra una delle gag più
elaborate, e meno fini, di Il peggior Natale della mia vita, diretto
da Alessandro Genovesi, sequel
del riuscito La peggior settimana
della mia vita (dieci milioni di incasso) targato Maurizio Totti, Rti
(cioè Rete Italia, cioè Alessandro
Salem) e Warner Bros come distribuzione. Come il precedente
film è tratto da una fortunata sitcom televisiva inglese, The
Worst Week Of My Life di Mark
Bussell e Justin Sbresni, rifatta anche in Germania (ma in tv) e stavolta citata non in coda ma nei titoli iniziali in grande, adattata e
sceneggiata per il cinema da Genovesi e Fabio De Luigi. Il cast è
in gran parte lo stesso del primo
film. De Luigi e Cristiana Capotondi come i freschi sposini Paolo e Margherita, Antonio Catania
come Giorgio, il padre di lei, Andrea Mingardi come lo scombinato padre di lui, ma al posto di Monica Guerritore come Clara, la
madre di lei, troviamo Anna Bonaiuto (sembra che il ruolo fosse
considerato troppo piccolo dalla
Guerritore). Scompare Alessandro Siani, il miglior amico dello
sposo.
In cambio arrivano Diego Abatantuono, capo e amico di Catania, sua figlia Laura Chiatti, ricca
e svalvolata, il cameriere pugliese Dino Abbrescia, una comparsata di Ale e Franz come becchini e perfino il pugliese Totò On-
nis come barista valdostano
(scambo tra commission?). La
storia vede il ricco commendatore Abatantuono che ha appena
comprato un castello in Val d'Aosta (doveri di film commission) e
invita a passare la notte di Natale
tutta la famiglia di Catania, con
tanto di Capotondi incinta all'ottavo mese e genero pasticcione.
Anche sua figlia Benedetta, la
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
pagina 13
VISIONI
DOCUMENTARI/1
Oggi, alle 11, nella sala del Mappamondo della Camera dei deputati, verrà proiettato «Egypt’s
Christians» realizzato da Elisabetta Valgiusti per Salvaimonasteri, in collaborazione con il canale
televisivo Usa via satellite Ewtn. Il programma illustra alcuni tratti della storia copta e la condizione
attuale delle comunità cristiane in Egitto, rilevando il loro impegno nel dialogo con i musulmani.
RASSEGNA
MOSTRE
Nuove immagini
dalla Romania
Kristien De Neve, la cera
è un bozzolo creativo
A Roma presso l’Accademia
di Romania (Piazza José de
San Martin, 1 a Valle Giulia)
si tiene da oggi fino al 25
novembre la IV edizione di
«Procult Film Festival» rassegna di film nuova onda rumena. Tra gli ospiti, Lucian Georgescu, che presenterà il
suo «The Phantom father»
(Tatal fantoma). Tra i lungometraggi la commedia amara «Maledetta questa recessione!!», di Cristina Nichitus
(il 23 alle ore 20), la commedia tragica «Le Nozze
Mute» di Horatiu Malaele,
(durante un matrimonio arriva la notizia della morte di
Stalin). Tra i documentari
«La vasaia di Vama Sarii» di
Tudor Chirila, miglior documentario televisivo 2012, «Il
naufrago della Romania», di
Cristina Tilica su Robert
Kamner, sopravvissuto al
naufragio della Costa Concordia, che si è ritirato con
la famiglia in montagna ed
ha costruito una casa da
fantascienza e, sempre diretto da Cristina Tilica «Regina
Maria», che racconta della
Regina della Romania che
ebbe un ruolo decisivo durante la Prima Guerra Mondiale. Ingresso gratuito.
Chiatti è incinta, ma di una provetta. I problemi arriveranno con
l'entrata in scena di De Luigi che,
esattamente come nel film precedente, riuscirà a distruggere tutto quello che tocca. Lo vediamo
già in azione nel viaggio verso il
castello. E riuscirà a travolgere a
marcia indietro perfino la porta
del bar di Totò Onnis con la sua
macchinetta inadatta alla strada
nevosa, poi entrerà nel castello e
per prima cosa piscerà per sbaglio sul tacchino della vigilia.
Come se non bastasse il liquido fuoriuscito sul pavimento farà
scivolare il povero Abatantuono
mandandolo di corsa all'ospedale. Per un quiproquo con due buffi becchini, Ale e Franz, molto divertenti, tutta la famiglia penserà
che Abatantuono è defunto. Questa porterà alla progettazione di
un funerale che si trasformerà in
una specie di happening natalizio visto che il defunto è in realtà
vivo, ma dove accadrà di tutto.
Dall'arrivo del padre di De Luigi,
Mingardi, con tanto di figlioletta
canterina, la rottura delle acque
della Capotondi, il crollo del soffitto del castello. Magari non è
scoppiettante e innovativo come
il primo film, sempre diretto da
Genovesi.
Ma il regista mantiene la stessa giusta eleganza nelle inquadrature e lo stesso garbo nella messa
in scena. Non muove quasi mai
Rai1
6.45 UNOMATTINA Attualità
10.00 UNOMATTINA OCCHIO
ALLA SPESA Rubrica
10.25 UNOMATTINA
ROSA Attualità
11.05 UNOMATTINA STORIE
VERE Rubrica
12.00 LA PROVA DEL CUOCO
Varietà
13.30 TG1 - TG1 ECONOMIA
Informazione
14.10 VERDETTO FINALE Att
15.15 LA VITA IN DIRETTA
Attualità
17.00 55° ZECCHINO D’ORO
Evento (Diretta)
18.50 L’EREDITÀ Gioco
20.00 TG1 Informazione
20.30 AFFARI TUOI Gioco
21.10
Prima tv UN
PASSO DAL CIELO 2
“Vite sospese” Fiction.
23.20 PORTA A PORTA
Attualità
0.55 TG1 NOTTE
Informazione
la macchina da presa e riesce a
ottenere effetti da commedia alla
Laurel e Hardy molto classica, dove De Luigi è il comico e Abatantuono una specie di Billy Gilbert
che subisce all’infinito le sue azione strampalate. E mischia il vecchio slow-burn, il procedimento
comico inventato da Laurel e
Hardy per cui piano piano si arriva alla combustione dei rapporti
tra i personaggi, con belle trovate
di umorismo macabro inglese (i
becchini).
Funziona? Non funziona? Magari qualche gag è troppo meccanica o facilmente prevedibile, come la morte del pappagallo, ma
non ci sono cadute nella volgarità (a parte la canzoncina «e intanto qua non si ciula più»), il cast
funziona bene, da De Luigi che
ha ormai tempi perfetti a Catania
a un Abatantuono in gran forma
che accenna un Jingle Bells da
terrunciello da paura.
Le due ragazze in attesa, Capotondi e Chiatti, sono belle e credibili oltre che fotografate benissimo, e Dino Abbrescia ruba la scena a tutti, come negli slapstick
hollywoodiani, nei panni di una
strano cameriere che non dice
molto ma si trova sempre presente nei momenti sbagliati, vera invenzione del film.
Non sarà un capolavoro di comicità, ma è un film civile e gradevole quanto basta.
Rai2
9.40 SABRINA VITA DA
STREGA Telefilm
TG2 INSIEME Attualità
I FATTI VOSTRI Att
TG2 GIORNO Info
SELTZ Rubrica
SENZA TRACCIA Tf
COLD CASE Telefilm
NUMB3RS Telefilm
LAS VEGAS Telefilm
RAI TG SPORT
TG2 Informazione
18.45 SQUADRA SPECIALE
COBRA 11 Telefilm
19.35 IL COMMISSARIO
REX Telefilm
20.30 TG2 - 20.30
Informazione
10.00
11.00
13.00
14.00
14.45
15.30
16.15
17.00
17.50
21.05
Novità
UN MINUTO
PER VINCERE Gioco
23.10 TG2 Informazione
23.25 WIKITALY Varietà
0.35 RAI PARLAMENTO
TELEGIORNALE
Attualità
DOCUMENTARI/2
«Non si finisce mai di imparare» è il documentario (52’) di Daniele Cini in omaggio a Marcello Cini, a un
mese dalla sua scomparsa, che verrà proiettato sabato alle 17 presso la Sala Consiliare di Palazzo
Valentini, sede della Provincia. Il figlio affronta la figura del padre, fisico e docente universitario,
ripercorrendo momenti importanti più intimi, oltre che le sue idee sulla filosofia della scienza.
