1 Il ruolo del commissario giudiziale nell`era del “fallimento del

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Il ruolo del commissario giudiziale nell’era del “fallimento del contrattualismo concorsuale ”
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Inquadramento generale del nuovo concordato nel contesto della riforma
fallimentare tra contrattualismo e controllo istituzionale. – 3. Il ruolo del commissario giudiziale
quale pendant dell’autonomia contrattuale? – 4. La fase preconcordataria: la funzione di vigilanza tra obblighi informativi ed atti di frode. – 5. La rilevanza degli accertamenti svolti nel preconcordato rispetto alla fase di apertura della procedura.
1. Premessa.- Le importanti riforme della legge fallimentare che si sono succedute
negli ultimi anni hanno avuto quale principale obiettivo il potenziamento degli strumenti di soluzione concordata della crisi e di conservazione della continuità di impresa.
Nel contesto di un diritto concorsuale profondamente innovato in senso favorevole al
raggiungimento di accordi tra il debitore ed i creditori appare interessante analizzare le
funzioni ed i poteri del commissario giudiziale quale “organo” di contrappeso tra
l’autonomia “contrattuale” e la necessità di salvaguardia dell’interesse dei creditori.
La possibilità attribuita al debitore di accedere alla procedura di concordato con effetto prenotativo pur in mancanza di un piano (concordato in bianco o con riserva) ha
posto in evidenza, alla luce delle evidenze empiriche, la necessità per il legislatore di
“fare un passo indietro” e di potenziare la funzione di filtro di quelle procedure animate
da intenti abusivi.
Nel presente lavoro si tenterà di dare una chiave di lettura “orientata” del ruolo del
commissario anche alla luce dei recenti orientamenti interpretativi della S.C. tenendo
conto della distinzione di funzioni nell’ambito del pre concordato rispetto alla procedura
aperta.
I dati statistici rilevati a poco più di due anni dall’introduzione dell’istituto del concordato con riserva o pre-concordato evidenziano il sostanziale fallimento degli obiettivi
prefissati dal legislatore in quanto tale istituto non è servito, come si desiderava, ad anticipare la ristrutturazione delle imprese in crisi (non insolventi) ma a ritardare la declaratoria dello stato di insolvenza di imprese già sottoposte per lo più ad istanze di fallimento il cui stato di decozione appare risalente nel tempo.
Il numero di fallimenti è aumentato ad un ritmo dell’11,6% all’anno negli ultimi tre
anni, passando dalle 5.930 procedure attivate nel 2011 alle 7.380 attivate nel 2013.
Il totale passivo delle imprese coinvolte in nuovi fallimenti è aumentato, nello stesso
periodo, da 16,7 a 20,6 miliardi di euro. Includendo anche i concordati, il passivo totale
implicato nelle procedure concorsuali negli ultimi tre anni è stato pari a 78,5 miliardi di
euro1.
Anche le rilevazioni statistiche effettuate dal Tribunale di Milano2 confermano lo
scenario poco rassicurante sopra esposto: si evidenzia come a seguito dell’entrata in vi1
Fonte Prometeia s.p.a., 2014.
Cfr. LAMANNA, Criticità e abusi del preconcordato dopo un anno di applicazione. Valutazione
dei primi preconcordati presso il Tribunale di Milano: statistiche e proiezioni. Le correzioni introdotte
dal Decreto “Del Fare”, Testo della relazione predisposta per il convegno organizzato da AREL: La crisi
economica e la tutela del patrimonio produttivo dell’impresa. Esperienze applicative delle nuove norme
per il risanamento: le criticità, Milano, ABI, 31 ottobre 2013, articolo reperibile sul sito
www.dirittobancario.it. Solo nel periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della riforma (settembre
2012) e dicembre 2013 risultano presentati ben 145 ricorsi ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall.
All’esito delle procedure i ricorsi con intervenuta ammissione non revocata, impregiudicato
2
1
gore del “decreto sviluppo” (d.l. n. 83/2012, conv. in l. 134/2012) a partire dall’11 settembre 2012 solo presso il Tribunale di Milano siano state presentate 410 domande di
pre-concordato. Numero impressionante che pare corrispondere al totale delle procedure
di concordato che negli anni precedenti venivano rilevate per anno su tutto il territorio
nazionale.
Ancor più significativa la rilevazione sull’effettivo soddisfacimento del ceto creditorio
all’esito delle procedure di concordato omologate tra il 2008 ed il 2009 dove si evince
che i creditori chirografari hanno percepito: lo 0% di quanto era stato loro promesso
nel 38,4% dei concordati: in sostanza quasi nel 40% dei casi non è stato pagato alcunché
ai creditori dall’1 al 10% nel 21,5% dei concordati dall’ 11 al 20% nel 12,3% dei concordati dal 21 al 30% nel 15,3% dei concordati dal 31 al 40% nel 9,2% dei concordati
dal 41 al 50% nel 3,3% dei concordati3.
Si evince da tali rilevazioni statistiche come sia stata del tutto inefficiente la scelta
del legislatore di consentire agli imprenditori di accedere al concordato preventivo senza prevedere l’obbligatorietà dell’anticipazione dell’accesso a tale procedura (o altra) ad
un momento anteriore alla manifestazione dell’insolvenza in quanto l’utilizzo prevalente dello strumento liquidatorio denota l’assoluta mancanza non solo di programmazione
della crisi ma della continuità aziendale.
Il problema è senz’altro acuito dalla sostanziale mancanza nel nostro ordinamento
dell’adozione obbligatoria di procedure di allerta per imprese diverse dagli enti quotati o
soggetti a vigilanza prudenziale; il legislatore italiano, tuttavia, in linea con gli altri ordinamenti continentali, ha preferito adottare una disciplina del diritto concorsuale creditor oriented4 incentrando la tutela del ceto creditorio sulla liquidazione dell’attivo
aziendale5.
Negli ordinamenti c.d. debtor oriented, di converso, si assiste, come è noto, ad un
maggior favor per i processi di salvataggio dell’impresa insolvente anche attraverso
l’accertamento circa la successiva omologazione che statisticamente in un certo numero di casi viene negata, sono stati meno di 1 su 3 confermandosi un utilizzo (rectius: accesso) abusivo all’istituto.
Guardandosi poi alla tipologia di concordati proposti si evince la prevalenza assoluta di concordati liquidatori 63% (nel 2012) e la relegazione di quelli in continuità pura al solo 3%.
3
Cfr. sempre LAMANNA, (nt. 2) in cui si evidenzia come su un campione di 865 concordati in
tutta Italia, prendendo in esame i bilanci delle società in concordato nei cinque-tre anni precedenti alla
presentazione del concordato è risultato che già tre anni prima 752 imprese su 865 - pari all’ 87% - si trovavano in una situazione di alta probabilità di fallimento confermandosi che la principale ragione
dell’insuccesso è il ritardo con cui si rende nota la crisi all’esterno e si cercano misure per superarla. Ciò va ricondotto alla nota mancanza nel nostro ordinamento di misure di allerta e prevenzione che
invece sono ben note e rodate in altri ordinamenti, come ad esempio la Francia.
4 Cfr. SCHIANO DI PEPE, Liquidazione o risanamento nel diritto comparato, in Fallimento,
1996, 9, 915; v. anche SARACINO, Le tendenze europee di gestione della crisi d’impresa: tra procedure di
liquidazione e di risanamento, in Il nuovo diritto delle società, 2013, 75.
5
Nei sistemi nordamericani che adottano modelli di detection volti a favorire il going concern
anche delle imprese insolventi viene favorita la preservazione dell’azienda anche in condizioni di insolvenza, favorendo aggregazioni ed operazioni di natura straordinaria piuttosto che di tipo liquidatorio Cfr.
NIROSH KURUPPU- FAWZI LASWAD- PETER OYELERE, The efficacy of Liquidation and Bankruptcy Prediction Models for Assessing Going Concern, in Managerial Auditing Journal, 2003, 577 in cui si spiega la
distinzione tra i sistemi favorevoli (come quello nordamericano) alla preservazione dell’azienda in continuità anche in presenza di uno stato di insolvenza e che incoraggiano operazioni straordinarie anche di
fusione e scissione con i sistemi europei maggiormente favorevoli ai creditori che attuano un approccio di
tipo liquidatorio; BACK, Explaining Financial Difficulties Based on Previous Payment Behavior, Management Background Variables and Financial Ratios, in European Accounting Review, 2005, 839.
2
l’attribuzione agli organi della procedura di funzioni manageriali di supporto al debitore
insolvente6.
La contrapposizione tra i due approcci si evidenzia sul piano del discharge ovvero
della possibilità di esdebitazione che i sistemi anglosassoni acconsentono più agevolmente rispetto a quelli a maggiore tutela del ceto creditorio7. Tale impostazione denota
l’intento di una protezione estrema dei fattori di produzione e si spinge sino al punto da
ammettere il fallimento della persona fisica sovraindebitata nell’intento di reimmetterla
nel sistema dei consumi8.
Tali evidenze pongono non solo il problema già scontato dell’efficienza della riforma ma soprattutto dei meccanismi di controllo di accesso alle procedure concorsuali ed
in particolare al concordato e della qualità stessa dei piani e delle garanzie di adempimento, il che involge l’analisi della distribuzione delle funzioni e dei poteri degli organi
preposti alle procedure concordatarie.
L’attribuzione al debitore del potere di anticipare l’automatic stay (art. 168 l. fall.)
alla data di deposito del ricorso, senza che sia ancora formulata una effettiva proposta al
ceto creditorio e che sia disvelato il piano di soluzione concordata della crisi ha
senz’altro favorito la diffusione di condotte opportunistiche finalizzate a protrarre artificiosamente la vita dell’impresa in mancanza di una seria programmazione della crisi.
Problema che risulta ancor più acuito se si pensa alla possibilità attribuita al debitore
di operare in continuità aziendale, con rischio di aggravamento dello stato di dissesto
patrimoniale.
Non sono infrequenti, infatti, nella prassi casi di utilizzo del concordato come “negozio indiretto in frode alla legge”, in quanto funzionale non a realizzare la sua “causa tipica” di soluzione “concordata” della crisi ma a frodare i creditori, consentendone
l’esdebitazione ed al contempo la dismissione (rectius: distrazione) dei principali assets.
In tali condizioni è l’accesso stesso alla procedura concordataria che denota la propensione frodatoria del debitore intenzionato più a salvare sé stesso che non a trarre le
conseguenze della propria situazione di insolvenza ed a liquidare il proprio patrimonio
per il soddisfacimento delle ragioni dei creditori. Problema che è stato acuito, come si
accennava sopra, dalla mancanza di una disciplina della c.d. “twilight zone” (zona di
crepuscolo) o di procedure di allerta e prevenzione per stabilire se l’impresa è suscettibile di salvataggio con operazioni di risanamento oppure è affetta da insolvenza irrimediabile9.
Si rinvia a APICE –MANCINELLI, Il fallimento e gli altri procedimenti di composizione della
crisi, Torino, Giappichelli, 2012, 17 ivi con ampi riferimenti di diritto comparato.
7 V. sul punto MARCUCCI, L’insolvenza del debitore civile negli U.S.A., in Analisi Giuridica
dell’Economia, 2004, 2, 363 ss. in cui si evidenziano le maggiori difficoltà di accesso alle procedure di
tipo liquidatorio secondo il Bankruptcy Abuse Prevention and Consumer Protection Act of 2005 che introduce i means test con cui si rende più difficile l’accesso al Chapter 7 del Bankruptcy Code.
8 Cfr. CONDINO, Il sovraindebitamento del consumatore, in Il diritto degli affari, 25 febbraio
2013, 77 in senso critico al sistema statunitense che avrebbe così agevolato l’innescarsi della crisi finanziaria.
9
V. MONTALENTI, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto
concorsuale, in Riv. soc., 2011, 820 ss. il quale individua la zona di “precrisi” quale momento in cui non è
incrinata ancora la fiducia del mercato ovvero i fornitori, creditori e finanziatori nell’impresa.
6
3
Il debitore insolvente è del resto spinto per così dire “naturalmente” alla commissione di condotte opportunistiche finalizzate al proprio salvataggio a scapito dell’interesse
del ceto creditorio10.
L’attribuzione allo strumento concordatario di maggiori connotazioni “contrattualistiche” o, se si preferisce, “privatistiche”11 non ha di certo agevolato il lavoro degli interpreti in un clima di aperta ostilità da parte dei debitori verso l’operato del tribunale e
del commissario giudiziale accusati sempre più spesso di eccedere dal proprio ruolo e
sostituirsi in valutazioni che competerebbero esclusivamente ai creditori durante le operazioni di voto.
A fronte della rilevata inefficienza dell’istituto come congeniato anteriormente alla
riforma si assiste ad un parziale ripensamento del legislatore che si manifesta attraverso
il potenziamento della funzione di controllo e vigilanza che viene anticipato alla fase
pre-concordataria attraverso la facoltà di nomina di un organo, il commissario giudiziale
a cui viene riservata una funzione di vigilanza a tutto campo.
L’ormai noto pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del gennaio 201312 ha solo in parte contribuito a risolvere il problema del conflitto tra potere di
controllo pubblico ed autonomia privata in quanto il sistema normativo descritto in tale
pronuncia viene individuato come un compromesso tra visione contrattualistica e pubblicistica del concordato nel senso di confermare, da una parte, l’insindacabilità di merito della proposta e del piano da parte del tribunale (rectius: la insindacabilità della convenienza economica) sul piano della fattibilità economica; e, dall’altra, di riaffermare
con vigore il ruolo di controllo della legalità della procedura da parte del tribunale in
ogni sua fase, fino al decreto di omologazione.
Tale controllo del tribunale poggia ancora oggi prevalentemente sull’art. 173 l. fall. e
sul ruolo del commissario giudiziale che è posto al centro del sistema come “unico
strumento” attraverso il quale può esplicarsi effettivamente il controllo di legittimità
della procedura da parte del tribunale13.
10
Il “fraud triangle” utilizzato nel sistema del Chapter 11 è emblematico nel descrivere le condizioni oggettive da cui il sistema giudiziario desume in via presuntiva il carattere frodatorio delle condotte del debitore in presenza di determinati sintomi. Il disvalore giuridico della condotta è in tale contesto
valutato sulla base (i) degli incentivi per il debitore a frodare (per esempio l’imprenditore è sotto pressione sotto il profilo dell’adempimento delle proprie obbligazioni o semplicemente ambisce a ricevere credito bancario e quindi pensa di potere sacrificare solo temporaneamente alcuni creditori) (ii)
dell’opportunità di esercizio dell’atto frodatorio (grazie all’inefficienza del sistema di controllo sui dati
contabili sono agevolate condotte legate alla mis-rappresentazione di dati contabili); ed infine (iii)
dall’atteggiamento o attitudine del management nel contesto in cui si trova ad operare. La letteratura statunitense sul punto appare ampia cfr. RIAHI-BELKAOUI, A. AND R. PICUR, Understanding Fraud in the
Accounting Environment, in Managerial Finance, 2000, Vol. 26, 33-41; DUTTA S. K., K. HARRISON, AND
R. P. SRIVASTAVA. 1998. The Audit Risk Model Under the Risk of Fraud. In Applications of Fuzzy Sets &
The Theory of Evidence to Accounting II, Vol. 7, 221-244; J.L. TURNER-T. J. MOCK- P. SRIVASTAVA, An
Analysis of the Fraud Triangle, in www.ssrn.com, 2003.
