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De pedagogia musicale
di Patrizia Venucci Merdžo
In questo capriccioso mese d’aprile pari pari all’incantevole risveglio della natura stiamo assistendo ad una specie di fioritura musicale che sta coinvolgendo, nella nostra regione, adulti, giovani e piccini; a ennesima prova dell’importante ruolo che la
musica ricopre nella vita sociale, culturale, personale e della necessità d’ impartire una valida educazione musicale a cominciare dalla più tenera età.
Psicologi dell’età evolutiva, pedagogisti, esperti
del settore sono concordi nell’affermare che un’attività musicale ben strutturata possa contribuire in
maniera sostanziale allo sviluppo armonico e complessivo del bambino. Si tratta di un percorso graduale che coinvolge l’intera sensorialità e personalità del bambino procurandogli benefici molteplici
– anche nel caso di bambini autisti, iperattivi, con
problemi scolastici, con difficoltà di linguaggio...
– che riguardano il coordinamento dei movimenti,
l’uso della voce, la comunicazione e socializzazione, lo sviluppo della fantasia e della creatività, dell’emotività e dell’intelligenza musicale e dell’intelligenza in genere. È stato dimostrato scientificamente
che nei bambini “musicisti” l’ incremento del quoziente d’intelligenza è significativamente superiore
rispetto a quelli che praticano altre attività extrascolastiche. Perlomeno fino a prova contraria.
Ed è per tutte queste ragioni - ed altre ancora
- che mi sembra sia il caso di ribadire il peso e la
funzione dell’ educazione musicale nelle scuole,
materia a volte sottovalutata. I cui compiti fondamentali sono quelli di sviluppare il senso della
melodia, della tonalità, dell’armonia, del timbro,
del ritmo, mediante l’approccio attivo, facendo
Musica Attiva; cantando, suonando, (ottimi gli
strumentini Orf) scandendo il ritmo, “illustrando“ la musica con dei movimenti coordinati. Le
canzoncine popolari rapprentano compendi perfetti di melodia-ritmo-forma. Molto più degli
sballati e sfasati successi di un certo repertorio
adulto per nulla adatto all’educazione musicale
di base, in quanto “scompigliato“ negli elementi
fondamentali di cui sopra, spesso ridotti a livelli
di involuzione preoccupante.
Ma la formazione musicale – specie a livelli più
avanzati - ha un suo peso pure sotto il profilo culturale e della valutazione critica. Cioè, una persona
di solito non è in grado di esprimersi criticamente
su una certo brano o genere musicale se non ha dei
chiari termini di confronto, dei riferimenti consolidati. Per cui, la trasmissione della tradizione e della “memoria storico –musicale”, la formazione dei
gusti, rientrano pure nell’impegno dei programmi
scolastici; ma pure dell’ambiente sociale il quale
invece - anche in questo settore –, si rivela spiccatamente negativo.
Cioè, di fronte a certe cacofonie, a certe aggressioni e torture uditivo-mentali assolutamente
nocive si dovrebbe contrapporre il nostro deciso
“no!”. Mi riferisco in particolare alla strumentalizzazione del mezzo acustico - dire “musicale” sarebbe una concessione esagerata - da parte di cantanti e complessi rockettari che esplicitamente,
o tramite messaggi subliminali (Led Zeppelin, i
“Queen”, Marylin Manson, Alice Cooper, i “Rolling Stones”, ecc.) incitano in maniera martellante e continuativa – effettuando un subdolo lavaggio del cervello - al disordine sessuale, al satanismo, all’uso della droga, al suicidio, alla violenza, all’odio. Un “genere”, purtroppo promosso
su scala mondiale, che ha mietuto e miete le sue
vittime soprattutto tra i giovani e tra le personalità più influenzabili e sprovvedute. Un fenomeno
che va contrastato in primis con mezzi culturali,
oltre che con misure giuridiche. A meno che l’incitamento all’autodistruzione non rientri nella “libertà d’espressione”.
Ineludibilmente Vostra
2 musica
Mercoledì, 29 aprile 2009
IL PERSONAGGIO Si articola tra il Quirinale, il Vaticano e Kiev l’attività del Maestro
Gli affettuosi omaggi musicali di Lu
S
i presenta fitto d’impegni
il carnet del Maestro Luigi Donorà, dignanese di
nascita, ritenuto uno dei compositori italiani contemporanei
di maggior spicco. Riandando
agli ultimi mesi ricorderemo
l’esecuzione natalizia in Vaticano della “Lauda per la Natività
del Signore” con l’Orchestra da
Roma Classica, il coro “Tullio
Ultimo successo in ordine di
tempo, il 17 c.m. con il concerto
al Duomo di Capodistria il cui programma prevedeva cinque canti patriarchini, o canti aquileiesi, e brani
di autori istriani; l’evento è stato ripreso dalla TV e da Radio Capodistria.
Quali sono le sue impressioni
riguardo a questa serata particolare che ha riportato alla luce gli
Nel Concertino - Divertimento
dignanese uso il discanto, l’Inno
a Dignano, l’Inno all’Istria e
antichi canti popolari dignanesi
Serafin” e voci soliste, l’esecuzione al Quirinale di “Là dove
il Quarnero” con Franco Squarcia e Nina Kovačić in occasione
della Giornata del Ricordo; ha
fatto seguito, il 13 marzo al Centro Culturale Altinate di Padova,
l’interpretazione da parte di Donorà e di Elisa Rumici del Concertino per pianoforte a quattro
mani ed Orchestra. Il 31 marzo
invece ha avuto il luogo il recital
della fisarmonicista ucraina Eugenia Cherkazova che ha eseguito in prima assoluta “Mentire”,
composizione che il Maestro
Donorà ha dedicata alla concertista stessa.
La Cherkazova inoltre eseguirà in prima assoluta, nel corso dell’anno al Conservatorio
“Ciaikovski” di Kiev, il “Concerto a quattro”.
antichi canti liturgici del Patriarcato di Venezia che per secoli sono
stati in uso pure in Istria, Quarnero e Dalmazia?
E’ stato un concerto molto bello ed ottimamente accolto dal foltissimo pubblico. La Cattedrale di
Capodistria era strapiena. Ho eseguito, assieme al soprano Giovanna Di Liso ed al tenore sloveno Rusmir Redžić, cinque canti aquileiesi
tratti da due codici - un Antifonario
ed un Graduale rispettivamente del
1500 e 1503 - che si conservano
alla Biblioteca Centrale di Capodistria. Ho effettuato la trascrizione
dei canti in notazione moderna - nei
codici sono scritti in notazione quadrata su tetragramma - e li ho quindi
armonizzati”.
Trattandosi di canti antichi
creati nel sistema modale che mal
sopportano l’armonizzazione di
Al Quirinale; da sinistra, Luigi Donorà, Nina Kovačić, Gianfranco Fini, Franco Squarcia
Sento un profondo senso di gratitudine nei confronti
dei miei avi che mi hanno tramandato il ricco tesoro
musicale dell’Istria
sostegno come ha risolto le difficoltà legate appunto all’armonia
tonale?
Non ho avuto difficoltà particolari nell’armonizzazione, nel senso
che ho proceduto come si fa con il
canto gregoriano. Certo, per ren-
Luigi Donorà a Capodistria durante una conferenza
dere il canto più fluido, omogeneo
ed addolcito ho dovuto tramutare i
“si” in “si bemolle”, onde smussare l’asprezza dei tritoni. Il canto patriarchino fu abolito con il Concilio
di Trento, tuttavia, essendo profondamente radicato a Venezia, in Istria
e Dalmazia, ha resistito molto più a
lungo; è stato tramandato oralmente, per cui i vari canti presentano
una gran quantità di variazioni e di
differenze.