Rai3
12.00
12.45
13.10
14.00
14.50
15.05
15.10
16.00
17.40
19.00
20.00
20.10
20.35
TG3 Informazione
LE STORIE Attualità
Prima tv JULIA Telefilm
TG REGIONE - TG3 TGR LEONARDO Rubr
TGR PIAZZA AFFARI
Rubrica
LA CASA NELLA
PRATERIA Telefilm
COSE DELL’ALTRO
GEO Documentario
GEO & GEO Doc
TG3 - TG REGIONE
Informazione
BLOB Varietà
COMICHE
ALL’ITALIANA Doc.
UN POSTO AL SOLE
Soap
21.05
FLIGHTPLAN MISTERO IN VOLO
FILM con Jodie Foster,
22.50 VOLO IN DIRETTA
Varietà
0.00 TG3 LINEA NOTTE
Attualità
Arianna Di Genova
L
a cera che si modella, morbida ma anche tiranna (si rapprende subito),
materiale famigliare e amato dai bambini eppure con un certo pedigree
artistico che lo solleva al di là della quotidianità. Alla Ecos Gallery di Roma, le «sculture» dell’artista belga Kristien De Neve (la mostra è visitabile fino
al 30 novembre, tutti i giorni, domenica solo mattina) offrono un panorama
straniato e insieme poetico raccontano storie di mondi da scoprire. Così, i Cieli, tra gli ultimi lavori dell’artista che torna ad esporre dopo dodici anni (prima, lavorava con le garze) non separano ma avvicinano, trasudano e vivono in
mezzo ai visitatori. Non sono da guardare col naso all’insù ma risultato tattili,
da osservare in dettaglio, quasi con lente di ingrandimento. In più, hanno una
loro pesantezza, sono permeati (o irrorati?) di «materia».
«L’aria non è lontana come sembra, siamo immersi nell’aria, è un equivoco
pensare che siano elementi distanti», dice Kristien De Neve. La sua mission è
riportare tutto sulla terra e
all’unica misura da noi conosciuta, quella umana e
corporea, fisica: la scultrice
lo fa concedendo alla cera
il colore dell’incarnato della pelle, variazione cromatica permanente, mai perfetta e sempre cangiante, come le stagioni della vita. La
sua arte, in fondo, è tutta interna all’ambiguità, richiede una soglia di attenzione
in più. Come quelle figure
che appaiono e scompaiono fra le colate di cera sulle
tele: cervi, cani, donne nude. Siamo certi di averle
scovate, poi le perdiamo
nello sguardo, infine, le ritroviamo come in un puzzle della percezione. È belga, come Magritte e la polpa onirica dei suoi oggetti
si «legge» nell’impossibilità
di definizione, nelle metamorfosi inquietanti, nelle
profondità illusori, nei riflessi delle nuvole in cieli
che si congelano in tocchi quasi marmorei.
Shifting Boundaries è il titolo della mostra romana e il rimando ai confini
dei sensi - che forse non sono cinque come sostiene la scienza da secoli - è evidente. L’arbitrarietà viene rappresentata da quegli involucri di epidermide in
cera, «bozzoli» con i quali l’artista reinventa la realtà e la popola di presenze
inedite. Si possono classificare le sue scullture? Non proprio perché non tradisce l’identità mutevole del suo materiale, Kristien. Piuttosto, vi incide sopra gli
agenti atmosferici, le profondità inattese, l’idea del vuoto e del pieno - da sempre la disputa filosofica ed estetica che sottende alla pratica della scultura tout
court fin dalla sua apparizione. La cera non è altro che un’«apertura» di credito
verso l’interazione fra uomo e natura, un tessuto vitale quanto il nostro, senza
codici o categorie che lo riescano a intrappolare.
Il regista declina l’invito
e si schiera con i precari
cooperativa Rear che si occupano
di sorveglianza, accoglienza e biccettare il premio e limiglietteria al Museo del Cinema (che
tarmi a qualche comamministra il Tff). Cinque euro lormento critico sarebbe un
di all’ora, clima pesante da mesi e
comportamento debole e ipocrita.
cinque lavoratori licenziati dopo le
Non possiamo dire una cosa sullo
proteste per il taglio del 10% di stischermo e poi tradirla con le nostre
pendio: «Sono licenziamenti disciazioni. Per questo
plinari – denun«Non possiamo dire cia Romolo Marmotivo, seppure
con grande tristezcella, Usb -, ci siauna cosa sullo
za, mi trovo como rivolti alle istischermo e poi
stretto a rifiutare il
tuzioni e agli intelpremio». Il mittenlettuali, per far cotradirla con
te è Ken Loach, il
le condile azioni. Per questo noscere
destinatario è il
zioni dei paria delrifiuto il premio»
Museo nazionale
la cultura. Zero ridel Cinema che sposte. Ad agosto
in occasione del
abbiamo scritto a
Torino Film festival - voleva insignirLoach. È stato l’unico a risponderlo del Gran Premio Torino.
ci, ci ha chiesto spiegazioni e docuSullo schermo, invece, ci sono
menti». Ken il rosso ha fatto di più.
Maya e Rosa, la prima riesce a enHa deciso di rinunciare al premio,
trare clandestinamente in America
senza che lavoratori e sindacato
e, grazie alla seconda, a trovare un
glielo chiedessero. Una brutta gralavoro in un’impresa di pulizie.
na per il Tff alla vigilia dell’inauguraCondizioni precarie e prive di qualzione: annullata la proiezione di
siasi tutela. Il film è Bread and RoThe Angels’ Share, vincitore del preses (2000), la realtà è invece torinemio della Giuria a Cannes.
se. Al posto delle due donne ci soIl tema che unisce realtà e finziono, in carne e ossa, i lavoratori della
ne è identico: «La questione è quella dell’esternalizzazione dei servizi
– spiega in una lunga lettera Loach
- che vengono svolti dai lavoratori
con i salari più bassi. Come semARTE
pre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalSi inaugura domani, presso la galleria Il Ponte Contemporanea inaugura la personale di Myriam Laplante,
to riduce di conseguenza i salari e
artista canadese che vive fra Roma e Bevagna. In questa epoca di comunicazioni di massa, siamo bombartaglia il personale. È una ricetta dedati da informazioni e ognuno di noi si costruisce un piccolo mondo di convinzioni basato su dicerie, su
stinata ad alimentare i conflitti. Il
storie di terza o quinta mano, declamate con fervore da personaggi pubblici o da politici. Spesso queste
fatto che ciò avvenga in tutta Euroconvinzioni si trasformano in certezze, e da certezze diventano dogmi. Gli integralismi di tutti tipi sono basapa non rende questa pratica accetti su questi dogmi. E tutto questo riposa su cattive interpretazioni di citazioni sbagliate di definizioni errate
tabile». Nemmeno a Torino. Il regida fonti anonime. L’installazione: un organismo nasce quasi dal nulla, da un mucchio di bastoni di legno
sta accenna alle «intimidazioni e
su una mensola e forma una sorta di rete neuronale. La struttura attraversa le pareti, si poggia su una comaltrattamenti» subite dai lavoralonna formata da tomi dell’Enciclopedia Britannica, altrove poggia su una colonna di piatti e ciotole di vetori Rear, «malpagati e vulnerabitro. Dalle pareti e dal soffitto escono strane inflorescenze, palle di cera colorata, piccoli dipinti ad olio, sculli», poi spiega: «L’organizzazione
ture di cera. La sera del vernissage (la mostra resterà aperta dino al 12 gennaio), anche l’artista farà parte
che appalta i servizi non può chiudell’installazione, come fosse una scultura animata.
dere gli occhi, ma deve assumersi
la responsabilità delle persone che
lavorano per lei, anche se queste
sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in
questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse
la riassunzione dei lavoratori licen«Oppure Monti» è il
ziati e ripensasse la propria politi12.25 STUDIO APERTO Info
9.55 COFFEE BREAK
18.30 TRANSATLANTICO
titolo
della
nuova
punca di esternalizzazione».
