Intro
Redazione
Matteo Casari
Daniele Guasco
Simone Madrau
Matteo Marsano
Giulio Olivieri
Cesare Pezzoni
Anna Positano
Collaboratori
El Pelandro
Marco Giorcelli
Carlotta Queirazza
Grafica e Impaginazione
Matteo Casari
sito internet
http://compost.disorderdrama.org
email
[email protected]
snailmail
Compost
c/o Matteo Casari
C.P.1009
16121
Genova
Pubblicazione NON periodica, amatoriale,
destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza.
Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama.
Un sincero ringraziamento al collettivo del
Laboratorio Sociale Occupato Autogestito
Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui.
Se interessati a collaborare, con parole o disegni, scrivete a [email protected]
Il prossimo numero lo troverete in giro a metà
Ottobre 2007
Arrivederci a CMPST #5 - [10.2007]
2 CMPST #4[09.2007]
Questo quarto numero di CMPST esce
in occasione della terza edizione del Rural
Indie Camp, adeguato suggello all’estate concertistica e che sarà probabilmente nel suo pieno svolgimento nell’ora in cui
leggerete queste righe – almeno per quelli
tra voi che avranno fatto la cosa giusta e
deciso di esserci. Per tutti gli altri: i “doh!” a
posteriori di matgroeninghiana memoria
sono sempre disponibili, e vero, ma una
citazione da cultura pop non salverà le
vostre anime dal rimorso e dall’abiezione
per esservi persi un evento così. Tornando seri, e con tutto il rispetto per le cover
band di cui siamo capaci, noi di CMPST
siamo tra quelli convinti che Genova (e il
suo entroterra) abbia ancora qualcosa di
autenticamente originale da dire e da far
ascoltare, qualcosa per sua natura distante dalla riproposizione preconfezionata
dei canoni e delle idee altrui. Qualcosa
che origini veramente dal cuore e dalla mente di chi gli strumenti li ha presi in
mano per vera urgenza espressiva, e non
solo per piacere ad un pubblico troppo
spesso apaticamente generalista o facile
vittima del trend del momento. Se quella
dell’editoriale CMPST #3 era una lancia
spezzata a favore della Genova delle salette e degli strumenti al collo, questa vuole essere una piccola apologia del pubblico attivo, senza paraocchi né pregiudizi di
sorta, che decide con coscienza critica di
supportare tutte quelle realtà più o meno
piccole e più o meno informali che hanno
a cuore l’humus creativo di questa città,
e che questo terreno cercano di coltivare, con amore e dedizione, in barba
all’indifferenza (e diffidenza) così diffusamente associata allo spirito dei genovesi
e dei liguri tutti. Sperando che non sia così
vero, dopo tutto. La possibilità di scelta fra
quelle che saranno le proposte musicali di
questa città in futuro, fra il grado di visibilità di quelle che avrete premiato con la
vostra partecipazione, e la sopravvivenza
o meno delle iniziative che le sostengono
passa anche per le vostre mani. Insomma,
non dimenticate che il pubblico –come il
consumatore– può fare la differenza. O
almeno provarci. Non fate i disfattisti. In
questo senso, noi “ci battiamo” anche
per evitare che che le due figure –quella dell’ascoltatore di musica e quella del
consumatore acritico- si sovrappongano
in un meccanismo perverso che sa più di
imposizione che di democrazia – strumento imperfettissimo responsabile, tra l’altro,
per queste righe. Esercitate i vostri diritti,
insomma. Anche quello di non essere
d’accordo con noi. Ma venitecelo a dire,
rompeteci le scatole, confrontatevi. I risultati potrebbero essere insospettabilmente
costruttivi, per tutti. Nessuno sfogo retorico
sarebbe completo senza una bella metafora, e l’augurio è perciò quello di una
ricca vendemmia musicale, ricordando
che è inutile imbottigliare dell’ottimo vino
se nessuno lo berrà. E con la speranza, gigiona, che le iniziative come questa inizino a “spuntare come funghi”.
Matteo Marsano
Le foto di copertina di questo numero sono
di Andrea Bosio. Quelle del numero scorso di
Anna Positano. Quelle dei primi due di Matteo
Casari
Produzioni
“La nostra storia è cominciata a Staglieno in una Saletta.
Suonavamo per divertirci; cerchiamo ancora oggi di mantenere quello spirito anche se
siamo cambiati musicalmente.“
Green Fog / Meganoidi
Intervista con Riccardo Armeni
di Cesare Pezzoni
TUT TO È CAM BIATO
Genova vista da uno dei gruppi musicali più attivi e dinamici
della nostra scena. I Meganoidi di oggi visti da una Genova diversa.
Tutto è cambiato. Siamo cambiati noi,
sono cambiati loro. è cambiata Genova
e sono cambiati i Meganoidi. Forse non è
casuale che questo mutamento sia venuto
in maniera quasi completamente sincrona,
visto che i Meganoidi sembrano avere una
capacità speciale nel tenere il polso della
situazione: ska-core quando Genova era
una delle capitali italiane del genere, oggi
qualcosa di meno definito e ghettizzante,
sicuramente meno solare e spensierato, ma
più scuro e pensato, proprio mentre Genova vede il fiorire di un sacco di gruppi altrettanto pensati e underground, pronti a uscire
dalle Mura del Barbarossa. Meganoidi, poi,
vuol dire anche GreenFog e tutti i gruppi,
per lo più genovesi, del loro catalogo. Tutti
progetti nati grossi, forse con qualche responsabilità più degli altri, o almeno con un
credito di fiducia da parte degli addetti ai
lavori italiani, che altre realtà non hanno. La
fine dell’estate, l’inizio di una nuova stagio-
ne autunnale che speriamo ricca di concerti, una riflessione su “GreenStorm”…sono
l’occasione da noi colta per fare parlare i
Meganoidi, di loro e di noi, di come siamo
tutti cambiati e di come sotto sotto non siamo poi tanto diversi.
Come è Genova vista da chi ha la fortuna
di girare per tutta l’Italia musicale?
Genova credo sia rinata agli occhi di tutti
negli ultimi anni. Noi abbiamo avuto la fortuna di fare una scommessa, di autoprodurci
e di riuscire a fare ciò che volevamo, anche
se solo 5-6 anni fa dischi se ne vendevano
molti di più a prescindere se suonavi “SUPEREROI vs MUNICIPALE” o meno. Spesso mi
capita di parlare con amici che suonano
e che sono affascinati dal movimento musicale e creativo della Città. E parlo con
persone di Torino, Milano, Bologna, centri
importanti per quanto riguarda i concerti e
tutto ciò che circonda l’ambiente musicale.
Penso che Genova stia vivendo un periodo
di rinascita e spero si possa evolvere e non
rimanere statica come in passato. E questa
responsabilità ce l’ha soprattutto chi a Genova Suona e organizza eventi.
In un dibattito organizzato da Audiocoop
e altri alla festa dell’unità dello scorso anno
– il giorno prima della prima GreenFest
– uno di voi (Mattia) ha parlato dei problemi di logistica per i locali genovesi, evidenziando come manchino spazi intermedi per
gruppi come voi, che ancora non riempiono il mazda palace ma che riempiono di 3
o 4 volte i classici locali da concerti della
scena. Ad un anno di distanza la situazione
non sembra cambiata. Quale è il problema,
come affrontarlo?
Il problema è sempre il solito mancano gli
spazi e locali che possano portare proposte
musicali anche di un certo rilievo mediatico. Mancano come dici te locali da 5001000 persone. Mi piace partecipare alle
serate organizzate da Disorder Drama al
Buridda oppure Lo stesso Milk e L’Arci che
3 CMPST #4[09.2007]
Produzioni
propongono serate Live e dj set interessanti,
di recente al New Ghost di Staglieno si stanno organizzando serate Punk e Metal. Ma
la gente che partecipa è sempre la stessa,
in crescita ma non abbastanza numerosa,
e mi dispiace molto. La Soluzione è che la
provincia, il comune e le istituzioni che si
occupano di cultura a Genova e in Liguria
investano sulla città (Le strutture non mancano “Blue Moon” di Marassi, Ex Sgt. Pepper di Via Walter Fillak sono solo 2 esempi)
stanziare fondi e budget per portare nomi
nuovi e soprattutto per fare interagire le varie realta di Club e organizzazione concerti.
Vorrei portare i Clutch a Genova dove Farli
Suonare?
Si dice spesso che la visione imprenditoriale genovese è troppo statica e statalista. Voi avete avuto il coraggio di investire su Genova, sia come studio sia come
etichetta, producendo un bel po’ di realtà
più o meno consolidate. E’ una fiducia che
paga? I Meganoidi sono ricchi?
Genova è la nostra città, siamo tutti nati
qui e sicuramente c’è un legame unico. E’
un rapporto di amore e odio forse perché
qui fai più fatica e devi sempre scommettere sulle tue azioni. Noi abbiamo investito
su etichetta e Studio perché ci abbiamo
sempre creduto anche se di certo i Meganoidi non sono diventati ricchi. Dopo più di
4 anni di sacrifici cominciamo ad essere riconosciuti anche come etichetta e Studio
di registrazione e questo non può che farci
stare bene, almeno a livello mentale…..
Pensate di entrare anche nel settore concerti-serate?
Abbiamo per il secondo anno organizzato il nostro Festival, quest’anno chiamato
GreenStorm all’interno della 2 Giorni di Festival al Parco della Lanterna. Saltuariamente
abbiamo organizzato concerti in collaborazione col Milk. Non abbiamo una visione
imprenditoriale sull’organizzazione di concerti o serate, semplicemente ci piace farlo
e se ci fosse affidata la direzione artistica di
un locale saremmo ben felici.
Vedendo le vostre diverse attività nel settore si deduce come i Meganoidi ormai
siano una fabbrica con sforzi e impieghi
differenti rispetto a un semplice gruppo che
si occupa delle sue cose. Quanto tempo vi
porta via alla vita di “artista puro” che tutti
sognano quando scrivono canzoni? Lavorate più spesso per GreenFog o per voi stessi?
I vari lavori che svolgiamo per studio ed
etichetta sono parte fondamentali della
nostra giornata. Io personalmente sono un
po’allergico alla definizione di “Artista Puro”.
4 CMPST #4[09.2007]
“Genova credo sia rinata agli
occhi di tutti negli ultimi anni.
Ma la gente che partecipa
è sempre la stessa, in crescita ma non abbastanza numerosa, e mi dispiace molto.“
Credo che avere più interessi e impegni tolga del tempo fisico alla pura composizione
o scrittura della musica, ma nel nostro caso
in particolare, poter produrre dischi, registrare album nel nostro studio e entrare in
contatto con chi si occupa di concerti ed
iniziative culturali sia un grandissimo stimolo
anche per quando imbracci il basso e devi
suonare.. Con studio ed etichetta abbiamo
trovato una dimensione congeniale che Ci
permette di fare esperienza su moltissimi
aspetti.
Questa di essere insieme produttori, fonici e musicisti è una scelta etica o una necessità economica?
Non posso certo dire che sono tranquillo
a livello economico...La scelta di investire
sullo Studio e sull’etichetta è stata necessaria inizialmente per sviluppare al meglio
la nostra crescita da gruppo indipendente.
Poter decidere su tutto è una grande soddisfazione ma è un impegno enorme a volte
quasi frustrante per le grandi responsabilità
che ti prendi…inizialmente Sia etichetta che
studio funzionavano come prolungamento
della Band. GreenFog marchiava i nostri
dischi che venivano registrati nel nostro studio. Tutto è andato avanti ed è cresciuto
per passi sacrificandoci quando lo studio
necessitava di aggiornamenti o bisognava
comprare il furgone. Ora sia studio che etichetta riescono ad avere una loro autono-
Produzioni
“Con il successo del primo disco
sono arrivate anche moltissime
proposte valide anche da parte di Major. Potevamo scegliere e in quel momento abbiamo
scommesso su un secondo Disco diverso e forse più difficile.“
mia e una loro natura pur rimanendo gestiti
dalle solite persone (NOI).
Vi siete sempre vantati, anche nel momento del grande successo mainstream
di “supereroi”, di essere stati indipendenti.
Cos’è per voi l’indipendenza? Una scelta
etica o una scelta pratica? Quanto dell’uno
e quanto dell’altro?
Entrambe. Per i nostri tempi essere indipendenti è fondamentale. All’epoca del
primo disco spesso dovevamo spiegare a
giornalisti molto poco informati che non
eravamo il prodotto di nessuna Major. Lo
abbiamo sempre sottolineato perché in
fin dei conti le carte giocate erano solo le
nostre. Poi qualcosa è cambiato, con il successo del primo disco sono arrivate anche
moltissime proposte valide anche da parte
di Major. Potevamo scegliere e in quel momento abbiamo scommesso su un secondo disco diverso e forse più difficile. Grazie
alle vendite abbiamo potuto reinvestire
subito sullo studio e sull’etichetta. Non volevamo spendere neanche un euro altrove. Era l’unica occasione per costruirci un
nostro “Quartier Generale” dove poter crescere e sperimentare i nostri interessi. E così
abbiamo deciso di rimanere indipendenti
fondare la GreenFog records e mettere in
piedi il GreenFog Studio affidandoci esternamente solo per la distribuzione a VENUS.
Un EP (A.T.W.M.I) e un altro disco (Granvanoeli) hanno consolidato ancor di più le
nostre scelte.
Abbiamo avuto (noi cartavetro) la fortuna di trovarci per caso a suonare prima di
voi in un concerto a Pisa, pensato come (e
di conseguenza chiamato) “una due giorni
di sapere liberato”. Si parlava in sostanza di
libera diffusione della cultura e del sapere,
al dilà dei vincoli del copyright. Pur essendo
i vostri pezzi tutelati con licenze tradizionali,
siete sembrati molto in sintonia con il pubblico dell’evento per quanto riguarda le politiche del diritto d’autore. Avete mai pensato a licenziare i vostri dischi sotto Creative
Commons o altre licenze copyleft?
Non Sono abbastanza informato su questo. Siamo per la Liberazione della musica.
Comunque. L’errore che spesso si fa è di usare però la tecnologia in maniera aggressiva
distruggendo di fatto la vendita di dischi. Ci
si è troppo abituati a considerare la musica
sotto forma di file mp3-. Non c’è più la curiosità di aprire un disco, sfogliarlo leggere
i testi e osservare il lavoro grafico, leggere
da chi è stato prodotto e in quali studi, entrare un po’più intimamente dentro la storia
di un disco. E questo è triste. Vorrei avere
più dischi perché non sono mai riuscito ad
abituarmi alla Masterizzazione o tanto più
al Downloadaggio da Internet. Comprarli
originali spesso è dispendioso. E’ importante la libera diffusione della Cultura e del Sapere e per questo bisognerebbe dar valore
al prodotto originale, sostenendolo. Noi nel
nostro piccolo cerchiamo rispetto agli investimenti fatti di tenere un prezzo politico dei
dischi e di diffondere un idea di etichetta
libera da schemi o genere.
Meganoidi - foto di Anna Positano
Quando 2 anni fa ho sentito aprire il vostro concerto a Play festival con un muro
molto scuro di chitarre e sintetizzatori mi
sono reso conto di quanto avrei preso per
folle una persona che me lo avesse raccontato 2 anni prima. Tutto è cambiato, per
quanto mi riguarda molto in meglio. Eviterò
di chiedervi quanto vi pesa il vostro passato nei concerti in giro per l’Italia e piuttosto
mi chiedo: come è maturata la decisione?
Quando avete capito che lo ska era una
5 CMPST #4[09.2007]
Produzioni
dimensione per voi limitativa? E come è avvenuto il passaggio?
E’ tutto avvenuto in maniera abbastanza spontanea anche se repentina. Pensare
al passato non ci crea nessun problema, i
Meganoidi hanno continuato a suonare in
giro per l’Italia, come prima. Non nascondo
che le prime date del tour di ATWMI sono
state particolarmente emozionanti e tese.
Ricordo che le prime date di quel tour Suonavamo tutto l’EP consecutivamente, non
era facile far arrivare così improvvisamente una musica tanto diversa dai pezzi che
ci avevano resi conosciuti. Ma grazie alla
credibilità che credo esca soprattutto sul
palco siamo riusciti a comunicare la nostra
sincera voglia di suonare ed emozionarci,
nulla di più, niente di meno.
Torniamo su Genova. Si dice spesso che
sia una città difficile dove cose che funzionano molto bene a 50 km da qui, faticano
non poco. L’impressione tutto sommato si è
registrata anche in occasione dell’ultima
GreenStorm, e si ripete spesso nei festival
cittadini. Come mai siamo così difficili? È
una questione culturale? Manca informazione? Come fanno nelle altre città? E cosa
fanno tutti i corrispondenti genovesi di quelle persone che riempiono i concerti nel resto d’Italia?