11
Cfr. VITIELLO, Il nuovo concordato preventivo, Milano, Giuffré, 2013.
12
Il riferimento è sempre al noto arresto Cass, Sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521 con commento
di NARDECCHIA, La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 1 ss. seguita
anche da Cass., 26 settembre 2013, n. 22083, in Giust. civ. mass., 2013.
13
La dottrina ancor prima dell’introduzione del concordato in bianco definiva lo strumento del
173 l. fall. come “chiave di volta del sistema” attribuendogli la funzione di unica àncora di salvaguardia
della legalità della procedura in pendenza di condotte scorrette del debitore insorgendo di fronte alle interpretazioni abrogative dell’istituto Cfr. GALLETTI, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo,
in questa Rivista, 2009, I, 734 ss. Che nell’istituto del concordato in bianco individuava lo strumento per
“sopperire alle gravi carenze del nuovo sistema concorsuale, ed all’improvvido indebolimento di tutti gli
4
Interpretazione accolta nel recente arresto delle SSUU in cui, seppure si conferma la
voluntas legis di favorire quanto più possibile l’accesso agli strumenti di soluzione della
crisi alternativi al fallimento, viene rivendicato e riaffermato con vigore il ruolo del tribunale come garante della fattibilità giuridica della proposta concordataria che deve costituire in ogni caso strumento idoneo al soddisfacimento dei creditori (art. 160 lett. a).
Fattibilità che non può prescindere dalla ammissibilità della domanda che ne sarebbe
per definizione compromessa ab origine in presenza di condotte scorrette del debitore
che inficino la “causa” concordataria14.
Obiettivo del presente lavoro è quindi quello di analizzare le funzioni ed il ruolo del
commissario giudiziale alla luce del diritto riformato, individuando le prerogative funzionali di tale organo in chiave “deflattiva” dei procedimenti a connotazione abusiva.
Dalla investitura organica del commissario giudiziale consegue la verifica dei poteri e
prerogative anche non tipizzate funzionali al suo dovere di vigilanza nonché i limiti del
suo intervento.
2. Inquadramento generale del nuovo concordato nel contesto della riforma fallimentare tra contrattualismo e controllo istituzionale.- Il percorso di riforma della legge
fallimentare intrapreso con d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 14 maggio
2005, n. 80, e culminato nel d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 convertito in legge 17 dicembre
2012, n. 221, ha evidenziato, secondo un’opinione diffusa, l’accentuazione contrattualistica degli strumenti di soluzione della crisi di impresa15.
Il legislatore italiano con la riforma del 2005 ha intrapreso un iter riformatore della
legge fallimentare senza precedenti animato dalla contingenza di una situazione economica di crisi nel Paese che ha visto incrementare le insolvenze commerciali come mai
registrato nei decenni anteriori.
È stata così fortemente avvertita la necessità di favorire l’accesso a procedure di soluzione della crisi alternative al fallimento che favoriscano la continuità aziendale e la
preservazione dei livelli occupazionali.
Tuttavia, anche nel settore del diritto fallimentare come in altri campi, il legislatore,
dilettandosi nel mutuare istituti giuridici da ordinamenti stranieri ritenuti più efficienti,
ha cercato di assecondare la generale tendenza di tutti gli ordinamenti moderni ad attribuire alla contrattazione privata la funzione solutoria dei potenziali conflitti di regolazione dei rapporti privatistici e di riduzione del controllo pubblico.
I sostenitori della c.d. “privatizzazione del diritto fallimentare” enfatizzano in particolare il ruolo dell’autonomia privata nel concordato preventivo il quale, a seguito della
riforma, costituirebbe l’emblema di un sistema profondamente modificato in senso contrattualistico o, se si preferisce, privatistico, al punto che solo “le parti” sarebbero legitstrumenti volti a stigmatizzare le condotte scorrette dell’imprenditore, alla base della genesi
dell’insolvenza”. In senso critico del potere di accertamento del tribunale CENSONI, La revoca
dell’ammissione al concordato preventivo dopo le riforme della legge fallimentare, in Crisi d’Impresa e
Fallimento, 2013, 9, il quale ritiene che la norma dell’art. 173 l. fall. non sia avulsa dal sistema e che non
possa essere utilizzata come grimaldello per scardinare l’impianto della riforma dell’istituto che ne impone una interpretazione (diversa dal passato) che sia coerente con la volontà del legislatore di facilitarne
l’accesso agli imprenditori ancorché immeritevoli e di lasciare fondamentalmente ai creditori la decisione
relativa all’esperimento concordatario salvo limitate eccezioni.
14
Cfr. CONCA, Il rapporto tra autonomia privata e controllo giudiziale nel concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it, 2012.
15
V. GUGLIELMUCCI, Diritto Fallimentare, a cura di Fabio Padovani, Torino, Giappichelli, 2014,
3 ss.
5
timate a valutare la convenienza economica del piano ed al tribunale residuerebbe un
controllo di mera legalità della procedura senza possibilità di entrare nel merito della
proposta e del piano16.
Si tratta, tuttavia, di un’enfatizzazione (quella in senso contrattualistico) dovuta
all’utilizzo forse eccessivo di concetti quale la “causa” o “causa in concreto” non adattabili con certezza al diritto concorsuale, alimentati anche dai recenti pronunciamenti
della giurisprudenza di legittimità che hanno ingenerato equivoci sul ruolo del tribunale
e della autonomia privata, tanto che solo di recente la S.C. ha tentato di stabilire la linea
di confine dell’intervento del tribunale chiarendo in parte anche il ruolo degli organi
della procedura17.
L’erroneità d’impostazione non si coglie solo nella diversa natura del contratto rispetto alla proposta concordataria come autorevolmente affermato18 ma nella stessa funzione dell’istituto: infatti, mentre il contratto costituirebbe lo strumento di equilibrio di
interessi di due (o più) parti contrapposte, il concordato assolverebbe a finalità pubblicistiche o meglio non sarebbe strumento di riequilibrio solo di interessi disponibili delle
parti ma involgerebbe anche altre posizioni giuridiche diffuse sottratte alla autonomia
privata che coinvolgono interessi “esterni” a quelli dell’impresa19.
Il concordato, diversamente dal contratto, non servirebbe alla regolamentazione di
posizioni “statiche” ma, afferendo al diritto dell’impresa, anche quello concorsuale,
poggerebbe sull’impresa come attività in senso dinamico20.
16
Cfr. PATTI, La fattibilità del concordato preventivo tra attestazione dell’esperto e sindacato
del tribunale, in Fallimento, 2012, 42 ss. il quale in senso critico verso alcune posizioni giurisprudenziali
(Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, in Giust. civ. Mass., 2011, 9, 1306; Cass., 15 settembre 2011, n.
18864, in Giust. civ., 2012, 3, I, 718) evidenzia come la garanzia dell’informazione adeguata per il ceto
creditorio non possa relegare il ruolo del tribunale ad un controllo di mera legalità formale o notarile in
quanto né l’impostazione contrattualistica sarebbe del tutto scevra da possibili interferenze del tribunale
(desumibili sulla base dell’art. 162, primo comma, che nel prevedere la possibilità di concessione del termine per l’integrazione della proposta farebbe desumere un controllo di merito sul piano) né
l’impostazione istituzionalistica o pubblicistica fondata sulla verifica della relazione dell’attestatore in
quanto il tribunale non potrebbe esercitare un vero controllo su tale soggetto, come se si trattasse di ausiliario di propria nomina. In giurisprudenza cfr. Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, in Guida al diritto, 2011,
5, 91, con nota di PIRRUCCIO; Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586, in Giust. civ. Mass., 2011, 2, 240; App.
Roma, 18 settembre 2010, in Dir. fall., 2011, II, 18; App. Torino, 27 gennaio 2010, in Fallimento, 2010,
497 favorevole ad un controllo di regolarità formale della documentazione con esclusione del controllo di
merito.
17
Il riferimento è all’ormai noto pronunciamento Cass., Sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in
Giust. civ. Mass., 2013, che nel confermare l’attribuzione della funzione di attestazione di veridicità dei
dati e del piano all’attestatore come professionista esterno nominato dal debitore su cui ricadono precise
responsabilità anche di carattere penale (art. 236-bis l. fall.) ha stabilito che permane il capo al tribunale il
controllo sulla veridicità dei dati e la fattibilità del piano ai sensi dell’art. 162 l. fall. Il controllo del tribunale riguarda pertanto non solo l’idoneità della documentazione prodotta a fornire correttamente elementi
di giudizio per i creditori ma anche il controllo di fattibilità giuridica che presuppone anche la revisione
dell’operato dell’attestatore.
18
Si rinvia a GALLETTI, Il sindacato del Giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove
tecniche di actio finium regundorum, in www.ilfallimentarista.it, 2014. L’Autore peraltro è notoriamente
critico verso le tesi contrattualistiche anche nel diritto societario. Cfr. anche GIANI, Orientamenti (e disorientamenti) della cassazione in tema di concordato preventivo la cognizione del tribunale in sede di
omologa del concordato preventivo, in www.ilfallimentarsita.it, 2011 che relega la contrattualizzazione
del concordato alla mera “privatizzazione della convenienza”.
19 V. FABIANI, Il concordato preventivo, in Fallimento e concordato preventivo, Bologna, Zanichelli, 2014, 27 ss. il quale esprime posizione critica al concetto di privatizzazione del diritto concorsuale.
20
V. GALLETTI, La ripartizione del rischio di impresa, Il diritto fallimentare tra diritto ed economia, Bologna, Il Mulino, 2006, 15 ss. in cui l’Autore critica la radicalità dell’approccio sia in senso
6
L’ “illusione” contrattualistica appare ancor più mistificante laddove si valuti il contesto in cui essa stessa è stata teorizzata: negli USA è noto il dibattito che ha investito
dapprima il diritto societario poi quello concorsuale sulla opportunità di prevedere enabling rules contro mandatory rules per favorire, attraverso la contrattazione privata, la
selezione delle norme più efficienti da parte della autonomia privata.
Tendenza che ha portato la dottrina americana a teorizzare la “death of bankruptcy”
per imprimere all’autonomia privata la selezione non solo delle procedure alternative
alla liquidazione fallimentare ma addirittura delle stesse regole del concorso, relegando
l’intervento del giudice ad estremo rimedio21.
Ma l’assunto per cui il diritto concorsuale possa essere impostato secondo l’adozione
di modelli derogabili da parte della autonomia privata è stato fortemente criticato, ritenendosi, anche nei Paesi a maggiore liberismo, che la materia fallimentare non sia sintetizzabile nella (sola) contrapposizione tra l’interesse del debitore ad esdebitarsi e quello
dei creditori chirografari a vedersi riconosciuta una percentuale più consistente di soddisfacimento del proprio credito.
Del resto il diritto concorsuale non sembra più da tempo poggiare sul retaggio storico
della “punizione” dell’imprenditore insolvente quanto piuttosto sulla esigenza di riequilibrio delle ragioni dei creditori da una parte e quella di consentire l’esdebitazione
dell’imprenditore22, dall’altra.
In tale contesto di naturale contrapposizione tra l’aspirazione del debitore ad esercitare in via esclusiva il controllo sui propri beni ed attività e la necessità per il ceto creditorio di frapporre fra sé ed il debitore un nuovo “management”23 e impedire condotte che
ledano i loro diritti, la deterrenza fornita dal ruolo degli organi della procedura e, su tutti, il commissario giudiziale è molto elevata essendo, come si vedrà più diffusamente,
attribuiti poteri molto penetranti al fine di prevenire il compimento di atti di frode da
parte del debitore durante la procedura di ristrutturazione ed arrestare prematuramente
quelle procedure che si manifestino da subito come abusive.
La tendenza ad un rafforzamento del controllo dello Stato nelle procedure concorsuali si è manifestata anche negli USA dove, a seguito dei noti scandali finanziari, si ravvisa una controtendenza in senso pubblicistico della regolamentazione dell’insolvenza e
del controllo durante le procedure24.
Quanto precede non tanto sull’assunto della normale imperfezione della autonomia
contrattuale che non sarebbe in grado di prevenire ogni conflitto tra le parti quanto per
l’affermazione, anche all’interno di un sistema a forte connotazione privatistica, della
contrattualistico che in senso pubblicistico in quanto la ricerca non andrebbe svolta sull’an (di un intervento in senso pubblico o privato) ma il quomodo rapportato alla situazione concreta.
21
V., tra i molti contributi della scuola Law and Economics, BEBCHUK, A new approach to Corporate Reorganizations, 101 Har. Law Review, 775 (1988); RASMUSSEN, Debtor’s Choice: A Menu Approach to Corporate Bankruptcy, 71 Tex L. Rev., 51, 117 (1992); SCHWARTZ, A Contract Theory Approach to Business Bankruptcy, 107 Yale L. J., 1807, 1850-1851 (1998)
22
V. C. FERRI, L’esperienza del Chapter 11. Procedura di riorganizzazione dell’impresa in prospettiva di novità legislative, in questa Rivista, 2002, I, 69 ss.; v. anche MANGANELLI, The Evolution of the
Italian and U.S. Bankruptcy Systems. A Comparative Analysis, in Journal of Business and Technology
Law, 2010.
23
Cfr. BERTAN – ARNOLD, Displacing the debtors in possession. The Requisites for and advantages of the Appointment of a Trustee in Chapter 11 proceedings, in Marquette Law Review, 1984.
24
V. WARREN - WESTBROOK, Contracting Out of Bankruptcy: An Empirical Intervention, in
Harvard Law Review, 2005, 1198 ss.; BLOCK-LIEB, The Logic and Limits of Contractual Bankruptcy,
2001, University of Illinois Law Review, 2001, 2, 504-508.
7
necessità di sottrarre proprio all’autonomia privata la disponibilità di interessi variegati
e potenzialmente conflittuali.
I propositori del contrattualismo tendono anche nel diritto concorsuale ad attribuire
all’autonomia privata la scelta delle regole più efficienti per la soluzione della crisi di
impresa. Mentre, tuttavia, negli USA tale autonomia può sfociare non solo nella selezione del tipo di procedura (come accade anche negli ordinamenti continentali) ma nella
introduzione persino di regole finalizzate alla soluzione della crisi di fonte negoziale che
derogano alle nome codicistiche la riforma del diritto concorsuale italiana intrapresa nel
2005 non attribuisce alle “parti” la possibilità di prevedere regole procedurali di fonte
negoziale ma di optare per modelli precostituiti a livello di fonte normativa.
Cosa residua del contrattualismo anglosassone? Poco o nulla in quanto l’ordinamento
concorsuale italiano non attribuisce ai soggetti coinvolti (debitore e creditori) la possibilità di derogare a regole suppletive disciplinanti le procedure ed ancor meno di creare ex
ante e neppure ex novo regole di programmazione (procedurale e sostanziale) della crisi.