13.00 SPORT MEDIASET
Attualità
Attualità
Notiziario sportivo
11.00 L’ARIA CHE TIRA
19.00 NEWS Notiziario
tata di «Servizio PubbliA stretto giro di posta è arrivata
19.25 SERA SPORT
13.40 CAMERA CAFÈ
Attualità
co»,
il
programma
di
la risposta del Museo Nazionale
RISTRETTO Sit com
12.20 TI CI PORTO IO...
Notiziario sportivo
Michele Santoro che
del Cinema di Torino: «Ci dispiace
IN CUCINA CON
13.45 Cartoni
19.30 IL CAFFÉ: IL PUNTO
VISSANI Rubrica
15.05 Prima tv Mediaset
Attualità
andrà in onda oggi seconstatare che un grande regista,
FRINGE Telefilm
12.30 I MENÙ DI
20.00 IL PUNTO
ra su La7, alle ore
al quale va da sempre la nostra
BENEDETTA Rubr (R)
ALLE 20.00 Attualità
16.00 Prima tv Mediaset
SMALLVILLE Telefilm
13.30 TG LA7 Informazione
METEO Previsioni
21.10. Dopo un anno
ammirazione, sia stato male infordel tempo
16.50 Prima tv NATIONAL
14.05 CRISTINA PARODI
di governo Monti, con
mato al punto da formulare riser(all’interno)
MUSEUM Telefilm
LIVE Rubrica
le elezioni politiche del
ve su comportamenti del Museo
17.45 TRASFORMAT Gioco
16.30 IL COMMISSARIO
20.58 METEO Previsioni del
tempo
CORDIER Telefilm
18.30 STUDIO APERTO prossimo anno cosa ci
che non corrispondono in alcun
METEO Informazione
18.20 I MENÙ DI
aspetterà?
Un
Montimodo alla realtà dei fatti. Il Museo
BENEDETTA Rubrica
19.20 C.S.I. Telefilm
21.00 NEWS LUNGHE
19.15 G’ DAY Varietà
Notiziario
bis, un premier Bersani
non può essere ritenuto responsa20.20 CALCIO, EUROPA 20.00 TG LA7 Informazione 21.26 METEO Previsioni del
o
uno
guidato
dal
cenbile dei comportamenti di terzi,
tempo
LEAGUE FASE
20.30 OTTO E MEZZO
trodestra? Nichi Vendoné direttamente né indirettamenGIRONI. 5A GIORNATA
Attualità
21.30 VISIONI DI FUTURO
AIK SOLNA - NAPOLI
Attualità
la, candidato alle prite. Di conseguenza, non sarebbe
Evento sportivo (Dir.)
21.10 SERVIZIO PUB- 21.56 METEO Previsioni del
marie del Pd, e Renato
in alcun modo legittimato a intertempo
BLICO Attualità (Dir.)
23.05 UEFA EUROPA
LEAGUE - SPECIALE
23.45 OMNIBUS NOTTE
22.00 VISIONI DI FUTURO
Brunetta, ex ministro
venire nel merito di rapporti di laRubrica sportiva
Attualità
Attualità
del governo Berlusconi,
voro fra i soci di una cooperativa
0.45 COBRA FILM
0.50 TG LA7 SPORT
22.26 METEO Previsioni
fra gli ospiti
esterna e la loro stessa società».
del tempo
con Sylvester Stallone
Informazione
Mauro Ravarino
«A
Alla Ecos Gallery di Roma,
l’artista belga presenta
gli ultimi cicli di sculture
e «pitture», rendendo
tattile anche il cielo blu
Rete4
11.30 TG4 Informazione
12.00 UN DETECTIVE IN
CORSIA Telefilm
12.55 LA SIGNORA IN
GIALLO Telefilm
14.00 TG4 Informazione
14.45 LO SPORTELLO DI
FORUM Real Tv
15.30 Prima tv HAMBURG
DISTRETTO 21 Telefilm
16.35 SOLDATO GIULIA
AGLI ORDINI FILM
con Goldie Hawn,
Eileen Brennan
18.55 TG4 Informazione
19.35 TEMPESTA
D’AMORE Soap
20.30 WALKER TEXAS
RANGER Telefilm
21.10
FESTIVAL DI TORINO · Il «caso» Ken Loach
Prima tv
THE MENTALIST Tf
23.05 THE CLOSER Telefilm
0.50 L’ITALIA CHE
FUNZIONA Rubrica
1.00 TG4 NIGHT NEWS
Informazione
· Myriam Laplante performer al Ponte Contemporanea
Canale5
8.50 MATTINO CINQUE
Attualità
FORUM Real Tv
TG5 Informazione
BEAUTIFUL Soap
CENTOVETRINE Soap
UOMINI E DONNE
Talk show
16.20 POMERIGGIO CINQUE
Attualità
18.50 AVANTI UN ALTRO
Gioco
20.00 TG5 Informazione
20.40 STRISCIA LA NOTIZIA LA VOCE
DELL’INSOLVENZA Att.
11.00
13.00
13.40
14.10
14.45
21.10
Prima tv Mediaset INNOCENTI
BUGIE FILM con Tom
Cruise, Cameron Diaz
23.30 TI ODIO, TI LASCIO,
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con Vince Vaughn,
Jennifer Aniston
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il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
❚
terraterra
Yukari Saito
Non dimenticare Fukushima
S
ono passati 20 mesi dal disastroso incidente nucleare di Fukushima in Giappone.
Per molti di noi giapponesi la vita ha cambiato aspetto e significato da quell’11 marzo
2011, dal sisma che ha provocato una catastrofe inimmaginabile. Ma se dopo oltre un anno
e mezzo si stenta a superare il trauma, e tanto
meno a riprendere la vita di prima, è soprattutto per il nucleare. Non solo per l’angoscia per
la contaminazione radioattiva, o per il rischio
che la precaria situazione alla centrale di Fukushima Daiichi si aggravi ancora, ma anche per
il comportamento delle autorità dopo l’incidente, che ha distrutto la fiducia quasi incondizionata che molti cittadini riponevano in loro.
Ma forse questo non è poi così negativo: in
molti giapponesi si è svegliata la consapevolezza della propria responsabilità politica e sociale.
Ne abbiamo avuto un esempio lo scorso 11
novembre, quando ci sono state oltre 230 manifestazioni e iniziative contro il nucleare in
tutto l’arcipelago giapponese.
La partecipazione maggiore si è vista nel
cuore di Tokyo, dove sotto una pioggia gelida
circa 100 mila cittadini hanno circondato vari
palazzi del potere a cominciare dal Parlamento e dal Palazzo del primo ministro, nonostante l’ostruzionismo dell’amministrazione locale
guidata dalla destra nazionalista che gli aveva
negato l’uso del giardino pubblico come luogo
di appuntamento per un grande corteo (un’immagine video: http://www.ourplanet-tv.
org/?q=node/1466). L’ultima mobilitazione antinucleare si aggiunge alle tantissime proteste
in piazza: da più di 8 mesi si ripetono a cadenza settimanale, ogni venerdì pomeriggio, in
molte città giapponesi.
E’ un fenomeno nuovo nella storia del paese: i manifestanti sono cittadini comuni, finora
poco politicizzati, donne, uomini, bambini,
giovani e meno giovani che partecipano con
gli amici o la famiglia ma anche da soli. E’ un
movimento dalla fisionomia molto diversa rispetto alle proteste popolari del passato, mobilitate dai sindacati o da gruppi più o meno organizzati. Che cosa spinge queste persone a
unirsi sotto la pioggia per dire no al nucleare,
gridare stop ai due reattori riattivati dopo
Fukushima, chiedere di evacuare i bambini
delle zone a rischio? La poesia «Confessione»,
letta anche in Italia durante un evento serale a
Firenze 10+10, ci sembra la migliore testimonianza dello stato d’animo diffuso dopo il disastro: «... In questa società in cui qualcuno sussurra: dimentica, dimentica, noi invece non dimentichiamo Fukushima!».