Il problema secondo me è che tutta la
programmazione culturale viene sempre
lasciata nelle stesse mani e che soprattutto mancano le sinergie necessarie per far
funzionare gli eventi. Io credo piuttosto che
al GreenStorm di quest’estate si sia creata
l’atmosfera e la situazione giusta per poter
affermare che il Festival Rock può ancora
funzionare. 1500 paganti il 27 luglio a Ge6 CMPST #4[09.2007]
Riccardo Armeni - foto di Anna Positano
nova credo sia un successo. Ma penso positivamente, quest’estate ci sono stati altri
Festival Cittadini da ricordare come il Santo
Rock e il Festival delle Periferie che sicuramente cresceranno e contribuiranno ad un
positivo cambiamento di tendenza.
GreenFog
produce
sostanzialmente
gruppi genovesi. E’ una cosa pianificata o
c’è una componente casuale? E’ una visione programmatica?
Le prime nostre produzioni sono Tutte provenienti da Genova. i We Were On Off è il
primo progetto extra Genovese (di Venezia)
che uscirà per GreenFog. Vivendo a stretto
contatto con chi suona a genova è stato
naturale voler Produrre progetti che conoscevamo bene. In programma abbiamo
l’uscita del prossimo disco dei We Were On
Off e il terzo disco degli Enroco e Numero6
oltre al quarto Meganoidi che si sta preparando. Non ci pianifichiamo troppe produzioni. Cerchiamo di limitarne il numero per
avere la possibilità di lavorarci al meglio.
Per le vostre collaborazioni nelle compilation e nei diversi festival, si direbbe che i
Meganoidi hanno un ottimo rapporto con
l’Arci locale. Ora il nuovo assessore alla cul-
Poduzioni
to in una città dove spesso anche gli Eventi
di Livello finiscono col divertire poco e creare mugugno. Non ci precludiamo collaborazioni anche con altre realtà genovesi.
Insomma per noi è soprattutto importante
poter mettere in piedi idee con chi ci dà la
possibilità di farlo. L’assessore della cultura
proviene dall’Arci; negli ultimi anni l’Arci ha
sviluppato moltissimi progetti a Genova e si
è ritagliata sicuramente uno spazio importante e privilegiato per organizzare eventi
di un certo rilievo. Credo sia un opportunità da non sottovalutare per l’assessorato
stesso capire però che la forza di una città come Genova, piccola e mentalmente
poco ricettiva, sta nella complicità tra le
varie realtà autonome o Arci che siano.
Manca un canale indipendente e libero riconosciuto a livello istituzionale che faccia
conoscere meglio ciò che avviene in città.
Mattia Cominotto - foto di Anna Positano
tura proviene proprio dall’Arci. E’ un bene
per Genova? Un’opportunità? O piuttosto
un rischio vista l’importanza già sostanziale che ha l’Arci nella programmazione di
eventi della nostra città?
La compilation Milk In My Cup è uscita
in collaborazione Con Arci, Milk Club, Disorder Drama, Marsiglia Records. Abbiamo
collaborato con l’Arci per il nostro Festival
(GreenStorm 27 luglio) della Lanterna di
quest’estate. Abbiamo avuto la possibilità
di mettere su un Festival nuovo e ben riusci-
Se la vostra è l’epopea di ragazzi che
hanno saputo come coltivare e mettere a
frutto la loro passione, magari avete qualche consiglio da dare a chi si mette a suonare oggi…lo avete?
E’ difficile dare consigli, credo che ognuno debba scrivere la propria storia a modo
proprio. Credo che la passione ti guidi più
di ogni cosa verso la strada giusta, ma non
sto parlando necessariamente del successo in senso assoluto. Non è un periodo
felice per chi suona e chi produce o crea
le proprie idee. Tanto più non vale la pena
farsi troppi pensieri per la testa o frustrarsi
per seguire certi modelli propinati da MTV
e simili. La nostra storia è cominciata a Staglieno in una saletta. Suonavamo per divertirci; cerchiamo ancora oggi di mantenere
quello spirito anche se siamo cambiati mu-
sicalmente. Penso che sia giusto suonare
soprattutto per se stessi poi viene il resto. E
questo non è un atto di egoismo ma di sincera passione.
Pensate che la vostra storia sia legata a
un periodo molto diverso da questo o è ancora una storia ripetibile?
Non saprei ma sicuramente in 6 anni è
cambiato tutto e non solo per noi…
Pur essendo l’etichetta nata più di recente tra le varie genovesi, GreenFog dà
l’impressione di essere su un livello tutto diverso, impressione rafforzata dalla diversa
esperienza di voi, ossia delle persone che
ci stanno dietro. Questo comporta delle
responsabilità per chi da voi si aspetta più
qualità e cose più in grande. E’ un’impressione o volete davvero fare le cose più in
grande rispetto a una “indie” comune?
GreenFog è una piccola etichetta indipendente che cerca di produrre dischi di
qualità. Penso sia lo scopo di moltissime altre etichette poter far al meglio ciò in cui si
crede. La nostra esperienza come persone
e gruppo è tutta qui: uno studio di registrazione professionale che ci dà la possibilità
di produrre autonomamente i master e un
ufficio stampa e booking gestito da noi
stessi. Oltre a questo mettiamo a disposizione la nostra esperienza di gruppo che sicuramente ci aiuta.
Più
info
sulle
attività dei Meganoidi
su
ht t p ://w w w. m e g a n o i d i.co m
http://www.greenfogrecords.com
7 CMPST #4[09.2007]
Produzioni
“Quando un giudizio è viziato alla base e diventa pregiudizio, meglio non curarsene.“
Port-Royal
Intervista con Attilio Bruzzone
di Simone Madrau
P O S T- DANC E
Il nome Port-Royal, dopo la pubblicazione dell’ultimo ‘Afraid To Dance’, si riconferma uno dei più importanti usciti dalla scena genovese: tra tour europei, opening-act di lusso e una valanga di uscite
per la prossima stagione i ragazzi sembrano sempre più quotati all’interno di quel filone che muove dall’ambient per incrociare elettronica, shoegaze e scuola Morr. Così non è certo un problema
misurarsi con il sottoscritto in un confronto dai toni morbidi su Genova; in cui sono finalmente gli interessati a smentire o confermare
le voci rimbalzatesi di recente in quella città che diede loro i natali.
Iniziamo facendo un po’ il punto
su ciò che sono Port- Royal nel 20 07.
Inevitabile quindi partire da ‘Afraid To
Dance’. Di cosa ne pensi il sottoscritto,
già sapete: ci siamo sentiti su MySpace e pure su eMpT V ho tessuto lodi in
più occasioni, difendendovi per giunta nei commenti. Per quanto riguarda
i pareri esterni, secondo molti il nuovo album suona come una cosa meno
‘coraggiosa’ o ‘personale’ rispetto
a ‘Flares’, altri invece apprezzano il
fatto che si corregga il tiro rispetto a
quest’ultimo riducendo il minutaggio complessivo a un’ora e rendendo
l’ascolto più fruibile. Cosa ne pensano
i Port- Royal col senno di poi? A diversi
8 CMPST #4[09.2007]
mesi di distanza siete convinti del prodotto finale?
Prima di tut to grazie per il tuo sup por to che ci fa più che piacere. I pa reri esterni vanno sempre presi con le
pinze. Al di là di questo ti possiamo
dire che ‘Afraid To Dance’ ha comunque ricevuto approvazioni pressoché
ovunque e anzi è stato giudicato ben
più personale di ‘Flares ’, in quanto - a
det ta dei vari recensori ma anche dei
vari utenti di blog, chat e quant’altro
- risulta un album in cui i Port-Royal
hanno preso la loro strada creando
uno stile tut to loro. Come sempre la
verità sta nel mez zo, ma a grandi linee
concordiamo con questo giudizio. Poi
ov viamente è naturale che il postrocker radicale possa risultare deluso
da ‘Afraid To Dance’ dopo un disco
come ‘Flares ’ (che per noi comunque
non può essere semplicisticamen te incasellato nella categoria postrock) , ma alle nostre orecchie questa
gente un po’ fanatica lascia il tempo
che trova... Abbiamo let to proprio sul
tuo blog un commento ‘geniale’ di
una ragaz za che invece di of fenderci (come probablimente pensava) ci
ha fat to gran piacere, sul serio ! Ma
da l ì si vede bene l’aper tura mentale
e musicale di cer ta gente che è me glio perdere che trovare... Quando un
giudizio è viziato alla base e diventa
pregiudizio, meglio non curarsene. In
definitiva, i Port-Royal sono sempre gli
stessi e più motivati che mai ad andare avanti. Infat ti stiamo già da tempo
lavorando al ter zo disco.
Caspita, già al lavoro?! Allora urge
chiedere anticipazioni. Altro cambiamento di rotta rispetto ad ‘Afraid To
Dance’ o un lavoro più su questa falsariga, quale che sia?
E’ ancora impossibile rispondere per
adesso. Abbiamo but tato giù quasi
tut ti i pez zi, ma gli arrangiamenti sono
ancora da fare, quindi non si sa anco -
Produzioni
Attilio Bruzzone - foto di Anna Positano
ra. Sicuramente la vena dance/estra niante verrà por tata avanti, essendo
nel nostro dna (in realtà già in ‘Kraken’
e ‘Flares ’ si potevano notare cer ti pro dromi dance) ... Ma naturalmente ci
sarà grande spazio per l’ambient e
forse, per la gioia degli aficionados
di ‘Flares ’, potrebbe addirit tura com parire una nuova trilogia... Per ora è
tut to !
Allora spostiamo le lancette dal
prossimo futuro al passato prossimo :
prima di ‘Afraid To Dance’ è uscito anche un EP, un po’ in sordina, e non per
la Resonant bensì per la Chat Blanc.
Essendo la label in questione canadese, sorge spontaneo chiedervi come
siete entrati in contatto : banalmente
su MySpace? E se sì, chi si è interessato a chi : voi o loro?
Il ragaz zo che gestisce la Chat Blanc
è il musicista Pascal Asselin aka Millimetrik (proget to solista) nonchè
bat terista dei Below The Sea. Siamo
diventati buoni amici grazie ad un
comune amico, Jon At t wood aka
Yellow6. Già prima ci conoscevamo
come ‘ar tisti’ e ciascuno apprez zava
il lavoro dell’altro, tanto che ci siamo
remixati delle canzoni a vicenda (lui
la nostra ‘Zobione Pt.2 ’ e noi la sua
‘Les Protagonistes Du Rien’) e ora ab biamo appena finito una canzone a 4
mani. Così l’anno scorso Pascal ci ha
det to che intendeva pubblicare un EP
per Chat Blanc e noi, ben felici, ab biamo accet tato. In autunno uscirà
una compilation dell’etichet ta dove
ci sarà anche un nostro pez zo inedito
(un remix di ‘Deca- Dance’ dell’ot timo
musicista anglo - svedese The Heavenly
Music Corporation) e infine a gennaio
pubblicheremo un altro EP per la Chat
Blanc : l’ ‘Anya: Sehnsucht EP ’. Questa
etichet ta è dav vero fantastica. Tut to
gestito con reale e profondo amo re per la musica. Hanno anche una
grafica che realiz za ogni coper tina
a mano; per questo motivo ogni loro
uscita è rigorosamente limited edition.
Le tipiche chicche per collezionisti.
Il quadro generale per voi mi sembra
tanto roseo in termini di gratificazioni
quanto incerto per quanto riguarda la
line-up. Da cinque membri che eravate, ora vi ritrovate in tre. Anche questo aspetto ha colpito molte persone
in città conducendo anche ad alcune
critiche per quanto riguarda l’impatto
dal vivo, considerato inferiore al passato sia in termini tecnici che di coinvolgimento emotivo. Forse è un pregiudizio post - effetto sorpresa, forse
è venuta meno la tendenza di considerare Por t - Royal come un’importante band cittadina a fronte del vostro
essere ‘usciti’ da Genova ; ma forse (e
dico ‘forse’ perché non ho avuto modo
di constatare di persona) un fondo di
verità in queste critiche c’è. Che ne
dite? Soffrite questa riduzione di organico sul palco e cercate comunque
di fare del vostro meglio o vi sentite
invece più a vostro agio nella vostra
formazione attuale?
Anche qui si parla più di leggende e
di supposizioni che di fat ti, e stupisce
par ticolarmente che ciò av venga nel la nostra cit tà natale. O meglio, forse
non stupisce poi così tanto... In realtà
siamo sempre in quat tro (At tilio, Et to re: i fondatori, Emilio e Giulio) . Solo il
bat terista, Michele, è andato via, pur
continuando a collaborare con noi
anche se non come membro uf ficiale
(siamo in ot timi rappor ti, l’unico fat to
è che noi non usiamo bat teria vera, da
sempre in registrazione e ormai da due
anni dal vivo) . Noi accet tiamo tut te le
critiche purché siano fat te con spirito
costrut tivo e cognizione di causa. ma
9 CMPST #4[09.2007]
Produzioni
“Addirittura
c’è
già
qualcuno all’estero che scrive
che i Port-Royal sono il primo
gruppo
post- dance ! “
non possiamo accet tare critiche pre giudiziali rivolte alla cieca. Ad esem pio, quanti tra coloro che parlano a
Genova hanno visto il tour di ‘Afraid To
Dance’ che stiamo por tando in giro in
Europa e in Italia ma non ancora nella
nostra cit tà (anche ‘Il Secolo XIX’ ha
dedicato in merito un grosso ar ticolo)?
Anzi abbiamo pure un nuovo membro,
il cineasta Sieva Diamantakos che fa
i visuals per i nostri concer ti e si esibi sce sempre con noi in pianta stabile
dall’inizio del tour di ‘Afraid To Dance’ (già più di 30 date) . Naturalmente
un concer to elet tronico è più freddo
di uno rock tout cour t. Naturalmente vedere un concer to ‘tradizionale’
può dare più ‘soddisfazione’ in termini
emotivi (ma assolutamente non tecni ci – anzi da questo punto di vista l’ese cuzione e la qualità sono net tamente
superiori a quelle di un qualsiasi concer to ‘rock’!) . Lo capiamo benissimo,
anche se personalmente non sopportiamo più di 5 minuti dal vivo di qual siasi gruppo stret tamente post- rock !
Ma questi sono gusti ed ognuno ha i
suoi ed è giusto che sia così. Solo che
parlare di cose che non si conoscono
più di tanto e giudicare non ci pia ce poi molto. In ogni caso noi siamo
molto contenti di questo set (laptop,
synths, visuals) in cui presentiamo nuo ve versioni dei pez zi di ‘Flares ’, ‘Afraid
To Dance’ e degli inediti, accompa 10 CMPST #4[09.2007]
gnate dagli splendidi visuals di Sieva.
Naturalmente ci sarà chi rimpiange i
Port-Royal più ‘rocket tari’ (!) , ok. Ma
dal momento che continuano a chia marci un po’ dapper tut to, pensiamo
che in fondo questo tour stia anche
ot tenendo un buon successo. Anche i
ragaz zi di DNA (che ormai sono la no stra agenzia qui in Italia) preferiscono
questo set ‘ridot to’ (At tilio, Sieva, in
italia Et tore e all’estero Alexandr Va tagin, un musicista austriaco nostro
amico - quindi non più di 3 persone)
a, diciamo, una band sul palco. E poi,
per concludere, almeno in una prima
fase questa è stata una scelta logistica obbligata : col gruppo non pote vamo contenere le spese di furgone e
varie per spostarci, mentre così si va
dovunque comodamente. Ma questo
è comunque il motivo minore.
A proposito di gratificazioni e a proposito di date dal vivo, un altro evento
direi importante è stato il tour italiano dei Blonde Redhead. Un po’ mi
ha fatto strano, se devo essere sincero, sapervi di spalla a un gruppo così
diverso da voi : se non sul piano dell’attitudine, certamente sul piano dei
suoni.. D’altro canto mi ha pure fatto
piacere apprendere che la richiesta è
partita dagli stessi Blonde Redhead e
non da voi. Come vi hanno scoperto?
E come è andata? Aneddoti?
E’ stata una bella esperienza, ma
dav vero stressante. Nonostante ciò
siamo felici di averlo fat to: ci ha permesso di suonare in posti bellissimi e di
fronte a tantissima gente ! Ed è anche
andata bene. Specialmente a Roma,
a Villa Ada, è stato fantastico... E’ successo che il loro tour manager ha fatto ascoltare i nostri album e loro li han no molto apprez zati. Così, complice il
fat to che preferivano avere di spalla
un gruppo elet tronico con poca roba
sul palco visto che già loro ne hanno
moltissima, ci hanno contat tato e noi
abbiamo accet tato al volo. Siamo
stati anche felici di conoscerli e vivere
dall’interno cer te realtà e dinamiche
(sia positive che negative) normal mente un po’ lontane da noi. Per i po chi aneddoti, meglio parlarne privata mente che in veste uf ficiale ora !
Ok, mi terrò tutto per me. Ai lettori
più curiosi ricordo che comunque tutti
abbiamo un prezzo, me compreso. A
parte questo, mi viene da farvi una tipica domanda che si fa ai gruppi pop
che suonano in tutto il mondo e che
però si può tranquillamente girare anche a voi, tanto più che ne venite da
un serie di date fuori dall’Italia : come
reagisce il pubblico europeo di fronte
ai Por t - Royal? C’è affluenza, curiosità? Quali sono le performances che ricordate più volentieri di questo tour?