Il termine contrattualismo nel contesto dell’ordinamento italiano va inteso allora in
senso descrittivo circa la possibilità data al debitore di concordare con i creditori i termini economici del proprio esdebitamento a fronte di una soddisfazione parziale del
credito, vale a dire la percentuale dei creditori chirografari non certo ad attribuirgli un
potere regolamentare di fonte pattizia.
In questo modo si coglie l’essenza del problema che risiede proprio nella individuazione del bene giuridico protetto da un determinato istituto: il concordato preventivo
sotto tale profilo non costituisce semplice negozio privatistico (di natura transattiva per
esempio) tra il debitore ed il ceto creditorio. Invero, nel piano concordatario vengono
disciplinati diversi momenti relazionali che non riguardano solo il rapporto debitore
creditori ma anche la stessa conduzione dell’impresa la quale è programmata in funzione non solo della soddisfazione dei creditori (concordato liquidatorio) ma della sua stessa preservazione (concordato in continuità aziendale)25.
La riforma fallimentare italiana, eliminando il criterio di meritevolezza
dell’imprenditore ed abbandonando l’impostazione che vedeva la predeterminazione
delle percentuali di soddisfacimento dei creditori chirografari a pena di inammissibilità
della proposta, ha ingenerato la convinzione che il concordato fosse un contratto tra debitore insolvente e creditori e che di esso fosse possibile fare ciò che si voleva.
Ad aggravare il problema si è posta poi la novella del 2012 che, introducendo
l’istituto del concordato in bianco o con riserva, fornisce al debitore la possibilità di
usufruire dell’automatic stay sin dal deposito del ricorso per l’ammissione alla procedura concordataria in assenza di un piano di salvataggio (o di liquidazione), spesso nella
prassi mai neppure pensato dal debitore.
L’errore di impostazione del legislatore italiano ha portato ad una autentica esplosione delle procedure concordatarie per lo più attivate da imprenditori “all’ultima spiaggia”
con insolvenza conclamata ed irreversibile che utilizzano il concordato come strumento
puramente dilatorio del fallimento o ancor peggio come “schermo” abusivo per piegare
il concordato a strumento frodatorio26.
25
Nel senso della tendenza generale a rafforzare la concezione pubblicistica del concordato si
pone anche la proposta di modifica del Regolamento Comunitario sulle insolvenze transfrontaliere n.
1346/2000 del 12 dicembre 2012 in cui all’art. 3.1 vengono a tutti gli effetti considerate “procedure” anche quelle relative alla pre-insolvenza.
26
La giurisprudenza appare consolidata nel ritenere che l’utilizzo a scopo dilatorio ovvero in palese assenza delle condizioni di fattibilità giuridica del concordato configuri abuso del diritto. Cfr. in tal
8
I dati empirici rilevati all’esito della promulgazione della riforma fallimentare sono
impietosi nel delineare uno scarso accesso agli strumenti di soluzione “anticipata” della
crisi quali gli accordi di ristrutturazione ed un utilizzo smodato dello strumento del concordato preventivo, soprattutto nella versione introdotta con la riforma del 2012 che
consente, come è noto, l’accesso alla procedura in assenza di un piano effettivo della soluzione della crisi (c.d. concordato in bianco o con riserva).
L’assunta privatizzazione del concordato ha portato nella prassi ad utilizzare detto
strumento come “schermo” di fronte ai creditori per consentire all’imprenditore insolvente la via d’uscita più comoda senza perdere il controllo sugli assets aziendali ed aggravando spesso il dissesto patrimoniale e finanziario dell’impresa.
L’impostazione suddetta ha ingenerato il convincimento per cui il concordato sia un
contratto tra le parti ed il tribunale debba restare fuori dalle scelte privatistiche adottate,
con la conseguenza che sarebbe precluso un qualsiasi controllo di merito della proposta
concordataria la quale sarebbe a panaggio della autonomia privata.
In tale contesto interpretativo di conflitto tra le aspirazioni privatistiche e l’esigenza
di controllo di legalità27 appare interessante, anche in prospettiva de jure condendo, indagare i poteri e funzioni del commissario giudiziale quale vero e proprio “organo” della procedura a cui viene riservato, sin dalla fase embrionale della procedura (qualora
nominato) il potere di discernere le procedure connotate da elementi di abuso rispetto
alle iniziative meritevoli.
3. Il ruolo del commissario giudiziale quale pendant dell’autonomia contrattuale.
La letteratura giuridica, nonostante la centralità ed importanza della materia non si è
occupata in maniera sistematica del ruolo del commissario giudiziale la cui “funzione”
(art. 165 l. fall. “per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni”) è stata spesso relegata a quella di mero verificatore del piano concordatario e della relazione
dell’attestatore, a scapito di un vero e proprio ruolo centrale di vigilanza e controllo a
tutto campo dell’andamento della procedura: visione che appare senza dubbio influenzata dall’equivoco che il commissario giudiziale sia un semplice ausiliario del giudice
nominato ai sensi dell’art. 68 c.p.c. svolgente un ruolo di mera consulenza28.
Invero, l’esautoramento delle originarie prerogative del tribunale rispetto alla valutazione del piano in termini di meritevolezza e convenienza nonché anche della rilevanza
senso, ex plurimis, Trib. Siena, 6 giugno 2014, in www.dejure.it; Trib. Nocera Inferiore, 21 novembre
2013, in www.dejure.it 2013; Trib. Forlì, 12 marzo 2013, in Fallimento, 2014, 97, con nota di PENTA;
Cass., 24 ottobre 2012, n. 18190, in Foro it., 2013, I, 1534; Cass., 15 settembre 2011, n.18864, in Giust.
civ. Mass., 2011, 9, 1297, che rivendica il controllo del tribunale allorchè il concordato presenti vizi genetici accertabili anche in via preventiva affinché il concordato sia funzionale al soddisfacimento dei creditori; sulla reiterazione abusiva di domanda di concordato non omologata cfr. Trib. Trento, 1° luglio 2014,
in www.ilcaso.it, 2014. Sulla rilevanza della clausola generale di buona fede anche nel concordato cfr.
GIANI, (nt. 18). Cfr, in dottrina, BONSIGNORE-RAINELLI, Abuso del diritto nel concordato preventivo “con
riserva”, in questa Rivista, 2014, II, 474 ss. Contra, F. PASQUARIELLO, Contro il sindacato sul c.d. abuso
del diritto nel concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it, 2014 la quale ritiene precluso al tribunale il sindacato di merito circa l’utilizzo abusivo dell’istituto in quanto difetterebbe la fattispecie legale
violata non potendosi ricorrere alle clausole generali dettate dagli artt. 1175 e 1335 c.c. in quanto afferendo il voto ad una scelta consapevole della autonomia privata non sarebbe possibile ravvisare alcun elemento “soggettivo” connotante l’abuso di chi dichiari ab origine il proprio stato di insolvenza.
27
Cfr. FABIANI, Il concordato preventivo, in Dir. fall., 2011, 601.
28
Sul dibattito relativo alla qualificazione del ruolo del commissario giudiziale tra ausiliario del
giudice e vero e proprio organo Cfr. FILOCAMO, Commento all’art. 165 l.f., in La legge fallimentare,
Commentario teorico-pratico, a cura di Massimo Ferro, Padova, Cedam, 2014, 2226 ss.
9
della “condotta del debitore” (quale canone ermeneutico di indagine della meritevolezza
soggettiva dell’imprenditore che accede alla procedura di concordato) ha di fatto trasformato il commissario giudiziale in vero e proprio organo della procedura il cui ruolo
di vigilanza si cumula con quello di consulente del giudice delegato29.
Il commissario è nominato (e revocato) dal tribunale e ad esso competono veri e propri poteri che originano dalla legge non dal tribunale e che si esprimono attraverso atti
suscettibili di impugnazione ai sensi dell’art. 36 l. fall.30 (v. infra).
La centralità delle funzioni dell’organo commissariale si coglie ancor più oggi a seguito della scelta operata di recente dal legislatore del 2013 di anticipare, seppure in via
facoltativa, la nomina del commissario giudiziale (v. art. 161, comma 6, introdotto
dall’art. 82 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9
agosto 2013, n. 98) in sede di pre-concordato.
Mentre nel sistema normativo anteriore alla riforma del 2013 durante la fase preconcordataria non era prevista neppure come facoltativa la nomina del commissario giudiziale, potendo semmai il giudice delegato avvalersi di ausiliari a norma dell’art. 68
c.p.c.31, il legislatore, sulla scia della più recente esperienza empirica, ha ritenuto opportuno prevedere che l’organo commissariale possa essere nominato in via anticipata con
il decreto che (nel concordato con riserva) accorda il termine per il deposito del piano e
della documentazione a supporto32.
29
Tale qualificazione appariva prevalente già sotto la vigenza della disciplina riformata. In tal
senso v. AMBROSINI, Gli organi della procedura, in Il concordato preventivo, a cura di AmbrosiniDemarchi-Vitiello, Bologna, Zanichelli, 2009, 73 ss. anche se ne riduce la funzione di controllo e vigilanza;
30
Cfr. AMBROSINI, Gli organi della procedura, in Trattato di diritto fallimentare e della altre
procedure fallimentari, a cura di Vassalli-Luiso-Gabrielli, Torino, Giappichelli, 2014, 261 ss.; LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, Giuffré, 2011, 274 ss. il quale già nella vigenza della disciplina
abrogata enfatizza il ruolo del commissario giudiziale quale vero organo i cui poteri e funzioni non possono essere ridotti come se si trattasse di un mero officium o munus esecutivo del Tribunale.
31
Cfr. DEL LINZ, La domanda di concordato preventivo con riserva, in questa Rivista, 2013, II,
180 ss. il quale evidenzia la prassi invalsa sotto la vigenza della disciplina riformata dei tribunali di ricorrere alla nomina di ausiliari per sopperire alla mancanza di informazioni ai fini autorizzatori degli atti di
amministrazione durante il pre-concordato. Ivi ampie citazioni giurisprudenziali tra cui Trib. La Spezia,
25 settembre 2012; Trib. Reggio Emilia, 27 ottobre 2012. V., altresì, in dottrina, SIMA, La nomina
dell’ausiliario su richiesta di parte o d’ufficio nel preconcordato e la nomina del commissario giudiziale
introdotta dal decreto del Fare, in www.ilfallimentarista.it, 2013. L’Autore sottolinea la differenza tra
ausiliario e commissario nonostante il primo possa ritenersi precursore dell’organo commissariale distinguendo tuttavia a favore del secondo funzioni di controllo stabile e non meramente occasionale. L’Autore
analizza le due pronunce Trib. Reggio Emilia, 12 gennaio 2013 e Trib. Como, 26 settembre 2012 distinguendo l’ipotesi di disclosure delle informazioni a supporto della richiesta di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione rispetto a quella in cui le informazioni non siano fornite in
ricorso desumendo una funzione a tutto campo di controllo dell’ausiliario, oggi commissario giudiziale.
32
È dubitabile che si tratti di una nomina non cumulabile con quella dell’ausiliario come sostiene
D’ANGELO, Il nuovo volto del concordato preventivo con riserva, in questa Rivista, 2014, I, 504 ss. il
quale trae spunto dalla relazione illustrativa alla legge 9 agosto 2013 n. 98 a tenore della quale <<la scelta
di prevedere l’anticipazione della nomina del commissario giudiziale anziché la nomina di un ulteriore
ausiliario ex art. 68 del codice di procedura civile si giustifica con l’intento di contenere al massimo grado
i costi della procedura evitando la liquidazione di un distinto compenso in tutti i casi in cui fisiologicamente alla domanda in bianco faccia seguito il deposito della proposta e del piano>> per ritenere che lo
spazio per la nomina dell’ausiliario permanga solo in caso di mancata nomina del commissario. Tuttavia
può osservarsi che il regime di contenimento dei costi stabilito dal legislatore non potrebbe in ogni caso
precludere al tribunale di avvalersi di ausiliari, a maggior ragione se si attribuisce al commissario natura
di organo autonomo. Così Trib. Piacenza, 5 aprile 2013, in www.ilcaso.it, 2013 e Trib. Reggio Emilia, 12
gennaio 2013, in www.ilfallimentarista.it.
10
La recente riforma dell’art. 161, comma 6, l. fall. ha così attribuito al tribunale il potere di nominare subito, sin dalla data di deposito del ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato in bianco il commissario giudiziale (e non al momento della ammissione alla procedura) con lo stesso decreto che attribuisce al debitore il termine per
proporre la domanda ed il piano, attribuendogli poteri anticipati di rilevazione degli atti
di frode ex art. 173 l. fall.
L’anticipazione della automatic stay alla data del deposito del ricorso per
l’ammissione al concordato in bianco o con riserva ha imposto un correttivo all’art. 161
l. fall. mediante l’introduzione della facoltà per il Tribunale di nominare subito il commissario giudiziale anche in assenza della proposizione del piano concordatario.
Non si tratta di una scelta casuale quanto piuttosto necessitata dall’utilizzo distorto
dell’istituto che ha indotto il legislatore del 2013 ad un ripensamento complessivo del
ruolo dell’organo commissariale non più relegato a quello di mero verificatore o controllore della proposta e del piano in un sistema di “depotenziamento” delle funzioni del
tribunale e del commissario a vantaggio della “autonomia privata” ma di vero e proprio
“organo di vigilanza” della procedura, anticipandosi la tutela alla possibile emersione e
sanzione di condotte che denotino l’utilizzo abusivo dello strumento concordatario sin
dal momento di accesso alla procedura.
Nel contesto di una evoluzione del diritto concorsuale da disciplina della liquidazione concorsuale a diritto della crisi d’impresa, il rafforzamento della “dimensione organizzativa patologica” non può prescindere da una rivisitazione complessiva del ruolo
degli organi della procedura unitamente al potenziamento degli strumenti di allerta endosocietari33.
Sotto tale profilo è evidente il ripensamento del legislatore che, dapprima ha depotenziato il ruolo di controllo del tribunale lasciando ampi spazi alla autonomia privata,
per poi “tornare sui propri passi” e riaffermare la necessità di un controllo persino anticipato alla fase embrionale della procedura a denotare l’inefficienza degli attuali strumenti di allerta previsti dal codice civile.
Il potere facoltativo di nomina dell’organo commissariale denota la sensibilità del
giudice, alla luce dell’interpretazione causale del negozio concordatario data dalle Sezioni Unite, ad una maggiore tutela verso quelle iniziative che possono rivelarsi ancor
più odiose in presenza di “sintomi precoci” di un utilizzo distorto dell’istituto.
Ed è in questa accezione come si dirà in seguito che deve essere letta la disciplina dei
poteri del commissario chiamato a valutare la condotta dell’imprenditore e degli amministratori che accedano alla procedura concordataria.
Non a caso la soluzione funzionale prescelta è caduta su di un organo le cui funzioni
e responsabilità (legate alla natura dell’incarico - artt. 165 e 38 l. fall.) sono parametrate
a competenze tecniche che preludono a poteri attivi di indagine, ispezione e riclassificazione34.
Anche se non espressamente stabilito sembra potersi arguire che la preoccupazione
del legislatore è anche correlata al potere autorizzatorio del tribunale al compimento di
atti di amministrazione straordinaria durante la procedura.