Nella seconda parte invece abbiamo eseguito brani di Tartini, Mozart, Bizet, Smareglia. E’ stato anche divertente. Si figuri che ho suonato nientemeno che su un organo
“Gaetano Callido” del 1793. Non
essendo in uso da tanto tempo il
parroco disperava che potesse funzionare. Naturalmente ha gli antichi
registri a tirante, per cui mi sembrava di ingranare la terza e la quarta
marcia; insomma mi sembrava quasi di guidare l’automobile.
Questo concerto l’ho dedicato ad un mio cugino sacerdote che
aveva studiato nel Seminario di Capodistria.
Motivo di particolare soddisfazione per lei è sicuramente stato il concerto di febbraio al Quirinale.
L’invito a presenziare al concerto del 10 febbraio al Quirinale
in occasione della Giornata del Ricordo, alla presenza del Capo dello
Stato Giorgio Napolitano e del Governo italiano è stato per me oltremodo graditissimo; un’occasione
unica più che rara nel corso della
quale si è svolto il concerto del violista Francesco Squarcia e della pianista Nina Kovačić, entrambi nativi di Fiume, che hanno interpretato
musiche di Tartini e la mia partitura
“Là dove il Quarnero”, riscuotendo
un vivo successo e numerosi complimenti da parte del Presidente Napolitano e del numeroso pubblico e
dei Parlamentari presenti”
Originariamente, lei ha composto questo brano per orchestra.
Che effetto le fa sentirlo nella trascrizione per viola e pianoforte?
Questo lavoro, ridotto a due strumenti non è poi così “ristretto” a differenza della partitura per orchestra
d’archi; certo è che il risultato fonico è del tutto diverso. Poco cambia
l’effetto del contenuto, anche perché lo spessore strumentale diventa più spoglio e facilmente emergono eventuali “vuoti” armonici,
specialmente nel pianoforte, poiché
gli “armonici” di questo strumento
svaniscono rapidamente, in modo
particolare se la viola li contrappone con passi verso la regione acuta.
Ho scritto la parte della viola, tenen-
ETNOMUSICOLOGIA Intrigante relazione di Dario Marušić e di Marino Kranjac sul ricco
La varietà strumentale e modale dell’Istria come frutto di una r
PIRANO - Proseguono gli appuntamenti musicali dedicati al
grande Giuseppe Tartini.
La CI di Pirano ha di recente
ospitato dueautentiche personalità
nel campo della musica folcloristica: l’etnomusicologo Dario Marušič
ed il musicista Marino Kranjac, i
quali hanno presentato il ricco patrimonio musicale dell’Istria eseguendo su strumenti particolari dei brani
musicali popolari.
Marušič ha utilizzato cordofoni, membranofoni, aerofoni ecc, e
mediante un power point ha fatto
notare al pubblico, che il territorio
istriano è musicalmente molto variegato in quanto ospita tre culture
– italiana, croata e slovena - nonché due gruppi etnici rappresentati
dagli istro-romeni e dai montenegrini di Peroj.
L’etnomusicologo ha inoltre
proposto vari spezzoni di brani
popolari sia dal vivo che registrati. Marušič e Kranjac hanno stupito i presenti facendo ascoltare loro
il noto brano popolare “Na planincah sončece sije” nella sua versione
primigena, che suona decisamente
differente da come siamo abituati
a sentirla.
Sono stati presentati frammenti di brani nel criptico dialetto istroromeno, una villotta interpretata da
De Grassi di Buie nel 1908, il Balun, un antico ballo istriano, le mantignade di Sissano, i bassi dignanesi, una bitinada rovignese che viene
prodotta mediante la voce a imitazione degli strumenti.
I due conferenzieri, nella seconda parte del laboratorio, hanno presentato gli strumenti musicali dell’area istriana, ognuno dei quali con
le particolari caratteristiche sonore.
Si sono potuti apprezzare una cornamusa o piva, i pifferi ed i violini,
che vengono appoggiati sul petto e
la cui presa del manico è superiore
rispetto alla postura classica.
Tipico della tradizione dell’Istria
settentrionale, assieme al violino, è
il bajs, ovvero un contrabasso. A
differenza del violino, questo strumento non è mai stato fabbricato industrialmente se non da liutai esperti come quelli di Montona.
Del gruppo degli aerofoni ad ancia semplice fanno parte gli chalumeau, che sono gli antenati del clarinetto, la fisarmonica detta “triestina”, nata nella seconda metà dell’
Ottocento, la quale dopo un venten-
nio dalla sua ‘creazione’ fu importata anche in territorio istriano.
Dei
membranofoni
Dario
Marušič ha fatto vedere uno strumento tipico di Gallesano, il tamburo.
In passato, le scarse risorse economiche affinavano l’ingegno di
molti suonatori che si fabbricavano gli strumenti desiderati. Nascevano così il bidofono, un pettine
avvolto dalla carta di sigarette sul
quale si soffia e si canta contemporaneamente; un corno costituito da
lamine sottili circolari di legno, vari
pifferi, il violino in canna di bam-
musica 3
Mercoledì, 29 aprile 2009
dignanese. Concerto storico di Canti Patriarchini al Duomo di Capodistria
igi Donorà alla sua terra natale
In “Là dove il Quarnero” ho
cercato di inserire nelle parti
della viola e del pianoforte
alcune melodie popolari
istriane incastonandole
contrappuntisticamente tra loro
Il Maestro Donorà con il cardinale Raffaele Farina
Per rendere più fluida e dolce la melodia dei canti
patriarchini ho tramutato i “si” in “si bemolle”, onde
smussare l’asprezza dei tritoni. Il canto patriarchino
fu abolito con il Concilio di Trento, tuttavia, essendo
profondamente radicato a Venezia, in Istria e Dalmazia,
ha resistito molto più a lungo
do presente le peculiarità dello strumento mettendo in evidenza in particolar modo, il virtuosismo tecnico
e le capacità del dedicatario.
Ho cercato il modo di inserire nei due strumenti alcune melodie popolari istriane incastonandole contrappuntisticamente tra loro,
ottenendo così un lavoro musicale
specifico nella sua forma e nel suo
effetto.
La prima esecuzione di questa mia composizione è avvenuta
presso l’ex Palazzo del Governo di
Fiume il 2 giugno 1999 in occasione della Festa della Repubblica Italiana.
All’Auditorium del Centro
Culturale Altinate di Padova
nello scorso marzo lei e la pianista Elisa Rumici avete eseguito
in prima assoluta il Concertino
per pianoforte a 4 mani (Divertimento dignanese). Può illustrarci
le peculiarità tecnico-musicali del
brano?
Questa composizione vuole essere un omaggio al mio paese nata-
le ed è composto sopra melodie che
ricordano l’Istria ed in particolar
modo Dignano. Composto in occasione del 36mo Raduno Internazionale dignanese svoltosi in Dignano
il 4 maggio del 2008, è dedicato alla
giovane pianista Elisa Rumici, una
ragazza che a quindici anni ha ottenuto riconoscimenti e vinto premi in
concorsi prestigiosi.
Nel Concertino che è diviso in
tre tempi uso forme antiche quali il
“discanto”, la “villotta dignanese”.
Nel primo movimento “Allegro”
cito alcuni frammenti melodici dell’Inno a Dignano di Caenazzo e dell’Inno all’Istria di Giorgieri.
Il secondo movimento “Adagio,
quasi largo”, inizia con un motivo
popolare dignanese “Bara Biaso”
in tonalità minore, sostenuto da
un pedale di semiminime suonate
dal solista nella regione grave del
pianoforte, seguito dal motivo “patriarchino” tratto dalle lamentazioni
del Venerdì Santo, che si cantavano
in Duomo e che dà luminosità, non
solo spirituale. In omaggio ai nostri
patrimonio musicale istriano
ealtà culturale multipla
bù dal suono esile e stridulo e le raganelle, strumenti tipici del periodo
pasquale.