Alla vigilia delle elezioni politiche in Giappone, riusciranno queste mobilitazioni a
smuovere la politica, ancora strettamente condizionata e controllata da una lobby nucleare
dura a morire? A dire la verità non sembra
che Fukushima abbia fatto un grande effetto
sui politici né sui mass media, che all’inizio
della campagna elettorale faranno di tutto
per portare l’attenzione dei giapponesi su altre questioni meno vitali. Siamo ancora ai primi passi di una strada irta. Proprio per questo
è importante non lasciare soli i giapponesi.
L’Italia potrebbe dare un contributo enorme,
forte delle due vittorie referendarie contro nucleare e del ruolo di levatrice di un nuovo
network europeo antinucleare a Firenze
10+10. Le radiazioni e la lobby nucleare non
conoscono confini nazionali: per contrastarle
è necessaria un’alleanza globale. Un prossimo appuntamento sarà dal 15 al 16 dicembre
a Tokyo e Koriyama in Fukushima, dove si
svolgerà la seconda «Conferenza globale per
un mondo libero dal nucleare», Nuclear Free
Now!, in concomitanza con il vertice ministeriale tra il governo giapponese e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Sarà un
banco di prova per la società civile antinucleare, giapponese e non, per impedire alla politica mondiale e ai mass media di chiudere il sipario su Fukushima.
il manifesto
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chiuso in redazione ore 21.30
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EMILIA ROMAGNA
Dal 14 novembre al 4 dicembre
GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO
LA VIOLENZA SULLE DONNE: la "Casa
delle donne per non subire violenza" di Bologna la celebra con un ampio ventaglio di
iniziative il 25 novembre. Il FESTIVAL LA VIOLENZA ILLUSTRATA, giunto alla sua settima
edizione, è l’unico appuntamento culturale in
Italia interamente dedicato alla violenza di
genere. Le immagini scelte per l’edizione
2012 rimandano al falso stereotipo dell’ambiente domestico come adatto e naturale
destinazione per le donne, quando invece le
statistiche dicono quanto sia pericoloso proprio per loro e i bambini/e che lo abitano.
GIOVEDI' 22, ore 14, Camera del lavoro, via
Marconi 67/2, Bologna dibattito DONNE
CONTRO OGNI VIOLENZA DONNE CONTRO LE
MAFIE a cura di CDLM-CGIL e Ass. Libera.
GIOVEDI' 22, ore 20.30, Sala Silentium del
Q.re San Vitale in vicolo Bolognetti 2, Bologna dibattito VERSO LA COPPIA SANA, OLTRE L'ILLUSIONE D'AMORE a cura del Centro
di UDI Bologna. [email protected]
GIOVEDI' 22, ore 20, Centro interculturale
delle donne di Trama di Terra, via Aldrovandi
31, Imola presentazione del libro del
fotografo Ico Gasparri, CHI E' IL MAESTRO
DEL LUPO CATTIVO? La donna nella pubblicità stradale. Milano 1990-2011.
■ Casa delle donne per non subire
violenza, via dell'Oro 3, Bologna - www.
casadonne.it
LIGURIA
Giovedì 22 novembre, ore 21
INCONTRO DIBATTITO SU DUE DIRITTI
DI CIVILTÀ:
- diritto al lavoro senza ricatti
- diritto al reddito minimo garantito.
Con: Bruno MANGANARO, segretario prov.
FIOM per il Comitato promotore dei referendum per l'abrogazione dell'art. 8 ed il ripristino dell'art. 18; Piergiorgio GROSSI, segretario
sez. genovese Movimento Federalista Europeo, per il Comitato promotore della proposta di legge per il Reddito Minimo Garantito.
■ Circolo Arci Zenzero, via Torti 35,
Genova
LOMBARDIA
Giovedì 22 novembre, ore 21.30
LA PRIGIONE DEGLI ALTRI. Attraverso
interviste realizzate ad alcuni immigrati oggi
agli arresti domiciliari il film apre una riflessione sulla funzione delle carceri italiane
nella gestione del fenomeno dell'immigrazione: da una parte il vissuto drammatico, dall'altra un discorso corale sui concetti di cittadinanza, riabilitazione e funzione sociale e
culturale del carcere nella società. Saranno
presenti gli autori Alessandro e Mattia Levratti (registi); Alessandro Pandolfi (volontario
NAGA); Elton Kalica, sociologo e coordinatore
di Ristretti Orizzonti; una delle persone intervistate nel video; Maria Vittoria Mora, coordinatrice del Gruppo Carcere del NAGA; Andrea
Perin di Scighera. Ingresso con tessera ARCI.
■ Circolo Arci Scighera Via Candiani
131 Milano - [email protected]
Giovedì 22 novembre, dalle ore 15
CONVEGNO "ETICA E FINANZA". Crisi
economica e sviluppo, equo profitto, il risparmio e la fiducia nei mercati finanziari: nuove
proposte per un'etica nella finanza. Crisi
economica, globalizzazione e libero mercato.
E ancora: speculazione finanziaria e l'importanza dell'etica nell'economia. Sono queste
le tematiche del convegno promosso dal
Gruppo Editoriale S.E.I.. Introducono Davide
Corritore, Direttore Generale del Comune di
Milano e Leonardo Salvemini, Assessore all'Ambiente Energia e Reti della Regione Lombardia. www.eticadelleprofessioni.it
■ Circolo della Stampa, Palazzo Bocconi, Milano
–
Qualche settimana fa, tre associazioni (21 luglio, Articolo 3 e Naga) denunciarono il fatto che nel sito de il
Giornale erano comparsi due articoli
in cui si accusava un presunto rom di
aver tentato di rapire una bambina.
Pochi giorni dopo, a Gela, una donna
vede davanti al supermercato una
ragazzina Rom di 13 anni, si convince che si tratti di Denise Pipitone,
bambina scomparsa anni fa nella
stessa zona, e segnala il fatto alla
polizia, che porta la ragazza in questura a Caltanissetta solo per prendere atto che la somiglianza non c’è e
che la famiglia Rom in questione, di
origine romena, vive a Gela da anni.
Martedì sera, Rai2 trasmette una vecchia puntata di «Criminal minds», la
serie in cui un gruppo di super-esperti del Fbi danno la caccia ai serial
le lettere
COMMUNITY
INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU:
www.ilmanifesto.it
[email protected]
Uniti nella lotta
Sono un insegnante. Ho partecipato
a un’assemblea indetta da tutte le
sigle sindacali. Oltre allo sciopero,
previsto per il 24 novembre, è stata
proposta, come ulteriore forma di
protesta, l’astensione dalle attività
aggiuntive. Ritengo che astenersi
dalle attività aggiuntive sia un’azione poco efficace contro il ministro
Profumo, deleteria per la nostra immagine di educatori, e il danno immediato verrebbe procurato solo ai
nostri studenti. Cerchiamo di far capire, innanzitutto, che la passione
per il nostro lavoro non viene mai a
mancare. Sarebbe, invece, molto
più significativo promuovere assemblee e scioperi di docenti insieme
agli studenti e, magari, uniti ai metalmeccanici. Unire le lotte di operai
e studenti è un’idea di Landini a cui
noi docenti non possiamo fare a
meno di aderire e di partecipare.
Ermanno Battaglini, Oria (Br)
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posti di lavoro mantenendo le competenze acquisite in oltre 30 anni di
lavoro. La scelta del concordato preventivo è stata un atto di assunzione di responsabilità della famiglia
Basso e dell’azienda per salvaguardare i creditori e i fornitori, ma anche l’onorabilità, la storia, i diritti dei
dipendenti e le opere già iniziate. In
questi mesi si sta procedendo alla
soddisfazione dei creditori nelle misure indicate nel concordato;
- il medesimo concordato preventivo
ha ammesso la Faber Costruzioni
s.r.l. all’affitto del ramo dell’azienda
Edilbasso s.p.a. che verrà seguita
dall’acquisto definitivo, comprese le
opere sospese;
La Faber Costruzioni s.r.l. esprime il
proprio dispiacere nel notare la discrepanza tra la messa in evidenza
delle ingerenze di personaggi poco
affidabili e invece poco o per nulla
la scelta responsabile dell’azienda
che, presa consapevolezza della
poca credibilità dei soggetti suddetti, ha provveduto alla loro estromissione. In un momento di difficoltà
economiche derivanti dalla lunga
crisi economica del settore edilizio e
dell’economia in generale, sono molti i casi di aziende che, in mancanza
di un sostegno economico anche da
parte del sistema bancario, rischiano di essere vittime di chi può offrire
loro aiuto economico immediato.