Il legislatore, nel prevedere il potere di anticipazione della nomina dell’organo anche
in fase preconcordataria, ha avvertito la necessità di potenziare la funzione del commis33 Cfr. GUERRERA, Compiti e responsabilità degli amministratori nella gestione dell’impresa
in crisi, in La governance nelle società di capitali, a cura di Marchetti e Santosuosso, Milano, Egea, 2013,
250.
34
Cfr. CANDIAN, Il processo di concordato preventivo, Padova, Cedam, 1937, 87 ss.
11
sario come vigilante a tutto campo della procedura e scapito di quello di semplice valutatore della proposta e del piano: una scelta decisa nella direzione di attribuire la funzione ad un organo anziché ad un semplice ausiliario come si desume peraltro dal regime
giuridico del compenso che è sottratto alla disciplina di cui all’art. 71 secondo comma
D.P.R. 30 maggio 2002, N. 115 applicabile agli ausiliari del giudice essendo, viceversa,
remunerato sulla base della specialità dell’incarico in base alle norme che disciplinano i
compensi degli organi della procedura ed in particolare del curatore (art. 39 l. fall.)35.
Nonostante il chiaro cambio di rotta del legislatore nel senso di attribuire al commissario funzioni originariamente esercitate dal tribunale (anche per mezzo di ausiliari) scarsamente indagato è l’ambito operativo dell’organo commissariale tout court nel contesto del procedimento pre-concordatario e concordatario nonché la concreta individuazione dei poteri operativi di tale organo rispetto alla rilevazione ed informazione delle
circostanze configuranti atti di frode ai sensi dell’art. 173 l. fall.
Il problema non è di poco conto anche perché percentualmente le contestazioni che
vengono sollevate nei procedimenti di reclamo avverso i decreti di inammissibilità del
concordato sono basate sulla allegazione di eccesso di potere dell’organo commissariale.
Non agevola una ricostruzione sistematica neppure la dislocazione delle norme relative alle prerogative dell’organo commissariale all’interno della disciplina della legge
fallimentare dal momento che il legislatore si è occupato maggiormente di distinguere
sul “piano oggettivo” le funzioni commissariali in forza delle “fasi” della procedura,
piuttosto che prevederne in modo tipizzato i suoi poteri. Inutile ribadire che il percorso
di riforma necessiterebbe di un adeguamento più deciso della disciplina del diritto societario sul piano dell’assolvimento dei doveri (e delle relative responsabilità) degli organi
di gestione e controllo interni in sede di pre concordato36.
4. La fase preconcordataria: la funzione di vigilanza tra obblighi informativi ed atti
di frode.- La dottrina autorevolmente, già sotto la vigenza della disciplina riformata, attribuiva al commissario giudiziale una funzione di vigilanza pressoché esclusiva anche
se riferita alla fase successiva al decreto di ammissione alla procedura37.
La prima funzione che si individua storicamente in capo all’organo commissariale attiene al controllo di fattibilità del piano, che si ritiene oggi del tutto sottratta ad opera
del legislatore della riforma al tribunale a favore dell’organo commissariale.
Nell’era della “privatizzazione” del concordato in cui ogni scelta di convenienza della proposta concordataria è rimessa al ceto creditorio il commissario viene investito ex
lege di una funzione non più di pertinenza del giudice (originariamente legittimato a
sindacare non solo il merito della proposta ma anche la sua convenienza nell’ottica del
principio di meritevolezza soggettiva ed oggettiva del debitore), ovvero il controllo di
merito del piano concordatario38.
35
Cfr. TRENTINI, I concordati preventivi, Milano, Giuffré, 2014, 236, spec. nt. 144, ivi richiamo
a Cass., 11 aprile 2011, n. 8221, in Giust. civ. Mass., 2011, 580.
36 V. GUERRERA, (nt. 33).
37
Cfr. FRASCAROLI SANTI, Concordato preventivo, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di Panzani, vol. 5, Torino, Utet, 2000, 86 ss.; ID, Concordato preventivo, in Il Fallimento e le
altre procedure concorsuali, a cura di Panzani, vol. 5, Torino, Utet, 2014 in corso di pubblicazione su
gentile concessione dell’Autrice.
38
Cfr. PACCHI, La valutazione del piano del concordato preventivo: i poteri del tribunale e la relazione del commissario giudiziale, in Dir. fall., 2011, 2, 95 ss.
12
Il commissario giudiziale veniva nominato solo a seguito dell’apertura della procedura ed i suoi poteri erano fortemente circoscritti a favore del Tribunale in quanto la previsione normativa di canoni di meritevolezza e convenienza non lasciava al commissario
giudiziale alcuna possibilità di tutela ulteriore del ceto creditorio se non attraverso la rilevazione (peraltro anche acquisibile aliunde dal tribunale) di atti di frode ai sensi
dell’art. 173 l. fall.
Nel diritto riformato incentrato sul principio del “voto informato” il commissario
giudiziale si affranca dal ruolo di ausiliario del giudice (di cui conserva ancora alcune
prerogative) per divenire vero e proprio organo deputato al controllo della procedura in
funzione dell’assunzione da parte del ceto creditorio delle informazioni rilevanti ai fini
del voto consapevole39.
L’anticipazione (rectius: possibilità di anticipazione) del potere di nomina del commissario giudiziale da parte del tribunale ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall. conferma l’intento legislativo di attribuire una funzione di vigilanza che insiste in via esclusiva in capo all’organo commissariale già nella fase pre-concordataria e che è destinata,
in caso di ammissione, ad essere proseguita nella successiva fase della procedura con
soluzione di continuità (v. infra).
Si tratta, tuttavia, di una funzione qualitativamente diversa da quella espletata nella
successiva fase di apertura della procedura concordataria, in quanto il commissario giudiziale, qualora nominato, diviene il terminale esclusivo degli obblighi informativi disposti dal tribunale a carico del debitore ai sensi dell’art. 161, comma 8, l. fall., con il
decreto che fissa il termine di cui al sesto comma dell’art. 161, primo periodo, il tribunale “deve disporre gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa e all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e
del piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale se nominato, sino alla scadenza del termine fissato”.
Altresì pregnante è il potere di accertamento delle condotte rilevanti ai sensi dell’art.
173 l. fall. che, come si dirà, in fase preconcordataria sembra avere presupposti e finalità
diversi da quello esercitabile a procedura aperta in cui il disvalore giuridico delle condotte è valutato esclusivamente in funzione del “consenso informato” del ceto creditorio
e di una proposta ed un piano già disvelati.
Gli obblighi informativi
Il tema dei flussi informativi tra debitore e tribunale appare senz’altro centrale ai fini
dell’indagine prefissata in quanto la responsabilità della rilevazione del corretto assolvimento di tale obbligo è riposta in via esclusiva sull’organo commissariale, qualora
nominato, il che pone subito il problema dei limiti di indagine. Si tratta di stabilire se il
commissario debba arrestarsi ad una valutazione di correttezza “estrinseca” dei flussi
ovvero possa entrare nel merito delle informazioni ricevute ritenendole insufficienti o
non veritiere ed attivare i propri poteri.
Deve ritenersi, infatti, che la chiusura anticipata della procedura dipendente dalla
violazione degli obblighi informativi ovvero dalla rilevazione delle condotte di cui
all’art. 173 l. fall. tragga fondamento da una attività di vera e propria indagine del commissario a cui corrisponde anche un potere “sanzionatorio” del tribunale consistente nel
39
Nel senso esposto nel testo cfr. TRENTINI, (nt. 35), 235 ss. ESPOSITO, Il commissario giudiziale, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura Fauceglia-Panzani, 2, Torino, Utet, 2009, 1666.
Contra, CANDIAN, (nt. 34), 82 ss.
13
potere di abbreviazione del termine dilatorio concesso a norma dell’art. 161, comma 6,
l. fall.
Se si considera che il legislatore ha attribuito al commissario una funzione di vigilanza consentendo ai soggetti interessati il potere di impugnativa previsto dall’art. 36 l.
fall.40 è giocoforza ritenere che oltre ai poteri tipizzati il commissario goda anche di prerogative innominate e funzionali al corretto assolvimento del proprio compito che si
concretizzano in ordini di esibizione e consegna, ispezioni ed accertamenti41.
Il commissario non solo è legittimato passivo delle impugnazioni dei suoi atti o
provvedimenti come esposto sopra ma a certe condizioni è portatore di un “interesse autonomo” ad agire in giudizio non come mero sostituto processuale dei creditori42.
La premialità del sistema che accorda dilatoriamente al debitore la proroga del termine per la disvelazione delle sue intenzioni riceve come pendant un controllo penetrante da parte del commissario che può spingersi al punto da richiedere informazioni
suppletive qualora quelle rese dal debitore (che assolva solo formalmente agli obblighi
fissati con decreto del tribunale) appaiano insufficienti ovvero incomplete o semplicemente il commissario ritenga di dover acquisire informazioni ulteriori rispetto a quelle
fissate con decreto del tribunale.
A tale conclusione può pervenirsi sol se si pensi che gli obblighi informativi sono
slegati dalla nomina del commissario (che è facoltativa) per cui deve ritenersi che, una
volta adottata la scelta della nomina del commissario (e non di un semplice ausiliario
del giudice), il potere di vigilanza non riguardi (solo) il rispetto dei contenuti informativi imposti con decreto del tribunale ma abbia ben più ampia portata ed afferisca proprio
40
Deve ritenersi infatti che la disposizione dell’art. 165 l. fall. sia applicabile anche al preconcordato in quanto norma di carattere definitorio che tipizza il commissario giudiziale come organo
della procedura.
41
In tal senso sembra orientato anche FERRO, Commento all’art. 161 l.f., in La legge fallimentare, in Commentario teorico-pratico, a cura di Massimo Ferro, Padova, Cedam, 2014, 2145 che parla di
iniziative assumibili <<motu proprio>>.
42 Anche se il contrasto interpretativo in merito alla legittimazione del commissario ad impugnare il decreto di omologa del concordato sembrerebbe essere stato risolto di recente in senso sfavorevole sull’assunto che, intervenuto il decreto di omologa, cessi il potere di gestione del commissario e che la
capacità processuale sia attribuita al solo debitore (v. Cass., 5 settembre 2014, n. 18755, in www.dejure.it.
Contra, Cass., 13 aprile 1987, n. 3676, in Fallimento, 1987, 1060 e Cass., 10 giugno 1992, n. 7152, in
Fallimento, 1992, 1117) non vi è dubbio che l’ordinamento accordi in una molteplicità di situazioni la
legittimazione attiva del commissario riconoscendone in alcuni casi la qualità di sostituto processuale ovvero di portatore di interessi autonomi che ne legittimano la partecipazione autonoma al giudizio. E’ il
caso della attribuzione del potere di costituzione di parte civile nel processo penale per reati in materia di
fallimento ai sensi dell’art. 240 l. fall. (sostituzione processuale dei creditori) e per i reati commessi dagli
organi sociali del fallito ai sensi degli artt. 236, 236-bis e 237 l.fall. con possibilità di agire anche in sede
civile. Ma la giurisprudenza con sentenza Cass., 30 luglio 2012, n. 13565, in www.ilcaso.it, 2012 ha riconosciuto la legittimazione del commissario giudiziale a ricorrere per cassazione avverso il decreto del tribunale, reso in sede di reclamo, <<che abbia accolto una domanda restitutoria dei soci con riguardo a
versamenti da essi eseguiti in esecuzione della proposta concordataria, “derivando tale legittimazione dal
combinato disposto degli artt. 186, ultimo comma, e 138 legge fall., che espressamente ne prevedono la
legittimazione attiva al fine dell'annullamento del concordato preventivo omologato, nel caso di scoperta
postuma dell'esagerazione dolosa del passivo o di sottrazione o dissimulazione di parte rilevante dell'attivo, i quali fondano la "legitimatio ad causam" del commissario giudiziale su iniziative processuali, comunque suscettibili di forzare o snaturare il contenuto della proposta e del piano, così come interpretato in
sede omologativa, attesa l'esigenza di assicurarne l'effettivo contraddittorio, quale soggetto dotato di un
bagaglio cognitivo, che ne fa il rappresentante naturale degli interessi della procedura nel resistere
ad una domanda suscettibile di alterare le clausole dell'accordo omologato>>.
14
alle informazioni (anche più ampie) richieste dall’organo commissariale per
l’espletamento del suo incarico.
In questa fase, infatti, a differenza di quella di apertura della procedura, non è in gioco la “corretta informazione del ceto creditorio” funzionale al “consenso informato” del
ceto creditorio ovvero la rilevazione di condotte che impattino negativamente sulla fattibilità giuridica del piano, quanto piuttosto l’esigenza deflattiva procedurale di selezione delle iniziative meritevoli rispetto a quelle “abusive”.
Se il commissario deve valutare sul piano comportamentale il debitore potendo scoprire anche condotte rilevanti ai sensi dell’art. 173 l. fall. (sulla cui portata si tronerà infra) è giocoforza ritenere che tale organo è investito di poteri ispettivi e di accertamento
pieni, non potendo l’espletamento della sua funzione (e la conseguente responsabilità)
dipendere solo dai flussi passivi dati dal debitore. Né l’espletamento del suo compito
può essere subordinato ai provvedimenti del tribunale.
Del resto, se la finalità del controllo preventivo del commissario è quella di creare un
filtro rispetto alle iniziative frodatorie i flussi informativi passivi non possono costituire
l’unico elemento di valutazione della “meritevolezza” del termine dilatorio concesso dal
tribunale, dovendosi ritenere che l’organo commissariale possa spingersi ad indagini
suppletive finalizzate a reperire ulteriori elementi di valutazione anche reperibili aliunde.
Quanto precede, a maggior ragione, se si ritiene che il controllo preventivo del commissario comporta l’obbligo sin dalla fase preconcordataria di rilevazione di ogni elemento ostativo alla prosecuzione della procedura.
Sotto tale profilo è evidente che un sistema che attribuisce ad un organo di vigilanza
la responsabilità in merito al filtro di meritevolezza di accesso alla procedura concordataria vera e propria presupponga un potere ispettivo autonomo dell’organo che prescinde da qualsiasi autorizzazione del tribunale che, peraltro, non sarebbe neppure idonea a
mandarlo esente da responsabilità secondo il disposto di cui all’art. 38 l. fall. in quanto
il commissario origina i propri poteri e doveri dalla legge.
Ma la tutela dei creditori non può dipendere solo dall’assolvimento formale da parte
del debitore alle informazioni pretese in forza del decreto del tribunale, imponendosi un
controllo ufficioso esperibile dal commissario anche per mezzo di ausiliari nominati su
sua istanza (o dei creditori) al tribunale.
Il ruolo del commissario in questa fase è di “vigilanza comportamentale” nel senso
che, non potendosi ancora sindacare il merito di una proposta e di un piano inesistenti,
viene valutata attraverso i flussi informativi la “meritevolezza” sul piano della condotta
procedurale del debitore. In tal senso si pone la formula utilizzata dal legislatore all’art.