In Europa possiamo dire di avere
avuto un’ot tima accoglienza. Alla pri ma del tour di ‘Afraid To Dance’ a Pa rigi c’erano 60 0 persone e il locale era
strapieno. Abbiamo venduto moltissimi dischi e tut ti hanno seguito il con cer to con grande interesse e calore.
La Francia è sicuramente una nazione
che ci ama. Altro posto fantastico è
stato la Polonia. La gente conosceva
Produzioni
Emilio Pozzolini - foto di Anna Positano
tut te le nuove canzoni e quelle su MySpace e applaudiva appena iniazia vamo pez zi come ‘Anya: Sehnsucht ’,
‘Putin Vs Valery ’, ‘Deca- Dance’ e ‘Zobione Pt. 2 ’... Questo ci è sembrato
incredibile, perché ricorda dav vero
il genere di accoglienza riser vato ai
gruppi pop ! A Vienna (in cui abbiamo
già suonato due volte in quat tro mesi)
ci siamo di nuovo trovati benissimo,
ma anche a Roma e a Modena, città dove sembra che la gente ci ami
par ticolarmente. Così come anche ad
Atene ed in Slovenia. Il Belgio è stato
molto bello, ma diciamo meno caldo
degli altri posti sopracitati. Ora ci pre pariamo per l’autunno ad andare in
Russia e Ucraina (se tut to va bene con
i documenti) e di nuovo in Francia, Po lonia e Italia. E presto, se gli impegni lo
permet tono, potrebbe arrivare un tour
in Gran Bretagna.
Ancora parlando di date, devo toccare un tasto dolente. Che tocco non
perché imbeccato, sia chiaro, né per
il gusto di provocare ma per sincera
curiosità di uno (uno, ma spero di non
essere solo io) che cerca di comprendere i rapporti che intercorrono tra
gruppi genovesi (soprattutto quelli più
esposti) e quanti (non sono pochi) si
sbattono per dare esposizione a questi
ultimi. Vengo al dunque: nell’intervista
che anche tu citavi, quella sul ‘Secolo
XIX’, avete dichiarato che il motivo per
cui non suonate a Genova è che nessuno vi fa suonare. Anche qui azzardo
ipotesi. Forse per esigenze di spazio
il ‘Secolo’ vi ha tagliato, sintetizzando e semplificando la vostra risposta.
Forse il vostro non era un puntare l’indice verso chi vi sostiene da sempre
ma – visto anche il contesto diciamo
‘importante’ di un quotidiano – verso
chi avrebbe possibilità economiche
per fare ma non fa. Sta di fatto che,
a quanto ne so, qualche proposta vi
era arrivata e riguardava la possibilità di tentare la strada del teatro come
location per promuovere a Genova
il vostro tour e il vostro nuovo disco.
Molto Sigur Ròs, ma anche molto PortRoyal secondo me. Eppure niente. Che
è successo?
Non preoccupar ti ! Sappiamo bene
che tu non sei un provocatore ! [ sic,
NdSimo]. E hai det to molto bene, purtroppo ‘Il Secolo XIX’ ha tagliato mol to per esigenze editoriali e la risposta
così come è stata pubblicata non rendeva completamente giustizia né a
noi né appunto alle persone che qui
a Genova ci sostengono. Infat ti siamo
rimasti un po’ delusi dalla forma definitiva di quella risposta, anche se l’es 11 CMPST #4[09.2007]
Produzioni
senza di quest’ultima rimane vera pur
nella sua forma... Vediamo di chiarire il punto. Ef fet tivamente a Genova
non abbiamo ricevuto proposte CON CRETE per suonare negli ultimi mesi,
a par te qualche eccezione lo scorso
anno e una data all’ultimo Play Festival che pur troppo non abbiamo potuto accet tare perché già impegnati da
prima con un altro festival a Catania.
Questa, ci spiace dirlo, è la verità. La
cosiddet ta ‘proposta’ del concer to in
teatro (cosa che ci avrebbe fat to pia cerissimo !) era solo una voce più che
una vera e propria proposta (fu Emilio
a presentarcela, appunto, come una
voce di corridoio) , tant’è vero che
infat ti il tut to si è risolto in una bolla
di sapone. Anzi abbiamo cercato noi
alcuni locali ad aprile anche perché
volevamo far suonare a Genova i Tupolev (il gruppo austriaco con cui sia mo stati in tour in Austria, Slovenia e
Italia) : ricerca fallita… Ora si parla di
un’altra proposta al Por to Antico. Noi
ov viamente saremmo felici di suonare
ancora a Genova, che nel bene e nel
male è pur sempre la nostra cit tà na tale (anche se alcuni di noi ora stanno
fuori) ; ma qualora ciò non fosse pos sibile, non ci roderebbe di cer to il fe gato.
Per quanto riguarda la scena al di
fuori dei Port- Royal, tocca chiedere
anche a voi come la vediate. Rispetto
a quando siete usciti, alcuni nomi hanno abbandonato, altri hanno cambiato nome, altri nuovi hanno fatto capolino. Mi sembra che i rapporti con gli
12 CMPST #4[09.2007]
altri gruppi non siano malvagi, penso
in particolare a Japanese Gum e al
loro remix di ‘Paul Leni ’. Come vedete
questa città in prospettiva? Siete pessimisti o credete che ci sia possibilità
di affermare Genova come città e non
solo come quei pochi, singoli gruppi
che ce la fanno?
Infat ti : nessun cat tivo rappor to, ci
mancherebbe altro ! Onestamente
non abbiamo mai vissuto veramente
la scena genovese pur conoscendo
più o meno tut ti. E ciò non per snobi smo come forse qualche benpensan te potrebbe sostenere. At tilio è in Germania spesso per motivi di studio (ora
è l ì in pianta stabile da più di 6 mesi,
ma anche prima ci andava spesso per
periodi più brevi) , Sieva vive a Berli no, Giulio andrà in Erasmus a Parigi...
Apprez ziamo i Japanese Gum che
sono prima di tut to amici (At tilio ha
anche suonato con loro in 2 o 3 con cer ti che fecero lo scorso autunno)
e poi dav vero un bel proget to. Sicu ramente in questa cit tà ci sono delle
altre valide proposte (gli En Roco che
ci piacciono molto, i sempre più lan ciati Ex- Otago, proposta originale e
simpatica, i validi Hermitage...) , ma
ci sembra che non ci sia poi una vera
scena nel senso di ‘collante che uni sca tut ti’. Onestamente pare proprio
che si parli di qualcosa che non esi ste poi in realtà, almeno nei termini in
cui viene presentata la ‘scena’ geno vese. Sappiamo che ci sono persone
che ci ignorano volutamente perché
diciamo di non sentirci appunto par te
di questa ‘scena’, ma ciò francamen -
te non ci tocca minimamente e poi è
frut to di un malinteso e/o di invidia.
La cit tà ha comunque ot time potenzialità che potrebbero essere espresse
meglio se si riuscisse ad andare oltre
cer te logiche.
Un mio amico di Milano, estimatore
vostro quanto dell’intero catalogo Re sonant, ha comprato online il vostro
nuovo album prima di me. E’ rimasto
piuttosto sorpreso (e divertito) di trovare il primo piano di un Power Ranger
nell’artwork interno. Una cosa in effetti
difficilmente prevedibile ripensando
alla copertina di ‘Flares ’ e in generale
al vostro suono tutt’altro che giocoso : ma il sottoscritto è più puntiglioso
dell’amico in questione e spulciando i
credits del cd ha appreso che l’intero
artwork è parte di un progetto chiamato ‘The Distance To The Sun’. Di che
si tratta?
‘The Distance To The Sun’ è un pro get to dell’ar tista romano Andrea
Dojmi. Oltre all’ar t work di ‘Afraid To
Dance’ con Andrea abbiamo già pre sentato in alcuni impor tanti festival in
Italia e in Grecia il proget to comune
‘Education And Protection Of Our Children # 2 ”. Questo ar t work è, diciamo,
un passo successivo nella collabora zione tra noi e questo valido ar tista. In
quanto al significato preciso del lavo ro, dovresti chiedere diret tamente a
Dojmi. Possiamo però dir ti che riflet te
bene le sue tematiche por tanti di no stalgia e sguardo rivolto all’infanzia
come luogo di esperienze fondamen tali.
Produzioni
Abbiamo fatto un bel po’ di chiacchiere, ed è inevitabile ora chiedervi
qualche indiscrezione su ciò che sarà
prossimamente dei Por t - Royal. Abbiamo già detto del nuovo album, che
però presumo richiederà ancora qualche tempo. Nel frattempo? Vacanze?
Altre date?
Le nostre vacanze hanno coinciso
con il tour, a par te qualche piccola
parentesi per alcuni di noi (ad esempio
At tilio in Slovacchia dalla sua ragazza) . Il prossimo futuro vedrà l’intensifi carsi dei live in autunno (Russia, Ucrai na, Francia, Polonia e Italia) e delle
registrazioni del suddet to ter zo album
che stanno procedendo bene. Poi ci
sarà l’uscita di alcuni nostri pez zi in al cune prestigiose compilations come
quella della Darla (storica etichet ta
americana) , quella della 9.12 Records (con Boards Of Canada, Jatun e il
nostro amico Dedo fra gli altri) , quella
dell’Elettronik Festival di Rennes (con
Apparat, Murcof...) , l’uscita del nostro
album di remix dei pez zi di ‘Flares ’ in
edizione limitata sempre per Resonant
e, come ti dicevamo, dell’’Anya: Sehnsucht EP ’ per Chat Blanc.
Tre piccole curiosità per chiudere.
Qual è il vostro gruppo preferito nel
roster della Resonant?
Qual è il gruppo genovese che più di
ogni altro vorreste portarvi in giro per
l’Europa?
Qual è il gruppo, in Italia o nel mondo, a cui vorreste fare da supporter?
Nel catalogo Resonant ci piaccio -
Port-Royal Live a Villa Croce - foto di Anna Positano
no par ticolarmente Dialect (che però
ha pubblicato sino ad ora solo un ep)
e Stafraenn Hakon (pur facendo un
genere piut tosto diverso dal nostro) .
Genovesi di spalla ai nostri concer ti :
riciteremmo i Japanese Gum, anche
perchè sono quelli maggiormente af fi ni alla nostra musica. Quanto ai grup pi da suppor tare: più che fare da sup por ter ci farebbe piacere suonare con
gruppi più o meno del nostro livello (di
fama intendo !) come Ulrich Schnauss
(con cui suonammo già l’anno scorso
insieme in Francia al La Route Du Rock)
e altri nostri amici su MySpace. Ma se
proprio dobbiamo suppor tare allora
vorremmo suonare con le Tatu, Nelly
Fur tado e Rihanna !
Più
info
sulle
attività dei Port-Royal
su
http://www.myspace.com/uptheroyals
13 CMPST #4[09.2007]
Fanzine
“Credo di essere la dimostrazione vivente del fatto che se si crede in qualcosa, realizzarlo non è impossibile.“
Genovatune / Ceanne Mc Kee
Intervista con Chiara Ragnini
di Matteo Casari
METTIAMOCI IN GIOCO
Darsi una mano invece che accoltellarsi alle spalle. Che bella idea.
Incredibile come, invece, una sì tale brillante pensata non ci baleni in
mente come imperativa necessità. Per fortuna ogni tanto a qualcuno
viene in mente che, forse, investire delle energie in progetti di utilità comune può essere cosa buona e giusta, e fonte di promozione e salvezza.
Chiara è una di quelle persone che, parallelamente ad un personale
percorso musicale, hanno intrapreso l’impervia via di costituire un organismo attivo e propositivo. Il risultato è un portale, Genovatune che informa su tutti gli eventi in città e regione che hanno per tema principale la
musica. Senza guardare in faccia a nessuno il sito veleggia oltre vette di
visite inimmaginabili, tanto che è impossibile ormai pensare di parlare
della città senza prima avervi fatto un giro. E non dimenticatevi il forum!
Iniziamo subito con un po’ di biografia.
quanti anni tu abbia non si può chiedere, ma
quante cose hai combinato si. Parlaci un po’
del tuo percorso di musicista. Hai fatto tutta
la trafila di insegnanti tra i più quotati in città
e, al tempo stesso, ti sei trovata a confrontarti
con il sostrato underground guidato da atteggiamenti opposti di intransigenza musicale.
Un piccolo bilancio?
Dai, sarò clemente e vi svelerò anche l’età!
Classe 1983, fate due conti et voilà :-) Se dovessi fare un bilancio di Chiara come musicista, potrei soltanto dire che non mi sento
assolutamente arrivata da nessuna parte.
Ho avuto esperienze con il mondo della discografia - poche e non del tutto buone - e
ciò, dopo quasi tre anni, mi ha spinto ad ab14 CMPST #4[09.2007]
bandonare quella strada per tornare indietro
sui miei passi: ho sentito l’immenso bisogno di
ritrovare me stessa, la mia vera vena artisticomusicale, fatta di non troppo studio e tecnica
ma di tanta, tantissima passione e voglia di
creare e divertirmi. Come musicista, non ho
particolari obiettivi al momento: essere serena, suonare e cantare ciò che sento davvero
mio e riuscire a trasmettere le stesse emozioni
al pubblico che mi ascolta. In tutto questo,
ossia nella voglia di “purezza” e poche contaminazioni, diciamo così, mi è stato di grande aiuto potermi confrontare anche come
persona con l’underground della nostra città:
credo di aver finalmente capito che solo chi
ha qualcosa da dire arriva davvero da qualche parte. Non sono sicura di avere molto da
dire musicalmente, in questo momento, ma,
personalmente, va bene così!
Quando hai sentito la necessità, se tale è
stata, di pensare in grande e, invece di promuovere semplicemente le tue doti suonando, hai deciso di fondare un portale musicale?
Nel momento in cui ho scoperto di voler
fare qualcosa di costruttivo per me e per chi,
come me, aveva bisogno di un punto di riferimento in una città che sino a quel momento (inverno 2003) di punti non ne aveva mai
offerti: volevo un luogo di incontro di tutte
le realtà musicali della città, un posto in cui
scambiarsi idee, pensieri, parole fra musicisti
e semplici ascoltatori; un posto in cui sentirsi parte di un movimento, di un qualcosa di
sotterraneo che aveva tutto il diritto di emergere in superficie e che da anni ribolliva sotto
le strade di Genova. Più o meno, ce l’ho - ce
l’abbiamo - fatta.
Genovatune è nato già con questa idea di
grande database di date e gruppi locali o il
progetto iniziale era diverso?
Inizialmente nacque solo con l’intento di
raccogliere più informazioni possibili sugli
eventi musicali e di dare spazio a tutti gli artisti
della città: mi sembrava un’idea straordinaria
avere un censimento di tutti, ma proprio tutti,
i musicisti, gruppi e solisti di Genova. Volevo
Fanzine
conoscerli tutti! E fare in modo che tutti si conoscessero fra loro. All’inizio ero da sola e Genovatune un piccolo sito con neanche una
decina di pagine - inclusa quella dei contatti.
Con il passare del tempo, il progetto cominciava ad incuriosire e aumentava sempre
di più la quantità di artisti che volevano uno
spazio al suo interno e di informazioni che mi
venivano inviate, così da poterlo aggiornare quasi settimanalmente. Piano piano altre
persone si sono unite ad esso: prima amici,
poi volenterosi che sono diventati col tempo
amici, ed oggi Genovatune è quella che
potete vedere - un portale di rilevanza nazionale, da pochissimo divenuto Associazione
Culturale. Credo di essere la dimostrazione
vivente del fatto che se si crede in qualcosa,
realizzarlo non è impossibile. Un pò come lo
spot della Adidas : Impossible is Nothing.
E’ interessante domandarsi quali siano le
reazioni al tuo sito. A livello istituzionale? A
livello di base dei gruppi? A livello di addetti
ai lavori?
Partiamo dai gruppi/artisti: spero ottima!
Attualmente Genovatune conta 573 fra artisti e gruppi iscritti nel famoso censimento,
provenienti da tutta la Liguria. Ho sempre il
sentore, però, che, nonostante queste cifre
- e le visite quotidiane di accesso al sito, molto elevate - gli artisti non colgano appieno
l’importanza di un punto di aggregazione
come questo. Mi riferisco al fatto che moltissimi artisti si iscrivono al portale, molti inviano il
loro materiale per ottenere una recensione o
intervista, pochi si iscrivono al forum, pochissimi partecipano alle discussioni. Ah, scusate: e moltissimi si fanno pubblicità sul forum :)
Mi chiedo perchè: se avessi io ora l’età che
avevo quando Genovatune venne al mondo, non vedrei l’ora di conoscere altri coetanei con la mia stessa passione - la Musica! In
una città che non offre spazi per questo tipo
di espressioni artistiche, un luogo anche virtuale di confronto ed incontro è una manna,
secondo me. Ma molti non vogliono - o non
sanno - sfruttarla ed utilizzarla a proprio vantaggio, non solo per farsi pubblicità. Ci tengo a sottolineare che il tutto è senza scopo
di lucro: si, Genovatune è gratis. Tutto gratis.