Valeria Bacco, Adnkronos Nord Est
L’Imu e il settore non-profit
Con sorpresa ho appreso che dal
2013 potrebbe essere imposto
l’Imu a tutto il settore non-profit per
quelle attività che svolgono in qualche modo attività economiche e che
potrebbero far concorrenza alle imprese profit. Certamente anche una
comunità terapeutica, una mensa
Caritas, una casa famiglia o una
scuola svolgono in qualche modo
delle attività commerciali necessarie
per il proprio funzionamento e non
si capisce a chi dovrebbero fare concorrenza. Forse allo Stato che in questo modo sarebbe costretto a colmare a costi inimmaginabili una lacuna
aperta dalla inevitabile chiusura di
migliaia di benemeriti enti.
Può darsi che nella vasta categoria
del non profit, sia di estrazione religiosa che laica, esista qualche abu-
GUIDON AMATO
so o caso anomalo che andrebbe
sanzionato, ma dovremmo stare attenti a non gettare il bambino con
l’acqua sporca. Sarebbe dannoso
per l’Italia, specialmente in questo
momento di crisi economica.
Su questo tema c’è stata molta disinformazione in quanto non pochi
media hanno finora parlato soltanto
di Imu per la Chiesa, travisando tutto il vasto settore del non profit.
Fabio Mendler
La coop non sei tu
Finalmente disveliamo, finalmente si
può parlare in maniera trasparente
di cosa siano le cooperative sociali in Italia e soprattutto come siano dominanti nel sistema economico dell'Italia centrale (anche in
Toscana!). Ringrazio davvero il manifesto che per l’inchiesta che ha
messo in luce il sistema degli appalti che vi è dietro, lo sfruttamento dei lavoratori attraverso un contratto nazionale pessimo, il meccanismo di esternalizzazione dei servizi e la frantumazione di una classe
lavoratrice che non trova la comprensione e l'appoggio del sindacato nelle proprie istanze, proprio a
causa del non detto ideologico
che il cooperativismo si porta dietro, ma che di originale ha oramai
ben poco. Vi ringrazio come lavoratrice, come cittadina e come lettrice. Avanti con queste inchieste!
Martina Ridolfi
Precisazione
Ti lascio sul treno
In riferimento all’articolo «Mattoni
liquidati» uscito su Il manifesto di
domenica 18 novembre, che riporta
la notizia dell’arresto di Giovanni
Barone e il coinvolgimento dello
stesso all’interno dell’azienda Faber
Costruzioni s.r.l., la famiglia Basso
desidera ribadire:
- Nella fase di nascita della Faber
Costruzioni s.r.l., Giovanni Barone
ha acquisito, in data 16.03.2011 il
65% della medesima con la promessa di apportare dei finanziamenti
alla società di Loreggia. L’azienda in
data 28.06.2011 lo estrometteva
con un atto ufficiale per aver mancato negli intendimenti inizialmente
garantiti - l’omologa del concordato
preventivo richiesto da Edilbasso
s.p.a. è stata pubblicata a luglio
2012. Grazie alla scelta del concordato, infatti, sono stati garantiti 50
Caro «il manifesto» oltre ad acquistarti ogni sabato e ogni domenica,
per non perdere Alias, il lunedì ti
lascio sul treno prima di scendere
perché so che farai breccia negli
occhi di qualcuno. Resisti
Elena Incerti
Lutti
La scorsa notte, a Reggio Emilia, si
è spenta Leda Notari, mamma dei
nostri compagni e amici Gianni e
Tiziano Rinaldini. Cui inviamo il forte
abbraccio del manifesto.
Per dare più spazio a più voci
possibili chiediamo a lettrici
e lettori di inviarci commenti
che non superino le duemila
battute, spazi compresi.
Grazie
–
DEMOCRAZIAKMZERO
CRCriminal minds
Pierluigi Sullo
killer tracciandone il profilo sociale e
psicologico. Nella puntata dell’altra
sera a scomparire, dopo che i suoi
genitori sono stati uccisi, è una bambina, che viene poi ritrovata viva. Chi
l’ha rapita? Man mano si conclude,
grazie all’intelligenza nel mettere insieme indizi e ai mezzi informatici di
cui dispongono gli investigatori, che
colpevole è una coppia di rom, di
origine romena, che vogliono rapire
una bambina per darla in moglie al
loro figlio di dieci anni. E – sorpresa casi di questo genere sono, negli
Usa, decine, se non centinaia. Tanto
che, dopo l’obbligatorio lieto fine,
grazie al quale una seconda bambina
rapita viene salvata e si capisce che
la moglie del Rom è a sua volta stata
rapita da piccola, si vede un’altra
coppia che osserva una bambina per
strada e il padre domanda al figlio:
«Quella va bene?». Come dire: si tratta di una catena infinita e di un pericolo costante, tanto più che, dice il
più saggio degli agenti del Fbi, «i
rom sono nomadi».
A voler elencare episodi di questo
tipo, o semplicemente espressioni
razziste, o l’uso demagogico che i
politici fanno – come l’attuale e speriamo presto non più sindaco di Roma, Alemanno – dello «sgombero di
campi rom», per definizione focolai di
malattie e criminalità, non si finirebbe più. E’ quel che fa, con puntiglio,
l’Unar, l’Ufficio contro le discriminazioni e il razzismo della presidenza
del consiglio. Secondo il giudizio unanime di tutti gli osservatori istituzionali – ad esempio europei – i rom sono
la minoranza più vilipesa, perseguitata e discriminata. In assoluto: peggio
degli ebrei, attorno ai quali – giustamente – vi è una cortina di protezio-
ne per fortuna molto vasta. Anche
perché con la «shoah» la coscienza
civile ha dovuto – sebbene mai abbastanza – fare i conti. Con il «porrajmos», lo sterminio dei Rom da parte
dei nazisti, mai.
So che è sgradevole fare questi paragoni, quasi a stabilire una graduatoria tra gruppi sociali vessati da pregiudizi e razzismo. Ma serve a far capire
quanto drammatica sia una vicenda
che non conosce miglioramenti, se
non provvisori e destinati ad essere
cancellati, e su cui si esercita il peggio di ogni politica. Come dice Renato Nicolini nel bel film di Gianfranco
Rosi, «Tanti futuri possibili», parlando
di chi ha voluto cacciare i Rom «fuori
dal raccordo anulare»: «E’ stato Alemanno… O è stato Veltroni?».
www.democraziakmzero.org
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
pagina 15
COMMUNITY
L’anno perduto
di Mario Monti
DALLA PRIMA
Gabriele Pastrello
La Grecia tra Fmi
e Commissione Ue
Di conseguenza l’austerità non
può essere neppure il mezzo
per la riduzione del debito; rafforzando questa tesi con esempi storici contrari di grande peso. Naturalmente non si poteva se non accogliere con
favore questo rovesciamento delle posizioni storiche del Fmi. Ma gli sviluppi successivi, e soprattutto il contrasto
attuale tra Fondo e Commissione mettono in luce un aspetto meno incoraggiante delle conseguenze di quel rapporto. Il conflitto Fondo-Commissione
ha motivazioni molto meno preoccupate del rilancio dell’economia europea e molto più di quali istituzioni finanziarie dovranno subire perdite per
la crisi. Naturalmente il prezzo che le
popolazioni greche, spagnole, portoghesi e italiane stanno pagando non interessa a nessuno.
Stiamo infatti assistendo a uno strano rovesciamento di posizioni. Nonostante abbia affermato che la terapia
dell’austerità non è in grado di ridurre
il peso del debito, il Fmi non intende
dare proroghe sulla data in cui la Grecia dovrebbe raggiunger il magico livello di 120% del debito sul Pil, il 2020.