161, comma 8, l. fall. laddove nel riconoscere il potere di abbreviazione del termine da
parte del tribunale fa riferimento alla manifesta inidoneità del “l’attività compiuta dal
debitore alla predisposizione della proposta e del piano”.
Se l’anticipazione del potere di nomina in sede preconcordataria deve assolvere alla
funzione deflattiva delle procedure illegittime, la ratio legis sembrerebbe proprio quella
di anticipare le conclusioni di inammissibilità del ricorso introduttivo inducendo il tribunale a ravvisare quella mancanza latente delle condizioni prescritte per
l’ammissibilità del concordato.
L’esigenza d’ingresso del commissario giudiziale nella procedura è rimessa ad una
valutazione prudenziale del tribunale che può sorgere anche successivamente alla concessione del termine dilatorio di cui all’art. 161 l. fall. anche su segnalazione dei creditori in occasione della autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministra-
15
zione43. E ciò a prescindere dalla rilevazione o sospetto di condotte frodatorie ma alla
valutazione delle circostanze del caso concreto.
Sotto tale profilo la recente riforma mutua in maniera significativa la disciplina statunitense del Chapter 1144 che prevede la facoltà della corte di nominare un trustee o un
examiner45 a norma della sezione 110446.
La nomina del trustee riflette il punto di equilibrio tra l’esigenza del debitore di conservare il controllo e la gestione dell’impresa (Debtor in Possession) persino durante la
procedura e dall’altra quella dei creditori di impedire attraverso un organo di gestione di
nomina giudiziale l’aggravamento del dissesto attraverso condotte frodatorie o comportamenti negligenti del debitore47.
La conservazione del management in carica durante il Chapter 11 riflette la considerazione che l’impresa, proprio per l’aspirazione di continuità durante la fase di ristrutturazione, debba conservare le medesime relazioni commerciali anche al fine di tranquillizzare il mercato ed il ceto creditorio. Un sistema che poggia sul concetto di meritevolezza soggettiva ed oggettiva del debitore le cui condotte anteriori o in costanza di procedura assumono grande rilevanza in termini di reliability e di sanzione.
Nel sistema statunitense del Chapter 11 (section 1104 lett. a), a cui si è ispirata la recente riforma, il commissario (trustee) è senz’altro un organo di nomina facoltativa (anzi addirittura costituisce rimedio straordinario) pur tuttavia la sua nomina è conseguente
ad una precisa istanza di qualunque soggetto interessato (creditori, Us Trustee, ecc…) e
nel provvedimento di nomina sono indicati i poteri da lui esercitabili anche previa autorizzazione scritta della Corte. Il ricorso è funzionale alla nomina del trustee in caso di
frode o di condotte censurabili poste prima o durante l’attivazione della procedura.
La valorizzazione del principio della “domanda” nel sistema statunitense poggia sulla riconduzione del Chapter 11 ad un vero e proprio procedimento giudiziale di carattere contenzioso in cui la nomina del commissario avviene “for cause” (i.e. occorre che il
petitioner deduca il compimento di atti di frode prima o dopo la domanda, ovvero il
compimento di atti negligenti da parte del management della società in procedura).
La necessità di nomina dell’organo deve in sostanza essere rappresentata non come
scelta consigliata ma obbligata dalle circostanze del caso concreto.
La giurisprudenza americana evidenzia come la necessità di nomina del trustee poggi
su esigenze disomogenee legate alla presunzione di mismanagement del debitore legata
43
SALVATO, Nuove regole per la domanda di concordato preventivo con riserva, in Fallimento,
2013, 1209 ss.
44
Sulla similitudine tra Chapter 11 e nuovo concordato con “domanda anticipata” cfr. APICE, Il
fallimento e gli altri procedimenti di composizione della crisi, Torino, Giappichelli, 2012, 451 ss. che enfatizza anche la funzione dell’istituto di anticipazione dell’accesso agli strumenti di soluzione concordata
della crisi.
45
L’examiner di nomina giudiziale svolge le funzioni che il legislatore italiano ha riservato al
professionista attestatore nominato dal debitore.
46
Cfr. ZARETSKY, Symposium on Bankruptcy: Chapter 11 Issues: Trustees and Examiners in
Chapter 11, in 44 S.C. Law Rev., 907, (1993). La figura dell’organo commissariale (o dell’esaminatore
nei casi meno rilevanti) nel sistema statunitense costituisce estrema ratio non solo per l’aggravamento dei
costi che derivano dalla nomina di tali professionisti ma dall’esigenza, che è quasi presunta in quel sistema, che persino nel processo di ristrutturazione sia preferibile conservare il management in carica senza
addivenirsi alla nomina di un gestore esterno che conosce meno la realtà concreta dell’impresa.
47
Cfr. WOODWARD, Insolvency Procedures in the U.S.A., in Profili Storici, Comunitari, Internazionali e di diritto comparato, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, a cura
di Vassalli-Luiso-Gabrielli, Torino, Giappichelli, 2014, 368 ss.
16
alla sua vicenda storica, risultando rilevanti tanto le condotte anteriori che quelle poste
in essere in costanza di procedura48.
Per tale motivo assume rilevanza il comportamento del debitore persino anteriore alla
proposizione della domanda di accesso alla procedura in quanto la scelta di nominare un
manager esterno (il trustee) riflette la considerazione della mancanza di fiducia sulla
gestione del debitore anche per i suoi precedenti specifici legati alla gestione.
Nel diritto statunitense la decisione del tribunale di nominare il commissario può dipendere non solo dall’esistenza di una vertenza (case law) che necessita di essere investigata - quale la rilevazione di un atto di frode - ma la decisione del tribunale può basarsi sul “best interest” per i creditori al punto da affiancare al debitore un organo per la
predisposizione del migliore piano possibile49 facendo divenire il commissario vero e
proprio manager o artefice del piano. Si tratta di una soluzione molto efficiente in quanto la predisposizione del piano è di fatto sottratta all’advisor esterno di nomina privatistica eliminandosi in radice il “duplice controllo” che caratterizza il sistema italiano che
poggia sull’attestatore di nomina “esterna” e del commissario al quale è preclusa ogni
istanza propositiva di modifica del piano nell’interesse dei creditori.
Il legislatore italiano, nonostante le riforme succedutesi, ha confermato
l’impostazione originaria che attribuisce all’attestatore quale organo “esterno” le verifiche di fattibilità di merito del piano non attribuendo un potere siffatto al commissario
nella fase preconcodataria tanto è che ha attribuito piena discrezionalità al tribunale nella decisione di addivenire alla nomina del commissario giudiziale senza necessità di una
domanda ad impulso di parte. Tale impostazione, tuttavia, non tiene conto del mutato
ruolo dell’organo commissariale che si evince altresì dalla attribuzione di una legittimazione autonoma a rappresentare gli interessi della procedura e dei creditori in determinate condizioni50.
Tuttavia, se come si ritiene, la necessità di nomina può sopraggiungere anche a seguito del decreto di cui all’art. 161 l. fall., appare possibile che la nomina consegua ad
una esigenza oggettiva rappresentata dal comitato dei creditori o da altri soggetti interessati che possono instare per la nomina.
La valutazione del tribunale nell’accodare o denegare (su istanza di terzi) la nomina
del commissario è fondata sulla tutela del miglior interesse del ceto creditorio secondo
un’analisi comparata costi-ricavi tenuto anche conto delle dimensioni dell’impresa.
Il tribunale deve in sostanza avvalersi di un organo sussidiario quando la complessità
degli accertamenti da svolgere impongano l’istituzione di un organo a ciò preposto tenuto conto della complessità del caso concreto che può variare a seconda delle dimen48
V. Hassett v. McColley (In re O.P.M. Leasing Servs., Inc.),16 Bankr. 932, 935(Bankr.
S.D.N.Y. 1982); Dardarian v. La Sherene, Inc. (In re LaSherene, Inc.), 3 Bankr. 169, 173 (Bankr. N.D.
Ga. 1980).
49
V. L.S. Good & Co., 8 Bankr. 312, 315 (Bankr. N.D.W. Va.1980) (appointment of trustee in
"best interests" of parties because trustee's sole motivation will be to realize the maximum amount of
monies possible); V. Vincent, 4Bankr. 23, 25 (Bankr. M.D. Tenn. 1980) (where a trustee had been appointed, the debtor lost the exclusive right to file a plan in a Chapter 11 proceeding); Hotel Assocs.,Inc. v.
Trustees of Cent. States S.E. & S.W. Areas Pension Fund (In re Hotel Assocs., Inc.), 3 Bankr. 343, 345
(Bankr. E.D. Pa. 1980) ("There is need for the proposal of a plan by a person other than the debtor and
such a need is a justification for the appointment of a trustee under § 1104(a)(2).
50 cfr. D’AIELLO, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei creditori, a cura
di Nigro, Sandulli e Santoro, Torino, 2014, 144. V. anche LENDVAI, La legittimazione processuale del
commissario giudiziale, in www.ilfallimentarista.it, 2014 in senso critico a Cass., 21 febbraio 2014, n.
4183, che denega la legittimazione del commissario ad impugnare il decreto della Corte d’Appello che
abbia revocato il decreto di revoca dell’ammissione alla procedura di concordato.
17
sioni dell’impresa, dall’entità del passivo o da altri elementi che emergano dal ricorso
introduttivo51.
Gli atti di frode
Ma la vigilanza del commissario non riguarda solo la verifica del rispetto
dell’adempimento degli obblighi informativi. L’assunzione del ruolo di garante della legalità della procedura si sintetizza nel potere di accertamento delle condotte configuranti atti di frode ai sensi dell’art. 173 l. fall.
Si pone, come si dirà infra, un serio problema di raccordo tra la disciplina degli atti
di frode a procedura aperta rispetto alla fase preconcordataria.
Com’è noto la norma di cui all’art. 173 l. fall. attribuisce al commissario giudiziale il
dovere di riferire immediatamente al tribunale condotte configuranti occultamento o
dissimulazione di parte dell’attivo o dolosa omessa denuncia di uno o più crediti esposizione di passività insussistenti ovvero (l’accertamento) della commissione da parte del
debitore di “altri atti di frode”.
Del resto mentre la relazione ex art. 172 l. fall. sembra assurgere a strumento tipico
di reazione sul piano oggettivo alla eventuale inidoneità della domanda concordataria,
l’atto di denuncia ex art. 173 l. fall. non pare coincidere con il primo strumento in quanto il commissario ben può portare all’attenzione del tribunale in qualunque modo ritenuto idoneo fatti rilevanti a norma dell’art. 173 l. fall.
L’ambiguità dei poteri del commissario è senz’altro acuita dalla attribuzione al giudice del ruolo di controllo di legalità della procedura e della fattibilità giuridica, permanendo il potere ufficioso di apertura del procedimento ex art. 173 l. fall.: dubbio che ha
prodotto anche interpretazioni discordanti sul tema della rilevanza delle condotte anteriori alla ammissione alla procedura sul piano dell’incidenza del consenso informato del
ceto creditorio tra chi afferma l’irrilevanza della condotta esplicitata dal debitore e chi
afferma, viceversa, la rilevanza frodatoria anche della condotta escplicitata in piano
quando abbia oggettivamente natura decettiva52.
Nonostante la legge fallimentare sia stata negli ultimi anni oggetto di diverse riforme,
il legislatore non è mai intervenuto in maniera incisiva sul disposto di cui all’art. 173 l.
fall. e sui poteri in concreto esperibili dal commissario: fatta eccezione per gli aspetti
procedurali relativi alla rilevazione delle condotte ed all’apertura ufficiosa da parte del
tribunale del sub procedimento di revoca dell’ammissione al concordato preventivo in
presenza di rilievi dell’organo commissariale risulta sostanzialmente immutato.
Con tecnica similare a quella utilizzata in altri contesti nomativi (si veda, per es.:
l’art. 2598 c.c. in materia di atti di concorrenza sleale), il legislatore, oltre a tipizzare alcune condotte di natura commissiva ed omissiva, ha previsto una formula di chiusura
che ispira tutta la disciplina, ricomprendendo anche condotte non tipizzate che siano caratterizzate dalla connotazione fraudolenta dell’atto.
51
Cfr. LAMANNA, Il decreto del “fare” e le nuove misure di controllo contro l’abuso del preconcordato, in www.ilfallimentarista.it, 2013
52
Il tema è stato affrontato diffusamente sia anteriormente che a seguito della riforma della legge
fallimentare v. LICCARDO, Commento all’ art. 173 l. fall., in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura
di Nigro-Sandulli-Santoro, vol III, Torino, Giappichelli, 2010, 2168 ss.; NARDECCHIA, La fattibilità al
vaglio delle sezioni unite, in www.ilcaso.it; FILOCAMO, L’art. 173, primo comma, l. fall. nel “sistema” del
nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2009, 1467. Ci si permette di rinviare anche a RICCIARDIELLO, La rilevanza degli atti di frode anteriori all'apertura del concordato tra disclosure del debitore e poteri di “accertamento” del commissario giudiziale, commento a Trib. Bergamo, 10 ottobre 2013, in
www.ilfallimentarista.it, 2014.
18
Escluso che il carattere frodatorio sia necessariamente connesso ad una condotta sottrattiva del patrimonio (ben potendo configurare frode anche l’omissione o sottovalutazione di elementi del passivo come anche la loro sopravalutazione53) nel contesto del diritto riformato assume predominanza la tutela dell’informazione in sé quale valore perseguito dal legislatore per garantire l’espressione da parte del ceto creditorio di un consenso informato.
La qualificazione frodatoria dell’atto pone seri problemi interpretativi nell’ambito
della riforma della legge fallimentare che, come è noto, non attribuisce la legittimazione
all’accesso alla procedura concordataria al solo imprenditore specchiato e meritevole54.
In via astratta è del resto possibile che la proposta concordataria sia compatibile con
condotte dispositive patrimoniali poste in essere dal debitore in un momento che precede l’attivazione della procedura, o nel corso della stessa (purché autorizzate art. 160,
comma 7, l. fall.).
Il fatto che il debitore, prima dell’apertura della procedura, possa aver realizzato
condotte che configurano illeciti (civili o penali) non necessariamente, infatti, condiziona l’ammissibilità della domanda concordataria in quanto la nozione di frode contemplata dall’art. 173 l. fall. <<non coincide con gli atti di natura civilistica quali i contratti
in frode alla legge con causa o motivo illecito simulati ovvero soggetti a revocatoria né
con quelli di natura penalistica bensì con gli atti che abbiano una rilevanza interna alla
procedura in quanto finalizzati a frodare le ragioni di creditori inficiando il percorso
formativo del consenso con una falsa o erronea rappresentazione della realtà>> 55.
L’assunto è pacifico e coerente con la funzione dell’istituto dell’art. 173 l. fall. che,
come già evidenziato, non ha carattere sanzionatorio.
Del resto la tutela offerta dall’art. 173 l. fall. non investe la par condicio creditorum,
ma il principio del c.d. voto consapevole.