Nella famiglia dei fiati senza fori
su canna di bambù o di altro materiale di fortuna, gli strumentisti potevano produrre numerosi suoni utilizzando le dita della mano per variarne
l’altezza.
Anche un portaombrelli, come
dimostrato da Marušič, può diventare uno strumento, così come pure
una foglia di alloro.
Non tutti gli strumenti istriani sono caratteristica esclusiva di
questa regione, ha fatto notare il
relatore. Fra questi si annovera il
piffero istriano – sopile, sopele o
roženice che è un antenato dell’oboe. Generalmente viene suonato in coppia ( due strumenti di dimensioni differenti ) e nasce come
bombarda diffondendosi in tutta
Europa durante il periodo del Rinascimento.
Riguardo alla teoria musicale
Marušić ha voluto specificare che
la scala istriana non è una successione di 6 note intervallate da mezzi toni e toni interi perché in realtà ne esistono ben quattro tipi, che
vengono utilizzati nella musica
cari defunti uso alcune battute tratte da “La grande porta di Kiev” di
Musorskij; quei tocchi di campana
inquadrano molto bene l’ambien-
te cimiteriale e la tristezza della
morte.
Il terzo tempo “Allegro, tempo
di Villotta”, illustra l’allegria ed il
folclore dignanese tramite il motivo “‘sto carneval che se marideremo”, il quale ricorda i cortei nuziali
con gli sposi in testa accompagnati
dal suono del violino e del violoncello (leròn). Fa seguito una breve e
mesta melodia tratta dalla pastorale
natalizia dell’”Laetentur coeli”. La
ripresa della Villotta (quasi una tarantella) chiude il concertino nel più
puro spirito dignanese.
Nello scorso Natale ha avuto la soddisfazione di presenziare alla prima esecuzione assoluta, a Roma, della sua “Lauda per
la natività del Signore”, per soli,
coro e orchestra su testi di anonimi del ‘700 istriano. Può darci
qualche notizia in merito?
Commissionatami dal Vaticano, la Lauda ha avuto la prima esecuzione assoluta nella chiesa di S.
Anna con i solisti Begonia Alberdi
(soprano), Concetta D’Alessandro
(mezzosoprano) e Andrea Castello
(baritono), col coro “Tullio Serafin”
e l’orchestra “Roma Classica”, diretti dal maestro Renzo Banzato.
Ho composto questa “Lauda”
ispirandomi ai canti di questua che
s’intonavano nel passato in Istria,
ma particolarmente a Dignano, mio
paese natale
I testi li ho dedotti sempre dai
medesimi canti, addatandoli secondo i vari “quadri” in cui si svolgeva la narrazione della Natività del
Signore.
Ho trovato facile comporre questo lavoro poiché ero ispirato, ma
soprattutto perché ho sentito un
profondo senso di gratitudine nei
confronti dei miei avi che mi hanno tramandato questo ricco tesoro musicale (da me raccolto dalla
tradizione orale dei miei genitori
e parenti).
Ho cercato di creare un lavoro
ricco di “trovate” contrappuntistiche, e brani di intensa spiritualità
e perché no, anche, brani solenni
come il canto del “gloria in excelsis Deo”.
Il successo ottenuto in Vaticano
ha permesso alla compagine corale
– strumentale di replicarlo in giorni
successivi nel Duomo di Cavarzere, paese natale del grande direttore
d’orchestra Tullio Serafin, e in quello di Chioggia.
Posso ritenermi sodisfatto per
tutto questo, anche perché ho
avuto un gradito plauso dal Cardinale Raffaele Farina, in rappresentanza dell Pontefice Benedetto
XVI. (pvm)
Dopo secoli di oblio i Canti
Patriarchini rivedono la luce
CAPODISTRIA - Concerto di rilievo storico
nel Duomo della SS. Vergine Assunta di Capodistria con il Maestro Luigi Donorà (di origione dignanese), il soprano Giovanna de Liso dell’ Opera
di Torino ed il tenore Rusmir Redžić dell’ Opera
di Lubiana.
L’evento dovuto alla biblioteca centrale Srečko
Vilhar di Capodistria, ha avuto il suo esito di maggior rilievo nell’esecuzione di cinque canti patriarchini trascritti ed armonizzati dal M° Luigi Donorà.
I canti patriarchini di cui sopra, sono tratti dal
Graduale del 1500 e dall’ Antifonario del 1503 e
vengono custoditi nell’archivio di Capodistria.
Ad introdurre l’atteso concerto sono stati Ivan
Marković e Peter Štoka della Biblioteca Centrale
e Timotej Pirjevec, assessore alla cultura
di Capodistria, i quali insieme al Maestro Donorà hanno ringraziato il vescovo capodistriano msg. Metod Pirih che ha reso possibile l’iniziativa.
Il compositore Luigi Donorà, attualmente professore presso il Conservatorio di Musica di Torino, ha spiegato l’importanza della serata in quanto riscoperta e valorizzazione degli antichi canti
liturgici del Patriarcato di Aquileia.
popolare a piacere senza seguire un ordine fra i gradi. I suoni,
che costituiscono tali scale, vengono spesso sovrapposti polifonicamente in modo da ottenere quel
caratteristico melos folcloristico
presente pure su altri territori, ad
esempio in Italia.
Come si è potuto apprezzare
dagli esempi sonori, la musica popolare istriana non ha a che vede-
Dopo un brano introduttivo suonato all’organo del Duomo, un Gaetano Callido del 1793, Donorà, insieme ai cantanti, ha interpretato gli estatici “Omnis Terra”, “Misereris Omnium”, “Ad
te Levavi”, “Ecce Nomen Domini”, “Aspicens a
Longe”, per proseguire con l’ “Adagio” per Oogano di G.Tartini e l’ “Ave Verum” di W. A. Mozart.
Nella seconda parte del concerto, i musicisti si
sono posizionati presso l’ altare maggiore per proporre composizioni, questa volta con l’accompagnamento strumentale del pianoforte.
Ad aprire la seconda parte della serata è stato
“Vulmera Domine” del maestro rovignese F.Usper
- Spongia, seguito dal capodistriano A.Tarsia per
proseguire con “Pietà Signore” di A. Stradella, il
“Panis Angelicus” di C.Franck, “Vedete Biagio”,
dall’opera Nozze Istriane di A. Smareglia e con
due romanze in dialetto italiano del maestro Donorà intitolate: “El pianto de me mama” e “L’Altarin de me pare”, per voce di soprano e pianoforte.
Il pubblico entusiasta ha applaudito gli artisti
che hanno salutato il numeroso pubblico presente in Chiesa con l’ interpretazione dell’ “Ave Maria” di F.Schubert e l’”Ave Maria” dal “Otello” di
G.Verdi. (ns)
re con i suoni ‘’puliti’’ del sistema
temperato ed è proprio per la sua
specificità, insita nel timbro sonoro frammentato in frazioni di tono,
che essa non rientra nella musica
tonale classica.
Ai giorni nostri però, la musica contemporanea classica
espande lo spettro sonoro servendosi anche delle tradizioni folcloristiche.
Marušič ha ribadito, che la musica non è un linguaggio universale in quanto esistono codici diversi che permettono di affrontare e
comprendere un determinato genere musicale. Universali invece rimangono le emozioni, che ci fanno
venire la voglia di conoscere più a
fondo il ricco patrimonio culturale
della penisola istriana.