Mentre la Commissione si ostina nelle
sue previsioni rosee dicendo che il Fmi
è pessimista. Di conseguenza sostiene
che basta una piccola proroga di due
anni nella data di rientro del debito greco nelle dimensioni accettabili, cioè al
2022.
In realtà lo scontro è solo su chi paga. Il Fmi vuole smettere di finanziare il
bilancio ellenico, e vuole che la Commissione prenda atto del fallimento della politica di austerità - a questo serviva
il rapporto - e di conseguenza affronti il
problema che alla fine inevitabilmente
si porrà: chi dovrà sostenere le perdite
per l’ineludibile cancellazione di parte
del debito? Il debito dovrà essere ridotto, insieme agli interessi che stanno pesando sul bilancio greco in modo insostenibile. Dato il peso dei finanziatori
europei, statali e privati, queste perdite
dovranno ricadere soprattutto su di loro. Ma né la Commissione europea né
la Bce ne vogliono sentir parlare. Da
cui anche gli ipocriti complimenti rivolti alla Grecia e al Portogallo, come pure
a Italia e Spagna. Giusto ora la Merkel
sta dicendo a Lisbona che ha piena fiducia nella capacità dei portoghesi di
far fronte agli impegni. Tradotto: se
non trovate i soldi voi, noi non intendiamo metterci un euro. Le banche greche
stanno faticosissimamente trovando in
questi giorni i miliardi di euro necessari per far fronte ad impegni non finanziati dalla Troika, e quindi per non fallire a breve termine. Sembra che ci riescano, così come il governo greco faticosamente ha trovato i voti per approvare il nuovo pacchetto di sacrifici. Ma
sia le risorse finanziarie delle banche
greche che quelle politiche del governo
sono in via di esaurimento. Forse la
Grecia non fallirà prima di Natale, ma
nelle condizioni attuali difficilmente
può reggere fino a Pasqua.
La scommessa della signora Merkel
di riuscire ad arrivare alle elezioni dell’autunno prossimo senza allentare le
condizioni capestro imposte ai paesi
debitori per soddisfare l’opinione pubblica tedesca, e al tempo stesso tenendo sotto controllo le crisi via via emergenti rischia seriamente di fallire. Una
delle ragioni per cui aveva pur controvoglia accettato gli interventi di Draghi
era che comunque sono stati in grado
di guadagnare tempo. Ma un fallimento della Grecia potrebbe mettere a dura
prova le stesse misure di Draghi. Cosa
farà? I mercati sono stati buoni dopo
settembre perché gli Stati in difficoltà,
Spagna e Italia, erano lontani dal default, e quindi la minaccia di acquisto illimitato di titoli era efficace contro la
speculazione al ribasso. Ma se fallisse
la Grecia, Draghi dovrebbe agire davvero da prestatore di ultima istanza, o lasciare che la Grecia esca dall’euro. Potrebbe generarsi una fuga generalizzata
dai debiti di paesi come Spagna e Italia.
Tutto questo ben prima che la Merkel
approdi al lido sicuro della rielezione.
A prima vista sembra impossibile
che Draghi possa prendere una tale decisione, ma in realtà potrebbe avere la
maggioranza nel Consiglio della Bce. E
allora sarebbe la Germania a dover decidere se uscire o no. Difficile che il quadro politico tedesco regga a un simile
dilemma. Una Nemesi per l’avventata
e cinica scommessa della Merkel sulla
pelle dei paesi mediterranei.
È
trascorso un anno dall’insediamento
del governo di Mario Monti. Dopo la
fine ingloriosa dell’egemonia berlusconiana, culminata con l’umiliazione subita dall’Italia al vertice dei capi di stato e di
governo dell’Unione Europea di Cannes, il
Capo dello stato incaricò il Professor Monti
di dar vita a un nuovo governo con l’obiettivo di riacquistare la credibilità internazionale che, anche sui mercati finanziari, era stata perduta dal nostro paese; gran parte degli
italiani appoggiò la scelta. I principali problemi da risolvere erano il risanamento delle finanze pubbliche e il riavvio della crescita economica, in un quadro segnato da un
debito elevato e condizioni di rifinanziamento molto onerose; si trattava di due
obiettivi difficili da raggiungere perché potenzialmente confliggenti.
Sebbene l’investitura di Monti non venisse dalla scelta elettorale dei cittadini, il suo
programma presentava elementi di straordinarietà, incidendo su molteplici aspetti della vita sociale e dei rapporti di produzione.
Il sostegno parlamentare, inizialmente pressoché unanime, ha dato legittimità a un esecutivo “tecnico” che ha effettuato scelte politiche forti e di parte; l’assenza di un mandato elettorale ha rappresentato un vulnus costitutivo che è stato talvolta interpretato in
termini di irresponsabilità.
Qual è il bilancio di un anno di governo?
L’azione di Mario Monti è stata favorita dalla Banca centrale europea, prima con operazioni non convenzionali di rifinanziamento
a lungo termine - circa mille miliardi di euro
forniti alle banche europee (oltre 200 miliardi a quelle italiane) al tasso dello 0,75% -,
poi con la disponibilità, condizionata, ad acquistare titoli di stato a breve in misura illimitata; le condizioni sui mercati sono parzialmente migliorate, ma lo spread rispetto
ai tassi d’interesse tedeschi resta oggi intorno ai 350 punti e il paese deve sostenere
una spesa per interessi significativamente
superiore ai circa 80 miliardi di euro dell’anno passato.
Del tutto negativi sono stati i risultati per
l’economia reale, peggiori rispetto alle attese, ripetutamente riviste al ribasso dal governo. I numerosi interventi “strutturali”, tra i
quali quelli brutali della riforma Fornero sul
mercato del lavoro, i tagli alle pensioni e al-
La situazione della finanza
pubblica è peggiorata,
la recessione è più grave,
la distribuzione del reddito
più disuguale
tre misure che hanno colpito le categorie
più deboli, non hanno evitato all’economia
italiana una spirale recessiva. Il Pil del 2012
è diminuito di circa il 2,3%, la domanda interna è calata in misura superiore, mentre la
condizione delle famiglie è in costante peggioramento. E’ proseguita la diminuzione
della ricchezza, anche se rimane elevata nel
confronto internazionale; è ulteriormente
aumentata la concentrazione sia del reddito, sia della ricchezza. La disoccupazione è
cresciuta a ritmi elevati, così come il ricorso
alla cassa integrazione; per i giovani è diventato più difficile trovare un’occupazione. Il
calo della domanda di consumi ha aggravato la riduzione della produzione e degli inve-
–
«Cosa sono le tasse?»
«Sono dei soldi da dare». «Sono
quando arriva la bolletta del gas: è
una tassa da pagare». «E’ una quota
di soldi da pagare che ti arriva circa
una volta al mese: per la luce, il gas,
l’acqua».
«Ti arriva una busta a casa dove e sopra c’è un foglio che tui dice quello
che devi pagare, per esempio 3000
euro per la luce».
«Voi parlate soprattutto di bollette.
Ma le bollette non sono proprio le tasse...».
«Ma sono sempre pagamenti».
«Sono lettere che ti arrivano e ti dicono quanto devi pagare».
«Se uno va in un bar e compra due caramelle da dieci centesimi, se il barista
non fa lo scontrino, deve avere una multa. Quelle sono le tasse: delle multe».
Pitagora
stimenti da parte delle imprese; con bassi livelli di domanda, la dinamica dei prezzi è
stata contenuta.
Secondo le previsioni del governo, la ripresa produttiva dovrebbe avvenire nel secondo semestre del prossimo anno, quando
l’economia tornerebbe a crescere. Ma, con
le attuali linee di politica economica, è improbabile che la ripresa possa materializzarsi.