Ne consegue che devono essere considerati di per sé irrilevanti ai fini della apertura
del sub procedimento di revoca anche atti di disposizione patrimoniale suscettibili di revocatoria ai sensi dell’art. 67 l. fall. (o dell’art. 2901 c.c. come nel caso di specie in cui
addirittura i creditori della cedente avevano esperito l’azione revocatoria ordinaria ritenendo sussistente il consilium fraudis tra controllante e controllata) che non abbiano natura decettiva in funzione del concordato56.
53
V. Trib. Padova, 30 maggio 2013, in Foro it., 2013, 10, I, 2947, secondo cui seppure
l’esposizione di passività inesistenti non produca distrazione dall’altro lato è comunque idonea ad alterare
la volontà dei creditori.
54
Com’è noto per effetto della riforma del diritto fallimentare di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35,
convertito in legge con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, vengono eliminate tutte le condizioni di ammissibilità del concordato che attenevano alle qualità soggettive del debitore (iscrizione nel
registro imprese da due anni, l’assenza di procedure concorsuali collegate all’insolvenza nei cinque anni
anteriori, la mancanza di condanne per reati fallimentari o contro il patrimonio, la fede pubblica,
l’economia pubblica l’industria ed il commercio) oltre al requisito di meritevolezza di cui all’art. 181 l.
fall. che permeava tutta la procedura non solo in fase di omologazione. Cfr. VITIELLO, Concordato preventivo (dall’apertura della procedura all’approvazione della proposta), in Il correttivo della riforma
fallimentare. Riflessioni degli operatori, a cura di Di Marzio, Torino, Ita Edizioni, 2008, 126.
55
Cfr. Trib. Roma, 21 settembre 2010, in www.dejure.it, 2010. Parla di <<nesso strumentale>>
tra atto di frode e procedura concorsuale Trib. Bari, 7 aprile 2010, in www.giurisprudenzabarese.it, 2010.
56
Cfr. Cass., 23 giugno 2011, n. 13817, in Foro it., 2001, 9, I, 2308, sulla non coincidenza tra atti frodatori ed atti pregiudizievoli per i creditori. Per un commento generale sulla sentenza delle Sezioni
Unite v. DE SANTIS, La fattibilità del piano concordatario nella lettura delle Sezioni Unite, in Fallimento,
2013, 3, 279.
19
In questo senso si coglie la ratio dell’istituto ed il discrimen rispetto ad altri istituti
che sono preposti a tutelare la massa dei creditori sotto il profilo reintegrativo.
L’atto di frode deve possedere una duplice attitudine: sotto il profilo soggettivo deve
denotare l’intento frodatorio57 (quale consapevolezza del disvalore giuridico della condotta non come volontà dell’effetto) del debitore, inteso come la volontà di concorrere,
unitamente o disgiuntamente con altri atti, ad alterare la percezione dei creditori sulla
qualità della proposta concordataria di modo da alterarne il libero consenso; diversamente, sotto il profilo oggettivo, l’atto deve poter arrecare una “danno” alla massa dei
creditori.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto, in particolare, sono state nel tempo offerte interpretazioni differenti che hanno talvolta identificato la frode con l’atto sottrattivo della
garanzia patrimoniale del debitore58, sull’assunto che il debitore sia tenuto a mettere a
disposizione tutti i suoi beni ai fini del concordato quale massima espressione della garanzia patrimoniale ex art. 274059 c.c.; in altri casi, invece, l’attenzione dell’interprete si
è incentrata sulla violazione dell’informazione in sé 60.
Su tale ultimo presupposto la S.C. ha di recente precisato che gli atti o condotte rilevanti sono solo quelli che alterano la percezione dei creditori con la conseguenza che
solo al ceto creditorio spetterebbe attribuire rilevanza a determinate condotte anche
esplicitate in domanda non potendo tale giudizio essere rimesso al tribunale61.
Si può, pertanto, dubitare che la frode ai creditori si sostanzi necessariamente in atti a
contenuto depauperativo o sottrattivo in quanto la distrazione patrimoniale parrebbe assumere rilevanza non come “atto” ma come “fatto” in funzione della proposizione della
domanda. Ciò a maggior ragione se si considera che l’art. 173 l. fall. non è volto a sanzionare il disvalore degli atti posti in essere dal debitore ma si sostanzia in uno strumento di tutela del consenso dei creditori.
Fermo restando che l’intenzione frodatoria deve permeare tutte le condotte previste
dall’art. 173 l. fall., anche quelle tipizzate, occorre comprendere quale significato debba
essere attribuito all’espressione “altri atti di frode”.
Il riferimento, dunque, è ad una operazione che impone una interpretazione ermeneutica tutt’altro che semplice specie ove si ritenga che la valutazione dell’atto frodatorio
rilevante debba essere scisso da una valutazione di tipo etico o morale sulla persona
dell’imprenditore: in altri termini questi non è più soggetto al giudizio di meritevolezza
soggettiva connesso alla specchiatezza delle sue pregresse condotte. Piuttosto, il comportamento tenuto dall’imprenditore deve essere valutato in funzione e nel contesto della domanda concordataria.
Già in epoca anteriore alla riforma della legge fallimentare non parevano sussistere
dubbi sul fatto che la connotazione frodatoria degli “altri atti” andasse valutata sotto il
profilo dell’elemento soggettivo dell’atto, ed in particolare di quello doloso, mentre non
57
L’intenzionalità è valutata in re ipsa da una parte della giurisprudenza v. Trib. Monza, 2 novembre 2011.
58
V. Trib. Milano, 28 aprile 2011, in www.dejure.it.
59
Nel senso che gli atti devono ridurre in maniera considerevole la garanzia patrimoniale del debitore ai sensi dell’art. 2740 c.c. v. Trib. Cagliari, 12 marzo 2009.
60
Cfr. CASSANDRO, I provvedimenti immediati, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto da Apice, vol. III, Torino, Giappichelli, 2011, 311.
61
In tal senso Cass., 15 ottobre 2013, n. 23387, in Giust. civ. Mass., 2013; Trib. Padova, 30
maggio 2013, in Foro it., 2013, 10, I, 2947.
20
acquistavano rilievo gli atti di mala gestio o, come già evidenziato, quelli rilevanti sotto
il profilo della lesione della par condicio creditorum62.
Oggi, abolito il canone di meritevolezza, è ancor più acuita la necessità che il dolo, ai
fini della sua rilevanza ex art. 173 l. fall., sia orientato a frodare i creditori esclusivamente in funzione della domanda di concordato e non in senso astratto.
In altri termini il dolo è ravvisabile in tutte quelle fattispecie a formazione progressiva in cui non assume rilevanza l’atto di disposizione patrimoniale in sé ma la sua diretta correlazione con la diminuzione dell’attivo disponibile ai fini concordatari incidendo
sulla percezione che il ceto creditorio ha della effettiva disponibilità patrimoniale del
debitore in “funzione” della proposta concordataria63.
In questo senso si coglie il disvalore giuridico dell’atto spogliativo connesso ad una
domanda concordataria in cui il debitore “simuli” di mettere a disposizione dei creditori
tutti i beni di cui dispone (adempiendo con tutto il suo patrimonio presente e futuro ai
sensi dell’art. 2740 c.c.) dopo essersene spogliato, denotando così di voler utilizzare
(rectius: piegare) il concordato in senso abusivo o quale negozio indiretto in frode dei
creditori che avrebbe solo quale finalità egoistica l’esdebitazione.
Da questo punto di vista assume importanza, come rilevato anche di recente dalla
giurisprudenza di merito64, la vicinanza cronologica degli eventi distrattivi rispetto alla
data di proposizione della domanda concordataria. Infatti, se come si ritiene, anche la
garanzia patrimoniale astratta del debitore assume rilevanza ai fini della sua esdebitazione, (anche se tale fattore può non essere dirimente in quanto la funzionalità del piano
può dipendere anche da elementi patrimoniali e finanziari messi a disposizione da terzi)
non può essere attribuita la stessa valenza ad atti dispositivi compiuti in epoca “non sospetta”, e comunque non incidenti sulla situazione patrimoniale e finanziaria
dell’impresa alla data di proposizione della domanda di concordato, rispetto a quelli che
si pongono a ridosso della domanda medesima e che hanno una incidenza causale sulla
crisi o sul suo aggravamento65.
Di qui la necessità che vi sia una correlazione tra atto e concorso nel dissesto
dell’impresa come è stato correttamente affermato di recente66.
In questo senso, e solo in questo, può censurarsi la condotta, seppure riprovevole, del
debitore che distragga i propri beni in quanto tale condotta è destinata ad incidere sulla
fattibilità giuridica del piano che sarebbe privo sul piano oggettivo della propria “causa
tipica” di strumento di soluzione della crisi alternativo al fallimento.
Il concetto di atto di frode che oggi assume rilevanza nel contesto del diritto fallimentare riformato sembra coincidere con quello della condotta consapevolmente orientata al fine di frodare i creditori sulle possibilità di effettivo realizzo del proprio credito
e di condizionarne il consenso informato quale valore assoluto in un contesto di esclusione di un sindacato di convenienza economica del tribunale.
62
V. FAUCEGLIA, Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso
di procedura, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di Fauceglia e Panzani, Torino, Utet,
2009, 1700; AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato
di diritto commerciale, diretto da Gastone Cottino, vol. XI, 1 Padova, Cedam, 2008, 81 ss.
63
In tal senso Trib. Milano, 19 luglio 2007 in cui viene dato rilievo alla diminuzione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. a favore dei creditori. Così anche più di recente Trib.
Roma, 20 aprile 2010, in www.dejure.it.
64
Cfr. Trib. Bergamo, 10 ottobre 2013.
65
In tal senso cfr. Trib. Mondovì, 17 dicembre 2008, in www.dejure.it.
66
Così Trib. Milano, 29 maggio 2013, in www.dejure.it.
21
Secondo il suddetto orientamento la condotta rilevante ai sensi dell’art. 173 l. fall. sarebbe solo quella che sia stata volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul
giudizio dei creditori, cioè tali che se conosciute avrebbero comportato una valutazione
diversa e negativa della proposta.
La S.C. ha ribadito in più occasioni che <<i comportamenti del debitore anteriori alla
domanda di concordato sono rilevanti esclusivamente nel caso in cui abbiano valenza
decettiva e siano quindi tali da pregiudicare l’espressione di un consenso informato da
parte dei creditori. La rilevanza di detti comportamenti è, infatti, data dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l’esistenza di parte dell’attivo o aumentando artatamente il passivo in
modo da fare apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione
fallimentare. Detta attitudine deve ricorrere ai fini in questione anche per gli “altri atti di
frode>> 67.
E non si pone in dubbio che il principio del voto consapevole debba ispirare la ratio
della disciplina concordataria legittimando il potere di controllo di legalità del tribunale
che sino al giudizio di omologa può arrestare la procedura in presenza di condotte frodatorie ed aprire d’ufficio il procedimento per la dichiarazione di revoca di apertura della
procedura concordataria.
Ma fin a che punto il consenso informato possa assorbire la causa del concordato
piegandola a negozio privo di causa in concreto pur in presenza della volontà dei creditori?
La risposta a tale problema involge lo stesso concetto di frode “atipica” di cui al disposto di cui all’art. 173 l. fall.
Bisogna domandarsi se davvero l’autonomia contrattuale attribuita alle parti (debitore e creditori) possa spingersi al punto di ritenere ammissibile una proposta in cui le
condotte frodatorie siano persino confessate dal debitore o residui un potere del tribunale in senso “riclassificatorio” delle condotte del debitore istante al fine di ricondurre il
negozio in concreto alla sua causa astratta o ancor peggio svelandone la natura frodatoria anche in connessione ad altri elementi.
Anche se le Sezioni Unite nel recente arresto hanno riaffermato il ruolo di controllo
del tribunale funzionale non solo alla regolarità della procedura ma alla stessa riconduzione causale del concordato in termini di ammissibilità sembrerebbe ancora permanere
in capo al ceto creditorio un potere di derivazione contrattuale di disporre anche in senso ad esso pregiudizievole dei propri diritti accettando proposte oggettivamente sconvenienti.
Ma se il bene giuridico protetto coincide con il c.d. consenso informato quale presupposto di validità del negozio concordatario del ceto creditorio bisogna stabilire se la
disclosure delle condotte frodatorie abbia sempre e comunque efficacia scriminante ai
fini della ammissibilità e procedibilità della domanda concordataria.
Il problema attiene ancora alla percezione del ceto creditorio della convenienza della
proposta concordataria che non può prescindere dalla “qualità” dell’informazione resa
dal debitore su cui insiste il ruolo di centralità dell’organo commissariale. La questione
tuttavia appare complicata dalla possibilità di sindacato giudiziale della fattibilità giuridica del concordato ed ancor più dalla possibilità di nomina anticipata del commissario
in pre concordato.
67
Cfr. Cass., 15 ottobre 2013, n. 23387, in www.ilcaso.it, 2013.
22
Procedendo secondo la ricostruzione normativamente orientata dell’istituto, anche alla luce del recente arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, non possono
esservi dubbio sul fatto che il controllo del tribunale non abbia ad oggetto la convenienza economica della proposta concordataria che è rimessa alla decisione dei creditori i
quali possono pure decidere di accettare anche proposte svilenti le ragioni di credito.
E’ altresì vero, tuttavia, che il ruolo del tribunale non è relegabile a quello di mero
spettatore o ancor peggio di omologatore di un contratto privatistico che sia del tutto
privo di ogni requisito d’idoneità ad assolvere alla sua funzione tipica e che per tale ragione sarebbe pure nullo (secondo la prospettazione in senso contrattualistico) per mancanza di causa ai sensi dell’art. 1418, comma 2, c.c.
In base all’art. 173, comma 3, l. fall il Tribunale può revocare il decreto di ammissione alla procedura di concordato qualora “in qualunque momento” risulti che mancano
le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato. Condizioni che devono sussistere dall’introduzione della procedura sino all’omologa.
L’ammissibilità della proposta è precondizione per poter sottoporre la proposta (ed il
piano) al vaglio del ceto creditorio in quanto di converso non ci si troverebbe di fronte
ad un negozio concordatario ma ad un atto avente finalità diverse da quelle della soddisfazione seppure parziale dei creditori.
Il rafforzamento della connotazione privatistica non può tuttavia escludere il controllo di legalità del tribunale.
In questo senso, il correttivo “istituzionalistico” attribuito dal legislatore al tribunale
assume particolare pregnanza in quanto il tribunale deve potere verificare la correttezza
delle informazioni che il ceto creditorio riceve dal debitore proprio per garantire la funzione dell’istituto.
Non si tratta di un controllo che afferisce alla sola informazione di c.d. primo grado,
ovvero alla rilevazione (o se si preferisce, alla scoperta) del fatto rappresentato (o omesso), ma anche all’informazione di c.d. secondo grado che viceversa presuppone
un’attività di accertamento di tipo qualitativo da parte del commissario che è funzionale
ad una informazione obiettiva.
Qui entra in gioco il ruolo del Tribunale68 ma soprattutto del commissario giudiziale
al quale è riservata una funzione importante che attiene al suo munus di vero e proprio
organo preposto a garantire la legalità della procedura.