Neven Stipanov
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Mercoledì, 29 aprile 2009
Mercoledì, 29 aprile 2009
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ANNIVERSARIEGGIANDO Duecentocinquant’anni fa moriva a Londra Georg Friedrich Händel
Ancora escluso dai palcoscenici d’Italia il più «italiano» dei musicisti europei
di Fabio Vidali
L’
assettico ticchettìo dell’orologio (a volte fastidioso nel
silenzio d’una notte insonne) continua a riproporci la fredda
liturgia delle ricorrenze. Stavolta è
il turno di Georg Friedrich Händel
(23.2.1685 – 14.4.1759). Ben duecentocinquanta anni fa moriva a Londra il più “italiano” degli operisti settecenteschi europei, paradossalmente
il più dimenticato e “straniero” come
presenza nelle programmazioni operistiche italiane. Eppure fu un astro di
prima grandezza, cui si deve il predominio mondiale dell’Opera Italiana nel Melodramma Barocco. Servirà questo duecentocinquantenario
a farlo “riscoprire” in Italia, mentre,
ad ogni altra latitudine, se ne approfitta per approfondirne la circolazione e la conoscenza con importanti
manifestazioni musicali? Sembrerebbe, dai programmi finora annunciati,
proprio di no.
Già, ma in Italia c’è l’ennesima
“crisi” musical-teatrale: un’ottima
scusa per rimandare il tutto ai soliti
“tempi migliori” e vivere alla giornata. Pagare i debiti non è propriamente un’usanza italica, nemmeno
quando da ciò all’Italia deriverebbero lustro e quattrini. Siamo fatti così:
pigri e smemorati. Chi, da noi, sa (o
ricorda) che, fino all’ultimo recente
restauro, addirittura al Covent Garden di Londra, tutti i cartelli indicatori erano scritti prima in italiano e
poi in inglese? Un merito proprio di
Händel, certo da non sottovalutare
oggi, quando l’italiano, un tempo la
“lingua mondiale della Musica”, sta
affogando, sommerso dalla globalizzazione anglofona. Eppure Händel,
in Italia, continua ad essere pastura
di soli eruditi.
Visse per la Musica
Nacque a Halle (Sassonia meridionale) dalle seconde nozze del vedovo
sessantenne Georg Händel, cerusico e
chirurgo dei duchi di Sassonia, con la
trentaduenne Dorotea Taust, illibata
figlia d’un pastore luterano. Georg
Friedrich smentì subito ogni timore
collegato all’età non più “verde” dei
suoi genitori. Si presentò come un vispo bambinone grande e grosso, sem-
pre affamatissimo e ghiottone; caratteristiche che conservò ed incrementò
nella sua lunga vita. Precocissima la
sua attitudine alla musica, incoraggiata da una zia materna, mentre il padre lo sognava “dottore”. Già ad otto
anni, accanto all’istruzione generale,
intraprese quella musicale col migliore musicista di Halle e dopo solo tre
anni il maestro lo congedò, dichiarando di non aver più altro da insegnargli. Per obbedienza figliale frequentò
anche l’Università di Halle. Morto il
padre (1697), si dedicò interamente alla musica, divenendo in breve
organista titolare della Cattedrale di
Halle, posizione ragguardevole che
però non lo soddisfaceva; tanto che si
trasferì ad Amburgo (1703) dove aveva sede l’unico teatro pubblico della
Germania. Qui si accontentò d’un posto modestissimo (violinista di ripieno in quell’orchestra) pur di studiare
dall’interno il funzionamento dell’intero meccanismo operistico. Una
puntata a Lubecca gli servì per co-
Haydn lo definì “il Maestro di tutti
noi”; Mozart ne esaltò il “divino
genio”; Beethoven lo proclamò “il
più grande compositore che sia mai
vissuto”
noscere le magistrali interpretazioni
all’organo di Dietrich Buxtehude che
depositò nella sua prodigiosa memoria. Georg Friedrich sperava di succedere a Buxtehude nell’incarico presso
il Duomo di Lubecca ma, per ottenerlo, avrebbe dovuto sposare la sgraziata figlia del vecchio maestro. Così ci
rinunciò. Del resto, pur molto sensibile al fascino femminile, Georg Friedrich mai si sposò.
Ad Amburgo, Georg Friedrich
aveva conosciuto Johann Matthenson, valente musicista suo coetaneo, destinato a diventare un critico e teorico di risonanza europea
e ne era diventato amico. Ma era in
ballo un posto di clavicembalista
al Gäsenmarkt (al quale fu preferito Händel). La rivalità portò ad un
incruento duello fra i due che però
subito dopo si riconciliarono, tanto
che Matthenson successivamente
L’”eticità” della sua concezione
musicale, il cui fine “non doveva
essere quello di far divertire gli
spettatori ma quello di renderli
migliori”. Un lato della “lezione”
händeliana che troppo spesso
sfugge oggi ai più
A farla breve, già dal 1712, la lancetta della bussola di Händel segna
stabilmente Londra, dalla quale si assenterà solo per brevi periodi connessi alla sua attività di impresario (specialmente di se stesso) e di direttore
artistico della Regia Accademia di
Musica. Nel 1726 diverrà cittadino
britannico.
Dopo la morte di Giorgio Primo
Un’alluvione
di creazioni
Solo sogguardando il catalogo
delle sue composizioni (peraltro largamente incompleto, dato che molte
Händel e Re Giorgio sul Tamigi
no delle “costanti” sin dalle prime
“composizioni giovanili”, a partire
dal 1698 quando, in una breve visita a Berlino, viene per la prima volta in contatto con la musica italiana,
alla corte di Sofia Carlotta. Come
noto, il fascino della musica italiana lo conquistò pienamente nei successivi quattro anni (1706 – 1709) in
cui risiedette in Italia. Donde la prima
di queste “costanti”: la sua convinzione che il “belcanto” fosse strettamente connesso con la lingua italiana. Da
Nell’impero
austroungarico
e nei paesi slavi
non godette
di simpatie.
In Francia,
Berlioz ed
Eduard Lalo
lo attaccarono
ferocemente
Il Maestro in età matura
Autografo di Händel
divenne anche suo biografo. Già nel
1705, Händel debuttava ad Amburgo con l’opera “Almira”, preceduta (1704) dalla “Johannespassion”,
e aveva messo in cantiere altre due
(1727), il partito avverso alla dinastia
ed al successore Giorgio Secondo, fa
fallire la Regia Accademia di Musica anche con l’apporto nazionalistico
della “Beggar’s Opera” di John Gay e
La riduzione dei “recitativi” divenne
una “costante” anche per le sue
composizioni vocali in lingua inglese,
con conseguente beneficio del
“ritmo drammatico”, precorrendo
così la “riforma” di Gluck
Westminster Abbey teatro di tanta musica händeliana che coglie le spoglie mortali del Maestro di Halle
Garden: un altro trionfo. Muore otto
giorni dopo e viene sepolto (rarissimo
onore) nell’Abbazia di Westminster.
opere (“Florindo” e “Dafne”). Ma,
nel 1706, altra partenza, questa volta per l’Italia: Firenze, Roma, Venezia e Napoli. Ad indurlo a questo
nuovo viaggio fu Gian Gastone de’
Medici (primogenito del regnante
Cosimo Terzo) conosciuto ad Amburgo, che lo incuriosì sbandierandogli i meriti delle scuole musicali italiane e quanto avrebbe potuto
apprendervi, e commissionandogli
la sua prima opera italiana (“Rodrigo”). Per George è un vero “colpo
di fulmine”. Vi trova la benevolenza di Alessandro Scarlatti, Arcangelo Corelli, della Corte Papale, del
veneziano Vicerè di Napoli. Ciò gli
vale la nomina a maestro di cappella
del Principe Elettore Georg Ludwig
a Hannover, quello stesso che, nel
1714 salirà sul trono d’Inghilterra
col nome di Giorgio Primo.
la fondazione di una nuova Opera Italiana diretta da Nicola Porpora. Händel fu costretto a trasferirsi prima al
Teatro di Lincoln Field e poi al Covent Garden. Le sue azioni sono in
netto recupero. Ma solo tre anni dopo
(1737) Händel viene colpito da un attacco di paralisi. Passa le acque ai bagni di Aquisgrana e si rimette miracolosamente. Con un solo concerto a
proprio beneficio riesce a riportare in
sesto la sua situazione finanziaria. Si
dedica con fervore alla composizione
di Oratori. Il 13 aprile 1742 presenta
a Dublino con travolgente successo il
suo Oratorio “Messiah”. Riconquista
il favore del pubblico. Nel 1752 perde
l’uso della vista ma continua a suonare l’organo ed a comporre dettando le
partiture ai suoi copisti specializzati.