Cattive notizie vengono inoltre dalla finanza pubblica; anche qui il governo ha più
volte rivisto al ribasso i propri obiettivi. Il
rapporto debito/Pil, il parametro che più influenza la vulnerabilità del debito dello Stato, ha superato il 126%, quasi sei punti percentuali in più rispetto all’anno precedente;
alla crescita ha contribuito il fabbisogno finanziario dello stato, nei primi nove mesi
dell’anno quasi identico a quello dei due anni precedenti, e la diminuzione del prodotto, anche di quello espresso a valori correnti. Malgrado le numerose e pesanti manovre
fiscali, tra le quali l’introduzione dell’Imu,
l’innalzamento dell’aliquota ordinaria Iva,
l’inasprimento delle accise sui carburanti, le
maggiori imposte di bollo, oltre al fiscal
drag e alle ancora insufficienti misure di
contrasto all’evasione, le entrate fiscali sono
cresciute in misura limitata; il gettito Iva, a
causa del crollo dei consumi, è sceso. Le spese, limitate sul piano interno, hanno risentito degli esborsi – circa 18 miliardi nei primi
nove mesi dell’anno - che anche l’Italia ha
effettuato per finanziare le misure europee
di intervento per gli altri paesi europei in difficoltà.
Il deficit nel bilancio 2012 è così rimasto
vicino al 3% del Pil, esclusi questi esborsi
per i fondi anti-crisi europei; il governo si è
impegnato ad anticipare il pareggio di bilancio dal 2014 al 2013, con un avanzo primario (il saldo prima del pagamento degli interessi sul debito) che dovrebbe raggiungere il
4% del Pil. I vincoli di bilancio si sono fatti
più stringenti con l’aggravarsi della crisi e diventeranno ancora più pesanti con l’entrata
in vigore, il prossimo anno, del Trattato europeo in materia di politica fiscale, il cosiddetto “Fiscal compact”, sottoscritto dai governi europei - con l’eccezione di Gran Bretagna e Repubblica ceca – ma non ancora
votato da tutti i parlamenti. Le misure previste sono l’obbligo del bilancio in pareggio e
l’azzeramento, in 20 anni, della quota di debito pubblico che eccede il 60% del Pil; per
l’Italia ciò impone che il saldo di bilancio rimanga per due decenni ampiamente positivo (a meno di elevati saggi di crescita nominale del prodotto). Il quadro temporale per
l’effettiva entrata in vigore di tali misure sarà proposto dalla Commissione europea tenendo conto dei rischi specifici sul piano
della sostenibilità del debito; viene tuttavia
richiesta una rapida convergenza verso gli
obiettivi del Trattato.
Che cosa significa questo impegno per
l’Italia? Nei prossimi anni, per rispettare il Fiscal compact l’Italia dovrà tagliare la spesa o
aumentare le imposte per quattro o cinque
punti percentuali di Pil, oltre 60 miliardi di
euro. Tale cifra potrebbe risultare insufficiente se teniamo conto dell’effetto demoltiplicativo di reddito di tali misure, segnalato
anche dal Fondo monetario internazionale:
tagli di spesa e aumenti di imposte hanno
l’effetto di ridurre la domanda e far cadere la
produzione, prolungando la recessione. Interventi correttivi di questo tipo dovranno
essere presi da tutti gli altri paesi europei a
eccezione della Finlandia; la Germania ha
un debito pubblico superiore all’80% del Pil;
la Francia ha un disavanzo superiore al 4% e
il suo debito ha appena subito il “declassamento” da parte di Moody’s. Si tratta di una
situazione per certi versi simile a quella paventata per gli Stati Uniti di un “fiscal cliff”
(baratro fiscale) di medio periodo: il taglio
generalizzato della spesa pubblica rischia di
aggravare la spirale recessiva dell’eurozona,
in particolare nei paesi periferici.
I problemi della politica di bilancio dell’Italia non sono nuovi. Almeno dai primi anni 2000 i governi hanno fatto manovre “procicliche”, con misure espansive e deficit in
aumento quando le condizioni macroeconomiche erano, almeno parzialmente, favorevoli e misure restrittive quando l’economia entrava in recessione, il contrario di
una ragionevole politica di bilancio. Nell’ultimo anno, il governo “tecnico” ha introdotto una stretta fiscale molto forte nel mezzo
di un rallentamento particolarmente grave
dell’economia, col risultato di aggravare sia
le condizioni dell’economia reale che quelle
di finanza pubblica, peggiorando anche la
distribuzione del reddito.
Per il 2013 le prospettive sono di un ulteriore inasprimento dei problemi, anche per
il rallentamento dell’economia tedesca, che
potrebbero richiedere azioni straordinarie.
Le alternative sembrano al momento due.
Potrebbe essere negoziata in sede europea
una moratoria sull’applicazione del “Fiscal
compact”, allentando vincoli impossibili da
rispettare durante le fasi recessive. Oppure il
governo Monti potrebbe chiedere l’intervento del “Fondo salva-stati” – il Meccanismo
europeo di stabilità – che offrirebbe nuove ri-
Nel 2013 tutto diventerà
più difficile per i vincoli del
Fiscal compact. Così,
le alternative per la politica
economica sono due…
sorse finanziarie a costi più contenuti di
quelli pagati sui mercati, ma al prezzo di sottoscrivere un Memorandum, come fatto da
Grecia, Portogallo e Irlanda, che renderebbe
permanenti le politiche di austerità e lo
smantellamento del welfare. Una scelta che
delegherebbe per molti anni la politica economica del paese al controllo da parte della
“troika”, composta da Commissione europea, Banca centrale e Fondo monetario e
renderebbe - di fatto - irrilevante il voto alle
prossime elezioni politiche del 2013. Per Mario Monti, dopo un anno di governo, sarebbe un lascito disastroso non solo per l’economia e la democrazia italiana, ma anche per
la costruzione della casa comune europea.
I BAMBINI CI PARLANO
Sulle tasse
Giuseppe Caliceti
«Ma a chi vanno i soldi delle tasse?»
«In banca». «No, vanno in una cassa. Si fa una colletta per comprarsi le
cose che servono a tutti». «No, i soldi
delle tasse vanno al presidente». «Al
presidente? No, al comune». «Io mi
ricordo che mia mamma mi ha detto
che vanno metà allo Stato e metà al
comune. Ma adesso non mi ricordo
bene perchè».
«Non sapete a che servono i soldi delle tasse?».
«Io sì. Servono per pagare le persone che tagliano l’erba al parco. Oppure per mettere una giostra in più nel
parco, per pagare la giostra. Oppure
per comperare le panchine».
«I soldi delle tasse, per me, servono
per tutta la gente. Per far diventare il
nostro paese più grande e più bello».
«Forse servono anche per costruire
nuove case, nuovi negozi».
«Oltre a fare i parchi a cosa servono i soldi raccolti dalle tasse?»
«I soldi vanno per esempio a mia
mamma, che fa la bibliotecaria. Perchè
la gente in biblioteca prende i libri gratis, ma mia mamma chi la paga? Il
comune». «E poi bisogna anche comperare i libri della biblioteca, se no la gen-
te non li può leggere». «In certe biblioteche puoi prendere in prestito anche i
giochi di società, i cd, la musica».
«O per i dipendenti comunali, le persone che lavorano in Comune». «Per
esempio le maestre dell’asilo comunale». «Il Comune paga anche i muratori
per costruire nuove strade, mi sembra.
E se c’è una buca, aggiusta la strada». «Poi ci sono anche i semafiori».
«Fa anche le fontane».
«Mi state parlando soprattutto delle tasse comunali, che vanno ai Comuni. E le tasse che vanno allo Stato, a
cosa servono?»
–
«Per pagare le guardie che lavorano in prigione. Perchè è un nostro dovere mettere in prigione i cattivi». «Poi
bisogna dargli da mangiare anche se
sono cattivi, perchè possono sempre
migliorare». «Poi anche le scuole, mi
sembra. Perchè i soldi che vanno allo
Stato servono anche per pagare i libri,
i banchi, le cartine geografiche, i maestri, le maestre».
«Perciò è giusto o no pagare le
tasse?»
«E’ giusto. Perchè senza tasse non
ci sarebbero un sacco di cose e non si
migliorerebbe mai. Non si potrebbe
comprare niente per noi». «Sì, è giusto. Perchè grazie ai soldi tutta la comunità ci guadagna perchè ha anche
le scuole. Se invece non le paga nessuno, ci rimettono tutti, perchè poi
non hanno niente».
pagina 16
il manifesto
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
L’ULTIMA
storie
Geraldina Colotti
S
ituazione esplosiva nella Repubblica democratica del Congo (Rdc).