Anche noi, che scriviamo gli articoli. Quindi,
perchè non approfittarne? A livello di addetti
ai lavori: moltissimi frequentano il portale ed il
forum e ciò è meraviglioso! Potersi confrontare con le realtà che operano musicalmente
in città. Un’ottima occasione per chi fa musica e per altri addetti ai lavori, che possono
incontrarsi e dialogare per cercare di risolvere insieme eventuali problemi. Livello istituzionale: so che qualche persona (soprattutto
della stampa locale) frequenta il portale.
Pochissimi anche il forum. Genovatune ha bisogno di più spazio e più consensi, in questo
senso. Non solo a livello economico. Ma non
preoccupatevi: ora che siamo Associazione,
ci saranno molte sorprese.
Graficamente, ebbi già a dirlo in passato, è
un portale curatissimo; anche l’ultima versione di Genovatune mischia colori e chiarezza comunicativa. Ma, a livello di contenuti,
come siamo messi?
Molto bene! Anche se questo giudizio va
lasciato ai nostri lettori :-) I contenuti prettamente informativi sono tantissimi, troppi. Trasbordano da ogni dove. Informazioni delle
più varie, dal comunicato stampa del concerto del big di turno a quello degli emergenti; dalla scheda del locale a quella della
scuola di musica; dalla scheda dell’artista e
gruppo, e via dicendo. Fatevi un giro su Genovatune per scoprire tutte le sezioni che lo
compongono. Vi è poi l’ampia parte redazionale, quella curata personalmente da
me e i miei redattori: recensioni di dischi, sia
liguri che internazionali (in Redazione arriva
materiale anche da Giappone e Canada),
recensioni di concerti, interviste agli artisti
che suonano in città, articoli legati alla scena musicale genovese e alla cultura in città.
Spendo una lancia in favore dei redattori e
dei numerosi collaboratori che scrivono per
Genovatune: si tratta di persone molto competenti, ciascune nel suo ambito, laureati e
non, appassionati di musica e con grande
spirito critico. I quali, come detto in precedenza, si prestano a tenere vivi i contenuti
redazionali del portale a titolo assolutamente
gratuito. Ed un appello ai lettori di Compost:
se vi piace scrivere di musica e sentite di
avere le competenze giuste per lanciarvi in
questa impresa, Genovatune accoglie sempre a braccia aperte potenziali collaboratori.
Scriveteci inviando uno scritto di vostra creazione - recensione di disco o di un concerto
- indicando la vostra età, nome, cognome,
Chiara - foto di Simone Lezzi
15 CMPST #4[09.2007]
Fanzine
indirizzo MSN e l’elenco dei generi per i quali
vi sentite maggiormente competenti. Mandate tutto a [email protected] e
saremo lieti di potervi dare spazio.
Occupandovi principalmente di una scena provinciale, per quanto di ampio respiro
sul tutta la regione e non solo, non c’è il rischio
reale di cantarsela e suonarsela da soli?
Il rischio c’è: per questo da un anno a
questa parte abbiamo deciso di ampliare
lo spazio dedicato alle recensioni di dischi
anche a lavori di respiro nazionale ed internazionale. Paradossalmente, ultimamente
arriva più materiale da fuori Liguria che non
dalla nostra regione. E’ vero che attualmente
Genovatune agisce solo a livello regionale:
chissà che un domani non si tenti un’espansione? TorinoTune, MilanoTune... MondoTune!
A parte gli scherzi, Genovatune riesce a rispecchiare - non so e non voglio dirvi se in maniera fittizia o meno - una Genova diversa da
quella che a molti appare superficialmente.
Chi ci guarda da fuori e vede Genovatune
intravede una vitalità ed una ricchezza di
contenuti e di iniziative che spesso mi chiedo
se esista realmente - o non sia solo uno specchio d’acqua alterato dai riflessi del sole.
L’immagine che voglio dare all’esterno della
mia città con questo progetto è, però, di una
città viva - anche se lei stessa non lo sa: una
città che stiamo tutti cercando di cambiare,
di far crescere, di migliorare.
Veniamo, quindi, a Genova. Come sta?
Malata, moribonda, febbricitante, sveglia,
reattiva, in gran salute? Qual’è il tuo punto
di vista di musicista/organizzatrice/promotrice?
Eccoci al punto dolente :-) Genova è una
città strana. Ne parlavo giusto un paio di
giorni fa con amici e conoscenti. Non voglio
ricadere nella solita spirale infernale dei mugugni (“Genova è una città di vecchi”, “Non
c’è mai niente da fare”, “Mancano gli spazi”,
16 CMPST #4[09.2007]
e così via), perciò sarò breve. Genova non
è una città in gran salute, in generale. Non
solo per quanto riguarda i giovani e la musica. Trovo che la nostra città pecchi spesso
di presunzione. E’ come se a Genova andassero bene le cose così come sono. Che non
ci fosse voglia di migliorarsi, di evolversi, di
essere produttivi e costruttivi. Penso subito a
Milano - la stracitata Milano - dove l’aria che
respiri, oltre che ad avere uno strano retrogusto acidognolo, frutto delle polveri sottili e
dello smog, è però pervasa di quel senso di
progresso e voglia di fare che qui a Genova
manca. A Genova come da altre parti, sia
chiaro. E questo strampalato discorso vale
per tutte le cose - per la musica, per il lavoro,
per i trasporti pubblici. Manca la volontà di
rischiare e mettersi in gioco per un possibile
miglioramento della situazione. C’è da dire
che negli anni la situazione si è evoluta - più
del previsto. Sono nate diverse realtà (noi, Disorderdrama, Metrodora, e molte altre) che
piano piano hanno unito le forze, nel loro
piccolo, e sono riuscite a dare una svegliata al torpore generale che aleggiava sino
ad una decina di anni fa. Con l’avvento di
internet e dei nuovi media c’è spazio per tutti
e molti riescono a sfruttarlo adeguatamente: parlo del nuovo modo di promuovere le
serate, gli eventi, di dare spazio a voci che
altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra. Penso a myspace, a quanti contatti abbiamo
stretto in maniera molto più facile rispetto a
prima. I genovesi, forse, piano piano stanno
cambiando, la notte bianca di ieri sera ne è
l’esempio: tutta la città è rimasta in giro per le
strade e le piazze sino all’alba, ad ascoltare
musica e a divertirsi. Genova ha bisogno di
eventi collettivi per smuovere gli animi: non
solo di “grandi concerti”, ma di occasioni
di aggregazione, artistica e culturale. Forse
sono solo parole al vento, ma non credo che
ora come ora l’apertura di un Rolling Stone
o un Alcatraz basterebbe a migliorare la situazione musicale in città. Ciò che va fatto è
educare le persone, farle uscire di casa, metterle in condizione di non poter più dire “Ah,
ma io non lo sapevo che..”. Questo, naturalmente, non possiamo farlo da soli. Ci vuole
il supporto e l’unione sì delle piccole grandi
realtà cittadine, ma soprattutto delle Istituzioni e dei Media. In questo senso, il Secolo XIX
ci sta supportando molto, ma non è ancora
abbastanza. Oltre alla carta stampata, c’è
bisogno dell’aiuto di tutto il resto: radio e televisioni, fra tutte.
Hai a che fare con tutti, ma proprio tutti, gli
operatori musicali e culturali cittadini. Vuoi
provare a trarre qualche deduzione dalle logiche che li muovono? Grazie a Inferno siete
passati dall’altra parte della barricata, impressioni?
Mah, azzarderei a dire che la logica è
quella del “tirare avanti”. La logica del “e anche oggi ce l’abbiamo fatta”. Come ho detto prima, anche in questo senso ci vorrebbe
più voglia di rischiare. Di mettersi in gioco. Di
investire. Tempo e denaro. A Milano ed altrove come hanno fatto? Così. Investendo e
rischiando. Naturalmente dipende in cosa investi: bisogna avere delle idee e svilupparle,
idee sensate e fruttifere. Io credo nel ricambio generazionale. Può darsi che fra dieci o
vent’anni gli operatori del settore raccolgano dove altri hanno seminato e la situazione
cambi. Speriamo.
Si parla sempre di media deviati. Nel senso che hanno tutti intrapreso una strada che,
purtroppo spesso, corre parallela, se non in
direzione contraria, al bene comune della
creatività giovanile. C’è una evidente mancanza di comunicazione tra chi produce e
chi diffonde. Ti trovi d’accordo? Cosa si potrebbe fare per migliorare il rapporto?
Non è mai chiaro se i contatti fra chi produce e chi diffonde manchino per ignoranza,
per uno scarso contatto con la realtà underground. O ci sia, invece, al di sotto di tutto
Fanzine
questo una ben precisa volontà di ignorare.
Ciò che possiamo fare noi, come piccole e
medie realtà locali, è unire le forze e le energie per guadagnare, col tempo, sempre più
spazio ed attenzione. Chi la dura la vince!
Un grande classico ormai di Compost. La
battaglia al web 2.0. Vorrei chiudere quest’intervista chiedendoti, in qualità anche di
esperta informatica, se e come abbia senso il
nuovo mondo on line. Seconde vite e racconti presi per buoni, curiose amicizie a richiesta,
geni e capolavori che spuntano come funghi.
Che ne pensi? Oltre al forum, Genovatune è
aggiornato ai nuovi standard di partecipazione popolare?
Naturalmente si :-) Genovatune ha un suo
myspace (www.myspace.com/genovatune)
e più di 10.400 amici. Non mi pronuncio su Second Life - che trovo aberrante ed alienante
-perciò mi limiterò a dire la mia sul mio spazio.
E’ davvero così importante? Dipende. I nuovi
luoghi di aggregazione virtuale sono importanti e di facile uso per promuovere le proprie
iniziative. Per una realtà come la nostra, un
luogo così fruibile come myspace ci ha permesso di venire a contatto in maniera molto
diretta sia con artisti internazionali (i famosi
artisti da Giappone e Canada, ed altre parti del mondo, come vi ho raccontato prima,
che hanno richiesto recensioni ed interviste),
sia con etichette discografiche ed agenzie
di promozione, mediante le quali riceviamo
costantemente nuovo materiale nazionale da recensire. Sono tutti contatti che un
domani potrebbero tornare utili ancheper i
“nostri” artisti: penso ad Inferno, il concorso
musicale che organizziamo, fra i cui premi vi
è proprio la possibilità di entrare in contatto
con alcune etichette discografiche - alcune
delle quali ci hanno conosciuto proprio grazie a myspace. Come artista e musicista, credo che myspace sia un gigantesco specchio
per le allodole: fatto di utenti che si scambiano pacche sulle spalle virtuali, che lasciano
commenti positivi sulla tua musica con la
speranza di riceverne altrettanti, che ti fanno
i complimenti anche senza aver ascoltato un
solo secondo delle tue canzoni. Ed è molto
difficile distinguere chi ti fa un apprezzamento sincero da chi invece lascia un commento
solo per inerzia. Perciò, per chi si propone in
questi termini, myspace va preso con le pinze: senza montarsi troppo la testa se si hanno
migliaia di “amici” e si ricevono complimenti
da sconosciuti quotidianamente. E lo stesso
vale per i profili personali: ho visto persone
“brutte” diventare belle, persone sole avere
migliaia di amici. Alienarsi per una realtà che
è solo virtuale e che sparisce appena spegni
lo schermo del pc. A queste persone dico:
uscite di casa. Andate in palestra. Andate
a ballare. Ad un concerto. Miglioratevi nella
vita vera, non con un ritocco su Photoshop,
e siate voi stessi. Perchè ciò che conta è avere amici veri, non virtuali. Ribadisco, però,
l’importanza di questi nuovi mezzi per farsi
pubblicità e stringere contatti: cito sempre
come esempio la nostra Marcella Garuzzo, la
quale è riuscita a costruirsi un vero e proprio
tour grazie a scambi date con altri cantautori conosciuti tramite myspace. Va assolutamente presa ad esempio. In conclusione:
viva myspace, se usato con metodo e consapevolezza - e un pizzico di autocritica. Un
po’ come per tutti gli strumenti informatici. Ps.
Ricordatevi di addarci! :-)
Più info e immagini su
http://www.genovatune.net
http://www.myspace.com/ceannemckee
17 CMPST #4[09.2007]
Smesciarsi
“A diciotto anni si commettono errori a trenta si impara a sbagliare meglio, se hai
una storia prova a raccontarla e mai credere a quello
che gli altri pensano tu sia”
Marti / Broncobilly
Intervista con Andrea Bruschi
di Marco Giorcelli
DA LEXINGTON A SAN
FRUTTUOSO
Marti, Veermer, Broncobilly e quanti ancora ne verranno. Andrea Bruschi, in oltre vent’anni di onorata carriera, ormai prossimo
ai quaranta, può vantare un curriculum musicale e cinematografico che quasi lo assurge al titolo di Nick Cave del Tigullio (o della
Foce). Tra Buster Pointedexter e Buster Keaton, tra compromessi e dura realtà, ecco l’immagine di un vero gigione d’altri tempi, un crooner nella concezione più classica, eccentrica, genuina.
Da George Michael a Nick Cave passando attraverso Kurt Cobain e, perché
no, anche Gian Maria Volontè (almeno
nella fisiognomica, me lo concederai).
Un percorso difficile di cui non è sempre facile seguire le tappe. Puoi fare una
concisa mappa su come dai Broncobilly
tu sia arrivato a Marti?
Ha! Ha! Difficile sintetizzare, partiamo
cosi: mio fratello Aldo suonava e sentiva
(e sente ancora) tanta buona musica ne
18 CMPST #4[09.2007]
sono stato influenzato moltissimo specialmente sulla libertà di creare una proprio
forma di espressione facendo una band,
il cinema l’ ho scoperto più da solo e lo
ho approfondito a livello esistenziale. Ho
avuto una piccola band punk a 14 anni
primo liceo e mi hanno bocciato nel
frattempo il techopop e la new wave mi
sono entrate nel sangue e a 18 anni ho
conosciuto un ragazzo (ricco) (Andrea
Linke N.d.R.) che aveva tutti gli strumenti
musicali ed io (povero) tutte le canzoni.
Volevo fare una band dark-wave e mi
hanno fatto fare del pop con i Broncobilly. Ci stava.. Avevo 18 anni. La cosa
snaturata funzionò a stenti perché non
potevo fare quello che volevo. Qualche
band di passaggio e confusione postadolescenziale. Poi tanta fatica, fantasmi, lutti, pianti e sorrisi. Ho imparato in
maniera discreta e personale nel frattempo anche a fare l’attore nel cinema
( perché le cose si imparano facendole)
e a 30 anni suonati ho ripreso in mano
la musica mai dimenticata (avevo un repertorio di 100 canzoni o più) e ho iniziato a fare come volevo io su tutto: musica,
estetica , ecc, con collaboratori efficaci
e perfetti. Così, dalla necessità esistenziale e direi autentica di raccontare storie è nato Marti. concludendo a diciotto
anni si commettono errori a trenta si impara a sbagliare meglio, se hai una storia prova a raccontarla e mai credere a
quello che gli altri pensano tu sia.
Smesciarsi
“Il movimento della Zero Budget ha permesso a molte persone di fare cose e tanta strada.“
Credi possa essere impossibile mantenere tanta indipendenza artistica, o una
tale apertura di vedute rimanendo in una
città come Genova?
Con Genova ho un rapporto strano
come tutti penso: amore folle e incazzatura. Provo a capirla ma è dura. Sono
stato 7 anni a Roma comunque e ho
viaggiato molto. Forse, adesso che il mio
ciclo a Genova è finito la vivo in maniera
tutta mia, anche come paese esotico e
malinconico in cui creare. Aggiungerei
che Brooklyn è la san fruttuoso di New
York.
Non trovi che Roma, con tutte le sue
agenzie, i suoi casting, la sua eternità e i
suoi miti di cartone, tenda ad appiattire
e schiacciare un attore (o un musicista)
alle prime armi che la prenda come punto di riferimento per farsi le ossa?
In duemila anni Roma non è cambiata per niente. Le persone ci vanno per
chiedere qualcosa e questo ti mette
in una situazione di svantaggio sempre.
Chi è li ed ha potere, lo sa e ti aspetta
per farsi due risate su di te. Se ci riesci
ad andare come spettatore senza tanta
ansia ti puoi ancora divertire perché la
dinamiche sono sempre le stesse. Chi ha
fatto l’attore o il musicista negli anni 60 si
è divertito come una bestia da quanto
mi hanno detto i miei amici o maestri, ma
che ci piaccia o no, le cose cambiano e
se ci vuoi andare adesso devi farti molta
forza e coraggio perché non gliene frega niente a nessuno e non hanno biso-
Marti Live in Piazza dei Truogoli di Santa Brigida - foto di Anna Positano
gno di te. Simple like that.
Cosa pensi della progressiva diffusione
ed espansione delle location genovesi
per film e serial televisivi? E’ un aiuto per
la città e per le sue risorse umane?
Ma posso solo pensarne bene. Da una
parte, con la vecchia Zero Budget abbiamo anche dato il nostro contributo profondo. Se non sbaglio quando abbiamo
fatto il corto in super 35 “Senza Piombo”,
erano anni che non si faceva una cosa
così se non veniva da Roma. Il movimento della Zero Budget ha permesso a mol-
te persone di fare cose e tanta strada.
