Marco Malvaldi a Ravenna racconta il rapporto tormentato fra scienza e poesia Giovedì 17 Novembre 2016 Lo scrittore Marco Malvaldi insieme a Matteo Cavezzali Scienza e letteratura non sono opposte. Vantano, al contrario, una frequentazione antica che è arrivata ai giorni nostri. Parola dello scrittore Marco Malvaldi. Ospite ieri pomeriggio a Palazzo Rasponi dalle Teste di Ravenna per la rassegna letteraria “Il tempo ritrovato”, Malvaldi ha esposto questa sua tesi affascinante contenuta nel suo ultimo libro: “L’infinito fra parentesi. Storia sentimentale della scienza da Omero e Borges” rispondendo alle domande di Matteo Cavezzali. Al grande pubblico Malvaldi è noto soprattutto come giallista e in particolare per i simpatici vecchietti protagonisti della serie del BarLume. Quattro “umarel” che fra una partitina di carte e l’altra, invece di disquisire sullo “stato dell’arte” dei cantieri (come fanno gli “umarel” nostrani), si impicciano degli affari altrui, finendo sempre per inciampare in storie di delitti. Ma, come recita la sua biografia, oltre ad essere un autore apprezzato, Marco Malvaldi ha una laurea in chimica ed è stato ricercatore all’università di Pisa. Il suo ultimo libro quindi, come fa notare Cavezzali, è una sorta di ritorno alle origini. In quasi 250 pagine corredate di note e bibliografia come nella miglior tradizione dei manuali scientifici (anche se "L'infinito fra parentesi" è tutto fuorché un manuale), Malvaldi ripercorre in senso inverso il percorso che lo ha portato ad un certo punto della sua vita diventare scrittore e torna a rivestire i panni dello scienziato per raccontare la scienza come se fosse un romanzo. “L’infinito tra parentesi” spazia attraverso i secoli per dimostrare come due cose apparentemente agli antipodi e oggetto di discussioni spesso vivacemente faziose fra i sostenitori a spada tratta della scienza e i patiti delle cosiddette discipline umanistiche siano, in realtà, strettamente legate. Il rapporto di amore e odio che “L’infinito fra parentesi” si propone di raccontare è in particolare quello fra poesia e scienza. L’idea dal quale l’autore parte è che l’essere umano percepisce la realtà attraverso i sensi, ricostruendola e reinterpretandola attraverso il proprio cervello che “è un organo meraviglioso che funziona in modo modulare”. Il che significa, in parole povere, che il nostro cervello è uno strumento assai versatile che può essere usato per scopi diversi. Un po’, spiega Malvaldi nel libro, come gli utensili della nostra cucina: con la stessa pentola possiamo fare bollire l’acqua per Ravennanotizie.it cuocere ogni tipo di pasta, fare il lesso, o il brodo o cuocere le uova. Ecco, afferma Malvaldi, il nostro cervello funziona più o meno così. “Lo stesso modulo, la stessa architettura neurale che ci fa scorgere la struttura di un carro in un mucchietto di stelle nel cielo può essere usato anche per prevedere, in modo forse meno poetico ma più preciso, il moto dei pianeti in quel cielo medesimo”. Paul Adrien Maurice Dirac padre della meccanica quantistica relativistica, era assai poco comprensivo nei confronti dei suoi illustri colleghi che amavano comporre sonetti. Eppure, a suo modo e soprattutto inconsapevolmente, era un poeta pure lui. Scrive Malvaldi: “la sua formula più famosa, la base della meccanica quantistica relativistica, è per molti l’equazione più bella della fisica. Talmente bella, nella sua elegante compattezza, da comparire perfino sull’epitaffio del fisico a Westminster”. Un’equazione e una poesia, a pensarci bene, secondo lo scrittore-scienziato hanno almeno due elementi in comune. La compattezza, appunto, tanto per citare il primo. L’ equazione di Dirac nella sua generalità comprende e fa prevedere il comportamento di tutte le particelle relativistiche, esattamente come la bellissima poesia di Ungaretti, “Mi illumino di immenso” ci descrive con splendida efficacia “tutte le mattine di tutti i tempi”. Ma soprattutto equazione e poesia condividono lo strumento dell’analogia. L’equazione di Dirac si basa su un’ uguaglianza. Malvaldi cita allora Dante che ha sparso la sua Divina Commedia di tantissime “analogie” e in particolare quel famoso verso che chiude il V Canto dell’Inferno: “E caddi come corpo morto cade” . “Dante – scrive – non tenta di descriverci la sua caduta in termini fisici. L’efficacia della sua poesia sta proprio nel fatto che abbiamo visto cadere dei corpi, e sappiamo come funziona”. Matteo Cavezzali cita allora il poeta Rimbaud: “La scienza è troppo lenta per i poeti”? “La scienza è lenta per natura, perché deve andare d’accordo con cose molto spesso inanimate: difficile convincere una particella ad entrare in un tunnel”, dice sorridendo lo scrittore ricordando la famosa gaffe del Ministro Gelmini. E cita una stupenda frase di Italo Calvino: “La poesia è l’arte di fare entrare il mare in un bicchiere”. Di fatto la poesia arriva prima della scienza almeno nel libro di Malvaldi, dove ciascuno dei dieci capitoli è introdotto dai versi di un poeta. Per dimostrare che poesia e scienza sono tutt’altro che lontane, si parte addirittura da Omero che m“ha avuto due intuizioni incredibili”. La prima è quella degli automi. Già Omero raccontava il mito di Efesto, dio-fabbro dal pessimo carattere che aveva costruito mantici in grado di funzionare da soli, tripodi in grado di muoversi da soli per portare cibi agli dei, cani da guardia di bronzo viventi ed eternamente giovani, ancelle di aureo metallo che sostenevano il dio che era claudicante. E sempre Efesto molto, ma molto prima dell’invenzione del micro reticolo metallico avvenuta pochissimi anni fa, nell’Odissea forgiava catene invisibili, sottili come delle ragnatele, ma fortissime. Si parte da Omero per arrivare, attraversando un secolo dopo l’altro, a Borges di cui Malvaldi parla nell’ultimo capitolo dedicato alla fisica della memoria. Borges sa, forse meglio di qualsiasi neuroscienziato “che aver saputo e aver dimenticato il latino è un possesso, perché l’oblio è una delle forme della memoria”. Oltre ad essere uno scrittore brillante, Malvaldi è un intrattenitore divertente e colto. Anche se la materia in effetti può apparire ostica e il legame fra poesia e fisica un po’ rocambolesco, il tempo fila via liscio e la serata finisce in religioso silenzio ad ascoltare i versi bellissimi di una poetessa polacca, Wysalawa Szymborska letti da un Malvaldi ispirato. A cura di Ro. Em. Cultura Ravennanotizie.it