Il sei aprile 1759 assiste all’esecuzione del suo “Messiah” al Covent
risultano ancora non rintracciate) si
rimane a bocca aperta: oltre 40 Opere
liriche (prevalentemente su libretti in
italiano); 19 “pasticci” e musiche di
scena: 21 Oratori e Passioni; 11 Odi
ed Oratori profani; 67 composizioni
liturgiche e religiose; 34 Cantate con
strumenti; 26 duetti e trii italiani; 72
cantate italiane; 45 arie di vario genere; 37 composizioni per orchestra;
21 concerti per organo; 63 titoli strumentali da camera; 142 composizioni
per clavicembalo. Il tutto compreso in
un’Opera Omnia di 93 grandi volumi,
in costante accrescimento.
Ma ancor più meraviglia la cura
certosina che Händel riserva ad ogni
suo brano (sia esso di minute o grandi dimensioni). La sua fluente vena
inventiva, unita alla sua eclettica
“permeabilità” ad ogni spunto anche
“estraneo od esterno” che gli pervenisse, gli consente di “fondere” in
prodotti musicali di “alto livello” anche reperti “popolari” di “consumo”
assicurando alle sue musiche pronta
“comunicativa” sia presso i “raffinati” che presso il “grosso pubblico”,
tanto che rivoluzionerà il rapporto
storico che privilegiava il “mecenatismo” dei nobili e dei potenti, introducendo lo “sbigliettamento” e consentendo così ad ogni strato sociale l’accesso a pagamento ai concerti ed agli
spettacoli. Una “democratizzazione”
che di fatto sottraeva ai “capricci” dei
“mecenati” ogni facoltà di “condizionarne” le fortune o le disgrazie.
Accanto a ciò va sottolineata
l’”eticità” della sua concezione musicale, il cui fine “non doveva essere quello di far divertire gli spettatori ma quello di renderli migliori”
(parole sue). Un lato della “lezione”
händeliana che troppo spesso sfugge
oggi ai più.
Se l’alluvionale produzione händeliana va logicamente suddivisa in
“periodi” e “generi”, in essa esisto-
te. Fu il primo compositore ad essere effigiato, ancora vivente, in una
statua (1738, nel giardino londinese
di Vaux-Hall). Il primo a godere di
ben due biografie (1730 ad opera di
Johann Mattheson e 1760 nel volume
di John Mainwaring). Haydn lo definì “il Maestro di tutti noi”; Mozart ne
esaltò il “divino genio”; Beethoven
lo proclamò “il più grande compositore che sia mai vissuto”; Schumann
giudicò “ideale la sua opera corale”;
Mendelssohn lo prese a modello nei
nipolazioni che le musiche di Händel subirono in Europa nel Ventesimo Secolo.
Del resto, anche nell’Italia dell’Ottocento, circolò poco. Era troppo in anticipo su quel fenomeno di
“sfruttamento” editoriale dei “depositi” dei “fondi teatrali” inventato molto più tardi dell’Editore Ricordi (che
esordì appena nel 1808) e condizionò
pesantemente la Storia Musicale italiana. Anzi, da tale fenomeno, Händel
fu addirittura messo “fuori mercato”.
Il Genio di Halle riteneva che il “belcanto” fosse
strettamente connesso con la lingua italiana. Da cui la
sua ricerca di libretti e testi italiani per le sue Opere e
brani vocali
qui la sua ricerca di libretti e testi italiani per le sue Opere e in genere per
le sue composizioni richiedenti l’intervento del canto. Primaria esigenza, in questi casi, l’abbreviazione e
lo snellimento dei “recitativi” che,
se eseguiti in italiano, risultavano incomprensibili al pubblico anglofono.
Riduzione dei “recitativi” che divenne una “costante” anche per le sue
composizioni vocali in lingua inglese,
con conseguente beneficio del “ritmo
drammatico”, precorrendo così la “riforma” di C. W. Gluck. Altra sua “costante” la subordinazione della parola
alle “ragioni della Musica”. Altra “costante” ancora, per quanto riguarda
gli “influssi italiani”, la fusione degli
apporti delle diverse “scuole italiane”
suoi “Eliah” e “Paul”; Nietzsche lo
ritenne “il rappresentante del migliore spirito tedesco”. Nell’impero
austroungarico e nei paesi slavi non
godette di simpatie. In Francia, Berlioz ed Eduard Lalo lo attaccarono
ferocemente. In Germania si ritenne
d’importanza secondaria la sua figura d’operista, probabilmente in odio
ai suoi “italianismi”. In Italia contò
qualche successo fra Settecento ed
Ottocento.
Non conobbe interruzioni, invece, in Inghilterra il culto di Händel,
anzi si amplificò a dismisura, dal
1784 ai nostri giorni, con puntuali rievocazioni e commemorazioni di massa che puntarono sempre
più sulla progressiva elefantiasi del
Händel rivoluzionerà il rapporto
storico che privilegiava il
“mecenatismo” dei nobili e
dei potenti, introducendo lo
“sbigliettamento” e consentendo
così ad ogni strato sociale l’accesso
a pagamento ai concerti ed agli
spettacoli
(napoletana, veneta ecc.) in un “unicum” poliedrico nel quale trovavano
spazio il dramma, il buffo e il balletto,
e la “rivalutazione drammatica” della
voce di basso.
Esaltato, respinto
e strumentalizzato
Caleidoscopiche le “fortune” del
lascito händeliano, sia in vita che a
duecentocinquant’ anni dalla mor-
numero degli esecutori (dai 525 orchestrali di quell’anno, ai 2765 cantori e 460 strumentisti del 1859) per
arrivare alla formula dei cosiddetti
“Mammouth Festivals” del Crystal
Palace che, nel 1923, contarono su
ben quattromila esecutori con l’unico risultato di generare caotici affollamenti sonori in pieno contrasto con
lo stile händeliano che furono duramente bollati anche da G.B. Shaw.
Non minori furono i danni e le ma-
Così, per tutto il Novecento, il grosso
pubblico italiano conobbe di lui solo
qualche brano operistico (il celebre
Largo “Ombra mai fu” del “SERSE”,
l’aria “Lascia ch’io pianga” del “Rinaldo”) e l’”Alleluja” dell’Oratorio
“Messiah”, spesso sconciati da “trascrizioni” commerciali. Ma il peggio
doveva ancora venire. Con l’ascesa al
potere di Hitler, la Germania si ricordò improvvisamente di lui per esaltarlo nel Walhalla dei “genii germanici”, arianizzarlo mutando i suoi titoli
“semiti” (biblici) ed “esportandolo”
così in tutta Europa ed anche in Italia.
Vezzo che continuò anche nel secondo dopoguerra, ad opera della Germania Est, che lo contrabbandò rivestendolo di contenuti “ideologico-sociali
marxisti”.