Magari qualcuno adesso fa finta di niente, ma è cosi. Sarebbe l’ora comunque
che facessero degli Studios in città.
Ricordo una vecchia canzone dei
Veermer che parlava di Liza Deeleuw
(una ormai misconosciuta pornostar
americana anni ottanta,scomparsa di
AIDS nel 1993). Che rapporto ha Andrea
Bruschi con le donne? Non pensi sia ora
di metter su famiglia e moltiplicarsi?
Ha! Ha! Ma la domanda la fai stai facendo a te stesso?!! Povera Lisa, non lo
19 CMPST #4[09.2007]
Smesciarsi
sapevo. Comunque penso sia ora di diventare immortale, sposarmi e fare due
figli e...Oppure stare cosi.. Chissà, mi
sembra che la nostra generazione sia
in forte crisi su questo. Che rapporto ho
con le donne?? Ottimo. Per una risposta
più approfondita in tal caso interessasse
a qualcuno rimanderei ad uno special su
Compost #100.
Da un certo punto di vista, tu hai saltato,
o meglio, hai seguito un percorso diverso
rispetto a tanti giovani attori che, dopo
una buona scuola di recitazione, sono
passati alle assi del palcoscenico (spesso con ruoli striminziti e mal pagati) accanendosi al contempo in casting massacranti ed inconcludenti. Qual è stato il
tuo percorso per arrivare ad oggi?
Bravo. Io non ho saltato niente perché
non esiste una sola strada per fare e per
esprimersi. Semmai ho approfondito alla
mia maniera perché ho un carattere
cosi. Per quanto riguarda il mio percorso è stato esistenziale e tenace perché
queste cose mi interessano veramente
quindi con le mie forze ho cercato di
essere anche attivo e di spingere la mia
azione creando realtà anche se ho anni
di esperienza in giri inconcludenti perché azionati da persone senza alcuna
volontà creativa e costruttiva. Sia come
musicista che come attore le cose che
non ho appreso in un conservatorio o
in una accademia me le sono cercate
e assimilate in vari altri modi, sia formali facendo corsi o imparando facendo il
mestiere, oppure semplicemente perché
la vita mi ha preso a schiaffi con morte e
tragedie e mi anche spesso accarezzato
20 CMPST #4[09.2007]
con tante gioie che ho incamerato e assimilato e cercato di raccontare nel limiti
del mio strumento.
In che rapporti sei rimasto con i tuoi
vecchi compagni d’avventura della Zero
Budget? Mi riferisco per esempio ad Andrea Linke, Lorenzo Vignolo e Matteo
Bonifazio.
Andrea Linke dopo una grande e romantica amicizia nessun rapporto. L’ultima volta che ci siamo incontrati mi ha
chiamato per cognome e mi dispiace.
Lorenzo Vignolo è il mio caro amico fraterno con cui condivido tanto. Matteo
Bonifazio non è mai stato nella Zero Budget, fondata da me e Vignolo.
Quali sono gli artisti genovesi che rispetti di più?
Tutti quelli che mi piacciono sia vivi
che morti. Tanti musicisti, attori, pittori e
creativi. Non posso citarne uno in particolare. Diciamo da Bernardo Strozzi ai
Meganoidi.
E quelli che rispetti di meno?
Non saprei non spendo tempo a pensarci.
Ma perché a Genova l’eroina spopola
sempre così tanto? Siamo nel 2007 e Jimi
Hendrix è morto da quasi quarant’anni.
Tu ti sei mai fatto?
Perché la vita è una dura lotta. Io non l
ho mai usata, principalmente perché non
me ne fregava tanto e non mi piaceva la
faccia che ti veniva quando ti bucavi,
quindi l’edonismo aiuta. Ha! Ha! A livello
di inconscio collettivo la immagino mol-
Andrea Bruschi - foto di Angelo Trani
to bene, perché l’ ho avuta molto vicino
perché sono di san fruttuoso e ne ricordo
tanta. Uno dei miei cari amici d’infanzia
è morto di overdose. Forse avere avuto
vere passioni mi ha tenuto lontano. Comunque direi che sono un addicted da
sette e mezzo in generale.
Se ti dico Ex-Otago, Andrea Ceccon,
Mass Prod e Beppe Gambetta, tu che
mi dici?
Smesciarsi
“Volevo anche dire che per
la musica, in Italia, non si
è più fatto niente dal ’48.“
Genovesi- artisti- persone che rischiano. Hanno tutto il mio rispetto = grandissimi.
E se ti dico Maurizio Crozza, Antonio
Zavatteri e Luca Bizzarri ?
Uguale sopra = grandissimi. Con Zavatteri ci ho lavorato ed è un grande davvero.
Non credi che se a Genova venisse
una giunta di destra forse la città potrebbe finalmente esporsi ad un nuovo
rinnovamento culturale fino ad ora sconosciuto?
Ma non è già di destra?!! Ha! Ha! Più
che la destra ci vorrebbe la giunta di San
Francisco.
Il Partigiano Johnny, Guido Rossa, Zora
la Vampira, ma non è che niente niente
sei un comunista?!
Ci vuole ancora un film su Pavese e divento comunista a tutti gli effetti.
Il teatro ciba la mente (o almeno dovrebbe), ma non lo stomaco. Lo schermo grande/piccolo ciba lo stomaco
(o almeno dovrebbe), ma poco la
mente. Soffiare e aspirare non si può
si dice da queste parti. E’ vero, o hai
affinato qualche tecnica fino ad ora
sconosciuta?
So che collezioni da sempre Big Jim
e i vecchi Gi Joe della Harbert. Ultimi
acquisti?
Rispondo a queste due domande as-
Andrea Bruschi - foto di Simona Ulloa
sieme Ho venduto tutta la collezione
per ragioni di sopravvivenza ad un dealer di Padova (stile Waiting For My Man,
ma gli ho venduto i giocattoli). In questo
momento né musica né cinema né teatro pagano abbastanza ma i giocattoli
vintage sì e così, il mio secondo lavoro
di recuperare vintage toys, mi ha dato
l’ossigeno quest’anno.
Ps: Gi Joe era della Baravelli e la Harbert distribuiva i super eroi della Mego.
In definitiva, per Genova, sarebbe
meglio uno Tzunami o ci bastano i
cheap cocktail del Banano?
I cocktail del Banano non sono cheap
e l’Italia è sotto uno tsunami dagli anni
80’ sembrerebbe. Volevo anche dire che
per la musica, in Italia, non si è più fatto
niente dal ’48. E’ assurdo non ci siano locali adatti per suonare. E’ una vergogna.
A Genova dove si suona?! A Zena adesso non penso più, la vivo e basta finché
non mi ritrasferisco. Finisco dicendo che
sono stato tre mesi a Los Angeles ed è
una grossa Sestri levante. Belle domande, cari saluti.
Più
info
su
Marti
su
http://www.myspace.com/martimusic
21 CMPST #4[09.2007]
Cronache Vere
“Ricordo
positivamente
la
grande carica creativa che
si materializzava mediante la
creazione di fanzines, l’autoproduzione di demotape e dischi“
Lanterna Records
Intervista con Fabrizio Barile
di Matteo Marsano
DENTRO LA PERIFERIA,
FUORI DAL CONTROLLO
La storia di oltre vent’anni di ideali e passione che bruciano ancora. Fabrizio Barile, in arte Fritz: personaggio eclettico che ha partecipato in prima persona ai fermenti della subcultura punk, skin e
Oi! degli anni ’80 e che lo spirito di quei momenti ha catturato - anche a distanza di tempo - nei suoi
ricordi e nelle sue fotografie. Un vero portabandiera dell’indipendenza musicale (la sua label punk-OI!
“Lanterna Records”) ma anche individuale e culturale che sta alla base di ogni proposito antagonista, di ribellione al conformismo e all’ideologia dominante. E vero e proprio “discomaniaco”, attaccato
ai propri memorabilia – dischi, manifesti, flyer e quant’altro – come a preziose testimonianze e tangibili
documenti - quali che sono - degli sforzi, della passione e dell’impegno di una “generazione fuori controllo” che c’è stata, che speriamo ci sia oggi e che ci auguriamo avrà la forza per esserci in futuro.
Ciao Fabrizio. Volevo iniziare parlando un po’
dei tuoi “anni di formazione”, facendo poi un po’
il paragone con questo “nostro” 2007, talmente
diverso per mille aspetti Nella tua biografia in
rete (http://linus.media.unisi.it/start/03barile.
html) racconti che “Nel 1980 ho sentito la necessita’ di fare parte di quei movimenti antagonisti giovanili, che stavano nascendo (…) non
22 CMPST #4[09.2007]
avevo coscienza politica, non mi interessava
la guerra né il pacifismo, ero una bomba ad
orologeria in libera circolazione.“ E’ certo che
gli anni ’80 hanno rappresentato molto per il
concetto di “Do It Yourself”. Se negli anni ’70
l’influenza delle major, delle grandi produzioni,
dell’industria del consumo di massa si è fatto
sentire – e questo probabilmente a discapito,
più o meno (in)consapevole, dei giovani che
seguivano quegli ideali di (utopico?) progresso,
purtroppo così palesemente mercificati e resi di
tendenza dall’industria dei media e dell’intrattenimento, negli anni ’80 si è assistito invece ad
un fiorire individualità critiche e autoproduzioni,
spesso aggregate a movimenti ben più ristretti,
con identità forti e talvolta in contrasto tra loro.
Cronache Vere
Fabrizio Barile
Insomma, volendo fare un po’ di sociologia
spicciola, dalla “massa” la criticità si è spostata
verso l’individuo e i piccoli gruppi, forse anche
come reazione più o meno nichilista alle disillusioni dei ’70. Io – che sono nato nell’82 – queste
cose le ho solo viste documentate e riportate
dai testimoni; ma tu che c’eri forse puoi farci
un resoconto di certo più illuminante di quegli
anni, dell’atmosfera, dei fermenti della Genova
dei punk e dei concerti…
Negli anni 1978–1980 ho contribuito alla nascita delle prime radio libere a Genova, dove
è iniziato il mio interesse per la musica. Trasmettevo programmi musicali e proponevo dischi
inusuali per l’epoca (per esempio Joy Division,
Cure, Cabaret Voltaire, T.G.) e fra una trasmissione in genovese e un’altra di “richieste con
dedica“ riuscivamo a portare lo scompiglio
via etere. Nello stesso periodo frequentando lo
“Psyco”, storico locale genovese, fucina di idee,
concerti, incontri, sono entrato in contatto con
i nascenti movimenti antagonisti; si era divisi in
gruppi abbastanza chiusi, non c’era molta tolleranza rispetto agli altri e spesso c’erano zuffe
per motivi apparentemente futili. Ho sentito la
necessità di diventare uno skinhead perché
all’interno del nostro gruppo mi sentivo protetto e mi relazionavo con ragazzi che amavano
le mie stesse cose; la musica, l’abbigliamento, l’essere sempre contro, all’inizio non avevo
nessuna conoscenza di cosa stessero facendo
gli skinheads inglesi e sinceramente non mi impegnavo molto per allargare le mie nozioni in
seno all’argomento, eravamo un gruppo di 67 skinheads particolarmente aggressivo e per
questo eravamo rispettati e temuti. Non amavo i punks anarchici perché la loro organizzazione e coscienza politica non era in sintonia
con la mia voglia disordinata di fare casino,
non amavo i darks con i loro capelli cotonati
e le loro menate sulla tristezza, non mi piacevano i mods perché i loro vestiti sempre perfetti li
rendevano dei manichini, non mi piacevano i
metallari, non mi piacevano i paninari, non mi
piaceva il ciuffo dei rockabilly, non mi interessava la politica. Come skinheads a Genova,
non avevamo molti posti dove andare, spesso
nei locali non eravamo ammessi e in qualche
bar potevamo entrare solo dopo aver tolto le
stringhe ai nostri scarponi, se poi consideri che
eravamo sotto costante monitoraggio delle
forze di polizia puoi immaginare che non era
per nulla semplice realizzare le nostre “ bravate”. Del primo periodo ricordo positivamente la
grande carica creativa che si materializzava
mediante la creazione di fanzines, l’autoproduzione di demotape e dischi; i posti dove potevi
organizzare dei concerti erano pochissimi, e
spesso le serate terminavano al pronto soccorso dell’ospedale Galliera. Trascorso il periodo
di massima ribellione, mi sono concentrato
maggiormente sulla scoperta delle origini del
movimento, e ne ho acquisito una maggiore
coscienza. Verso il 1984-85, in concomitanza
con una degenerazione politicizzata del movimento skinhead , trovavo a me più congeniale
iniziare una seconda fase “piu’ matura” ; avevo
stretto rapporti di amicizia con punk anarchici
, cominciavo ad ascoltare qualche disco dei
Crass ( che fino a quel momento avevo bandito dalla mia collezione ), ricercavo dischi di
musica ska degli anni sessanta e ho iniziato
a coltivare la passione per la fotografia e per
ogni movimento antagonista
Se è vero che dagli anni ’90 in poi la parola
chiave è stata “individuo” – con tutti gli annessi
e connessi - in questo primissimo scorcio di ventunesimo secolo assistiamo ad uno strano fenomeno, con questa spinta all’individualismo ancora più marcata (penso anche a come molte
aziende offrano servizi modellati sull’esigenza
del singolo “consumatore”), e al contempo il
diffondersi a macchia d’olio delle tecnologie
informatiche, del cosiddetto Web 2.0, di tutti
quelle possibilità che dovrebbe aiutare le persone a fare network, a scambiarsi i pareri e i frutti
Il Porto di Voltri - foto di Fabrizio Barile
23 CMPST #4[09.2007]
Cronache Vere
“Le generazioni fuori controllo sono
esistite in passato e sono destinate ad esserci anche nel futuro. “
del proprio operato: insomma ad aggregarsi in
nome di un idea o di un progetto comune. Eppure, anche così, si fatica – e stiamo parlando
ovviamente di Genova – a respirare quell’aria di
effervescenza, di forte motivazione “dal basso”
che caratterizzava, probabilmente, le iniziative
e i movimenti che ti hanno visto partecipe due
buoni decenni fa. Sei d’accordo? Come vedi la
questione dell’ ‘internet networking’ (tu che mi
hai detto di fare largo uso di questo mezzo), le
sue luci e le sue eventuali ombre?
Nei primi anni ottanta non era neppure lontanamente immaginabile lo sviluppo dei mezzi
di comunicazione che da lì a qualche anno si
sarebbe attuato. Eravamo abituati a lunghe
attese prima di ricevere il disco acquistato o la
lettera dell’amico inglese, ma non per questo
eravamo meno attivi e creativi delle nuove generazioni; certo le attuali “possibilità’“ hanno
accorciato i tempi morti e hanno reso possibile
una comunicazione in tempo reale. Fantastico! La mia preoccupazione e’ che anche Internet venga sottoposto a controllo eccessivo;
in tal caso occorrerà cercare nuovi sistemi per
comunicare. In linea di massima sono comunque favorevole allo sfruttamento di ogni mezzo
tecnologico che semplifichi la vita.
Tu ti autodefinisci “foto/discomaniaco”. Per
te che significato ha – al di là di testimoniare
la tua passione per il “nostro” mondo, quello di
cui anche Compost si occupa e di cui è (o ci
auguriamo che sarà) parte - il collezionismo di
flyer, fanzine, dischi e tutto il resto? In che modo
giustifichi (se mai che ne fosse bisogno) una
passione così forte come la tua?
Innanzitutto penso che una passione, in
24 CMPST #4[09.2007]
quanto tale, non debba essere giustificata. La
definizione sopracitata mi e’ stata richiesta dall’organizzatore di un dibattito dal titolo “ DI/VERSI DI/SEGNI DI/SUONI “ che si e’ tenuto nel corso
delle manifestazioni di “Marea 2007” a Fucecchio in Toscana; insieme a Freak Antoni degli
“Skiantos” e a Davide Toffolo dei “Tre Allegri
Ragazzi Morti”, si e’ dibattuto sul tema generale
del rifiuto, inteso come atto volontario di diversificazione rispetto all’ordine precostituito. Nel
pannello di presentazione del dibattito c’era
la necessita’ di riassumermi in “una battuta” e
così mi sono definito un foto/discomaniaco, e
penso che sia molto vicina alla realtà dato che
dedico molto del mio pochissimo tempo libero
alla ricerca (maniacale) di dischi stampati nel
mondo nel periodo 1976–1985, di poster di concerti, di flyer, di badges, fanzines e di ogni altro
oggetto inerente. Nei primissimi anni ottanta
ero troppo impegnato a pogare sotto i palchi
e nonostante fossi già un accanito compratore
di dischi, non avevo ancora completamente
sviluppato questo interesse. Nei successivi venti
anni e’ stato un crescendo che mi ha travolto e
che ormai e’ parte di me.
