Marzo 2010 - Workshop
LA SESSUALITA’ FEMMINILE/L’INFANZIA
Marzo 2010 - www.neutromed.it
Workshop | LA SESSUALITA’ FEMMINILE/L’INFANZIA
Quando, come e perché si determina il sesso?
Maschio o femmina? È intuitivo: per sapere il sesso di un neonato basta
guardarne i genitali. Eppure, essere maschi o femmine non dipende
solo dall’aspetto dei genitali esterni. Essere maschi o femmine dipende da diversi fattori: la maggior parte di questi fattori sono di biologici, altri sono per lo più familiari, sociali e ambientali.
Fattori biologici: l’Y che fa la differenza.
Il primo elemento a determinare il sesso biologico di un individuo è il suo corredo cromosomico che
viene stabilito al momento del concepimento. E la diversità tra maschi e femmine è scritta in ogni cellula
del nostro organismo, non soltanto in quelle dell’apparato sessuale.
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I nostri primi 40 giorni di vita.
Il nostro corredo cromosomico possiede 23 coppie di cromosomi (cariotipo), tra cui la coppia di cromosomi sessuali – XX per la femmina e XY
per il maschio – determinano il “sesso genetico”.
Il sesso genetico viene determinato già nel momento della fecondazione,
però per i primi 40 giorni di vita l’embrione, indipendentemente dai
cromosomi che possiede, è neutro: come dire che fino a quel momento
sono gli elevatissimi livelli di estrogeni della nostra mamma a renderci tutti
democraticamente femminili.
Fattori biologici: l’Y che fa la differenza.
Il primo elemento a determinare il sesso biologico di un individuo è il suo corredo cromosomico che
viene stabilito al momento del concepimento. E la diversità tra maschi e femmine è scritta in ogni cellula
del nostro organismo, non soltanto in quelle dell’apparato sessuale.
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Dal secondo mese di gravidanza…
Solo a partire dalla sesta settimana di gravidanza la comparsa dei caratteri sessuali, le gonadi, dà inizio a ciò che saremo di lì in poi: uomo oppure donna.
Diventare maschi o femmine non dipende soltanto dal “sesso genetico”, cioè
dalle «informazioni» iscritte nei cromosomi XY o XX, ma anche dall’emergere
di un “sesso gonadico”, cioè dalla comparsa, nel corso dello sviluppo
dell’embrione, di genitali di tipo maschile o di tipo femminile: questa comparsa
è indotta da un gene, chiamato SRY (sex determining region Y). Nei maschi
la presenza della Y fa sì che le gonadi si trasformino in testicoli, viceversa nelle femmine l’assenza della Y promuove la formazione delle
ovaie.
Sotto l’azione del gene SRY, i testicoli hanno il compito di produrre gli ormoni
sessuali maschili o androgeni, che sono appena diversi come formula chimica
da quelli femminili, gli estrogeni.
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Poi è una questione di ormoni.
Fino alle sette settimane di gestazione, i genitali esterni maschili e
femminili sono indistinguibili.
Da quel momento in poi e fino alla 12^ settimana prende forma il “sesso
genitale”.
Nel maschio gli androgeni, l’ormone testosterone, promuovono lo sviluppo
del pene, dello scroto e di altre parti degli organi genitali.
Nelle femmine le ovaie secernono gli ormoni femminili, estrogeni e progesterone. Gli ormoni quindi determinano la struttura degli organi genitali maschili e femminili, interni ed esterni.
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E dopo il parto?
Le differenze si faranno sentire ancora di più immediatamente dopo il parto,
quando l’improvvisa mancanza del flusso estrogenico materno porterà le bambine a una sovrapproduzione compensatoria (di estrogeni, appunto) e i bambini a una nuova vitalità di quelli maschili (testosterone), liberi per la prima volta
dall’azione inibente degli estrogeni della mamma.
Perciò succede che per i sei mesi a seguire (che sono cruciali) riconosciamo
nei neonati un comportamento biologico ormonale molto simile a
quello dell’età adulta (si pensi, ad esempio, che il ph dell’ecosistema genitale di una neonata dagli 0 ai 6 mesi ha gli stessi valori di una donna adulta!).
A sei mesi poi la produzione ormonale cessa e comincia l’infanzia, un periodo che rimanda alla leggerezza e alla spensieratezza, come se la natura dopo avere concentrato alacremente i suoi sforzi per assemblare i “mattoncini” della nostra sessualità nei 15 mesi successivi il concepimento (9+6), si prendesse infine
una lunga tregua. Attenzione, però: sarà pure una tregua, ma si tratta sempre di un periodo fondamentale.
Gli ormoni sono a riposo (pronti per l’esplosione della pubertà che verrà), al contrario i ricettori psicologici sono dinamici e attivissimi. Accanto ai fattori biologici entreranno allora in gioco fattori familiari, ambientali e sociali che accompagneranno e influenzeranno il bambino nella sua scoperta della sessualità e in lui
entro i primi tre anni di vita comincerà a prendere forma l’”identità di genere”.