Ora queste strumentalizzazioni
sono finite e pian piano si fa strada l’esigenza delle interpretazioni autentiche e filologiche, adesso
in primo piano anche in Germania,
con un’opportuna “Händel Renaissance” tesa a rivendicarne le origini “tedesche” quale antesignano dei
“Musikdrama”. La natia Halle vuole
giustamente riappropriarsi del vanto
d’essergli stata madre, in barba alla
sua scelta di farsi inglese. Pensiero
che nemmeno sfiora l’Italia che fu
la sua culla musicale. In questo tira
e molla, nel Regno degli Spiriti Eletti, forse nemmeno Händel ci si raccapezza più su chi veramente sia stato.
Difatti, in vita, si firmava “George
Frideric Handel”, ma qualche volta “Hendel” ed anche “Georg Friedrich Händel”, o addirittura “Haendel”. Lui, tanto pignolo, alla sua grafia anagrafica non ci teneva affatto.
Gli premeva solo che le sue musiche
non fossero sconciate. Sarebbe ora,
finalmente, l’occasione buona per
accontentarlo.
6 musica
Mercoledì, 29 aprile 2009
VITA NOSTRA A colloquio con Denis Stefan, presidente della SAC “Fratellanza”, segno
Una tradizione amatoriale importante
di Helena Labus
FIUME - Essere a capo della
Società artistico culturale “Fratellanza” è certamente un’onore, ma anche un compito piuttosto impegnativo. È un ruolo che
richiede capacità organizzative, senso della diplomazia, una
grande dedizione e amore verso l’attivismo amatoriale e, non
meno importante, un grande rispetto per la pluridecennale storia della SAC. Tutte qualità che
riscontriamo nell’attuale presidente della SAC “Fratellanza”, Denis Stefan, titolare pure
dei Settori Ricerca e Cultura in
seno all’Unione Italiana e insegnante di psicologia alla Scuola
Media Superiore Italiana. Stefan è entrato in carica di presidente della SAC qualche mese
fa, in seguito alle dimissioni di
Roberto Haller.
Che cosa l’ha spinta a candidarsi alla carica di presidente della “Fratellanza”?
Devo dire che un ruolo significativo nella mia candidatura lo hanno avuto anche le
persone che mi circondano. Comunque, il fattore più importante che mi ha spinto a candidarmi è stata la mia decennale attività in seno alla “Fratellanza”.
Il Coro misto
Denis Stefan, presidente della SAC Fratellanza
I tempi d’oro della Mandolinistica risalgono al 198284. Allora si suonavano i bellissimi arrangiamenti
del compianto Maestro Floris. Ricordo un concerto
all’aperto all’Auditorio di Portorose nell’estate del
1983, al quale l’orchestra contava 41 elementi
Trent’ anni e passa di attivismo
nella SAC e una discreta conoscenza delle varie leggi e dei
regolamenti che definiscono il
lavoro delle diverse sezioni, ovvero delle associazioni no-profit
e non-governative.
Oltre a ricoprire la carica
di presidente della SAC, è an-
che membro attivo della Mandolinistica...
Ho iniziato a frequentare la
Comunità degli Italiani dalla più
tenera età, da quando avevo sette anni. All’epoca ero entrato nella sezione dei minicantanti, dove
sono stato per tre anni. A quattordici anni sono entrato nella Man-
dolinistica – era il 1979 – e da allora ne faccio parte ininterrottamente. Periodicamente, quando
ce n’era bisogno, davo una mano
anche nelle altre sezioni, cioè al
coro maschile e alla filodrammatica, quando questa ancora esisteva. Ho fatto anche altro attivismo
nella sezione giovanile come stu-
Il “Collegium Musicum Fluminense”
Il Trio Julius alla CI di Isola
Dal romanticismo al tango argentino
Il Trio Julius alla CI di Isola
Servizi di Neven Stipanov
ISOLA - Il noto Trio Julius ha
recentemente tenuto concerto presso la Comunità degli Italiani “Pasquale Besenghi” degli Ughi di
Isola.
Del gruppo cameristico fanno
parte il pianista Bojan Glavina, il
clarinettista Robert Stanič ed il violoncellista Igor Švarc, prestigiosi
musicisti diplomati presso l’Accademia di Musica di Lubiana.
Oltre all’attività concertistica, gli artisti sono impegnati pure
come pedagoghi e non solo. Bojan
Glavina ha finora composto più di
cento opere, Robert Stanič ha suonato per varie orchestre, è membro
di varie formazioni cameristiche
ed è autore di arrangiamenti. Igor
Švarc ha partecipato a varie tournèe internazionali.
Gli interpreti si sono presentati al pubblico isolano con tre brani
rispettivamente di Emil Hartman,
Nino Rota ed Astor Piazzolla.
Il concerto è stato aperto con un
brano del periodo romantico che è
stato molto gradito dal pubblico.
Durante l’esecuzione, gli interpreti hanno plasmato la sonorità con
particolare gusto per le sfumature
dinamiche ed altrettanta attenzione
all’ l’intonazione. L’intreccio sonoro di domande e risposte è culminato nel terzo tempo, nel vivace Rondò conclusivo.
Dopo la Serenata Op. 24 di
Hartman, il trio ha eseguito un brano di Nino Rota che ha suscitato negli ascoltatori uno stato di profonda
riflessione. Il brano di Nino Rota si
apre con un Allegro che, a dispetto
del titolo, non viene caratterizzato
da un tempo veloce. Il compositore
italiano lo ha imbevuto di drammaticità che si rivela particolarmente
intesa nell’Andante.
I primi due tempi possono essere interpretati come degli interrogativi mentre L’Allegrissimo, tempo
conclusivo, disorienta l’ascoltatore
per il suo carattere dichiaratamente
popolaresco.
Nella terza parte del concerto, gli artisti hanno interpretato le
famose ‘’Cuatro Estaciones Por-
tenas’’ di Astor Piazzolla, tecnicamente molto ardue soprattutto per
i repentini cambi di tempo.
Le stagioni suonano come un
puzzle sonoro, ma non sono concepite come una Suite. Si tratta
invece di un’opera unica, anche
se all’ascolto, ogni brano mantiene la propria identità caratteriale.
Le stagioni sono tutte aggettivate come ’’portene’’ ovvero, appartenenti al porto principale dell’Argentina di Buenos Aires.
Nell’originale, le quattro stagioni Primavera, Verano, Otono e
Invierno, sono state composte per
bandoneon, violino e viola, pianoforte, chitarra elettrica e contrabasso.
In genere, tutti i tempi sono costituiti dall’alternanza di momenti
di eccitazione a momenti lirici. Nel
primo tempo de ‘’La primavera’’,
il brioso fugato introduttivo viene
placato dal violoncello.
Ad introdurre la melodia dell’Estate è il pianoforte di cui alcuni
intervalli del brano ricordano frammenti di canzoni pop.
La melodia del ‘’Verano’’ passa al clarinetto per ritornare al tema
introduttivo.
Nell’Estate Piazzolla descrive
musicalmente la canicola estiva
che fiacca gli uomini del porto.
Durante l’introduzione dell’autunno, il lungo e meditativo cuore
del tema introdotto dal violoncello dialoga con il pianoforte. L’intera opera musicale è caratterizzata
dall’impulso ritmico ’’tanguero’’,
dai procedimenti contrappuntistici, da richiami del mondo del jazz
dati dalle sincopi, dai glissati del
pianoforte e dal jazzato del clarinetto, evidente soprattutto nel tema
autunnale.
L’inverno, di gusto romanticheggiante si conclude con una reminescenza barocca. Il pacato finale dell’opera musicale dà un senso
compiuto all’intera composizione.
Infatti, il compositore argentino
vive l’inverno con serenità e non
come un dramma dovuto alla caducità dell’essere umano.
A conclusione della serata, i
musicisti sono stati salutati con
lunghi e calorosi applausi.
musica 7
Mercoledì, 29 aprile 2009
tangibile dell’italianità a Fiume. Problematico il ricambio generazionale
segnata dalla precarietà del presente
ca, il “Collegium musicum fluminense”, “I Virtuosi fiumani”. Gli
attivisti sono circa centoventi.