Nel 2005 hai curato nell’ambito della manifestazione “Magliette Strappate” a Savona, la mostra fotografica “Skin & Punks: Una Generazione
Fuori Controllo (presentata originariamente due
anni prima presso la Feltrinelli di Genova). Vuoi
parlacene un po’? Nella presentazione scrivi
che “(…) casualmente la mia Generazione
Fuori Controllo ha coinciso con quella di punks
e skinheads. Ma è solo casualità. Avrei potuto
fotografare i teddy boys, i greesers, i rappers,
gli skaters o chissà chi altro.” Secondo te c’è
ancora spazio nell’era della globalizzazione
(economica ma anche culturale, linguistica,
ecc.) per una “generazione fuori controllo”? E
Nabat - foto di Fabrizio Barile
se sì, da chi è rappresentata, a tuo avviso? A
questo proposito, ho visto di recente una t-shirt
ironica ‘figlia di questo tempo’ che mi ha fatto
riflettere: c’era stampato: “Sono punk e pago
con il bancomat”. Adesso che anche le istanze
più estremistiche di ribellione all’industria culturale (e non) sembrano essere inglobate in un
sistema teso a renderle accettabili ed inoffensive, adesso che tutti i taboo sembrano essere
stati infranti, ora che la disillusione e il cinismo,
fomentate dal consumismo ormai saldamente
radicato nel mondo occidentale, sembrano
uccidere sul nascere ogni proposito di costruire
di alternative, in che modo è possibile “essere
contro”?
Cronache Vere
Staglieno - foto di Fabrizio Barile
La Manifestazione “Magliette Strappate“ si
e’ sviluppata nel corso del pomeriggio e della sera ed e’ stata divisa in vari appuntamenti.
Nelle ore pomeridiane era possibile visitare una
interessante esposizione di magliette italiane e
straniere, principalmente dedicate a soggetti di gruppi musicali punk e skin anni ’70 - ‘80,
in aderenza allo spirito di quel periodo, molte
era state autoprodotte e confezionate artigianalmente. Nelle ore serali, in un altro locale ho
esposto le mie foto e i Klasse Kriminale hanno
suonato per il pubblico presente. La mostra del
2003 presso la libreria Feltrinelli e’ stata molto
importante perché con essa ho autoprodotto
in mille copie il libro/catalogo. Nella seconda
parte della domanda mi chiedi se c’è ancora
spazio per una generazione fuori controllo. Non
ho nessun dubbio in proposito, le generazioni
fuori controllo sono esistite in passato e sono
destinate ad esserci anche nel futuro. Ritengo
che la globalizzazione economica e culturale
non possa cancellare l’intelligenza degli individui e la loro attitudine ad essere parte del concetto espresso dalla frase “una generazione
fuori controllo“; certamente e’ il periodo storico
che influenza le scelte generazionali , rendendole uniche. E’ insensato l’ottuso tentativo di
rivivere ai giorni nostri la stessa ispirazione dei
punks della prima ora, e per lo stesso motivo è
irragionevole il continuo “incensamento” dei
tempi che furono a discapito di quanto di positivo avviene ai giorni nostri. Inoltre, l’aneddoto
della maglietta, che tu hai riportato, è l’esempio tangibile di una commercializzazione del
punk avventa nel corso di questi ultimi anni,
che lo ha depurato di ogni contento originale
riducendolo ad un fenomeno da baraccone.
Decine di gruppuscoli che si autodefiniscono
punk, possono contare su continui “passaggi“
su televisioni compiacenti, ma in realtà non
hanno nulla a che fare con alcun movimento
antagonista. Questa mancanza di contenuti e
di progetti ha indotto un generale senso di ammorbidimento con conseguente rilassatezza di
una parte delle generazioni più giovani, che,
estremizzando, dovrebbero cominciare a scrivere meno email e a rompere più teste. Penso
infine che la vostra decisione di creare una fanzine come questa sia un segno tangibile della
vostra appartenenza alla generazione fuori
controllo cui fate riferimento, la vostra creatività
vi ha portato lontano dai canali tradizionali di
comunicazione e avete sentito la necessita’ di
lavorare ad un progetto comune. Voi siete già
parte della odierna “generazione fuori controllo“.
So che hai tenuto un seminario sulla fotografia all’Università di Siena. Leggo che ha iniziato a
occuparti di fotografia nel 1989, che hai allestito
le prime mostre tra il 1992 e il 1995 – inclusa una
mostra fotografica sui monumenti cimiteriali di
Staglieno, e che uno dei tuoi obiettivi è “suscitare imbarazzo e fastidio nello spettatore”. Ti va
di approfondire un po’ questi temi, parlandoci
del tuo personale rapporto con la fotografia,
di quelle che ritieni essere le potenzialità e le
caratteristiche di questo mezzo, e infine del tuo
rapporto con la Genova dei quartieri popolari e
dei suoi abitanti, forse il soggetto più caratteri25 CMPST #4[09.2007]
Cronache Vere
stico della tua fotografia?
Nel marzo 2007 ho tenuto un convegno dal
titolo “Elementi Essenziali di Fotografia Creativa“ presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Siena, che era stato inserito
in un ciclo di seminari dal titolo “Tecnologie
applicate alle arti“. E’ stata una esperienza interessantissima ed e’ stata la prima volta che
ho condotto una lezione universitaria. Oltre alle
foto di punks e skinheads ho lavorato ad una
mostra sui monumenti cimiteriali di Staglieno.
Ho scattato anche molte foto di vita notturna,
nei sottopassi genovesi, e in generale nelle
periferie urbane, dove mi trovo a mio agio. Per
quanto riguarda le foto provocatorie a cui fai
riferimento nella domanda, fanno parte di un
lavoro che ho iniziato e interrotto più volte. L’intento e’ quello di presentare immagini dal contenuto fortemente provocatorio con lo scopo
di imbarazzare/infastidire l’osservatore. Non so
se in futuro terminerò la mostra di queste immagini che fino ad oggi sono rimaste inedite.
Ho iniziato a fotografare verso la fine degli anni
ottanta, frequentando un circolo fotografico
genovese , dove ho appreso le tecniche di
stampa e di ripresa, ho anche approfondito
gli argomenti comprando alcuni volumi di tecnica fotografica e manuali di camera oscura.
Inizialmente, come tutti i fotoamatori inesperti,
scattavo disordinatamente centinaia di fotogrammi con differenti soggetti e situazioni; poi
ho avvertito la necessità di procedere seguendo un sistema più’ razionale. Scelto un soggetto
sviluppavo una “ storia fotografica” composta
da una decina di scatti e successivamente li
montavo su pannelli per ottenere l’effetto finale. Il passo successivo e’ stato quello di scegliere
argomenti più complessi e comporli con una
sessantina di immagini. I soggetti che prediligo
sono effettivamente rappresentati dalle peri26 CMPST #4[09.2007]
ferie urbane dove l’uomo e’ compresso dalle
gettate di cemento, dalla disoccupazione e
dal disagio sociale .
Chiudo quest’intervista ringraziandoti per la
disponibilità e chiedendoti di parlarci un po’
dei tuoi progetti per il futuro. So che stavi organizzando una mostra sulla Street Art (di cui sei
anche vorace collezionista), e immagino che
sarai impegnato con la realizzazione di altri
progetti, inclusi quelli con la tua label…
In occasione del trentennale della nascita
del punk, nel giugno 2007 ho allestito una mostra presso la libreria genovese “Books in the
Casba“ dal titolo “No Beatles , Elvis or Rolling
Stones In The Years of Anarchy and Chaos“,
curando una esposizione di dischi e memorabilia dell’epoca che ne valorizzasse l’autoproduzione caratteristica del periodo. Dato il buon
successo di visitatori, ho deciso, insieme agli
organizzatori, di prolungare l’esposizione fino ai
giorni nostri; anzi , colgo l’occasione per invitare
i vostri lettori, che non l’avessero ancora vista,
a recarsi presso la succitata libreria. In questo
momento sto lavorando , insieme ad un amico
alla realizzazione di un fumetto ispirato a brevi
racconti che scrivo saltuariamente. Sono storie urbane di persone che perdono il contatto
con la realtà , vivendo in un mondo parallelo ,
talvolta violento altre solitario. La parte grafica
e’ ancora in fase di esecuzione e mi auguro di
poterlo stampare nei prossimi mesi. Ho anche
ripreso l’attività’ con la mia label “Lanterna
Records” e dopo il singolo dei Gangland, una
storica band skinhead degli anni 80, sto producendo un disco dei Dangerous Chickens, un
interessantissimo duo spezzino che suona un
abrasivo rock’n’roll che non lascia prigionieri sul
campo! In futuro vorrei realizzare anche un altro libro fotografico ma non ho ancora deciso
Centro Storico - foto di Fabrizio Barile
se dedicarlo nuovamente a punks e skins o se
includere altre immagini realizzate con skaters
e altre realtà giovanili. Proprio in questo contesto vorrei intensificare i rapporti con gli artisti
che hanno fatto della “street art “ la loro missione. Possiedo centinaia di foto dei loro messaggi murali ma vorrei conoscere meglio i loro
progetti e motivazioni. Sono io che ringrazio Voi
, per lo spazio che mi avete concesso e per la
vostra decisione di realizzare questa fanzine.
Per contatti:
[email protected]
Import
“Nei primi tempi in cui vivevamo qua le nostre canzoni erano molto malinconiche per
la nostalgia di casa, ma anche perché questa città tende a creare quella atmosfera“
Aparecidos
Intervista con Santiago, Facondo e Tommaso.
di Daniele Guasco
AZZARDI SPONTANEI
Gli Aparecidos, con il loro miscuglio tra musiche sudamericane, folk e
influenze jazz, sono sicuramente uno dei gruppi genovesi che più mi hanno impressionato quest’anno tra quelli che ho avuto modo di sentire. Freschi di realizzazione di un ottimo cd abbiamo fatto questa chiacchierata
sulla loro storia, la loro musica i loro progetti anche diversi dalla band.
Mi incontro con gli Aparecidos in piazza Caricamento in un fresco pomeriggio di inizio settembre, proprio davanti a quella scritta “Bruno dacci i
soldi” che fa quasi da cartello d’ingresso a Piazza Banchi e che ormai è diventata un inno per
questo gruppo genovese. Mentre con Santiago
è Facondo Moreno, i due chitarristi argentini della band, aspettiamo il contrabbassista Tommaso
Rolando è proprio il primo di questi due a tirare in
ballo quella frase “Prima o poi scopriremo chi è
questo Bruno, il pezzo nacque per caso ma ormai è diventato un nostro simbolo”. Con l’arrivo
di Tommaso ci dirigiamo verso i tavolini di un bar
chiuso per iniziare questa chiacchierata sulla
musica degli Aparecidos, sulla loro storia e sulle
esperienze personali di questi tre musicisti.
Partiamo dalla storia del gruppo. Qual è il percorso degli aparecidos?
Facundo: Nostro padre ci aveva iscritto a un
concerto per gruppi emergenti e ha messo lui il
nome.
Santiago: L’ha preso dal nome con cui chiamavo gli gnomi che facevo e vendevo alle bancarelle di artigianato di Sestri Levante. Anzi, a
dirla tutta siamo arrivati in Italia tra il 2001 e il 2002
proprio facendo questi mercatini.
F.: In quel periodo facevamo le scuole serali
qua a Genova, e lì conoscemmo Mattia Tommasini, il violinista del gruppo. Decidemmo di
suonare assieme un paio di canzoni, pensa che
già allora facevamo il tre “Lagrimas de tierra”
che poi è finita anche nel cd. Iniziammo così a
provare all’ultimo piano della scuola.
S.: Noi suonavamo già spesso per strada e
ogni tanto Mattia veniva con noi. Iniziammo
come trio chitarre e violino suonando ogni tanto
nei bar e intanto provavamo vari musicisti, finchè
un giorno mentre suonavamo in Piazza Lavagna
conoscemmo Tommaso tramite la sua ragazza
e iniziammo a provare in quattro a casa nostra.
Tommaso: La prima volta però vi avevo visti a
San Lorenzo, ricordo che il sassofonista dei Calomito venne a parlare con voi, poi un’altra volta
vi avevo sentito suonare a una manifestazione a
Caricamento. Comunque poco dopo chiamai
Santo Florelli a suonare la batteria e lì iniziammo
a creare un po’ di canzoni fino al nostro primo
concerto a Bogliasco.
F.: Oltretutto avevamo già fatto una registrazione io, Santiago e Mattia in presa diretta con
Mattia Cominotto dei Meganoidi.
T.: In quel periodo, nel 2004, i tempi erano molto dilatati e capitava anche di suonare in trio
senza Mattia al violino.
S.: Le cose però sono cambiate con l’inizio
della collaborazione con il teatro della Tosse.
Un giorno stavamo suonando per strada e ci ha
sentito Marina Petrillo, la responsabile degli spettacoli, ci ha fatto ascoltare al regista Sergio Maifredi e lui ci ha inserito in uno spettacolo, “Froken
Julie” di August Strindberg.
Direi che la collaborazione con il teatro della Tosse è andata più che bene. Mi incuriosisce
molto il vostro spettacolo: “Malevo, il vento ti
spinge a terre strane”, come è nato questo pro27 CMPST #4[09.2007]
Import
getto?
S.: Lo spettacolo nacque proprio a seguito
delle esperienze lavorative con il teatro.
T.: La cosa bellissima ma che al tempo stesso
ci spiace ancora fu che la sala era talmente piena che fummo costretti a malincuore a lasciare
fuori molta gente.
Non ho visto lo spettacolo purtroppo, ma da
quel che ho letto era caratterizzato da un fortissimo messaggio politico e sociale.
S.: L’intenzione era proprio quella di sfruttare
questa opportunità che ci aveva dato il teatro
della Tosse per dire qualcosa. Il malevo è un tipico personaggio immigrato in Argentina che si
ritrova escluso dalla società, è un uomo che vive
per strada arrangiandosi come può ma con dei
principi molto forti, molto dignitoso nonostante
sia un perdente. Nel nostro spettacolo questa
figura era rivissuta qua in Italia, dove molte persone emigrano per ragioni politiche od economiche, una esperienza che abbiamo vissuto
anche noi così come molti altri. Siamo così riusciti
a parlare di dittatura, di desaparecidos.
T.: Abbiamo anche chiamato Daniel, il padre
di Santiago e Facundo, che quando stava in Argentina era un attore, e Antonio Tancredi (attore
e regista teatrale. nda.) a cui è piaciuta subito
l’idea. Insieme hanno preparato una specie di
dialogo con delle letture il quale si svolgeva durante il concerto, un discorso molto ironico ma
al tempo stesso molto cattivo nel puntare il dito
sulle colpe della Chiesa o sull’atteggiamento
menefreghista dei politici occidentali, comunisti
compresi, nei confronti della grave situazione
argentina durante la dittatura.Alcune persone
“Alcune persone durante questi dialoghi sono arrivate al
punto di alzarsi e andarsene.“
28 CMPST #4[09.2007]
durante questi dialoghi sono arrivate al punto di
alzarsi e andarsene…
La vostra attività live però non si è fermata certamente a Genova, ho visto che avete fatto un
buon numero di date in giro per l’Italia in questi
anni e persino una tuornè in Russia.
T.: Le date italiane sono nate per passaparola,
nella maggior parte dei casi grazie all’aiuto di
altri ragazzi argentini, sia a Roma che nelle bellissime esperienza dei festival di teatro di strada
come quello di Ghironda a Martina Franca.
F.: Nei concerti in Russia invece eravamo solo
io e Santiago, accompagnavamo la cantante
Tatiana Zakharova.
Torniamo sulla musica degli Aparecidos. La
caratteristica che mi piace di più delle vostre
canzoni è l’incredibile coesione che riuscite a
creare tra le diverse contaminazioni, nelle vostre note vivono benissimo insieme la musica
per chitarra argentina, il jazz e il folk, creando un
suono praticamente inedito nella sua composizione. Come siete riusciti a raggiungere in così
poco tempo una unione così precisa e al tempo
stesso originale?
S.: Penso che questa unione sia nata in maniera molto naturale.
T.: Nella prima fase degli Aparecidos io e Santo ci adattavamo più che altro. Dopo un certo
periodo però pur venendo la maggior parte delle prime idee da Santiago e Facundo le canzoni
hanno iniziato a nascere in maniera più corale e
spontanea. Non abbiamo neanche dei modelli
di riferimento unici, ognuno ha il suo bagaglio
musicale e i suoi gusti, tanto che se ti capita di
finire in macchina con Mattia non c’è da stupirsi
se dall’autoradio escono le canzoni della compilation del festivalbar. Per quanto queste basi
siano realmente diverse per ognuno di noi siamo
Tommaso Rolando - foto di Anna Positano
comunque riusciti a unirle spontaneamente in
una buona convivenza.
S.: Trovo difficile parlarne. Nel disco ci sono
parti folk, assimilabili alla musica popolare che si
punto in bianco vedono esplosioni alla Calomito
per mano di Tommaso.
F.: Si alla fine non cediamo a nessun genere
in particolare.
T.: Ci ha aiutato molto anche il fatto che ormai
in questi anni siamo diventati realmente amici
anche al di fuori della sola esperienza musicale, tanto che poco tempo fa sono andato in
Import
“Queste collaborazioni ci stanno facendo crescere molto, così come la
possibilità di suonare sia in due che
in dieci. Non so se queste cose sarebbero potute succedere in altre città.“
Argentina con loro conoscendo anche la loro
famiglia.