Dopo aver preso Goma, la capitale
della provincia del Nord-Kivu (nell’est
del paese), i ribelli del Movimento del 23
marzo (M23) sono entrati a Sake, senza
colpo ferire. Sake si trova a 27 chilometri
ad ovest di Goma e alla frontiera con il
Rwanda. L’M23 – costituito in maggioranza da tutsi – in qualche settimana ha
preso il controllo di gran parte della regione, provocando migliaia di morti fra i
civili e la formazione di numerose milizie armate. Il Movimento è stato creato
agli inizi di maggio da un gruppo di militari che avevano partecipato alla ribellione di Laurent Nikunda, leader delle milizie per la liberazione del Nord Kivu, affiliate a quelle tutsi del Rwanda. A seguito
di un accordo di pace, sono stati integrati nell’esercito congolese nel 2009. Alla fine di aprile, si sono però ammutinati di
nuovo, sostenendo che Kinshasa non
aveva rispettato gli impegni e rifiutando
di essere trasferiti in altre regioni, per
non abbandonare le loro zone di influenza nell’est.
Li guida il colonnello Viannay Kazarama il quale, rivolto a una folla riunita nello stadio del capoluogo di provincia, martedì ha annunciato: «Non ci fermeremo
a Goma, andremo fino a Bukavu, Kisangani e Kinshasa». Goma conta un milione di abitanti e un aeroporto internazionale e potrebbe diventare il fulcro di una
nuova guerra regionale. Intanto, molti
militari e poliziotti congolesi si sono arresi ai ribelli, che sostengono di agire «per
il bene dei militari» e denunciano le «condizioni miserabili in cui sono costretti a
vivere e a combattere» le forze di sicurezza. Martedì, Kazarama ha accusato il presidente Joseph Kabila di «non aver vinto
le elezioni» del 2011, contestate dal principale oppositore, Etienne Tshisekedi.
Ha detto che il presidente si circonda di
corrotti, e gli ha chiesto di andarsene. Alti ufficiali del gruppo ribelle, colpevoli secondo l’Onu di gravi crimini, hanno poi
sfilato tra gli applausi.
L’Onu ha condannato le azioni dell’M23. I caschi blu – circa 1500 effettivi
della Monusco di stanza a Goma – han-
I militanti del Movimento 23 marzo, composto in gran parte da tutsi, sono
entrati a Sake senza trovare opposizione e hanno preso il controllo
della regione. E ora annunciano: «Arriveremo a Kinshasa». L’Onu condanna
le violenze dei ribelli mentre 100 mila sfollati in condizioni disperate stanno
fuggendo in Ruanda. Sullo sfondo, lo spettro del genocidio del ’94
Congo
RIBELLE
no però mantenuto una posizione difensiva, «com’è nel loro mandato», ha dichiarato un loro portavoce negli Stati uniti. Un mandato che va rivisto – ha affermato a Parigi il ministro francese per gli
affari esteri, Laurent Fabius. È «assurdo»,
ha detto Fabius, che l’Onu disponga di
17 mila caschi blu in tutto il Congo e che
non si possa aver ragione «di qualche
centinaio di uomini» a Goma. Il ministro
ha poi aggiunto di essere in contatto con
i capi di stato della Rdc e del Rwanda, accusato di sostenere i ribelli e di armarli
insieme all’Uganda.
«Goma sta per essere occupata dal
Rwanda», ha dichiarato un portavoce
del governo congolese dalla capitale Kinshasa, sostenendo che l’esercito rwandese si sarebbe già infiltrato nel paese passando la frontiera nel pressi del vulcano
di Nyamuragira. Accuse respinte da
Rwanda e Uganda. Martedì scorso, Kabila si è recato a Kampala per un colloquio
col presidente Yoweri Museveni e con il
suo omologo rwandese, Paul Kagame.
Museveni, a cui tocca la presidenza del
vertice degli 11 paesi membri della Conferenza internazionale dei Grandi Laghi
(Cirgl) – ha anzi accusato l’Onu di avere
responsabilità diretta negli sviluppi di
questo nuovo conflitto. E ha anche minacciato di ritirare le sue truppe dalla
missione di peacekeeping in Somalia. Il
Cirgl si era riunito l’8 ottobre, finendo solo per «rammaricarsi» per l’avanzata dei
ribelli e annunciando l’istituzione di un
gruppo di esperti per decidere le modalità per il dispiegamento di una forza internazionale di interposizione lungo il confine tra il Congo e il Rwanda.
Domani, l’Onu dovrebbe consegnare
il suo rapporto sulle attività dei ribelli e
sul ruolo dei paesi vicini nelle attività di
finanziamento, reclutamento e fornitura
di armi dell’M23. Intanto, secondo Medici senza frontiere, oltre 100 mila sfollati
in condizioni disperate e in parte affetti
da colera stanno fuggendo in Rwanda. E
si moltiplicano gli stupri. È dagli anni ‘90
che le province del Nord e Sud Kivu - ricche di oro, diamanti, uranio, costantemente saccheggiate - sono terreno di
conflitto e traffici in cui si riflettono gli interessi regionali e internazionali. Sullo
sfondo, lo spettro del genocidio dei tutsi,
in Rwanda, nel 1994. Allora, la controffensiva del Fronte patriottico rwandese
(Fpr) di Kagame, aveva spinto milioni di
tutsi ruandesi a fuggire nel vicino Zaire
del maresciallo Joseph Mobutu, lasciando passare anche numerosi capi del "potere hutu", responsabili del genocidio. Allora, nella mistura di violenza e disperazione dei campi profughi, quei genocidi
riorganizzarono le milizie armate quali
le Forze democratiche per la liberazione
del Rwanda (Fdlr). Nel ’96, Laurent-Désiré Kabila, nella sua opposizione a Mobutu, fece leva sulla volontà dell’Fpr e dell’Uganda di liberarsi delle milizie hutu
per impadronirsi delle province del Kivu. La prima guerra del Congo inizia nel
’96 e si conclude con la caduta di Mobutu nel ’97, Al suo posto va Désiré Kabila,
che modifica il nome dello Zaire in Rdc.
La sua rottura con Kigali fa però sprofondare il paese nella seconda guerra del
Congo (1998-2002), in cui verranno coinvolti otto paesi: da un lato Angola, Ciad,
Namibia e Rdc e Zimbabwe; dall’altro
Burundi, Rwanda e Uganda. Uno scenario ancora troppo presente.
AFRICA
La frontiera rovente
tra Mali e Niger
Situazione incandescente nel nord
est del Mali, dove sono in corso
combattimenti per il controllo di
Menaka, non lontano dal confine
con il Niger. Da giorni vi si scontrano due dei movimenti armati che
controllano la metà settentrionale
del paese da alcuni mesi. La città,
controllata dal Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad
(Mnla, di matrice tuareg), è stata
attaccata dal Mvimento per l’unità
del jihad in Africa occidentale
(Mujao), che sostiene di aver conquistato Menaka. L’Azawad smentisce. L’Mnla, il primo gruppo ad aver
preso le armi contro il governo di
Bamako nel gennaio scorso, sta
cercando una trattativa per uscire
dalla crisi, attraverso la mediazione
del Burkina Faso. Anche il movimento di matrice islamica Ansar al Din,
altro gruppo armato del nord, partecipa ai negoziati. Il Mujao – movimento armato d’ispirazione islamica considerato vicino ad Al Qaida
nel Maghreb islamico – pare invece
meno disposto a scendere a compromessi e sembra stia tentando di
rafforzarsi per via militare. Per dicembre, il Consiglio di sicurezza
dell’Onu dovrà pronunciarsi sull’intervento armato che ripristini la sovranità di Bamako nella regione. La
Comunità economica degli Stati
dell’Africa occidentale prevede d’impiegare 3.200 uomini. La Nigeria
annuncia che ne metterà a disposizione 600. Nel Kayes, a ovest del
Mali, è stato rapito un francese
d’origine portoghese di 61 anni,
che proveniva dalla Mauritania.