A tale proposito si coglie un elemento di ambiguità rappresentato dal convincimento
che la condotta decettiva, per dirsi tale, debba necessariamente essere omessa al ceto
creditorio e, successivamente, “scoperta” dall’organo commissariale, come a voler legittimare gli atti di frode posti in essere anteriormente alla proposizione della domanda di
concordato che viceversa siano stati esplicitati nella domanda.
Il dubbio è instillato da una interpretazione fornita dalla S.C. del dettato normativo
dell’art. 173 l. fall. in cui tautologicamente si è relegato il ruolo del commissario a quello di “scopritore” delle condotte non dichiarate dal debitore nella proposta sulla base
dell’interpretazione della norma ai sensi dell’art. 12 preleggi che attribuirebbe al verbo
accertare significato di scoperta69.
68
V. PATTI, Il sindacato del tribunale nella fase di ammissione al concordato preventivo, in La
crisi d’impresa. Questioni controverse nel nuovo diritto fallimentare, Padova, Cedam, 2010, 328.
69
Cfr. Cass., 23 giugno 2011, n. 13817, in Foro it., 2011, 9, I, 2308. In senso critico V. TEDOLDI,
Il sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano e l’art. 173 l. fall. nel concordato preventivo: ovvero, la
Cassazione e il “cigno nero”, in www.ilcaso.it.
23
Nell’arresto della S.C. si legge, infatti, che <<la circostanza che l’evento accertato
per essere tale dovesse essere prima ignoto è logicamente desumibile dalla considerazione che se la norma si volesse riferire alla segnalazione di eventi già noti al momento
della ammissione alla procedura la segnalazione degli stessi da parte del commissario
costituirebbe una sollecitazione al tribunale a riprendere in considerazione e a diversamente valutare fatti già ritenuti non ostativi alla ammissione e quindi in sostanza
l’esercizio di un potere di sollecitazione di una pronuncia giurisdizionale modificativa
di una precedente che costituirebbe una straordinaria deviazione dalle funzioni proprie
dell’organo che sono unicamente consultive>>.
In realtà, può dubitarsi che l’atto dispositivo patrimoniale finalizzato a frodare i creditori nell’ambito di una proposta concordataria sia solo quello occultato e successivamente scoperto dall’organo commissariale come se l’attività di accertamento fosse sinonimo di quella di vera e propria scoperta di un fatto non noto.
La motivazione non appare convincente sotto due profili: il primo quello della pretesa intangibilità del decreto di ammissione alla procedura di concordato che collide con il
dettato dell’art. 173, comma 3, l. fall. e del potere del tribunale in ogni momento di revocare il decreto di ammissione alla procedura di concordato rilevata la sussistenza di
fatti censurabili ai sensi dell’art. 173 l. fall.
Il secondo aspetto attiene proprio alle funzioni del commissario che in quanto pubblico ufficiale non può ritenersi semplicemente consulente del tribunale ma diviene organo della procedura finalizzato a tutelarne la legalità della stessa sotto la propria responsabilità.
Si ritiene, di contro, che il commissario giudiziale assolva ad una attività di cognizione finalizzata a contestualizzare un determinato atto in base agli affetti giuridici prodotti a prescindere dal modus in cui la prova dell’esistenza del fatto viene acquisita.
Se il bene giuridico protetto è il voto consapevole dei creditori non è necessario che
si tratti di condotte scoperte ex post ma dell’ “accertamento” da parte del commissario
giudiziale della loro attitudine a dare una rappresentazione distorta della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa debitrice 70. Ciò anche sulla base di una riqualificazione degli stessi elementi oggetto di disclosure da parte del debitore.
Si tratta di un potere valutativo “critico” che si esplica attraverso l’utilizzo di tutte le
informazioni assumibili che può indurre ad attribuire ad un fatto prospettato dal debitore
una rilevanza diversa da quella esposta anche sulla base di elementi aliunde reperiti anche di natura presuntiva.
In tal senso sembrerebbe porsi l’intervento normativo di cui all’art. 82 del d.l. 21
giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, che
all’art. 161, comma 6, l. fall. con effetto dal 22 giugno 2013, ha aggiunto i seguenti periodi « Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale
può nominare il commissario giudiziale di cui all’articolo 163, secondo comma, n. 3, e
si applica l’articolo 170, secondo comma. Il commissario giudiziale, quando accerta
che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 173, deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui
all’articolo 15 e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico
ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza reclamabile a norma dell’articolo 18 ».
70
Trib. Siracusa, 20 dicembre 2012.
24
Tale enunciato conferma il “doppio binario” tra la relazione dell’art. 172 l. fall. e la
denuncia dei fatti rilevanti ai sensi dell’art. 173 l. fall. in quanto il legislatore anche nella recente riforma attribuisce al commissario il dovere di denuncia, senza specificare
che tale dovere si esplica attraverso la relazione ex art. 172 l. fall. che pure in tale momento primitivo della procedura nemmeno sussiste.
Se la facoltà di nomina dell’organo commissariale da parte del tribunale sorge anche
in presenza di domanda in bianco cioè quando il debitore non ha formulato alcuna proposta e che a tale data non ha dichiarato su quali basi si fonderebbe il piano ( e nemmeno ha formulato la relazione di cui all’art. 172 l. fall.) ed il legislatore ha inteso anticipare l’attività di accertamento commissariale ad un momento anteriore, è chiara
l’intenzione di rafforzare il potere non di semplice consulente del commissario ma di
organo che, a prescindere dalle prospettazioni del debitore, può svolgere una intensa ed
autonoma attività di accertamento anche di tipo critico e trarre le conseguenze dei fatti
ancora non esposti ai fini della dichiarazione di inammissibilità della domanda in bianco. Si pensi all’atteggiamento reticente del debitore che non esponga le azioni di responsabilità e risarcitorie verso gli organi sociali o i soggetti che hanno concorso nel
dissesto per le quali potrebbe riconoscersi una autonoma legittimazione risarcitoria proprio del commissario.
Sulla base delle considerazioni ora esposte è possibile ritenere allora che anche la
disclosure delle condotte rilevanti da parte del debitore non possa eliminarne il disvalore giuridico in quanto il legislatore si preoccupa di fornire al ceto creditorio
l’informazione c.d. di secondo grado che, pur non potendo prescindere dalla esternazione del fatto sotto il suo profilo materiale, richiede un’opera critica ed analitica da parte
del commissario che per poter assolvere a tale compito non può limitarsi alla “informazione passiva” ma deve potere acquisire ogni elemento di valutazione.
Uno spunto argomentativo in tal senso sembra desumersi da una recente giurisprudenza la quale, riguardo all’“effetto decettivo” sul ceto creditorio di determinate operazioni o condotte, ha precisato che, pur potendosi trattare di operazioni rilevabili dalla
contabilità ed annotate nelle scritture contabili, l’effetto decettivo si verifica allorché
esse non siano state comunque richiamate ed evidenziate in sede di proposta concordataria onde consentire ai creditori di venire adeguatamente a conoscenza delle vicende
societarie per giungere poi ad esprimersi con un voto informato71.
A dimostrazione che l’effetto decettivo dipende non dalla condotta in sé ma dalla sua
percezione da parte dei creditori.
Appare opportuno, quindi, distinguere le condotte tipizzate (omissione o occultamento di elementi dell’attivo o di passività) in cui la connotazione fraudolenta è in re ipsa
(anche se resta sempre da valutare l’impatto oggettivo sul patrimonio del debitore) da
quelle atipiche il cui disvalore può essere evidenziato dal commissario giudiziale anche
se disvelato dal debitore.
Per gli altri atti di frode ciò che assume rilevanza non è la scoperta ex post dell’atto
ma l’accertamento del loro disvalore da parte dell’organo commissariale che implica
una valutazione qualitativa dell’atto da parte di detto organo72 non la scoperta del fatto
in sé acquisibile anche in fase pre-concordataria. Diversamente, verrebbe svuotato di
contenuto il ruolo commissariale riguardo alle condotte frodatorie in fase di preconcordato.
71
Cfr. App. Bologna, 25 febbraio 2013, n. 213.
Nel senso della possibilità di riqualificare come frodatorio un atto esplicitato nella domanda
concordataria v. Trib. Monza, 2 novembre 2011, (nt. 57).
72
25
L’attività frodatoria commessa in un momento precedente al deposito della domanda
o all’apertura della procedura concordataria assume rilevanza come fattispecie illecita a
formazione progressiva in cui l’atto frodatorio non viene considerato in sé (in quanto
non sarebbe censurabile in tale sede) ma in connessione alla richiesta di accesso alla
procedura concordataria la quale in un siffatto contesto si presterebbe ad essere uno
strumento abusivo a danno dei creditori in quanto dissimulante una soluzione migliorativa per i creditori (quella fallimentare) che vedrebbero pregiudicate le ragione di soddisfazione (o migliore soddisfazione) dei propri crediti.
In tale contesto, ai fini della indagine sulla attitudine frodatoria di tali azioni del debitore, deve guardarsi al tempo in cui tali atti sono commessi: la vicinanza rispetto alla
proposizione di una domanda di concordato preventivo attribuisce a tali atti una connotazione frodatoria in quanto distrattivi del patrimonio del debitore (rectius: distrattivi del
patrimonio che il debitore deve mettere a disposizione del ceto creditorio). Tale ricostruzione appare correttamente inquadrata nella funzione attribuita all’istituto del concordato il quale non può divenire lo strumento di comoda esdebitazione del debitore a
costo zero.
La condotta del debitore che distragga elementi dell’attivo in prossimità della proposizione della domanda di concordato assume disvalore ancorché giuridico soprattutto
sul piano sociale in quanto rende riprovevole la stessa domanda concordataria che costituisce frutto di un autentico abuso del diritto poiché lo strumento del concordato in sé
viene piegato ad instrumentum sceleris come atto finale di una condotta illecita.
L’attenzione dell’interprete anche in questo caso non viene riposta sull’atto isolatamente considerato di per sé non censurabile ma sull’atto in funzione della causa del
concordato, assumendo rilevanza la tempistica degli atti rispetto alla iniziativa concordataria ed il disvalore della singola condotta.
Tale disvalore giuridico non è eliminabile attraverso il c.d. ravvedimento operoso
ovvero la situazione in cui si venga a trovare il debitore che una volta “smascherato” dal
commissario manifesti la disponibilità a modificare la proposta concordataria mettendo
a disposizione del ceto creditorio assets che avevano formato oggetto di preventiva distrazione. Infatti, nessun ravvedimento può eliminare ex post l’occultamento o più semplicemente la rilevanza dell’atto di frode in quanto fatto che si consuma nel momento
stesso in cui esso non viene disvelato spontaneamente al ceto creditorio.
Giurisprudenza e dottrina concordano nel ritenere che la procedura di concordato sia
unitaria e che pertanto in pendenza di una procedura di concordato che non abbia formato oggetto di rinuncia da parte del debitore con accettazione da parte degli altri soggetti
processuali (come ad es. le parti che abbiano instato per il fallimento) l’eventuale modifica della domanda non possa che essere considerata una domanda nuova come tale
inammissibile (in quanto già pendente altra domanda non definita)73.
Ma anche la modifica della domanda concordataria non avrebbe il pregio di eliminare la rilevanza frodatoria dell’atto accertato dal commissario.
Seguendo tale impostazione nessun rilievo sanante può avere la c.d. disclosure effettuata successivamente alla proposizione della domanda quando l’organo commissariale
ha già effettuato rilievi e segnalazioni ai sensi dell’art. 173 l. fall. non potendo avere al73
Cfr. GALLETTI, Una riflessione sulla revoca dell’ammissione del concordato: la rinunzia alla
proposta con “nuova domanda” dopo l’atto di frode, in www.ilfallimentarista.it, 2012. Anche a fronte
del principio di unitarietà della procedura concordataria secondo cui, allorché penda una procedura di
concordato preventivo non sarebbe configurabile altra domanda di concordato con carattere di autonomia
rispetto a quella originaria.
26
cun valore giuridico (se non la sua nullità per contrarietà a norme imperative di legge) la
clausola di riserva che il debitore dovesse apporre alla domanda concordataria in cui si
facesse riferimento all’eventuale accertamento della lesione connessa ad una determinata condotta individuata dall’organo commissariale.
Appare interessante sotto tale profilo rilevare come il legislatore della novella del
2013 nel prevedere la nomina facoltativa del commissario giudiziale nella fase di preconcordato da parte del tribunale reiteri il potere di accertamento delle condotte rilevanti
ai sensi dell’art. 173 l. fall.
Ora si tratta di verificare la compatibilità dei precetti di cui all’art. 173 l. fall. con
l’istituto del pre-concordato e stabilire in chiave di “continuità” tra le due fasi la rilevanza degli accertamenti commissariali.
La collocazione di tale potere di accertamento ancor prima della disvelazione del
piano concordatario induce a ritenere che le ragioni che possono condurre alla dichiarazione di improcedibilità della domanda (e non di revoca del successivo decreto di ammissione) non attengono a condotte che impattano sul piano concordatario e sulla proposta ancora non disvelati e nemmeno sul bene giuridico del “consenso informato” ancora non attuale.
L’esclusività del potere di controllo del commissario (in caso di sua nomina)74 nel sistema delineato dal legislatore pone il problema dei poteri ad esso spettanti: nella fase
preconcordataria non esiste alcun atto tipizzato riservato al commissario, diversamente
dalla fase concordataria in cui la relazione di cui all’art. 172 c.c. costituisce momento
centrale di verifica non solo della condotta soggettiva anteriore del debitore ma anche
della relazione dell’attestatore.
Il legislatore della riforma non a caso ha voluto richiamare all’art. 161, comma 6, l.
fall. l’art. 173 stabilendo che “il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore
ha posto in essere una delle condotte previste dall’art. 173 deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all’art. 15 e verificata la
sussistenza delle condotte stesse, può con decreto dichiarare improcedibile la domanda…”.
Il richiamo per relationem all’art. 173 l. fall. nella fase precedente l’ammissione alla
procedura di concordato induce ad effettuare alcune riflessioni sulla finalità della norma
così come formulata e collocata nella fase embrionale della procedura.
Come già esposto, a seguito della apertura della procedura concordataria l’art. 173 l.
fall. sino al decreto di omologazione del tribunale, il potere di denuncia del commissario
costituisce ancor oggi strumento fondamentale per l’apertura del procedimento di revoca del decreto di ammissione al concordato preventivo in forza dell’accertamento da
parte dell’organo commissariale di condotte tipizzate quali l’occultamento o la dissimulazione dell’attivo, l’omessa dolosa denuncia di uno o più crediti , l’esposizione di passività insussistenti ovvero la commissione di “altri atti di frode”.
L’emblema della funzione di vigilanza del commissario è rappresentato oggi proprio
dal potere di accertamento di condotte configuranti atti di frode ai sensi dell’art. 173 l.
fall. che costituisce unico strumento per addivenirsi alla revoca del decreto di ammissione al concordato a seguito della rilevazione di condotte frodatorie.
Il richiamo integrale all’art. 173 l. fall. pone innanzitutto il problema di individuazione e di raccordo delle fattispecie tipizzate dall’art. 173 l. fall. richiamate dall’art. 161 l.
fall.: la mancanza del piano e della proposta concordataria sembra svincolare sotto il
74
Pur restando fermo il potere di attivazione anche in via ufficiosa della procedimento ex art.