Volevo chiedere a Santiago e Facundo com’è
la situazione musicale in Argentina dato che oltre a esserci nati e cresciuti ci tornano spesso.
S.: Noi veniamo da un piccolo paese totalmente privo di influenze straniere, non solamente
nella musica, non c’erano immigrati di altri posti
dalle nostre parti.
F.: La musica come molte altre cose è vista in
maniera molto tradizionale e nazionalista quindi
è ben difficile se non impossibile ascoltare in Argentina musica americana o europea.
S.: In Argentina può capitare persino di trovare gruppi di ragazzi che definiresti punk ma che
suonano tango. Anche il gruppo metal tamarro Alma fuerte inserisce spessissimo musica del
folklore argentino nei suoi pezzi.
T.: Quando sono andato in Argentina con loro
sono rimasto veramente colpito da come nella
spiaggia del campeggio dove stavamo i ragazzi invece di suonare canzoni tipo quelle che si
sentono dalle nostre parti suonavano dei tanghi
splendidi.
Genova invece come ha segnato la vostra
musica?
F.: Nei primi tempi in cui vivevamo qua le nostre canzoni erano molto malinconiche per la
nostalgia di casa, ma anche perché questa città tende a creare quella atmosfera. Più che altro
ci ha aiutato tantissimo suonare con altri musicisti
di queste parti.
Infatti volevo chiedervi anche cosa ne pensate del panorama musicale cittadino.
S.: Io trovo che ci sia una bella solidarietà tra i
musicisti che possono essere più o meno vicini tra
loro, non solo come genere.
T.: Genova alla fine è un piccolo paese che
sembra una città, ci si conosce tutti fra chi suona
un certo tipo di musica ed è anche molto facile
collaborare. Noi con gli Aparecidos abbiamo
creato una specie di gruppo aperto, pronto ad
accogliere spesso e volentieri la partecipazione
di altri musicisti cittadini come Marco Ravera che
ci ha insegnato come una chitarra elettrica possa non stonare per niente sulla nostra musica,
queste collaborazioni ci stanno facendo crescere molto, così come la possibilità di suonare sia in
due che in dieci. Non so se queste cose sarebbero potute succedere in altre città.
S.: Ad esempio un gruppo a cui dobbiamo
tantissimo sono gli En roco, ci hanno aiutato a
trovare delle date fuori da Genova e ci hanno
nominato spesso nelle interviste. Abbiamo anche suonato insieme qualche volta e sono state
esperienze splendide.
F.: Sono queste le cose che ci fanno apprezzare tantissimo Genova e il suo panorama musicale.
le, mi è capitato di andare a sentire degli ottimi
gruppi rock e non vedere nessuno ballare o anche solo muoversi intorno a me, mentre magari
con la musica popolare la gente inizia a saltare
e a danzare.
T.: Io suono anche con l’Orchestra Bailam che
è tipicamente folk e quando suoniamo dal vivo i
giovani, particolarmente nel sud Italia, sono caldissimi per questo tipo di musica. Basta pensare
anche alla riscoperta delle tarantelle.
F.: Oppure anche alle orchestre di immigrati
che suonano la musica dei loro paesi d’origine
come quella di piazza Vittorio a Roma, ne è nata
una anche qua a Genova.
S.: Si creano dei bei miscugli e ogni tanto ne
nascono anche delle cose nuove e interessanti.
T.: Secondo me comunque più che altro si tratta di un ritorno alle origini, alle proprie radici. A me
manca totalmente la musica folkloristica del mio
paese e probabilmente quando troviamo un
legame con questa ne andiamo matti. La mia
ragazza sta prendendo lezioni di fisarmonica
con un maestro anziano che le sta insegnando
a suonare i pezzi classici della tradizione italiana.
Mia madre che mi guardava perplessa quando
le facevo ascoltare i Calomito sentendola mentre si esercitava mi ha detto di conoscerle quelle
canzoni.
In questi ultimi anni a livello sia internazionale
che nazionale sta avvenendo una riscoperta
della musica folk del proprio paese e non solo.
Basta pensare a Beirut o agli A Hawk and a
hacksaw con cui avete diviso il palco del Buridda la primavera scorsa, o restando più vicini ai
nostrani Ronin. Avendo gli Aparecidos una forte
caratterizzazione folk nella loro musica cosa ne
pensate di questo fenomeno?
F.: Secondo me sono dei cicli che si completano e continuo. Trovo strano il pubblico attua-
Vorrei approfittare della presenza di Tommaso
per chiedergli due cose anche sui suoi altri progetti. Particolarmente i Calomito: è un po’ che
non sento parlare del gruppo, che fine ha fatto?
T.: I Calomito sono il progetto nasce con i compagni di scuola, che cresce come unico pensiero per tutta l’adolescenza, ma che poi trova
le sue difficoltà per più motivi. Quelle che componiamo non sono canzoni è musica ostica, e in
più ora siamo cresciuti e magari alcuni membri
originari si sono anche allontanati da Genova,
29 CMPST #4[09.2007]
Import
“vorrei portare la nostra musica anche fuori città in maniera
meno
sporadica
di
come abbiamo fatto finora.“
come il sassofonista che ora vive a New York, o
il batterista che vive a Roma e lavora come fonico. Mancano le occasioni ma siamo in fase di
rigenerazione con nuovi membri come Nicola
Magri (già nei K.c.Milian, nei Sensasciou e con
me nei Soyuz). Sta cambiando il modo di elaborare i brani dato il poco tempo a disposizione, ora
arriviamo ognuno con gli spartiti già pronti e con
l’idea di quello che vogliamo fare come scheletro dei pezzi, pur essendo sempre stati molto lenti
però stiamo già preparando i brani per un nuovo
disco.
Secondo me è sempre stato impossibile dare
una definizione unica di jazz, ognuno ha il suo
modo di suonarlo e per me i Calomito ne avevano uno a mio vedere incentrato sul giocare
con la serietà che normalmente caratterizza
questa musica.
T.: Si esatto, con i Calomito l’aspetto ludico è
sempre stato indispensabile anche se non penso che si tratti effettivamente di un gruppo jazz
pur essendoci avvicinabile. Io ho sempre odiato l’ambiente da jam session competitiva così
come la marchetta da turnista, pur avendone
fatte diverse, pensavo di poterne imparare qualcosa, invece si impara molto di più suonando il
più possibile con diversi progetti, facendo più
esperienze in cui però puoi dire la tua sulla musica che si suona. Coi Calomito eravamo arrivati a un incrocio tra scrittura e improvvisazione,
succedeva di andare a fare concerti senza stabilire neanche una tonalità precedentemente,
ci piaceva stupire e prendere in giro allo stesso
momento l’asocltatore.
30 CMPST #4[09.2007]
Come possono essere collegati i Calomito e
gli Aparecidos?
T.: Entrambi i gruppi si basano sulla spontaneità, sugli azzardi.
Del tuo progetto solista Stoni invece cosa puoi
raccontarci? Ci sono anche con lui collegamenti
con gli Aparecidos?
T.: Stoni è un progetto acerbo, in divenire. Probabilmente molti assoli degli Aparecidos possono essere avvicinabili, il giocare con i rumori, con
le stoppature e gli sfregamenti delle corde. Nelle
parti più improvvisate degli Aparecidos questo
succede spesso. Stoni comunque alla fine è una
mia valvola di sfogo che tengo sempre aperta.
Non è un ascolto semplice ma mi sembra che in
Italia ultimamente questo modo di fare musica
stia prendendo molto piede. Io non faccio però
niente di nuovo, sono quasi più legato a musiche
sperimentali degli anni settanta.
Per finire questa intervista, avete appena finito
un cd autoprodotto, quali saranno i prossimi passi degli Aparecidos:
S.: Ora vogliamo trovare un’etichetta per il disco prima di tutto. Ora più che mai vorrei uscire
da Genova, qua ci troviamo molto bene anche
con l’innesto di Manuel, il nuovo percussionista
e il pubblico cittadino è fantastico ai nostri concerti, ma vorrei portare la nostra musica anche
fuori città in maniera meno sporadica di come
abbiamo fatto finora.
T.: Il disco è nato comunque in anticipo sui
tempi che sarebbero serviti. Non eravamo pronti
secondo me, ma Santiago doveva andare per
otto mesi in Argentina quindi avevamo fretta. Ci
andò veramente di fortuna con i soldi per realizzarlo. Volevamo fare un lavoro professionale con
Federico “Bandiani” Lagomarsino nel suo studio
ma non avevamo i fondi. Successe che Marina
Aparecidos - foto di Anna Positano
Petrillo, come una cosa caduta dal cielo, come
se fosse destino, ci chiamò per suonare a Imperia a Grock festival con come compenso proprio
la cifra esatta che ci serviva. Ovviamente ne abbiamo felicemente approfittato.
S.: Comunque le priorità ora sono far girare
questo disco il più possibile e come sempre suonare tantissimo.
Più info sugli Aparecidos su
http://www.myspace.com/aparecidos
Columns
Indie Maphia For Dummies
di Daniele Guasco
Proprio un bel ginepraio quello in cui mi sono
cacciato dando questo titolo alla mia column,
ma ormai la frittata è fatta e quelle quattro parole insieme mi piacciono ancora. Ciò non toglie
che arrivato alla scadenza per la consegna del
mio quarto intervento mi sono trovato privo di
idee su cosa scrivere, o meglio, su cosa avevo
effettivamente voglia di scrivere. Come chiunque si trovi in questa situazione ho quindi deciso
di fare un giretto su internet e tra qualche mp3 in
anteprima trovato girando sui blog e un paio di
dichiarazioni da brividi sono finito sul sito di Repubblica nel quale mi sono imbattuto in un paio di
foto che mi hanno fatto capire che c’è una cosa
che manca fin troppo spesso nel mondo indie
più o meno duro e puro: le storie. Le foto erano
quelle dell’esibizione di Britney Spears agli Mtv
music awards americani, una diva impacciata
e soprappeso che si umilia davanti a milioni di
spettatori per la gioia del gossip. Britney Spears
è la Barry Lyndon della musica mainstream moderna, la sua è una parabola discendente entusiasmante ed avvincente. Ormai una decina
di anni fa appare uscendo dal nulla questa ragazzina acqua e sapone che tra ritornelli facili e
balletti adolescenziali si fa subito riconoscere per
dichiarazioni pro-verginità degne di Don Giussani
e per l’atteggiamento innocente, la figlia che tutte le mamme d’america avrebbero voluto avere. Non sono un biografo, e non posso negare
che le vicende della carriera di Britney avvenute
in quegli anni a cavallo della fine del millennio mi
sono abbastanza oscure, quello che so per certo è che qualche anno dopo, magari sentendo
che la minestra che serviva iniziava a diventare
fredda, decise di tirare fuori il suo lato da maiala,
shockando mamme, bambine, bambini e coniglietti. L’apice di quel momento resta il bacio saffico con Madonna, una trovata a dir poco geniale. Poi si è sposata, ha avuto un figlio (credo solo
uno) ed è iniziato un tracollo degno di Scarface
il cui primo passo (vado a memoria) credo sia il
divorzio dal marito accompagnato dalla splendida gara a chi minacciava meglio di mettere i
filmini zozzi casalinghi della coppia in rete. Il resto è
pura magia hollywoodiana: serate di autodistruzione in un turine di eccessi con le amichette dello showbusiness, foto voyeristiche di inguardabili
upskirt, fino ad arrivare al capolavoro, al tocco di
genio: la pazzia con tanto di rasatura e 666 scritto sulla fronte. Questo è semplicemente l’evento
più rock avvenuto dagli anni ’80 a oggi, e chi se
ne frega della musica (che come avrete capito
in questa storia è un’attrice non protagonista, se
non una comparsa). Lo ammetto, il deprimente
e tragicomico ritorno sulle scene di ieri sera va un
po’ a rovinare quel finale travolgente visto nella
clinica di disintossicazione, ma anche questo è
spettacolo. Pensateci a questa storia, perché è
una bella storia, e nelle mani di un abile regista da
biografie sarebbe un film splendido, alla faccia
delle chitarre, delle spillette, delle giacche con
le converse, ma anche della sperimentazione e
dell’avanguardia.
Nothing To Shout About
di Matteo Marsano
Quarto numero di CMPST, issue settembrina
– un mese generalmente fioccante di buoni
propositi. Un mese buono per trovarsi un titolo
definitivo da dare alla column. Un mese buono, almeno quanto e più degli altri, per riflettere. Riflettere su quanto spesso la musica di oggi
(e non solo questa) sia asservita all’ideologia
dominante, priva com’è di contenuti forti, e
talvolta –spesso, e purtroppo- non altro che
un veicolo per l’affermazione personale degli
individui. Una perentorietà, la mia, che molti dei
nostri (innumerevoli, va da sé) lettori non esiteranno a fare propria pensando all’entità tentacolata e cancerogena che risponde al nome
di “industria discografica”. Con il rischio, calcolato, di trovarsi di fronte al più classico caso di
scoperta dell’acqua calda. Ma che dire invece
della nostra beneamata “musica indipendente”? Quasi un anno fa la CNN pubblicava uno
“Special Report” sulla scena indie americana
(http://edition.cnn.com/SPECIALS/2006/indie.
scene). Report che vi consiglio ovviamente di
andare a spulciare, pieno com’è di spunti di
riflessione (vedi incipit). Quel che mi sento di
riportare in questa sede sono un paio di frasi di
Ryan Schreiberg, editor e fondatore del celebre/famigerato Pitchfork Media (http://www.
pitchforkmedia.com), il quale commenta così
l’avanzata delle major nel playground indipendente, e l’influenza dello stereotipo “indie” nelle politiche delle grandi etichette “(…)Smaller
music labels, eager for financial success on a
wider scale, have adopted business practices
of major labels once considered anathema in
the scene, like hiring PR firms and street teams
to market their records and licensing songs to
advertising companies. Conversely, major labels and film studios now use the indie tag to
market authenticity, often slapping an indie
label on a piece of art, even if the label isn’t necessarily accurate, to attract a hipper, younger
demographic eager for original and offbeat
entertainment.” “Indie”, nell’ottica della cultura di massa, indica un tipo di intrattenimento
giovane, cool e dai toni anti-accademici e
iconoclasti. Tutto qui. La domanda, che sorge
spontanea, è se sia accettabile questa lettura
del mondo come di un insieme di diverse fasce
di pubblico e di consumatori – tali che siamo, a
questo punto, se è vero che nell’era di Internet
”indie” non è che un marketable lifestyle come
gli altri. Per questo mi preme rimarcare l’importanza del “messaggio forte” nella musica. Della
forma e della sostanza, che questo messaggio
dovrebbero rimarcare e rendere ancora più
esplicito. Dell’impegno e dell’integrità di chi
non accetta che il proprio lavoro sia bollabile
come puro intrattenimento, o addirittura non si
cura che venga o meno definito cultura/arte
(qualsiasi cosa queste parole significhino); e
nemmeno si lasci sedurre da elitismi di sorta;
ma che abbia veramente qualcosa di importante, urgente e sentito da dire, a tutti quelli che
vorranno ascoltare.
31 CMPST #4[09.2007]
Columns
This Ain’t No BBQ
di Anna Positano
September, please, come back! Tanto per
citare Albe in una vecchia hit degli Ex-Otago. A essere sincera, in questi ultimi anni il
passaggio tra agosto e settembre mi risulta
meno doloroso e malinconico; sarà che non
ricomincia la scuola, sarà che non sono propriamente iniziate le vacanze, sarà che non
vado più in montagna per tutto agosto, sarà
che non sono mai stata la figa della spiaggia,
sarà che non ci sono più le mezze stagioni.
Boh. Sarà che il mezzo litro di tè verde che ho
appena tracannato mi sta facendo male e
scrivo a vanvera. Comunque settembre rimane il mese che mi frustra di più. Vago tra l’iperattivo e l’essere un catorcio, e penso che dovrei (ri)cominciare a suonare col mio gruppo
dal nome slavo (ehi, voi due! Lo so che state
leggendo, questo è un invito formale). Ecco
che l’odioso spirito di settembre mi fa fare
buoni propositi per la nuova stagione, che
saranno puntualmente disattesi dal mio lato
catorcio. Tipo, tra un quarto d’ora dovrei andare a correre, ma devo finire di scrivere qui...
be’... uffa. Insomma, settembre è un gran
caos mentale, mille progetti e se va bene
ne realizzo uno. Mi sono anche ripromessa
di affrontare gli argomenti senza far pesare
troppo le mie posizioni da atea-veterofemminista-politicamentescorretta-comunistamangiabambini-vegetariana. Proposito non
rispettato almeno dieci volte tra ieri e oggi.