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Cos’è l’identità di genere?
L’identità di genere, invece, coincide con la percezione intima e profonda, la
convinzione permanente e precoce di essere uomo o donna.
L’identità di genere quasi sempre coincide con l’appartenenza al sesso biologico, ma in una minoranza di soggetti si verifica un’identificazione con le
caratteristiche del sesso opposto: questo significa che è possibile sentirsi una
donna anche se si ha il corpo di un maschio o viceversa.
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Cos’è l’identità di genere?
“Una donna imprigionata nel corpo di un uomo” oppure “un uomo nel corpo
sbagliato di una donna”: così si definiscono i transessuali, persone che non
hanno alcuna ambiguità genitale, ma che soffrono invece di un disturbo
dell’identità per cui si sentono di sesso opposto rispetto a quello biologico.
Per questo, la persona transessuale cerca di adeguare il suo aspetto esteriore,
l’abbigliamento e il comportamento a quelli del sesso desiderato e in genere
prova attrazione sessuale verso persone del proprio sesso anatomico, anche se
vive questa attrazione come se fosse eterosessuale e non omosessuale.
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Come si sviluppa l’identità di genere?
Essa si definisce in un periodo che va dalla nascita fino ai tre anni di età, ed è il
risultato dell’interrelazione tra il bambino e i genitori (le identificazioni parentali), l’educazione ricevuta e l’ambiente socioculturale in cui il bambino si sviluppa fisicamente e psichicamente.
Ci sono due momenti molto importanti in questo percorso di sviluppo:
1) Intorno ai tre anni, quando il bambino acquisisce il linguaggio e parla
di sé al maschile o al femminile. In questa fase, se un bambino si definisce
continuamente come femmina, pur essendo maschio o viceversa, non bisogna
lasciarsi angosciare dall’idea che ci sia qualche problema nello sviluppo dell’identità di genere. Anche il fatto
che una bambina giochi con giocattoli maschili o un bambino con giochi femminili non dovrebbe preoccupare più di tanto, anche perché il maschio emula la mamma e per questo tende a giocare con la cucina o con le
bambole.
2) Intorno ai sei-sette anni, è questa la fase cruciale in cui si struttura la “costanza di genere”: i bambini
prima di questa età non hanno ben chiara l’idea temporale, per cui possono pensare di essere maschi, ma di
potere diventare successivamente femmine, o al contrario. Quando invece la costanza di genere è strutturata,
i bambini sanno che se sono maschi saranno sempre maschi e così per le femmine.
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Come si sviluppa l’identità di genere?
Una chiara presa di coscienza sulla propria identità di genere e ancor più una scelta consapevole del proprio
orientamento sessuale sarà comunque un’acquisizione tipica della fine dell’adolescenza.
Fino a quel momento, all’interno del percorso di costruzione dell’identità di genere di ciascun bambino, esistono una serie di comportamenti che i genitori tendono a considerare più o meno appropriati e pertanto incoraggiano o scoraggiano a seconda dell’identità biologica del bambino, cioè rispetto al suo essere un maschio
o una femmina. Ad esempio, certi capricci e certe moine sono generalmente considerate normali in una bambina, mentre vengono rimproverati al maschietto. Esiste cioè fin dai primissimi anni di vita un’inclinazione
dell’identità di genere da parte del contesto familiare e sociale in base all’appartenenza biologica del bambino
ad un sesso o all’altro.
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È corretto sgridare un bambino che preferisca i giochi femminili
o viceversa?
Va detto innanzitutto che l’identità di genere maschile è più complessa e rigida nel
suo formarsi; ossia le bambine nel loro sviluppo sono più libere, possono essere
femminili, ma possono anche avere atteggiamenti maschili e ciò è socialmente più
accettato; i bambini invece possono avere soltanto atteggiamenti maschili. Questo
rende la loro espressione di genere più conflittuale rispetto a quanto avviene per la
femmina. Quindi, sgridare un maschietto perché preferisce giocare con le bambole
piuttosto che con i soldatini, o criticare il bambino che esprima la curiosità per la
danza solo perché è considerata una prerogativa femminile, crea in realtà un forte
carico di aspettative circa il modo in cui sarebbe lecito o meno comportarsi, solo in virtù del proprio genere
sessuale, non facendo altro che provocare confusione e incertezza nei piccoli soggetti.
Aspettarsi da un figlio maschio un super-macho può portare al risultato opposto: quello di alimentare i
dubbi, i complessi e le fragilità di chi deve obbligatoriamente identificarsi con un modello esterno irraggiungibile, con conseguenti tematiche relative all’inadeguatezza, all’ansia performativa, alla paura
dell’esposizione, del deludere le altrui aspettative – sofferenze profonde dell’anima che si potrebbero evitare insegnando ai figli il valore assoluto di essere soprattutto se stessi.
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