Secondo lei, in quale direzione dovrebbe svilupparsi la “Fratellanza”?
Più che di sviluppo, devo purtroppo parlare di mantenimento
della Società. Qualunque passo
falso o mossa sbagliata potrebbe
portare allo scioglimento di qualche sezione. Attualmente esiste il
sentito problema della sezione dei
pittori che attualmente non hanno uno spazio adeguato dove lavorare.
La crisi economica globale incide anche sul lavoro della SAC?
Per ora, gli effetti della crisi
non si fanno sentire. Si parla di
tagli ai finanziamenti, ma bisogna rendersi conto che le società artistico-culturali non hanno
mai richiesto delle cifre esorbitanti per portare avanti la loro
attività. Pertanto, ritengo che
La Mandolinistica diretta dalla prof.ssa Arianna Bossi
Più che di sviluppo,
devo purtroppo parlare
di mantenimento della Società.
Qualunque passo falso o mossa
sbagliata potrebbe portare allo
scioglimento di qualche sezione
dente del Liceo... Posso dire che
la Comunità degli Italiani è una
seconda casa per me.
Quali soddisfazioni le dona
il suo attivismo nella Mandolinistica? Quale è stato il periodo
di maggior splendore dell’ensemble?
Dal mio punto di vista, credo
che il periodo di maggior splendore dell’orchestra sia stato quello che va dal 1982 al 1983-84.
A quei tempi, la Mandolinistica contava quaranta elementi, il
che ci permetteva di suonare degli arrangiamenti più complessi, fatti dal compianto maestro
Floris. Eravamo in grado di interpretare brani sicuramente più
impegnativi con un organico talmente ampio. Ricordo un concerto all’aperto all’Auditorio di
Portorose nell’estate del 1983, al
quale l’orchestra contava 41 elementi. Oggi ne conta da dieci a
quindici.
Quali sono i criteri in base ai
quali si può prendere parte alla
Mandolinistica? Uno deve suonare già il mandolino, oppure
questo non è una condizione necessaria?
Se ci sono delle persone interessate a suonare nell’orchestra, noi abbiamo la possibilità
di organizzare dei corsi di mandolino, dei quali finora mi sono
occupato io. Ultimamente, tra i
giovani ci sono pochi interessati. La musica è un’arte specifica
per la quale non tutti sono portati. La situazione ideale sarebbe
se alla Mandolistica si unissero
persone che hanno già delle basi
musicali e che conoscono le nozioni di base del solfeggio. Su
“I Virtuosi fiumani”
queste è poi più facile insegnare
i rudimenti dello strumento.
Quali sono i maggiori problemi che al momento attuale devono affrontare non solo
la Mandolinistica, ma anche la
“Fratellanza”?
Ciascuna sezione è un caso
a parte. Quello che ci accomuna
forse un po’ tutti, soprattutto le sezioni musicali come lo sono i cori
maschile e femminile e la Mandolinistica, è la carenza di organico.
Questa è in parte comprensibile
perché abbiamo una situazione
abbastanza specifica. In genere,
infatti, al canto corale si dedicano oramai soltanto le persone anziane. I cori della maggioranza
forse riescono ancora a trovare
nuovi membri, ma per noi questo
presenta un problema. Nella situazione in cui ci troviamo posso
dire che si fa quello che si può. Al
momento, in seno alla SAC operano il coro maschile, femminile e un coro giovanile di recente
Eventuali tagli finanziari non
dovrebbero riguardare le attività
artistico-culturali delle Comunità.
La nostra presenza nella società
si sente proprio grazie alla cultura
e all’arte. Se ci tagliano i fondi,
cosa ci rimane?
formazione: la Schola Cantorum.
Secondo l’idea del mio predecessore Roberto Haller, questo coro
dovrebbe un giorno contribuire
a rimpolpare le file dei cori maschile e femminile. Per ora questo
non è ancora avvenuto, ma speriamo bene.
Quante sezioni e quanti attivisti conta la SAC?
Le sezioni sono tredici o quattordici; oltre alle sezioni di arti figurative e ceramica contiamo i tre
cori di cui sopra e la mandolinisti-
se fossero necessari dei tagli
questi non dovrebbero riguardare le attività artistico-culturali delle Comunità. In fin dei
conti, credo che la nostra presenza nella società si sente proprio grazie alla cultura e all’arte. Se ci tagliano i fondi, cosa
ci rimane?
Il suo augurio per il futuro
della “Fratellanza”?
Di esserci ancora, di contare
più membri e di dare il meglio di
noi stessi.
A Pirano si ride con il duo “Caffè Sconcerto”
Brillante serata cabarettistica
PIRANO - Divertentissima serata cabarettistica presso il Teatro Tartini di Pirano
con il duo “Caffè Sconcerto’’ di Venezia.
La coppia di attori e registi professionisti Monica Zuccon e Salvatore Esposi-
to nasce nel 1990 nel noto locale ZELIG
di Milano, attuale tempio del cabaret italiano.
I ”Caffè Sconcerto’’ sono stati invitati
a numerose trasmissioni televisive per la
Rai, Mediaset nonché per emittenti regionali quali Antennatre Nordest e TeleVenezia. Attualmente gli attori collaborano con
lo Zelig di Milano e, dal 1999, sono direttori artistici del Festival del Veneto - Teatro Comico e Cabaret di Mestre.
Lo spigliato duo, oltre ad esibirsi in
tutta Italia, ha già ottenuto eccellenti riscontri in Croazia e, per la prima volta
anche in Slovenia, grazie all’ organizzazione dell’evento da parte della Comunità degli italiani “Giuseppe Tartini’’ di
Pirano.
Un’offerta visiva vivace fatta di pennacchi, luci colorate, lustrini, abiti rossi
e neri come pure tanto buonumore sono
stati gli ingredienti di cui gli artisti hanno
fatto uso durante la brillante serata.
In apertura i comici hanno interpretato
il brano “Vieni Avanti Cretino’’ su testo e
musica degli stessi. Dopo il frizzante inizio gli attori hanno alternato degli sketch
con famosi brani musicali cantati in dialetto veneto, in napoletano e in inglese,
ovviamente arrangiati per l’occasione.
Il pubblico ha ascoltato vari brani tra
cui: il malinconico’’Reginella’’ di Bovio/
Lama, “Cabaret’’ di J. Kander, “Voglio
Vivere Cosi’’’ di M.Galdieri e G.D Anzi,
“Ba...Ba...Baciami Piccina’’ di R. Mordelli, per ascoltare infine il raffinato “Guardastelle’’ e “Vivere’’ accompaganto dal canto
e dal ritmico scandire di tutti i presenti.
Gli attori hanno proposto una comicità incentrata sui rapporti familiari tra mo-
glie, marito e suocere, figli, sui tabù legati alla sessualita’, sull’ attuale politica,
soprattutto quella italiana non tralasciando di evidenziare comicamente i tanti pregiudizi.
A fine spettacolo il duo ha simpaticamente invitato il pubblico ad acquistare il
loro CD “.. e due! Ambo!’’, che propone
alcune delle canzoni interpretate al Teatro
Tartini di Pirano.
8 musica
Mercoledì, 29 aprile 2009
DISCOGRAFIA L’ ultimo CD dell’ Ensemble “Sans Souci”
Settecenteschi piaceri musicali
regrinazioni attraverso l’Europa, con
virtuosi o semplici strumentisti che
probabilmente li sollecitarono a scrivere per un rganico poco comune o
raramente sfruttato da altri autori
italiani. La presenza dei due oboi e
del fagotto concertante è infatti tipica della cultura strumentale del Nord
Europa, e di
Dresda in particolare. Esempi di
questo genere di composizione sono
estremamente rari tra altri autori italiani del Settecento e lo saranno ancor più nei secoli successivi.