No, anche adesso che devo introdurre la ricetta del mese non resisto: qualche tempo
fa un quotidiano locale ha più o meno regalato una rivista tipo Donna Moderna versione
pisello, del genere “Il tuo salsiccione per farla
impazzire a letto”, “Se i tuoi piedi puzzano di
camoscio morto è il caso che ti cambi calzini”, “Aydah Staceppadimi***** alla sagra della pannocchia: così non l’avete mai vista”. Tra
tutti gli articoli mi ha colpito una rubrichetta
di cucina, volta a salvare il povero lettore
32 CMPST #4[09.2007]
export-segaiolo trenasettenne dall’infarto,
causato dai quotidiani hamburger cotti nel
tristo padellino da uno, nel suo grigio bilocale ikea, periferia di Mi l’ano. Una rivelazione:
finalmente qualcosa da prendere quasi sul
serio. Una ricetta (non dichiaratamente) vegan! L’ho testata facendo qualche variazione, ottenendo ufficialmente l’approvazione
delle Amplifon. Quantità non mi ricordo, e
secondo me va bene come piatto unico,
regolatevi:
pasta (corta)
lenticchie (meglio secche, altrimenti in latta)
cipolla
bietole/spinaci/quellarobaverdechedisolitosiscarta
pomodori (veri, non pelati da latta o passata!)
aglio
peperoncino
Per prima cosa mettete a bollire in una pentola le lenticchie secche in acqua salata (circa 30 min.). Se le usate in latta, no. Fate bollire
le bietole/spinaci in una pentola che poi userete per cuocere la pasta (quindi conservate
l’acqua di cottura delle verdure). Tagliate la
cipolla a pezzettini e mettetela a soffriggere in
una padella con un po’ d’olio, aglio e un pizzico di sale. Non fatela bruciare e giratela spesso! La padella deve essere sufficientemente
capiente. Tagliate i pomodori in piccoli pezzi
e aggiungeteli alla cipolla, regolate di sale
e fate andare per un po’ a fuoco vivo (NON
deve cuocere troppo!). Scolate bene la roba
verde e mettetela nella padella, abbassando
la fiamma. Aggiungete il peperoncino e le
lenticchie (quando sono cotte). Nel frattempo
preparate la pasta, e quando l’avrete scolata
mettetela nella padella insieme a tutto il resto.
Alzate il fuoco per un minuto, mescolando
sempre. servite. Per concludere, settembre a
genova significa festa dell’unità. alla festa dell’unità servono la coca-cola. ad agosto gigi,
noto oste genovese, rispose ad alcuni ragazzi
che volevano la coca-cola di farsi pisciare in
bocca da bush. che quella era coca-cola.
Settembre, per favore, vaffanculo.
An inconvenient truth
ovvero anche COMPOST dà il suo contributo per rallentare il cambiamento
climatico
di Carlotta Queirazza
Il principio delle 3R
Lo dice anche quel glam/musicista/surfista/
regista di Jack Johnson ‘We’ve got to learn to Reduce, Reuse, Recycle’, è il principio delle 3R per la
gestione dei rifiuti: R-idurre, R-iutilizzare, R-iciclare.
Per risparmiare risorse naturali e prevenire l’inquinamento è necessario prima di tutto R-idurre la quantità di rifiuti prodotta.. come? Comprando meno.
Chiaramente non si chiede di rinunciare proprio a
quegli acquisti che vi riempono di immensa gioia..
e neanche si chiede di tenervi a stecchetto.. magari però quella dozzina di magliette di H&M tutte
uguali.. ‘and if your brother or your sister’s got some
cool clothes You could try them on before you buy
some more’. Quindi R di riutilizzo: se non riusciamo
proprio a ridurre quello che compriamo, almeno
prima di gettarlo, vediamo se qualche amico lo
vuole. Reclaim your cloths! Io e le mie amiche facciamo così. Poi si e’ parlato diverse volte di organizzare una domenica di fine stagione, ad esempio di
fine estate, in cui si svuotano gli armadi e si tira fuori
tutto quello che non si vuole più. Una sola regola: la
merce si scambia e solo se lo scambio non riesce
proprio allora si passa ai soldi. Poi la terza ed ultima
R: riciclo. Ecco, il dilemma più comune tra chi fa già
o vorrebbe fare la raccolta differenziata è ‘cosa
si può riciclare? Devo lavare la bottiglia prima di
buttarla? E il tappo? E il contenitore delle uova?’..
Non c’e’ una risposta univoca a queste domande,
dipende dal comune in cui si abita, nel senso che,
a seconda dell’impianto in cui vengono portati i
materiali separati, si possono o meno buttare determinati prodotti. Per fare un esempio, di solito sono gli
oggetti in plastica quelli più dibattuti. Qui a Vicenza
fino al mese scorso si potevano buttare solo le plastiche marchiate con la sigla PET, PVC oppure PE
(a volte anche sostituite da numeri all’interno di un
triangolo di frecce), che tipicamente sono le bottiglie dell’acqua, vaschette di plastica, contenitori
Columns
per yogurt, ecc. Ora la municipalizzata ha deciso
di riciclare la plastica in un nuovo impianto dotato
di un sistema per la separazione dei diversi materiali
ed ha quindi mandato un volantino a casa in cui
si elencano i prodotti plastici che da questo mese
si possono riciclare: bottiglie e flaconi, recipienti e
scatole in plastica, sacchetti, polistirolo espanso,
ecc. Se abitate a Genova invece, nel sito dell’AMIU
(www.amiu.genova.it) precisamente seguendo il
link ‘raccolta differenziata’ della colonna di sinistra,
trovate svelato il mistero di cosa si può buttare e
cosa no. Ad esempio nella campana della plastica non si possono buttare i materiali in plastica sporchi di cibo o contenenti sostanze pericolose come
vernici e colle. Quindi, per concludere, ricordate:
R-idurre, R-iutilizzare, R-iciclare, in pratica tirate fuori
con fierezza il lato genovese e creativo che c’e’ in
voi. Viva il principio del polpettone!
Non Sono Un Poeta
di El Pelandro
Non amo visceralmente l’estate.
Non la attendo trepidando durante l’anno;
non mi dispero quando, come in questi giorni,
termina.
Dei mesi passati ricordo nostalgico
le ore trascorse a rinfrescarmi con l’aria condizionata.
Come me la pensano in tanti,
ma non tutti.
Una mia conoscente ad esempio
d’ estate si trasforma.
Dimessa e virginale nella consuetudine invernale,
con la canicola invece
suòle trasmigrare nei panni di pantera sorniona
dell’arenile.
Prendendo colore al sole, si tatua con l’hennè,
selvaggia,
ammaliando i vicini d’ombrellone
con sguardi voluttuosi
ed erudite dissertazioni su filosofie orientali,
meditazione, oroscopi indiani e Reiki.
Voci
le attribuiscono persino competenze radicate
nella teoria e nella pratica del dirty sanchez,
altra sublime disciplina new age.
A Steady Diet Of Mat
di Matteo Casari
Parto di nuovo da uno spunto altrui per
questa column: Daniele Assereto della redazione di Genovatune, scrive sul forum
un’interessante paragone. La faccio breve: i
concerti sono come gli incidenti, se son grossi vai a vederli apposta, se son piccoli ti fermi
a guardarli mentre passi ma poi tiri dritto e ti
dimentichi. Mai similitudine fu più calzante, e
vorrei scagliarmi in queste righe contro tutti
quelli che sono stati a vedere un concerto di
un loro amico. Magari divertendosi. Magari
entusiasmandosi. E poi mai più niente. Ma
perchè non riuscite a capire che ciò che vi
ha divertito è ripetibile, che potete mettere
in agenda di tornare ad entusiasmarvi, con
uno sbattimento minimo? Se avessi fidelizzato anche solo un centesimo delle persone
che son passate ai concerti oggi riempirei
un palazzetto. Per carità, non che non mi
piaccia vedere facce nuove ogni sera, nuove espressioni di scandalo negli occhi di un
pubblico spesso ignaro come quello casuale, però dai, non potete negarmi che riuscire
ad andare in un posto e aver la possibilità di
socializzare sia un qualcosa da deplorare.
Un appello, quindi, agli umarelli da incidenti,
tornate sul luogo del delitto, avete solo che
da divertirvi.
Un minuto di storia
di Marco Giorcelli
Brigate Rosse. L’unico rimpianto per questa
città. Non aver quei cinquant’anni necessari,
quelli dello stesso Torlai, per capirci, per capire,
per sentir scorrere il cortocircuito che nessuno
vuol ricordare, nemmeno chi lo ha provocato,
e chi lo evoca, lo fa in maniera piuttosto superficiale e soprattutto partigiana, in teatro come
nel cinema. Ho un conoscente che ne faceva
parte, nella fase degli anni ottanta, quando
era un tutti dentro prima della bevuta defini-
tiva. Quando lo incontro non sono mai sazio,
mai satollo e lui, bravissima persona, mai pentito, da ventitre anni a trent’anni a Porto Azzurro,
praticamente tutta la vita da vivere, mi inonda
di ricordi, ma più che altro di emozioni, di sensazioni, di palpitazioni. Non è politica questa.
Non è apologia né revisionismo. E’ altro. E’ un
io non c’ero. E conta tanto quanto i Doria o gli
Embriaci. Testi ce ne sono a bizzeffe, cittadini e
nazionali. Io ne caldeggio uno minore, più in
sordina, ma splendido. Memorie dalla Clandestinità - Un terrorista non pentito si racconta. Era
stato pubblicato nel 1980, ristampato ora non
ricordo da quale casa editrice, ma si trova comunque. L’autore è anonimo.
Valide Allternative al Bricolage Culturale DIYC 2.0
risponde il Dott. Cesare Pezzoni
Bla Bla Bla dal primo numero. Quale è la differenza tra no copyright e copyleft?
Vincenzino, 33 (pesci) , Ischia.
Caro Vincenzino, ti porto nel cuore. Se foste
dei bravi figliuoli avreste fatto prima questa domanda. Prima di tutto immaginatevi un continuum che va da “copyright” e finisce in “pubblico dominio”. In Copyleft è a metà. Mentre il
Copyright dice “tutti i diritti sono riservati” il Copyleft dice “qualche diritto è riservato”. Questa
cosa l’ho copiata dal sito di Creative Commons
(www.creativecommons.org). La cosa può non
sembrare molto innovativa per il tono moderato
della definizione ma la portata rivoluzionaria del
concetto si intuisce riflettendo sul sottile giuoco di parole delle due definizioni. Copyright è
come sapete “diritto di copia” ma right è anche “destra”. Copyleft apparentemente ribalta
semplicemente da destra a sinistra (cosa suggerita anche dalla C dentro il cerchio ribaltata
del logo del copyleft), in realtà come saprete
left è anche il participio passato di to leave, lasciare. La traduzione di Copyleft diventa anche
qualcosa di simile a “concessione di copia”. Ed
ecco la rivoluzione. Là dove la legge ti dice che
33 CMPST #4[09.2007]
Columns
il diritto di copia è esclusivo, il copyleft si traduce
in una serie di concessioni gratuite, deroghe, a
questo diritto esclusivo. Utilizzando la massima
tutela per concedere degli spazi. Un po’come
se io mi comprassi casa e poi concedessi a
voialtri alcuni vani: posso farlo proprio perché è
mia. No Copyright è qualcosa di diverso. In quel
continuum si pone in corrispondenza del Pubblico Dominio, o forse ancora più in là. In pratica si
tratta di una posizione che non considera legittimo il quadro legislativo del copyright, e quindi si
pone al di fuori della legge, quando non esplicitamente contro, per rivendicare il proprio diritto
al possesso della conoscenza. Può sembrare
una teoria ingenua ma ha illustri teorici alle spalle. L’assunto comune è che in arte e in cultura,
come in fisica, nulla si crea e nulla si distrugge. La
genesi della conoscenza è derivativa e sociale
e quindi privare la gente del diritto a un sapere
(o a un’opera d’arte) vuole dire espropriarla del
risultato di una somma di saperi diffusi e condivisi. L’approccio è radicale e da qualcuno viene
definito “socialista”, in realtà a me pare derivare
direttamente dal pensiero liberale di fine 700.
Viene tacciato di socialismo perché qualora diventasse pensiero comune, il pensiero no copy
saboterebbe (ma forse no…) l’idea di mercato.
Sta di fatto che la musica popolare è stata no
copy fin dalle sue origini eppure si tirava a campare anche prima del boom discografico. Permettetemi qualche righa poi per parlare della
terza via, italo-brasiliana, del copyfree. La definizione è coniata da noi all’interno di Anomolo
in seguito ad alcuni incontri con il governo brasiliano sperimentatore di un nuovo modello di
ripartizione dei diritti d’autore detto “flat”. In quel
famoso continuum prima descritto il copyfree
si pone appena prima del pubblico dominio.
L’autore chiede la paternità dell’opera e vuole
che sia gratuita. L’ottica è quella di fare girare la
cultura e il sapere rapidamente, nel rispetto dell’autore. E’ simile all’approccio no copy per via
della visione anti-mercato, ma ha una diversa
carica politica, meno aggressiva nei confronti
delle leggi esistenti. Inoltre l’approccio è spesso
34 CMPST #4[09.2007]
legato a una visione un po’ statalista (in questo
senso forse, più propriamente socialista), in cui si
ritiene che l’unica eventuale forma di guadagno degli artisti in copyfree per la fruizione della
musica, debba venire da una ripartizione dei
proventi dalla tassazione sui supporti e i locali
e le trasmissioni che lo stato applica. In pratica,
come sapete, ogni volta che una canzone passa in radio la radio paga un tot di diritto d’autore
alla Siae (cosa ne facciano loro è poco chiaro).
Il modello Flat, sostenuto dai sostenitori del Copyfree è il modello in cui quella piccola imposta va
direttamente a indennizzare l’artista. La cosa è
logicamente piuttosto sensata: puoi fare quello
che vuoi del mio pezzo ma se trai profitto dall’emissione o dalla trasmissione del mio pezzo,
una parte di quel profitto mi viene in tasca. Se
invece te la vuoi solo ascoltare siamo contenti
che tu possa farlo gratis. A pensarci bene questo approccio è quello virtualmente vigente: è
l’approccio del buon senso comune. In realtà
la burocrazia (italiana ma non solo) da un lato
complica le cose e dall’altro succhia via soldi e
distribuisce malamente quello che rimane, con
l’effetto che il principio di buon senso condiviso,
viene ampiamente tradito e ribaltato. A questo
il copyfree aggiunge la tendenza no copy a
non riconoscere come legittimo il profitto dalla
vendita del disco. Ma non tanto per il supporto,
al contrario, è pagare per fruire l’idea che non
va bene, nell’ottica dell’arte e del sapere come
effetto di una genesi sociale. Come vedete la
realtà è multisfaccettata. Il filo rosso che collega
le realtà e le tiene comunque unite è la convinzione che la diffusione di un’idea arricchisca. Le
idee e le altre forme di conoscenza come l’arte
sono l’unica cosa che più ne regali, più ti arricchisce. Sembra buonismo ma non fate gli stronzi
e pensateci.
Screamazenica
di Simone Madrau
Screamazenica is sponsored by: Martinucci.
Più che un gelato, uno stato mentale.
Meglio gli spacciatori: almeno mi lasciano
dormire. [Ormai un classico: Alfredo dopo l’interruzione del set di Marcella Garuzzo ai Truogoli di Santa Brigida, con la Notte Bianca delle
Tall Ships in pieno svolgimento. E non ditemi che
non sapete chi è Alfredo.]
Bè bè, le Suicide Girls sono... Burlesque. [Joe
Ignorant etichetta le Suicide Girls dopo l’improbabile performance tenutasi al Milkout]
Allora vuole la guerra. E l’avrà! [Ancora al
Green Storm, è in corso il dj set di Tarick1. Dopo
l’ennesimo pezzo ‘maranza’ Tristan, incocciato
per la prima volta dal sottoscritto in quel del
banchetto di Compost, parte in quarta verso
la console dell’ancora ignaro Andreone.]
E tuuuutti quei ragazziiii… come te non hanno nienteee… [Rocco degli En Roco, complice
il clima vacanziero gentilmente offerto dalle
spiagge salentine, si lancia in insospettabili cover a cappella.]
Chi cavolo è arrivato qui cercando “sturalavandino in tedesco”? [la perplessità di Matteo
Casari aka mazzola sulla home page di disorderdrama.org]
Infine, un piccolo omaggio agli estimatori di
questa improbabile column. Make a noise for..
The Bob Quadrelli Show
1.
Live @ Gigi’s, featuring: Matteo Casari. [in sottofondo un pezzo dei Clash]
Mat: ‘ah i Clash! Bob cosa ne dici? Il concerto
dei Clash a Genova, Bob, cosa mi racconti?
Bob:
‘il
concerto
dei
Clash?
Lo
abbiamo
interrotto.’
Mat:
‘come
lo
avete
interrotto?!?!’
Bob:
‘sì,
lo
abbiamo
fermato.’
Mat:
‘ma
no
dai,
perché
avete interrotto il concerto dei Clash?!’
Bob: ‘perché eravamo loro fan.’
2.
Presentazione
di
Zenatron
#2,
featuring:
il
pubblico.
Bob: ‘voglio sentirvi urlare, per Gesù Cristo!’
il pubblico: ‘per Gesù Cristo!’
[thanks to: Matteo Casari, Giulio Olivieri.]