173 l. fall.
27
profilo della loro rilevanza oggettiva le condotte frodatorie rispetto alla stessa proposta,
ponendosi anche un problema di compatibilità oggettiva delle condotte tipizzate dall’art.
173 l. fall. con l’intera fase di pre-concordato.
La rilevanza delle condotte frodatorie non ha (e non può avere) alcuna connessione
con il piano proposto che è ancora inesistente e neppure con la documentazione a supporto se non limitatamente all’elenco nominativo dei creditori ed all’indicazione dei
crediti.
Le condotte tipiche di cui all’art. 173 l. fall. consistenti nell’occultamento o dissimulazione dell’attivo sembrerebbero non avere alcuna attinenza con la fase introduttiva
della procedura in cui il debitore non ha depositato alcuna documentazione ed in cui il
commissario non dispone della relazione dell’attestatore e della proposta di concordato
da verificare in seno alla relazione ex art. 172 l. fall.
Medesime considerazioni possono valere per le condotte astrattamente compatibili
con il pre concordato: così la dolosa omessa esposizione di crediti o l’esposizione di
passività insussistenti, pur compatibile con l’obbligo di deposito dell’elenco dei creditori, involge necessariamente un’attività di “riqualificazione” o, se si preferisce, di accertamento del commissario che va al di là del “fatto materiale” la cui rilevanza frodatoria
non può essere ricollegata al piano.
Sembra quindi arduo ritenere che il disvalore giuridico della condotta scoperta anticipatamente (astrattamente configurante atto di frode in chiave concordataria) possa essere percepito in assenza della proposta e certamente la mancanza del piano e della proposta induce ad interpretare la collocazione del 173 l. fall. in fase di pre concordato diversamente e come funzionale ad assolvere ad una funzione di “filtro” meramente procedurale75.
Con ciò si vuole dire che il legislatore non ha collocato in via anticipata la nomina
dell’organo commissariale solo per consentirgli di “guadagnare tempo”
nell’espletamento degli accertamenti propedeutici alla relazione ex art. 172 l. fall. Che
sarà solo eventualmente redatta in caso di apertura della procedura. Sotto tale profilo
appare arduo che il commissario possa accertare o qualificare come frodatorie condotte
anteriori alla proposizione del ricorso introduttivo, essendo tale potere insito nella relazione ex art. 172 l. fall. che viene redatta a procedura aperta ed in cui il disvalore delle
condotta è valutato in chiave del piano disvelato.
Si ritiene, invece, che le condotte tipiche previste dall’art. 173 l. fall. assumano rilevanza nel pre-concordato non in funzione del consenso informato dei creditori e neppure in relazione ad una “bozza” del piano o della proposta ma come comportamenti denotanti “frode processuale” ovvero utilizzo abusivo di uno strumento legittimo per finalità
non consentite dall’ordinamento che si apprezzano sul piano della condotta processuale
tenuta dal debitore.
Vale a dire che lo strumento dell’art. 173 l. fall. si ritiene riguardi solo la “condotta”
del debitore nel corso del procedimento e non anteriormente e possa incidere sulla
inammissibilità del ricorso.
75
Non appare condivisibile l’impostazione secondo cui gli obblighi informativi previsti dall’art.
161 l. fall. devono essere accompagnati da indicazioni minime sul contenuto della proposta e del piano.
Così PANZANI, Il concordato in bianco, in www.ilfallimentarista.it; FABIANI, Riflessioni precoci
sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa (appunti sul d.l.
83/2012 e sulla legge di conversione), in www.il caso.it, 2012 seguito anche da BALESTRA, Gli obblighi
informativi di cui al comma 8 dell’art. 161 l. fall., in Fallimento, 2013, 1, 99.
28
Secondo tale impostazione l’apertura del procedimento ex art. 173 l. fall. potrebbe
derivare dall’accertamento da parte del commissario delle condotte tipizzate, nel contesto dell’assolvimento degli obblighi informativi dettati dal tribunale con riferimento alla
gestione finanziaria dell’impresa ed all’attività compiuta dal debitore ai fini della predisposizione della proposta e del piano anche se il mancato assolvimento degli obblighi
informativi riceve una sanzione apposita (la inammissibilità del ricorso). Non a caso la
rilevazione di atti di frode nel pre concordato è invece sanzionata con la improcedibilità
della domanda.
Così assume rilevanza in chiave comportamentale il modo in cui il debitore approccia al pre-concordato involgendo il potere di denuncia del commissario un’attività ispettiva anche relativa agli adempimenti propedeutici alla redazione del piano e della proposta. Il commissario è quindi legittimato a sapere, pur in assenza di un piano formalmente depositato, se è in corso di lavorazione un documento siffatto e soprattutto se il debitore ha conferito incarico a professionisti per gli adempimenti necessari76.
Si fa così riferimento alla possibilità di considerare come frode lo stesso accesso abusivo alla procedura concordataria allorché il debitore assolva maliziosamente agli obblighi informativi ovvero non vi assolva correttamente oppure emergano condotte che facciano ritenere chiaramente, a prescindere dalla esplicitazione del piano concordatario il
presumibile utilizzo abusivo dello strumento. Significativa potrebbe essere la rilevazione da parte dell’organo commissariale della mancata attivazione degli strumenti endosocietari di allerta o di reazione a condotte illegittime conclamate degli organi di gestione e controllo che renderebbe superflua l’apertura della procedura.
Vale a dire che se non si vuole svuotare di contenuto la portata precettiva dell’art.
173 l. fall. nel pre-concordato il carattere frodatorio degli atti del debitore può non solo
riferirsi alle condotte anteriori alla proposizione del ricorso per l’accesso alla procedura
concordataria ma soprattutto alla sua condotta in corso di procedura.
Mi sembra pertanto che il senso più probabile da attribuire alla norma sugli atti di
frode nell’ambito preconcordatario sia proprio quello di sanzionare l’ “abuso del diritto
concordatario qualificando come frodatorio l’accesso alla procedura quando il debitore
manifesti un uso processuale distorto dell’istituto, ad esempio violando gli obblighi relativi ai flussi informativi ovvero assumendo atteggiamento reticente verso il commissario che richieda informazioni integrative ovvero nel caso in cui i poteri di accertamento
e vigilanza del commissario evidenzino condotte del debitore incompatibili con
l’accesso alla procedura (art. 161 l. fall.). Anche l’impugnazione immotivata degli atti
del commissario potrà essere valutata come sintomatica di un utilizzo distorto
dell’istituto.
5. La rilevanza degli accertamenti svolti nel pre-concordato rispetto alla fase di
apertura della procedura.- Infine, alcune brevi riflessioni sulla sorte degli accertamenti
svolti dal commissario durante la fase pre concordataria e la loro rilevanza o utilizzabilità nella successiva fase di apertura.
Preliminarmente, sul piano della nomina dell’organo, deve ritenersi che la scelta del
commissario giudiziale nominato dal tribunale in sede di pre-concordato non condizioni
il tribunale il quale deve ritenersi libero di optare per un altro professionista (o anche un
collegio di professionisti) in sede di decreto di apertura ex art. 163 l. fall., anche se ra76
Così Trib. Udine, 25 settembre 2013, in www.ilcaso.it, 2013. V. in dottrina BOSTICCO, Evoluzione del concordato dopo il decreto sviluppo, in Fallimento, 2014, 707.
29
gioni di opportunità e di contenimento dei costi dovrebbero indurre alla conferma della
nomina della persona (o del collegio) già nominati.
Sulla base della ricostruzione del ruolo del commissario proposta nei paragrafi precedenti si ritiene che proprio per le finalità dissimili delle due fasi della procedura il tribunale non possa ritenersi condizionato in alcun modo dagli accertamenti svolti nella
prima fase, ben potendo anche successivamente, arrestare il procedimento aprendo ufficiosamente la procedura ex art. 173 l. fall.
Infatti, il mancato efficace assolvimento della funzione di “filtro” del pre-concordato
non può mai andare a scapito del ceto creditorio e della sua tutela, ben potendo sia
l’organo commissariale che il tribunale ufficiosamente valorizzare fatti emersi in precedenza ma che non siano stati posti alla base di un provvedimento di inammissibilità o
improcedibilità ai sensi dell’art. 161 l. fall.
Se nel periodo c.d. “di osservazione” del debitore durante il pre-concordato appare
preponderante l’analisi della condotta processuale in chiave deflattiva, una volta aperta
la procedura, il commissario “entra nel merito” della proposta e del piano, potendo tener
conto delle condotte anche anteriori alla proposizione della domanda di pre-concordato
non ritenute sufficienti ad una dichiarazione prematura di inammissibilità/improcedibilità del ricorso.
Si passa così da una fase di osservazione pura della condotta processuale del debitore
ad una fase di merito e relazionale con il ceto creditorio in cui le condotte accertate assumono disvalore in funzione della proposta e del piano.
Ecco perché anche nell’ipotesi in cui il commissario “tenga nel cassetto” elementi
ostativi alla prosecuzione della procedura per disvelarli successivamente si renderebbe
responsabile verso i creditori e terzi del suo operato ma non condizionerebbe il tribunale
nell’attribuire rilevanza o meno agli elementi non emersi (o non valorizzati) in precedenza.
A supporto della non vincolatività degli accertamenti svolti in sede di preconcordato
si pone altresì il contenuto stesso della relazione ex art. 172 l. fall. oltre che la previsione del potere del tribunale di aprire anche ufficiosamente il procedimento di revoca ex
art. 173 l. fall. sino alla omologazione del concordato.
Il problema interpretativo tuttavia si complica laddove si rinviene all’interno della disciplina della relazione di cui all’art. 172 l. fall. il riferimento alla “condotta del debitore” retaggio del sistema normativo previgente ancorato alla meritevolezza soggettiva ed
oggettiva dell’imprenditore insolvente77.
Rimane da stabilire se la condotta rilevante ai fini della revoca del decreto di ammissione al concordato possa consistere anche nei comportamenti rilevati dal commissario
nominato in sede di pre-concordato che non siano sfociati in alcuna segnalazione o parere negativo dato nella prima fase. Vale a dire se il commissario debba relazionare sulla condotta processuale del debitore relativa alla fase di pre concordato.
Nonostante non vi sia alcuna preclusione nel testo normativo a che la relazione ex
art. 172 l. fall. faccia riferimento alla condotta del debitore nella fase preconcordataria
ad avviso di chi scrive, tuttavia, appare opportuno ritenere che la fase pre-concordtaria e
quella concordataria non debbano essere valutate a “compartimenti stagni” nel senso
che l’anticipazione della nomina del commissario se, da una parte, è funzionale ad im77
Cfr. sempre PACCHI, La valutazione del piano del concordato preventivo: i poteri del tribunale
e la relazione del commissario giudiziale, in Dir. fall., 2011, 2, 95 ss., secondo la quale l’informazione
completa non può prescindere dall’esame dei trascorsi dell’impresa e del suo gestore e sulla sua condotta
in quanto il passato “interagisce con il presente ed è suscettibile di influenzare il futuro”.
30
plementare la vigilanza sulla condotta del debitore non può determinare la ipostatizzazione degli accertamenti e la non utilizzabilità di siffatti elementi emersi successivamente anche a fronte del potere del tribunale di revocare il decreto di apertura della procedura che può ricavarsi anche da elementi di tipo presuntivo. Peraltro, il valore giuridico del consenso informato del ceto creditorio non può essere inteso in senso parziale
ammettendosi l’omissione di informazioni relative alla condotta processuale del debitore.
È evidente che il mancato prematuro arresto della procedura alla fase pre concordataria che sia dovuta alla mancata disvelazione di fatti accertati dal commissario potrà rilevare solamente sotto il profilo della responsabilità dell’organo per aver concorso
nell’aggravamento del dissesto patrimoniale dell’imprenditore sul piano della maturazione di costi prededucibili che non si sarebbero prodotti in presenza di una diligente attività professionale.
Il corretto assolvimento degli obblighi informativi senza dubbio consente al tribunale
di valutare sul piano principalmente soggettivo la condotta del debitore nella fase pre
concordataria e verificarne le intenzioni rispetto all’utilizzo dello strumento concordatario78 ma non preclude ad una valutazione soggettiva dell’accesso distorto alla procedura
anche in sede di ammissione.
Il pericolo di aggravamento del dissesto patrimoniale attraverso il compimento di atti
di impresa generanti debiti in prededuzione in assenza di una situazione aggiornata dello stato patrimoniale e finanziario fornita dall’imprenditore suggerisce (e non si vede
come una scelta del genere possa essere solo discrezionale e non obbligatoria) la nomina di un organo a cui compete di vigilare sulla procedura ancor prima di svolgere le
funzioni di consulenza ausiliaria che si esplicano attraverso la relazione di cui all’art.
172 l. fall.
In tale fase si può affermare che il commissario è l’unico organo di garanzia della
procedura dal momento che il tribunale non è ancora in grado di acquisire aliunde elementi per l’eventuale chiusura anticipata della procedura eccettuata la possibilità di
aprire ufficiosamente la procedura ex art. 173 l. fall.
Il parere del commissario funzionale alla autorizzazione di atti di amministrazione
straordinaria ha natura ontologica diversa dalla relazione ex art. 172 l. fall. in quanto si
tratta di un atto tipico che costituisce presupposto di validità della medesima autorizzazione del tribunale e ad esso deve attribuirsi natura senz’altro vincolante stante l’obbligo
di sua acquisizione previsto dalla norma.
Il commissario dovrà pertanto poter analizzare, anche in caso di reticenza del debitore, la situazione economico-patrimoniale del debitore ancor prima che questi provveda
al deposito della documentazione di cui all’art. 161 l. fall. ed a prescindere dalla correttezza dell’adempimento degli obblighi informativi che il tribunale impone con decreto
ai sensi dell’art. 161, comma 8, l. fall.
Del resto la disciplina degli obblighi informativi periodici prevista dall’art. 161
comma 8 evidenzia un ruolo di vigilanza dell’organo commissariale che non è solo funzionale alla autorizzazione degli atti di impresa straordinari ma è volto a valutare la
condotta del debitore durante la procedura preconcordataria con la finalità di stabilire se
alla domanda di ammissione corrisponda da parte del debitore una autentica programmazione della crisi ovvero si tratti di atto finalizzato esclusivamente a ritardare il fallimento.
78
In tal senso anche cfr. anche DE SANTIS, Rapporti tra poteri delle parti e poteri del giudice nel
concordato preventivo: i poteri del giudice, in Fallimento, 2013, 1064 ss.
31
Non si vede infatti come potrebbe il commissario giudiziale fornire un parere favorevole al compimento di atti straordinari senza poter valutare preventivamente la finalità
di detto atto rispetto alla condotta complessiva del debitore ed alla sua attuale situazione
patrimoniale e finanziaria. Non a caso, a deporre a favore di poteri ispettivi, l’art.170,
comma secondo, l. fall., pone l’obbligo al debitore di tenere a disposizione del commissario le scritture contabili dal che si desume chiaramente il diritto di ispezione79.
EDGARDO RICCIARDIELLO
79
Cfr. TRENTINI, (nt. 35), 237.
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