Ensemble Barocco SANS SOUCI
Passione e abilità al servizio della
musica strumentale e vocale
DEL SONAR PITORESCO:
Piaceri musicali nella repubblica veneziana al tempo
di Tiepolo
Musiche di Vivaldi, Lotti, Steffani, Platti, Brescianello, Montanari.
Ensemble Sans Souci:
Giuseppe NALIN: oboe
e direzione
Marco DEL CITTADINO: oboe
Paolo TOGNON: fagotto
Pier Luigi POLATO: arciliuto
Lorenzo FEDER: clavicembalo
Dynamic: CDS
637: www.dynamic.it
- Distribuzione: Jupiter:
www.jupiterclassics.com
La città, e più ampiamente la
Repubblica di Venezia, può vantare un ruolo di primissimo piano
nell’evoluzione della musica strumentale per i fiati, tanto che sotto questo aspetto non sarebbe improprio definirla come “provincia
pedagogica” verso il resto d’Italia.
La musica, ovviamente, ma anche
l’iconografia e l’editoria musicale
veneta contribuirono ad arricchire
il livello di sofisticatezza culturale
italiana in generale. È possibile ad
esempio,
riscontrare una straordinaria
somiglianza tra gli strumenti mu-
L’Ensemble Barocco Padovano
SANS SOUCI fondato da Giuseppe
Nalin nel 1986, si dedica espressamente all’esecuzione di musiche che
vanno dalla metà del 1600 fino alla
fine del 1700.
Il Sans Souci ha tenuto numesicali costruiti a Venezia e quelli raffigurati nelle grandi opere pittoriche
di Baschenis, Tiepolo, Bellini, Tintoretto, Guardi, Bellotto e
molti altri.
Il programma di questo CD segue un preciso filo logico conduttore, che si dipana nella ricerca e
realizzazione di triosonate e sonate
(termine che deriva dal veneziano
sonada), composte da autori di area
o formazione veneta per un organico fondato su due strumenti ad ancia
sicastello” di Merano, “Festival
Cusiano di Musica Antica del Lago
D’Orta”, Festival di Musica Barocca di Zagabria (ZABAF), “Festival
Lodoviciano” di Viadana (MN), Festival internazionale di musica antica di Bruges, (Belgio), “Monastir
de Pedralbes”, (Barcellona), “Segni Barocchi” di Foligno, Festival
e concorso internazionale “Guido
d’Arezzo di Arezzo, Musick Sommer di Norimberga, festival barocco di Viterbo, Rassegna “Nei suoni
dei Luoghi” del Friuli, Istituto Italiano di Cultura di Parigi.
Ha suonato inoltre in Svezia, Inghilterra, Dublino, Irlanda, Francia,
Germania, Austria, Ungheria, Spagna, Egitto, Repubblica Ceca, Belgio, Svizzera, Tunisia.
In ambito italiano è stato uno dei
primi ensemble a riscoprire e incidere la musica di J. F. Fasch e a produrre tre importanti CD con sonate di A.
Califano, Carlo e Alessandro Besozzi per la casa discografica Tactus e ri-
doppia, l’oboe e il suo basso naturale, il fagotto, che si imposero in Italia proprio agli inizi del Settecento.
I compositori delle musiche presentate in questo programma, oltre ad
essere accumunati da un legame con
la Repubblica veneziana sviluppato
per nascita, per studi o frequentazioni, furono tutti attratti dalla speciale bellezza timbrica e particolarità di questi due strumenti a fiato;
molti di questi autori vennero in seguito a contatto, durante le loro pe-
Saggi di Pasqua della SM “Ivan Matetić Ronjgov”
Piccoli concertisti all’opera
FIUME - Ottimo successo dei concerti di Pasqua degli alunni della Scuola di Musica di Fiume “Ivan Matetić Ronjgov” tenutisi nella splendida cornice del Museo del Mare che hano visti
impegnati sia i ragazzi del livello elementare - con
il saggio pomeridiano - che i “giovani concertisti”
della scuola media superiore.
I Sans Souci
rosi concerti per: “Associazione
Musicale Romana”, Palazzo dei
Congressi di Ivrea, Auditorium del
Conservatorio di Torino, festival
di musica antica “Echi Lontani”
di Cagliari, Festival Internazionale
dei Concerti per Organo nella Chiesa di St. Etienne di Aosta, Salone
del Museo di Castelvecchio di Verona, Castello “Cini” di Monselice
e Castello del “Catajo” di Battaglia
Terme Festival Internazionale “Mu-
prese anche in un filmato in DVD.
Nel 2007 la sua produzione si
è arricchita di un CD con un programma vivaldiano (Dynamic) mentre nel 2008 ha prodotto un CD con
pagine di Lotti, Vivaldi Brescianello, Platti, Steffani con un organico di
due oboi, fagotto concertante e b.c.
in uscita per il 2009 ed edito sempre
da Dynamic. Numerose le registrazioni tv e radiofoniche per emittenti
italiane ed estere.
giro giro tondo quanto suona il mondo
Stjepan Hauser al “Rostropovich day”
Al suono della chitarra...
Ivan Vihor Krsnik Čohar alle prese con lo Studio in fa min. di Chopin
Al pianoforte, al violoncello, all’arpa, ai fiati, alla chitarra o impegnati nel canto, gli allievi
hanno dato lodevolissima prova d’impegno e musicalità dando a presagire, per alcuni, un futuro da
concertisti di livello; se sorretti da lavoro costante
e volontà di porsi al servizio della Musica, più che
da ambizioni di affermazione personale.
Non possiamo che esprimere il nostro plauso pure ai solerti insegnanti che pazientemente, e
mossi dal desiderio di trasmettere la più bella delle Arti, formano generazioni di valenti futuri musicisti. (pvm)
ERRATA CORRIGE
In seguito ad un disguido tecnico, nel supplemento Musica inpiù di
marzo l’articolo dedicato ai Canti Patriarchini di Luigi Donorà (pag.
4-5) è uscito erroneamente con la firma di Fabio Vidali.
Nell’articolo sul futurismo (pag. 2-3) di Fabio Vidali invece è saltata mezza frase che, riportata integralmente, doveva essere la seguente: “ tanto che la prima ‘grande azione squadristica’ (1919) vedrà tra i
suoi ‘comandanti’ lo stesso Marinetti che, nel novembre di quell’anno,
figurerà nella lista dei candidati fascisti in campagna elettorale”.
Ci scusiamo vivamente con gli autori dei testi e con i lettori.
LONDRA - Il violoncellista
polese Stjepan Hauser parteciperà, il prossimo 2 maggio, al “Rostropovich day” che si terrà alla
Wigmore Hall di Londra.
Astro in ascesa del concertismo
internazionale Hauser interpreterà
accompagnato un complesso da
camera composto dai migliori violoncellisti londinesi, il Concertino
per violoncello e orchestra op.132
di Prokofiev.
La trascrizione per tale di tipo
di compagine porta la firma del
grande violoncellista russo venuto
a mancare qualche anno fa.
Stjepan Hauser aveva suonato alla presenza di Rostropovich
in un concerto a Palazzo Vecchio.
In tale occasione il grande artista
aveva dichiarato, a proposito di
Stjepan Hauser
Hauser, di non aver mai udito un
talento simile. (pvm)
Anno V / n. 38 del 29 aprile 2009
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo
Impaginazione: Željka Kovačić
Collaboratori: Helena Labus, Neven Stipanov e Fabio Vidali
Fotografie: Claudio Chicco, Ivor Hreljanović e Zlatko Majnarić
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la
Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004